Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 1857


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
LUIGI GALLO, BRESCIA, MARZANA, VACCA, SIMONE VALENTE, D'UVA, DI BENEDETTO
Abolizione della concessione di contributi pubblici alle scuole private paritarie
Presentata il 27 novembre 2013


      

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Onorevoli Colleghi! Il dibattito sul tema della parità delle istituzioni scolastiche private si è gradualmente trasformato in un vero e proprio scontro, spostandosi progressivamente sulla legittimità e opportunità del finanziamento pubblico, anche a fronte di consistenti riduzioni delle risorse destinate alla scuola pubblica statale.
      La discussione in questo momento storico assume particolare rilevanza anche alla luce del controverso e contrastato referendum consultivo tenuto a Bologna lo scorso 26 maggio sull'utilizzo delle risorse finanziarie comunali, che vengono erogate alle scuole dell'infanzia paritarie a gestione privata secondo un consolidato sistema di convenzioni. Dunque, i cittadini bolognesi sono stati chiamati ad esprimersi sull'abolizione o meno del contributo economico alle scuole paritarie convenzionate. La discussione, relativa al quesito referendario, che ha toccato livelli di scontro molto alti, si è inevitabilmente spostata dal livello locale a quello nazionale. Onore al merito del comitato referendario di Bologna «Articolo 33», che ha apertamente affrontato il problema del finanziamento pubblico delle scuole private. Si deve ammettere che, con buona pace della Costituzione, i finanziamenti diretti e indiretti alle suddette scuole paritarie non sono mai mancati; inoltre, con la legge e i decreti attuativi sull'autonomia scolastica sono progressivamente aumentati gli interventi e le ingerenze del privato nella scuola statale, dai contributi pseudo-volontari delle famiglie, agli accordi di rete scuola-azienda, agli sponsor, alla nascita di scuole aziendali e confindustriali, alle convenzioni e alle privatizzazioni delle scuole pubbliche per la fascia da 0 a 6 anni. La posta messa in gioco dal referendum di Bologna è stata altissima e ha svelato un sottobosco di ipocrisie, di manipolazioni della realtà, di ideologismo inteso come falsa coscienza, addirittura si è arrivati ad accusare il comitato referendario di richiamare la Costituzione in modo pretestuoso. Del resto la Costituzione parla chiaro: la Repubblica istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. I privati che vogliano creare le loro scuole, confessionali e no, possono farlo ma senza oneri per lo Stato. Un centinaio di intellettuali, associazioni e cittadini hanno sostenuto il referendum contro i finanziamenti alle scuole private paritarie, appoggiando un'iniziativa non aggressiva nei confronti dei privati e rispettosa dei diritti e degli obblighi della Repubblica: infatti secondo la Costituzione le scuole private si possono liberamente istituire, senza oneri per lo Stato; la Costituzione prevede inoltre che sia la Repubblica a istituire le scuole statali, di ogni ordine e grado, pertanto, quando ci sono difficoltà economiche, come accade ora, bisogna prima di tutto garantire il necessario per la scuola statale, sempre più impoverita di mezzi e risorse.
      Gli argomenti contro il referendum, peraltro, sono quelli che discendono da un'infelice interpretazione giuridica e politica, che ha voluto aggirare la chiara lettera della Costituzione con un'operazione opportunistica e strumentale: distinguere «finanziamenti» da «oneri» e battezzare come «pubblico» un sistema in cui i privati sono parte integrante, sono espedienti di basso livello. Si è detto anche che il finanziamento pubblico permette allo Stato di risparmiare, ma dovrebbe essere chiaro che non si siamo di fronte a un'operazione contabile, ma si tratta della qualità dell'azione pubblica, del modo con cui lo Stato adempie ai suoi doveri nei confronti dei cittadini. Evidentemente la consapevolezza di tali doveri si è assai affievolita in questi anni, e le conseguenze di questa deriva sono davanti a noi. Al di là delle disquisizioni accademiche e delle polemiche relative al tema del finanziamento pubblico alle scuole private paritarie, il risultato del referendum di Bologna parla chiaro: nonostante che una larga alleanza di forze politiche ed economiche abbia sostenuto l'opzione B, favorevole al finanziamento, i cittadini, scegliendo l'opzione A, invece, hanno colto lo spirito democratico e propositivo di questo appuntamento e hanno difeso la scuola pubblica con il proprio impegno e la propria partecipazione, per rilanciarla come una priorità della politica. Oggi le ragioni della scuola pubblica statale escono rafforzate dal referendum di Bologna, lanciando un messaggio al Paese: la scuola di tutti, laica e gratuita, è un bene comune e deve rimanere un diritto come sancito dalla nostra Costituzione.
      Il quadro normativo relativo al finanziamento alle scuole private paritarie non può prescindere dall'articolo 33 della Costituzione, più volte citato. Tutte le disposizioni che sono seguite, a partire dai decreti del Ministro della pubblica istruzione n. 261 dell'8 giugno 1998 e n. 279 del 19 novembre 1999 (Ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer, dei democratici di sinistra), in materia di concessione di contributi alle scuole secondarie legalmente riconosciute e pareggiate, costituiscono il presupposto per la successiva sistematica e regolare concessione di finanziamenti alle scuole private. Il Governo D'Alema-bis con la legge n. 62 del 2000 sancisce l'entrata a pieno titolo nel sistema di istruzione nazionale delle scuole private, che pertanto devono essere trattate «alla pari» anche sul piano economico. La legge prevede anche: l'applicazione anche alle scuole paritarie del trattamento fiscale riservato agli enti senza fini di lucro; l'istituzione di fatto dei buoni scuola statali (stanziamento di 300 miliardi di lire a decorrere dal 2001); l'aumento di 60 miliardi di lire dello stanziamento per i contributi per il mantenimento di scuole elementari parificate; l'aumento di 280 miliardi di lire dello stanziamento per le spese di partecipazione alla realizzazione del sistema prescolastico integrato; lo stanziamento di un fondo di 7 miliardi di lire per favorire l'inserimento dei disabili nelle scuole private e la costruzione delle strutture necessarie. Il Governo Berlusconi, ministro Letizia Moratti, con il decreto ministeriale n. 27 dell'11 febbraio 2005 apporta le seguenti innovazioni: non si parla più di «concessione di contributi» ma di «partecipazione alle spese delle scuole secondarie paritarie»; è abbassata la soglia di alunni per classe (da dieci a otto per l'accesso ai contributi); vengono innalzati i livelli massimi dei contributi (12.000 euro per una scuola media inferiore, 18.000 per una scuola media superiore); sono più che raddoppiati i finanziamenti per i progetti formativi (da circa 6 milioni di euro ad oltre 13 milioni).
      La legge n. 62 del 2000, sancendo che il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali e disponendo che la Repubblica individua come obiettivo prioritario l'espansione dell'offerta formativa, ha, inoltre, indicato le condizioni alle quali è subordinato il riconoscimento della parità.
      In particolare, le scuole non statali sono riconosciute, a domanda, scuole paritarie e, pertanto, sono abilitate al rilascio di titoli di studio aventi valore legale, se posseggono i seguenti requisiti: un progetto educativo in armonia con i princìpi della Costituzione e un piano dell'offerta formativa conforme con gli ordinamenti e le disposizioni vigenti; accoglienza di chiunque, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni con handicap o in condizioni di svantaggio; bilanci pubblici; disponibilità di locali, arredi e attrezzature idonee; organi collegiali improntati alla partecipazione democratica; personale docente fornito del titolo di abilitazione all'insegnamento e assunto nel rispetto del contratto collettivo nazionale di lavoro; organica costituzione di corsi completi.
      Alle scuole paritarie è assicurata piena libertà per quanto concerne l'orientamento culturale e l'indirizzo pedagogico-didattico.
      Il progetto educativo indica l'eventuale ispirazione di carattere culturale o religioso; non sono comunque obbligatorie per gli alunni le attività extra-curriculari che presuppongono o esigono l'adesione ad una determinata ideologia o confessione religiosa.
      È poi prevista la valutazione nell'ambito del sistema nazionale di valutazione e il controllo ministeriale circa il possesso e la permanenza dei requisiti per il riconoscimento della parità.
      La stessa legge n. 62 del 2000, ha posto il tema del finanziamento della scuola privata in termini nuovi, avendo esplicitamente previsto, nell'ottica della costruzione di uno statuto generale della scuola pubblica (statale, degli enti locali e privata paritaria), l'erogazione di contributi mediante borse di studio a favore degli iscritti alle scuole rientranti nel sistema nazionale di istruzione.
      In particolare, la legge ha previsto un piano straordinario di finanziamento delle regioni e delle province autonome, da utilizzare a sostegno della spesa sostenuta dalle famiglie per l'istruzione, mediante l'assegnazione di borse di studio di pari importo per gli alunni delle scuole statali e paritarie. I criteri per la ripartizione di tali somme tra le regioni e le province autonome e per l'individuazione dei beneficiari, in relazione alle condizioni reddituali delle famiglie, sono stati rimessi ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (articolo 1, commi 9-12, della legge n. 62 del 2000decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001, n. 106).
      La ripartizione degli stanziamenti è effettuata annualmente con decreto ministeriale: per l'anno 2012, il decreto ministeriale 10 luglio 2012 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 167 del 19 luglio 2012) ha ripartito euro 10.709.859.
      Inoltre, ha disposto l'incremento degli stanziamenti annui già previsti in bilancio a favore delle scuole elementari parificate e delle scuole materne non statali, rispettivamente, per l'importo di 60 miliardi di lire (pari a circa 31 milioni di euro), e di 280 miliardi di lire (pari a circa 144,6 milioni di euro (articolo 1, comma 13) e ha autorizzato uno stanziamento (7 miliardi di lire annui – pari a circa 3,6 milioni di euro) a sostegno delle scuole che accolgono alunni con handicap (articolo 1, comma 14).
      Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con circolare n. 31 del 18 marzo 2003, ha poi organizzato in un testo coordinato le indicazioni fornite fino a quel momento in merito all'applicazione della legge n. 62 del 2000.
      Il quadro normativo delineato dalla legge n. 62 del 2000 è stato completato negli anni successivi.
      In particolare, l'articolo 1-bis del decreto-legge n. 250 del 2005 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2006) – oltre ad adeguare la disciplina delle scuole non statali recata dal testo unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994 alle disposizioni sulla parità scolastica introdotte dalla legge n. 62 del 2000, riconducendo le diverse tipologie di scuole non statali previste alle categorie di scuole paritarie riconosciute e scuole non paritarie – ha previsto che la frequenza delle scuole paritarie costituisce assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione (di cui al decreto legislativo n. 76 del 2005) e che la parità è riconosciuta con provvedimento del dirigente dell'ufficio scolastico regionale (invece che dal Ministero). Ha, inoltre, affidato ad un regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988 (intervenuto con il decreto ministeriale 29 novembre 2007, n. 267, che prevedeva, a sua volta, l'emanazione di apposite linee guida, cui è stato dato seguito con decreto ministeriale n. 83 del 10 ottobre 2008), la definizione delle modalità procedimentali per il riconoscimento della parità scolastica e per il suo mantenimento.
      L'articolo 2, comma 7, della legge n. 289 del 2002 ha poi previsto un contributo alle famiglie per la frequenza di scuole paritarie (cosiddetto «buono scuola»), autorizzando a tal fine la spesa nel limite massimo di 30 milioni di euro per ciascuno degli esercizi finanziari dal 2003 al 2005. L'individuazione di un limite di reddito per l'accesso al beneficio è stata soppressa dall'articolo 14, comma 8-bis, del decreto-legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005.
      I relativi criteri sono stati definiti con decreto ministeriale 28 agosto 2003, che ha specificato che il contributo è corrisposto a parziale rimborso delle spese sostenute per il pagamento delle rette scolastiche.
      Va ricordato, inoltre, che l'articolo 3, comma 101, della legge finanziaria per il 2004 (legge n. 350 del 2003) ha, tra l'altro, destinato una quota del Fondo per le politiche sociali (per l'importo massimo di 100 milioni di euro complessivi negli esercizi 2004-2006) alle finalità di cui al citato articolo 2, comma 7, della legge n. 289 del 2002; la disposizione, tuttavia, è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 423 del 2004, in quanto lesiva dell'autonomia finanziaria delle regioni, ribadendo la Corte l'inammissibilità di finanziamenti caratterizzati da vincoli di destinazione in ambiti in cui le funzioni non spettano allo Stato. L'articolo 138, comma 1, lettera e), del decreto legislativo n. 112 del 1998, infatti, ha attribuito alle regioni la competenza amministrativa relativa ai contributi alle scuole non statali.
      In seguito, l'articolo 1, comma 635, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006), al fine di dare il necessario sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell'ambito del sistema nazionale di istruzione, ha disposto che, a decorrere dal 2007, gli stanziamenti, iscritti nelle unità previsionali di base «Scuole non statali» sono incrementati complessivamente di 100 milioni di euro, da destinare prioritariamente alle scuole dell'infanzia.
      Sul punto è però intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2008. La Corte, affrontando unitamente varie questioni, ha dichiarato incostituzionale, per violazione dell'autonomia legislativa e finanziaria delle regioni, l'erogazione di uno stanziamento statale vincolato relativo ad un settore ricadente nelle funzioni amministrative di competenza regionale. La medesima sentenza ha, tuttavia, fatto salvi gli eventuali procedimenti in corso, anche se non esauriti, a garanzia della continuità di erogazione di finanziamenti inerenti a diritti fondamentali dei destinatari.
      Il comma 636 dello stesso articolo 1 della legge n. 296 del 2006 ha poi rinviato a un decreto annuale del Ministro dell'istruzione la definizione dei criteri per l'assegnazione dei contributi alle scuole paritarie, stabilendo che questi ultimi sono attribuiti, in via prioritaria, alle strutture che svolgono il servizio scolastico senza fini di lucro (ai sensi dell'articolo 1, comma 8, della legge n. 6 del 2000, alle scuole paritarie senza fini di lucro si applica il medesimo trattamento fiscale riservato agli enti senza fini di lucro) – possono accedere ai contributi, infatti, anche le scuole con fini di lucro – e che l'ordine di concessione è: scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di primo e secondo grado.
      Per l'anno 2012/2013 è intervenuto il decreto-ministeriale 30 gennaio 2013, il cui articolo 1, sostanzialmente riprendendo il concetto già presente nell'articolo 1, comma 635, della legge n. 296 del 2006, prevede che i contributi sono erogati al fine di sostenere la funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell'ambito del sistema nazionale di istruzione.
      Relativamente all'allocazione dei fondi, si ricorda che le risorse destinate alle scuole non statali sono allocate nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nel Programma 1.9 – Istituzioni scolastiche non statali, nell'ambito della Missione 1 – Istruzione scolastica. Al programma afferiscono i capitoli 1299 (Somme da trasferire alle regioni per il sostegno alle scuole paritarie), 1477 (Contributi alle scuole paritarie comprese quelle della Valle d'Aosta), nonché 2193 (Assegnazione annua a favore della Scuola europea di Ispra – Varese). Per il 2013 risultano disponibili euro 501,9 milioni di euro (decreto ministeriale 31 dicembre 2012).
      Risulta evidente dall'esposto quadro normativo che da oltre quindici anni a tali attenzioni per la scuola privata sono equivalse pari disattenzioni per la scuola pubblica, che ha assistito ad un crescendo rossiniano di privazioni, tagli, edifici fatiscenti al limite se non oltre il rispetto della legge sulla sicurezza dei luoghi pubblici, umiliazioni per il corpo docente e il personale amministrativo, tecnico e ausiliario. Sarebbe auspicabile che la Corte costituzionale prendesse in carico la questione dirimendone le illiceità e garantendone i diritti. La scuola privata può esistere perché assolve ad un servizio pubblico e perché la Costituzione ne garantisce l'esistenza. Ma è inaccettabile il paradosso che il cittadino debba pagare (con le imposte) una scuola privata che non vuole e che debba inoltre pagare due volte per quella pubblica: una attraverso le stesse imposte e la seconda volta brevi manu per acquistare tutto quello che la scuola pubblica ormai non riesce più a garantire assistendo, inoltre, al progressivo sfaldamento di questo servizio pubblico fondamentale per il futuro del nostro paese. Verrebbe inoltre da chiedersi se i tagli in atto al Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche (FIS) che mutilano di fatto il miglioramento dell'offerta formativa (MOF) non siano contrari all'articolo 3 della – Costituzione che – ricordiamolo – prescrive il diritto all'eguaglianza e il dovere dello Stato di rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Non ci vuole molto a capire che se la scuola pubblica continua così non garantirà mai più il «pieno sviluppo della persona umana» e, dunque, sarà lo stesso Stato ad ostacolare attraverso norme discutibili la libertà e l'eguaglianza tra i suoi giovani cittadini.
      In sintesi, le scuole non statali ricevono oggi denaro pubblico sotto forma di:

          sussidi diretti, per la gestione di scuole dell'infanzia e primarie (ex parificate);

          finanziamenti di progetti finalizzati all'elevazione di qualità ed efficacia delle offerte formative di scuole medie e medie superiori;

          contributi alle famiglie dell'importo massimo di 300 euro, denominati «buoni scuola» e disponibili solo per la scuola dell'obbligo.

          Tante sono le tesi contrarie al sostegno alla scuola privata. Le esponiamo qui di seguito per capi.

Incostituzionalità dei finanziamenti.

      L'articolo 33 della Costituzione della Repubblica italiana stabilisce che «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». Per questo i costi dovrebbero essere sostenuti unicamente dagli studenti attraverso le rette scolastiche; i buoni scuola nel complesso costituiscono una spesa per lo Stato e i finanziamenti diretti contraddicono la lettera dell'articolo.
      D'altra parte, secondo l'articolo 34 della Costituzione, «La scuola è aperta a tutti», cosa che non è vera per le scuole private nelle quali i dirigenti possono decidere se accettare o no un'iscrizione; «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi» e questo viene reso loro possibile grazie alla gratuità di gran parte del percorso scolastico statale; inoltre «La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso» e che devono poter coprire tutte le esigenze degli studenti, senza essere assorbite da rette scolastiche per le scuole private, visto che gli studenti meritevoli dovrebbero poter studiare senza necessità di lavorare anche quando la famiglia non fosse in grado di mantenerli.

Scarsi finanziamenti statali alla scuola pubblica.

      I contrari al finanziamento alle scuole private puntano l'indice anche sugli scarsi finanziamenti statali alla scuola pubblica. Nello studio Education at a glance 2011, l'Organizzazione e la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) afferma che nel 2008 l'Italia ha speso il 4,8 per cento del prodotto interno lordo per l'istruzione, ovvero 1,3 punti percentuali in meno rispetto al totale OCSE del 6,1 per cento (collocandosi al ventinovesimo posto su trentaquattro Paesi) (Tabella B2.1). Inoltre, tra il 2000 e il 2008, la spesa sostenuta dagli istituti d'istruzione per studente è aumentata solo del 6 per cento (rispetto alla media OCSE del 34 per cento). Si tratta del secondo incremento più basso tra i 30 Paesi considerati (Tabella B1.5). Diversamente da altri Paesi membri dell'OCSE, la spesa per studente non aumenta notevolmente in base al livello d'istruzione: in Italia, la spesa passa da 8.200 dollari al livello pre-primario a 9.600 dollari al livello terziario, rispetto all'aumento medio nell'area OCSE da 6.200 dollari al livello pre-primario a 13.700 dollari al livello terziario. Gli insegnanti delle scuole secondarie inferiori raggiungono, in media nei Paesi dell'OCSE, il livello più alto della loro fascia retributiva dopo ventiquattro anni di servizio, mentre in Italia ciò avviene solo dopo trentacinque anni di servizio (Tabella D3.1). Nei Paesi dell'OCSE, tra il 2000 e il 2009, gli stipendi degli insegnanti sono aumentati in media del 7 per cento in termini reali, ma in Italia sono leggermente diminuiti (-1 per cento) (Tabella D3.3).

Scuola pubblica e scuola privata in Italia secondo l'OCSE.

      I sostenitori della scuola pubblica italiana ribadiscono l'alto livello di quest'ultima nei confronti di quella privata. Infatti la stessa OCSE conferma che la capacità di lettura tra studenti quindicenni della scuola privata e della scuola pubblica propende nettamente a favore della scuola pubblica. Il divario a favore della scuola pubblica è il più alto rispetto agli altri Paesi considerati dall'OCSE. Infatti l'OCSE scrive: «In Ungheria, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Nuova Zelanda e nel Regno Unito le differenze nelle prestazioni, corrette per i fattori socio-economici dell'ambiente di provenienza sia degli studenti

che delle scuole, pendono in grado statisticamente significativo a favore delle scuole pubbliche» (Chart CI.3). Inoltre i sostenitori della scuola pubblica ribadiscono il miglior clima disciplinare nelle scuole italiane pubbliche rispetto a quelle private. Infatti – sempre per l'OCSE – il clima disciplinare nelle scuole pubbliche italiane è migliore.

Diffusione del lavoro sommerso nell'istruzione privata.

      L'ISTAT ha calcolato che nel 2008 i dipendenti irregolari nel settore dell'istruzione privata erano 17.200 mentre nel 2009 si è passati a 19.000 ( 10,5 per cento).
      La sconsiderata politica dei tagli nella precedente legislatura nel solo settore scuola e dell'università ha tolto 7.565 milioni di euro all'istruzione, università e ricerca, con un taglio alla voce di bilancio dello Stato che passa, negli ultimi cinque anni, dal 10,6 per cento al 9,1 per cento producendo un processo di impoverimento culturale e sociale che mina la stabilità del vivere civile e solidale, relegando l'Italia agli ultimi posti in Europa in quanto a investimenti nell'istruzione, quando invece Germania e Francia investono fino a dieci volte più del nostro Paese.
      I tagli lineari effettuati nella scuola, compresi i pesanti tagli ai fondi MOF e FIS che solo nell'ultimo anno sono stati decurtati del 33 per cento hanno comportato, tra l'altro, il ridimensionamento della rete scolastica, la riduzione del tempo pieno, l'impossibilità di svolgere attività laboratoriali e in compresenza, una complessiva riduzione dei servizi e delle offerte formative (come i corsi di recupero e potenziamento) fino a una grave carenza di risorse per l'ordinario funzionamento delle scuole.
      Dal settembre 2008 al settembre 2013 il numero degli alunni dalla prima classe della scuola primaria all'ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado è cresciuto di 90.990 unità e, in uno sviluppo normale del rapporto discente-docente, questa crescita avrebbe dovuto significare 9.000 insegnanti in più: al contrario, in cinque anni ci sono stati 81.614 docenti in meno.
      Sempre nei cinque anni presi in considerazione, le classi sono diminuite di 9.285 unità, mentre ne sarebbero servite 4.500 in più (con una media di venti alunni per aula), vista la forte crescita di iscritti, con la naturale conseguenza che sono aumentate le classi sovraffollate: il limite di venti alunni per classe in presenza di un alunno con disabilità – regola definita per legge – quasi mai viene rispettato.
      A fronte della più bassa percentuale in Europa di spesa pubblica in istruzione (fonte Eurostat), l'Italia ha tagliato in ogni ciclo scolastico: 28.032 posti nella scuola primaria, 22.616 nella secondaria di primo grado, 31.464 nella secondaria di secondo grado; inoltre, con gli accorpamenti, alla fine dell'anno scolastico scompariranno 2.094 scuole (il 20 per cento) e si calcola che sono 557 gli istituti sul territorio senza un preside né un dirigente amministrativo.
      Il precariato scolastico – che conta ormai oltre 200.000 tra insegnanti abilitati e non formalmente abilitati anche se idonei all'insegnamento – è diventato un elemento strutturale del sistema, anche a causa delle suddette politiche che hanno impedito un graduale assorbimento di chi, dopo aver superato procedure concorsuali, frequentato corsi e conseguito titoli abilitanti, per anni ha prestato la propria professionalità, garantendo di fatto il funzionamento della scuola pubblica.
      Pertanto, a fronte di questa situazione, peggiorata da tempi di crisi di tale portata, le scarse risorse disponibili devono in maniera assolutamente prioritaria essere destinate alla scuola pubblica in modo da garantirne la massima funzionalità possibile.
      La presente proposta di legge risponde a tali fini.
      All'articolo 1 sono delineate le finalità della presente proposta di legge e dunque l'abrogazione dei contributi pubblici alle scuole non statali al fine di sostenere il sistema di istruzione pubblico. In particolare, si destinano le rilevanti economie di spesa per la finanza pubblica alla copertura dei costi per il reclutamento del

personale docente ed educativo nelle scuole dell'infanzia, primaria e secondaria di primo e secondo grado.
      All'articolo 2 si abrogano le singole disposizioni che prevedono forme di erogazione di contributi alle scuole private non statali, in particolare:

          alla lettera a) sono abrogati alcuni articoli del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, che prevedono forme di riconoscimento del valore delle iniziative, diverse da quelle statali, di enti e privati. In particolare le disposizioni riguardanti le scuole elementari parificate, che, mediante il sistema delle convenzioni, sono parzialmente finanziate dallo Stato (articoli 344 e 345 del testo unico); le scuole pareggiate, nelle quali la costituzione delle cattedre e il reclutamento e il trattamento economico degli insegnanti sono sottoposti ad un regime analogo a quello delle scuole statali (articolo 356 del testo unico); i licei linguistici «storici», nati come istituzioni private, assunti dalla legge a parametri per la conformità degli ordinamenti di altre istituzioni consimili (articolo 363 del testo unico);

          alla lettera b), numero 1), la disposizione che si va a modificare ha previsto un piano straordinario di finanziamento delle regioni e delle province autonome, da utilizzare a sostegno della spesa sostenuta dalle famiglie per l'istruzione, mediante l'assegnazione di borse di studio di pari importo per gli alunni delle scuole statali e paritarie: pertanto si sopprime l'estensione agli alunni delle scuole paritarie;

          alla lettera b), numero 2), si abroga la norma che dispone l'incremento degli stanziamenti annui già previsti in bilancio a favore delle scuole elementari parificate e delle scuole materne non statali;

          alla lettera c), si abroga l'articolo 2, comma 7, della legge n. 289 del 2002, che ha previsto un contributo alle famiglie per la frequenza di scuole paritarie (cosiddetto «buono scuola»), i cui criteri sono stati definiti con decreto ministeriale 28 agosto 2003, che ha specificato che il contributo è corrisposto a parziale rimborso delle spese sostenute per il pagamento delle rette scolastiche. Si ricorda che l'individuazione di un limite di reddito per l'accesso al beneficio è stata soppressa dall'articolo 14, comma 8-bis, del decreto-legge n. 35 del 2005;

          alla lettera d), si modifica l'articolo 1-bis del decreto-legge n. 250 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2006, che – oltre ad adeguare la disciplina delle scuole non statali recata dal decreto legislativo n. 297 del 1994 alle disposizioni sulla parità scolastica introdotte dalla legge n. 62 del 2000, riconducendo le diverse tipologie di scuole non statali previste dal decreto legislativo alle categorie di scuole paritarie riconosciute e scuole non paritarie – ha previsto che la frequenza delle scuole paritarie costituisce assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione (di cui al decreto legislativo n. 76 del 2005) e che la parità è riconosciuta con provvedimento del dirigente dell'ufficio scolastico regionale (invece che dal Ministero). Ha, inoltre, affidato ad un regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988 (intervenuto con il decreto ministeriale 29 novembre 2007, n. 267, che parimenti si abroga, il quale prevedeva a sua volta, l'emanazione di apposite linee guida, cui è stato dato seguito con decreto ministeriale n. 83 del 10 ottobre 2008) la definizione delle modalità procedimentali per il riconoscimento della parità scolastica e per il suo mantenimento;

          alla lettera e), si abrogano:

              l'articolo 1, comma 635, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006), che, al fine di dare sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell'ambito del sistema nazionale di istruzione, ha disposto che, a decorrere dal 2007, gli stanziamenti, iscritti nelle unità previsionali di base «Scuole non statali», sono incrementati complessivamente di 100 milioni di euro;

              il comma 636 dello stesso articolo 1 della legge n. 296 del 2006 che ha rinviato a un decreto annuale del Ministro della pubblica istruzione la definizione dei criteri per l'assegnazione dei contributi alle scuole paritarie stabilendo che questi ultimi sono attribuiti, in via prioritaria, alle strutture che svolgono il servizio scolastico senza fini di lucro – possono accedere ai contributi, infatti, anche le scuole con fini di lucro – e che l'ordine di concessione è: scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di primo e secondo grado.

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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. La presente legge dispone l'abolizione dei contributi pubblici alle scuole private paritarie. Le economie di spesa derivanti dall'attuazione delle disposizioni della presente legge sono destinate alla copertura dei costi per il reclutamento del personale docente ed educativo nelle scuole dell'infanzia, primaria e secondaria di primo e di secondo grado.

Art. 2.

      1. Ai fini di cui all'articolo 1:

          a) gli articoli 344, 345, 356 e 363 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sono abrogati;

          b) all'articolo 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62, sono apportate le seguenti modificazioni:

              1) al comma 9, le parole: «e paritarie» sono soppresse;

              2) il comma 13 è abrogato;

          c) il comma 7 dell'articolo 2 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, è abrogato;

          d) all'articolo 1-bis, comma 6, del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

              1) al quarto periodo, le parole: «, quelle di cui all'articolo 345» sono soppresse;

              2) il quinto e il sesto periodo sono soppressi;

          e) i commi 635 e 636 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono abrogati;

          f) il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 gennaio 2008, n. 23, è abrogato.

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