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CAMERA DEI DEPUTATI |
N. 1045 |
L'impatto della riforma sul personale delle ferrovie.
Non sono solo i lavoratori esodati le vittime della riforma del sistema pensionistico. Una situazione molto grave, che la presente proposta di legge intende risolvere, si è determinata anche per i macchinisti, chiamato anche personale di condotta o «di macchina», di accompagnamento o «viaggiante» e di «manovra» delle ferrovie.
Tra le poche categorie di lavoratori per i quali la riforma ha conservato requisiti differenziati di accesso alla pensione, vi sono i lavoratori di cui al decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67, recante norme in materia di «Accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti». Un processo di armonizzazione dei vecchi requisiti pensionistici è stato invece previsto per altre categorie: proprio il comma 18 dell'articolo 24 del citato decreto-legge n. 201 del 2011, aveva stabilito, che entro il 31 ottobre 2012, allo scopo di assicurare un processo di incremento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento anche ai regimi pensionistici e alle gestioni pensionistiche per cui fossero previsti requisiti diversi da quelli vigenti nell'assicurazione generale obbligatoria (AGO), dovevano essere adottate le relative misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al
sistema pensionistico, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività, nonché dei rispettivi ordinamenti.
Il secondo periodo del predetto comma 18 prende in considerazione i ferrovieri, ma anziché disporre anche per loro l'applicazione dei precedenti requisiti pensionistici o una loro armonizzazione, come era necessario fare in considerazione delle mansioni disagiate e delle professionalità usuranti, ha disposto che si applichi loro il nuovo regime pensionistico.
Il regime pensionistico dei ferrovieri prima e dopo la riforma Fornero.
Il lavoro del personale operante nel settore ferroviario era fondatamente considerato particolarmente usurante dalla legge, che ha da sempre stabilito per esso un regime pensionistico speciale.
La tabella di cui all'allegato 15 annesso alla legge 26 marzo 1958, n. 425, prevista dall'articolo 165, primo comma, della stessa legge fissava l'età pensionabile per i macchinisti, per il personale viaggiante e per quello di manovra, a 58 anni di età e a 25 anni di contributi.
Inoltre, il 15 maggio 2009 veniva siglato un accordo tra le ferrovie e i sindacati che istituiva un Fondo di sostegno al reddito di accompagnamento alla pensione che in alcuni casi consentiva al personale di macchina su base volontaria e in base alle necessità aziendali, di anticipare il pensionamento a 54 anni, per chi maturava il diritto alla pensione a 58 anni.
Nella disattenzione generale è accaduto che il cosiddetto «taglia-leggi» cioè il decreto legislativo 13 dicembre 2010, n. 212, recante «Abrogazione di disposizioni legislative statali a norma dell'articolo 14, comma 14-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246», al numero 70351 dell'allegato 1 erroneamente abbia abrogato il citato articolo 165, primo comma, della legge n. 425 del 1958 causando in tal modo un primo intervento a danno del regime pensionistico dei ferrovieri. Va precisato che tale abrogazione è solo uno dei tanti errori contenuti nel provvedimento «taglia-leggi» e che si pone in contrasto con i limiti della delega conferita al legislatore. Come è avvenuto negli altri casi di
L'usura del lavoro dei macchinisti nel settore del trasporto ferroviario.
Il nuovo regime pensionistico applicato ai ferrovieri ha evidentemente generato una situazione paradossale, in quanto non è immaginabile, ad esempio, che un macchinista continui a guidare un treno che viaggia a 300 chilometri orari fino all'età di 66 anni. Anzi, come si dirà, un macchinista rischia di non arrivarci mai all'età di 66 anni, visto che, purtroppo, l'età media di questi lavoratori è di alcuni anni più bassa. Attenendosi alla definizione di lavoro usurante contenuta nel decreto legislativo n. 67 del 2011, ad esempio, si ricava che vi rientra chi soddisfa anche solo uno dei seguenti requisiti che accorciano la «normale aspettativa di vita»:
a) coloro che fanno turni pesanti o che svolgono anche lavoro notturno;
b) i minatori e altre categorie che lavorano in gallerie, tunnel o assimilabili;
c) chi è esposto a radiazioni e campi magnetici, per ovvie ragioni;
d) chi è costretto a lavorare in ambienti angusti, rumorosi e sottoposti a vibrazioni;
e) conducenti di veicoli adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo.
A un'analisi anche solo superficiale emerge che i macchinisti delle ferrovie sono esposti non a uno, ma a tutti i rischi elencati e, paradossalmente, sono proprio quelli che sono esclusi da qualunque beneficio previdenziale. Infatti essi:
a) fanno turni sia di giorno che di notte; non solo, ma fanno turni irregolari, poiché ogni giorno hanno un orario e un luogo diversi di inizio e fine del lavoro;
devono mangiare anche se non hanno fame a orari sempre diversi, devono dormire anche se non hanno sonno e ad orari sempre diversi anche se sono lontani da casa e anche se è giorno;b) una notevole percentuale del proprio lavoro lo svolgono in gallerie, a volte corte, a volte lunghissime (la linea Firenze-Bologna alta velocità è lunga 80 chilometri, di cui 75 chilometri in galleria);
c) rischiano sempre in prima persona, pagando spesso con la vita eventuali errori o fatalità ovviamente non dipendenti dalla loro volontà;
d) fino al 1999 e oltre hanno lavorato in cabine di guida coibentate con amianto;
e) sono spesso sottoposti a campi magnetici molto potenti, fino a 30 microtesla su linee alta velocità a 25.000 Volt alternati (quando il limite di legge è di 0,2 microtesla);
f) guidano mezzi che trasportano centinaia di persone, a velocità che arrivano fino a 300 chilometri l'ora, lavorando anche sette ore consecutive senza neanche un minuto di pausa, spesso da soli in un ambiente di neanche 2 metri quadrati.
Come se non bastasse, si deve anche considerare che:
a) dopo 15-20 anni di attività tra il 70 e l'80 per cento dei macchinisti ha problemi di udito dovuti ai rumori continui, spesso molto al di sopra delle soglie consentite;
b) dopo 20-25 anni di attività tra l'80 e il 90 per cento inizia ad avere seri problemi alla spina dorsale (schiacciamenti, ernie, protusioni, lombalgie, cervicale, e altro) dovuti alle continue vibrazioni, alle continue oscillazioni trasversali e ai frequenti contraccolpi verticali;
c) macchinisti dei treni ad alta velocità guidano i treni da soli per lunghe tratte (per esempio Roma-Bolzano) senza soste e perciò quando iniziano a lavorare, devono andare in bagno (anche se non ne hanno necessità) poiché sanno che per quattro, cinque o sei ore non avranno la possibilità di farlo (sul posto di lavoro non c’è né il bagno né tantomeno il tempo per andarci);
d) lavorano «normalmente» fino a dieci ore al giorno, ma possono arrivare a lavorare con le condizioni citate anche tredici ore di seguito, oppure, se dormono fuori casa, l'impegno lavorativo può arrivare anche a ventiquattro ore;
e) hanno livelli di stress da lavoro correlato molto superiori alla norma;
f) hanno un'aspettativa di vita sensibilmente inferiore alla media nazionale, che si è attestata nel ventennio scorso intorno ai 65 anni di età. Il paradosso è che statisticamente questi lavoratori – è triste dirlo – moriranno prima di raggiungere l'età della pensione. Una ricerca condotta dal dottor Riccardo Simoniache ha messo in relazione 400 macchinisti e 400 pescatori di Mazara del Vallo, studiati per quattro anni, ha mostrato che la speranza di vita dei macchinisti è di 64,5 anni (a fronte di una media nazionale che si aggira sugli 82 anni) e che i parametri di invecchiamento sono molto più precoci di quelli dei pescatori.
La particolare usura alla quale sono sottoposti questi lavoratori, che fortemente influenza, in negativo, l'aspettativa di vita specifica, è andata aumentando nell'ultimo decennio attraverso l'allungamento dell'orario di lavoro da otto a dieci ore giornaliere, l'accorciamento dei riposi tra due servizi da 18 a 11 ore, un aumento delle velocità di linea da 200 a 300 chilometri orari (presto diventeranno 350 chilometri orari), il passaggio da due un solo macchinista alla guida dei treni e un enorme recupero di produttività lavorativa generalizzata, attraverso continue erosioni normative.
Tra l'altro, non va trascurato che l'aumento dell'età pensionabile dei ferrovieri determina anche un effetto paradossale. A causa del veloce deterioramento delle loro condizioni di salute correlato all'attività
L'usura del lavoro del personale «viaggiante» e di «manovra» nel settore del trasporto ferroviario.
I livelli di usura e le aspettative di vita dei macchinisti sono decisamente peggiorati negli ultimi decenni, mentre un discorso diverso può farsi per il personale di accompagnamento e per quello cosiddetto di manovra, per i quali, il livello di usura rimane comunque particolarmente incisivo.
La ricerca da ultimo citata, «Un treno carico di stress», ha rilevato che nei capitreno uomo all'aumentare dell'età e dell'anzianità di servizio aumentano in misura statisticamente significativa le patologie cardiocircolatorie, genito-urinarie, del sonno, muscolo-scheletriche, uditive e visive.
Un fattore di forte usura è rappresentato, per loro, dalla presenza di turni disarticolati e aciclici.
Sulla base di queste considerazioni, la presente proposta di legge stabilisce una armonizzazione dei requisiti pensionistici per questi due comparti rispetto a quanto previsto dalla disciplina vigente prima della riforma Fornero, ma annullando gli effetti deleteri di quest'ultima.
I costi del mantenimento dei requisiti previdenziali ante-riforma Fornero.
Non vi è dubbio che debba essere prontamente individuata una seria soluzione che ripari agli errori o alle insensate scelte di politica previdenziale in cui è incorso il legislatore.
In conclusione, non si possono trascurare i rischi che il mantenimento in servizio fino a 67 anni del personale ferroviario dei comparti considerati ha sulla sicurezza del trasporto ferroviario: rischi per chi viaggia, per i percorsi ferroviari e per le stazioni.
La rivista ancora In Marcia! ha calcolato, sulla base dei dati in suo possesso, che continuare a consentire ai macchinisti, di andare in pensione a 58 anni d'età e 40 di contributi, avrebbe un costo di 4,8 milioni di euro annui, perché riguarderebbe circa 7.000 addetti, con una media di circa 200 pensionamenti annui per i prossimi trentacinque anni, ma con alcune importanti osservazioni di cui tenere
1) il 25 per cento di loro, sulla base dei dati storici, non chiederà di andare in pensione a 58 anni, ma rimarrà fino al massimo dell'età lavorativa;
2) a causa di un buco generazionale, in quanto non ci sono state assunzioni, i lavoratori di età compresa tra i 35 e i 45 anni sono quasi assenti, pertanto dal 2025 al 2035 i pensionamenti saranno pressoché inesistenti.
Invece, portando a 62 anni e a 40 di contributi i requisiti pensionistici per il personale di accompagnamento e quello di manovra, il costo annuo non sarebbe superiore a 6 milioni di euro l'anno. Il numero di addetti di questi due comparti, infatti, considerando tutte le imprese operanti in Italia, è di 10.000 unità che andranno in pensione al ritmo di circa 285 unità all'anno per i prossimi 35 anni, tenendo tuttavia conto delle stesse osservazioni fatte ai punti 1) e 2).
È fondamentale, infine, che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali conduca una puntuale verifica sull'usura e sulla reale aspettativa di vita dei macchinisti, del personale di accompagnamento e di manovra e sulle eventuali ripercussioni sulla sicurezza ferroviaria che inevitabilmente comportano un eccessivo sfruttamento psicofisico insieme ad un'età avanzata.
1. In ragione della particolare usura e delle specifiche aspettative di vita, nonché per garantire la sicurezza del trasporto ferroviario, il personale addetto alla condotta dei treni delle ferrovie consegue il diritto alla pensione al raggiungimento del requisito anagrafico di cinquantotto anni di età e del requisito contributivo di trentotto anni, di cui almeno venti anni effettivi da addetto alla condotta.
2. Al personale addetto alla condotta che ha compiuto cinquantacinque anni di età a cui è ritirata la licenza a seguito della perdita dei requisiti medici e psico-fisici verificati ai sensi degli articoli 15 e 17 del decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 247, è riconosciuto il diritto alla pensione se ha raggiunto il requisito contributivo di trentacinque anni, di cui almeno diciotto anni effettivi di condotta dei treni. In alternativa, il lavoratore può scegliere di rimanere in servizio fino al raggiungimento del limite di età per l'accesso al pensionamento.
3. Il personale di accompagnamento e il personale di manovra delle ferrovie conseguono il diritto alla pensione al raggiungimento del requisito anagrafico di sessantadue anni di età e del requisito contributivo di quarant'anni, di cui almeno venticinque anni effettivi come personale di accompagnamento o di manovra.
4. Agli oneri derivanti dall'attuazione dei commi 1, 2, e 3 del presente articolo, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa relativa al Fondo per interventi strutturali di politica economica di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con