TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 599 di Giovedì 31 marzo 2016

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE ALLA REVISIONE DEL SISTEMA DI CALCOLO DELL'INDICATORE DELLA SITUAZIONE ECONOMICA EQUIVALENTE (ISEE)

   La Camera,
   premesso che:
    nel 2011 il Parlamento ha approvato il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, (cosiddetto Salva Italia). L'articolo 5 del decreto-legge contiene le indicazioni per la definizione del nuovo ISEE. È in quell'articolo che viene previsto di considerare come reddito anche le provvidenze assistenziali di qualsiasi natura (pensioni sociali, indennità di accompagnamento, assegni di cura ed altro);
    in attuazione dell'articolo 5 del decreto-legge «salva Italia» il Governo ha poi adottato il «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)», di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, in vigore dall'8 febbraio 2014;
    si tratta di un provvedimento che interessa milioni di cittadini italiani poiché la dichiarazione ISEE (DSU) viene richiesta per l'accesso a prestazioni sociali agevolate cioè servizi o aiuti economici rivolti a situazioni di bisogno o necessità (solo a titolo di esempio: dalle prestazioni ai non autosufficienti ai servizi per la prima infanzia, dalle agevolazioni economiche sulle tasse universitarie a quelle per le rette di ricovero in strutture assistenziali, alle eventuali agevolazioni su tributi locali);
    lo Stato, pertanto, si trova nell'imbarazzante posizione di dover riconoscere come voce di reddito e, quindi, di ricchezza le indennità che esso stesso corrisponde ai beneficiari sulla base di un'effettiva condizione di svantaggio e che mirano al superamento di tale condizione, così come recita l'articolo 3 della Costituzione; un paradosso a cui si è successivamente cercato di porre rimedio attraverso la previsione di apposite franchigie;
    contro il provvedimento le associazioni e le federazioni di categoria hanno alzato subito la voce ma senza trovare piena sponda in Parlamento;
    tali disposizioni, invero, hanno introdotto il principio secondo cui un soggetto destinatario delle provvidenze assistenziali vedrà innalzarsi la propria fascia reddituale. In questo modo non si è proceduto ad una razionalizzazione nel determinare i redditi ma si è di fatto prodotta l'esclusione da servizi sociali di famiglie a basso reddito, anziani e persone disabili che si sono ritrovati ad essere riconosciuti come ricchi e quindi non aventi diritto a servizi;
    il Tar del Lazio è fortunatamente intervenuto per affermare che tale normativa fosse da rivedere procedendo alla esclusione delle provvidenze assistenziali nella determinazione del reddito, rimediando ad un'evidente stortura: il giorno 11 febbraio 2015, infatti, il tribunale amministrativo ha accolto, pur parzialmente, tre ricorsi presentati delle associazioni di categoria e delle famiglie di persone con disabilità contro il citato decreto del presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013;
    le tre sentenze modificano parzialmente l'impianto di calcolo dell'Indicatore della situazione reddituale, cioè di una delle due componenti dell'ISEE;
    ebbene, l'adito Tar con tre sentenze (Tar Lazio, Sezione I, n. 2454/2015, 2458/2015 e 2459/2015) ha:
     a) accolto il secondo motivo di ricorso, per l'effetto annullando l'articolo 4, comma 2, lettera f) del decreto del presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, nella parte in cui ha incluso, tra i dati da considerare ai fini ISEE per la situazione reddituale i trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitari percepiti dai soggetti portatori di disabilità;
     b) accolto pure il terzo motivo di ricorso, annullando così l'articolo 4, comma 4, lettera d) del decreto del presidente del Consiglio dei ministri, soltanto nella parte in cui, nel fissare le franchigie da detrarre dai redditi, aveva introdotto «... un'indistinta differenziazione tra persone disabili maggiorenni e minorenni, consentendo un incremento di franchigia solo per quest'ultimi, senza considerare l'effettiva situazione familiare della persona disabile maggiorenne...»;
    le pronunce, data la loro immediata esecutività, avrebbero avuto il pregio di favorire gran parte dell'utenza, con l'effetto di diminuire il valore finale dell'ISEE per l'accesso alle prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria;
    il Governo ha tuttavia deciso di andare contro tali sentenze, presentando ricorso al Consiglio di Stato, chiedendo contestualmente il congelamento degli effetti nelle more della pronuncia definitiva;
    il Consiglio di Stato si è conseguentemente pronunciato non concedendo la sospensiva agli effetti delle sentenze del Tar, di cui veniva ribadita l'immediata esecutività, sancendo l'illegittimità dell'operato del Governo per non aver dato applicazione a quanto stabilito dal Tar;
    con sentenza del 29 febbraio 2016 (n. 00842/2016) il Consiglio di Stato ha infine respinto il ricorso dell'esecutivo contro le sentenze del Tar del Lazio dell'11 febbraio 2015, confermando in toto le statuizioni del giudice amministrativo di prime cure;
    secondo il Consiglio di Stato, «l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva e ontologica situazione d'inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una “migliore” situazione economica della persona disabile rispetto alla persona non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa»;
    si legge ancora nella pronuncia del Consiglio di Stato: «Deve il Collegio condividere l'affermazione degli appellanti incidentali quando dicono che ’ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dalle persone disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito – come se fosse un lavoro o un patrimonio – ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno alla persona disabile, ma una “remunerazione” del suo stato di invalidità oltremodo irragionevole, oltre che in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione»;
    il Consiglio di Stato ha quindi sostanzialmente confermato quanto già sentenziato dal Tar del Lazio, il quale aveva respinto «una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale»: in sintesi, le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito;
    fintantoché il Governo non deciderà di adeguarsi alle pronunce del Tar e del Consiglio di Stato, modificando finalmente l'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, il nuovo ISEE 2015, così come formulato, deve pertanto ritenersi illegittimo;
    a tal proposito il collegio si è espresso chiaramente: «Non convince infine il temuto vuoto normativo conseguente all'annullamento in parte qua di detto DPCM, in quanto, in disparte il regime transitorio cui il nuovo ISEE è sottoposto, a ben vedere non occorre certo una novella all'articolo 5 del DL 201/2011 per tornare ad una definizione più realistica ed al contempo più precisa di «reddito disponibile». All'uopo basta correggere l'articolo 4 del DPCM e fare opera di coordinamento testuale, giacché non il predetto articolo 5, c. 1 del DL 201/2011 (dunque, sotto tal profilo immune da ogni dubbio di costituzionalità), ma solo quest'ultimo ha scelto di trattare le citate indennità come redditi»;
    il MoVimento 5 Stelle, prestando ascolto alle numerose, più che giustificate, critiche in merito provenienti da tutto il mondo della disabilità, ha sempre tenuto alta l'attenzione sul tema della necessaria riforma dell'ISEE, presentando alla Camera dei deputati e al Senato della repubblica numerosi atti parlamentari in merito, sia di sindacato ispettivo che di indirizzo, da ultimo una mozione in Senato (atto n. 1-00532), che non è stata calendarizzata, nonché un emendamento (1-01124/11. Di Vita e altri) alla mozione n. 1-01124 presentata dal deputato Maurizio Lupi sulle politiche a sostegno della famiglia, che ha ricevuto però il voto contrario della maggioranza dell'aula il 2 marzo 2016. Relativamente alle circostanze appena citate risulta difficile comprendere le ragioni per cui il Governo abbia propeso verso una valutazione in senso negativo, dal momento che ogni opzione relativamente al tema di cui si discute appare ormai obbligata, vista la precisa direzione tracciata dalla pronuncia del Consiglio di Stato;
    il 17 marzo 2016 è stata altresì approvata in Commissione VII (Cultura) la risoluzione conclusiva di dibattito n. 8-00175 (Ghizzoni e altri) sul diritto allo studio universitario connesso al nuovo metodo di calcolo dell'ISEE, con cui, in particolare, il Governo tenuto conto della sentenza del TAR Lazio sopra richiamata, si è impegnato ad esplicitare normativamente lo scorporo dell'ISEE dell'assegno di disabilità percepito dal nucleo familiare, nel caso di studenti disabili o appartenenti ad un nucleo familiare in cui uno o più membri percepiscano tale assegno, nonché a prevedere interventi compensativi per gli studenti che siano rimasti esclusi dai benefici nell'anno accademico 2015/2016 sebbene non avessero modificato le condizioni economiche delle famiglie;
    da più recenti fonti stampa si apprende che, secondo le cifre fornite dal Ministero dell'economia e delle finanze, sarebbero un milione e duecentomila le dichiarazioni ISEE delle famiglie con persone disabili falsate dalla impropria inclusione dei sussidi ai fini del calcolo del reddito familiare, e che hanno creato ulteriori difficoltà a queste famiglie che, in molti casi, non hanno potuto accedere ad altre agevolazioni in virtù di un reddito ISEE ingiustamente superiore alla soglia di accesso;
    il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Poletti ha assicurato che dopo la decisione del Consiglio di Stato sarà modificato il regolamento sull'ISEE per allinearsi a ciò che la sentenza richiede, manifestando tuttavia contrarietà alla previsione di eventuali forme risarcitorie o di ristoro nei confronti delle famiglie medio tempore danneggiate dal provvedimento in questione;
    secondo le famiglie promotrici del ricorso, invece, nella vicenda vi sarebbe stato un accanimento da parte del governo, che ben avrebbe potuto applicare la sentenza del Tar in attesa di quella del Consiglio di Stato, ma scegliendo invece deliberatamente di non farlo, ritengono, abbia conseguentemente procurato danni in alcuni casi molto consistenti;
    il ricalcolo dell'ISEE rischia di trasformarsi in un vero e proprio caos e, proprio per questo motivo, le associazioni delle famiglie con persone disabili sollecitano il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Poletti a convocare un tavolo di discussione per la modifica della normativa di calcolo dell'ISEE. Un tavolo al quale le associazioni chiedono di partecipare per evitare il rischio che, per compensare il costo derivante dalla sentenza del Consiglio di Stato, vengano inasprite le soglie di accesso ai servizi;
    alla luce di tale sentenza appare totalmente condivisibile l'affermazione delle associazioni ricorrenti, le quali hanno affermato con forza che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dalle persone disabili significa considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito, come se fosse un lavoro o un patrimonio, ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni non un sostegno alla persona disabile, ma una «remunerazione» del suo stato di invalidità: un dato oltremodo irragionevole oltre che in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione;
    la decisione del Consiglio di Stato ripristina un principio di giustizia, ma pone altresì una serie di questioni assai rilevanti, prima tra tutte il risarcimento dei cittadini che a causa del meccanismo previsto dalla normativa ISEE non hanno potuto usufruire dei servizi sociali che sarebbero loro spettati,

impegna il Governo:

   ad intraprendere le opportune e improcrastinabili iniziative, affinché il calcolo dell'ISEE sia effettuato tutelando i soggetti più deboli della nostra società, quali sono gli anziani malati e i disabili in condizione di gravità, conformemente alla citata sentenza del Consiglio di Stato;
   ad assumere iniziative per porre in essere entro il 30 giugno 2016 una complessiva riforma del vigente sistema di calcolo dell'ISEE al fine di pervenire alla totale esclusione delle provvidenze assistenziali di qualsiasi natura;
   nelle more di un intervento di riforma della normativa vigente in conformità alla sentenza citata del Consiglio di Stato, ad adottare urgentemente iniziative per definire linee guida applicabili su tutto il territorio nazionale dirette agli enti locali e agli organi preposti alla ricezione del modello ISEE e alla definizione del suo valore, indicanti le modalità transitorie di calcolo da effettuarsi in base alle disposizioni normative antecedenti alla riforma intervenuta con il decreto del presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 3 dicembre 2013;
   a procedere ad una ricognizione e ad una quantificazione del valore delle prestazioni non erogate a causa delle disposizioni sul sistema di calcolo ISEE censurate dal Consiglio di Stato e a fornirne puntuale comunicazione al Parlamento;
   a predisporre celeri interventi compensativi o procedure per il risarcimento immediato dei cittadini che, a causa dalle disposizioni sul sistema di calcolo ISEE censurate dal Consiglio di Stato, non hanno potuto usufruire di prestazioni che sarebbero loro spettate o hanno dovuto contribuire con una compartecipazione più alta di quella dovuta;
   a convocare un tavolo di discussione con le associazioni delle famiglie con disabili per la modifica della normativa di calcolo dell'ISEE;
   a disporre una specifica informativa pubblica tramite i propri canali di comunicazione istituzionale, allo scopo di rendere a tutti soggetti interessati, ovvero coloro i quali hanno presentato delle dichiarazioni ISEE non conformi alla citata sentenza del Consiglio di Stato, tutte le informazioni e i chiarimenti del caso, compresa l'indicazione della procedura da seguire per la corretta compilazione del modello ISEE.
(1-01196)
«Di Vita, Silvia Giordano, Mantero, Colonnese, Lorefice, Grillo, Baroni, Agostinelli, Alberti, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, De Rosa, Di Battista Alessandro, Di Benedetto, Luigi Di Maio, D'Incà, Manlio Di Stefano, Dieni, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lupo, Mannino, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
(23 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'11 febbraio 2015 il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha accolto, in parte, tre ricorsi presentati contro il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 recante il regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) entrato in vigore dal 1o gennaio 2015;
    le tre sentenze della sezione prima del Tar del Lazio, n. 2454 del 2015, n. 2458 del 2015 e n. 2459 del 2015, di fatto, modificavano parzialmente l'impianto per il calcolo dell'Indicatore della situazione reddituale (ISR);
    il Tar, nello specifico, accolse soltanto il ricorso sull'illegittimità del regolamento dell'ISEE nella parte in cui considera come reddito disponibile anche i proventi legati alla disabilità (pensione e accompagnamento), con la sentenza n. 2458 del 2015; mentre nella sentenza n. 2459 del 2015 ha ritenuto illegittima la franchigia prevista per i maggiorenni con disabilità e quella più alta per i minorenni con disabilità;
    riguardo al ricorso conclusosi con la sentenza n. 2458 del 2015, la prima sezione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio accolse solo il sesto dei nove motivi formulati dai ricorrenti, infatti il Tar, richiamando i fondamentali principi della Costituzione enunciati negli articoli 3, 32 e 38, dichiarò che la pensione di invalidità e le indennità di accompagnamento non dovevano essere inserite tra i redditi disponibili, in quanto il loro inserimento, costituirebbe una penalizzazione nei confronti delle fasce sociali più deboli;
    in data 29 febbraio 2016 il Consiglio di Stato si è pronunciato sul ricorso presentato dal Governo a seguito delle sentenze del Tar del Lazio che aveva accolto i ricorsi presentati dalle associazioni delle persone disabili contro il sistema di calcolo dell'ISEE che sommava al reddito le pensioni e l'assegno di accompagnamento;
    il Consiglio di Stato, nella sentenza depositata in data 29 febbraio 2016, afferma che il collegio deve condividere l'affermazione degli appellanti incidentali quando dicono che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito, come se fosse un lavoro o un patrimonio, e i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni non un sostegno al disabile, ma una «remunerazione» del suo stato di invalidità oltremodo irragionevole, oltre che in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione;
    in pratica, il Consiglio di Stato ha affermato che le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito;
    il Gruppo di Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà giudicò grave il fatto che il Governo e, in particolare, la Presidenza del Consiglio e i Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze, non avessero proceduto alle necessarie modifiche adeguando la normativa ai rilievi del tribunale amministrativo;
    il Governo, come risulta da una dichiarazione resa in aula dal Sottosegretario per l'economia e le finanze, Enrico Zanetti, invece di modificare il decreto, decise di presentare ricorso al Consiglio di Stato, affermando che: «Sentiti gli uffici competenti dell'amministrazione finanziaria in merito alla richiesta di rafforzare le misure agevolative in favore dei soggetti disabili e delle loro famiglie giova ribadire che qualsivoglia iniziativa normativa dovrà necessariamente tener conto degli effetti negativi sui saldi di finanza pubblica per i quali è opportuno reperire idonei mezzi di copertura finanziaria». Per questo motivo «la Presidenza del Consiglio dei ministri (...) ha manifestato di condividere la posizione espressa dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in ordine all'opportunità di proporre appello dinanzi al Consiglio di Stato, previa sospensione dell'esecutività delle sentenze impugnate»;
    il Consiglio di Stato, in relazione alle affermazioni del Governo, ha affermato che era necessario ricordare che le indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano, infatti, una «migliore» situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tale situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa. Pertanto, la «capacità selettiva» dell'Isee, se deve scriminare correttamente le posizioni diverse e trattare egualmente quelle uguali, allora non può compiere l'artificio di definire reddito un'indennità o un risarcimento, ma deve considerarli per ciò che essi sono, perché posti a fronte di una condizione di disabilità grave e in sé non altrimenti rimediabile;
    in merito al sistema delle franchigie, i giudici del Consiglio di Stato hanno sottolineato come esso non può compensare in modo soddisfacente l'inclusione nell'ISEE di siffatte indennità compensative, per l'evidente ragione che tale sistema consta sì di un articolato insieme di benefici, ma con detrazioni a favore di beneficiari e di categorie di spese i più svariati, onde in pratica i beneficiari ed i presupposti delle franchigie stesse sono diversi dai destinatari e dai presupposti delle indennità;
    il Consiglio di Stato, con la sentenza emessa, indica al Governo come procedere; non convince il temuto vuoto normativo conseguente all'annullamento in parte del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in quanto non occorre una novella all'articolo 5 del decreto-legge n. 201 del 2011 per tornare ad una definizione più realistica ed al contempo più precisa di «reddito disponibile», basta correggere l'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e fare opera di coordinamento testuale, giacché non il predetto articolo 5, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, ma solo quest'ultimo ha scelto di trattare le citate indennità come reddito;
    il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con decreto n. 486 del 14 luglio 2015, ha aggiornato per l'anno accademico 2015/2016 i limiti dell'ISEE e dell'Indicatore della situazioni patrimoniale equivalente (ISPE) entro cui ciascuna regione deve fissare la soglia massima di ISEE e di ISPE per l'accesso alle prestazioni del diritto allo studio universitario, ma l'aggiornamento è stato operato esclusivamente sulla base della variazione annuale dell'indice generale Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per recepire immediatamente, attraverso apposita modifica all'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 dicembre 2013, n. 159, le indicazioni contenute nell'ambito della sentenza del Consiglio di Stato depositata il 29 febbraio 2016, procedendo all'esclusione degli importi delle pensioni di invalidità e delle indennità di accompagnamento, dal reddito ai fini ISEE, in quanto queste non determinano una «migliore» situazione economica del disabile rispetto al non disabile, ma al più mirano a colmare una situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale;
   in tale contesto, ad assumere iniziative per prevedere lo scorporo dall'ISEE dell'assegno di disabilità percepito dal nucleo familiare, nel caso di studenti disabili o appartenenti ad un nucleo familiare in cui uno o più membri percepiscano tale assegno e, in tale contesto, a promuovere interventi compensativi per gli studenti rimasti esclusi dai benefici nell'anno accademico 2015/2016;
   a convocare in tempi brevi una sessione della Conferenza unificata al fine di determinare, nelle more della modifica all'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013, n. 159, indicazioni coerenti con la sentenza del Consiglio di Stato, al fine del calcolo dei redditi con particolare riferimento alle persone disabili;
   ad inviare, nel più breve termine, una relazione dettagliata alle competenti Commissioni parlamentari, che quantifichi il numero delle persone disabili che, a seguito dell'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013, n. 159, non hanno potuto accedere a servizi e prestazioni sociali ovvero hanno dovuto compartecipare alla spesa, a causa dell'inserimento nel reddito ai fini ISEE, delle pensioni di invalidità e delle indennità di accompagnamento, in qualità di redditi disponibili, indicando nella relazione le iniziative e le modalità con le quali il Governo intenda prevedere forme di risarcimento alle persone disabili.
(1-01197)
«Nicchi, Gregori, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti».
(29 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il Consiglio di Stato, con sentenza del 29 febbraio 2016, ha respinto il ricorso presentato dal Governo contro le sentenze del Tar del Lazio del febbraio 2015, che avevano, a loro volta, respinto «una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale», disponendo che le provvidenze economiche previste per la disabilità non dovessero essere conteggiate come reddito, al contrario di quanto previsto dal nuovo sistema di calcolo ISEE, adottato con il «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)», di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159;
    nella citata sentenza del Consiglio di Stato si legge: «Deve il Collegio condividere l'affermazione degli appellanti incidentali quando dicono che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito – come se fosse un lavoro o un patrimonio – ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una “remunerazione” del suo stato di invalidità oltremodo irragionevole, oltre che in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione»; e ancora: «Non è allora chi non veda che l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva ed ontologica (cioè indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva) situazione d'inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una »migliore« situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tale situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa»;
    a proposito di eventuali danni provocati nel frattempo ai cittadini disabili, ai quali non siano state concesse le prestazioni richieste, in forza del nuovo calcolo ISEE, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, dopo la citata sentenza del Consiglio di Stato, ha dichiarato che: «Non sono previsti risarcimenti, nel senso che la sentenza richiede di modificare il regolamento e noi lo faremo»;
    alcuni rappresentanti dell'Associazione mutilati e invalidi civili hanno dichiarato che il concetto di reddito, come fissato dal Consiglio di Stato, potrebbe avere un rilievo al di là del semplice indicatore ISEE, portando conseguenze anche in merito ad altre situazioni previste dall'ordinamento in termini di agevolazioni diverse per i disabili;
    in risposta all'interrogazione a risposta immediata n. 5-07992, presentata dalla prima firmataria della presente mozione in Commissione finanze il 10 marzo 2016, il Governo ha premesso che il Tar del Lazio, con sentenze n. 2454/15, n. 2458/15 e n. 2459/15, in accoglimento parziale dei ricorsi, proposti dalle varie associazioni che tutelano gli interessi delle persone disabili, nonché da alcuni disabili e dai loro familiari, ha annullato l'articolo 4, comma 2, lettera f) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 (regolamento che ha introdotto la nuova riforma ISEE), che ricomprende, nella nozione di reddito ai fini ISEE «i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche»;
    a giudizio del Tar, nella nozione di reddito di cui al predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 sono stati illegittimamente ricompresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo, indennitario e/o risarcitorio a favore delle situazioni di disabilità, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico ed altro;
    inoltre, la sentenza n. 2459/15 ha annullato anche l'articolo 4, comma 4, lettera d) nn. 1, 2, 3, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nella parte in cui si prevedono franchigie più alte per i soli minorenni disabili, discriminando, pertanto, i disabili maggiorenni;
    il Governo ha proposto appello al Consiglio di Stato, nella convinzione della legittimità complessiva dell'impianto del nuovo regolamento ISEE, sostenendo che i dati dei monitoraggi trimestrali, predisposti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e relativi all'applicazione della descritta disciplina, risultano senz'altro più favorevoli alle persone con disabilità se paragonati a quelli registrati in applicazione della previgente normativa;
    il Consiglio di Stato ha tuttavia ritenuto di confermare le statuizioni dei giudici di prime cure, in relazione, in particolare, all'annullamento dell'articolo 4, comma 2, lettera t), del prefato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, respingendo il predetto appello;
    a seguito della sentenza, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha evidenziato come le prestazioni sociali agevolate, a cui si accede tramite ISEE siano molteplici, e tipicamente di competenza di enti erogatori diffusi su tutto il territorio nazionale, ciascuno con una propria potestà regolatoria rispetto alle prestazioni da essi concesse;
    il Governo ha inoltre segnalato che l'ISEE è un mero misuratore della situazione economica e che gli effetti finanziari che produce dipendono prioritariamente dalle determinazioni di ciascun ente erogatore con riferimento alle soglie di accesso alla prestazione ovvero per la graduazione dei costi di compartecipazione e per altro verso, ha confermato che, al fine di dare attuazione alla sentenza, è in corso il processo di modifica dell'articolo 4 predetto, che si snoderà, in particolare attraverso l'individuazione degli specifici trattamenti indennitari/risarcitori, percepiti dai disabili, da escludere dal computo del reddito rilevante ai fini ISEE, come prescritto dal giudice amministrativo, nonché attraverso l'idonea rimodulazione delle franchigie, previste dalla stessa norma, così da consentire di ristabilire l'equilibrio complessivo del sistema;
    il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha comunicato anche che, in riferimento alle dichiarazioni sostitutive uniche (DSU), il cui reddito disponibile è stato computato tenendo conto dell'indennità di accompagnamento o di altre indennità, su circa 4,8 milioni di DSU attestate, poco meno di 1,2 milioni presentano trattamenti su cui è intervenuta la sentenza del Consiglio di Stato: ciò significa che per il 25 per cento circa delle DSU si registrerebbe una riduzione del valore dell'indicatore ISEE, la cui entità è comunque dipendente da una serie di ulteriori variabili quali la composizione del nucleo familiare e la presenza di componenti reddituali e patrimoniali più o meno significative,

impegna il Governo:

   a fornire una previsione puntuale delle ricadute economiche, conseguenti alla citata sentenza del Consiglio di Stato, per il bilancio dello Stato e degli enti locali;
   ad intraprendere le urgenti iniziative compensative e le relative procedure per il risarcimento immediato dei cittadini che, a causa delle disposizioni sul sistema di calcolo ISEE censurato dal Consiglio di Stato, non hanno potuto usufruire di prestazioni a loro spettanti o hanno dovuto contribuire con una compartecipazione più alta del dovuto;
   ad assumere iniziative per rafforzare gli strumenti di carattere tributario in favore dei soggetti portatori di disabilità e delle loro famiglie, segnatamente le deduzioni dal reddito imponibile e le detrazioni dall'imposta lorda a fini Irpef.
(1-01198)
«Sandra Savino, Baldelli, Occhiuto».
(29 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'indicatore della situazione economica equivalente, in acronimo ISEE, è uno strumento che in Italia permette di misurare la condizione economica delle famiglie e tiene conto delle condizioni di reddito, patrimonio (mobiliare e immobiliare) e delle caratteristiche di un nucleo familiare, per numerosità e tipologia;
    è uno strumento di welfare, che si calcola effettuando il rapporto tra indicatore della situazione economica (I.S.E., dato dalla somma dei redditi e dal 20 per cento dei patrimoni mobiliari e immobiliari dei componenti il nucleo familiare) e parametro nella scala di equivalenza; la dichiarazione sostitutiva avviene per auto-certificazione, è valida un anno per tutti i componenti il nucleo familiare e si può presentare all'ente che fornisce la prestazione sociale agevolata, al comune, al Caf e all'Inps per via telematica;
    da gennaio 2015 il calcolo dell'indice è stato revisionato in base all'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159, «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE)»;
    il riferimento precedente era il decreto legislativo n. 109 del 31 marzo 1998, in cui si affermava che l'indicatore della situazione economica equivalente era definito dal rapporto tra l'indicatore ricavato dalla somma dei redditi, indicatore della situazione economica, combinato con l'indicatore della situazione economica patrimoniale ed il riferimento al numero dei componenti del nucleo familiare;
    comunque gli elementi che concorrono alla definizione di questo indicatore sono: il reddito, il patrimonio mobiliare, il patrimonio immobiliare, il nucleo familiare, e le caratteristiche del nucleo familiare. L'ISEE serve quindi a evidenziare i criteri necessari per la valutazione della situazione economica del soggetto che richiede prestazioni o servizi sociali o assistenziali collegati nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche. Il provvedimento interessa milioni di cittadini italiani poiché la dichiarazione ISEE (DSU) viene richiesta per l'accesso a prestazioni sociali agevolate, sia sotto forma di servizi che di aiuti economici rivolti a situazioni di bisogno o necessità: dalle prestazioni ai non autosufficienti ai servizi per la prima infanzia, dalle agevolazioni economiche sulle tasse universitarie a quelle per le rette di ricovero in strutture assistenziali, alle eventuali agevolazioni sui tributi locali;
    l'indicatore ISEE entra in gioco anche in altre questioni come ad esempio le pensioni di reversibilità o le separazioni coniugali. In questo senso, basta consultare sul sito dell'INPS la sezione delle FAQ e ci si rende conto di quanto siano interessate a questo indicatore le famiglie separate e divorziate, di cui è noto l'impoverimento a cui vanno incontro dopo la rottura del nucleo familiare;
    la recente revisione del calcolo dell'ISEE, effettuata in base all'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159, ha posto lo Stato nella paradossale posizione di riconoscere come voce di reddito e, quindi, di ricchezza le indennità che lo stesso corrisponde ai beneficiari sulla base di un'effettiva condizione di svantaggio e che mirano al superamento di tale condizione, così come prevede l'articolo 3 della Costituzione;
    contro il provvedimento le associazioni e le federazioni di categoria, a cominciare dal Forum delle famiglie, hanno subito segnalato l'aspetto paradossale, per cui un soggetto destinatario delle provvidenze assistenziali vede innalzarsi la propria fascia reddituale e in alcuni casi si trova escluso proprio da quei servizi sociali di cui avrebbe maggiore bisogno, con grave disagio soprattutto per le famiglie a più basso reddito, anziani e persone disabili, che a questo punto non sono più riconosciuti come aventi diritto a una serie di servizi;
    il Tar del Lazio, sollecitato da varie associazioni di categoria e delle famiglie di persone con disabilità è intervenuto con tre sentenze per affermare la necessità di rivedere la normativa in questione, per ridurre il valore finale dell'ISEE e rendere possibile l'accesso alle prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria per molte persone che con l'ultima norma risultavano escluse;
    il Governo a questo punto ha presentato un ricorso al Consiglio di Stato, chiedendo di bloccare gli effetti della sentenza del TAR, in attesa della pronuncia definitiva; il Consiglio di Stato, con le sentenze 838, 841 e 842 del 29 febbraio 2016, si è pronunciato su più ricorsi, tra i quali quello della Presidenza del Consiglio, non concedendo la sospensiva delle sentenze del Tar, di cui veniva ribadita l'immediata esecutività; secondo il Consiglio di Stato, «l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva e ontologica situazione d'inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una “migliore” situazione economica della persona disabile rispetto alla persona non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa»;
    l'aspetto fondamentale delle pronunce del Consiglio di Stato è che non si debba considerare la disabilità come fonte di reddito, cosa che accadrebbe se si includessero tra i redditi della persona i trattamenti indennitari percepiti e i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, dal momento che si tratta di una forma di sostegno alla persona disabile, non di una remunerazione del suo stato di invalidità, in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione; in sintesi, le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito;
    secondo le cifre fornite dal Ministero dell'economia e delle finanze sarebbero un milione e duecentomila le dichiarazioni ISEE delle famiglie con persone disabili che in virtù della impropria inclusione dei sussidi ai fini del calcolo del reddito familiare, sono andate incontro ad ulteriori difficoltà e, in molti casi, non hanno potuto accedere ad alcune agevolazioni perché il loro reddito è risultato erroneamente superiore alla soglia di accesso;
    numerose ulteriori osservazioni sono state avanzate in relazione al nuovo ISEE, con riferimento al criterio di calcolo del valore patrimoniale della prima casa e all'applicazione del reddito ISEE alle tasse universitarie, sia pure recentemente modificato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: per numerose famiglie l'aggravio è stato tale da comportare una forte riduzione dell'accesso alle prestazioni e una lesione del diritto allo studio;
    inoltre, poiché oltre l'80 per cento delle famiglie italiane è proprietaria della casa di abitazione, le attuali modalità di calcolo ISEE, che prevedono il calcolo del reddito degli immobili hanno colpito un'ampia fascia di popolazione; in tale ambito sarebbe opportuno introdurre delle soglie o una più elevata franchigia;
    nel disegno di legge recante delega al Governo in materia di contrasto alla povertà, la reversibilità pensionistica viene trasformata da prestazione previdenziale (cioè legata a dei versamenti) a prestazione assistenziale legata all'ISEE; peraltro, il Governo ha fatto presente che intende modificare questa norma, considerata impopolare da tutti gli schieramenti politici;
    al fine di poter usufruire, tramite l'ISEE, dei servizi pubblici in regime privilegiato, si assiste a fenomeni di «spacchettamento» delle famiglie con false separazioni coniugali e attribuzione di residenze e quote di reddito fittizi;
    in sede di discussione nell'aula della Camera dei deputati della legge di stabilità per il 2016, il 19 dicembre 2015, sono stati respinti emendamenti che anticipavano quanto stabilito dalle citate sentenze del Consiglio di Stato. In quella sede è stato chiarito quanto segue:
     a) il Governo ha indicato il provvedimento collegato sulle politiche sociali, quale sede naturale per la complessiva rivisitazione dei criteri di calcolo dell'ISEE;
     b) il modello ISEE che riguarda la disabilità e la non autosufficienza, prevede un complesso di sgravi e franchigie, che, con la mera applicazione delle sentenze del Consiglio di Stato, dovrebbero essere soppressi, sbilanciando il sistema;
     c) il nuovo modello aveva comunque il pregio di fornire un casellario, un quadro della situazione completo per ogni singola persona, essendo diverse le fonti da cui provengono i sostegni alla disabilità (comune, regione, INPS), ciò anche al fine di evitare possibili abusi;
    Area popolare nella mozione n. 1124 sulle politiche a sostegno della famiglia approvata dalla Camera il 2 marzo 2016, ha preso chiaramente posizione a favore di tutte le famiglie, dalle più indigenti a tutto l'universo delle famiglie che costituiscono il ceto medio il quale negli ultimi anni si è impoverito in modo significativo, senza poter contare su indicatori adeguati della sua effettiva condizione; nella mozione in questione si impegnava il Governo a promuovere una politica trasversale di sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, rispondendo, al tempo stesso, ad una grave emergenza economica e sociale e ad un'esigenza di attuazione della Costituzione; si impegnava altresì il Governo ad attuare interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia e soprattutto ad assumere iniziative per la revisione del regime fiscale della famiglia, in modo da farne un efficace stimolo alla genitorialità e un reale sostegno ai nuclei familiari con più figli. Tutte misure che richiedono una revisione dell'ISEE e un suo ricalcolo più appropriato;
    da quanto sopra esposto appare evidente che la revisione complessiva dei criteri di calcolo dell'ISEE, non può essere considerato un mero problema tecnico o contabile, quanto invece un problema politico, da riportare nella sua sede naturale, cioè il Parlamento,

impegna il Governo:

   nelle more di un intervento di riforma della normativa vigente, in conformità alla sentenza citata del Consiglio di Stato, ad emanare linee guida applicabili su tutto il territorio nazionale, indicanti le modalità transitorie di calcolo da effettuarsi in base alle disposizioni normative antecedenti alla riforma intervenuta con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013, n. 159;
   a convocare un tavolo di discussione con le associazioni familiari per la revisione del calcolo dell'ISEE, tenendo sempre presente che il calcolo dell'ISEE va effettuato tutelando i soggetti più deboli della società e che al centro di tutte le politiche di welfare deve esserci la famiglia con le sue problematiche ordinarie, compresi gli aspetti demografici di sostegno alla genitorialità;
   a promuovere una corretta campagna di informazione, tramite i propri canali istituzionali, per rendere noti a tutti soggetti interessati, a cominciare da coloro che hanno presentato dichiarazioni ai fini ISEE non conformi alle sentenze del TAR e del Consiglio di Stato, tutte le informazioni e i chiarimenti necessari per la corretta compilazione del modello;
   ad assumere iniziative normative per una riforma dell'ISEE, tenendo conto delle problematiche esposte in premessa e prevedendo in particolare l'introduzione di un quoziente familiare, una sorta di moltiplicatore dei carichi di famiglia, volto a tutelare la famiglia naturale così come individuata dall'articolo 29 della Costituzione.
(1-01199)
«Binetti, Tancredi, Vignali, Buttiglione, Bosco, Pagano».
(29 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'indicatore di situazione economica equivalente (ISEE) è in vigore dal 1998, anno in cui fu ideato per valutare e confrontare la situazione economica dei nuclei familiari, al fine di regolarne l'accesso alle prestazioni sociali e sociosanitarie erogate dai diversi livelli territoriali di Governo;
    la situazione economica è determinata tenendo conto del reddito di tutti i componenti il nucleo familiare, del loro patrimonio e, attraverso una scala di equivalenza, della composizione dello stesso nucleo;
    la revisione dell'ISEE è stata adottata con l'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici; tali disposizioni hanno ricevuto applicazione con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 5 dicembre 2013, n. 159 – Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) – e il nuovo modello è entrato in vigore dal 1o gennaio 2015;
    il nuovo calcolo ha previsto l'inclusione nell'indicatore di tutti i redditi percepiti dai componenti del nucleo familiare del richiedente, compresi quelli soggetti a imposta sostitutiva o a ritenuta a titolo di imposta e quelli esenti da Irpef, tra i quali le pensioni di invalidità, le indennità di accompagnamento e le borse di studio percepite dagli studenti universitari;
    alle nuove modalità di calcolo dei parametri per l'ISEE non ha fatto seguito il necessario adeguamento delle soglie di reddito, che danno diritto ad accedere alle prestazioni da parte degli enti locali. Pertanto, l'applicazione dei nuovi parametri ha determinato l'esclusione di migliaia di famiglie dall'accesso alle prestazioni sociali agevolate, costringendole a sostenere spese anche ingenti per ottenere servizi indispensabili;
    i soggetti maggiormente penalizzati sono stati quelli affetti da disabilità, che si sono trovati esclusi dall'accesso ai presidi sanitari e a numerose prestazioni assistenziali, e gli studenti universitari, il dieci per cento dei quali è decaduto dal diritto a percepire una borsa di studio;
    sicché, sono stati sollevati dubbi sulla legittimità costituzionale del sistema di calcolo Isee così come riformato, ritenendo che lo stesso fosse evidentemente in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione. In particolare, è stato contestato il conteggio nel reddito dei contributi ricevuti a fine assistenziale, poiché, come predetto, il modello approvato comprende le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento;
    già con precedenti atti di sindacato ispettivo, tra i quali l'interrogazione del 27 gennaio 2015 n. 4-07683, è stato denunciato che l'ISEE, come modificato, sfavorisce i disabili più gravi. Pertanto, è stato richiesto specificamente al Ministro dell'economia e delle finanze di «adottare immediati provvedimenti per escludere dal calcolo dell'ISEE le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento, nonché innalzare le soglie di accesso alle prestazioni sociali agevolate». Inoltre, sono molteplici i provvedimenti rispetto ai quali sono state presentate proposte emendative, poi non approvate, affinché «le indennità di accompagnamento e le pensioni di invalidità siano escluse dal calcolo dell'Isee»;
    è inammissibile, anche da un punto di vista giuridico, che tali entrate siano state equiparate al reddito da lavoro, posto che disabilità e lavoro non sono di certo equiparabili. L'ingiustizia di tali disposizioni ha, dunque, costretto alcune associazioni per la difesa dei diritti dei disabili ad intervenire con la presentazione di ben tre ricorsi al Tar Lazio, per eccepire l'illegittimità del nuovo ISEE, impugnando il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013;
    il Tar del Lazio con le sentenze n. 2454, n. 2458 e n. 2459 del 21 febbraio 2015 ha in parte accolto i ricorsi e ha dichiarato l'illegittimità del regolamento dell'ISEE nella parte in cui considera come reddito disponibile anche i proventi legati alla disabilità; inoltre, ha ritenuto illegittima la franchigia prevista per i maggiorenni con disabilità e quella più alta per i minorenni con disabilità;
    il tribunale amministrativo ha così fatto valere i fondamentali principi della Carta Costituzionale stabiliti negli articoli 3, 32 e 38, affermando che la pensione di invalidità e le indennità di accompagnamento non devono essere inseriti tra i redditi disponibili, poiché la loro previsione penalizza gravemente le fasce sociali più deboli;
    il Governo, nonostante l'immediata esecutività delle sentenze, avverso le stesse, ha proposto ricorso. La formulazione del nuovo ISEE ha quindi dato luogo ad una battaglia giudiziaria che, il 29 febbraio 2016, ha visto la pronuncia del Consiglio di Stato con le sentenze n. 838, 841 e 842 del 2016, che hanno confermato l'illegittimità dell'ISEE, sancendo che le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito. Il Collegio ha infatti respinto il ricorso del Governo argomentando che «l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva e ontologica situazione d'inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una ’migliore’ situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa». Inoltre, i giudici amministrativi hanno evidenziato che: «... ricomprendere tra i redditi i trattamenti... indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito – come se fosse un lavoro o un patrimonio – ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una “remunerazione” del suo stato di invalidità... (dato) ... oltremodo irragionevole ... (oltre che) ... in contrasto con l'articolo 3 Cost. ...»;
    è, dunque, assurdo che per stabilire un principio di semplice buon senso a tutela delle fasce sociali più deboli le associazioni dei disabili siano state costrette a rivolgersi al giudice amministrativo. È chiaro che il Governo deve adesso adottare urgenti iniziative per conformare il regolamento dell'ISEE alle sentenze del Consiglio di Stato, prevedendo, quindi, l'esclusione dal calcolo delle provvidenze assistenziali. Inoltre, vanno adottati i dovuti provvedimenti a tutela di coloro che hanno ricevuto un danno conseguente all'applicazione delle norme dichiarate illegittime dal Consiglio di Stato sul calcolo ISEE;
    resta, invece, ancora insoluta la situazione in cui versano centinaia di studenti universitari, i quali, in base ad un meccanismo perverso, dovendo includere nel reddito le borse di studio percepite nel precedente anno e in considerazione del fatto che solo tre regioni hanno sinora provveduto ad aumentare le soglie di reddito per l'accesso alle prestazioni, si sono visti negare la borsa di studio per il successivo anno accademico;
    in un momento storico nel quale gli indici di povertà hanno registrato continui aumenti non possono essere in alcun modo sacrificate le prestazioni sociali di sostegno al reddito in nome di una solo «sbandierata» e distorta spending review,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per adeguare le disposizioni relative al calcolo delle ISEE alle recenti sentenze del Consiglio di Stato, n. 838, n. 841 e n. 842 del 29 febbraio 2016, prevedendo un sistema che non ricomprenda gli emolumenti assistenziali nel reddito al fine di tutelare i disabili e le persone non autosufficienti;
   ad adottare tutte le iniziative riparatorie nei confronti di coloro che hanno ricevuto un danno dall'applicazione delle disposizioni dichiarate illegittime sul calcolo ISEE, procedendo: alla rideterminazione della quota di compartecipazione a carico dell'utente per l'anno 2015 e l'anno 2016; alla conseguente restituzione degli importi che non erano dovuti; al risarcimento del danno per coloro che hanno ricevuto un pregiudizio, poiché non hanno potuto usufruire di prestazioni sociali che, di contro, andavano garantite;
   a porre in essere idonee iniziative al fine di escludere dal calcolo del reddito le borse di studio percepite dagli studenti universitari, ovvero al fine di adeguare i parametri di reddito che regolano l'accesso alle prestazioni.
(1-01200)
«Rizzetto, Giorgia Meloni, Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».
(29 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    l'ISEE, recante definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate è stato introdotto per la prima volta con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, ma essendosi rivelata una normativa incapace di garantire un sufficiente grado di equità nell'individuazione dei beneficiari, non avendo ben considerato tutte le diverse fonti di reddito disponibile e di ricchezza patrimoniale delle famiglie, è subentrata una nuova disciplina introdotta dall'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
    il citato articolo 5 ha stabilito che «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare (...) entro il 31 maggio 2012, sono rivisti le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico; migliorare la capacità selettiva dell'indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all'estero (...); permettere una differenziazione dell'indicatore per le diverse tipologie di prestazioni»;
    in particolare, in attuazione di tale disposizione, è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, con cui sono fissati i requisiti d'accesso alle prestazioni sociali e il livello di partecipazione al loro costo da parte degli utenti, sì da definire il livello essenziale delle prestazioni, includendo tra le prestazioni economiche agevolate, cui l'ISEE si riferisce, all'articolo 1, comma 1, lettera f), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, anche le «prestazioni agevolate di natura sociosanitaria rivolte a persone con disabilità e limitazioni dell'autonomia»;
    accogliendo parzialmente tre ricorsi presentati dai familiari di persone con disabilità e dalle associazioni di categoria dei portatori di handicap, la sezione prima del tribunale amministrativo regionale del Lazio, con le sentenze n. 2454/2015, n. 2458/2015 e n. 2459/2015 dell'11 febbraio 2015, è intervenuto dunque su alcuni punti di notevole importanza per le persone con disabilità stabilendo in sostanza: 1) che i trattamenti assistenziali (pensioni, assegni, contributi vari) di qualsiasi tipo non devono essere considerati nel calcolo della situazione reddituale; 2) che non possono essere previste franchigie maggiorate per i soli disabili minorenni;
    contro le sentenze del TAR, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell'economia e delle finanze avevano presentato ricorso al Consiglio di Stato il quale tuttavia in data 29 febbraio 2016 ha respinto il ricorso stesso;
    il Consiglio di Stato ha dato ragione alle famiglie che chiedevano una definizione più restrittiva della definizione di «reddito disponibile» che non includesse «la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale» dichiarando che l'indennità di accompagnamento non può essere considerata un «reddito» e, quindi, non pesa sul calcolo dell'ISEE;
    il Consiglio di Stato ha respinto l'appello confermando che le indennità previste per la disabilità non devono essere conteggiate come reddito prevedendo che: «L'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva ed ontologica situazione di inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale». Per tali motivi il Consiglio di Stato ha ritenuto che non ha senso prevedere che tali aiuti vengano inglobati nel reddito facendo così crescere il valore dell'ISEE della famiglia, che rischierebbe quindi di essere esclusa da altri benefìci riservati ai nuclei in difficoltà e ha riconosciuto che le indennità di accompagnamento «non determinano una migliore situazione economica del disabile rispetto al non disabile»;
    alla luce di tale sentenza appare totalmente condivisibile l'affermazione delle associazioni ricorrenti, le quali hanno affermato con forza che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili significa considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito, come se fosse un lavoro o un patrimonio, ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni non un sostegno al disabile, ma una «remunerazione» del suo stato di invalidità: un dato oltremodo irragionevole oltre che in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione;
    per quanto riguarda gli studenti universitari l'ultimo decreto emanato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini ha lo scopo di arginare l'effetto del nuovo ISEE che in quest'anno accademico sta escludendo dalla borsa di studio fino a oltre il 20 per cento degli studenti dell'anno precedente di fatto alzando per l'anno accademico 2016/2017 le soglie massime ISEE e ISPE rispettivamente a 23 mila e a 50 mila euro (quest'anno sono a 21 mila e 35 mila);
    allo scopo di ridurre l'impatto negativo di quest'anno del nuovo ISEE sul diritto allo studio (se su media nazionale oltre il 20 per cento degli studenti ha perso la borsa di studio nell'ultimo anno accademico, in Sicilia si è raggiunta una punta del 40 per cento) alcune regioni nei mesi scorsi hanno messo in campo interventi compensativi;
    criticabile è la ferita inferta al diritto di cittadinanza: includere assegni, pensioni e indennità di accompagnamento nel computo generale dei redditi non prende in considerazione il fatto che applicare la disciplina ad oggi prevista per l'ISEE a quei trattamenti e prestazioni economiche che garantiscono livelli essenziali di vita a persone che hanno perso la capacità di produrre reddito o non sono autosufficienti, comporterebbe la perdita di garanzie sociali primarie e il pericolo che l'ISEE sia la bilancia per stabilire chi è dentro e chi è escluso perché benestante misurando, più che i finti poveri, i nuovi poveri;
    l'inclusione di prestazioni «monetarie» nel calcolo del reddito mette in allerta anche immuni, posti di fatto davanti a un bivio: penalizzare famiglie oggi incluse, paradossalmente le più bisognose, oppure alzare la soglia di accesso ai servizi ampliando la platea dei beneficiari e accollandosi, in definitiva, maggiori esborsi,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per realizzare una più equa riforma del sistema di calcolo dell'ISEE, in particolare predisponendo una tutela più efficace dei soggetti più deboli della società, come gli anziani malati e i disabili in condizione di gravità, conformemente alla citata sentenza del Consiglio di Stato, al fine di realizzare la totale esclusione di tutte le prestazioni legate alla disabilità, prevedendo l'esclusione ex lege dell'applicazione del modello ISEE con riferimento a tutte le forme di provvidenze di natura previdenziale e assistenziale;
   a procedere ad una quantificazione del valore delle prestazioni non erogate a causa delle disposizioni sul sistema di calcolo ISEE censurate dal Consiglio di Stato assumendo iniziative per predisporre un meccanismo di risarcimento immediato dei cittadini che, a causa di tali disposizioni, non hanno potuto usufruire di prestazioni che sarebbero loro spettate;
   ad assumere iniziative per predisporre in breve tempo delle linee guida atte a permettere agli organi preposti al recepimento del modello ISEE di calcolarne il valore nel periodo transitorio precedente ad una riforma della normativa vigente.
(1-01201)
«Baldassarre, Artini, Bechis, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».
(30 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», il cosiddetto «Salva Italia», prevede, all'articolo 5, la delega al Governo per la nuova regolamentazione del calcolo dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE);
    dall'interpretazione letterale della disposizione risulta che, ai fini del computo reddituale, vengano inserite anche le provvidenze assistenziali erogate, che vengono quindi considerate alla stregua di un reddito da lavoro da pensione o da rendite finanziarie;
    sembra dunque essere irrazionale e illogico un intervento statale che, in luogo di compensare situazioni di indigenza e di inabilità, computa questi interventi all'interno dell'indicatore della situazione reddituale, base per il computo dell'ISEE;
    nonostante la stesura del regolamento, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, si sia protratta per più di due anni, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non è riuscito a trovare una soluzione adeguata che incontrasse il consenso delle varie associazioni rappresentanti delle persone con disabilità;
    la norma inserita nel decreto «Salva Italia», ed ora entrata definitivamente a regime con il regolamento, svantaggia dunque i nuclei familiari in cui è presente una persona con disabilità rispetto ad altri nuclei di pari reddito, che è sfociata naturalmente nel contenzioso giudiziale e fa ancora – giustamente – presagire la possibilità di sollevamento della questione di legittimità costituzionale;
    a tutela dei diritti di queste persone è quindi intervenuta la magistratura amministrativa che, attraverso tre sentenze del TAR Lazio (n. 2454/15, n. 2458/15 e n. 2459/15 dell'11 febbraio 2015), ha invalidato l'impianto di base sul quale viene calcolato l'ISEE dei disabili: le tre sentenze, infatti, hanno escluso dal reddito le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento, innalzando inoltre la soglia delle franchigie spettanti ai portatori di gravi handicap;
    in particolare, nella sentenza n. 2459, il TAR del Lazio ha accolto il secondo motivo dei ricorrenti, annullando «l'articolo 4, comma 2, lettera f) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, nella parte in cui ha incluso, tra i dati da considerare ai fini ISEE per la situazione reddituale i trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitari percepiti dai soggetti portatori di disabilità»;
    ugualmente, il TAR ha accolto poi il terzo motivo, annullando così anche l'articolo 4, comma 4, lettera d), dello stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nella parte in cui, nel fissare le franchigie da detrarre dai redditi, aveva introdotto «un'indistinta differenziazione tra disabili maggiorenni e minorenni, consentendo un incremento di franchigia solo per quest'ultimi, senza considerare l'effettiva situazione familiare del disabile maggiorenne»;
    successivamente, il Consiglio di Stato, il 17 settembre 2015, ha negato la sospensiva delle tre sentenze e si è pronunciato, il 29 febbraio 2016, contro il ricorso presentato dallo Stato, non accogliendo, tra gli altri, il motivo dell'appellante principale riguardante il temuto vuoto normativo che si sarebbe potuto creare conseguentemente all'annullamento in parte qua del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione;
    il Consiglio di Stato reputa, infatti, che «non occorre certo una novella all'articolo 5 del decreto-legge 201 del 2011 per tornare ad una definizione più realistica ed al contempo più precisa di “reddito disponibile”»; ed inoltre continua: «All'uopo basta correggere l'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e fare opera di coordinamento testuale, giacché non il predetto articolo 5, comma 1 del decreto-legge n. 201 del 2011 (dunque, sotto tal profilo immune da ogni dubbio di costituzionalità), ma solo quest'ultimo ha scelto di trattare le citate indennità come redditi»;
    il collegio ha quindi condiviso l'affermazione degli appellanti incidentali, secondo i quali la ricomprensione, nel computo dei redditi, dei trattamenti indennitari percepiti dai disabili equivale a «considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito – come se fosse un lavoro o un patrimonio – ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una “remunerazione” del suo stato di invalidità», pregiudicando in maniera oltremodo irragionevole ed illogica la tutela ad essi spettanti in base all'articolo 3 della Costituzione;
    la sentenza rimane però ad oggi ancora inattuata, perché i caf si trovano nell'incertezza più totale a causa della grave mancanza da parte dell'INPS che non ha ancora provveduto ad aggiornare gli indicatori nel rispetto delle sentenze del giudice amministrativo;
    le associazioni delle persone con disabilità hanno chiesto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali di convocare subito un tavolo di confronto per modificare la normativa, ma non hanno ancora ricevuto risposta e denunciano la possibilità che l'espunzione dall'ISEE delle provvidenze possa trasformarsi in una occasione «per peggiorare, anziché agevolare l'accesso alle prestazioni, scaricare ulteriormente il carico dell'assistenza sulle famiglie e innalzare ulteriormente la compartecipazione ai servizi»;
    inoltre, a ben vedere, dovrebbero essere regolate anche le posizioni degli ISEE rilasciati dopo le sentenze del TAR del Lazio risalenti allo scorso anno, perché, avendo la sentenza efficacia erga omnes, sono a questo punto da ritenersi illegittime, facendo sorgere il diritto di risarcimento per coloro che non hanno avuto accesso a determinate prestazioni o per coloro che hanno contribuito con una compartecipazione più alta;
    il nostro Paese è agli ultimi posti tra i Paesi dell'Unione europea per la spesa per la famiglia;
    l'introduzione del federalismo fiscale, che nella sua applicazione reale fa registrare ancora un ritardo ingiustificabile, segna una netta inversione di rotta in merito alle politiche a tutela della famiglia. Questa nuova autonomia regionale e locale dovrà, infatti, essere guidata in base ai principi di coordinamento che sono elencati nella legge delega. Tra questi principi di delega vi è, infatti, quello del favor familiae: «individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all'adempimento dei relativi compiti»;
    per l'ordinamento italiano si conferma quindi l'inopportunità di rivisitare, dentro un quadro complessivo, il favor familiae previsto dalla Costituzione;
    le formule da questo punto di vista possono essere diverse. L'imposizione a livello familiare può essere realizzata con diverse metodologie: lo splitting, il quoziente familiare o il più recente sistema denominato fattore famiglia. Il metodo che si deciderà di adottare poco conta, se la volontà sarà quella di sostenere economicamente la famiglia dando finalmente piena attuazione al disposto costituzionale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per novellare, all'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, il comma 2, lettera f), e il comma 4, lettera d), nel senso di escludere le provvidenze assistenziali di qualsiasi natura dal computo reddituale ai fini ISEE così come stabilito dalla sentenza n. 2459/15 del TAR del Lazio e così come confermato dalla successiva sentenza del 29 febbraio 2016 del Consiglio di Stato;
   ad emanare, al più presto, una circolare indirizzata a tutti gli uffici competenti in materia di previdenza sociale e sul piano finanziario al fine di chiarire che, alla luce delle recenti sentenze citate in premessa, è fatto obbligo di aggiornare i dati relativi alla compilazione della dichiarazione sostitutiva unica per la determinazione dell'indicatore della situazione economica equivalente, escludendovi, in maniera certa ed inequivocabile, i trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitari percepiti dai soggetti portatori di disabilità;
   ad adottare iniziative per prevedere una misura risarcitoria o, alternativamente, compensativa, al fine di sanare gli irragionevoli pregiudizi che i disabili hanno subito in termini di sproporzionata corresponsione o impossibilità di accedere a determinate prestazioni, alla luce dell'insorta illegittimità delle dichiarazioni ISEE intervenute dopo l'emanazione delle sentenza dell'11 febbraio 2015;
   ad assumere iniziative per rivedere la disciplina dell'ISEE, nel quadro di un sistema che preveda, da un lato, il metodo del quoziente familiare, dello splitting o del fattore famiglia, come specificato in premessa, e, dall'altro, un criterio proporzionale di imposizione fiscale.
(1-01202)
«Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(30 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il Tar del Lazio, su istanza di varie associazioni di categoria e delle famiglie con persone con disabilità a carico è intervenuto con tre sentenze, stabilendo la necessità di rivedere la normativa in questione, per ridurre il valore finale dell'ISEE e rendere possibile la fruizione delle prestazioni socio-sanitarie per le quali molte persone, in base alle ultime norme, rimanevano escluse;
    il Governo ha presentato ricorso al Consiglio di Stato chiedendo di sospendere gli effetti della sentenza del TAR, in attesa della pronuncia definitiva;
    il Consiglio di Stato, con le sentenze 838, 841 e 842 del 29 febbraio 2016, si è pronunciato su più ricorsi, tra i quali quello del Governo, non concedendo la sospensiva delle sentenze del Tar, di cui veniva invece ribadita l'immediata esecutività e, più precisamente, il Consiglio di Stato, all'uopo, ha sentenziato che «l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie non servono a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva e ontologica situazione di inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale al rispetto per chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una »migliore« situazione economica della persona disabile rispetto alla persona non disabile, al più mirando a colmare tale situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale prima o anche in assenza di essa»;
    punto fondamentale delle sentenze del Consiglio di Stato è che la disabilità non può e non deve essere considerata come fonte di reddito, circostanza che si verificherebbe se si includessero tra i redditi della persona i trattamenti indennitari percepiti ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni perché trattasi di forme di sostegno al disabile e non di remunerazione al suo stato di invalidità; in altre parole, secondo il Consiglio di Stato le provvidenze economiche previste per la disabilità non devono essere conteggiate come reddito;
    secondo i dati forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze ammonterebbero ad oltre 1 milione e 200 mila le dichiarazioni ISEE delle famiglie con persone disabili che in virtù della errata inclusione dei sussidi ai fini del calcolo del reddito familiare, sono state vittime di ulteriori difficoltà e quasi in tutti i casi non hanno potuto usufruire di alcune agevolazioni e prestazioni perché il loro reddito è stato calcolato erroneamente risultando superiore rispetto alla soglia di accesso stabilita dalle normative vigenti in materia;
    alla luce di quanto esposto è necessario evitare la continuazione di inutili e dannosi contenziosi con le famiglie che hanno a carico soggetti disabili,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'emanazione di linee guida applicabili su tutto il territorio nazionale recependo quanto deciso con le succitate sentenze del Consiglio di Stato;
   a valutare l'opportunità, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e senza ulteriori oneri a carico della collettività rispetto ai saldi del bilancio dello Stato per l'esercizio finanziario 2016, di adottare iniziative compensative, onde risarcire i cittadini che, a causa delle disposizioni sul sistema di calcolo ISEE ritenute censurabili dal Consiglio di Stato, non hanno potuto usufruire di agevolazioni e prestazioni loro dovute o hanno dovuto pagare una compartecipazione più onerosa per poter usufruire delle stesse;
   a valutare l'opportunità, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e senza ulteriori oneri a carico del bilancio pubblico nel corso dell'esercizio finanziario 2016, di rivedere la disciplina dell'ISEE, prevedendo in tale ambito specifiche forme di detrazione fiscale per i soggetti portatori di gravi forme di disabilità permanente.
(1-01203)
«Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(30 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese l'erogazione di molti interventi e servizi sociali è connessa alla situazione economica del nucleo familiare del richiedente, ponderata attraverso l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) istituito dal decreto legislativo n. 109 del 1998 quale prova dei mezzi per l'accesso alle prestazioni agevolate;
    il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha previsto, all'articolo 5, la riforma dell'Isee con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 maggio 2012;
    il decreto, secondo l'articolo 5 della legge n. 214 del 2011 avrebbe dovuto indicare le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) affinché si adottasse una definizione di reddito disponibile che includesse la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che nel contempo tenesse conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia, dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico. In definitiva i criteri di riforma che la legge 214/2011 aveva fissato erano: 1) l'inclusione dei redditi fiscalmente esenti nel calcolo dell'Isee; 2) il miglioramento della sua capacità selettiva tramite una maggiore valorizzazione del patrimonio; 3) la differenziazione dell'Isee a seconda del tipo di intervento per renderne più flessibile l'applicazione; 4) il potenziamento dei controlli;
    sulla base di queste indicazioni il Consiglio dei ministri il 3 dicembre 2013, ha approvato il decreto n. 159 recante il «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)» che è entrato poi in vigore l'8 febbraio 2014;
    il successivo decreto del 7 novembre 2014 di approvazione del modello tipo della dichiarazione sostitutiva unica ai fini ISEE ha reso poi pienamente operativa la riforma a partire dal 1o gennaio 2015;
    l'ultimo report del Ministero del lavoro e delle politiche sociali «Il nuovo ISEE: Monitoraggio al terzo trimestre 2015», del gennaio 2016, evidenzia che dal punto di vista della popolazione coperta da dichiarazione ISEE nei primi nove mesi del 2015, si tratta su scala nazionale del 16,7 per cento della popolazione residente a fronte del 22,6 per cento nel 2014; che il 50 per cento delle DSU proviene da nuclei familiari con minorenni, mentre circa il 20 per cento da quelli con persone disabili; che con il Nuovo ISEE in alcune regioni del Mezzogiorno si sta riducendo l'anomalia di un elevatissimo numero di DSU presentate a fronte di una spesa sociale molto bassa (nello stesso periodo del 2014, il 34 per cento della popolazione residente aveva presentato una DSU, a fronte del 22 per cento del 2015); sembra che la DSU venga presentata solo in occasione della effettiva richiesta di prestazioni sociali agevolate; che il nuovo ISEE è più favorevole per quasi la metà dei nuclei familiari (47 per cento), mentre è meno favorevole nel 42 per cento dei casi; che vi è l'incremento del 50 per cento del peso effettivo del patrimonio nella costruzione dell'ISEE (si passa da un settimo del valore dell'indicatore pari a 13,5 per cento a un quinto pari a 19,5 per cento); che l'utilizzo dei dati comunicati dagli intermediari finanziari all'Agenzia delle entrate per i controlli ISEE ha dato risultati eclatanti in termini di emersione del patrimonio mobiliare (confrontando i primi nove mesi del 2014 con lo stesso periodo del 2015 si osserva un abbattimento di oltre tre quarti delle DSU con patrimonio nullo (dal 69,4 al 16 per cento)); che nel caso dei disabili, la distribuzione è visibilmente modificata per effetto dell'introduzione delle nuove regole, con l'azzeramento e la sostanziale riduzione dell'ISEE per una consistente quota della popolazione. Per i nuclei con disabili, gli ISEE nulli passano da meno dell'8 per cento a più del 17 per cento della popolazione. Le nuove regole sembrano favorire nettamente i nuclei familiari sotto i 3.000 euro. Viceversa per la parte più «ricca» della popolazione avviene il contrario: oltre i 30.000 euro (dove oggi si concentra il 6,3 per cento della popolazione) la quota di nuclei con persone con disabilità o non autosufficienti appare svantaggiata rispetto alle vecchie regole; ed infine la presenza o meno del patrimonio, insieme al trattamento di favore della disabilità, sembrano essere le ragioni principali degli spostamenti nell'ordinamento della popolazione in base all'ISEE;
    l'11 febbraio 2015, il TAR del Lazio ha accolto, seppur parzialmente, tre ricorsi molto articolati presentati da associazioni di tutela dei disabili per l'annullamento, previa sospensione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013. Le tre sentenze (TAR Lazio, sezione I, n. 2454/2015, 2458/2015 e 2459/2013) modificano parzialmente l'impianto di calcolo dell'Indicatore della situazione reddituale;
    la sentenza del Tar del Lazio n. 2458 ha annullato l'articolo 4, comma 2, lettera f) del regolamento, nella parte in cui è previsto che «Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti [...] f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a)», vale a dire nel reddito complessivo IRPEF;
    è stato anche accolto il ricorso che annulla il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nella parte in cui prevede l'incremento delle franchigie per disabilità per i soli minorenni (articolo 4, lettera d), n. 1, 2, 3);
    successivamente, la Presidenza del Consiglio ha deciso di ricorrere al Consiglio di Stato in qualità di giudice di appello, sostenendo che, considerato l'ISEE quale strumento a garanzia dell'equo diritto di accesso e dell'importo di misure per il contrasto alla povertà, l'assimilazione dell'indennità di accompagnamento dei disabili alla definizione di reddito – ancorché utilizzata in senso atecnico, vale a dire non corrispondente alle categorie di reddito elencate dal decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 ai fini dell'imposizione fiscale a carico delle persone fisiche – è stata necessaria per esigenza e di equità perequativa e contributiva, in quanto tale indennità risulta già esente da IRPEF;
    il 29 febbraio 2016, sono state pubblicate le sentenze del Consiglio di Stato che hanno respinto i ricorsi confermando le tesi della I sezione del TAR del Lazio, e quindi hanno escluso l'indennità di accompagnamento dei disabili e le altre indennità per persone disabili dal calcolo del reddito ai fini ISEE (Sentenza n. 00842/2016);
    il Consiglio di Stato ha motivato sostenendo che «l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva ed ontologica (cioè indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva) situazione d'inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una “migliore” situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa»;
    le sentenze, al momento, generano una situazione di ampia incertezza applicativa e operativa che di fatto lede i diritti dei cittadini a ricevere le prestazioni che spettano loro;
    in data 15 gennaio scadeva il termine per la presentazione della DSu dell'Isee per l'anno 2016 che i comuni al momento non hanno riferimenti su come procedere;
    la Commissione VII Cultura istruzione università della Camera dei deputati ha approvato la risoluzione n. 800175 a prima firma Ghizzoni in merito all'Isee per universitari, proponendo tra l'altro di non calcolare la borsa di studio tra i redditi familiari,

impegna il Governo:

   a dare organica attuazione alla sentenza del Consiglio di Stato del 29 febbraio 2016 modificando in tal senso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013, n. 159, con riferimento ai nuclei con persone con disabilità, ponendo così fine alla situazione di incertezza applicativa ed operativa che di fatto lede i diritti dei cittadini a ricevere le prestazioni di cui hanno diritto e, tenendo conto degli impegni assunti con la citata risoluzione approvata dalla VII Commissione della Camera dei deputati;
   a mantenere l'indicatore di situazione economica equivalente quale strumento utile a contribuire a determinare chi ha diritto di accedere a prestazioni di sostegno al reddito o a determinare l'eventuale compartecipazione alle rette per servizi pubblici ma predisponendone la revisione e la semplificazione, tenendo conto di quanto emerso dalle esperienze fatte e in collaborazione con i comuni e regioni;
   a valutare la necessità di intervenire con urgenza e con le opportune iniziative normative per evitare che, nelle more della revisione del citato regolamento in materia di ISEE, si generi una situazione di incertezza normativa con conseguenze potenzialmente dannose e per i nuclei più fragili, anche attraverso la transitoria applicabilità, per i soli nuclei familiari con persone con disabilità, delle modalità di calcolo dell'ISEE previgenti a quelle dichiarate illegittime dal giudice amministrativo.
(1-01204)
«Di Salvo, Monchiero, Lenzi, Miotto, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Ghizzoni, Grassi, Malisani, Mariano, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini».

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   il 3 aprile 2016 ricorreranno due mesi dalla morte di Giulio Regeni, ricercatore italiano barbaramente torturato e poi ucciso mentre si trovava al Cairo per ragioni di studio;
   nella notte tra il 24 e il 25 marzo 2016, una nota ufficiale del Ministero dell'interno egiziano affermava l'uccisione dei cinque assassini di Giulio Regeni, identificati come una «banda specializzata in sequestri e stranieri» che agiva «utilizzando divise della polizia»;
   contemporaneamente venivano mostrati sulla pagina Facebook del Ministero degli interni il portafoglio di Giulio e i documenti – il passaporto, la tessera dell'Università di Cambridge, quella dell'American University al Cairo e le carte di credito – ritrovati, a loro dire, all'interno del covo dei criminali;
   nell'immediato dell'ennesima ricostruzione dell'omicidio di Giulio Regeni fornita dalle autorità egiziane, questa veniva smentita dapprima dalla moglie e sorella di Tarek Abdel Fatah, arrestate per favoreggiamento e poi nuovamente messa in discussione dal Ministro dell'interno stesso, Magdi Abdel-Ghaffar, il quale dichiarava in data 28 marzo che «le indagini sono ancora in corso, cerchiamo ancora gli assassini di Giulio Regeni»;
   questa ultima versione offerta dalle autorità egiziane sul sequestro e l'uccisione di Giulio Regeni è, ad avviso degli interroganti, non solo grottesca ed oltraggiosa della memoria di Giulio, ma è una offesa alla famiglia e all'intelligenza di tutti coloro che attendono la verità;
   secondo quanto dichiarato dal legale della famiglia Regeni, avv. Alessandra Ballerini, nel corso di una conferenza stampa il 29 marzo: «a parte i documenti di identità, nessuno degli oggetti che appaiono nella foto diffusa dalle autorità egiziane appartenevano a Giulio. Abbiamo fatto il disconoscimento ufficiale»;
   quanto accaduto a Giulio non è un fatto isolato. Negli stessi giorni della sparizione di Giulio Regeni, altri due attivisti sparivano al Cairo ed entrambi venivano ritrovati morti con segni di tortura, mentre la versione ufficiale del governo egiziano parla tuttora di uno scontro a fuoco tra bande criminali;
   sono numerosi i report e i dossier prodotti dalle organizzazioni umanitarie che evidenziano continue, numerose e gravi violazioni dei diritti umani in Egitto, tra cui arresti illegali, uso della tortura, violenze di vario tipo;
   nei primi due mesi del 2016 sono stati accertati in Egitto 88 casi di tortura, di cui 8 conclusi con la morte della persona sottoposta a sevizie;
   tutti questi casi avvengono in conseguenza dell'applicazione della «legge anti proteste» entrata in vigore nel 2013 e che concede, di fatto, poteri illimitati alle forze di polizia e di sicurezza;
   nel 2015 sono stati 464 i casi di sparizione e 1676 quelli di tortura accertati in Egitto e il caso Regeni è soltanto la punta dell’escalation della repressione in Egitto;
   le detenzioni arbitrarie, l'uso della tortura e la pratica degli omicidi di Stato sono stati anche denunciati in una lettera inviata da alti esperti americani sul Medio oriente al presidente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama, i quali chiedono di rivedere i rapporti con l'Egitto –:
   se il Governo non intenda richiamare l'ambasciatore italiano in Egitto per consultazioni e, in particolare, se non intenda dichiarare l'Egitto Paese non sicuro, adoperandosi affinché il Governo egiziano ponga fine alla costante violazione di diritti umani e civili nei confronti della popolazione. (3-02141)
(30 marzo 2016)

   MONCHIERO e RABINO. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   la riforma della geografia giudiziaria ha previsto la soppressione del tribunale di Alba ed il suo accorpamento al più piccolo tribunale di Asti: tutto ciò, senza tenere in alcun conto il fatto che quello albese risultava, secondo gli stessi dati ministeriali, fra i più grandi tribunali del Piemonte, ed aveva raggiunto altissimi livelli di efficienza;
   è noto, infatti, che il tribunale di Alba rappresentava il quarto tribunale del distretto della corte d'appello di Torino (comprendente ben due regioni: il Piemonte e la Valle d'Aosta), per bacino di utenza e per numero di affari trattati, tra i 17 tribunali del distretto;
   l'accorpamento del tribunale di Alba – sito in provincia di Cuneo e contiguo al circondario del tribunale di Cuneo – a quello di Asti, in altra provincia, è secondo gli interroganti in palese contrasto con la previsione legislativa, secondo cui la ridefinizione dei circondari di tribunale doveva avvenire preferibilmente nell'ambito della stessa provincia, tenuto conto anche del fatto che nella provincia di Cuneo (terza per ampiezza territoriale in Italia) sono stati soppressi tre dei quattro tribunali esistenti e quello di Cuneo è ora travolto da un eccessivo sovraccarico;
   come più volte lamentato degli ordini forensi e dalle autorità civili del territorio, l'assurdo accorpamento del tribunale di Alba ad uno di dimensioni inferiori, reca grave nocumento alle attività economiche di un territorio ricco di iniziative e fra i più prosperi ed innovativi del Paese e si sottolinea, ancora una volta, che tale errore di programmazione esigerebbe tempestivo rimedio;
   tra le molte conseguenze negative della scelta iniqua ed improvvida dell'accorpamento del tribunale di Alba a quello di Asti, si è verificato anche un grave vulnus al principio di rappresentanza degli ordini forensi;
   infatti, a causa dell'accorpamento del tribunale di Alba a quello di Asti, anche il consiglio dell'Ordine degli avvocati di Alba (come quelli di tutti gli altri tribunali accorpati) ha cessato di esistere alla data del 31.12.2014 ed è stato accorpato a quello di Asti;
   a seguito di decisioni esecutive dall'autorità giudiziaria amministrativa (sentenze Tar Lazio-Roma 13 giugno 2015 n. 8332 e n. 8333) è stata dichiarata la parziale nullità della normativa regolante le modalità per l'elezione dei nuovi Consigli dell'Ordine degli avvocati (decreto del Ministero della giustizia 10 novembre 2014, n.170) che, tenuto conto degli accorpamenti, prevedeva tra l'altro un maggior numero di componenti degli stessi per consentire una rappresentanza anche agli ordini incorporati; taluni Ordini hanno indetto egualmente le elezioni in base alle norme annullate; altri, come quello di Asti, hanno rispettato l'avvenuto annullamento delle norme elettorali, sì che è rimasto in funzione il solo Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Asti, formato da soli nove componenti, tutti esclusivamente avvocati appartenenti all'accorpante Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Asti, di talché attualmente gli unici avvocati rappresentati sono gli avvocati del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Asti, mentre i 303 dell'ex Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Alba non hanno alcuna possibilità di interloquire, unitamente ai sindaci del loro territorio, con i pubblici poteri e autorità –:
   se, in attesa di un auspicato provvedimento di riordino della geografia giudiziaria, non si intendano almeno assumere iniziative per prevedere, in via generale, la rielezione dei rappresentanti del Consiglio dell'Ordine degli avvocati presso i tribunali accorpanti, in modo da garantire la rappresentanza degli avvocati iscritti alle sezioni degli Ordini correlate ai tribunali soppressi. (3-02142)
(30 marzo 2016)

   ROCCELLA. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   la surrogazione di maternità è sanzionata dalla legge n. 40, articolo 12 comma 6, che recita: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
   nonostante la legge vigente, questa pratica non viene sanzionata dai tribunali italiani, che finora non hanno agito contro chi vi fa personalmente ricorso (si assiste frequentemente a trasmissioni televisive in cui si racconta di tale pratica effettuata all'estero, sia da parte di cittadini comuni, sia di persone con ruoli istituzionali di rilievo), e neppure nei confronti di coloro che organizzano dall'Italia questo mercato, nonostante denunce circostanziate e nonostante la facilità di verificare le violazioni della legge n. 40 in merito alla maternità surrogata attraverso le pubblicità e gli annunci su Internet;
   come recentemente affermato anche in una recente mozione approvata dal Comitato nazionale per la bioetica «l'ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, è in netto contrasto con i principi bioetici fondamentali» e «la maternità surrogata è un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione»;
   le ipotesi di maternità surrogata a scopo puramente altruistico sono smentite dai contratti tra le parti; nei Paesi ove il pagamento è formalmente vietato, in genere si parla genericamente di «rimborsi», ma la conferma del fatto che si tratta di gravidanza dietro compenso è confermata dall'esistenza del contratto, e dal fatto che l'ovocita femminile appartiene sempre a una donna diversa dalla madre gestante, costringendo due donne diverse, entrambe fertili, a sottoporsi a trattamenti farmacologici inappropriati (perché destinati a donne infertili) e spesso pericolosi per la salute fisica e psichica; se si trattasse di un «dono» la necessità di questa scissione, che serve a garantire il committente da eventuali contenziosi, verrebbe meno;
   la donna che fornisce i propri ovociti viene in genere scelta in base a criteri con connotazioni razziste, cioè al fenotipo (pelle bianca, colore occhi e capelli, aspetto gradevole) e alle capacità intellettive (possibilmente con grado elevato di istruzione), e viene pagata di conseguenza, mentre quella che porta avanti la gravidanza deve solo godere di buona salute, e solitamente appartiene a Paesi terzi da cui non vengono esportati ovociti (India, Guatemala, Nepal) perché l'aspetto fisico di donne di queste etnie non corrisponde agli standard richiesti dal mercato; come recentemente riportato da un'inchiesta su questo fenomeno del periodico «Vanity Fair»: «Per risparmiare, facciamo così. Siccome la maggior parte della gente vuole bambini bianchi, facciamo l'inseminazione negli Stati Uniti, trasportiamo gli embrioni congelati in Israele e poi li portiamo in Nepal, dove abbiamo creato una clinica. Le madri vengono quasi tutte dall'India, dove c’è grande disponibilità. I vantaggi sono i costi bassi e la maggior velocità, perché in Nepal non c’è la burocrazia contrattuale che c’è in America»;
   se si trattasse di «dono del grembo», e non di utero in affitto, potrebbe essere un'unica donna a contribuire con i propri ovociti e con la gravidanza, cedendo il figlio alla nascita in modalità analoghe a quelle che in Italia sono note come «parto anonimo»; si ricorda che modalità di adozione concordate prima della nascita sono legittime in diversi stati, anche nei confronti di coppie omosessuali;
   anche nei Paesi dove formalmente la surroga è gratuita, sono presenti, come abbiamo detto, forme di pagamento surrettizie mascherate da rimborsi spese, come è facile constatare attraverso gli annunci su Internet e le inchieste giornalistiche, ad esempio quella già menzionata di «Vanity Fair», in cui si legge: «In realtà nessuna lo fa gratis, nemmeno in Canada dove le forme di compenso vengono registrate come rimborso spese»;
   la «cessione» di bambini al di fuori dei percorsi adottivi è considerata reato, in quanto tratta di esseri umani, in tutti i Paesi del mondo –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato perché siano implementate le sanzioni previste per il reato di surrogazione di maternità e sia quindi tutelata la dignità delle donne e dei bambini, e se, nelle more, intenda avvalersi del dispositivo dell'articolo 9 del codice penale che prevede, per reati commessi all'estero da cittadini italiani, per i quali la legge italiana stabilisce una pena restrittiva della libertà personale di durata minore di tre anni, che il colpevole sia punito «a richiesta del Ministro della giustizia». (3-02143)
(30 marzo 2016)

   MAROTTA. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   i recenti fatti di terrorismo accaduti in Belgio, dopo quelli avvenuti a Parigi, destano grave allarme tra la popolazione europea e nel nostro Paese;
   anche in Italia il livello di allarme per possibili attacchi terroristici ha indotto il Governo ad elevare l'attenzione per prevenire tali fenomeni;
   è praticamente impossibile, comunque, avere un livello di prevenzione sicuro per arginare il fenomeno del terrorismo internazionale;
   il Ministro della giustizia è intervenuto creando un sistema di indagine che fa capo alla procura nazionale antiterrorismo ed un efficiente sistema di controlli tramite banche dati all'avanguardia a livello europeo –:
   quali ulteriori iniziative intenda adottare per prevenire e reprimere il fenomeno del terrorismo internazionale, anche promuovendo nelle sedi opportune la costituzione di una procura europea antiterrorismo. (3-02144)
(30 marzo 2016)

   FITZGERALD NISSOLI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   si è posta all'attenzione dell'opinione pubblica la situazione dei cittadini italiani, nati in Italia, che hanno perso la cittadinanza in seguito ad espatrio per motivi di lavoro o in seguito a matrimonio;
   a livello internazionale, sul piano giuridico, si assiste ad una graduale accettazione del principio della doppia cittadinanza e della cittadinanza multipla;
   la riapertura dei termini per la presentazione della dichiarazione per il riacquisto della cittadinanza italiana, di cui all'articolo 17 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, più volte prorogata, non è riuscita a raggiungere buona parte dei cittadini che ne avrebbero fatto richiesta e, tanto meno, coloro che risiedevano in uno Stato dove il possesso della doppia cittadinanza è stato ammesso dopo lo scadere di tale provvedimento;
   è doveroso tener conto dell'aspirazione al riacquisto della cittadinanza di quegli italiani che l'hanno persa recandosi all'estero e che, nel periodo di vigenza del termine di cui all'articolo 17 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, non potevano far richiesta di riacquisto della cittadinanza italiana senza perdere quella lo status civitatis del Paese di residenza;
   alcuni Paesi hanno aperto le porte alla doppia cittadinanza, conformemente al citato principio della cittadinanza multipla, creando le condizioni affinché si possa richiedere la cittadinanza italiana senza perdere quella del Paese di accoglienza;
   gli italiani all'estero rappresentano una risorsa preziosa per il nostro Sistema Paese;
   attualmente gli italiani all'estero che volessero riacquistare la cittadinanza devono risiedere per un anno in Italia, condizione, evidentemente, poco praticabile per chi vive e lavora in un altro Paese –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per venire incontro alle esigenze di questi italiani di fatto permettendo loro di riacquistare la cittadinanza italiana. (3-02145)
(30 marzo 2016)

   BRESCIA, NUTI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI, TONINELLI, LUIGI DI MAIO, LOREFICE, FRUSONE e MARZANA. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   a norma dalla decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio che istituisce norme temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia, è prevista la creazione di punti di crisi (hotspot) funzionali alle operazioni di ricollocamento in altri Paesi membri di richiedenti asilo;
   l'Italia ha individuato nella road map di attuazione degli impegni assunti 6 punti di crisi, di cui cinque in Sicilia ed uno in Puglia;
   nella prima relazione sulla ricollocazione e il reinsediamento della Commissione europea del 16 marzo 2016 si legge come attualmente in Italia siano operativi quattro dei punti di crisi previsti ovvero Lampedusa, Pozzallo, Trapani, Taranto, mentre si attendono piani precisi per la ristrutturazione degli altri due siti precedentemente indicati nella road map ad Augusta e Porto Empedocle;
   la stessa relazione della Commissione ammette come l’iter di esecuzione sia particolarmente lento a fronte di notevoli difficoltà; infatti, dall'Italia risultano ricollocati al 15 marzo 2016 solo 368 richiedenti asilo, ed anche le azioni di reinsediamento risultano inefficaci tanto che rispetto agli impegni assunti il 20 luglio 2015 l'Italia stessa ha reinsediato sul suo territorio solamente 96 richiedenti asilo a fronte dei 1989 previsti;
   l'inefficacia attuale del sistema dei ricollocamenti è anche dimostrata dalla decisione di esecuzione del Consiglio europeo del 10 febbraio 2016 relativa alla sospensione temporanea del 30 per cento dei richiedenti assegnati all'Austria a norma della decisione (UE) 2015/1601 per un periodo di un anno;
   la situazione internazionale risulta aggravata dall'approvazione dell'accordo Unione europea-Turchia, del tutto non condivisibile, da cui molte organizzazioni internazionali stanno prendendo le distanze, e dalla difficile situazione in Grecia che ha portato anche l'UNHCR a sospendere le sua attività come si evince dal comunicato del 22 marzo 2016;
   si continua a perseguire quanto previsto nella road map italiana con l'istituzione di punti di crisi cosiddetti hotspot in considerazione del fatto che l'assenza di una chiara definizione giuridica contribuisce a far venir meno ogni concreta garanzia di tutela del diritto e controllo;
   con nota del 10 marzo 2016 l'Agenzia nazionale Invitalia richiama la pubblicazione di un bando per la realizzazione di due centri di accoglienza per migranti ad Augusta e Messina;
   si apprende da mezzi di stampa che la procura di Siracusa ha aperto un'inchiesta sul bando di affidamento per la struttura da realizzare ad Augusta –:
   se non ritenga necessario interrompere ogni iniziativa che preveda l'istituzione di centri di accoglienza – ad avviso degli interroganti non meglio definiti rispetto alla normativa vigente – in siti privi dei requisiti idonei a garantire una gestione efficace, come, nel caso specifico, il porto commerciale di Augusta, il quale nasce con funzioni radicalmente diverse e necessita, al contrario, di essere tutelato.
(3-02146)
(30 marzo 2016)

   FIANO, ROBERTA AGOSTINI, BERSANI, CARBONE, CUPERLO, DE MENECH, MARCO DI MAIO, FABBRI, FAMIGLIETTI, FERRARI, GASPARINI, GIACHETTI, GIORGIS, LATTUCA, LAURICELLA, MARCO MELONI, NACCARATO, NARDI, PICCIONE, POLLASTRINI, RICHETTI, FRANCESCO SANNA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   i recenti drammatici attentati di Bruxelles, di Lahore, di Baghdad hanno riproposto con drammaticità la questione del «terrorismo islamico» in tutto il mondo, mentre il quadro politico e militare del quadrante mediterraneo e del vicino oriente forniscono elementi di preoccupazione e di instabilità;
   in Europa, al momento, Francia e Belgio sembrano essere stati scelti come centrale prevalente di azione e di organizzazione dei nuclei di terroristi jihadisti, ma ovviamente anche l'Italia, come altri Paesi europei, inevitabilmente costituisce un territorio di passaggio e di presenza di elementi legati alle organizzazioni del terrorismo islamico;
   il Governo ha da tempo elevato il livello di attenzione e allerta di tutto il comparto sicurezza: altissimo è il numero dei controlli, degli arresti e delle espulsioni effettuate in questo campo nel corso degli ultimi 12 mesi;
   tuttavia, è sempre più necessaria un'azione specifica di contrasto alla radicalizzazione delle comunità islamiche nel nostro Paese;
   il Parlamento e il Governo nel corso degli ultimi 12 mesi hanno sia innovato l'assetto legislativo specifico sia investito risorse ingenti per nuove assunzioni straordinarie e per investimenti in mezzi e strumenti nel comparto sicurezza e in quello dei servizi di intelligence –:
   quali ulteriori iniziative intenda assumere per aumentare sempre più la capacità preventiva e repressiva di tale fenomeno sia in ambito nazionale sia a livello europeo e internazionale. (3-02147)
(30 marzo 2016)

   SALTAMARTINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   i sanguinosi attentati compiuti a Bruxelles confermano l'esposizione dell'intero territorio dell'Unione europea ad un'accresciuta minaccia;
   le indagini condotte a tappeto dagli inquirenti francesi dopo gli attacchi dello scorso anno a Charlie Hebdo e al Bataclan avevano dimostrato l'esistenza di una rete transnazionale di supporto alle attività condotte dai jihadisti che simpatizzano per il Daesh o hanno aderito ad al Qaeda;
   le risultanze di quelle inchieste stanno trovando conferme, in quanto gli inquirenti belgi al lavoro sulla strage di Bruxelles stanno accertando;
   mentre la stampa ed i media italiani enfatizzano tutte le falle finora accertate nell'azione di contrasto al terrorismo sviluppata dagli apparati di sicurezza franco-belgi ed altri lamentano l'assenza di comunicazioni efficaci tra i servizi operanti in Europa, sta emergendo una scomoda verità, concernente l'utilizzo del territorio nazionale italiano come canale di transito da parte di terroristi vicini al Daesh e persino come snodo logistico nel quale sono svolte attività di grande rilevanza, tra le quali la falsificazione dei documenti d'identità usati dai terroristi;
   risultano aver attraversato l'Italia, tra gli altri, Salah Abdeslam, per recarsi in Grecia e poi far ritorno in Belgio; Khalid el Bakraoui, che per giunta ha utilizzato un documento falso intestato ad un ex calciatore dell'Inter, Ibrahim Maaroufi, senza essere smascherato, riuscendo anche a soggiornare in un noto albergo di lusso nei pressi di Venezia; Ismail Mostefai, Ahmad Dahmani, Ahmad Mohammed e M. al Mahmod, tutti lungo l'asse di comunicazioni che lega la Grecia all'Europa nord-occidentale;
   è stato catturato a Bellizzi, nei pressi di Salerno, Djamal Eddine Ouali, colpito da un mandato d'arresto europeo spiccato in quanto ritenuto l'autore materiale dei documenti falsi utilizzati dai terroristi affiliati al Daesh che insanguinano il nostro continente;
   il 14 gennaio 2016 un noto quotidiano nazionale segnalava infine come l'Interpol cercasse in Italia alcuni pericolosi latitanti appartenenti al Daesh –:
   se le evidenti lacune emerse nell'attività di contrasto al Daesh nel nostro Paese siano imputabili a negligenze o se, invece, riflettano una deliberata volontà politica di non «antagonizzare» troppo apertamente il network internazionale del terrore, nell'intento di sottrarre l'Italia alla sua violenza sanguinaria. (3-02148)
(30 marzo 2016)

   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   il 22 marzo 2016 a Bruxelles hanno avuto luogo due attentati terroristici, uno in aeroporto e uno in una stazione della metropolitana che hanno causato 32 morti e oltre 300 feriti a tutt'oggi negli ospedali;
   poco prima delle 8 della mattina, infatti, due esplosioni hanno devastato l'area delle partenze riservata alla compagnia aerea statunitense American Airlines all'aeroporto internazionale di Zaventem, lo scalo principale della capitale belga, distante circa quindici chilometri dal centro cittadino, che secondo le prime ricostruzioni sarebbero state causate da attentatori suicidi;
   l'altro attacco ha colpito la stazione della metropolitana di Maelbeek, che si trova a poche decine di metri dalla sede della Commissione europea, lasciando immaginare che l'obiettivo dell'attentato non fosse tanto la città o il Belgio in sé, ma le istituzioni europee, con i funzionari, dipendenti ed europarlamentari che proprio il martedì mattina iniziano la settimana;
   gli attentati arrivano a pochi giorni dall'arresto, avvenuto venerdì 18 marzo 2016, di Salah Abdeslam, l'ultimo membro del commando dell'Isis responsabile degli attacchi a Parigi del 13 novembre 2015 che hanno causato centotrenta morti, tra le quali anche una studentessa italiana;
   il Belgio è considerato la culla dello jihadismo europeo e, infatti, almeno sei dei dodici attentatori di Parigi venivano da Molenbeek un comune alle porte di Bruxelles, e pur a fronte della consapevolezza dell'esistenza di numerose cellule «in sonno» sembra che nessuno si aspettasse una vendetta così repentina e violenta;
   i terroristi hanno agito in una città che era già presidiata e in stato d'allerta, a dimostrazione della difficoltà di contrastare in modo efficace l'attività degli estremisti islamici;
   dagli attacchi di Parigi ad oggi in tutto il mondo hanno avuto luogo numerosi attacchi terroristici, soprattutto in Turchia e in Mali, anch'essi in parte riconducibili alla lotta jihadista;
   le indagini condotte in seguito agli attentati di Bruxelles hanno dimostrato come alcuni sospetti appartenenti ai gruppi terroristici siano transitati per l'Italia uno dei quali è stato arrestato a Salerno;
   dalle notizie trapelate su alcuni quotidiani italiani e dalle indagini della guardia costiera risulta che Palazzo Curtatone, immobile occupato dai movimenti per la casa e da immigrati clandestini, è stato utilizzato come base da parte di 17 scafisti responsabili del traffico di esseri umani;
   nonostante le reiterate segnalazioni e le denunce tramite atti di sindacato ispettivo rivolte al Ministro dell'interno, lo sgombero dell'immobile non è stato ancora attuato nonostante il blitz della guardia costiera che ha portato all'arresto dei 17 scafisti –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere per il contrasto al terrorismo di matrice islamica in Italia, al fine di garantire la sicurezza di tutti i cittadini, e per il coordinamento delle iniziative assunte a tal fine in ambito internazionale.
(3-02149)
(30 marzo 2016)

   DE GIROLAMO, OCCHIUTO e GARNERO SANTANCHÈ. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   il 9 marzo 2016 è stato arrestato presso il centro di accoglienza di Campomarino (CB), un imam somalo di 22 anni richiedente asilo; il giovane somalo inneggiava all'Isis, ad Al Qaeda e ad Al Shaabab, invitando gli altri ospiti del Centro di accoglienza ad azioni violente da realizzare nell'ambito della Jihad, in particolare indirizzate verso Roma. Una azione descritta dagli inquirenti come «intensa e veemente di proselitismo» contro l'Occidente;
   è inammissibile che i centri di accoglienza diventino dei luoghi di reclutamento ed istigazione al terrorismo di matrice islamica;
   il somalo arrestato nel centro d'accoglienza di Campomarino, aveva presentato la richiesta di asilo in Norvegia, Svezia, Germania, Ungheria e Austria, ed era stata puntualmente respinta nella totalità dei casi;
   è inconcepibile come moltissimi imam possano in maniera del tutto indisturbata svolgere un'attività di istigazione e proselitismo violento all'interno dei centri d'accoglienza, approfittando del loro ruolo per indurre altri ospiti correligionari a compiere azioni con finalità di terrorismo;
   l'episodio di Campomarino è sintomatico di uno dei tanti pericoli a cui il nostro Paese è costantemente sottoposto;
   qualche giorno fa è stato arrestato a Bellizzi (Salerno) Djamal Eddine Ouali, un algerino destinatario di un mandato di arresto europeo emesso dalle autorità del Belgio: per gli investigatori era implicato in una rete che produceva falsi documenti che sarebbero stati utilizzati anche da alcuni terroristi implicati nelle stragi di Parigi e Bruxelles;
   spetterà agli inquirenti ricostruire i rapporti di Ouali con la comunità di Bellizzi; capire quindi quando si è trasferito, con la moglie ora incinta di otto mesi (la cui richiesta di permesso di soggiorno temporaneo ha fatto scattare i controlli dell'ufficio immigrazione della questura di Salerno), chi frequentasse e se avesse contatti con luoghi di culto a Salerno o a Napoli. La stessa Bellizzi è sede di una piccola moschea, ospitata in un locale seminterrato. Anche in questi centri di modeste dimensioni, tra i tanti lavoratori stagionali magrebini, potrebbero nascondersi – come in passato – islamisti radicali simpatizzanti dell'Isis –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato affinché le città italiane possano essere sicure, e individui così pericolosi siano tenuti lontano dal nostro Paese, con particolare riguardo alle procedure per la richiesta di asilo o di permesso di soggiorno, anche alla luce delle indagini sui casi riportati in premessa, e se e quali specifiche misure siano state adottate per il rafforzamento dei controlli su aeroporti, stazioni e metropolitane, porti e, nello specifico, luoghi di culto, per evitare che soprattutto questi diventino luoghi di reclutamento ed istigazione al terrorismo di matrice islamica.
(3-02150)
(30 marzo 2016)

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