Organo inesistente
CAMERA DEI DEPUTATI |
N. 2996 |
Colloquio tra medico e paziente.
La presente proposta di legge presuppone un'alleanza tra medico e paziente, un colloquio aperto che può richiedere tempi più o meno lunghi, perché le domande poste al medico richiedono la capacità di immaginare le emozioni che nascono davanti alla prospettiva della grave disabilità cronica. Il medico sa di avere davanti una persona che sta immaginando come potrebbe vivere una possibile condizione di totale dipendenza dagli altri, in uno stato di non coscienza o di minima coscienza, dove potrebbe sentire tutto senza essere capace di comunicare in modo chiaro con gli altri. Il medico sa che quest'uomo pur facendo delle scelte in apparente totale autonomia, in realtà deve elaborare una serie di condizionamenti emotivi che attentano alla sua libertà e che la irretiscono spingendola verso soluzioni che sembrano più facili e accattivanti. L'uomo si trova a un bivio in cui deve immaginare cosa
vorrebbe fare in circostanze che, inevitabilmente, gli appaiono ostili. Deve immaginare cosa farebbero i suoi familiari, di cui non ignora né la forza né la debolezza; ma deve anche provare a immaginare cosa sarà in grado, di fare la scienza in quel preciso momento. È un colloquio tutt'altro che formale quello che instaura con il suo medico di fiducia, una condizione che mette a nudo la sua anima, i suoi valori e le sue convinzioni, i suoi affetti e i suoi sentimenti. Probabilmente si chiede se i suoi familiari vorranno prendersi cura di lui nonostante sia diventato un peso o se, invece, lo abbandoneranno in qualche struttura, consegnandolo a mani estranee, forse altamente professionali, ma comunque prive di quel calore affettivo di cui nessuno può fare a meno.
Le informazioni che ci si scambia in quel momento non sono i dati asettici del linguaggio della scienza. Si tratta, invece, di dati che richiedono un'interpretazione in cui il medico si mette in gioco per aiutare il paziente a immaginare nuove ragioni per vivere in modo diverso rispetto a quello vissuto fino ad allora. La loro alleanza non si gioca solo sul piano del dire, ma anche sul piano di un possibile fare insieme. Il medico può raccontare esperienze, sollecitare ad andare a vedere, a misurarsi con orizzonti di vita imprevisti fino a quel momento, sapendo che possono offrire nuove modalità per comunicare, per comprendere e farsi comprendere, per amare e farsi amare.
Questa proposta di legge tiene conto di tutto ciò e coglie il senso e la complessità di questa alleanza. La legge parla di solidarietà umana e di capacità di cura in contesti che non sono solo quelli professionali, mette in evidenza una dimensione particolare dell'esistenza, quando ci appare più fragile, e valorizza la ricchezza dei rapporti umani e la loro forza. Cerca di archiviare le false soluzioni che una cultura individualistica e auto-referenziale si ostina a mostrare come le uniche plausibili. È una legge che dice un no chiaro e determinato all'eutanasia in tutte le sue forme, attive e passive, perché dice contestualmente un sì forte e appassionato alla relazione di cura e alla solidarietà umana che accetta di prendere su di sé la debolezza dell'altro per accompagnarlo per il tempo necessario fino al termine della sua vita. Senza anticipare la morte, ma senza neppure
accanirsi ostinatamente per prolungare una vita che sembra giunta al suo capolinea.
Diritti individuali e universalità del diritto.
La vera sfida con cui oggi la nostra società è chiamata a misurarsi ha come oggetto specifico il rapporto tra la logica dei diritti individuali e il valore dell'universalità del diritto. Diritti universali significa diritti di tutti, nessuno escluso, neppure in condizioni di estrema fragilità, come accade nella malattia: nessuno deve sentirsi escluso né come soggetto portatore di diritti, né come soggetto di responsabilità nei confronti dei diritti altrui. Tra l'universalità dei diritti individuali e la responsabilità sociale che ne consegue occorre
Ricerca del senso della vita.
Se la vita è il primo dei diritti dell'uomo, dare senso alla vita, considerandola come dono e come compito, dovrebbe essere uno dei suoi primi doveri. Di fatto l'uomo cerca, più o meno consapevolmente, di dare senso alla propria vita, attraverso il proprio lavoro e il proprio rapporto con gli altri, ma per questo ha bisogno di sentirsi libero. È nella libertà che l'uomo esprime se stesso, la sua natura, ciò che ama e ciò che desidera, perché senza libertà non si può parlare né di un comportamento eticamente accettabile, né di un comportamento semplicemente umano. In alcune correnti del pensiero contemporaneo si è giunti a esaltare la libertà al punto di farne un assoluto, da cui dipenderebbero tutti gli altri valori, interrompendo il filo conduttore che lega vita e libertà, al punto da considerare il suicidio come il supremo atto di libertà
dell'uomo. Recuperare il valore della relazione tra vita e libertà è una delle sfide educative più urgenti per il nostro tempo. Alla radice della crisi dell'educazione moderna c’è una crisi di fiducia nella vita, perché c’è una stretta relazione tra la crisi dell'educazione e la trasmissione della vita.
La cultura contemporanea sembra aver rimosso il senso del limite, lasciando suppone che tutto sia possibile, senza vincoli di sorta, perché tutto è manipolabile, a cominciare dal proprio corpo, per giungere all'origine e alla trasmissione della vita e della morte. Tutto può essere modificato a suo piacimento. Il paradosso è che a questo delirio di onnipotenza non corrisponde nell'uomo una maggiore gioia di vivere, ma una strana perdita di senso, una sensazione di solitudine, da cui è difficile uscire e che rende incapaci di reagire: «Si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un'istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male», affermava Giovanni Paolo II,
Alcune problematicità delle dichiarazioni anticipate di trattamento.
Si tratta di un tema la cui rilevanza è andata costantemente crescendo negli ultimi anni. Nella letteratura bioetica nazionale e internazionale viene per lo più indicato con l'espressione inglese living will, variamente tradotta con differenti espressioni quali: testamento biologico, testamento di vita, direttive anticipate, volontà previe di trattamento e altri. Le diverse denominazioni fanno riferimento, in una prima approssimazione, a un documento con il quale una persona, dotata di piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe o non desidererebbe essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato. Per far acquisire rilievo pubblico a questi documenti si chiede che siano redatti per
scritto, che non possa sorgere alcun dubbio sull'identità e sulla capacità di chi li sottoscrive, sulla loro autenticità documentale e sulla data della sottoscrizione e che siano eventualmente controfirmati da un medico, che garantisca di aver adeguatamente informato il sottoscrittore in merito alle possibili conseguenze delle decisioni da lui assunte nel documento, fermo restando il diritto di revocare o di cambiare parzialmente le sue disposizioni in qualsiasi momento.
Il Comitato nazionale di bioetica (CNB) ha prodotto alcuni importanti riferimenti su questo tema. Di particolare interesse è la trattazione contenuta nel terzo capitolo del documento Questioni bioetiche sulla fine della vita umana, approvato dal CNB il 14 luglio 1995. Tra queste va anzitutto segnalata la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, da cui emerge come il consenso libero e informato del paziente all'atto medico non debba essere visto come un requisito di liceità del trattamento, ma vada considerato prima di tutto alla stregua di un vero e proprio diritto fondamentale del cittadino europeo, afferente al più generale diritto all'integrità della persona (articolo 3, diritto all'integrità personale). La Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, resa esecutiva dalla legge n. 145 del 2001, di seguito «Convenzione», ribadendo la
centralità della tutela della dignità e dell'identità della persona, attribuisce, all'articolo 9, particolare rilievo ai desideri precedentemente espressi dal paziente, stabilendo che essi saranno presi in considerazione. Il principio dell'articolo 9 era già stato accolto, nel 1998, dal codice di deontologia medica italiano, che all'articolo 34, sotto la rubrica «Autonomia del cittadino», disponeva: «Il medico deve attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e dell'indipendenza professionale, alla volontà di curarsi liberamente espressa dalla persona. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tener conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso». Il medesimo codice deontologico affermava, all'articolo 36, che «il medico, anche su richiesta del malato, non deve effettuare o favorire trattamenti
diretti a provocarne la morte» e all'articolo 35 abilitava il medico a intervenire con l'assistenza e le cure indispensabili in condizioni di urgenza e in caso di pericolo di vita («Allorché sussistano condizioni di urgenza e in caso di pericolo per la vita di una persona, che non possa esprimere al momento volontà contraria, il medico deve prestare l'assistenza e le cure indispensabili»).
1) come evitare il carattere generico o eccessivamente imperativo delle dichiarazioni anticipate con le inevitabili ambiguità dovute al linguaggio con cui vengono formulate, in specie quando il paziente non si faccia assistere, nella loro redazione, da un medico o da altro soggetto dotato di specifica competenza?
2) quali indicazioni operative possono essere contenute in questi documenti e a chi vanno rivolte perché se ne faccia garante?
3) quale affidabilità si può e si deve riconoscere a tali documenti? Quale vincolatività devono possedere per il medico dal punto di vista deontologico e giuridico?
Uno dei rilievi più frequentemente mossi alle dichiarazioni anticipate riguarda l'astrattezza di cui questi documenti inevitabilmente soffrirebbero, dovuta alla distanza, psicologica e temporale, tra la condizione in cui la dichiarazione è redatta e la situazione reale di malattia in cui essa dovrebbe essere applicata. Infatti, la stessa decisione di redigere (o di rinunciare a redigere) le dichiarazioni anticipate – non pensate come un mero atto burocratico – può diventare un momento importante di riflessione sui propri valori, sulla propria concezione della vita e sul significato della morte come segno dell'umana finitezza, contribuendo così a evitare quella rimozione della morte che molti stigmatizzano come uno dei tratti negativi della nostra epoca e della nostra cultura.
Le preoccupazioni per l'astrattezza dovuta alla distanza di tempo e di situazioni possono essere mitigate dalla previsione che la persona può sempre revocare le sue precedenti volontà, o modificarle in riferimento agli eventuali mutamenti nella percezione della propria condizione esistenziale determinati dall'esperienza concreta della malattia. Le dichiarazioni anticipate possono assumere la forma nota come pianificazione sanitaria anticipata (advanced health care planning) o pianificazione anticipata delle cure. È evidente che, per quanto una redazione meditata e consapevole delle dichiarazioni anticipate possa ridurne in modo significativo il carattere astratto, è comunque da escludere che questa astrattezza possa essere del tutto evitata. È questo già un primo e decisivo argomento (ma non certo l'unico) contro una rigida vincolatività delle dichiarazioni anticipate che, anche se
redatte con estremo scrupolo, potrebbero rivelarsi non calibrate sulla situazione esistenziale reale nella quale il paziente potrebbe venire a trovarsi.
Un ulteriore rilievo spesso avanzato nel dibattito sulle dichiarazioni anticipate riguarda il loro linguaggio e la loro competenza. È difficile per il paziente definire in maniera corretta le situazioni cliniche in riferimento alle quali intende fornire le dichiarazioni: questa situazione può essere fonte di ambiguità nelle indicazioni e, quindi, di dubbi nel momento della loro applicazione. Questo rilievo tocca un problema particolarmente spinoso se venisse portato alle sue ultime conseguenze. Nessuno dovrebbe dimenticare l'antico avvertimento aristotelico, secondo cui non si dovrebbe mai esigere un grado di precisione maggiore di quello consentito dalla materia.
Un altro grave problema, molto affine, ma non coincidente con il precedente, è quello della concreta configurazione che a seguito dell'osservanza delle dichiarazioni acquisterebbe la decisione terapeutica del medico. Se tale decisione dovesse consistere in una fredda e formale adesione
Contenuti delle dichiarazioni anticipate.
Se le dichiarazioni anticipate vanno collegate all'affermarsi di una cultura bioetica, che ha già efficacemente operato per l'introduzione del modello del consenso informato nella relazione tra medico e paziente, e per il superamento del paternalismo medico, il loro ambito di rilievo coincide con quello in cui il paziente cosciente può esprimere un consenso o un
1) indicazioni sull'assistenza religiosa, sull'intenzione di donare o no gli organi per trapianti, sull'utilizzo del cadavere o parti di esso per scopi di ricerca o didattica;
2) indicazioni circa le modalità di umanizzazione della morte (cure palliative, richiesta di essere curato in casa o in ospedale eccetera);
3) indicazioni che riflettono le preferenze del soggetto in relazione al ventaglio delle possibilità diagnostico-terapeutiche che si possono prospettare lungo il decorso della malattia;
4) indicazioni finalizzate a sviluppare le cure palliative, secondo quanto indicato dalla legge n. 38 del 2010;
5) indicazioni finalizzate a chiedere formalmente la non attivazione di qualsiasi forma di accanimento terapeutico, cioè di trattamenti di sostegno vitale che appaiano sproporzionati o ingiustificati;
6) indicazioni finalizzate a chiedere il non inizio o la sospensione di trattamenti terapeutici di sostegno vitale, che però non realizzino nella fattispecie indiscutibili ipotesi di accanimento;
7) indicazioni finalizzate a chiedere la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione artificiale.
I primi due tipi di indicazioni non sollevano particolari problemi e possono essere formulati in modo sufficientemente preciso e tale da non ingenerare dubbi o difficoltà di sorta in coloro che dovranno dare ad essi esecuzione. Neppure il terzo tipo di indicazioni suscita specifiche difficoltà, in specie quando assume la forma della pianificazione anticipata delle cure e si mantiene nell'ambito delle opzioni diagnostico-terapeutiche prospettabili per il decorso di una specifica malattia. Nemmeno sul quarto e sul quinto tipo di indicazioni insistono controversie di ordine morale, dato l'unanime e condiviso auspicio alla massima diffusione delle terapie palliative e l'altrettanto unanime condanna dell'accanimento terapeutico. Le ultime indicazioni sono invece ampiamente controverse e lo è in modo particolare l'ultima, in specie se si considerano i significati simbolici che si addensano sull'alimentazione e sull'idratazione, anche se artificiali. Alcuni sostengono che al paziente vada riconosciuta la facoltà di
dare disposizioni anticipate circa la sua volontà di accettare o rifiutare qualsiasi tipo di trattamento e di indicare le condizioni nelle quali la sua volontà deve trovare attuazione e sottolineano la necessità che la redazione di tali disposizioni avvenga (o comunque sia oggetto di discussione) nel contesto del rapporto tra medico e paziente, in modo che il paziente abbia piena consapevolezza delle conseguenze che derivano dall'attuazione delle sue volontà. Altri ritengono, invece, che il potere dispositivo del paziente vada limitato esclusivamente a quei trattamenti che integrino, in varia misura, forme di accanimento terapeutico perché sproporzionati o addirittura futili. Non rientrerebbero, a loro avviso, in tale ipotesi interventi di sostegno vitale di carattere non straordinario, né l'alimentazione né l'idratazione artificiali che, quando non risultino gravose per lui, costituirebbero, invece, atti eticamente e deontologicamente doverosi, nella misura in cui – proporzionati alle condizioni cliniche – contribuiscono a eliminare le sofferenze del malato terminale e la cui omissione realizzerebbe una ipotesi di eutanasia passiva.Affidabilità delle dichiarazioni anticipate.
Se sull'apprezzabilità morale delle dichiarazioni anticipate esiste un vasto consenso di principio, non altrettanto si può dire sul valore che a tali dichiarazioni sia da riconoscere dal punto di vista della deontologia medica e del diritto. Due sono qui, strettamente connessi, ma analiticamente distinguibili, i punti che vanno messi in discussione:
a) quello dell'affidabilità di scelte formulate in un momento anteriore a quello in cui devono attuarsi «ora per allora»;
b) quello del carattere per il medico vincolante od orientativo che a tali scelte debba o possa essere attribuito.
Sotto il primo profilo, si osserva che le dichiarazioni anticipate, non assicurano il requisito della loro attualità nel momento in cui concretamente si determineranno le condizioni per cui il medico debba intervenire. Per tale ragione esse sono spesso considerate con diffidenza da parte della dottrina penalistica, dal momento che non garantiscono l'attuazione della reale volontà del paziente: il medico non avrebbe mai la certezza che le dichiarazioni pregiudizialmente espresse in determinate circostanze e condizioni personali (spesse volte di pieno benessere psico-fisico) corrispondano alle volontà che il paziente manifesterebbe, qualora fosse capace di intendere e di volere, nel momento in cui si rendesse necessaria la prestazione terapeutica. Si possono fare due contro-argomentazioni. La prima è la seguente: ove un soggetto, pur debitamente invitato a riflettere sui rischi ai quali si è accennato, al
fatto cioè che tutte le decisioni anticipate di trattamento possiedono inevitabilmente un carattere precario, contingente e incerto, confermasse comunque la sua ferma volontà di redigerle, con la sua firma egli manifesterebbe senza equivoci l'intenzione di assumersi personalmente e pienamente, almeno sul piano etico, tale rischio. Questo non crea difficoltà per la maggior parte dei pazienti, intenzionati ad affidarsi alla competenza e alla saggezza del medico curante e alle sue conseguenti, insindacabili decisioni. Ma ne crea invece di significative per quei pazienti che ritengono inaccettabile qualsiasi modifica delle loro direttive. Da questa difficoltà si può uscire solo se si considera che il concetto dell'attualità esprime un requisito logico e non meramente cronologico-temporale. Si deve aggiungere che, nel caso delle dichiarazioni anticipate, come in quello di qualsiasi altra forma di espressione previa della volontà e più in
generale di personali orientamenti, vale il principio secondo il quale la persona conserva il diritto di revocare o modificare la propria volontà fino all'ultimo momento precedente la perdita della consapevolezza.
Il citato articolo 9 della Convenzione adotta le espressioni souhaits e wishes, che corrispondono al concetto di cosa desiderata, non di cosa imposta a terzi. La persona chiede che i suoi desideri siano rispettati, ma chiede che lo siano a condizione
Raccomandazioni bioetiche conclusive.
In sintesi, le dichiarazioni anticipate sono legittime, hanno cioè valore bioetico, quando rispettino i seguenti criteri generali:
a) abbiano carattere pubblico, siano cioè fornite di data, redatte in forma scritta e mai orale, da soggetti maggiorenni, capaci di intendere e di volere, informati, autonomi e non sottoposti ad alcuna pressione familiare, sociale e ambientale;
b) non contengano disposizioni aventi finalità eutanasiche, che contraddicano il diritto positivo, le regole di pratica medica e la deontologia medica. Comunque il medico non può essere costretto a fare nulla che vada contro la sua scienza e la sua coscienza;
c) ai fini di una loro adeguata redazione, in conformità a quanto indicato alla lettera b), si auspica che esse siano compilate con l'assistenza di un medico, che può controfirmarle;
d) siano tali da garantire la massima personalizzazione della volontà del futuro paziente, non consistano nella mera sottoscrizione di moduli o di stampati, siano redatte in maniera non generica, in modo tale da non lasciare equivoci sul loro contenuto e da chiarire quanto più è possibile le situazioni cliniche in relazione alle quali esse debbano poi essere prese in considerazione.
La morte è un fatto e non un diritto.
A parte i casi drammatici che in Italia tutti ricordiamo come punti di ignizione forte nel dibattito sul consenso informato e sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, quali quelli di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro, per citare solo i più famosi, vale la pena ricordare anche un caso più recente come quello di Brittany Maynard, la ragazza di 29 anni malata di cancro in fase terminale, che aveva deciso e poi rimandato l'eutanasia, ma poco dopo si è suicidata. Brittany, colpita da una forma molto aggressiva di cancro al cervello aveva annunciato il suo progetto in un video postato sul suo sito che ha fatto il giro del web ed è stato visto più di 9,5 milioni di volte su Youtube. Brittany era nata in California nel 1984 e si era laureata a Berkeley come insegnante. Aveva viaggiato in tutto il mondo, lavorando anche in scuole e orfanotrofi in Nepal e Costa Rica. A casa faceva volontariato
per un'associazione animalista. Nel 2012, si era sposata con il fidanzato Daniel Diaz, con quale avrebbe voluto fare un figlio. Ma il capodanno del 2014, le era stato diagnosticato un tumore maligno al cervello. Tre mesi dopo era stata operata, ma il cancro era progredito e i medici le avevano dato pochi mesi di vita, da passare fra atroci sofferenze. Da qui la decisione di vivere nel modo migliore il tempo che le restava e di porre fine alla sua vita prima che le sofferenze diventassero troppo forti.
La donna, nonostante gli effetti collaterali dei farmaci che le gonfiavano corpo e volto, aveva accettato di raccontare la sua storia in televisione, spiegando la sua scelta di morire dignitosamente: «Arrivederci a tutti i miei cari amici e alla mia famiglia che amo. Oggi è il giorno che ho scelto per morire con dignità, tenuto conto della malattia in fase terminale, questo terribile cancro al cervello che mi ha imprigionato (...) ma mi avrebbe imprigionato tanto di più». Aveva scelto la data, il 1 novembre, all'indomani del compleanno del marito Dan. Si era trasferita da qualche settimana in Oregon con i genitori e con il marito, sposato poco prima della diagnosi, proprio perché l'Oregon è uno dei cinque Stati americani dove il suicidio assistito è legalizzato. «Brittany è morta, ma il suo amore per la vita e la natura, la sua passione e il suo spirito continuano a
vivere», ha detto Barbara Lee Coombs, presidente dell'associazione «Compassione e scelta», che lotta per il diritto all'eutanasia e che ha sostenuto la donna. «Il Canyon è stato incredibilmente bello, mi sono goduta le due cose che amo di più:
Due culture a confronto.
Nella presente proposta di legge si confrontano due culture, che stentano a trovare un punto di convergenza, nonostante le numerose occasioni di incontro e di confronto che si sono presentate nel lavoro delle Commissioni parlamentari, in occasione di convegni e seminari o più semplicemente nei tanti incontri, formali e informali, che ci sono stati in questi anni:
1) nella posizione laica di ispirazione cristiana, il valore della vita si affianca al valore della libertà, considerata come una delle qualità principali dell'uomo, strettamente collegata al senso della responsabilità, dal momento che non c’è vera libertà senza responsabilità. È una posizione che riconosce alla vita umana valore in sé stessa, la considera degna di essere vissuta proprio in quanto vita umana, non per le sue capacità e le sue competenze e chiede a tutti gli uomini di riconoscere questo valore e di sentirsi coinvolti nel tutelarla e nel proteggerla. In questa impostazione, l'etica della responsabilità e l'etica della cura si intrecciano profondamente, come due facce di un'unica medaglia che nella sua unità esprime il senso della nostra umanità. In questa concezione il valore della persona implica nello stesso tempo autonomia e relazionalità, interdipendenza e capacità di comunicazione, solidarietà e spirito di servizio;
2) nella posizione laico-laicista, al centro c’è quel principio di autodeterminazione, che fa della libertà un valore assoluto, subordinando il valore della vita a una serie di condizioni quali la percezione del benessere e la possibilità di agire in piena autonomia, definendo soggettivamente i parametri che rendono una vita più o meno degna di essere vissuta. È un approccio culturale in cui il bene viene filtrato attraverso un'ottica di tipo relativista, dal momento che ognuno deve poter dire cosa è buono e cosa non lo è, cosa reputa vero e cosa no. Al soggetto tutto deve essere consentito, anche il negare il valore della vita, se e quando questa perde qualcuna delle prerogative che lui reputa essenziali. Una posizione che si spinge fino al punto di considerare un diritto la possibilità di fissare i termini per la propria morte e quindi pretende dalle istituzioni
l'aiuto necessario a tradurre in pratica questa volontà di morire, sia depenalizzando l'eutanasia, che arrivando addirittura a proporla come un bene, con dignità di cura. Nelle due concezioni il valore della libertà e dell'autonomia, binomio essenziale nel processo di maturazione del soggetto, giocano un ruolo diverso. Nel primo caso l'uomo esercita la sua libertà all'interno di una progettualità che può svilupparsi proprio in quanto è vivo, nel secondo caso è come se la libertà fosse un valore che sussiste in se stesso. Nel primo caso si può accettare di vivere anche per lunghi periodi in una condizione di apparente non libertà, nel secondo caso la perdita della libertà legittima una intenzionale perdita della vita.
Nel dibattito sulle dichiarazioni anticipate il costante riferimento alla libertà del paziente serve quasi esclusivamente per affermare il diritto a non vivere, per negare ogni tipo di cura e di sostegno, incluse la nutrizione e l'idratazione. D'altra parte anche la libertà del medico non è un valore assoluto, è vincolata dalla necessità di agire in scienza e coscienza, per esprimere il suo giudizio clinico con l'oggettività che gli conferisce la sua competenza, in coerenza con i princìpi etici e deontologici. Sostenere che l'agire del medico possa essere strutturalmente ispirato da una sorta di accanimento terapeutico è falso e non dà ragione della libertà con cui il medico cerca di volta in volta di declinare nell'esclusivo interesse del paziente le sue conoscenze e le sue competenze.
Un'altra differenza sostanziale tra i due approcci è che il primo ha un carattere fortemente relazionale, mentre il secondo ha carattere prevalentemente individualistico. Al centro del primo approccio c’è la relazione, un incontro interpersonale tra medico e paziente, mentre al centro del secondo c’è la pura e semplice volontà del paziente. Nel primo caso sono almeno in due i protagonisti di una situazione evidentemente asimmetrica, ma non per questo meno fortemente coinvolgente, mentre nel secondo caso prevale una visione fortemente egocentrica. La presente proposta di legge ricava il suo titolo «Disposizioni relative all'alleanza terapeutica, in materia di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento» proprio dal fatto che si è voluto mettere in primo piano il tema della relazione tra medico e paziente. L'urgente bisogno di riumanizzare la medicina di cui oggi
tanto si parla significa proprio questo: restituire alla relazione tra medico e paziente il suo valore centrale, di fiducia reciproca e di affidamento consapevole.
Il malato non deve sentirsi solo davanti a decisioni importanti come sono quelle che coinvolgono la sua esistenza in modo irrevocabile e definitivo. La proposta di legge insiste ripetutamente sulla necessità che tra medico e paziente si crei una relazione di alleanza, ben sapendo che l'informazione che il medico fornisce al paziente ha un alto valore per-formativo, che contribuisce a modulare i processi decisionali che ne conseguono. Il riferimento al consenso informato e all'alleanza terapeutica costituiscono una premessa indispensabile e sollecitano un approccio interpersonale, in cui libertà e dignità del paziente si confrontano e si rispecchiano costantemente nella libertà e nella dignità del medico.
Paradossalmente, quanti sostengono l'assoluta libertà del paziente pretendono la stretta vincolatività delle dichiarazioni anticipate, senza cogliere la contraddizione con il fatto che in questo modo negano o per lo meno coartano pesantemente la libertà del medico. In realtà la proposta di legge prova a valorizzarle contestualmente. Si è detto che il carattere orientativo delle dichiarazioni anticipate toglierebbe alla legge la sua ragione d'essere, come se la dignità umana in questa circostanza si potesse esprimere solo all'interno di una logica coercitiva, che obbliga il medico a una posizione di sudditanza. Il carattere orientativo delle dichiarazioni anticipate chiede al medico quel fare di tutto nell'esclusivo interesse del paziente, in una relazione di cura che sia autenticamente curante, anche quando non può guarire completamente.
1. La presente legge, tenendo conto dei principi di cui agli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione:
a) riconosce e tutela la vita umana fino alla morte accertata nei modi di legge, compresi la fase terminale dell'esistenza e il caso in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere;
b) garantisce la vita umana, quale diritto inviolabile e indisponibile di ogni persona, in via prioritaria rispetto all'interesse della società e alle applicazioni della tecnologia e della scienza;
c) vieta, ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 del codice penale, ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio;
d) considera l'attività medica e quella di assistenza alle persone esclusivamente finalizzate alla tutela della vita e della salute nonché all'alleviamento della sofferenza e riconosce come prioritaria l'alleanza terapeutica tra il medico e il paziente soprattutto nella fase di fine vita;
e) impone al medico l'obbligo di informare il paziente sui trattamenti sanitari più appropriati, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 2, comma 4, e sul divieto di qualunque forma di eutanasia;
f) riconosce che nessun trattamento sanitario può essere attivato senza il consenso informato del paziente e nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge e con i limiti imposti dal rispetto della persona umana;
g) garantisce che il medico si astenga sempre da trattamenti straordinari non
proporzionati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura. 2. La presente legge garantisce, nell'ambito degli interventi previsti a legislazione vigente, politiche sociali ed economiche volte alla presa in carico del paziente, in particolare dei soggetti incapaci di intendere e di volere e della loro famiglia.
3. I pazienti di cui alla lettera g) del comma 1 hanno diritto a essere sempre assistiti con un'adeguata terapia contro il dolore secondo quanto previsto dai protocolli delle cure palliative, ai sensi della normativa vigente in materia.
1. Fatti salvi i casi previsti dalla legge, ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato esplicito e attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole.
2. L'espressione del consenso informato è preceduta da corrette informazioni rese dal medico curante al paziente in maniera per lui comprensibile circa la diagnosi, la prognosi e le terapie proposte, nonché i benefìci e i rischi che ne possono conseguire, compresi gli eventuali effetti collaterali e le conseguenze del rifiuto del trattamento.
3. Il consenso informato, su richiesta del medico o del paziente, è espresso in un documento scritto, firmato dal paziente e inserito nella cartella clinica. Può essere sempre revocato, anche parzialmente, e la revoca deve essere annotata nella cartella clinica.
4. È fatto salvo il diritto del paziente di rifiutare in tutto o in parte le informazioni che gli competono. Il rifiuto può intervenire in qualunque momento e deve essere esplicitato in un documento sottoscritto dal soggetto interessato e inserito nella cartella clinica.
5. In caso di soggetto interdetto, il tutore sottoscrive il documento con il consenso informato. Qualora sia stato nominato
1. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante, in stato di piena capacità di intendere e di volere e di adeguata informazione medica, con riguardo a un'eventuale perdita permanente della propria capacità di intendere e di volere, esprime orientamenti e informazioni utili per l'attivazione di trattamenti terapeutici, in conformità a quanto stabilito dalla presente legge.
2. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto esplicita la sua rinuncia ad alcuni trattamenti terapeutici ritenuti sproporzionati o ancora in fase sperimentale.
3. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto non può inserire indicazioni che integrino le fattispecie di cui agli articoli 575, 579 e 580 del codice penale.
4. Nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, resa esecutiva dalla legge 3 marzo 2009, n. 18, l'alimentazione e l'idratazione,
1. Le dichiarazioni anticipate di trattamento non sono obbligatorie, sono redatte in forma scritta, sono firmate dal soggetto, maggiorenne e in piena capacità di intendere e di volere, dopo un'adeguata informazione medica, e sono raccolte da un medico scelto dal soggetto, che le sottoscrive.
2. Salvo che il soggetto diventi incapace, la dichiarazione anticipata di trattamento ha validità per cinque anni, che decorrono dalla redazione dell'atto ai sensi del comma 1, termine oltre il quale essa perde di efficacia. La dichiarazione anticipata di trattamento può essere revocata e rinnovata più volte, con la forma e con le modalità prescritte dai commi 1 e 2.
1. L'assistenza sanitaria alle persone in stato vegetativo o aventi altre forme neurologiche correlate è assicurata attraverso prestazioni ospedaliere, residenziali e domiciliari secondo le modalità previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2011, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002, dalle Linee di indirizzo per l'assistenza alle persone in stato vegetativo e stato di minima coscienza, di cui all'accordo n. 44/CU del 5 maggio 2011 tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 1 giugno 2011. L'assistenza domiciliare, di norma, è garantita dall'azienda sanitaria locale competente della regione nel cui territorio si trova il soggetto in stato vegetativo.
1. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante può nominare un fiduciario maggiorenne, capace di intendere e di volere, il quale accetta la nomina sottoscrivendo la dichiarazione. Il dichiarante che ha nominato un fiduciario può sostituirlo, con le stesse modalità previste per la nomina, in qualsiasi momento senza alcun obbligo di motivare la decisione.
2. Il fiduciario, se nominato, è l'unico soggetto legalmente autorizzato a interagire con il medico ed è legittimato a richiedere al medico e a ricevere dal
1. Gli orientamenti espressi dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento sono presi in considerazione dal medico curante ai sensi di quanto disposto dalla Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, resa esecutiva dalla legge 28 marzo 2001, n. 145.
2. Il medico curante, qualora non intenda seguire gli orientamenti espressi dal paziente nelle dichiarazioni anticipate di trattamento, deve rivolgersi al fiduciario o ai familiari indicati dal libro secondo, titolo II, capi I e II, del codice civile, e a comunicare loro la sua decisione, motivandola in modo approfondito e sottoscrivendola sulla cartella clinica alla quale è allegata la dichiarazione anticipata di trattamento.
3. Gli orientamenti espressi dal paziente sono valutati dal medico, dopo aver sentito il fiduciario, in scienza e in coscienza,
1. È istituito il registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento nell'ambito di un archivio unico nazionale informatico. Il titolare del trattamento dei dati contenuti nell'archivio è il Ministero della salute.
2. Con regolamento da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della salute, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, stabilisce le regole tecniche e le modalità di accesso, di tenuta e di consultazione del registro di cui al comma 1. Tutte le informazioni sulla possibilità di rendere la dichiarazione anticipata di trattamento sono disponibili nel sito internet istituzionale del Ministero della salute.
3. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. All'attuazione del medesimo articolo si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente.