Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 2


PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA POPOLARE
Trattati internazionali, basi e servitù militari
Presentata alla Camera dei deputati nella XVI legislatura il 7 agosto 2008 e mantenuta all'ordine del giorno ai sensi dell'articolo 107, comma 4, del Regolamento


      

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Onorevoli Deputati! Gli enormi cambiamenti che si sono verificati nel corso degli ultimi cinquanta anni hanno fortemente ridimensionato la validità del modello di difesa introdotto con l'approvazione del trattato multilaterale che ha dato vita alla NATO (North Atlantic Treaty Organization – Organizzazione del Trattato Nord Atlantico). A questa struttura di difesa multinazionale, creata nel 1949 in supporto al Patto Atlantico, firmato a Washington il 4 aprile dello stesso anno, ha aderito sin dall'inizio l'Italia, insieme con Gran Bretagna, Canada, Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Portogallo. Il trattato costitutivo della NATO ha carattere strettamente difensivo, e si rifà, in verità impropriamente, all'articolo 51 della Carta dell'ONU, che recita testualmente: «Nessuna disposizione della presente Carta pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell'esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere ed il compito spettanti, secondo la presente Carta, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quella azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale».
      Tale articolo prevede effettivamente l'uso della forza da parte di uno Stato, a patto che esso sia in funzione auto-difensiva, in prospettiva di un attacco imminente e fino all'attivazione del Consiglio di Sicurezza.
      Tuttavia la dottrina internazionalistica ha da tempo messo in rilievo come l'articolo 51 preveda l'uso della forza esclusivamente nel caso in cui uno Stato debba difendersi da un attacco armato, e non nel caso in cui l'attacco sia imminente ma non attuale. In effetti, il ruolo affidato alla NATO va letto nel contesto della cosiddetta «guerra fredda», fondata sulla contrapposizione strategica tra il blocco delle potenze occidentali e quelle facenti capo all'Unione Sovietica, con, in più, funzioni di monitoraggio e contenimento del «fianco sud-est» (Grecia, Turchia). In ragione di ciò, la NATO fu destinataria, fin dalle origini, di una missione articolata: da una parte, la difesa di tipo strettamente militare, volta a fronteggiare l'arsenale nucleare sovietico, fu improntata in chiave di «deterrenza»; dall'altra, proprio in considerazione della contrapposizione sistemica tra i due blocchi, obiettivo parallelo della NATO divenne quello di consolidare la coesione politico-culturale dei partner europei nel segno dell'egemonia culturale e ideologica degli Stati Uniti d'America.
      Nel mezzo secolo della «guerra fredda», la NATO non intervenne militarmente in alcuna area, anche laddove si determinarono situazioni di crisi, come nel Mediterraneo. Ciononostante, centinaia di basi degli Stati Uniti e della NATO furono insediate in Europa e, di queste, quasi 150 nella sola Italia. Oggi le basi militari degli Stati Uniti conosciute nel mondo sono oltre 850, il doppio di quelle dell'Impero romano d'Occidente nel momento della sua massima espansione – II secolo dopo Cristo, quando esso si estese dall'Atlantico al Caucaso, al Sahara, alla Britannia – e un terzo in più di quelle dell'Impero britannico vittoriano, sui cui territori, 29 milioni di chilometri quadrati abitati da 390 milioni di persone, agli albori del XX secolo non tramontava mai il sole. Riguardo a questo impressionante dispiegamento bellico, sono sempre più numerosi gli analisti che ritengono che esso comporti un sostanziale depotenziamento dello stesso concetto di sovranità territoriale e, del resto, gli esperti militari, quando si trovano a dover descrivere il segno della supremazia degli Stati Uniti sul pianeta, ricorrono al termine «footprint» – «impronta» –, che non evoca le immagini classicamente legate ai conflitti bellici – bombardamenti, invasioni, occupazioni manu militari – quanto piuttosto le moderne caratteristiche reticolari della presenza globale americana nel mondo, non esente da venature che pare lecito definire «neocolonialiste».
      Una presenza così massiccia non può non condizionare in maniera rilevante l'economia delle regioni interessate e scadenzare i tempi di vita delle popolazioni, alle quali è progressivamente sottratta la ricchezza derivante dall'utilizzo paesaggistico del proprio territorio e soprattutto la salute in conseguenza dell'inquinamento ambientale e dell'esproprio di vaste porzioni di esso e, spesso, è concesso usufruire dei beni naturali (il mare, la spiaggia, il verde) solo in subordine ai tempi delle attività belliche (le esercitazioni, le manovre militari, i trasporti di armamenti), o, infine, è concesso esercitare le attività necessarie alla propria sussistenza solo nella misura in cui esse siano compatibili con le esigenze militari. Questo sistema di servitù che pende sul capo della gente minaccia la salute collettiva, specie nei siti dei poligoni di tiro sottoposti all'uso dell'uranio impoverito, ed espone le popolazioni al rischio di diffusione della radioattività oppure a incidenti atomici nei siti in cui (come negli 11 porti nucleari italiani) vengono depositate o transitano le armi atomiche. Inoltre questo sistema di militarizzazione dei territori disegna un concetto di sovranità – di spoliazione di sovranità – molto più complesso della semplice espropriazione di territorio e ha determinato, nel nostro Paese, una forte opposizione da parte di moltissime associazioni della società civile, molte delle quali concertano da tempo un'azione diffusa sull'intero territorio nazionale.
      Ma altre considerazioni vanno svolte in merito al permanere del nostro Paese in seno all'Alleanza atlantica. Negli anni ’70/’80 del secolo scorso, infatti, con il progressivo tramontare della potenza sovietica, la politica militare della NATO si è fatta più spiccatamente offensiva. Nel 1978 Zibgnew Brzezinski, National Security Adviser del Presidente americano Carter, elaborò il concetto di «arco di crisi» per il fianco sud della NATO, per applicare il quale, nel 1983, venne costituito il CENTCOM (Central Command), con competenza su circa 40 Paesi tra Mediterraneo e Golfo e la Rapid Deployment Force. In quegli stessi anni, l'Amministrazione degli Stati Uniti passò dalla filosofia della deterrenza a quella della «compellenza», criterio che prevedeva l'adozione di «ogni politica che tenda ad agire su un dato scenario in modo da costringere l'avversario ad adottare quelle politiche che meglio si adattano ai propri interessi». Al Consiglio atlantico di Roma del 7-8 novembre 1991 venne quindi elaborato il «Nuovo concetto strategico dell'Alleanza atlantica» e istituito il Consiglio di cooperazione del Nord Atlantico (NACC) che inizierà le sue attività il 20 dicembre 1991. Ma è nel gennaio 1994, al vertice di Bruxelles, che venne elaborata la «nuova» NATO, a partire dal lancio del programma Partnership for peace, volto all'allargamento dell'Alleanza a est e preludio per la radicale trasformazione, avvenuta il 24 aprile del 1999, dello statuto dell'Alleanza che, ampliando aree e motivazioni di intervento, da trattato difensivo si trasformò ufficialmente in trattato di intervento globale in tutto il mondo. Al centro di questa trasformazione vi è il «nuovo concetto strategico» (The Alliance Strategic Concept), e la Defence Capabilities Initiative, che prevedono che la NATO utilizzi ora le sue forze militari come strumento di gestione delle crisi, di intervento e di proiezione della forza, estendendo l'area d'azione alla periferia dei Paesi membri (Parte II, 20), nonché a tutte le aree in cui vi sia il pericolo di interruzione del flusso di risorse vitali cioè energetiche. Perno della nuova strategia è la collaborazione con la Russia e l'allargamento dell'Alleanza a est, mentre nel Mediterraneo viene rafforzata la cooperazione militare con Israele e alcuni Paesi arabi (Egitto, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia).
      Alla luce dei passaggi fin qui sommariamente accennati, appare opportuno valutare sotto una luce radicalmente nuova il ruolo strategico della NATO. Il nemico di un tempo, l'ex Unione Sovietica, è oggi tra gli alleati su cui si fonda la nuova partnership globale, il blocco di Paesi dell'est un tempo sotto la sfera di influenza sovietica è membro dell'Alleanza o è in procinto di entrare a farne parte, il controllo del Mediterraneo non è più in discussione e con esso sono tramontate le ragioni di carattere difensivo che spinsero molti Paesi, tra i quali l'Italia, ad aderire all'Alleanza atlantica.
      Queste ragioni vengono tanto più vanificate dalla intrinseca trasformazione della NATO, da struttura difensiva in struttura di controllo egemonico e proiezione, di fatto, dell'egemonia degli Stati Uniti sul pianeta. In una parola, l'interesse della sicurezza nazionale italiana non coincide più con le strategie messe in atto dalla NATO.
      Tale approccio strategico, inoltre, sta dimostrando in modo sempre più evidente i propri limiti e la propria inadeguatezza ad affrontare pericoli che non sono più determinati da conflittualità di tipo «tradizionale» tra gli Stati, ma da cause ben diverse – legate molto spesso agli squilibri socio-economici imposti dai Paesi più ricchi – che sempre più spesso generano fenomeni terroristici di livello globale, contro i quali nessuna funzione di deterrenza possono svolgere gli insediamenti militari di tipo convenzionale che anzi, paradossalmente, acuiscono l'eventualità di attentati e, dunque, l'insicurezza per i Paesi che li ospitano. È necessario quindi superare la cosiddetta «logica securitaria», sottesa alle ragioni costituenti della NATO, e prendere atto che il modello di sicurezza che a esse si ispirava dimostra oggi tutta la sua inefficacia e obsolescenza proprio nell'adozione di tecniche e strumenti che sono intrinsecamente in contraddizione con gli obiettivi che si prefiggono: la pace e la sicurezza del Paese.
      Appare dunque del tutto ragionevole considerare esaurite le motivazioni dell'adesione italiana alla NATO e sottoporre al Parlamento la decisione sull'opportunità di non rinnovare per il futuro tale adesione.
      Sta crescendo sempre più la convinzione, o meglio la consapevolezza, che la vera sicurezza può derivare soltanto dalla crescita della comunicazione sociale e della fiducia collettiva, e non dall'esclusione e dalla marginalizzazione dei «diversi» e degli «altri», dalla difesa armata dei cancelli e dei muri, dalla sottolineatura delle differenze – di cultura, di religione, di etnia – e alla conseguente individuazione dei «nemici» assoluti.
      Il nostro Paese – a fronte anche della sua storia millenaria basata su una cultura dell'integrazione e dell'accoglienza – deve finalmente prendere atto degli enormi cambiamenti che si sono verificati a livello geopolitico mondiale e sottrarsi a quella logica della guerra permanente che in buona parte è la semplice applicazione delle teorie keynesiane all'economia militarista con l'aumento delle spese militari.
      Non va infine trascurato – come sottolineato dai vari comitati che si battono per la riconversione degli insediamenti militari a usi civili – l'aspetto della difficile coabitazione di quest'ultimi con le comunità locali, che si vedono ingiustamente espropriate di ampie e bellissime zone, che vivono nella preoccupazione delle conseguenze ambientali e sanitarie delle attività militari (responsabili di diversi tipi di inquinamento: dell'aria, dell'acqua e del suolo) e che temono la presenza di armi nucleari a pochi metri dalle proprie abitazioni.
      Le lotte delle popolazioni civili (specie in Sardegna) per la chiusura dei poligoni di tiro e contro le esercitazioni militari della NATO, contro gli ampliamenti delle basi militari e contro la formazione di nuove basi (ad esempio la lotta di Vicenza contro il Dal Molin), contro i siti di stoccaggio di nuovi armamenti (vedi gli Eurofighter a Grosseto, i cacciabombardieri a Cameri), le lotte contro l'uso dei nostri porti e delle ferrovie per il trasporto di macchine da guerra (trainstopping) devono avere risposta istituzionale attraverso l'approvazione in Parlamento del seguente testo di legge di iniziativa popolare.
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PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA POPOLARE
TITOLO I
Trattati militari
Art. 1.

      1. Tutti i trattati e accordi internazionali di tipo militare, anche se esclusivamente di ricerca, a cui l'Italia partecipa, devono essere necessariamente ratificati dal Parlamento e la ratifica deve essere rinnovata ogni due anni. Non possono essere stipulati accordi segreti e quelli eventualmente esistenti devono essere resi pubblici entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.
      2. In mancanza di ratifica o della rinnovazione della ratifica l'Italia deve considerarsi receduta dall'accordo.

Art. 2.

      1. Non possono essere stipulati e, anche in caso di rinnovo, essere in nessun caso ratificati trattati e accordi militari, che prevedano:

          a) la possibilità dell'uso di armi nucleari anche a scopo difensivo;

          b) la possibilità dell'uso, anche a scopo difensivo, di armi di distruzione di massa, nel senso della Convenzione per la messa al bando delle armi chimiche e biologiche e in contrasto con la Convenzione di Ginevra e comunque in contrasto con l'obbligo di evitare sofferenze inutili alle popolazioni civili (uranio impoverito, cluster bombs, mininukes, al fosforo, ad energia diretta, a laser);

          c) la possibilità di attacchi e di impegni militari in Paesi terzi, salvo che in caso di difesa dall'attacco dal medesimo Paese;

          d) la possibilità della permanenza e il transito in Italia di armi nucleari, chimiche, batteriologiche, e di altre armi che sono in contrasto con la Convenzione di Ginevra per la protezione della popolazione civile e comunque in contrasto con l'obbligo di evitare sofferenze inutili alle popolazioni civili (uranio impoverito, cluster bombs, mininukes, al fosforo, ad energia diretta, a laser);

          e) lo sviluppo di ricerche nel campo di nuove tecnologie a fini bellici o di riarmo;

          f) l'acquisto e la produzione di armamenti connessi alla proiezione di potenza e allo scopo militare offensivo;

          g) lo sviluppo di ricerche su armi chimiche e batteriologiche. Laboratori di ricerca su armi nucleari, chimiche e batteriologiche eventualmente presenti sul territorio nazionale devono essere chiusi e riconvertiti ad uso civile entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e ciò sia che siano nella disponibilità italiana che di Paesi terzi.

Art. 3.

      1. Oltre a quanto contenuto nell'articolo 2, non possono essere stipulati e, in caso di rinnovo, non può essere concessa la ratifica di trattati e accordi militari in materia di difesa, sicurezza, spese militari, esercitazioni militari, addestramento del personale militare e ricerca nel campo degli armamenti con Paesi nella cui legislazione non sia escluso l'utilizzo di armi nucleari e di distruzione di massa dei tipi indicati nell'articolo 2 e che non abbiano sottoscritto trattati internazionali per la messa al bando delle armi chimiche e di distruzione di massa.

Art. 4.

      1. Tutti i trattati e accordi di tipo militare esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge devono essere

necessariamente ratificati entro un anno dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge e in base alle preclusioni e modalità previste dalla legge stessa. Gli accordi e i trattati non ratificati sono ritenuti revocati.
TITOLO II
Basi, caserme e installazioni
Art. 5.

      1. Tutti i progetti di costruzione o di ampliamento di basi, caserme e installazioni militari sul territorio nazionale, siano esse di mare o di terra, anche se nella disponibilità di Paesi terzi, non possono essere autorizzati senza la preventiva valutazione ambientale strategica come disciplinata dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. I progetti già autorizzati alla data di entrata in vigore della presente legge devono essere riesaminati al fine di garantire il pieno recepimento delle direttive comunitarie in materia di valutazione di impatto ambientale, prevedere un sistema di controlli idoneo ad accertare l'effettivo rispetto delle prescrizioni ambientali e di sicurezza nonché essere sottoposti alla valutazione di impatto ambientale nelle modalità e forme di cui agli articoli 26 e seguenti del citato decreto legislativo n. 152 del 2006. Ogni due anni tutte le basi, caserme e installazioni militari devono attestare il rispetto delle prescrizioni e la loro regolarità ambientale mediante certificazione rilasciata dall'Agenzia regionale per l'ambiente (ARPA) competente per territorio.

Art. 6.

      1. Per tutti i progetti di costruzione o di ampliamento di basi, caserme e installazioni militari sul territorio nazionale, anche se nella disponibilità di Paesi terzi, e anche se già autorizzati, deve essere

presentato, unitamente all'altra documentazione necessaria, il progetto di riconversione civile della struttura al termine della sua destinazione militare, che deve garantire il riassorbimento di tutti i lavoratori civili impiegati, nonché indicare l'entità e le modalità di reperimento delle necessarie risorse economiche.
      2. Accordi internazionali che prevedano la messa a disposizione di parte del territorio nazionale a scopo militare in favore dei Paesi terzi devono necessariamente prevedere l'impegno economico prevalente, in misura non inferiore ai quattro quinti dell'intera somma prevista, di tale Paese terzo per le attività di costruzione e installazione e della successiva attività di riconversione, compresi gli oneri accessori di adeguamento urbanistico.
Art. 7.

      1. La destinazione militare non può in nessun caso superare la durata di cinque anni rinnovabile una sola volta, e tutte le basi, poligoni, installazioni e servitù militari in essere da più di dieci anni devono essere chiuse e riconvertite a scopi esclusivamente civili entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 8.

      1. Ogni due anni tutte le basi, caserme e installazioni militari dovranno attestare il rispetto delle prescrizioni e la loro regolarità ambientale mediante certificazione rilasciata dall'ARPA competente per territorio.

Art. 9.

      1. Le autorizzazioni per la costruzione, installazione, ampliamento di basi, caserme e installazioni militari sul territorio nazionale anche se nella disponibilità di Paesi terzi, possono essere concesse esclusivamente con il parere favorevole di un

comitato misto composto dal Ministro della difesa o suo delegato, dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare o suo delegato, dal presidente della regione e dai sindaci delle zone interessate e ogni decisione deve necessariamente essere presa con il parere favorevole dei rappresentanti degli enti locali interessati.
Art. 10.

      1. L'opportunità della permanenza o dell'ampliamento di basi, caserme, installazioni e delle servitù militari già esistenti sul territorio nazionale, anche se nella disponibilità di Paesi terzi, deve, anche in deroga a quanto previsto dalla normativa vigente in materia e dagli accordi internazionali eventualmente in corso, essere valutata entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge dal comitato misto costituito nei modi di cui all'articolo 9. Tutti i progetti in corso devono essere sospesi in attesa dell'adeguamento alla presente normativa.

Art. 11.

      1. Per tutte le basi, installazioni militari, poligoni e campi di tiro sia marini che terrestri esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge, anche se nella disponibilità di Paesi terzi, deve essere predisposto, entro un anno dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge, un piano di riconversione ad usi civili che preveda il completo riassorbimento di tutti i lavoratori civili impiegati.

Art. 12.

      1. Nessuna struttura civile, porti, aeroporti, ferrovie, può essere usata per scopi militari compreso il passaggio di armamenti e truppe per missioni militari fuori confine.

Art. 13.

      1. La presente legge entra in vigore quindici giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e da tale momento tutti i progetti di installazione, costruzione e ampliamento di basi militari in corso, nonché l'uso di strutture militari esistenti per esercitazioni a fuoco, siano esse terrestri, navali o aeree, sono sospesi in attesa dell'adeguamento alla presente normativa.

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