Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 1560


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
TERZONI, SEGONI, DAGA, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, TOFALO, ZOLEZZI, LUPO, BENEDETTI, GAGNARLI, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, GALLINELLA
Limiti all'impiego di sostanze diserbanti chimiche
Presentata il 9 settembre 2013


      

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Onorevoli Colleghi! Sembra proprio che, cinquant'anni dopo la pubblicazione di «Primavera silenziosa», la maledizione della pazzia autodistruttiva che Rachel Carson presagiva, già all'inizio degli anni sessanta, osservando i primi effetti dell'abuso irrazionale della chimica nelle campagne americane (Silent Spring, 1962), stia giungendo alle sue fasi più preoccupanti anche nel nostro Paese, un territorio che dovrebbe avere cultura, tradizioni, prodotti della terra, paesaggio e ambiente tra le risorse più preziose e condivise.
      Ci sono sempre più agricoltori che utilizzano il diserbo anche al di fuori delle aree coltivate, ma anche semplici cittadini che irrorano le fasce erbose nei pressi delle loro abitazioni con erbicidi per evitare lo sviluppo delle erbe infestanti.
      La pratica del diserbo, nata per il controllo delle commensali in agricoltura, erroneamente considerata come alternativa agli interventi di tipo meccanico, viene oggi utilizzata, sostenuta dalle industrie chimiche che producono il diserbante più aggressivo e meno selettivo oggi sul mercato (il glyphosate), per il «decoro» delle strade pubbliche e con la motivazione di combattere le allergie da polline (in realtà, anziché ridurre le fonti di produzione di polline, se ne determina un aumento significativo con la proliferazione delle graminacee, oltre alla nebulizzazione nell'aria di princìpi chimici tossici anche in aree urbanizzate e ad alta intensità di traffico), ben sapendo che, una volta effettuato il primo trattamento, si dovrà continuare anche negli anni successivi per evitare la proliferazione delle erbe più aggressive, libere di espandersi in seguito alla scomparsa della vegetazione che presidiava il terreno.
      Il glyphosate è certamente tossico per la vita acquatica. Tra le precauzioni d'uso del diserbante utilizzato (basato sul principio attivo del glyphosate) è infatti tassativamente vietato irrorare i bordi dei corsi d'acqua e delle zone umide a causa della sua accertata tossicità, anche a basse concentrazioni, sugli organismi acquatici. Eppure le pompe di veleno che operano lungo le strade e le linee ferroviarie non si fermano di certo di fronte a canali e a collettori posti ai lati dei tracciati.
      Sui rischi derivanti per tutti dall'uso di fitofarmaci e sui danni che sono stati procurati in tutto il mondo dalla sola impresa multinazionale americana della chimica, produttrice (dal 2014 non più esclusiva) del principio attivo glyphosate, è sufficiente la documentazione raccolta dalla giornalista francese Marie-Monique Robin sull'ormai famoso libro «Il mondo secondo Monsanto» (Arianna editrice, aprile 2009).
      Importanti da conoscere sono anche i risultati di numerose ricerche (esiste ormai una consistente letteratura internazionale in materia) che hanno dimostrato la relazione esistente tra l'esposizione umana al glyphosate e l'insorgenza di malattie, disfunzioni e malformazioni:

          1) studi separati condotti in Svezia hanno collegato l'esposizione al glyphosate alla leucemia e al linfoma non-Hodgkins (questi tipi di tumori erano molto rari, tuttavia il linfoma non-Hodgkins è oggi il tumore in più rapida crescita nel mondo occidentale, mentre negli Stati Uniti d'America negli ultimi quarant'anni la sua incidenza è aumentata del 73 per cento);

          2) studi dimostrano, inoltre, che l'esposizione al glyphosate, a dosi al di sotto della classica diluizione a scopo agricolo, è associata a una serie di alterazioni sulla riproduzione negli esseri umani e in altre specie animali a causa della sua tossicità sulle cellule della placenta.

      È importante sapere che il glyphosate ha una persistenza sul terreno e sull'acqua di gran lunga superiore a quanto viene generalmente supposto. Si ritiene, infatti, che il glyphosate venga rapidamente degradato nel terreno, ma i fatti dimostrano il contrario. Un rapporto della United States Environmental Protection Agency dichiara che il glyphosate è estremamente persistente in condizioni di applicazione normali, mentre studi condotti in Svezia dimostrano che una sua applicazione può perdurare fino a tre anni. Gli stessi dati pubblicati dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) rilevano la presenza del glyphosate e dell'AMPA (acido aminometilfosfonico, derivante dalla degradazione del glyphosate) tra le sostanze inquinanti più presenti nelle acque superficiali (dati ripetutamente confermati per il periodo 2008-2010, relativi alle ultime rilevazioni effettuate in Lombardia).
      Considerando che gli effetti del trattamento con diserbanti sistemici si manifestano a distanza di 10-15 giorni, c’è il rischio concreto che, soprattutto lungo le strade di periferia e in quelle meno trafficate, qualcuno raccolga lungo i margini stradali piante spontanee per uso alimentare senza rendersi conto della contaminazione chimica. La mancanza di qualunque segnalazione degli interventi fino ad oggi eseguiti dalle province e dall'Ente nazionale per le strade (ANAS spa) risulta quindi particolarmente grave e lesiva, non solo per questo aspetto, della sicurezza dei cittadini.
      Non va dimenticato, infine, che molti pesticidi sono xenobiotici e dopo la loro immissione nell'ambiente si mantengono sostanzialmente inalterati per lunghi periodi di tempo, arrivando a contaminare, grazie alle loro caratteristiche di volatilità, persistenza, bioaccumulo e biomagnificazione, organismi no target e reti alimentari su cui si basa l'organizzazione delle comunità biologiche naturali, anche a notevoli distanze dal punto iniziale di contaminazione.
      I danni superano largamente i benefìci (ammesso che ci siano). Occorre precisare, peraltro, che l'uso estensivo e sistematico del diserbo prevede una lunga serie di controindicazioni, tra le quali:

          1) mette a rischio la salute degli operatori (che si possono proteggere) e

della popolazione (ignari automobilisti, motociclisti, ciclisti, pedoni, raccoglitori, agricoltori, cittadini), nebulizzando un prodotto chimico tossico che agisce a distanza di vari giorni (a seconda della concentrazione può manifestare i suoi effetti a distanza di diversi giorni e permanere nel terreno e sulla vegetazione per lungo tempo) lungo le strade e negli abitati;

          2) espone le scarpate sottoposte al diserbo a frane e a smottamenti e a conseguente elevato rischio di provocare incidenti stradali durante gli eventi piovosi e nelle ore notturne;

          3) abbassa drasticamente la biodiversità vegetale e animale e la capacità di autoregolazione dei numerosi habitat seminaturali che garantiscono, oltre a un aspetto gradevole, la funzionalità e la biodiversità biologica delle scarpate stradali;

          4) riduce sensibilmente l'assorbimento dell'anidride carbonica e l'abbattimento delle sostanze azotate da parte della copertura vegetale eliminata.

      La conservazione della biodiversità è una sfida che si combatte non solo in lontane foreste equatoriali, ma anche nel territorio che ci circonda e nel quale viviamo.
      Oggi la crisi economica mondiale ha messo in discussione molte certezze, ma le prime risposte fanno presagire che si tenti di cambiare la forma, non la sostanza. Tra questi obiettivi, la tutela delle specie vegetali e degli habitat minacciati nonché l'arresto della perdita di biodiversità costituiscono sicuramente delle priorità non solo per le ricadute negative più o meno dirette (come il degrado del paesaggio), ma anche per le stesse prospettive economiche (basti pensare quante nuove professioni e possibilità di vero sviluppo vengono perse nei settori naturalistico, turistico, culturale e ambientale). Nel territorio italiano, così fortunato anche nella dotazione ambientale, la crisi di molti habitat naturali e la frammentazione delle popolazioni delle specie selvatiche (dovuti all'urbanizzazione selvaggia e all'eccessiva pressione nelle aree agricole produttive, ma anche all'abbandono delle zone montane e marginali) hanno condotto alla scomparsa locale e anche all'estinzione di numerose specie vegetali, un tempo comuni (basti ricordare, per le aree agricole, non solo il fiordaliso o il tulipano dei campi, ma anche il più banale papavero) e di grande importanza biologica, insieme a un imprecisato numero di specie animali, delle quali (come accade per molti insetti) spesso non supponiamo neppure l'esistenza.
      I margini stradali vengono trattati come fossero situazioni uniformi e ripetitive. In realtà le strade, soprattutto quelle di interesse provinciale e locale, attraversano ambienti molto diversi e toccano numerosi habitat, spesso di grande interesse, anche per il semplice fatto che in tutta la fascia collinare e di pianura, dominata dall'agricoltura industriale e dagli insediamenti urbanizzati, gran parte della biodiversità è ormai rimasta concentrata lungo la viabilità e lungo i fiumi.
      Non esiste un'alternativa tra sfalcio e diserbo in quanto si tratta di due modalità di intervento che hanno finalità, procedure e risultati completamente diversi e che vanno utilizzate in situazioni e con obiettivi profondamente diversi.
      Lo sfalcio permette di controllare la rigogliosità della copertura erbosa dei prati (sia quelli del verde urbano, che quelli delle praterie secondarie della fascia collinare e montana), delle aree non coltivate, delle aie e dei margini erbosi stradali, favorendo le piante perenni (prevalentemente emicriptofite) che tendono a coprire uniformemente il terreno e a maturare arricchendosi di altre specie e mantenendo stabilmente la copertura (e la protezione) del terreno. Rappresentano, cioè, la migliore protezione del terreno sia dall'erosione che dall'ingresso delle erbe annuali e aggressive.
      Le cenosi che si sono adeguate alle condizioni locali e strutturate compenetrandosi, anche negli apparati radicali, dopo decine di anni di gestione attraverso lo sfalcio, nelle fasi di maturità raggiungono

un'omeostasi che permette loro di mantenere uno stadio di stabilità che può tollerare lunghi intervalli di tempo (anche di qualche anno) tra un intervento di taglio e quello successivo.
      Il diserbo, una pratica che è nata e che dovrebbe rimanere limitata ai soli terreni coltivati, serve a eliminare la competizione delle specie spontanee con le piante coltivate e determina, quando viene utilizzata in modo improprio e su grandi superfici della componente erbacea delle scarpate stradali, un immediato azzeramento della maturità raggiunta e della complessità delle cenosi vegetali gradualmente maturate, selezionate e adattate dopo diverse decine di anni (dai 30 ai 50) di pratiche gestionali corrette.
      È bene chiarire che il diserbo dei bordi stradali, rispetto alle tecniche tradizionali, non presenta alcun vantaggio:

          1) l'aspetto dei bordi trattati è oltremodo sgradevole dal punto di vista estetico;

          2) non limita in alcun modo il numero degli interventi in quanto non elimina la necessità delle operazioni di sfalcio.

      In compenso il trattamento con fitofarmaci determina numerosi danni diretti e crea le condizioni per effetti negativi anche gravi e a volte non recuperabili:

          1) non permette alla vegetazione seminaturale di svolgere il ruolo di difesa del terreno ed espone le scarpate stradali all'erosione e agli smottamenti;

          2) arreca danni gravi alla vegetazione, che perde istantaneamente molti decenni di maturazione accumulati con il tempo, e provoca la scomparsa locale di numerose specie e l'impossibilità, in alcuni casi, del ritorno allo stato precedente, neppure dopo l'abbandono della pratica (dopo due o tre interventi in anni successivi si annulla anche la carica dei semi del terreno);

          3) arreca danni diretti e indiretti anche alla fauna minore, basti pensare agli effetti sulle popolazioni di carabidi che hanno uno stretto rapporto con il terreno e con la qualità della copertura erbacea;

          4) rende obbligatorio l'intervento anche negli anni successivi, in quanto le fasce denudate se non più trattate vengono invase da poche specie annuali particolarmente vigorose e aggressive;

          5) si acquistano attrezzature e prodotti chimici inutili, oltre che dannosi, mentre non si investe nel miglioramento delle conoscenze, della preparazione dei tecnici, oltre che nell'adeguamento dei mezzi e delle tecniche di manutenzione delle scarpate;

          6) si determina una perdita di maturità degli ecosistemi marginali, con conseguente riduzione della complessità e della funzionalità sia dal punto di vista vegetale che animale, tenendo conto, peraltro, che in molte aree collinari le strade costituiscono gli ultimi centri di conservazione della biodiversità.

      Le contraddizioni non finiscono qui, il diserbo dei margini stradali non ha alcuna giustificazione neppure dal punto di vista strettamente tecnico.
      Innanzitutto è bene precisare che la migliore forma di gestione dei bordi stradali è quella dello sfalcio, che garantisce la maturazione, la funzionalità, la biodiversità, la capacità di recupero naturale (resilienza), i minori costi di gestione (grazie a una crescita delle emicriptofite, specie erbacea perenne più lenta rispetto alle annuali e prevalentemente orizzontale) e il miglior aspetto estetico dei margini stradali.
      In alcuni casi, a causa della particolare frequenza di ostacoli, come in corrispondenza dei guard-rail, risulta difficile intervenire con i più comuni mezzi meccanici di sfalcio, ma esistono numerose, efficaci e valide alternative «verdi».
      Dal punto di vista strettamente tecnico ci sono alternative naturali anche nelle situazioni più artificiose, come sotto i guard-rail; qui, infatti, si insediano frequentemente comunità di piccole graminacee

(Poa annua, Bromus hordeaceus, Vulpia membranacea), mentre in altre condizioni caratterizzate da maggiore povertà di suolo si sviluppano spontaneamente tappeti di crassulaceae (Sedum album e S. rupestre) e cespi di piccole camefite (del genere Thymus), che svolgono il ruolo di protezione del terreno senza creare alcun problema di sviluppo in altezza e senza alcuna necessità di sfalcio.
      Inoltre l'Unione europea è intervenuta in questa materia introducendo, nella direttiva 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi, un articolo apposito. All’ articolo 11 si legge infatti: «Gli Stati membri assicurano che siano adottate misure appropriate per tutelare l'ambiente acquatico e le fonti di approvvigionamento di acqua potabile dall'impatto dei pesticidi» e, ancora, si auspica «La riduzione, per quanto possibile, o l'eliminazione dell'applicazione dei pesticidi sulle o lungo le strade, le linee ferroviarie, le superfici molto permeabili o altre infrastrutture in prossimità di acque superficiali o sotterranee oppure su superfici impermeabilizzate che presentano un rischio elevato di dilavamento nelle acque superficiali o nei sistemi fognari».
      Le medesime norme sono state riprese dall'articolo 14 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, con il quale lo Stato Italiano ha recepito la direttiva.
      Nella stessa direzione vanno la direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, e il regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari.
      Attualmente è in discussione presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali il Piano d'azione nazionale (PAN) per l'uso dei prodotti fitosanitari che doveva essere consegnato alla Commissione europea entro il 26 novembre 2012 (articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 2012).
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Finalità).

      1. La presente legge è finalizzata alla tutela della salute umana, dell'ambiente naturale, dell'ambiente acquatico e delle acque potabili, della biodiversità, degli ecosistemi, delle attività agricole condotte con metodi biologici e naturali, e dei consumatori, nonché alla riduzione del rischio idrogeologico e alla promozione dell'uso di tecniche alternative all'impiego di prodotti chimici, di prodotti tossici e di soluzioni saline di qualsiasi genere nelle operazioni di gestione della vegetazione spontanea.

Art. 2.
(Ambito di applicazione).

      1. La presente legge, ai fini di cui all'articolo 1, si applica in tutto il territorio nazionale.
      2. La presente legge, in particolare, si applica agli interventi sulla vegetazione spontanea sviluppata:

          a) lungo la viabilità stradale, definita dal codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285;

          b) lungo la viabilità privata costituita da strade poderali, interpoderali, vicinali e di altro genere;

          c) lungo le massicciate ferroviarie, comprese le scarpate di pertinenza delle stesse;

          d) lungo la rete idrica superficiale, sulle sponde di laghi, canali e ambienti umidi naturali o artificiali;

          e) all'interno delle aree naturali protette costituite in parchi o in riserve nazionali

e regionali e di quelle appartenenti alla rete Natura 2000;

          f) in tutte le aree naturali e seminaturali quali boschi, garighe, praterie primarie, praterie secondarie, ambienti rocciosi, falesie e ambienti costieri;

          g) all'interno delle aree urbane, nei cimiteri, negli ospedali, negli impianti sportivi, nei parchi ricreativi e nelle aree verdi, pubblici o privati.

Art. 3.
(Tutela della vita umana e animale).

      1. È vietato effettuare interventi di diserbo chimico o con sostanze tossiche anche di tipo naturale o con soluzioni saline di qualsiasi genere lungo le scarpate di pertinenza della viabilità di cui all'articolo 2, comma 2.
      2. È vietato effettuare interventi di diserbo chimico o con sostanze tossiche anche di tipo naturale o con soluzioni saline di qualsiasi genere su fasce di vegetazione erbacea poste a distanza inferiore a 100 metri da strade pubbliche o private, e su fasce di vegetazione erbacea poste a distanza inferiore a 200 metri da aree urbanizzate, pubbliche o private, fossi, torrenti, fiumi e raccolte d'acqua.
      3. È vietato gettare nell'ambiente naturale i contenitori di prodotti chimici diserbanti.
      4. È vietato sciacquare o ripulire le botti e i contenitori di prodotti diserbanti rilasciando le acque di lavaggio negli ambienti naturali.

Art. 4.
(Vigilanza).

      1. Sono incaricati in modo specifico del rispetto della presente legge tutti i corpi di Polizia dello Stato, le polizie provinciali per i territori di loro competenza, i servizi guardiaparco delle aree protette regionali per il territorio di loro competenza ovvero tutte le aree protette, i Corpi di polizia

locale e municipale per il territorio di loro competenza, gli Ispettorati agricoli regionali, il personale delle aziende sanitarie locali e dei servizi veterinari; le guardie zoofile volontarie, le guardie particolari giurate e le guardie venatorie e ittiche delle associazioni di protezione ambientale, ittiche e venatorie.
Art. 5.
(Sanzioni).

      1. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque pratica interventi di diserbo chimico o con sostanze tossiche anche di tipo naturale o con soluzioni saline di qualsiasi genere in parchi nazionali e riserve statali, parchi e riserve regionali anche di interesse provinciale, aree archeologiche, giardini pubblici e aree naturali gestite da associazioni private a fini naturalistici è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 500 euro a un massimo di 3.000 euro. Se la superficie della zona diserbata è inferiore a 100 metri quadrati si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 200 euro a un massimo di 1.500 euro.
      2. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque pratica interventi di diserbo chimico o con sostanze tossiche anche di tipo naturale o con soluzioni saline di qualsiasi genere in terreni a meno di metri lineari 200 da abitazioni o edifici e da infrastrutture con presenza umana, ovvero chiunque non interrompe la sua attività in presenza di persone o di animali domestici è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 500 euro a un massimo di 3.000 euro. La sanzione è raddoppiata nel massimo e nel minimo se la violazione è commessa in prossimità di edifici scolastici, ospedali, impianti sportivi ed edifici di culto.
      3. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque pratica interventi di diserbo chimico o con sostanze tossiche anche di tipo naturale o con soluzioni saline di qualsiasi genere in banchine stradali di strade statali,

regionali, provinciali, comunali, poderali o interpoderali, piste ciclabili, ippovie e sentieri pedonali, entro una fascia di 100 metri da entrambi i lati, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 200 euro e a un massimo di 1.000 euro per ogni frazione di 500 metri di lunghezza della viabilità.
      4. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque pratica interventi di diserbo chimico o con sostanze tossiche anche di tipo naturale o con soluzioni saline di qualsiasi genere in terreni a meno di 200 metri da sponde di laghi e stagni, in terreni a meno di 200 metri da corsi d'acqua, fiumi e ruscelli, in terreni a meno di 200 metri da sorgenti naturali e pozzi pubblici o privati sia ad uso umano che irriguo, in terreni a meno di 200 metri da terreni con presenza di colture biologiche o biodinamiche è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 200 euro a un massimo di 1.500 euro.
      5. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque sversa in ambiente naturale le acque di lavaggio dei contenitori o delle botti di prodotti diserbanti ovvero chiunque abbandona i contenitori degli stessi in ambiente naturale è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 200 euro e a un massimo di 1.200 euro.
Art. 6.
(Proventi delle sanzioni amministrative).

      1. I proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'articolo 5 sono attribuiti agli enti parco nel cui territorio è stata accertata la violazione o, in loro assenza, ai comuni competenti per territorio e sono destinati a interventi di manutenzione manuale o meccanica di aree di proprietà pubblica nonché al finanziamento di un fondo nazionale il cui 50 per cento è destinato all'immediata realizzazione di sentieri, percorsi pedonali e ciclabili e ippovie.


      2. Il 50 per cento del fondo costituito dai proventi delle sanzioni ai sensi del comma 1, integrato con fondi europei, regionali e comunali, è destinato a finanziare:

          a) campagne d'informazione dirette a tutta la popolazione sull'importanza dei servizi ecosistemici assicurati dagli agroecosistemi e dagli altri sistemi naturali e seminaturali che costituiscono i paesaggi regionali e locali;

          b) attività di ricerca, monitoraggio e sperimentazione, con la realizzazione di strutture di raccolta, riproduzione e conservazione, nonché interventi di recupero e di ricostruzione ambientali;

          c) programmi di aggiornamento per il personale tecnico delle pubbliche amministrazioni, in materia di criteri di manutenzione, di conservazione e di gestione delle aree seminaturali, nonché programmi di formazione per gli agricoltori in materia di funzioni delle aree non coltivate, modalità di gestione, di opportunità di utilizzazione, e per gli operatori turistici, in materia di riconoscimento delle erbe spontanee, delle caratteristiche e della gestione degli ambienti seminaturali e naturali;

          d) programmi di coordinamento regionale per la realizzazione di un sistema efficiente per lo scambio tecnico-informativo, per il coordinamento dei programmi e, ove possibile, per la sinergia negli interventi nonché una reale collaborazione tra il personale degli uffici degli enti locali competenti in materia ambientale e territoriale.

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