TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 646 di Venerdì 1° luglio 2016
INTERPELLANZE URGENTI
A)
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
il Masterplan per il Mezzogiorno, iniziativa lanciata dal Governo nell'estate 2015, dovrebbe rappresentare il quadro di riferimento entro cui si collocheranno le scelte operative in corso di definizione nel confronto Governo-regioni-città a fini della predisposizione di specifici piani strategici e operativi per le 8 regioni e le 7 città metropolitane del Mezzogiorno;
nella «Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate», allegata dal Documento di economia e finanza (DEF) 2016, si evidenzia come il Masterplan consideri il complesso delle risorse provenienti dai fondi strutturali (FESR e FSE) 2014-2020, dai fondi di cofinanziamento regionale e dal Fondo sviluppo e coesione, per un totale di circa 95 miliardi di euro, da utilizzare attraverso un coordinamento stretto tra amministrazioni centrali e territoriali e un monitoraggio costante per migliorarne l'utilizzo;
in particolare, al Masterplan per il Mezzogiorno dovrebbero essere destinati – secondo gli intendimenti del Governo espressi nel Def 2016 – circa 13,4 miliardi di euro delle risorse del Fondo sviluppo e coesione della programmazione 2014-2020, finalizzati ai patti per il Sud;
si tratta di 16 patti per il Sud, uno per ognuna delle 8 regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna) e uno per ognuna delle 7 città metropolitane (Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Cagliari e Messina), cui si aggiunge il contratto di sviluppo per la città di Taranto, finalizzati a definire per ognuna di esse gli interventi prioritari e trainanti, le azioni da intraprendere per attuarli e gli ostacoli da rimuovere, la tempistica, le reciproche responsabilità;
con la sottoscrizione di ciascun patto, viene definito l'ammontare delle risorse a disposizione della regione o città metropolitana, evidenziandone la quota-parte di risorse già assegnate nell'ambito di precedenti atti di programmazione (accordi di programma quadro, contratti istituzionali di sviluppo, singoli provvedimenti legislativi), la quota di nuove risorse del ciclo 2014-2020 provenienti dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) e le ulteriori risorse disponibili considerate a vario titolo (in particolare, quelle dei fondi strutturali, programmate attraverso i programmi operativi nazionali, programmi operativi regionali, programmazione complementare, e altro);
con riferimento specifico alle risorse del Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 – disciplinato dal decreto legislativo n. 88 del 2011, che ha così ridenominato il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) – si evidenzia come in esso siano iscritte le risorse finanziarie aggiuntive nazionali, destinate a finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché a incentivi e investimenti pubblici;
il requisito dell'aggiuntività è espressamente precisato dalla disciplina istitutiva del fondo, laddove si dispone all'articolo 2 del decreto legislativo n. 88 del 2011 che le risorse non possono essere sostitutive di spese ordinarie del bilancio dello Stato e degli enti decentrati, in coerenza con l'analogo criterio dell'addizionalità previsto per i fondi strutturali dell'Unione europea;
il Fondo per lo sviluppo e la coesione è pertanto finalizzato a dare unità programmatica e finanziaria all'insieme degli interventi aggiuntivi, rispetto all'ordinario finanziamento nazionale, che sono rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese;
l'intervento del fondo è, infatti, finalizzato al finanziamento di progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo nazionale, interregionale e regionale, aventi natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi di consistenza progettuale ovvero realizzativa tra loro funzionalmente connessi;
nel bilancio di previsione per il triennio 2016-2018 (legge n. 209 del 2015 e relativo decreto ministeriale del Ministro dell'economia e delle finanze di ripartizione delle dotazioni dei singoli programmi di spesa in capitoli), a seguito delle disposizioni da ultimo recate dalla legge di stabilità per il 2016, il capitolo 8000 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze – su cui sono iscritte le risorse del FSC – presenta una dotazione complessiva pari a 2.833 milioni di euro per il 2016, 3.018 milioni per il 2017 e di 3.118 milioni per il 2018, di cui la gran parte destinate agli interventi rientranti nel nuovo ciclo di programmazione 2014-2020;
nel capitolo di bilancio relativo al Fondo (cap. 8000/economia), infatti, sono iscritte sia le risorse residuali del ciclo di programmazioni 2007-2013, a suo tempo autorizzate dall'articolo 1, comma 863, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006), sia le nuove risorse aggiuntive, autorizzate dall'articolo 1, comma 6, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013);
nella Tabella E della legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208 del 2015), le risorse del Fondo sviluppo e coesione sono, invece, esposte separatamente, con riferimento ai due cicli di programmazione 2007-2013 e 2014-2020, riportando altresì, nell'ultima colonna, l'importo dell'autorizzazione di spesa che sarà iscritto in bilancio per gli anni 2019 e successivi dalle future leggi di stabilità per un totale complessivo di circa 38,7 miliardi di euro;
in particolare, per il periodo di programmazione 2007-2013, le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) – poi Fondo di sviluppo e coesione (FSC) – sono state autorizzate dall'articolo 1, comma 863, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006), per un importo complessivo pari a 64,379 miliardi di euro. La programmazione di tali risorse è stata adottata dal Cipe con delibera n. 166 del 21 dicembre 2007. La successiva legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007), confermando l'importo complessivo del Fondo, ha modulato gli importi annuali, fissandoli in 1.100 milioni di euro per il 2008, 4.400 milioni di euro per il 2009, 9.166 milioni di euro per il 2010, 9.500 milioni di euro per il 2011, 11.000 milioni di euro per il 2012, 11.000 milioni di euro per il 2013, 9.400 milioni di euro per il 2014 e 8.713 milioni di euro per il 2015;
nel corso degli anni successivi, le suddette disponibilità del Fondo sono state spesso utilizzate a copertura sia delle manovre di finanza pubblica, sia di oneri specifici recati da numerosi provvedimenti legislativi, alcuni dei quali non strettamente correlati agli interventi nelle aree sottoutilizzate;
la tabella E della legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208 del 2005) ha disposto una rimodulazione di tali risorse spostando 670 milioni dal 2016 al 2019 e, per effetto della rimodulazione disposta dalla tabella E, l'autorizzazione di spesa per l'anno 2016 viene ridotta a 930 milioni di euro. Le restanti risorse vengono spostate al 2019 e anni successivi. Non figurano, inoltre, iscritte in bilancio autorizzazioni di spesa per le annualità 2017 e 2018;
per il periodo di programmazione 2014-2020, inoltre, posto che l'articolo 1, comma 6, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) disponeva una dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione relativamente al nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, nella misura complessiva di 54.810 milioni di euro, si evidenzia come la norma ne disponga l'iscrizione in bilancio limitatamente alla misura dell'80 per cento (43.848 milioni di euro);
per il triennio 2014-2016, gli importi iscritti in bilancio sono stati pari a 50 milioni di euro nel 2014, 500 milioni di euro nel 2015 e a 1 miliardo di euro nel 2016. La determinazione della quota annuale dell'ulteriore importo di 42.298 milioni di euro è stata invece rinviata alla tabella E delle successive singole leggi di stabilità. Per quanto concerne la restante quota del 20 per cento (10.962 milioni di euro), la relazione tecnica al disegno di legge di stabilità per il 2014 (A.S. 1120) precisava che la relativa iscrizione in bilancio avverrà all'esito di una apposita verifica di metà periodo (da effettuare precedentemente alla predisposizione della legge di stabilità per il 2019, quindi nella primavera-estate 2018) sull'effettivo impiego delle prime risorse assegnate;
rispetto agli importi complessivamente autorizzati, si segnala che, nel corso del 2014, sono intervenute alcune disposizioni che hanno utilizzato le risorse del Fondo 2014-2020 a copertura degli oneri da esse stesse recati, per un totale complessivo di 4.729,1 milioni di euro (di cui 153,7 milioni di euro per il 2015, 514,8 milioni di euro per il 2016, 1.418,3 milioni di euro per il 2017 e 2.642,3,7 milioni di euro per il 2918 e anni successivi). Si è trattato, nello specifico, delle seguenti norme: 1) l'articolo 22-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 ha ridotto il FSC di 75 milioni di euro per il 2015 e di 100 milioni di euro per il 2016, a copertura degli oneri connessi agli interventi in favore delle zone franche urbane, in particolare, individuate dalla delibera Cipe n. 14/2009, ricadenti nelle regioni non comprese nell'obiettivo «Convergenza» e della zona franca del comune di Lampedusa; 2) l'articolo 18 del decreto-legge n. 91 del 2014 ha ridotto il FSC 2014-2020 di 204 milioni nel 2016, 408 milioni nel 2017, 408 milioni nel 2018 e 204 milioni di euro per il 2019, a copertura degli oneri per il credito di imposta per investimenti in beni strumentali nuovi a valere sulle risorse; 3) l'articolo 19 del decreto-legge n. 91 del 2014 ha ridotto il FSC 2014-2020 di 27,3 milioni di euro nel 2015, 55,0 milioni di euro nel 2016, 85,3 milioni di euro nel 2017 e 112,3 milioni di euro nel 2018, a copertura parziale degli oneri derivanti dalla modifica alla disciplina dell'ACE (aiuto crescita economica); 4) l'articolo 3, comma 4, del decreto-legge n. 133 del 2014 ha posto parte della copertura degli oneri dell'incremento della dotazione del Fondo sblocca cantieri (51,2 milioni di euro per il 2015, 155,8 milioni di euro per il 2016, 925 milioni di euro per il 2017 e 1.918 milioni di euro per il 2018) a valere sulla quota nazionale del FSC 2014-2020;
ulteriori riduzioni sono state apportate della legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014), che in tabella E ha apportato una riduzione di 40 milioni di euro per il 2015 delle risorse 2014-2020 del Fondo di sviluppo e coesione, quale copertura del reintegro parziale delle risorse destinate alle zone franche urbane per il 2015. La legge di stabilità ha inoltre disposto una rimodulazione delle risorse, attraverso una anticipazione di 100 milioni di euro al 2015, 500 milioni di euro al 2016 e 1.500 milioni di euro al 2017, con conseguente riduzione di 2.100 milioni di euro della quota relativa al 2018 e anni successivi;
nel corso del 2015, la dotazione del Fondo è stata poi ridotta di 2 milioni di euro per l'anno 2015 e di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017 a copertura degli oneri recati dall'articolo 14, comma 5, della legge n. 124 del 2015 (rifinanziamento del fondo per l'organizzazione e il funzionamento di servizi socio-educativi per la prima infanzia destinati ai minori di età fino a 36 mesi, presso enti e reparti del Ministero della difesa);
conseguentemente, la dotazione a legislazione vigente, del Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, esposta nella Tabella E della legge di stabilità 2016 ammontava a 980,2 milioni di euro per il 2016, a 2.481,7 milioni di euro per il 2017, a 2.161,7 milioni di euro per il 2018 e a 32.994 milioni di euro per il 2019 e annualità successive;
su tali disponibilità relative al ciclo di programmazione 2014-2020 del Fondo per lo sviluppo e coesione, la medesima tabella E della legge di stabilità 2016 è intervenuta disponendo: 1) una rimodulazione, attraverso una anticipazione agli anni 2016-2018 delle risorse previste per il 2019, per complessivi 3.551,4 milioni di euro. In particolare, in termini di competenza, con la rimodulazione si aumentano di 1.289,8 milioni di euro le risorse per il 2016, di 923,3 milioni di euro quelle per il 2017 e di 1.338,3 milioni di euro gli importi del 2018. Si segnala, peraltro, che, in termini di cassa, l'incremento dell'autorizzazione di spesa per il 2016 ammonta a soli 600 milioni di euro; 2) una riduzione degli stanziamenti del Fondo della programmazione 2014-2020, di complessivi 367 milioni di euro per il 2016, 382 milioni di euro per il 2017 e il 2018 e di 367 milioni di euro per il 2019. Tale riduzione è correlata, per 367 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, agli oneri recati dai commi da 98 a 108 della medesima legge di stabilità che hanno introdotto il credito d'imposta per il Mezzogiorno, e per ulteriori 15 milioni di euro per il 2017 e 2018 a parziale copertura finanziaria degli oneri recati dalle misure in tema di sicurezza nazionale;
in definitiva, dunque, per effetto delle riduzioni e delle rimodulazioni disposte dalla tabella E della legge di stabilità 2016, le autorizzazioni pluriennali di spesa del FSC del ciclo 2014-2020 ammontano ora a 1.903 milioni di euro per il 2016, a 3.018 milioni di euro per il 2017, a 3.118 milioni di euro per il 2018 e a 29.075,6 milioni di euro per il 2019 e annualità successive;
rispetto all'importo complessivo citato pari a circa 38,7 miliardi di euro, la quota dell'80 per cento che, in base alla legge di stabilità 2014, dovrebbe essere destinata al Sud, è pari a quasi 31 miliardi di euro, secondo gli interroganti non si capiscono i motivi per i quali il Masterplan per il Mezzogiorno ne destini solo 13,4 miliardi di euro e, soprattutto per quali finalità saranno impiegate le altre risorse che ne residuano, pari a più di 17,5 miliardi di euro;
appaiono inoltre inspiegabili per gli interroganti i motivi per i quali le autorizzazioni pluriennali di spesa del FSC del ciclo 2014-2020 ammontino a soli 1.903 milioni di euro per il 2016, 3.013 milioni di euro per il 2017 e a 3.118 milioni di euro per il 2018, con un successivo slittamento di ben 29.075,6 milioni di euro a decorrere dal 2019, quasi non ci fosse urgenza di intervenire in concreto per l'attuazione di determinati interventi;
la questione si complica qualora si abbia riguardo al contenuto dei cosiddetti «patti per il Sud» siglati sino ad oggi dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi dove è indicato l'ammontare complessivo delle risorse ad esso destinate, nonché la quota di risorse considerata fino all'anno 2017;
con riferimento al patto per l'Abruzzo sottoscritto in data 17 maggio 2016, si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 753.100.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 138.390.000 di euro;
con riferimento al patto per la Campania sottoscritto in data 24 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 2.780.000.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 511.040.000 di euro;
con riferimento al patto per la Basilicata sottoscritto in data 2 maggio 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 565.200.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 103.900.000 di euro;
con riferimento al patto per la Calabria sottoscritto in data 30 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 1.198.700.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 220.400.000 di euro;
con riferimento al patto per la Città metropolitana di Bari sottoscritto in data 17 maggio 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 230.000.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 41.800.000 di euro;
con riferimento al patto per la Città metropolitana di Reggio Calabria sottoscritto in data 30 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 133.00010, di euro le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 24.500.000 di euro;
con riferimento al patto per la Città metropolitana di Catania sottoscritto in data 30 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 332.000.000, di euro le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 61.000.000 di euro;
analogamente al patto per la Città metropolitana di Catania, con riferimento al patto per la Città metropolitana di Palermo sottoscritto in data 30 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 332.090.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 61.000.000 di euro;
in tutti i casi sin qui evidenziati appare chiara l'evidente sproporzione tra il dato della assegnazione di risorse complessive a valere sul Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 e quelle considerate fino al 2017 che, di fatto, risultano decisamente inferiori persino alla cifra dell'importo complessivo;
con riferimento a ogni singolo patto sino ad oggi siglato e all'area di intervento territoriale presa in considerazione le risorse complessive Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 pesano percentualmente in modo decisivo se non addirittura preponderante sul totale dei costi e delle risorse funzionali alla realizzazione del patto, al netto delle risorse già assegnate con precedenti programmazioni e altre risorse disponibili come i POR, i programmi operativi nazionali e altre fonti nazionali;
inoltre, si rileva che le risorse finanziarie a valere sul Fondo sviluppo e coesione 2014-2020, ad oggi descritte da ogni singolo patto siglato dal Presidente del Consiglio dei ministri, non rappresentano nulla sino a quando non saranno assegnate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), ai sensi del dell'articolo 1, comma 703, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), che con apposita delibera deve individuare i criteri ed i meccanismi per il trasferimento delle risorse FSC 2014-2020 – e per la eventuale revoca totale o parziale delle stesse – relativamente a ciascun patto;
sino ad oggi, con riferimento ai patti per il Sud, non è stata ancora emanata alcuna delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe);
alla luce di quanto suesposto ne discende che con il Masterplan per il Sud e i patti su cui il Presidente del Consiglio sta incentrando gran parte della propria campagna elettorale per le prossime amministrative e il referendum costituzionale previsto per ottobre 2016, di concreta politica pubblica, finalizzata al rilancio del Mezzogiorno sotto il profilo della implementazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione ci sia, a giudizio degli interpellanti veramente poco su cui sperare effettivamente, senza contare l'ammanco dei citati 17,5 miliardi di euro che pur dovendo essere destinati al Mezzogiorno in base a quanto previsto dalla legge non si comprende dove siano andati a finire e come saranno orientati –:
quali siano i motivi per i quali, su circa 38,7 miliardi di euro complessivi di programmazione del fondo di sviluppo e coesione, di cui quasi 31 miliardi di euro di spettanza al Sud in base alla normativa vigente, il Masterplan per il Mezzogiorno ne preveda solo 13,4 miliardi di euro;
come siano stati impiegati gli oltre 17,5 miliardi di euro residui che dovrebbero essere destinati alle politiche per il Sud;
quali siano le ragioni per cui, per effetto delle riduzioni e delle rimodulazioni disposte dalla tabella E della legge di stabilità 2016, le autorizzazioni pluriennali di spesa del fondo di sviluppo e coesione del ciclo 2014-2020 ammontino a soli 1.993 milioni di euro per il 2016, 3.018 milioni di euro per il 2017, 3.118 milioni di euro per il 2018 e per quali ragioni il grosso delle risorse disponibili in bilancio, pari a 29.075,6 milioni di euro, venga previsto solo a decorrere dall'anno 2019;
come si giustifichi, con riferimento ai singoli patti siglati sino ad oggi per l'Abruzzo, la Campania, la Basilicata, la Calabria e le città metropolitane di Bari, Reggio Calabria, Catania e Palermo, l'evidente sproporzione tra il dato della assegnazione di risorse complessive a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020 e quello delle risorse considerate fino al 2017 che, di fatto, risultano decisamente inferiori, persino alla metà della cifra dell'importo complessivo;
se e quante risorse siano state ad oggi erogate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per la promozione in Italia dei patti per il Sud, posto che le risorse finanziarie a valere sul fondo sviluppo e coesione 2014-2020 ad oggi descritte da ogni singolo patto siglato dal Presidente del Consiglio dei ministri non rappresentano nulla sino a quando non saranno assegnate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), ai sensi del dell'articolo 1, comma 703, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), che con apposita delibera, deve individuare i criteri ed i meccanismi per il trasferimento delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020 – e per la eventuale revoca totale o parziale delle stesse – relativamente a ciascun patto.
(2-01409) «Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».
(28 giugno 2016)
B)
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
i malati hanno diritto alla migliore terapia farmacologica disponibile e pertanto hanno anche diritto all'accesso ai nuovi farmaci anche sperimentali; la legge 9 agosto 2013, n. 98, cosiddetta «legge dei 100 giorni», per il completamento dell'iter autorizzativo dei farmaci va rispettata da parte dell'AIFA;
molti nuovi farmaci vengono assunti in combinazione a quelli già esistenti per aumentare l'efficacia complessiva con conseguente miglioramento delle patologie; esistono molte malattie rare per le quali non sono disponibili terapie farmacologiche adeguate ed efficaci ed esistono molte tipologie di tumori considerati rari per incidenza ed epidemiologia clinica;
le sperimentazioni cliniche in questi settori sono di modesta entità, specie se raffrontate agli studi su patologie più rappresentative e diffuse e la normativa vigente relativa all'uso terapeutico dei medicinali (decreto ministeriale 8 maggio 2003) limita enormemente l'utilizzo di farmaci (anche sperimentali) in combinazione con farmaci già registrati; la stessa normativa non fa nessuna specifica distinzione tra patologie di larga diffusione e condizioni patologiche rare (o ultra rare), in particolar modo nei tumori rari;
il regolamento europeo n. 736 del 2004 (successivo al decreto ministeriale 8 maggio 2003) stabilisce che gli Stati membri mettano a disposizione per uso compassionevole medicinali per uso umano; l'attuale limitazione della disponibilità di studi di fase II completati (con risultati positivi) rappresenta un elemento critico nell'utilizzo di nuovi farmaci per uso cosiddetto «compassionevole» soprattutto per quanto concerne le malattie rare e i tumori rari;
l'uso «compassionevole» dei farmaci oncologici rappresenta un salvavita per malati affetti da tumori rari che si interrompe quando un farmaco ottiene l'autorizzazione all'immissione in commercio, anche se questa, di fatto, non si traduce in una effettiva disponibilità del farmaco ai malati;
nel corso di un'audizione pubblica (Open AIFA), la Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO) ha manifestato l'esigenza di rivedere il testo del decreto ministeriale 8 maggio 2003 e il direttore generale di AIFA in quella occasione, a quanto consta agli interpellanti ha affermato che tale provvedimento era nel Febbraio 2014 in fase di ultimazione e stava per essere trasmesso all'ufficio legislativo del Ministero della salute;
la mozione n. 1-01063 presentata dalla prima firmataria del presente atto il 12 novembre 2015, nella seduta n. 520 e approvata all'unanimità dalla Camera dei deputati, impegna il Governo «ad assicurare un più agevole accesso per i malati di tumore raro all'uso compassionevole dei farmaci attraverso l'aggiornamento del decreto ministeriale 8 maggio 2003 (Uso terapeutico di medicinale sottoposto a sperimentazione clinica») –:
quali siano i risultati prodotti dal gruppo di lavoro «Monitoraggio per l'accesso ai farmaci» insediato presso l'AIFA e i dati, compresa la valutazione specifica, dei farmaci autorizzati al rimborso nei sei mesi successivi alla loro approvazione da parte dell'EMA (Agenzia europea per i medicinali), per verificarne la reale disponibilità per i malati, precisando quali siano gli ostacoli che non la rendono possibile, nel rispetto delle leggi vigenti;
se sia stato aggiornato il decreto ministeriale 8 maggio 2003 al fine di assicurare a persone affette da malattie rare e tumori rari il diritto all'accesso precoce all'uso compassionevole dei farmaci, come indicato nella mozione sopra citata ed in linea con la normativa comunitaria indicata in premessa;
se, nell'ambito dell'aggiornamento dello stesso decreto, sia stato o si intenda considerare e risolvere, ai fini dell'accesso all'uso «compassionevole», il problema delle combinazioni tra farmaci non ancora registrati e farmaci già in commercio.
(2-01400) «Binetti, Bosco».
(21 giugno 2016)
C)
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
l'articolo 14 della legge 30 ottobre 2014, n. 161, «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – legge europea 2013-bis», ha disposto l'abrogazione, decorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, delle norme che escludono l'applicazione, per il personale delle aree dirigenziali degli enti ed aziende del servizio sanitario nazionale, delle disciplina generale relativa al riposo giornaliero e, per il solo personale del ruolo sanitario del servizio sanitario nazionale, di quella in materia di durata media massima dell'orario di lavoro settimanale (rispettivamente, articoli 7 e 4 del decreto legislativo n. 66 del 2003), conseguentemente il medesimo articolo 14 ha previsto la conseguente abrogazione anche delle disposizioni contrattuali;
il succitato articolo 14 prevede inoltre che, per fare fronte alle esigenze derivanti dalle abrogazioni citate, le regioni garantiscono la continuità nell'erogazione dei servizi sanitari e l'ottimale funzionamento delle strutture, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, attraverso una più efficiente allocazione delle risorse umane disponibili, attuando a tal fine appositi processi di riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture e dei servizi dei propri enti sanitari;
al fine di garantire la continuità nell'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, il succitato articolo 14 prevede altresì che i contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto sanità disciplinano le deroghe alle disposizioni in materia di riposo giornaliero dei personale del servizio sanitario nazionale preposto ai servizi relativi all'accettazione, al trattamento e alle cure, prevedendo equivalenti periodi di riposo compensativo, immediatamente successivi al periodo di lavoro da compensare, ovvero, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, adeguate misure di protezione del personale stesso;
la nuova regolamentazione sulla durata del riposo minimo giornaliero e sul tempo di lavoro massimo settimanale conseguente all'abrogazione citata è connessa alla procedura di infrazione n. 2011/4185 aperta dalla Commissione europea;
con una lettera al Governo italiano, la Commissione europea ha ripreso l'Italia sull'applicazione dell'orario di lavoro e chiesto alle autorità italiane «di essere informata sull'attuazione della direttiva nel settore sanitario in tutto il territorio italiano»; in particolare la Commissione europea, nella lettera inviata all'Italia, chiede informazioni relativamente al rapporto tra riposi, guardie e reperibilità, alla durata massima settimanale dell'orario di lavoro e al periodo di riferimento in cui effettuare il calcolo medio, alla modalità di calcolo delle ore di lavoro prestate in libera professione a favore dell'azienda sanitaria;
secondo la Fems (la Federazione dei medici europei) e l'Anaao Assomed dopo le numerose segnalazioni di medici e dirigenti sanitari, il nostro Paese, «fatica ad adeguare l'orario di lavoro alla normativa europea, emergendo in modo eclatante come i modelli di organizzazione in varie realtà ospedaliere disattendano l'applicazione della legge n. 161 del 30 ottobre 2014, entrata in vigore dal 25 novembre 2015, sulla durata del riposo minimo giornaliero e sul tempo di lavoro massimo settimanale»;
secondo l'Anaao Assomed «servono almeno seimila medici per coprire le carenze di dotazione organica che attualmente impediscono una corretta applicazione della normativa europea e senza un confronto in sede contrattuale, come previsto dall'articolo 14 comma 3 della legge 161/2014, per disciplinare le eventuali deroghe al riposo giornaliero, il rischio che il procedimento di infrazione venga riavviato è elevatissimo. Non solo, di fronte ad una diffusa e persistente disapplicazione della normativa europea in materia di organizzazione dei lavoro, sarà inevitabile aprire il contenzioso anche presso le Direzioni territoriali dei Lavoro»;
si ricorda, che proprio per garantire il rispetto delle disposizioni dell'Unione europea in materia di articolazione dell'orario di lavoro, il comma 541 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016, lettera b) ha disposto che, entro il 29 febbraio 2016, le regioni e le province autonome, definissero un piano concernente il fabbisogno di personale, contenente, l'esposizione delle modalità organizzative del personale, tale da garantire il rispetto delle norme vigenti (che hanno recepito quelle dell'Unione europea) in materia di articolazione dell'orario di lavoro, attraverso una più efficiente allocazione delle risorse umane disponibili;
il Movimento 5 stelle, già durante l'esame della legge di stabilità 2016, ritenendo inconsistente l'impegno puramente formale dell'Esecutivo, che non aveva stanziato un solo euro, aveva proposto una copertura da 300 milioni di euro per l'assunzione di 3 mila medici e 3 mila infermieri, su tutto il territorio nazionale; ovviamente la proposta non è stata presa in considerazione;
con circolare del 25 febbraio 2016 il Ministero della salute forniva alle regioni le indicazioni operative per dare attuazione ai commi 541, lettera b), 542 e 543 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (stabilità 2016), e le invitava a trasmettere attraverso il sistema documentale SiVeAS ed entro il 29 febbraio 2016, nel rispetto della cornice finanziaria programmata e delle disposizioni, vigenti in materia del costo del personale, il piano di definizione dei fabbisogno del personale di cui al citato comma 541, lettera b), dando evidenza del fabbisogno di personale necessario all'applicazione della legge n. 161 del 2014, con particolare riferimento alle aree dell'emergenza urgenza e della terapia intensiva, e del fabbisogno di personale correlato alla riorganizzazione della rete ospedaliera e di emergenza urgenza effettuata ai sensi dal decreto ministeriale n. 70 del 2015;
con la medesima circolare si invitavano altresì le regioni a trasmettere, attraverso il sistema documentale SiVeAS ed entro i medesimi termini succitati, informazioni, anche negative, circa l'eventuale ricorso alle forme di lavoro flessibili anche se già attivate, rammentando che l'eventuale ricorso alle predette forme flessibili deve essere comunicato «tempestivamente» con il medesimo canale di trasmissione;
le informazioni richieste dalla circolare del Ministero della salute sono necessarie per poter dare attuazione al comma 543 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016, relativo cioè ai concorsi per procedere a nuove assunzioni – di cui il 50 per cento dei posti riservabile a personale già in servizio;
evidentemente anche la scadenza del 29 febbraio 2016 è state totalmente disattesa e nulla su assunzioni in sanità è scritto nel documento di economia e finanza, da poco, esaminato alle Camere; quindi, il nostro Paese deve subire ancora una volta il richiamo dell'Unione europea, «bacchettato» per il mancato adeguamento alla normativa europea sull'orario del personale medico ospedaliere;
il «rimprovero» subito è solo l'ultimo esempio di una miriade di inadempienze da parte del Governo e del Ministero della salute. Solo per citare i provvedimenti più importanti che, nonostante le mille promesse, sono tuttora fermi si ricorda: i nuovi Lea, il già vecchio patto per la salute, il patto per la sanità digitale, l'aggiornamento del nomenclatore tariffario e non da ultimo l'impegno preso e non mantenuto della mozione del Movimento 5 stelle sullo sblocco del turn over, approvata alla Camera nel giugno 2015 anche con i voti della maggioranza –:
se il Ministro interpellato non ritenga di dover informare circa lo stato della trasmissione dei piani di definizione dei fabbisogno del personale da parte delle regioni e rendere pubblici i documenti trasmessi dalle regioni medesime, e così rendersi garante della sicurezza delle cure e della continuità nell'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni e della corretta applicazione della normativa europea, nonché rispondere adeguatamente ai moniti della Commissione europea.
(2-01410) «Colonnese, Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Di Vita, Mantero, Nesci, Dall'Osso, Cecconi».
(28 giugno 2016)
D)
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie per sapere, premesso che:
le istruzioni per la compilazione della dichiarazione dei redditi 2015, con la quale sono alle prese milioni di italiani, stabilisce che «Le spese mediche sostenute all'estero sono soggette allo stesso regime di quelle analoghe sostenute in Italia; anche per queste deve essere conservata a cura del dichiarante la documentazione debitamente quietanzata (...); se la documentazione sanitaria è in lingua originale, va corredata da una traduzione in italiano; in particolare, se la documentazione è redatta in inglese, francese, tedesco o spagnolo, la traduzione può essere eseguita a cura del contribuente e da lui sottoscritta; se è redatta in una lingua diversa da quelle indicate va corredata da una traduzione giurata»;
il testo precisa poi: «Per i contribuenti aventi domicilio fiscale in Valle d'Aosta e nella provincia di Bolzano non è necessaria la traduzione se la documentazione è scritta, rispettivamente, in francese o in tedesco. La documentazione sanitaria straniera eventualmente redatta in sloveno può essere corredata da una traduzione italiana non giurata, se il contribuente, residente nella Regione Friuli Venezia Giulia, appartiene alla minoranza slovena»;
le discriminazioni contenute in queste prescrizioni dell'Agenzie delle entrate sono molteplici. La prima riguarda la possibilità per il contribuente di effettuare la traduzione dei documenti per solo quattro lingue, quando l'Unione europea di cui facciamo parte conta almeno 24 lingue ufficiali; tra l'altro i documenti dell'Unione europea vengono normalmente redatti in inglese, francese e tedesco, non in spagnolo. Se una scelta andava effettuata, doveva secondo logica riguardare innanzitutto, tra le tante, le lingue che vengono utilizzate nelle relazioni transfrontaliere e parlate dalle minoranze delle aree di confine;
la seconda riguarda la discriminazione tra contribuenti delle aree di confine: in Valle d'Aosta e in provincia di Bolzano non è necessaria la traduzione di documenti redatti in francese e in tedesco, in Friuli Venezia Giulia tutte le ricevute di spese sanitarie effettuate in Slovenia devono essere oggetto di traduzione giurata;
tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia, entrata nell'Unione europea nel 2004, corre un confine di ben 232 chilometri lungo il quale le comunità italiane e slovene quotidianamente interagiscono, che la gestione transfrontaliera riguarda un'infinità di settori della vita economica, politica, culturale, ambientale, che in Friuli Venezia Giulia la lingua slovena è parlata in 32 comuni; l'ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia ha un apposito ufficio per l'istruzione in lingua slovena; la legge n. 38 del 2001 reca norme a tutela degli sloveni del Friuli Venezia Giulia; che in Friuli Venezia Giulia vengono pubblicati un importante quotidiano e diversi settimanali in sloveno;
tra i comuni di Gorizia, Nova Gorica e Šempeter-Vrojba è operativo un Gect, è, gruppo europeo di cooperazione territoriale costituito con convenzione sottoscritta a Gorizia il 19 febbraio 2010. Tra gli obiettivi del GECT, nell'ambito della progettualità per la costruzione di un network di servizi sanitari transfrontalieri, è prevista anche l'integrazione socio-sanitaria, con la realizzazione di un «centro transfrontaliero di prenotazione dei servizi socio-sanitari che includa tutti gli operatori sui due lati del confine e consenta agli utenti un migliore accesso ai servizi sociali e sanitari (Cup)» e una casa del parto transfrontaliera;
le strutture sanitarie della vicina Repubblica vantano eccellenze mediche e tecnologie sanitarie in molteplici settori, con costi decisamente inferiori per gli utenti, e quindi sono numerosi i cittadini italiani, anche non residenti nelle aree di confine che scelgono di farsi assistere oltre confine;
la terza discriminazione riguarda il diverso trattamento tra contribuenti italiani: quelli della minoranza slovena e quelli che non vi fanno parte. Selezione che non ha criteri oggettivi sulla base dei quali essere effettuata;
le discriminazioni derivanti dall'applicazione delle direttive dell'Agenzie delle entrate sono incomprensibili e ingiustificabili nella prospettiva europea dell'integrazione socio-sanitaria, producono spese e aggravi ai cittadini del Friuli Venezia Giulia che si rivolgono agli ospedali, ai professionisti medici e alle farmacie in Slovenia; la valutazione dell'appartenenza ad una minoranza linguistica è del tutto arbitraria –:
se non intenda il Governo assumere iniziative, per quanto di competenza, anche con opportuna circolare, al fine di includere, in parallelo con quanto previsto per la Valle d'Aosta e la provincia di Bolzano, lo sloveno tra le lingue per le quali non è necessario allegare la traduzione o, in subordine, estendere a tutti i cittadini del Friuli Venezia Giulia il diritto a consegnare agli uffici dell'Agenzia delle entrate documenti con allegata traduzione non giurata.
(2-01408) «Pellegrino, Scotto, Kronbichler».
(28 giugno 2016)
E)
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
a seguito dell'accordo siglato a dicembre 2015, la Cementir Holding, multinazionale romana attiva nella produzione e distribuzione di cemento, calcestruzzo e aggregati naturali, ha acquistato, per circa 125 milioni di euro, il capitale della Sacci spa, gruppo che, con i suoi stabilimenti in Italia, da circa 70 anni opera nel settore;
l'offerta di acquisto presentata prevede l'acquisizione dei cinque stabilimenti per la produzione di cemento di proprietà del gruppo Sacci spa: Tavernola Bergamasca, Castelraimondo, Cagnano Amiterno, Greve in Chianti e Livorno nonché dei tre terminali di Manfredonia, Chieti e Vasto, il settore trasporti, gli impianti di betonaggio, le partecipazioni nelle società consortili Energy For Growht, San Paolo e la società di diritto svizzero Fenicem. Come comunicato dal gruppo Cementir, il trasferimento di attività e passività sarà limitato ad alcune poste operative senza accollo di alcun debito finanziario o nei confronti dei fornitori;
l'Autorità Antitrust ha espresso parere favorevole all'acquisizione così come favorevole è anche il voto espresso dalle banche e dai creditori del gruppo Sacci; questi ultimi, nell'anno 2015 per l'analoga offerta presentata dal gruppo Buzzi Uncem avevano espresso parere contrario; si è in attesa dell'omologazione da parte del tribunale di Roma, a seguito dell'udienza del 18 maggio 2016;
attraverso l'acquisizione della Sacci spa, la Cementir acquisirà sinergie per 10 milioni di euro a partire dal 2018, quando queste saranno operative, aumentando la quota di mercato in Italia, portandola dal 7 al 13 per cento, con ricavi pari a circa 90 milioni di euro;
la situazione aziendale della Cementir e gli attesi ricavi lasciano presuppone per il gruppo la possibilità di investire nella nuova proprietà e rilanciare l'attività produttiva degli stabilimenti Sacci che, già da tempo, in alcuni casi, lavorano a singhiozzo e rispetto ad alcuni dei quali, come lo stabilimento di Castelraimondo, la cassa integrazione straordinaria cesserà nel prossimo mese di settembre, con conseguenze gravi per i lavoratori attualmente impiegati;
di fronte ad un così complesso ed importante piano di acquisizione è opportuno conoscere concretamente il contenuto e gli indirizzi del piano industriale del gruppo Cementir;
già nel 2015, in occasione della proposta di acquisizione avanzata dal gruppo Buzzi Uncem, i sindacati avevano unitariamente indetto lo stato di agitazione in tutti i siti produttivi della Sacci spa, a sostegno delle posizioni dei lavoratori, chiedendo l'apertura di un tavolo nazionale, finalizzato alla ricerca di soluzioni utili ad evitare le chiusure degli stabilimenti e, più in generale, ad accertare la natura e le caratteristiche del piano industriale del gruppo Buzzi;
in risposta all'interpellanza n. 2-00926 l'allora Viceministro allo sviluppo economico aveva dato la propria disponibilità all'apertura di un imminente tavolo di confronto, precisando che lo stesso avrebbe avuto l'obiettivo di verificare, all'esito dei pareri degli attori coinvolti, la fattibilità del piano industriale di Buzzi Unicem, accertando, altresì, che il medesimo non comportasse penalizzazioni, sotto il profilo economico, produttivo e occupazionale;
tale esigenza resta confermata anche per la nuova proposta di acquisto avanzata dal gruppo Cementir, al fine di tutelare e salvaguardare le posizioni dei lavoratori degli stabilimenti coinvolti –:
quali siano le intenzioni del Governo al riguardo e le iniziative in itinere intraprese per verificare il contenuto e gli obiettivi del piano industriale del gruppo Cementir, al fine di tutelare la piena occupazione dei siti produttivi, scongiurando la chiusura di stabilimenti in grado di dare anche ai nuovi acquirenti solidi elementi di continuità produttiva se non addirittura di espansione.
(2-01396) «Manzi, Carrescia, Lodolini, Morani, Petrini, Mauri, Albini, Fossati, Giuseppe Guerini, Rampi, Cominelli, Manfredi, Sgambato, Lacquaniti, Luciano Agostini, Zampa, Preziosi, Sanga, Magorno, Malisani, Blazina, Rotta, Marchi, D'Ottavio, Pes, Rocchi, Patrizia Maestri, Stella Bianchi, Cenni, Carocci, Sbrollini, Richetti, Carnevali, Ghizzoni, Scuvera, Ascani, Coccia, Patriarca».
(13 giugno 2016)
F)
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
l'Accordo di libero scambio e investimento fra il Canada e l'Unione europea (Comprehensive Economic and Trade Agreement - CETA) mira alla più ampia liberalizzazione nella storia dei negoziati commerciali dell'Unione europea, e per questo motivo le implicazioni politiche ed economiche sui Paesi membri della Unione europea sono enormi;
in una risposta scritta a una interrogazione (n. 4-05993) presentata l'11 settembre 2014 dal deputato Plangger il sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova ha affermato che il Governo considera il CETA un contratto di natura «mista» e non di esclusiva competenza dell'Unione europea in quanto «tratta in misura rilevante questioni di competenza mista o esclusiva degli stati membri, quali la proprietà intellettuale, i trasporti, la sicurezza sul lavoro, gli investimenti – e sosterrà tale linea nelle sedi competenti»;
pare che la settimana scorsa il Governo italiano, rappresentato dal Ministro Calenda, in sede di Unione europea abbia sottolineato la sua posizione sulla ratifica del CETA: un accordo «non misto», che non necessita quindi di alcuna verifica da parte dei parlamenti nazionali;
tale presa di posizione contraddice la posizione del Governo espressa nel 2014 e mira ad escludere dal processo i parlamentari nazionali;
molti parlamentari, dopo essere entrati per la prima volta nella sala di lettura del TTIP in Italia, di cui il CETA è il naturale preludio, hanno espresso gravi preoccupazioni;
la posizione del Governo italiano è molto distante da quella di altri Paesi, come Lussemburgo e Francia, e appare come un tentativo di esautorare il ruolo di quanti, democraticamente eletti, fanno parte del Parlamento italiano;
vantaggi commerciali promessi ma non dimostrabili ammonterebbero a circa 5,8 miliardi di euro l'anno, con un risparmio per gli esportatori europei di 500 milioni di euro annui dovuta all'eliminazione di quasi tutti i dazi all'importazione. Sul mercato del lavoro, poi, uno studio congiunto di Unione europea-Canada ipotizza 80 mila nuovi posti di lavoro;
i dazi sarebbero aboliti rapidamente. La maggior parte di essi sarebbero soppressi con l'entrata in vigore dell'accordo. Dopo sette anni, non vi sarebbe più alcun dazio doganale tra l'Unione europea e il Canada sui prodotti industriali;
i dazi verrebbero aboliti in misura considerevole anche nel settore agricolo e alimentare. Quasi il 92 per cento dei prodotti agricoli e alimentari dell'Unione europea verrebbero esportati in Canada in esenzione dai dazi;
le preoccupazioni, invece vedono l'incedere di scenari più articolati: «Con il via libera al CETA, la maggior parte delle multinazionali americane, già attive sul territorio canadese, potranno citare in giudizio nei tribunali internazionali privati le aziende europee, avvalendosi della clausola Investment court system (Ics, il sistema giudiziario arbitrale per la difesa degli investimenti), omologo dell'Isds inserito nel Ttip, che tanti Paesi Ue stanno osteggiando». Sono già 42 mila le aziende operanti nell'Unione che fanno capo a società statunitensi con filiali in Canada, con l'approvazione del Ceta queste imprese potrebbero intentare cause agli Stati per conto degli Stati Uniti senza che il Ttip sia ancora entrato in vigore, assicurano i promotori. Dopo cinque anni di negoziati, dal 2009 al 2014, per il via libera al Ceta manca solo il voto finale, e quindi la firma. In caso di approvazione entro il 2016, da parte del Consiglio e del Parlamento europeo, il Ceta potrebbe entrare in vigore all'inizio del 2017 previa approvazione dei legislatori, canadesi;
il trattato di riforma noto come Trattato di Lisbona stabilisce che la politica commerciale dei paesi della Unione europea sia competenza esclusiva dell'Unione europea in materia di investimenti diretti esteri (articoli 207 e 208 TFUE), a condizione che l'accordo non riguardi competenze nazionali;
i presidenti di 21 Commissioni parlamentari di Parlamenti nazionali hanno indirizzato una lettera il 25 giugno 2014 in cui si sono fatti portavoce dell'opportunità di considerare i relativi accordi (il TTIP ma anche il CETA), una volta conclusi, di natura «mista», con conseguente necessità di sottoporre il testo al processo di ratifica presso i Parlamenti di tutti gli Stati membri sulla base delle norme costituzionali vigenti in ognuno di essi;
nella lettera viene inoltre richiesto che i parlamenti nazionali esercitino una specifica competenza su un numero maggiore di accordi di libero scambio e che abbiano un ampio accesso alle informazioni sui negoziati in corso al fine di poter meglio esprimere i loro orientamenti. A tal proposito, i 21 presidenti di Commissioni parlamentari di Parlamenti nazionali in seno alla Conferenza dei Presidenti dei parlamenti dell'Unione europea tenutasi a Roma il 20 e 21 aprile 2015, hanno espresso apprezzamento per la decisione del Consiglio di rendere pubblici i mandati negoziali e per l'impegno della Commissione europea a rendere pubblici il maggior numero di testi possibile, fornendo anche l'accesso ai testi relativi al TTIP a tutti i membri del Parlamento europeo all'interno della «sala di lettura». I Presidenti, hanno quindi invitato la Commissione europea a garantire il medesimo accesso anche ai parlamenti nazionali;
nel mandato negoziale definito nel 2011, i Governi dell'Unione europea hanno sottolineato che il CETA non può essere considerato un accordo su cui la Commissione possa vantare competenza esclusiva. In tema di investimenti, ad esempio, soprattutto per quanto riguarda la temibile clausola ISDS, la competenza dev'essere mista, cioè prevedere la ratifica di tutti i Parlamenti degli Stati membri. Circa 42 mila aziende già operanti nell'Unione fanno capo a società statunitensi con filiali in Canada. Queste imprese potrebbero intentare cause agli Stati per conto degli Stati Uniti senza che il TTIP sia ancora entrato in vigore. Infatti, basterà semplicemente ratificare il CETA per rendere attive queste procedure;
la discussione è già stata affrontata nei parlamenti nazionali facenti parte dell'Unione europea (Francia, Lussemburgo, Belgio/Vallonia, Paesi Bassi) che hanno recentemente approvato risoluzioni in cui chiedono che il CETA sia ratificato anche a livello nazionale;
l'eventuale scelta di non sottoporre il CETA e il TTIP al passaggio parlamentare ad avviso degli interpellanti limita proprio le prerogative parlamentari e comprime la sovranità nazionale ben oltre quanto stabilito dal trattato di Lisbona –:
quale sia la posizione del Governo in merito al necessario passaggio parlamentare viste le differenti posizioni assunte nel tempo dallo stesso;
se il Governo non intenda rivendicare in sede di Unione europea il ruolo dei parlamenti nazionali a discutere e a votare il CETA;
se il Governo non ritenga lesiva degli interessi italiani l'adozione di un contratto commerciale che metta in serio pericolo molte aziende italiane impegnate in produzioni di made in Italy di qualità;
se non ritenga che l'ingresso in Italia di prodotti di largo consumo a basso controllo possa rappresentare un reale pericolo per la salute dei cittadini italiani;
se non ritenga necessario rivedere più approfonditamente i termini dell'accordo, anche attraverso il passaggio parlamentare per permettere al Parlamento di non essere privato del diritto di approfondire ed esprimersi su temi tanto sensibili;
quali iniziative intenda adottare al fine di non esporre l'Italia alle cause che le multinazionali potrebbero intentare dopo l'adozione del CETA;
se il Governo non intenda fornire ulteriori informazioni riguardo alla decisione, compreso il quadro giuridico internazionale in cui è maturata, di non consentire al Parlamento italiano di approfondire ed eventualmente ratificare i negoziati sui trattati internazionali, come il TTIP e il CETA;
se il Governo non intenda adottare tutte le possibili iniziative al fine di rendere trasparente, democratica e partecipata la valutazione di accordi internazionali della portata del TTIP e del CETA, che avranno ricadute enormi sulla economia del Paese e della popolazione.
(2-01398) «Kronbichler, Scotto, Marcon, Zaccagnini, Gallinella».
(14 giugno 2016)
G)
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
secondo quanto riportato dal Governo, in Italia, il numero dei soli veicoli Volkswagen interessati dal cosiddetto «dieselgate» ammonterebbe a quasi 710 mila e per questo la procura di Torino ha aperto un'indagine per truffa, fascicolo poi inviato a Verona per competenza, assieme a quello per frode in commercio;
il Governo, in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-08110, ha informato gli interroganti della stipula nel dicembre 2015 di una convenzione con un non meglio specificato organismo indipendente «per regolare le attività congiunte di misurazione delle emissioni inquinanti dei motori diesel Euro 5b da condursi mediante prove in laboratorio e prove su strada»;
la campagna di test, di cui a oggi non si ha alcuna informazione in merito, secondo quanto sostenuto dal Governo in sede di risposta alla citata interrogazione, sarebbe partita nel gennaio 2016, e «costituirà elemento imprescindibile per calibrare al meglio la più ampia e capillare azione di controllo e verifica da condursi» al termine della quale a fronte di eventuali irregolarità «saranno irrogate le conseguenti sanzioni amministrative e eventuali sanzioni penali connesse a reati emersi a seguito di inchiesta giudiziaria». Gli importi delle sanzioni, alla luce delle dichiarazioni del rappresentante dell'esecutivo, non sarebbero considerati da reimpiegare per tutelare gli interessi e i diritti dei consumatori interessati o per risarcire gli stessi;
nella medesima risposta il Ministro ha segnalato l'emanazione del decreto dirigenziale 26 febbraio 2016 recante modalità e procedure per la campagna di test che però, secondo quanto sostenuto dallo stesso Ministro, sarebbe partita precedentemente, a gennaio 2016;
secondo quanto riportato dalla stampa nazionale (la Repubblica, 1o marzo 2016) l'Unione europea avrebbe richiamato il Governo italiano a causa della mancata comunicazione dei risultati delle indagini che avrebbe dovuto svolgere sui veicoli manomessi in circolazione sul suolo nazionale;
dalle stesse fonti è possibile rilevare che il programma di richiami dei veicoli da parte della casa automobilistica sarebbe già stato avviato in Europa, verosimilmente anche in Italia, ma con un andamento estremamente lento, con circa 50 mila auto riparate a fronte dei milioni ancora da sanare;
la tutela del consumatore è uno dei principali compiti attribuiti al Ministero che, tra l'altro, dovrebbe assicurare una corretta informazione e formazione al cittadino e il rispetto del princìpio di trasparenza da parte delle imprese;
il Ministro o un suo delegato, infatti presiede il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU), organo rappresentativo delle associazioni dei consumatori e degli utenti a livello nazionale, che è stato istituito con la legge 30 luglio 1998, n. 281, confluita nel codice del consumo (decreto legislativo n. 206 del 2005), i cui sono finalizzati a contribuire al miglioramento e al rafforzamento della posizione del consumatore/utente nel mercato;
per assicurare la massima conoscenza sulle emissioni di CO2 delle autovetture, già la direttiva 1999/94/CEE, recepita in Italia con il decreto del Presidente della Repubblica 17 febbraio 2003, chiedeva agli Stati membri di pubblicare annualmente una guida sul risparmio di carburante e sulle emissioni di CO2 al fine di fornire ai consumatori informazioni utili per un acquisto consapevole di autovetture nuove, con lo scopo di contribuire alla riduzione delle emissioni di gas serra e al risparmio energetico, pubblicazione scaricabile dal sito internet del Ministero dello sviluppo economico;
secondo fonti di stampa (corriere.it 26 settembre 2015) Volkswagen ha vinto una gara pubblica per la commessa di oltre novecento veicoli Seat Leo a in dotazione a polizia e carabinieri. Le vetture crebbero del modello interessato dalle manipolazioni sulle emissioni per cui la casa automobilistica avrebbe previsto il richiamo per le necessarie riparazioni;
negli Stati Uniti, a seguito dell'azione legale promossa dal dipartimento di Giustizia, nel gennaio 2016, la Volkswagen sarebbe giunta a stanziare 10 miliardi di dollari per un insieme di misure per riparare o togliere dalla strada mezzo milione di auto, nella proposta ancora in corso di valutazione, la riparazione è solamente una delle opzioni percorribili accolte dai proprietari, che potranno anche decidere di vendere a Volkswagen la propria vettura e terminare il lease in anticipo;
a tale scopo, la casa automobilistica avrebbe previsto 6,5 miliardi di dollari a favore dei consumatori e 3,5 al Governo americano;
in Italia la stessa casa produttrice avrebbe rifiutato un confronto con le associazioni dei consumatori, richiesto al fine di giungere a un accordo in favore degli automobilisti coinvolti, nonostante risulta che abbia avviato una campagna di richiamo delle auto interessate dallo scandalo al fine di effettuare modifiche per regolarizzarne le emissioni;
al momento, non c’è alcuna tabella di marcia su come questo potrebbe avvenire né garanzia che le riparazioni siano approvate dagli enti preposti –:
con riferimento alla convenzione stipulata il 14 dicembre 2015 dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, quale sia l'organismo indipendente incaricato di effettuare le suddette verifiche, nonché quali siano i criteri di individuazione del medesimo organismo, i costi dell'operazione finora sostenuti, le scadenze temporali entro cui l'organismo individuato dovrà dare riscontro dell'attività svolta e l'eventuale pubblicità che sarà data alle risultanze delle prove e alla relativa reportistica;
quali siano i risultati finora riscontrati nello svolgimento della predetta campagna e quali siano gli eventuali casi sanzionabili ai sensi della normativa vigente e con riferimento al decreto dirigenziale 26 febbraio 2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, 10 marzo 2016, n. 58;
se, con riferimento alla campagna di richiamo svolta da Volkswagen, il Governo non intenda verificare gli effetti delle riparazioni effettuate dalla casa automobilistica al fine di validarne i risultati;
quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di tutelare il diritto dei consumatori interessati dalle attività illecite che le case automobilistiche avrebbero condotto manipolando i risultati sulle emissioni inquinanti dei veicoli commerciati, ivi compresi i diritti dello Stato che, con riferimento alla gara per le auto in dotazione a polizia e carabinieri, è esso stesso consumatore.
(2-01407) «Crippa, Spessotto, Dell'Orco, De Lorenzis, Liuzzi, Nicola Bianchi, Carinelli, Paolo Nicolò Romano, Vallascas, Cancelleri, Da Villa, Della Valle, Fantinati, Cecconi».
(28 giugno 2016)
H)
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
in una recente lettera indirizzata alla Commissione europea, e nell'intervento tenuto alla Camera dei deputati il 15 giugno 2016, aventi entrambi come tema l'accordo di libero scambio e investimento recentemente negoziato tra Unione europea e Canada (Comprehensive Economic and Trade Agreement – CETA), il Ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda ha dichiarato che tale trattato, ancora in attesa di ratifica, rientrerebbe nel regno della competenza esclusiva dell'Unione europea; dicendosi quindi pronto a sostenere la analoga posizione, che verrà ufficializzata all'inizio di luglio, della stessa Commissione;
secondo tale tesi, tale trattato non sarebbe considerato un accordo internazionale «misto», configurazione che comporterebbe la necessità di sottoporre al processo di successiva ratifica anche i Parlamenti di tutti gli stati membri; in assenza di tale configurazione la sua adozione passerebbe quindi attraverso la procedura legislativa ordinaria, vale a dire con un voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio, con successiva ratifica soltanto del Parlamento europeo;
il Trattato di Lisbona ha stabilito che la politica commerciale comune sia competenza esclusiva dell'Unione europea in materia di investimenti diretti esteri (articoli 207 e 208 TFUE), a condizione che l'accordo non riguardi competenze nazionali;
molti Stati membri hanno tuttavia contestato la competenza esclusiva dell'Unione europea, particolarmente per ciò che attiene al profilo delle risoluzioni extra ordinamento giudiziario delle controversie tra investitore e Stato;
secondo alcuni esperti di diritto europeo tale trattato contiene, peraltro, alcuni passaggi non chiari;
gli accordi di libero scambio pur rientrando nella competenza esclusiva dell'Unione europea – in quanto espressione della politica commerciale comune – per contro, nel corso dei negoziati finiscono per affrontare materie diverse che investono competenze concorrenti tra Unione europea e Stati membri (come servizi, trasporti, tutela degli investitori, sistemi giudiziali arbitrali, e altro) divenendo pertanto accordi di natura mista;
in virtù di tale circostanza i presidenti di 21 commissioni parlamentari di Parlamenti nazionali si sono fatti portavoce dell'opportunità di considerare tali accordi (sia TTIP che CETA) una volta conclusi, di natura «mista» e quindi da sottoporre alla ratifica dei Parlamenti nazionali – tesi argomentata con lettera del 25 giugno del 2011 indirizzata al commissario europeo allora competente;
anche le conclusioni della Conferenza dei presidenti dei parlamenti dell'Unione europea, tenutasi a Roma il 20 e 21 aprile 2015, hanno sottolineato il ruolo dei parlamenti nazionali in particolar modo nell'ambito dei negoziati sui trattati internazionali, in considerazione del loro impatto sulla vita dei cittadini, dei consumatori, dei lavoratori, delle imprese e del particolare interesse dimostrato dalla società civile per i negoziati in corso, in favore di un maggiore accesso alle informazioni per meglio esprimere i propri orientamenti. In tale direzione rileva anche l'intervento della stessa commissaria Malmstrom (1o giugno 2015 alla Cosac di Riga) laddove ha affermato che il ruolo dei parlamenti nazionali diventa ancora più cruciale nella definizione della politica commerciale della Unione europea;
inoltre, alcuni parlamenti nazionali facenti parte dell'Unione europea (Francia, Lussemburgo, Belgio/Vallonia, Paesi Bassi) hanno recentemente approvato risoluzioni in cui chiedono che il CETA sia ratificato anche a livello nazionale, posizione ribadita dal Presidente del partito socialdemocratico tedesco (Spd) Sigmar Gabriel;
in base a quanto previsto dall'articolo 218 del Trattato di Lisbona la questione può essere adita davanti alla Corte di giustizia europea da parte del Consiglio, Commissione, Parlamento europeo o da Stati membri ed è verosimile che ciò possa avvenire da parte degli Stati membri. A questo proposito giova ricordare che in occasione del trattato siglato con Singapore nel 2014, di analoghe fattispecie, la Commissione ha sollevato la questione presso la Corte di Lussemburgo, il cui responso è atteso per il prossimo luglio –:
se non si ritenga utile tener conto delle diverse tesi che stanno animando il dibattito nell'ambito di numerosi Stati dell'Unione europea, in ragione delle implicazioni politiche ed economiche connesse agli accordi commerciali di libero scambio sui medesimi Paesi, e se non si ritenga di dover chiarire le motivazioni, circostanziate anche sotto il profilo giuridico, che stanno spingendo ad escludere la partecipazione delle Camere al processo di adesione e ratifica di un accordo commerciale europeo dalla portata non irrilevante per gli interessi e le esigenze dei cittadini, dei consumatori e delle imprese;
se il Governo non ritenga importante, circa le politiche europee relative al commercio internazionale, sostenere la necessità di una procedura trasparente, partecipata e democratica anche per il CETA – analogamente a quanto previsto e appoggiato dallo stesso Esecutivo nel caso del TTIP – in favore dell'inclusione e del coinvolgimento attivo dei ventotto Stati membri.
(2-01411) «Cimbro, Damiano, Fassina, Albini, Fossati, Terrosi, Mognato, Zoggia, Bossa, Zappulla, Roberta Agostini, Lattuca, Giorgio Piccolo, Giorgis, Gnecchi, Capodicasa, Murer, Bruno Bossio, Malisani, Patrizia Maestri, Stumpo, Scanu, Cassano, Carella, Marco Meloni, Cuperlo, Beni, Carra, Laforgia, Pollastrini, Casellato, Chaouki, Gianni Farina, Ginoble, Leva, Speranza, Tullo».
(28 giugno 2016)