Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 2988


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
D'INCECCO, CAPONE, CARLONI, CASATI, DELL'ARINGA, GIULIETTI, INCERTI, IORI, MAGORNO, OLIVERIO, PREZIOSI, VENITTELLI
Disposizioni in materia di definizione dell'atto medico e di responsabilità professionale medica
Presentata il 25 marzo 2015


      

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Onorevoli Colleghi! Da 2.500 anni la professione medica ha una sua connotazione ben consolidata in tutti i popoli; ha attraversato nel corso dei secoli cambiamenti e rivoluzioni ben più profondi di quelli che viviamo oggi mantenendo le stesse sostanziali caratteristiche e la stessa accezione nell'immaginario collettivo e individuale.
      È attualmente in corso, non solo nel nostro Paese, un importante dibattito, ma spesso artificioso e strumentale, su ciò che alcuni definiscono «cambiamento della figura del medico», anche per quanto concerne la carente legislazione sulla responsabilità in capo al medico nell'esercizio della medicina.
      La funzione medica, dotata dei formidabili strumenti clinico-assistenziali di prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione, frutto di venticinque secoli di attività e di studio dei medici stessi, è oggi però talvolta condivisa e talaltra condizionata o sostituita dai tanti attori del mondo della sanità e dalle tante nuove professioni sanitarie sviluppatesi nell'ultimo secolo: si vuole dimenticare la centralità del rapporto tra medico e paziente mediante travisamenti e talora forzature in un momento storico in cui sempre più il malato chiede un medico a cui affidarsi.
      Si ritiene da più parti che i tempi siano maturi per approvare una legge che recepisca l'importante e puntuale giurisprudenza prodotta in Italia sull'atto medico. Essa è ormai indispensabile per i cittadini utenti del Servizio sanitario nazionale, nonché per tutti gli operatori e amministratori della sanità.
      È indispensabile per la materia che trattiamo un velocissimo sguardo al passato, perché Confucio, nel 500 avanti Cristo (aC), diceva di studiare il passato se si vuole capire il futuro; la funzione medica così chiaramente definita da 2.500 anni di storia della medicina, coincide con quella oggi percepita e, come indicato in seguito, con quella delineata dalla giurisprudenza e dalla Corte costituzionale.
      Questa storia, la storia della medicina di oggi, comincia da Ippocrate (460-360 aC).
      Vediamo alcune tappe significative. Ippocrate: rivoluzionò il concetto di medicina associata alla teurgia e alla filosofia; insegnò ad affrontare razionalmente le manifestazioni morbose; inventò la cartella clinica; fondò la scienza medica conferendole per la prima volta carattere autonomo; insegnò lo studio sistematico delle conoscenze mediche (Corpus Hippocraticum); stabilì la medicina come professione e pose i fondamenti dell'etica medica con il giuramento, tuttora valido a livello internazionale.
      Galeno (130-200 dopo Cristo), dell'epoca romana, punto di riferimento per secoli, per la farmacologia e per molto altro, come fu anche Avicenna (980-1037) con il suo «Canone della Medicina», medico e filosofo del Medioevo di origine musulmano-islamica. Giovan Battista Morgagni (1682-1771) e la definitiva correlazione tra i quadri anatomo-patologici e quelli clinici, Robert Koch (1843-1910) e lo studio etiopatogenetico delle grandi malattie, Alexander Fleming (1881-1955) e l'inizio dell'era degli antibiotici, George Papanicolaou (1883-1962) e la grande diagnostica (Pap Test) e arriviamo all'epoca moderna della grande ricerca molecolare con la nostra Rita Levi Montalcini (1909-2012) e della medicina dei trapianti con Christian Barnard (1922-2001). E ancora, l'epoca degli organi artificiali, l'olandese Wilelm Kolff (1911-2009), che nei primi anni quaranta ha inventato il rene artificiale, l'apparecchio per la dialisi: oggi milioni di persone vivono grazie a lui.
      Esempi che ci dicono che la medicina da 2.500 anni coincide con l'azione e con l'intuizione di singoli medici che hanno interpretato e adattato i progressi della scienza, della tecnologia, della società, della politica, dell'industria delle scienze gestionali e organizzative al loro lavoro, alla cura del paziente, nonché alle esigenze riscontrate e osservate sul campo.
      Ma proprio la funzione medica, l'atto medico, ancorché in assenza di una specifica legge, sono chiaramente delineati e definiti dalla Corte costituzionale e dalla Suprema corte di cassazione e anche, in parte, dalla Costituzione. Ne scaturisce chiaramente il dovere del medico anche di disattendere disposizioni di varia natura contrastanti a suo giudizio con l'interesse del paziente poiché egli è il garante del paziente.
      Va sottolineato che la funzione e l'attività medica sono ricorrentemente citate come arte medica.
      Rispetto alla Costituzione il diritto all'autonomia tecnico-operativa del medico nell'esercizio della sua attività trova fondamento, sul piano scientifico, negli articoli 9, primo comma e 33, primo comma, che tutelano la ricerca scientifica e la libertà della scienza e della sua applicazione pratica e sul piano della solidarietà sociale, nell'articolo 2.
      Ma l'aspetto più qualificante dell'indipendenza professionale del medico è funzionale alla realizzazione dell'interesse del diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione, che consegna al ruolo di garanzia del medico la tutela di questo diritto. Con le sue sentenze, e, in particolare, con le sentenze n. 185 del 1998, n. 121 del 1999, n. 188 del 2000, n. 282 del 2002 e n. 338 del 2003, la Corte costituzionale ha stabilito il principio dell'autonomia terapeutica del medico rispetto perfino al legislatore: «Non è di norma il legislatore a dover stabilire quali sono le pratiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni poiché la pratica dell'arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali che sono in continua evoluzione. La regola di fondo di questa materia è costituita dall'autonomia e dalla responsabilità del medico che con il consenso del paziente opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a sua disposizione».
      Sono riservati al medico la scelta terapeutica e la libera valutazione del singolo caso sottoposto al suo esame nonché l'adeguamento dei protocolli alle condizioni particolari del paziente che ha in cura. La Corte di cassazione, IV sezione penale, con una serie di sentenze ha evidenziato quanto di seguito riportato «(...) l'arte medica, mancando per sua stessa natura, di protocolli a base matematica e cioè di pre-dimostrata rigorosa successione di eventi, spesso prospetta diverse pratiche o soluzioni che l'esperienza ha dimostrato efficaci, da scegliere oculatamente in relazione a una cospicua quantità di varianti che, legate al caso specifico, solo il medico, nella contingenza della terapia, può apprezzare (...) questo concetto non può essere compresso a nessun livello né disperso per nessuna ragione, pena la degradazione del medico a livello di semplice burocrate, con gravi rischi per la salute di tutti (...) è doveroso attenersi a un complesso di esperienze che va solitamente sotto il nome di dottrina, quale compendio della pratica nella materia, sulla base della quale si formano le leges artis, cui il medico deve attenersi dopo attenta e completa disamina di tutte le circostanze del caso specifico, scegliendo, tra le varie condotte terapeutiche, quella che l'esperienza indica come la più appropriata (...) una volta effettuata la scelta, il medico deve restare vigile osservatore dell'evolversi della situazione in modo da poter subito intervenire ove dovessero emergere concreti sintomi e far ritenere non appropriata, nello specifico, la scelta operata e necessario un aggiustamento di rotta o proprio una inversioni (...) Quando tutto ciò sia stato realizzato, il medico non può poi rispondere dell'insuccesso (...) e pagare non per un errore nella cura ma per il verificarsi del rischio insito in ogni scelta terapeutica in sé, ignorandosi a quale esito l'altra possibile opzione avrebbe approdato» (sentenza n. 2865 del 2011).
      «(...) la direttrice del medico non può che essere quella di rapportare le proprie decisioni solo alle condizioni del malato, del quale è, comunque, responsabile (...) i princìpi fondamentali che regolano, nella vigente legislazione, l'esercizio della professione medica, richiamano da un lato il diritto fondamentale dell'ammalato di essere curato ed anche rispettato come persona, dall'altro, i principi dell'autonomia e della responsabilità del medico, che di quel diritto si pone quale garante nelle sue scelte professionali (...) a nessuno è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute, né di diramare direttive che, nel rispetto della prima, pongano in secondo piano le esigenze dell'ammalato. Mentre il medico, che risponde anche ad un preciso codice deontologico, che ha in maniera più diretta e personale il dovere di anteporre la salute del malato a qualsiasi altra diversa esigenza e che si pone, rispetto a questo, in una chiara posizione di garanzia, non è tenuto al rispetto di quelle direttive, laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente e non può andare esente da colpa ove se ne lasci condizionare, rinunciando al proprio compito e degradando la propria professionalità e la propria missione a livello ragionieristico (...) nel praticare la professione dunque, il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato (...) senza farsi condizionare da esigenza di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge ed alle conseguenti relative responsabilità» (sentenza n. 1873 del 2010).
      «(...) le linee guida non devono essere ispirate a esclusive logiche di economicità della gestione, sotto il profilo del contenimento delle spese, in contrasto con le esigenze di cura del paziente (...) il medico ha il dovere di disattendere indicazioni stringenti dal punto di vista economico che si risolvano in un pregiudizio del paziente» (sentenza n. 11493 del 2013).

      «Il medico deve manifestare formalmente il dissenso verso determinazioni di colleghi gerarchicamente sovraordinati se ritiene le loro scelte contrastanti con leggi aggiornate dell'arte medica» (sentenza n. 26966 del 2013).
      È inoltre, molto indicativa la sentenza del Tribunale amministrativo regionale (TAR) del Friuli Venezia Giulia n. 93 del 20 febbraio 2015 che afferma che «L'indagine radiologica deve essere qualificata come atto medico di esclusiva competenza dello specialista medico radiologo, cui va, pertanto, demandata la valutazione dell'esame in concreto sia per giustificare l'effettuazione dello stesso sia per valutarne l'utilità diagnostica. Tale “riserva” di competenza a favore del medico radiologo trova conforto non solo nelle disposizioni normative invocate dai ricorrenti medesimi, che pongono a carico di tale specialista la responsabilità clinica e radioprotezionistica dell'esame (articolo 5, comma 2, decreto legislativo 26 maggio 2000, n. 187: “Ogni esposizione medica di cui all'articolo 1, comma 2, è effettuata sotto la responsabilità dello specialista”), fatte salve la (limitata) possibilità di svolgere attività radiodiagnostiche complementari da parte del medico chirurgo specialista o dell'odontoiatria per lo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina, purché contestuali, integrate e indilazionabili, rispetto all'espletamento della procedura specialistica e la delegabilità dei (soli) aspetti pratici per l'esecuzione della procedura o di parte di essa al tecnico sanitario di radiologia medica o all'infermiere o all'infermiere pediatrico, nell'ambito delle rispettive competenze professionali (articolo 5, comma 3, decreto legislativo cit.), ma anche soprattutto nelle disposizioni di cui all'articolo 3, comma 4, e 5, comma 1, del medesimo decreto».
      Si cita inoltre la sentenza del Consiglio di Stato (III sezione) del 29 gennaio 2015 per la quale il fisioterapista può erogare prestazioni al singolo paziente solo su prescrizione del fisiatra o di medico specialista e può utilizzare solo alcune apparecchiature elettromedicinali.
      «(...) pone in evidenza la centralità e la responsabilità del ruolo del medico nel percorso/progetto/programma terapeutico nell'area della riabilitazione e quindi la previsione del controllo di un medico fisiatra, con la diagnosi, l'individuazione e la prescrizione della terapia (...) ne consegue che le disposizioni regionali in contestazione non si appalesano lesive delle competenze professionali del fisioterapista, come peraltro sostenuto anche nella giurisprudenza di altri TAR (Sicilia – Catania, sez. II, n. 238 del 2003; T.A.R. Lazio – Roma, sez. III, n. 1792 del 2012), posto che l'autonomia delle diverse competenze degli operatori sanitari si inserisce necessariamente e si armonizza nel ridetto sistema normativo, volto ad assicurare la omogenea tutela della salute e l'uniformità dei livelli assistenziali su tutto il territorio nazionale (...) l'autonomia del fisioterapista può svolgersi, in coerenza col sistema normativo nazionale, solo nel presupposto delle prescrizioni indicate dal medico fisiatra, quale coordinatore dell’equipe riabilitativa (...) emergono così concrete indicazioni circa l'ambito delle competenze del fisioterapista e la delimitazione delle stesse rispetto a quelle proprie del medico specialista che, si rammenta, è responsabile della predisposizione delle attività terapeutiche e del progetto riabilitativo anche se la sua elaborazione è frutto di un lavoro di equipe».
      Infine sono da riportare autorevoli pareri di giuristi che evidenziano due emblematiche peculiarità del ruolo medico:

          1) «Se il medico riscontra la non conferenza delle indicazioni provenienti dalla comunità scientifica rispetto alle particolarità del suo caso, o la non efficacia delle applicazioni di esse, avrà non solo la facoltà, bensì l'obbligo di discostarsene e di abbandonarle, per porre in essere altri e diversi tentativi di trattamento terapeutico.
      L'autonomia responsabile del medico, con la posizione di garanzia che l'ordinamento gli assegna, conducono alla conclusione

che il medico, e solo lui, rimane il dominus incontrastato e incontrastabile del caso del paziente che assiste» (Gianfranco Iadecola);

          2) «i medici possono non ottemperare alle norme dell'ordinamento qualora queste contrastino con gli scopi della professione medica» (Vincenzo Carbone).

      Nel contesto delle evidenze citate relativamente allo spirito e all'essenza stessi che animano l'attività del medico, è opportuno citare anche l'articolo 25 del Codice deontologico europeo: il medico è tenuto a rivolgersi all'opinione pubblica quando ritiene che ci siano delle disfunzioni nella struttura in cui lavora e vengono ignorate le richieste di rimediare. E d'altronde il paziente, come ribadito ripetutamente dalla consuetudine e dalle norme, ha il diritto di essere adeguatamente informato sul dove e come ricevere in sicurezza le cure più adeguate al proprio caso.
      La Federazione italiana delle società medico-scientifiche, l'importante organizzazione clinico-scientifica che rappresenta 184 società e oltre 100.000 medici clinici, analizzando la situazione attuale dei medici italiani, ha prodotto una chiara definizione di atto medico e di funzione medica: «Nell'ottica della promozione della salute spettano alla competenza esclusiva e non delegabile del medico la prevenzione, la diagnosi e la terapia delle malattie, ottenibili sulla base di un'attenta valutazione clinica e di una ragionata e documentata prescrizione di esami diagnostici e procedure terapeutiche o riabilitative utili alla gestione ottimale del quadro clinico in atto e finalizzato alla possibilità di guarigione.
      L'attuazione di tale principio è di fatto strettamente collegata a contenuti disciplinari che sono oggetto di abilitazione alla professione del medico chirurgo e/o dell'odontoiatra».

      A testimonianza delle comuni problematiche dei medici europei, l'Unione europea dei medici specialisti, ha redatto un'appropriata e completa definizione di atto medico, approvata nella seduta del 25 aprile 2013: «L'atto medico ricomprende tutte le attività professionali, ad esempio di carattere scientifico, di insegnamento, di formazione, educative, organizzative, cliniche e di tecnologia medica, svolte al fine di promuovere la salute, prevenire le malattie, effettuare diagnosi e prescrivere cure terapeutiche o riabilitative nei confronti di pazienti, individui, gruppi o comunità, nel quadro delle norme etiche e deontologiche. L'atto medico è una responsabilità del medico abilitato e deve essere eseguito dal medico o sotto la sua diretta supervisione e/o prescrizione».

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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. L'atto medico comprende tutte le attività professionali di carattere scientifico, di insegnamento, di formazione, educative, organizzative, cliniche e di tecnologia medica svolte al fine di promuovere la salute, di prevenire le malattie, di effettuare diagnosi e di prescrivere cure terapeutiche o riabilitative nei confronti di pazienti, individui, gruppi o comunità, in conformità alle norme etiche e deontologiche.
      2. L'atto medico è una responsabilità del medico abilitato e deve essere eseguito dal medico o sotto la sua diretta supervisione o prescrizione.

Art. 2.

      1. Nell'ambito della promozione della salute spettano alla competenza esclusiva del medico la prevenzione, la diagnosi e la terapia delle malattie, effettuate sulla base di un'attenta valutazione clinica e di una ragionata e documentata prescrizione di esami diagnostici e di procedure terapeutiche o riabilitative finalizzati alla gestione ottimale del quadro clinico in atto e alla guarigione.
      2. Le attività di cui al comma 1 sono oggetto di abilitazione alla professione di medico chirurgo e di odontoiatra e sono previste negli obiettivi formativi degli ordinamenti didattici dei corsi di laurea in medicina e chirurgia e in odontoiatria e protesi dentaria.

Art. 3.

      1. Al medico sono attribuiti la titolarità e la responsabilità di tutte le decisioni relative alla salute del paziente, compresi la conseguente e necessaria unitarietà dei

percorsi clinico-assistenziali che esse comportano e i correlati assetti organizzativi.
      2. Il medico garantisce la tutela della salute anteponendola a qualsiasi altra diversa esigenza e utilizzando la dottrina medica quale compendio della pratica nella materia, per le scelte più appropriate nell'interesse del paziente che segue.
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