SEDE CONSULTIVA
Giovedì 23 febbraio 2017. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. — Interviene il sottosegretario di Stato per la Giustizia Gennaro Migliore.
La seduta comincia alle 15.45.
Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari al fine di evitare l'accanimento terapeutico.
C. 1142 Mantero ed abb.
(Parere alla XII Commissione).
(Esame e rinvio).
La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.
Franco VAZIO (PD), relatore, fa presente che il testo all'esame della Commissione Giustizia è diretto a disciplinare il consenso informato sui trattamenti sanitari ed il connesso istituto delle dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti terapeutici.
Rammenta che il testo trasmesso dalla Commissione Affari sociali si compone di cinque articoli.
Prima di passare all'illustrazione del testo, fa presente che dai lavori preparatori si evince espressamente che il testo Pag. 21unificato è stato elaborato facendo ricorso ad un linguaggio che possa risultare di facile comprensione sia per i medici sia per i pazienti, favorendo l'instaurarsi di una relazione positiva tra gli stessi, circostanza ritenuta fondamentale per l'espressione di un consenso informato.
Sottolinea che l'articolo 1 disciplina le modalità con le quali è possibile manifestare il consenso informato. L'intero testo ruota intorno al principio, ricondotto agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e agli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea secondo cui nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, ad eccezione nei casi espressamente previsti dalla legge. Si premette che qualsiasi atto relativo all'espressione o al rifiuto o revoca del consenso ovvero al rifiuto di essere informato viene inserito nella cartella clinica o nel fascicolo sanitario elettronico. Presupposto del consenso è la piena informazione della persona sulle proprie condizioni, per cui è riconosciuto il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informati in maniera comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. L'informazione non può essere imposta, per cui la persona la può rifiutare in tutto o in parte ovvero può indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverla.
Per quanto attiene alle modalità, segnala che si prevede che il consenso informato sia espresso in forma scritta ovvero, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Per poter prestare il consenso o rifiutarlo occorre essere maggiorenne e capace di intendere e di volere. Fa presente che l'articolo 2 disciplina il caso di persona minorenne, interdetta, inabile o sottoposta all'amministrazione di sostegno. Nel prevedere il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario si precisa che può essere rifiutata anche la nutrizione e l'idratazione artificiali, mentre è sempre assicurata l'erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38. Il testo espressamente sancisce l'obbligo del medico a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo ed il conseguente esonero da responsabilità civile o penale. Questo obbligo ha dei limiti: il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali.
Per quanto attiene alle competenze della Commissione Giustizia non segnala osservazioni in merito all'articolo 1, salvo l'opportunità di valutare di sostituire, come anche in altre parti del testo, le parole: «capace di intendere e volere» con le seguenti: «capace di agire».
Rileva che l'articolo 2 riguarda le modalità del consenso informato da parte di minori e incapaci di agire, stabilendo i soggetti legittimati in merito all'espressione o rifiuto del consenso. Nel caso di minori, si prevede che il consenso informato al trattamento sanitario sia espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore dopo averne attentamente ascoltato i desideri e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore. Per quanto attiene alla persona interdetta, il consenso informato è espresso o rifiutato dal tutore avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita della persona. Il consenso informato della persona inabilitata è espresso rispettivamente dalla medesima persona inabilitata e dal curatore. Nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l'assistenza o la rappresentanza in ambito sanitario, il consenso informato è espresso anche dall'amministratore di sostegno ovvero solo da quest'ultimo. Si Pag. 22prevede che nel caso in cui il rappresentante legale di persona minore o interdetta o inabilitata oppure l'amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all'articolo 3, rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione viene rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria. Rileva che non sembrano esservi particolari questioni da evidenziare, dando per presupposto che si applicano le disposizioni del codice civile in tema di responsabilità genitoriale e di interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno e di incapacità naturale per i casi non disciplinati espressamente dall'articolo, come, ad esempio, nell'ipotesi di contrasti in merito all'atto. Delle perplessità vi possono essere sulla previsione senza condizioni dell'attento ascolto del minore in merito all'espressione del consenso informato, in quanto un minore potrebbe subire anche un trauma nell'essere informato, sia pure con tutte le cautele del caso, delle proprie condizioni di salute ovvero dei trattamenti sanitari ai quali dovrebbe essere sottoposto. Si ricorda che il codice civile prevede da parte del giudice l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.
Fa presente che l'articolo 3 ha per oggetto la disciplina delle DAT. Tali disposizioni costituiscono la modalità in cui prestare il consenso informato in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi. Con le DAT sono espresse le convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, ivi comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali. Nelle DAT è indicata altresì una persona di fiducia («fiduciario») che ne faccia le veci e lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie. Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne, capace di intendere e di volere. L'accettazione della nomina da parte del fiduciario avviene attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo, che viene allegato alle DAT. Il fiduciario può rinunciare alla nomina con atto scritto, che viene comunicato al disponente. Nel caso in cui le DAT non contengano l'indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto, le DAT mantengono valore in merito alle convinzioni e preferenze del disponente. In caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un fiduciario o investe di tali compiti l'amministratore di sostegno, ascoltando nel procedimento il coniuge o la parte dell'unione civile o, in mancanza, i figli, o, in mancanza, gli ascendenti. Le DAT possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico, in accordo con il fiduciario, qualora sussistano terapie non prevedibili all'atto della sottoscrizione, capaci di assicurare possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. In merito alle modalità redazionali, le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata, con sottoscrizione autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale o da un medico dipendente del Servizio sanitario nazionale o convenzionato. Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Con le medesime forme sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento; in caso di emergenza o di urgenza, la revoca può avvenire anche oralmente davanti ad almeno due testimoni. Si prevede che le regioni che adottino modalità telematiche di gestione della cartella clinica o il fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale possono, con proprio atto, regolamentare la raccolta di copia delle DAT, compresa l'indicazione del fiduciario, e il loro inserimento nella banca dati, lasciando comunque al firmatario la libertà di scegliere se darne copia o indicare dove esse siano reperibili.Pag. 23
Rammenta che il disegno di legge in titolo disciplina come prima fattispecie quella del consenso informato, il quale richiede modalità snelle e prive di formalismi, essendo manifestato dal paziente già nella condizione (attuale) di dover essere sottoposto ad un trattamento sanitario. Diversa è la natura delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), disciplinate dall'articolo 3, le quali presuppongono uno scenario completamente diverso: quello di un soggetto, nel pieno possesso delle proprie facoltà fisiche e mentali, il quale, ora per allora, manifesta le proprie volontà in ordine ai trattamenti sanitari ed a scelte diagnostiche o terapeutiche in relazione alla malattia che lo colpisse quando sarà «incapace ad autodeterminarsi», eventualmente anche designando altra persona di sua fiducia che lo rappresenti nelle relazioni con il medico. È una condizione del tutto diversa, nella quale non c’è l'urgenza di assumere decisioni, ma piuttosto l'esigenza di assicurare ponderazione, sia sul tema di merito (le disposizioni relative al trattamento), che riguardo alla designazione di un fiduciario. Qui diventa fondamentale unire alla competenza tecnica del medico anche quella giuridica. Lo scenario delle DAT riecheggia quello della designazione di un amministratore di sostegno: in quel caso (articolo 408, comma 1, c.c.) il legislatore ha previsto a pena di nullità la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata da notaio, il quale in quanto pubblico ufficiale garantisce la certezza circa la identificazione del disponente, assicura adeguata indagine della volontà del disponente, effettua il controllo di legalità, cura la conservazione degli atti e la loro rintracciabilità nel tempo. Innanzitutto è bene rilevare che per quanto attiene al potere di autentica del medico non sussiste alcun obbligo e capacità funzionale in capo allo stesso di accertare l'identità del dichiarante e la veridicità delle dichiarazioni rese.
Per queste ragioni ritiene opportuno modificare l'articolo 3 del disegno di legge in titolo prevedendo ordinariamente la forma dell'atto pubblico o della scrittura autenticata da notaio o, se ritenuto, eventualmente dal cancelliere del Tribunale, con l'intervento di un medico che possa offrire al dichiarante tutte le informazioni tecniche sufficienti a prendere una decisione il più consapevole possibile anche sotto il profilo medico scientifico, ovvero con allegazione di relazione medica illustrativa dei trattamenti sanitari da prevedere nel DAT, fatta salva, avuto riguardo alle diverse circostanze del caso, una modalità di rilascio delle DAT alternativa, rappresentata dalla manifestazione diretta al medico della struttura presso la quale il paziente sia ricoverato, in forma scritta o attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare.
Evidenzia, inoltre, le seguenti criticità e le seguenti osservazioni: mancanza di previsioni in merito alla conservazione delle DAT, nel caso in cui le Regioni non adottino misure apposite; incertezze sull'autenticità della revoca orale innanzi a due testimoni, che non potrebbero essere contradetti dall'interessato a causa delle sue condizioni psico-fisiche.
Osserva che potrebbe essere valutata, inoltre, l'opportunità di prevedere l'esenzione delle DAT dall'obbligo di registrazione (come già previsto per la designazione dell'amministratore di sostegno).
Rammenta che l'articolo 4 prevede che può essere realizzata dal paziente una pianificazione condivisa delle cure che abbia per oggetto l'evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta. A tale pianificazione il medico è tenuto ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità. Alla base deve esservi una piena informazione della situazione clinica del paziente e della sua possibile evoluzione. Questa informazione può essere estesa con suo consenso del paziente ai suoi familiari, alla parte dell'unione civile, al convivente ovvero una persona di sua fiducia (fiduciario). Considerato che occorre il consenso del paziente, la disposizione Pag. 24potrebbe essere considerata ultronea, in quanto il consenso, nei confronti di qualsiasi persona, il paziente lo può dare anche senza una espressa previsione legislativa. Il paziente esprime il proprio consenso rispetto a quanto proposto dal medico e i propri intendimenti per il futuro, compresa l'eventuale indicazione di un fiduciario. Il documento scritto, o video registrato, è sottoscritto o validato dal paziente e dal medico curante e inserito nella cartella clinica o nel fascicolo sanitario elettronico e ne viene data copia al paziente. Il documento di pianificazione delle cure può essere sempre modificato dal paziente. Non è chiaro cosa si intenda per validazione.
Sottolinea, infine, che l'articolo 5 ha per oggetto la norma transitoria, prevedendo che ai documenti atti ad esprimere le volontà del disponente in merito ai trattamenti sanitari, depositati presso il comune di residenza o davanti a un notaio prima della data di entrata in vigore della presente legge, si applicano le disposizioni di cui alla medesima legge.
Andrea COLLETTI (M5S) fa notare come alcune delle disposizioni del testo unificato in discussione presentino profili di criticità. In particolare, manifesta perplessità sull'articolo 1, comma 7, nella parte in cui prevede che il paziente non possa esigere trattamenti sanitari contrari, oltre che a norme di legge, anche alla «deontologia professionale» o alle «buone pratiche clinico-assistenziali». In proposito, ritiene che tali disposizioni siano formulate in modo generico, determinando il rischio di dubbi interpretativi. Manifesta, altresì, perplessità sull'articolo 3, comma 4, del provvedimento, nella parte in cui dispone che le DAT possano essere disattese, in tutto o in parte, dal medico, in accordo con il fiduciario, qualora sussistano terapie non prevedibili all'atto della sottoscrizione, capaci di assicurare possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. Anche in tale ipotesi, come nella precedente, ravvisa, infatti, la necessità che la disposizione sia formulata in modo più chiaro e specifico.
Donatella FERRANTI, presidente, ritiene che le osservazioni del collega Colletti siano meritevoli di approfondimento.
Antonio MAROTTA (AP), intervenendo sull'ordine dei lavori, chiede se la Commissione sia nelle condizioni di esprimere il parere di competenza sul provvedimento in discussione già nella seduta odierna o, più auspicabilmente, se l'espressione del predetto parere possa essere differita alla prossima settimana, in modo da consentire un'attenta ed approfondita valutazione delle disposizioni del provvedimento stesso nonché dei rilievi testè formulati dal relatore.
Donatella FERRANTI, presidente, ritiene che la questione prospettata dal collega Marotta debba essere rimessa alla valutazione dei gruppi parlamentari. Al riguardo, fa presente che, tenuto conto della complessità del testo unificato in discussione, ove dovesse emergere l'orientamento maggioritario dei gruppi di approfondire in maniera adeguata le disposizioni del provvedimento, dovrà essere trasmessa una lettera al presidente della XII Commissione, nella quale verrà rappresentata l'esigenza di consentire alla Commissione Giustizia di esprimere il parere di competenza non oltre mercoledì 1o marzo prossimo.
Stefano DAMBRUOSO (SCpI) concorda con il collega Marotta circa l'opportunità di consentire alla Commissione di disporre del tempo necessario a valutare approfonditamente le disposizioni del testo unificato in esame.
Nicola MOLTENI (LNA) si associa alla richiesta dei colleghi Marotta e Dambruoso.
Vittorio FERRARESI (M5S), pur condividendo l'esigenza di approfondire adeguatamente i contenuti del provvedimento, ritiene che la Commissione debba esprimere sullo stesso il parere di competenza nella giornata odierna. In proposito sottolinea che, come già avvenuto in occasione Pag. 25dell'espressione del parere su altri provvedimenti calendarizzati in Assemblea, si dovrebbe consentire alla Commissione di merito di concludere l'esame del testo unificato in discussione.
Donatella FERRANTI, presidente, nel replicare al collega Ferraresi, fa notare come, sul piano strettamente procedurale, la XII Commissione potrebbe, comunque, concludere l'esame del provvedimento in sede referente e conferire il mandato al relatore a riferire in Assemblea, anche nell'ipotesi in cui taluna delle Commissioni in sede consultiva non esprimesse il parere di competenza. Rammenta, inoltre, che, già in occasione dell'esame del testo unificato C. 259 ed abbinate, recante «Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario», la II Commissione ha differito l'espressione del parere, per consentire ai gruppi di approfondirne in maniera adeguata le disposizioni.
Daniele FARINA (SI) concorda con il collega Ferraresi in merito all'opportunità che la Commissione esprima il parere sul provvedimento in titolo nella giornata odierna. Ritiene, infatti, che i rilievi del relatore, pur essendo meritevoli di approfondimento, non attengano ad aspetti essenziali del testo unificato.
Walter VERINI (PD), nel prendere atto dell'orientamento maggioritario dei gruppi parlamentari, e tenuto conto del fatto che la XII Commissione potrebbe comunque concludere l'esame del provvedimento anche in assenza del parere espresso dalla II Commissione, ritiene opportuno disporre del tempo necessario a consentire un approfondito esame del provvedimento stesso.
Franco VAZIO (PD), relatore, pur sottolineando la sua disponibilità a presentare una proposta di parere già nella giornata odierna, a fronte dell'orientamento manifestato dalla maggioranza dei gruppi parlamentari nel corso del dibattito, dal quale è emersa l'esigenza di valutare più approfonditamente il contenuto del provvedimento, ritiene opportuno rinviare l'esame dello stesso ad altra seduta.
Donatella FERRANTI, presidente, preso atto della richiesta formulata della maggioranza dei gruppi parlamentari, che hanno sottolineato l'esigenza di approfondire in maniera adeguata le disposizioni del testo unificato in discussione, comunica che sarà rappresentata alla presidenza della XII Commissione l'esigenza di consentire alla II Commissione di esprimere il parere di competenza non oltre il 1o marzo prossimo venturo.
Vittorio FERRARESI (M5S) evidenzia l'opportunità che il predetto parere sia espresso non oltre la giornata di martedì 28 febbraio p.v.
Donatella FERRANTI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 16.15.
ATTI DELL'UNIONE EUROPEA
Giovedì 23 febbraio 2017. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. – Interviene il sottosegretario di Stato per la Giustizia Gennaro Migliore.
La seduta comincia alle 16.15.
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, la seconda opportunità e misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti, e che modifica la direttiva 2012/30/UE.
(COM (2016) 723 final).
(Esame, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del Regolamento e rinvio).
La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.
Pag. 26 Alfredo BAZOLI (PD), relatore, fa presente che la Commissione avvia oggi l'esame di una proposta di direttiva che reca un complesso di disposizioni di ampia portata che toccano numerosi aspetti del diritto sostanziale in materia di procedure concorsuali. La logica che ha ispirato la Commissione europea è quella di ricorrere al fallimento ovvero alla liquidazione delle imprese come soluzione di ultima istanza per privilegiare tutte le procedure che possono favorire il salvataggio delle imprese che presentino una potenzialità di ripresa. Si tratta di una iniziativa di indiscutibile rilievo che si muove nel solco di precedenti provvedimenti già assunti al livello europeo che, tuttavia, non hanno prodotto, se non molto limitatamente, i risultati sperati. Il dato di partenza da cui prende le mosse la Commissione europea è la necessità di consentire, in tutti i casi in cui ciò risulti economicamente vantaggioso, la prosecuzione di attività imprenditoriali attraverso il loro risanamento anziché la liquidazione per insolvenza. In sostanza, si intendono salvaguardare le prospettive di prosecuzione dell'attività economica, posto che il fallimento o la liquidazione coatta molto spesso si traducono in risultati di gran lunga meno positivi, per il complesso dei soggetti interessati, i cosiddetti stakeholders, di quelli che possono essere realizzati attraverso il risanamento e la prosecuzione dell'attività di impresa.
La Commissione europea valuta che ogni anno falliscano, nell'ambito dell'UE, circa 200 mila imprese, con una perdita di 1,7 milioni di posti di lavoro. Si tratta di un dato davvero allarmante che denuncia un processo di progressivo depauperamento del tessuto produttivo europeo che, in particolare nel comparto manufatturiero, ha assunto dimensioni gravissime, con pesanti ripercussioni sul piano sociale.
Il dato, che ha subito una forte accelerazione negli ultimi anni, va sicuramente ricondotto agli effetti prodotti dalla crisi economico-finanziaria che dal 2008 in poi ha determinato un impatto fortissimo, in termini economici e sociali, nell'ambito dell'Unione europea e, per alcuni Paesi più direttamente investiti dalla crisi stessa, tra cui l'Italia, ha determinato conseguenze davvero catastrofiche. In Italia si è registrata un'impennata del numero delle imprese chiuse a seguito di fallimenti o liquidazioni coatte: dal 2009 al 2014 l'incremento è stato superiore al 67 per cento.
Rammenta che, oltre agli effetti evidenti prodotti dall'aggravamento del contesto economico-finanziario, a giudizio della Commissione europea, la perdita del numero delle imprese attive, specie nel comparto manufatturiero, e conseguentemente del numero di posti di lavoro, discende anche dalla assenza di procedure idonee a prevenire, in primo luogo attraverso meccanismi di allerta precoce, la chiusura delle attività consentendo la sopravvivenza delle imprese economicamente sostenibili. Il frequente ricorso alla liquidazione dell'impresa indebitata rispetto ad una sua ristrutturazione precoce, infatti, si traduce inevitabilmente nel depauperamento del tessuto imprenditoriale, nella perdita di posti di lavoro e in un aggravio di lavoro per gli organi giurisdizionali. Nell'ottica della Commissione europea, una maggiore armonizzazione della normativa in materia d'insolvenza – considerate le ampie divergenze esistenti negli ordinamenti degli Stati membri – rappresenta inoltre un requisito fondamentale per il buon funzionamento del mercato unico e la realizzazione di un'autentica Unione dei mercati dei capitali.
Segnala che la proposta in esame fa obbligo agli Stati membri di garantire che le procedure nazionali di ristrutturazione preventiva rispettino alcuni principi minimi di efficacia e promuovano una seconda opportunità per gli imprenditori sovraindebitati, stabilendo anche norme mirate per aumentare l'efficienza di tutti i tipi di procedure, comprese quelle di liquidazione, riducendone la durata – e i costi connessi – e migliorandone la qualità. A giudizio della Commissione europea, procedure più efficaci e snelle, che riducano ai soli casi davvero essenziali l'intervento delle autorità giurisdizionali o amministrative, potrebbero contribuire a Pag. 27gestire in modo efficiente i crediti deteriorati e a ridurne l'accumulo nei bilanci delle banche, nonché a migliorare il valore residuo atteso dai creditori.
Rinviando per gli aspetti di dettaglio alla documentazione predisposta dai competenti uffici, ritiene opportuno segnalare che l'iniziativa della Commissione europea interviene in una fase in cui il legislatore del nostro Paese si è già misurato con i temi che sono oggetto della proposta di direttiva e ha già attivato una serie di modifiche alla legislazione vigente allo scopo di rimediare ad alcuni dei problemi segnalati.
Fa presente che in questo solco si inseriscono le iniziative assunte per promuovere lo smaltimento dei crediti in sofferenza presenti nei bilanci bancari attraverso la previsione della possibilità di concessione di una garanzia dello Stato per operazioni di cartolarizzazione dei crediti cosiddetti senior. Sono state poi introdotte modifiche alla legislazione vigente volte ad accelerare il recupero di crediti nell'ambito di procedure esecutive e ridotti i costi per il recupero stesso. Modifiche di portata più ampia sono poi prospettate nel disegno di legge n. 3671-bis, approvato in prima lettura alla Camera e attualmente in discussione al Senato, che reca una delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza. La proposta di direttiva intende quindi segnare un netto progresso per quanto concerne l'assetto normativo della materia che ne costituisce l'oggetto, superando nella misura possibile le discrasie che tuttora si registrano negli ordinamenti degli Stati membri per pervenire a un'armonizzazione che, tuttavia, non comporterebbe un allineamento integrale. Verrebbe infatti riconosciuto agli Stati membri un margine considerevole di discrezionalità in sede di recepimento, fermo restando l'obiettivo di un avvicinamento assai rilevante dei rispettivi regimi giuridici. Ciò comporterà anche per il legislatore nazionale un lavoro molto accurato di verifica della compatibilità delle previsioni della proposta di direttiva con l'ordinamento vigente e di valutazione delle modifiche da apportare a tale ordinamento.
Nel passare più in dettaglio ai contenuti della proposta di direttiva all'ordine del giorno, segnala come occorra quindi procedere al loro esame anche alla luce delle modifiche prospettate alla legislazione vigente dal citato disegno di legge n. 367-bis, nonché tenendo conto delle osservazioni e dei rilievi che il Governo ha trasmesso nella relazione inviata ai sensi dell'articolo 6 della legge 234/2012.
Rammenta che le novità più significative prospettate dalla proposta di direttiva possono riassumersi nei seguenti termini:
si prospetta la creazione di classi di creditori in cui gli stessi verrebbero raggruppati, in sede di piano di ristrutturazione, in funzione dei diritti e del rango dei crediti vantati. Alla individuazione delle diverse classi si accompagna la previsione dell'obbligo degli Stati membri di provvedere affinché i creditori abbiano il diritto di voto sul piano di ristrutturazione. Tali piani sarebbero peraltro vincolanti soltanto successivamente all'omologazione da parte della competente autorità, amministrativa o giurisdizionale. È comunque fatto obbligo per gli Stati membri di prevedere che i medesimi piani possono essere omologati anche in assenza di approvazione da parte di tutte le classi di creditori, sia pure subordinatamente a condizioni specificamente indicate. È peraltro prevista l'eventualità che le competenti autorità neghino l'omologazione in assenza di specifici requisiti ritenuti indispensabili;
si dovranno attivare strumenti di allerta precoce (early warning) in grado di segnalare per tempo l'andamento degenerativo dell'impresa e la necessità di agire con urgenza; – è previsto l'obbligo per gli Stati membri di limitare l'intervento dell'autorità giudiziaria o amministrativa ai soli casi in cui ciò sia davvero necessario;
per agevolare le prospettive di recupero, si impone agli Stati membri di introdurre normative volte a consentire al Pag. 28debitore di accedere a procedure di ristrutturazione preventiva mantenendo il controllo totale o anche parziale degli attivi e di beneficiare della sospensione delle azioni esecutive individuali;
è previsto l'obbligo per gli Stati membri di introdurre la possibilità per l'imprenditore sovraindebitato di essere liberato integralmente dai debiti (cosiddetta esdebitazione), sia pure per un periodo di tempo della durata massima di tre anni;
è previsto a carico degli Stati membri l'obbligo di stabilire il ricorso a mezzi di comunicazione elettronica per una serie di procedure e adempimenti, in modo da semplificare drasticamente i tempi e di ridurre i costi;
Il Governo dà una valutazione complessivamente positiva della proposta, che dovrebbe agevolare la certezza giuridica per gli investitori transfrontalieri, con conseguenze positive sugli scambi commerciali e sui livelli occupazionali.
Segnala che, allo stesso tempo, tuttavia, il Governo rileva che l'approvazione della proposta di direttiva comporta la necessità di modificare l'ordinamento vigente (e/o le disposizioni del disegno di legge C. 3671-bis) relative a:
legittimazione dei creditori a richiedere la ristrutturazione dell'impresa. la legge fallimentare vigente non consente al creditore di richiedere il concordato preventivo del debitore in crisi;
eliminazione del concordato liquidatorio. Il DDL 3671-bis prefigura l'eliminazione della procedura fallimentare e la sua sostituzione con la liquidazione giudiziale; tale strumento vede, in particolare, il curatore come dominus della procedura e, come possibile sbocco (in caso di afflusso di nuove risorse), anche un concordato di natura liquidatoria; in base alla proposta di direttiva, dovrebbe invece essere data priorità alla trattazione delle proposte che assicurino la continuità aziendale, considerando la liquidazione giudiziale come extrema ratio;
l'attuale normativa della legge fallimentare, nell'interpretazione che ne dà la giurisprudenza di legittimità, che riserva ai creditori la valutazione della convenienza. La proposta di direttiva, infatti, agli articoli 10 e 11, non richiede che il giudice, per rifiutare l'omologazione o approvazione della domanda di concordato, abbia bisogno di un atto di opposizione da parte di uno o più creditori dissenzienti. La verifica del miglior interesse dei creditori è, invece, un dovere d'ufficio del giudice;
l'introduzione di un termine entro il quale deve tenersi l'udienza per la omologazione del concordato (la proposta di direttiva dispone che la decisione sia emessa al massimo entro 30 giorni da quando la richiesta è stata presentata);
prevedere una compensazione monetaria per i creditori dissenzienti, pagabile dal debitore o dai creditori che hanno votato a favore del piano.
Segnala che nella relazione il Governo si riserva di valutare l'opportunità di richiedere, in sede di negoziato sulla proposta di direttiva, modifiche dei seguenti punti:
strumenti di allerta (early warning), in grado di individuare un andamento degenerativo dell'impresa e di segnalare loro la necessità di agire con urgenza. Tali strumenti non sembrano porsi in contrasto con le misure preventive di allerta introdotte nel disegno di legge C 3671-bis, che prevede l'istituzione di un unico organismo di composizione della crisi presso la Camera di commercio. Occorre tuttavia valutare, in sede di negoziazione della proposta di direttiva, un'eventuale modifica dell'articolo 3 poiché appare evidente l'insufficienza di tale disposizione che, riferendosi all'accesso da parte del debitore agli strumenti di allerta, presuppone soltanto la sua decisione volontaria;
introduzione di misure interdittive nei confronti di amministratori e sindaci che hanno commesso gravi irregolarità. La proposta della Commissione europea introduce (all'articolo 18) una serie di obblighi Pag. 29a carico dei dirigenti, come quello di prendere misure immediate per ridurre al minimo le perdite per i creditori, i lavoratori, gli azionisti e le altre parti interessate oppure quello di evitare condotte che, deliberatamente o per grave negligenza, mettono in pericolo la sostenibilità economica dell'impresa. Tuttavia, si potrebbe valutare l'opportunità di inserire apposite misure interdittive e sanzionatorie nei confronti di amministratori e sindaci, volte ad impedire i diffusi comportamenti dei «professionisti della bancarotta» che ricorrono a vari espedienti per continuare le loro attività illecite.
In conclusione, evidenzia come la proposta di direttiva in esame prefiguri un cambiamento assai considerevole del quadro normativo e richiede un'attenta valutazione che presumibilmente comporterà anche, ove i negoziati a livello europeo per la sua approvazione definitiva dovessero procedere rapidamente, l'esigenza di apportare modifiche e integrazioni al disegno di legge C 3671-bis già approvato in prima lettura alla Camera a attualmente in discussione al Senato.
Donatella FERRANTI, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 16.30.
SEDE REFERENTE
Giovedì 23 febbraio 2017 — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. – Interviene il sottosegretario di Stato per la Giustizia Gennaro Migliore.
La seduta comincia alle 16.30.
Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, a tutela dei Corpi politici, amministrativi o giudiziari e dei loro singoli componenti.
C. 3891, approvata dal Senato.
(Esame e rinvio).
La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.
Davide MATTIELLO (PD), relatore, fa presente che la Commissione è chiamata ad avviare l'esame, nella seduta odierna, della proposta di legge recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, a tutela dei Corpi politici, amministrativi o giudiziari e dei loro singoli componenti» (A.C. 3891), trasmessa dal Senato il 9 giugno 2016. Tale proposta, composta di sei articoli, ha origine dal lavoro svolto dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni ai danni degli amministratori locali che, istituita al Senato il 3 ottobre 2013, ha terminato i suoi lavori il 26 febbraio 2015 con l'approvazione all'unanimità di una relazione finale. In particolare, il provvedimento intende rafforzare gli strumenti penali per fronteggiare questo fenomeno di grave allarme sociale che negli ultimi anni ha assunto dimensioni preoccupanti. Pur manifestandosi con diverse modalità (la relazione della Commissione d'inchiesta riferisce di aggressioni, minacce via email, via telefono o sui social network, danneggiamenti, fino al recapito o ritrovamento di proiettili o carcasse di animali), tale illecito ha in comune la qualità soggettiva della vittima nel suo ruolo di amministratore locale. Si tratta sostanzialmente di atti che, volti a intimidire l'amministratore prevalentemente in relazione all'integrità della sua persona e dei suoi beni, minacciano, nel contempo, il buon andamento della pubblica amministrazione. Nella prassi, dall'assenza di un reato ad hoc è derivato che le intimidazioni venissero perseguite in relazione a fattispecie illecite poste a tutela di beni individuali, senza considerare adeguatamente la plurioffensività di tali condotte.
Rammenta che la stessa contestazione delle intimidazioni ex articolo 336 c.p. non consente comunque di distinguere tra amministratore locale e altri pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, apparendo Pag. 30inadeguata – all'esito delle audizioni della Commissione d'inchiesta parlamentare – a cogliere quel quid pluris delle funzioni svolte dall'amministratore locale come parte di un organo politico e legittimo rappresentante della comunità locale. Analoga considerazione può essere fatta per l'eventuale applicazione dell'aggravante di cui all'articolo 61, n. 10, del codice penale (per avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale). La fattispecie più vicina a quella di atti intimidatori nei confronti di amministratori locali risulta essere quella di cui all'articolo 338 del codice penale «Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario» che, attualmente, punisce con la reclusione da uno a sette anni: chiunque usa violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso o ad una qualsiasi pubblica autorità costituita in collegio, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l'attività (primo comma); chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l'organizzazione o l'esecuzione dei servizi (secondo comma).
Segnala che anche il ricorso all'articolo 338 per contestare le intimidazioni agli amministratori locali risulterebbe però inadeguato quando il soggetto leso non sia il corpo nella sua interezza o qualora il singolo destinatario non abbia poteri di rappresentanza (come invece il sindaco).
Rileva che alle criticità indicate ha inteso rispondere il provvedimento in esame, che all'articolo 1 novella il citato articolo 338 del codice penale adattandone, anzitutto, il contenuto del primo comma alle esigenze di tutela degli amministratori locali mediante il riferimento anche ai singoli componenti del corpo politico, amministrativo o giudiziario (o di una «qualsiasi pubblica autorità» costituita in collegio). Non mutando la sanzione (reclusione da uno a sette anni), la nuova disposizione, alla cui nuova formulazione allargata è adeguata la rubrica, tutela quindi i medesimi singoli componenti in quanto tali, anche quando operano al di fuori dell'organismo collegiale. La fattispecie di cui all'articolo 338 del codice penale consente la procedibilità d'ufficio per gli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali, mentre i limiti edittali previsti (reclusione da uno a sette anni) permettono, per tali illeciti, sia il ricorso alla custodia cautelare in carcere che alle intercettazioni. L'intervento rende, inoltre, applicabili agli illeciti di cui all'articolo 338 le circostanze aggravanti previste dal successivo articolo 339 del codice penale, cioè un aumento di pena (fino a un terzo ex articolo 64 del codice penale) qualora la violenza o la minaccia sia commessa con armi, da persona travisata, da più persone riunite, con scritto anonimo, in modo simbolico o avvalendosi della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete, esistenti o supposte. Un nuovo comma dell'articolo 339 del codice penale viene, poi, aggiunto dopo il primo per sanzionare con la stessa pena quella tipologia di atti intimidatori che hanno in comune l'obiettivo di piegare la volontà dell'amministratore. Si tratta di illeciti che la citata Commissione d'inchiesta ha certificato assumere grande rilevanza sul piano quantitativo. In base al nuovo comma, soggiace alla stessa pena prevista dal primo comma chi commette il fatto per ottenere, ostacolare o impedire il rilascio o l'adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo, ovvero a causa dell'avvenuto rilascio o adozione dello stesso. Pertanto, la disposizione riguarda: a) le condotte poste in essere prima dell'adozione di un provvedimento, tanto nel caso in cui la violenza o la minaccia sia diretta a ottenere un provvedimento, anche legislativo, favorevole, quanto nel caso in cui la violenza o la minaccia sia diretta a ostacolare o impedire l'emissione di un provvedimento, anche legislativo, sfavorevole; b) le condotte poste in essere dopo l'adozione di un provvedimento, vale a dire i casi di violenza o minaccia – di natura ritorsiva – in danno dell'amministratore locale a Pag. 31causa dell'avvenuto rilascio o adozione di un provvedimento, anche legislativo. Il riferimento del nuovo comma anche all'emissione di provvedimenti legislativi appare volto alla tutela dei consiglieri regionali e dei parlamentari nazionali dagli atti intimidatori.
Rammenta che l'articolo 2 della proposta di legge modifica l'articolo 380, comma 2, del codice di procedura penale, inserendo nel medesimo il riferimento alla nuova versione dell'articolo 338 del codice penale tra le fattispecie per le quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza di reato (attualmente, l'arresto in flagranza è facoltativo).
Rileva che l'articolo 3 aggiunge poi un articolo 339-bis al codice penale, che prevede una circostanza aggravante ad effetto speciale di alcuni specifici delitti in danno di componenti di un corpo politico, amministrativo o giudiziario quando tali delitti costituiscano atti intimidatori ritorsivi commessi a causa del compimento di un atto compiuto nell'adempimento del mandato, delle funzioni o del servizio. L'aggravante comporta un aumento di pena da un terzo alla metà delle sanzioni previste per i seguenti reati: lesioni (articolo 582 c.p.), violenza privata (articolo 610 c.p.), minaccia (articolo 612 c.p.), danneggiamento (articolo 635 c.p.).
Fa presente che l'articolo 4, modificando l'articolo 393-bis del codice penale (Causa di non punibilità), prevede che l'aggravante per gli atti intimidatori ritorsivi di cui all'articolo 339-bis non trovi applicazione quando sia stato lo stesso amministratore ad avere dato causa all'intimidazione eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni. Attualmente, la causa di non punibilità riguarda la fattispecie base (articolo 338 c.p.) e quella aggravata (articolo 339 c.p.) di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario.
Segnala che l'articolo 5 intende sanzionare anche gli atti intimidatori nei confronti di aspiranti consiglieri comunali; si tratta quindi di illeciti di cui siano destinatari i candidati alle elezioni comunali. È, a tal fine, integrata la formulazione dell'articolo 90 del TU sulle elezioni amministrative comunali (decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570) per estendere le sanzioni ivi previste – reclusione da due a cinque anni e multa da 309 a 2.065 euro – anche a tutti coloro che, con minacce o con atti di violenza, ostacolano la libera partecipazione di altri a tali competizioni elettorali. In virtù della clausola di rinvio al testo unico contenuta nell'articolo 1, comma 6, della legge 108/1968, le sanzioni per le elezioni comunali si applicano anche alle elezioni regionali. Per quanto riguarda le elezioni della Camera e del Senato, si ricorda il contenuto – non coincidente con quello dell'articolo 90 del testo unico del 1960 – dell'articolo 100 del testo unico per le elezioni della Camera (decreto del Presidente della Repubblica 361/1957), applicabile anche per il Senato.
Rammenta, infine, che l'articolo 6 affida a un decreto del Ministro dell'interno l'obiettivo di favorire la migliore attuazione delle misure di prevenzione e di contrasto. Spetta a tale decreto definire la composizione e le modalità di funzionamento dell'Osservatorio sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali, già istituito con decreto del Ministro dell'interno 2 luglio 2015. L'articolo 6 attribuisce all'Osservatorio alcuni compiti: il monitoraggio del fenomeno intimidatorio nei confronti degli amministratori locali, anche mediante apposita banca dati; la promozione di studi e analisi per la formulazione di proposte a supporto agli amministratori locali vittime di intimidazioni; la promozione di iniziative di formazione per gli amministratori locali e di promozione della legalità, con particolare riferimento verso le giovani generazioni. L'articolo 6 precisa in fine la neutralità finanziaria derivante dalle attività dell'Osservatorio, come definite dal decreto di attuazione.
Donatella FERRANTI, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
Pag. 32Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di accordi prematrimoniali.
C. 2669 Morani.
(Esame e rinvio).
La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.
Alessia MORANI (PD), relatrice, anche al nome del collega D'Alessandro, fa presente che la Commissione è chiamata a esaminare, nella seduta odierna, la proposta di legge Morani C. 2669, recante «Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di accordi prematrimoniali», che mira a disciplinare nel nostro ordinamento gli accordi prematrimoniali, stipulati prima del matrimonio e volti a regolare preventivamente i rapporti che potranno sorgere in caso di separazione e divorzio (A.C. 2669).
In proposito, rammenta che gli accordi prematrimoniali, largamente diffusi nei Paesi di common law e in vari Paesi europei, sono caratterizzati dalla finalità di regolamentare già prima del matrimonio, ora per allora, le eventuali reciproche concessioni che i coniugi si dovranno fare una volta venuta meno l'unione matrimoniale: gli effetti di tali pattuizioni sono sospensivamente condizionati allo scioglimento del vincolo matrimoniale. Gli accordi prematrimoniali, oltre al riconoscimento di un più ampio ruolo dell'autonomia negoziale nell'ambito dei rapporti familiari, sono considerati anche uno strumento di alleggerimento dei carichi giudiziari.
Ricorda che, attualmente, nel nostro ordinamento i coniugi possono regolamentare convenzionalmente il loro regime patrimoniale, ai sensi dell'articolo 162 del codice civile, anteriormente al matrimonio, al momento della celebrazione dello stesso ed anche durante la vita matrimoniale, scegliendo, per esempio, tra comunione legale o separazione dei beni. Non possono disporre però dei loro rapporti patrimoniali in caso di crisi del matrimonio.
Segnala che la giurisprudenza prevalente e più risalente ha, infatti, qualificato tali accordi come nulli quando intendono regolare l'intero assetto economico tra i coniugi; gli accordi prematrimoniali, infatti, contrasterebbero con il principio dell'indisponibilità degli status e dell'assegno divorzile: l'articolo 160 del codice civile (rubricato Diritti inderogabili) afferma infatti che «gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio». Secondo la giurisprudenza «il principio secondo il quale gli accordi dei coniugi diretti a fissare, in sede di separazione, il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio, sono nulli per illiceità della causa, anche nella parte in cui concernono l'assegno divorzile, che per la sua natura assistenziale è indisponibile, in quanto diretti, implicitamente o esplicitamente, a circoscrivere la libertà di difendersi nel giudizio di divorzio». La nullità trova fondamento «nella esigenza di tutela del coniuge economicamente più debole, la cui domanda di assegnazione dell'assegno divorzile potrebbe essere da detti accordi paralizzata o ridimensionata» (cfr. Cass. civ., sez. I, 14-6-2000, n. 8109). La Cassazione, in alcune pronunce, ha però anche affermato la liceità di tali accordi quando volti non a regolare il complesso dei rapporti patrimoniali tra i coniugi bensì singoli specifici profili, come ad esempio la cessione di un particolare immobile in caso di scioglimento del matrimonio, a ristoro di un precedente esborso sostenuto da uno dei coniugi per ristrutturare l'abitazione di proprietà dell'altro. Per la Corte, nel caso in cui l'accordo preveda prestazioni e controprestazioni tra loro proporzionali, in un contesto in cui la crisi del rapporto viene in considerazione alla stregua di una condizione, siamo in presenza di un contratto atipico e legittimo (Cass. civ. Sez. I, 21-12-2012, n. 23713).
Similmente, la Cassazione ha riconosciuto la liceità di una obbligazione restitutoria, derivante da un prestito da un coniuge all'altro, da rimborsare solo in caso di separazione. La subordinazione dell'obbligo del mutuatario alla cessazione del matrimonio non limitava per la Corte la sfera di libertà del coniuge debitore (Cass. 21 agosto 2013, n. 19304). Ancora, Pag. 33la Cassazione ha considerato valido il contratto tra due coniugi che prevedeva la vendita della casa coniugale, con destinazione del ricavato a pagamento del mutuo acceso su una seconda abitazione e divisione in pari quota del residuo, con regolazione di tutti i rapporti pendenti tra i coniugi ai fini della separazione consensuale; ciò sebbene non fosse stata espressamente considerata la maggiore contribuzione del marito nell'acquisto dell'abitazione alienata (Cass. 21 febbraio 2014, n. 4210). Nel complesso, sembra quindi che, a diritto vigente, la Corte non abbia ammesso i patti prematrimoniali, ma abbia permesso che lo scioglimento del matrimonio costituisca una condizione lecita, cui subordinare gli effetti di un contratto relativo a rapporti patrimoniali fra coniugi, determinati dal o riconducibili al matrimonio stesso.
Segnala, inoltre che occorre tenere conto del fatto che, in base alla disciplina del diritto internazionale privato (legge 218/1995, artt. 29 e 30), i rapporti personali tra coniugi sono regolati dalla legge nazionale comune; i rapporti tra coniugi con diversa cittadinanza o più cittadinanze comuni sono regolati dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata; i coniugi possono convenire che i loro rapporti patrimoniali sono regolati dalla legge dello Stato di cui almeno uno è cittadino o nel quale almeno uno risieda.
Rammenta, poi, che il Regolamento (UE) del Consiglio 20 dicembre 2010, n. 1259, relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, prevede all'articolo 5 che i coniugi possono designare di comune accordo la legge applicabile al divorzio e alla separazione personale purché si tratti di una delle seguenti leggi: la legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell'accordo; o la legge dello Stato dell'ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell'accordo; o la legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento della conclusione dell'accordo; o la legge del foro. L'accordo che designa la legge applicabile può essere concluso e modificato in qualsiasi momento, ma al più tardi nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale.
Segnala che il Regolamento non stabilisce un dies a quo per la conclusione dell'accordo.
Analogamente, ricorda che per le obbligazioni alimentari, l'articolo 15 del Regolamento (CE) del Consiglio 18 dicembre 2008, n. 4/2009 fa riferimento all'articolo 7 alla scelta dei coniugi mediante accordo circa la legge applicabile. L'eventuale contratto matrimoniale concernente gli obblighi di mantenimento, stipulato in unno Stato membro che lo ammette, dovrebbe essere riconosciuto in ogni altro Stato dell'UE.
Nel passare all'esame del contenuto della proposta di legge, segnala che la medesima intende superare il quadro normativo vigente, introducendo nel codice civile una specifica disciplina degli accordi prematrimoniali, ai quali sarà vincolato il giudice in sede di separazione e di divorzio.
Analiticamente, l'articolo 2 del provvedimento introduce l'articolo 162-bis nel codice civile, rubricato «Accordi prematrimoniali», con il quale prevede: che l'accordo prematrimoniale possa essere stipulato dai futuri coniugi prima del matrimonio o durante il matrimonio stesso (primo e decimo comma); che l'accordo debba essere stipulato per atto pubblico (analogamente a quanto richiesto dall'articolo 162 del codice civile per le convenzioni matrimoniali) o mediante una convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati. Per rendere l'accordo opponibile ai terzi, i suoi estremi (generalità dei sottoscrittori, notaio rogante o avvocati che hanno partecipato alla negoziazione) dovranno essere annotati a margine dell'atto di matrimonio (dodicesimo comma); che l'accordo debba avere ad oggetto i rapporti tra i coniugi derivanti dall'eventuale separazione o divorzio (primo comma).
Rammenta che, quando l'accordo riguardi anche figli minori o economicamente non autosufficienti, sarà necessaria Pag. 34una autorizzazione del PM, che provvederà con le stesse modalità previste oggi per l'autorizzazione della convenzione di negoziazione assistita per la separazione o il divorzio (articolo 6, comma 2, del decreto-legge n. 132 del 2014). L'accordo prematrimoniale dovrà dunque essere trasmesso entro 10 giorni al Procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, se riterrà che l'accordo risponde all'interesse dei figli, lo autorizzerà. In caso contrario, il PM inviterà le parti ad una riformulazione per eventualmente negare definitivamente l'autorizzazione (secondo comma).
Quanto al contenuto, l'articolo 162-bis prevede che attraverso l'accordo prematrimoniale i futuri coniugi possano prevedere: l'attribuzione da parte di un coniuge all'altro di somme di denaro periodiche o una tantum; l'attribuzione di diritti reali su immobili, eventualmente anche con vincolo di destinazione dei proventi al mantenimento del coniuge o dei figli fino al raggiungimento dell'autosufficienza economica (terzo comma). L'accordo potrà prevedere anche il trasferimento di beni all'altro coniuge a un terzo di beni o diritti destinati al mantenimento, alla cura o al sostegno di figli disabili per la durata della loro vita o fino a quando permane lo stato di bisogno, la menomazione o la disabilità (sesto comma); la rinuncia di uno dei coniugi al mantenimento da parte dell'altro, salvi gli obblighi alimentari previsti dall'articolo 433 del codice civile (quinto comma); l'adeguamento automatico del valore delle attribuzioni patrimoniali inserite nell'accordo (settimo comma); norme per la successione di uno o di entrambi. Fatti salvi i diritti dei legittimari diversi dal coniuge, nell'accordo prematrimoniale i futuri coniugi potranno derogare al divieto di patti successori e alle norme in materia di riserva del coniuge legittimario (ottavo comma).
Segnala che, in nessun caso, l'accordo prematrimoniale potrà prevedere che un coniuge trasferisca all'altro più di metà del proprio patrimonio (quarto comma).
Per quanto riguarda le successive modifiche dell'accordo prematrimoniale, la riforma prevede che debbano essere apportate nel rispetto delle forme dettate per la stipula dell'atto (nono comma), ivi compresa dunque la nuova autorizzazione del PM se l'accordo riguarda anche i figli. La stipula o la modifica dell'accordo potrà intervenire in qualsiasi momento anteriore al deposito del ricorso di separazione o alla sottoscrizione della convenzione di negoziazione assistita per la separazione (decimo comma). Il riferimento all'esistenza di accordi prematrimoniali dovrà essere inserito nei ricorsi di separazione personale e di divorzio (undicesimo comma). Gli effetti degli accordi prematrimoniali sulla separazione dei coniugi sono disciplinati dagli articoli 1 e 4 della proposta di legge, che modificano l'articolo 156 del codice civile, relativo agli effetti patrimoniali della separazione. La riforma prevede che, in presenza di accordi prematrimoniali, il giudice che pronuncia la separazione debba disporre in conformità dell'accordo raggiunto tra i coniugi. In base alla proposta di legge, in presenza di un accordo prematrimoniale, risulta impossibile richiedere la separazione con addebito. In base alla formulazione del primo comma dell'articolo 156, infatti, l'addebito assume rilievo solo in assenza di accordi prematrimoniali.
Gli effetti degli accordi prematrimoniali sul divorzio sono disciplinati dall'articolo 3 della proposta di legge, che inserisce nella legge n. 898 del 1970 l'articolo 6-bis. Con la nuova disposizione si prevede che il tribunale adito per lo scioglimento o la cessazione del matrimonio pronuncia sentenza in conformità agli accordi prematrimoniali.
Segnala, infine, che l'articolo 5 della proposta di legge interviene sull'articolo 19 della legge n. 74 del 1987 per affermare l'esenzione dall'imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa per gli accordi prematrimoniali di cui all'articolo 162-bis c.c.
Donatella FERRANTI, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
Pag. 35Disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia.
C. 3500 Bindi.
(Seguito dell'esame e conclusione).
La Commissione prosegue l'esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 1o febbraio 2017.
Donatella FERRANTI (PD), presidente, avverte che sono pervenuti i pareri favorevoli della I, e della XI Commissione, nonché della Commissione per le questioni regionali. Avverte, altresì, che la VI Commissione ha espresso un parere favorevole con alcune osservazioni, mentre la XII Commissione ha espresso un parere favorevole con una condizione. Fa presente, infine, che la X Commissione ha comunicato di non esprimere il parere e che la V Commissione si riserva, invece, di esprimerlo direttamente all'Assemblea.
Fa presente, quindi, che, i diversi passaggi del testo, si fa riferimento al «regolamento di cui all'articolo 23». Questo articolo, tuttavia, che disciplina le modalità di attuazione della legge, prevede che ad essa si possa provvedere con uno o più regolamenti. Appare quindi opportuno che nei predetti riferimenti sia utilizzato il plurale. Peraltro, all'articolo 9, comma 2, ove il regolamento in oggetto è richiamato ai fini dell'applicazione transitoria delle disposizioni previgenti in materia di procedimento di applicazione, modifica, proroga e revoca delle speciali misure di protezione, appare opportuno un intervento più specifico, che meglio chiarisca il momento in cui cessano di applicarsi le norme previgenti; a tal fine, le parole: «fino all'adozione del regolamento di cui all'articolo 23» sono sostituite dalle seguenti: «fino alla data di entrata in vigore delle pertinenti disposizioni regolamentari adottate ai sensi dell'articolo 23».
Propone, inoltre, le seguenti correzioni, volte a chiarire alcune delle disposizioni introdotte dagli emendamenti approvati:
all'articolo 6, comma 1, lettera f), l'emendamento 6.100 (nuova formulazione) già approvato deve intendersi al n. 3) nel senso che le parole «a causa dell'applicazione delle speciali misure di protezione» sono sostituite dalle parole «a causa della testimonianza resa». Si tratta di una correzione che corrisponde alla ratio dell'emendamento e che evita una modificazione del testo in maniera incomprensibile (indennizzo forfettario «a titolo di ristoro per il pregiudizio subìto a causa della testimonianza resa in ragione dell'applicazione delle speciali misure di protezione e dell'applicazione delle speciali misure di protezione») La formulazione corretta della disposizione modificata dall'emendamento sarebbe quindi la seguente: indennizzo forfettario «a titolo di ristoro per il pregiudizio subìto a causa della testimonianza resa».
all'articolo 8-bis, comma 2, le parole: «una segreteria costituita con il regolamento di cui all'articolo 23 che ne stabilisce la dotazione di personale e di mezzi» sono sostituite dalle seguenti: «una segreteria costituita secondo le modalità e con la dotazione di personale e di mezzi stabilite con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dal Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, sentita la commissione centrale stessa, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, che si esprimono entro trenta giorni»;
all'articolo 11, comma 3, terzo periodo, le parole: «dall'ingresso in piano provvisorio» sono sostituite dalle seguenti: «dalla deliberazione del piano provvisorio»;
all'articolo 13, comma 1, primo periodo, le parole: «con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze» sono sostituite dalle seguenti: «con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dal Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la commissione centrale, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, che si esprimono entro Pag. 36trenta giorni»; conseguentemente, all'articolo 23, comma 1, sono premesse le parole: «Fermo restando quanto disposto dall'articolo 13, comma 1,» e il comma 2 del medesimo articolo 23 è soppresso.
Giulia SARTI (M5S) manifesta perplessità in ordine alla correzione testè proposta dalla presidente relativamente alle disposizioni di cui all'articolo 6, comma 1, lettera f). In proposito, ritiene, infatti, che la stessa, più correttamente, dovrebbe essere oggetto di una proposta emendativa.
Davide MATTIELLO (PD), relatore, nel replicare alla collega Sarti, fa notare come la correzione proposta risponda pienamente alla ratio della disposizione introdotta dalla nuova formulazione dell'emendamento 6.100. Tale correzione, a suo avviso, è necessaria a chiarire inequivocabilmente che l'indennizzo forfettario debba essere corrisposto a titolo di ristoro per il pregiudizio subìto a causa della testimonianza resa, in ragione della quale è stata disposta l'applicazione delle misure di protezione.
Giulia SARTI (M5S), nel prendere atto delle precisazioni rese dal relatore, osserva, tuttavia, come dalla formulazione proposta non si evinca chiaramente a quale testimonianza si intenda far riferimento, potendo la stessa essere anche quella resa nel dibattimento. A suo parere, occorre, comunque, precisare che si tratta della testimonianza finalizzata all'applicazione delle speciali misure di protezione.
Davide MATTIELLO (PD), relatore, ribadisce che dalla formulazione proposta risulta chiaramente l'ambito applicativo della disposizione, ma si dichiara comunque disponibile ad accogliere i suggerimenti della collega Sarti per scongiurare qualsivoglia dubbio interpretativo.
Donatella FERRANTI, presidente, all'esito del dibattito testè svoltosi, propone la seguente nuova proposta di correzione: «all'articolo 6, comma 1, lettera f), l'emendamento 6.100 (nuova formulazione) già approvato deve intendersi al n. 3) nei seguenti termini: sostituire le parole “dell'applicazione delle speciali misure di protezione” con le seguenti: “della testimonianza resa in ragione della quale è stata disposta l'applicazione delle speciali misure di protezione”».
La Commissione, nessun altro chiedendo di intervenire, approva le proposte di correzione della presidente; indi, delibera di conferire il mandato ai relatori, Onorevole Dambruoso ed Onorevole Mattiello, di riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame. Delibera altresì di chiedere l'autorizzazione a riferire oralmente.
Donatella FERRANTI, presidente, si riserva di designare i componenti del comitato dei nove sulla base delle indicazioni dei gruppi.
Modifiche al codice civile, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani di crimini domestici.
C. 3772 Capelli, C. 3775 Fabbri e C. 2780 Spadoni.
(Seguito dell'esame e conclusione).
La Commissione prosegue l'esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 1o febbraio 2017.
Donatella FERRANTI (PD), presidente, avverte che sono pervenuti il parere favorevole con osservazioni della I Commissione, il parere favorevole della XI Commissione e il parere favorevole con condizioni della XII Commissione. Avverte, altresì, che la Commissione Bilancio esprimerà il parere di competenza direttamente all'Assemblea.
In relazione al testo del provvedimento, con specifico riferimento all'articolo 3, comma 2, fa presente che, l'aggiunta delle parole «, fatto salvo quanto previsto dal comma 2-bis dell'articolo 539» deve intendersi riferita al primo periodo del comma 1 dell'articolo 320 del codice di procedura penale.Pag. 37
A seguito dell'approvazione dell'articolo aggiuntivo Giuliani 1.02 (nuova formulazione), diretto a modificare i commi 1 e 2 dell'articolo 577 del codice penale, propone, altresì, in relazione all'articolo 5, comma 1-ter, che il riferimento all'articolo 577, comma 2, sia sostituito con quello al delitto di cui all'articolo 575, aggravato ai sensi dell'articolo 577, comma 1, n. 1 e comma 2, del codice penale.
Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta della relatrice; indi delibera di conferire il mandato al relatore, Onorevole Vazio, di riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame. Delibera altresì di chiedere l'autorizzazione a riferire oralmente.
Donatella FERRANTI, presidente, si riserva di designare i componenti del comitato dei nove sulla base delle indicazioni dei gruppi.
La seduta termina alle 17.