Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3179


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BARBANTI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI
Modifica all'articolo 727 del codice penale, in materia di abbandono di animali
Presentata il 16 giugno 2015


      

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Onorevoli Colleghi! La tutela del benessere animale e la considerazione degli animali d'affezione hanno vissuto una profonda evoluzione nell'ordinamento giuridico italiano.
      L'articolo 727 del codice penale, rubricato «Abbandono di animali», nella formulazione vigente punisce chi abbandoni animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività ovvero chi detenga animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro.
      Tale fattispecie è punita a titolo di dolo e di colpa e comprende tutti gli atti colposi d'incuria e di negligenza che possono danneggiare l'animale, non solo fisicamente, ma anche causando a esso sofferenze.
      La fattispecie del reato era stata inizialmente modificata dalla legge 22 novembre 1993, n. 473, che, ampliandone la struttura, non aveva, però, inciso sul principio sotteso al reato: ciò che era formalmente tutelato era il bene giuridico della morale pubblica anziché la difesa dell'animale in sé.
      L'articolo 727 del codice penale tutelava, infatti, principalmente il costume sociale.
      Dunque, in vigenza di tale norma l'animale restava giuridicamente inteso come un essere inanimato anziché come un essere vivente e senziente, capace di soffrire.
      Anche illustri esponenti della dottrina penalistica affermano che l'oggetto specifico della tutela offerta dall'articolo 727 del codice penale concerneva la protezione del sentimento comune di umanità verso gli animali, che poteva rimanere gravemente turbato, con pericolo di dannosi riflessi sul sentimento di civiltà, dal maltrattamento di animali: fatto che era altresì contrario alle esigenze minime dell'educazione civile.
      Un autorevole giurista contemporaneo, Manzini, affermava, nel suo «Trattato di diritto penale», volume X, che: «L'articolo 727 del codice penale tutela (...) il sentimento etico-sociale di umanità verso gli animali. La legge penale, nel caso presente, protegge quindi non già gli animali considerati in se stessi (...) ma esclusivamente il detto senso di umanità il quale esige che ognuno si astenga dal maltrattare ingiustificatamente gli animali stessi (...) La vista o la notizia di maltrattamenti non giustificabili ad animali offende necessariamente la nostra civiltà, della quale una delle più essenziali caratteristiche è la gentilezza dei costumi».
      Successivamente, con la legge n. 189 del 2004 sono state introdotte nuove norme a tutela degli animali, inserendo nel libro secondo del codice penale il titolo IX-bis «Dei delitti contro il sentimento per gli animali», che prevede quattro diverse fattispecie penalmente rilevanti.
      L'intervento ha preso le mosse dalla considerazione che l'articolo 727 del codice penale, grazie alla sua genericità, prevedeva la possibilità di ricomprendere in esso una serie abbastanza estesa di comportamenti lesivi degli animali.
      Punto di debolezza dello stesso articolo 727 era però la sua natura di reato contravvenzionale, tale da consentire una prescrizione sostanzialmente breve che vedeva raramente una condanna efficace nei confronti dei colpevoli.
      La citata riforma, quindi, è intervenuta in un contesto della giustizia penale dove non si era in presenza di una norma di diretta efficacia ma l'animale veniva sempre tutelato attraverso la protezione del comune sentire sociale che non consentiva o non dovrebbe dovuto consentire di poter maltrattare gli animali.
      A seguito di tale modifica il nostro sistema giuridico si è dotato di una riformulazione del reato più efficace a tutela degli animali, sia domestici, sia selvatici, avverso qualsiasi forma di maltrattamento e di uccisione immotivata.
      Tale norma cambia, quindi, il presupposto della potestà punitiva dello Stato: si fonda l'individuazione del bene giuridico tutelato negli animali stessi.
      Da quel momento sono protetti direttamente gli animali in quanto esseri senzienti e i maltrattamenti verso di loro non sono più puniti solo in via mediata ossia quale offesa del comune sentimento di pietà.
      L'animale è considerato, pertanto, capace di percepire sofferenze e gioie proprie e ciò rende necessario trattare come delitto ogni inutile nocumento a esso procurato.
      L'intervento normativo, si nota, fa assurgere al rango di delitti diverse condotte incriminatrici precedentemente punite dal solo articolo 727 del codice penale, con conseguente innalzamento delle pene e dei termini prescrizionali.
      Si assiste quindi al passaggio da reato contravvenzionale a delitto plurioffensivo, poiché resta la considerazione della protezione del sentimento di pietà che la comunità prova nei confronti degli animali, unitamente alla produzione di una lesione dell'animale stesso, ormai considerato sotto ogni punto di vista essere vivente capace di provare gioia o dolore.
      La riforma del 2004 individua, infatti, la lesione, la sottoposizione a sevizie o a fatiche e a comportamenti incompatibili etologicamente, il reato di doping a danno di animali e, infine, l'impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate.
      Quale effetto immediato si ottiene che le condotte che integrano le fattispecie di tali reati sono considerate molto più offensive, l'uccisione ingiustificata di animali propri è perseguita come reato, così come anche la somministrazione di sostanze stupefacenti o la sottoposizione a trattamenti che possono procurare un danno alla salute degli stessi, le scommesse e i combattimenti tra animali vengono sanzionati in modo molto più efficace.
      È inoltre prevista la confisca obbligatoria degli animali fatti oggetto di tali reati, anche nel caso che l'indagato opti per il patteggiamento, consentendo anche il sequestro preventivo degli stessi ai sensi dell'articolo 321, comma 3-bis, del codice di procedura penale.
      In argomento si richiama una sentenza del Consiglio di Stato per cui, per opinione tradizionalmente accolta, «le regole poste dall'ordinamento giuridico in materia di tutela degli animali, in via di puro principio, non proteggono gli animali da forme di maltrattamento, abbandono ed uccisione gratuita bensì il comune sentimento di pietà che l'uomo prova verso gli animali e che viene offeso da forme di incrudelimento verso gli stessi; (...) Pur tuttavia, in via interpretativa adeguata all'evoluzione dei costumi e delle istanze sociali in tema naturalistico, le norme de quibus devono intendersi anche come dirette a tutelare gli animali da forme di maltrattamento, abbandono ed uccisioni gratuite in quanto esseri viventi capaci di reagire agli stimoli del dolore» (Consiglio di Stato, sezione V, decisione 27 settembre 2004, n. 6317).
      Ad abundantiam si osserva che i giudici di legittimità hanno più volte evidenziato come tra il reato contravvenzionale di cui all'articolo 727 del codice penale ante riforma e il delitto previsto dall'articolo 544-ter del codice penale sussista una forte continuità normativa poiché sono rimaste identiche le condotte punibili (Cassazione penale sezione III, sentenza 21 dicembre 2005, n. 46784), aderendo, sotto questo aspetto, al precedente filone giurisprudenziale per il quale il bene giuridico tutelato, in via formale, era il sentimento verso gli animali, ma, in via mediata, era l'animale stesso.
      L'articolo 727 del codice penale, oggi, mantiene la funzione di punire sia le condotte residuali che non raggiungano la gravità prevista dai delitti richiamati, sia operando parallelamente a questi ultimi delitti in forma contravvenzionale.
      A sostegno di tale interpretazione rileviamo alcune pronunce di merito che imputano la violazione dell'articolo 544-ter del codice penale e dell'articolo 727 del codice penale a soggetti che maltrattano animali cosiddetti da reddito, ossia: mucche, vitelli, maiali e galline (tribunale penale di Torino in composizione collegiale 25 ottobre 2006, tribunale di Pavia 24 aprile 2007, decreto penale di condanna a danno di una società di macellazione di Pavia per maltrattamento delle mucche ai sensi dell'articolo 544-ter del codice penale).
      La lettera della norma, come dimostrato dalla recente giurisprudenza, considera gli animali in sé, perciò non vi sono differenze fra animali d'affezione, domestici, d'allevamento o selvatici.
      Si evince, dunque, una linea interpretativa in senso esteso del concetto di animali, suffragata da numerose pronunce di merito.
      In quest'ambito, tuttavia, come già anticipato, il reato di abbandono di animali non desta una particolare deterrenza in ragione del fatto che la pena massima per l'arresto si limita ad un anno e che il valore dell'ammenda parte da un minimo ancora esiguo, 1.000 euro.
      Appare forse più efficace per rinforzare la deterrenza della norma aumentare il valore minimo dell'ammenda e anche il massimo di pena dell'arresto di modo da sensibilizzare nuovamente e reprimere con più ampia efficacia le varie e sempre frequenti occasioni nelle quali si perviene a commettere abusi sugli animali.
      Molti abusi sugli animali non consentono l'imputazione per i delitti di cui al libro secondo, titolo IX-bis, del codice penale, ma restano pur sempre comportamenti condannabili poiché rivolti agli animali d'affezione che sempre di più gli italiani hanno imparato ad apprezzare e a tenere con sé quali compagni di vita.
      Si ritiene comunque più consono aumentare il massimo delle pene previste per le condotte punite dall'articolo 727 del codice penale sia per la brutalità con cui questi comportamenti deprecabili vengono inflitti ad animali inermi, sia perché spesso la violenza sugli animali è l'anticamera della violenza contro gli stessi esseri umani.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.

      1. Al primo comma dell'articolo 727 del codice penale, le parole: «ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro» sono sostituite dalle seguenti: «a due anni e sei mesi o con l'ammenda da 2.500 a 25.000 euro».

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