Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3048


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, SEGONI
Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di coltivazione, cessione e consumo della cannabis indica e dei suoi derivati, nonché norme per la tassazione dei derivati della cannabis indica
Presentata il 15 aprile 2015


      

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Onorevoli Colleghi! Il testo unico in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, di seguito «testo unico» (noto anche come testo unico Iervolino-Vassalli) delinea un sistema sanzionatorio in materia di stupefacenti e di sostanze psicotrope fortemente repressivo e proibizionista, retaggio di una concezione di lotta alla droga che può dirsi ormai non più coerente con lo scenario sociale italiano.
      Tale impostazione proibizionista è stata scarsamente accettata, sin dalla sua approvazione, tanto che già nel 1993 un referendum abrogativo fece decadere il divieto di fare uso personale non autorizzato di sostanze stupefacenti o psicotrope.
      Un'ulteriore riforma che ha inciso profondamente sulla materia degli stupefacenti è stato il decreto-legge n. 272 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 49 del 2006, nota anche come legge Fini-Giovanardi, che, eliminando la distinzione tra droghe leggere e pesanti, ha inteso sanzionare con il medesimo regime sanzionatorio la detenzione di qualsiasi sostanza.
      La normativa vigente, pertanto, prevede una sanzione amministrativa, non più penale, per il consumatore che sia colto con una quantità massima detenibile di sostanza, fissata da un apposito decreto ministeriale (limiti introdotti con il decreto del Ministro della salute 11 aprile 2006, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 95 del 24 aprile 2006) per ciascuna sostanza, perché si rimanga nell'alveo dell'uso personale.
      Il fatto che invece la quantità detenuta sia superiore, anche di poco, a tale quantità predefinita apre le porte alla contestazione del reato di spaccio di cui all'articolo 73 del testo unico.
      Si nota quindi una sostanziale assimilazione della detenzione a fini di consumo personale delle sostanze, oltre il limite massimo detenibile, a quelle condotte che invece mirano alla commercializzazione e alla distribuzione delle stesse sostanze.
      Ciò ha comportato, nella pratica, che molti consumatori trovati con modiche quantità, molto verosimilmente destinate ad uso personale, ma oltre il limite consentito per l'applicazione della sola sanzione amministrativa, venissero poi condannati come spacciatori.
      Per molti di questi, stante l'eventuale presenza di qualche piccolo precedente penale, anche non in materia di stupefacenti, ostativo all'applicazione della sospensione condizionale della pena, si sono aperte, quindi, le porte del carcere.
      Ciò ha avuto effetti sicuramente negativi in termini di aumento del numero dei procedimenti penali del conseguente aggravarsi del sovraffollamento carcerario e quindi delle condizioni detentive.
      A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, che ha dichiarato l'illegittimità di alcuni articoli della legge Fini-Giovanardi, si è finalmente creata la possibilità di rivedere tutta la disciplina sugli stupefacenti anche e soprattutto per quanto concerne le droghe leggere.
      In realtà la normativa successiva alla citata sentenza della Consulta ha ripristinato per il reato di traffico illecito la distinzione della pena prevista dal testo originario del testo unico Iervolino-Vassalli tra droghe leggere (da due a sei anni di reclusione) e droghe pesanti (da otto a venti anni di reclusione).
      Il decreto-legge n. 36 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 79 del 2014, modificando il comma 5 dell'articolo 73 del testo unico ha stabilito per i fatti di «lieve entità» (che sino ad allora era un'attenuante speciale), una pena da sei mesi a quattro anni di reclusione e una multa da 1.032 a 10.329 euro.
      Per i fatti di lieve entità, dunque, la modifica del 2014 ha avuto come effetto anche quello di evitare la custodia cautelare in carcere e l'arresto facoltativo, che è prevista solo in caso di flagranza.
      Anche in casi di lieve entità, tuttavia, la normativa vigente non distingue tra droghe leggere e pesanti e la quantificazione della pena sarà rimessa alla discrezionalità del giudice in base alla qualità e alla quantità della sostanza spacciata e alle altre circostanze del caso concreto.
      Pertanto, sebbene si riscontri un notevole miglioramento nell'impostazione concettuale della politica sugli stupefacenti, si finisce ancora una volta per trattare allo stesso modo la condizione del consumatore, detentore di una piccola quantità di cannabis indica per uso personale, e quella del piccolo spacciatore di sostanze pesanti quali eroina o cocaina, ben più pericolose.
      Al di là delle giuste perplessità relative a eventuali ipotesi di illegittimità costituzionale della norma sulla lieve entità nella parte in cui non è previsto un diverso trattamento sanzionatorio in ragione della natura della sostanza, se leggera o pesante, risulta di solare evidenza che ciascun tribunale ovvero ciascun giudice all'interno dello stesso tribunale perverrà all'irrogazione di sanzioni che risultano molto spesso sproporzionate per il consumatore di cannabis indica che ne detiene un po’ di più del consentito e di sanzioni molto blande per il piccolo spacciatore di droghe pesanti.
      La giurisprudenza di merito, quindi, nella concreta applicazione della normativa sugli stupefacenti, evidentemente non sufficientemente determinata, porta a esiti spesso troppo diversi, oltre che incoerenti tra loro, provocando un'eccessiva disparità di trattamento per molti condannati.
      Oggi il cittadino, al di fuori di qualsiasi circuito criminale, che coltiva una pianta di marijuana per uso personale viene sanzionato con la stessa pena prevista per lo spacciatore di eroina o cocaina, pedina finale del grande narcotraffico internazionale che arricchisce, in tutto il mondo, le organizzazioni mafiose.
      Se a tali difficoltà applicative e incoerenze sanzionatorie per i diversi tipi di sostanze si aggiunge la sostanziale inefficacia delle politiche repressive dell'uso di sostanze stupefacenti, a livello mondiale, si giunge alla fisiologica conclusione che è necessario rivedere l'intero sistema penale modificando anche il carattere dei presupposti da cui deve ripartire la riflessione sul tema.
      La presa di coscienza del fallimento dell'approccio proibizionista avrebbe potuto portare all'auspicabile «cambio di paradigma» verso una depenalizzazione e una legalizzazione delle cosiddette droghe leggere e nello specifico della cannabis indica.
      Dopo venticinque anni di dibattiti politici si può, perciò, giungere a una vera riforma nel senso della depenalizzazione della cannabis indica per i consumatori e consentirne la coltivazione di qualche pianta ad uso personale.
      La presente proposta di legge vuole offrire un contributo al dibattito che si è venuto a creare anche a seguito dell'ultima relazione annuale della Direzione nazionale antimafia (DNA), la quale sancisce apertamente, in proposito, «il totale fallimento dell'azione repressiva» in relazione all'azione di contrasto alla diffusione dei derivati della cannabis indica e «la letterale impossibilità di aumentare gli sforzi per reprimere meglio e di più la diffusione dei cannabinoidi».
      Per di più – aggiunge la DNA – dirottare ulteriori risorse su questo fronte ridurrebbe l'efficacia dell'azione repressiva su «emergenze criminali virulente, quali quelle rappresentate da criminalità di tipo mafioso, estorsioni, traffico di esseri umani e di rifiuti, corruzione, e altro» e sul «contrasto al traffico delle (letali) droghe pesanti».
      Preso atto di quanto esposto, è proprio la stessa DNA a ventilare quale soluzione al problema nuove politiche di depenalizzazione che potrebbero dare buoni risultati «in termini di deflazione del carico giudiziario, di liberazione di risorse disponibili delle Forze dell'ordine e magistratura per il contrasto di altri fenomeni criminali e, infine, di prosciugamento di un mercato che, almeno in parte, è di appannaggio di associazioni criminali agguerrite.»
      La proposta della DNA è avanzata in un momento nel quale l'evoluzione della società e di conseguenza della politica in molti Stati esteri è riuscita a incidere sulle leggi emanate dando una svolta di antiproibizionista.
      In Spagna, dopo molti anni di sostanziale tolleranza verso il consumo ricreativo e la coltivazione domestica di cannabis indica a fini personali, è stata normata la legalizzazione per la coltivazione personale di un numero ristretto di piante di cannabis indica finalizzata ad uso personale, in esenzione di tasse, e una regolamentazione della cannabis indica attuata per mezzo di associazioni di consumatori, i cosiddetti Cannabis social club, che coltivano per gli associati cedendo loro a pagamento il raccolto, che per mezzo di vari tipi di tasse e di imposte contribuisce direttamente e indirettamente al gettito fiscale nazionale.
      Per altro verso, riscontriamo la positiva esperienza di alcuni Stati americani che hanno deciso di liberalizzare l'uso della cannabis indica dapprima solo a fini terapeutici e successivamente anche a fini ricreativi.
      In queste legislazioni, la combinazione della liberalizzazione e della legalizzazione della cannabis indica e dei suoi derivati consente a singoli soggetti di coltivare autonomamente qualche pianta ad uso personale in esenzione di tasse e parallelamente consente la coltivazione in forma associata e la conseguente vendita al minuto, con l'imposizione di tasse sulle realtà commerciali, semi-professionali o associative il cui gettito ha consentito di risanare in meno di un anno i bilanci di alcuni Stati americani quali Colorado od Oregon.
      La proposta della DNA potrebbe portare, si auspica, a un cambio radicale di visione sociale della cannabis indica nello scenario politico italiano, tale da consentire una forma di legalizzazione foriera di innumerevoli vantaggi dal punto di vista deflattivo dei procedimenti penali e della popolazione carceraria, nonché di ben più che positivi effetti economici diretti in conseguenza di una nuova fonte di gettito proveniente dalle tasse sulla vendita della cannabis indica coltivata in forma associata, e, indirettamente, ulteriori positive ricadute anche in termini occupazionali e previdenziali.
      La presente proposta di legge interviene, quindi, sull'articolo 73 del testo unico prevedendo la non punibilità per chiunque coltivi un numero massimo di 4 piante femmine di cannabis indica finalizzate al consumo personale ovvero ceda a titolo gratuito un quantitativo di cannabis indica fino a 5 grammi di peso lordo volto al consumo immediato, purché il destinatario sia persona maggiorenne.
      Parimenti non viene più sanzionata la detenzione al di fuori della propria residenza o domicilio di un quantitativo lordo di cannabis indica o di suoi derivati fino a 5 grammi di peso lordo, nonché di un quantitativo maggiore di 15 grammi di peso lordo se detenuti in una privata abitazione dove non viene coltivata la cannabis. Si lascia invece la possibilità per i fini terapeutici di oltrepassare tale limite se in possesso di prescrizione medica nominale e di documento d'identità personale.
      Unitamente a ciò si provvede a eliminare la sanzione amministrativa di cui all'articolo 75 del testo unico in caso di detenzione di cannabis indica o di suoi derivati stante il venire meno del presupposto dell'illegittimità della detenzione di tale sostanza.
      Si prevede, inoltre, la possibilità di procedere alla coltivazione di cannabis indica in forma associata da parte di associazioni riconosciute, senza scopo di lucro, aventi come scopo la coltivazione di cannabis indica e la detenzione dei prodotti da essa ottenuti per il consumo personale degli associati, stabilendo a tali fini specifici requisiti.
      In tal modo le persone che non desiderino coltivare da sé la cannabis indica potranno associarsi a queste associazioni ottenendo un massimo di 50 grammi lordi al mese per ciascun associato.
      Per la coltivazione in forma associata si prevede una tassazione che andrebbe a incidere al massimo fino al 30 per cento del prezzo di vendita, esclusa l'imposta sul valore aggiunto, che potrebbe essere determinata nella misura del 10 per cento prevedendo comunque una tassazione minima di 2.000 euro per ciascun chilogrammo di cannabis indica che viene prodotto e venduto all'interno delle sedi delle associazioni. Tali associazioni non potranno però essere costituite da persone che abbiano già subìto condanne specifiche di traffico di stupefacenti ovvero condannate per associazione mafiosa.
      I prodotti posti in vendita dalle associazioni dovranno comunque rispettare la normativa posta a tutela della salute e i luoghi dell'associazione nei quali sarà consentito coltivare vendere e fumare la cannabis indica dovranno rispettare le normative strutturali, di sicurezza e d'igiene previste per i luoghi aperti al pubblico nei quali sono somministrati cibi e bevande.
      Una tale configurazione della normativa potrebbe quindi portare numerosi vantaggi bilanciando molti degli interessi in gioco: depenalizzando la coltivazione domestica, la detenzione e la cessione gratuita di modiche quantità, potrà fornire la possibilità allo Stato di togliere notevolissimi flussi di denaro alle organizzazioni criminali di trafficanti europei ottenendo l'ulteriore effetto di far emergere una nuova sostanziosa base imponibile, garantendo risparmi di spesa nel sistema della giustizia, delle Forze dell'ordine e delle carceri, che potranno essere reinvestiti nelle operazioni di polizia volte alla repressione dei fenomeni criminali organizzati di traffico di sostanze stupefacenti pesanti.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Modifica all'articolo 73 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309).

      1. Dopo il comma 3 dell'articolo 73 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, sono inseriti i seguenti:
      «3-bis. Non è punibile chiunque coltiva, per uso personale, fino a 4 piante femmine di cannabis indica, nel luogo ove ha domicilio o residenza, ovvero cede a terzi a titolo gratuito fino a 5 grammi lordi di cannabis indica o di suoi derivati, destinati al consumo immediato, salvo che il destinatario sia persona minorenne.
      3-ter. Non è altresì punibile chiunque per uso personale importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o, comunque, detiene fuori dal luogo di coltivazione domestica per uso personale previsto dal comma 3-bis, cannabis indica o suoi derivati in misura non superiore a 5 grammi lordi, aumentati a 15 grammi lordi per la detenzione in privato domicilio diverso dal luogo di coltivazione. Fuori dal luogo di coltivazione non è punibile colui che detiene quantità maggiori di quelle previste dal presente comma, purché il quantitativo sia giustificato da motivi terapeutici comprovabili con prescrizione medica e nella misura indicata dalla prescrizione stessa, che il detentore deve sempre portare con sé in originale, insieme a un documento d'identità valido».

Art. 2.
(Modifiche all'articolo 75 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309).

      1. All'alinea del comma 1 dell'articolo 75 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) dopo la parola: «acquista,» è inserita la seguente: «coltiva,»;

          b) dopo le parole: «detiene sostanze stupefacenti o psicotrope» sono inserite le seguenti: «diverse dalla cannabis indica e dai suoi derivati».

Art. 3.
(Introduzione dell'articolo 17-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309).

      1.    Dopo l'articolo 17 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, è inserito il seguente:
      «Art. 17-bis. – (Associazioni per la coltivazione di cannabis indica). – 1. È consentita la costituzione, ai sensi del titolo II del libro primo del codice civile, di associazioni riconosciute, senza scopo di lucro, aventi come scopo la coltivazione di cannabis indica e la detenzione dei prodotti da essa ottenuti per il consumo personale degli associati.
      2. Le associazioni di cui al comma 1 devono essere costituite da un minimo di 3 persone fisiche, possono avere fino a un massimo di 250 associati e possono coltivare, indipendentemente dal numero degli associati, fino a 99 piante femmine di cannabis indica, fermo restando, comunque, il numero massimo di 4 piante femmine coltivate per ciascun associato iscritto alla data dell'eventuale verifica.
      3. La coltivazione delle piante di cui al comma 2 e la detenzione del prodotto da

esse ottenuto nonché la lavorazione dei loro derivati devono essere effettuate nella sede dell'associazione ovvero in un altro luogo nella disponibilità dell'associazione entro 50 chilometri dalla sede dell'associazione; in tale ultimo caso il trasporto deve essere effettuato esclusivamente da uno dei componenti dell'organo amministrativo dell'associazione.
      4. Gli associati devono essere maggiori di anni diciotto ed essere residenti in Italia ovvero in un altro Paese membro dell'Unione europea.
      5. È fatto comunque divieto alle associazioni di somministrare, anche a titolo gratuito, una quantità di cannabis indica o di suoi derivati superiore a 50 grammi al mese per ciascun associato, salvo per esigenze terapeutiche e dietro presentazione di apposita prescrizione medica, della quale l'associazione trattiene copia.
      6. Non possono costituire associazioni ai sensi del presente articolo persone che abbiano riportato condanne definitive per aver commesso i reati di cui all'articolo 416-bis del codice penale e di cui agli articoli 70 e 74 del presente testo unico.
      7. In caso di violazione delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 6 l'associazione è sciolta con atto del prefetto e i componenti dell'organo amministrativo non possono fare parte di associazioni costituite ai sensi del presente articolo per i due anni successivi all'accertamento della violazione o per i cinque anni successivi nel caso di ammissione di soggetti minorenni o di violazione delle disposizioni del comma 4.
      8. Ai fini di un consumo consapevole, nella sede dell'associazione e, in particolare, nella zona destinata alla vendita deve essere specificato che l'uso di cannabis indica e di suoi derivati comporta potenziali effetti negativi per la salute. Sulle confezioni di cannabis indica e dei suoi derivati destinate alla vendita agli associati deve essere, altresì, indicato il livello del principio attivo di delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) presente in percentuale sul peso lordo.
      9. Ai fini del consumo di cannabis indica e di suoi derivati al loro interno, le sedi delle associazioni devono rispettare i requisiti strutturali stabiliti dalla normativa vigente per gli esercizi pubblici che esercitano la somministrazione di alimenti e bevande nonché le norme vigenti in materia di zone adibite al fumo nei locali pubblici.
      10. I prodotti di cannabis indica e di suoi derivati somministrati al dettaglio dalle associazioni devono rispettare i requisiti stabiliti dalla legislazione vigente in materia di salubrità degli alimenti vegetali ai fini della tutela della salute».
Art. 4.
(Imposte relative alla produzione di cannabis e di suoi derivati da parte delle associazioni).

      1. La cannabis indica e i suoi derivati prodotti delle associazioni costituite ai sensi dell'articolo 17-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, introdotto dalla presente legge, sono gravati da un'imposta specifica per unità di peso di prodotto, da un'imposta ad valorem sulla base del prezzo di vendita al minuto e da un'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto proporzionale al prezzo di vendita al minuto.
      2. L'imposta massima globale sulla cannabis indica e sui suoi derivati comprensiva dell'imposta specifica e ad valorem, esclusa l'IVA, di cui al comma 1, non può superare il 30 per cento del prezzo medio ponderato di vendita al minuto della cannabis indica e dei suoi derivati immessi al consumo. Tale imposta non può essere inferiore a 2.000 euro per kilogrammo di cannabis indica e suoi derivati, indipendentemente dal prezzo medio ponderato di vendita al minuto.
      3. L'aliquota dell'IVA applicabile alla cannabis indica e ai suoi derivati è del 10 per cento sul prezzo di vendita al minuto e, in caso di aumento della stessa, l'imposta globale è ridotta fino ad un livello, espresso in percentuale del prezzo medio ponderato di vendita al minuto, equivalente

all'incidenza dell'aumento dell'aliquota dell'IVA.
      4. Con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le Commissioni parlamentari competenti e le regioni, sono disciplinate le modalità di riscossione delle imposte che gravano sulla vendita della cannabis indica e dei suoi derivati prodotti dalle associazioni di cui al comma 1, e di controllo mensile della produzione e sono stabilite le sanzioni in caso di mancato rispetto della normativa vigente ed è previsto l'adeguamento con la disciplina tributaria e fiscale vigente.
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