Frontespizio Relazione Progetto di Legge
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 3400


PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI
Modifiche agli articoli 278 del codice penale e 19-bis delle disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale, in materia di offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica
Presentata il 3 novembre 2015


      

torna su
Onorevoli Colleghi! Nel corso degli anni l'ordinamento ha visto numerosi interventi legislativi di abrogazione e di depenalizzazione, tra i quali ricordiamo, per la loro portata: la legge 24 novembre 1981, n. 689, la legge 25 giugno 1999, n. 205, il decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, e la legge 24 febbraio 2006, n. 85.
      Tali depenalizzazioni e abrogazioni di reati minori non hanno, tuttavia, intaccato numerose ulteriori norme del codice penale del 1930 ormai divenute anacronistiche.
      Alcune di queste fattispecie di reato sono risalenti all'epoca fascista e ormai non sono più conformi ai princìpi dell'ordinamento, tra queste, ad esempio, ricordiamo i reati di disfattismo politico o di associazioni antinazionali, il vilipendio alla Repubblica, alla nazione italiana, alla bandiera, l'offesa alla religione di uno Stato mediante vilipendio di persone o cose, l'oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario.
      Queste fattispecie erano state in parte mutuate dal codice Zanardelli e risentivano della forma dell'ordinamento giuridico del tempo, teso a limitare e a punire i comportamenti che potevano rivolgersi in senso denigratorio nei confronti della figura del Re e del suo operato nel Governo del Paese.
      Con la riforma penale del codice Rocco del 1930 molte di queste disposizioni sono state recepite, sia perché si era ancora in presenza di funzioni di Governo demandate alla figura del Re sia perché il contesto socio-politico che aveva visto la nascita di tale codice, con al Governo il partito fascista, esprimeva anche nelle fattispecie penali l'ideologia autoritaria che caratterizzava l'azione del potere esecutivo.
      In particolare il reato previsto dall'articolo 278 del codice penale che punisce le offese all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica è stato ereditato dal regime fascista che prevedeva, nel codice Rocco, la seguente norma: «Chiunque offende l'onore o il prestigio del Re o del Reggente è punito con la reclusione da due a sette anni».
      Dopo la seconda guerra mondiale il legislatore repubblicano, prima dell'entrata in vigore della Costituzione, con la legge n. 1317 del 1947, senza intervenire nel merito, si è limitato a eliminare la figura del Re e del Reggente dalla fattispecie inserendo quella del Presidente della Repubblica.
      Si voleva, quindi, tutelare la figura del Capo dello Stato, parificando, tuttavia, questa tutela indistintamente sia nella forma di Stato monarchica sia in quella repubblicana, come se il Re e il Presidente della Repubblica dovessero essere soggetti a identica tutela nei confronti del vilipendio.
      È pur vero che tale ragionamento non tiene conto del contesto ordinamentale nel quale si viene a collocare, cioè il Re o il Presidente della Repubblica. Né viene preso in considerazione l'assetto costituzionale, cioè la dimensione pluralistica repubblicana fondata, anche e soprattutto, sul principio di uguaglianza, di cui all'articolo 3 della Costituzione, e sui diritti di libertà, in particolare di libera manifestazione del pensiero previsto dall'articolo 21 della Costituzione, che potrebbero trovare, nella dimensione monarchica, un perimetro costituzionale più ristretto.
      La stessa ratio sottesa alla tutela dell’«onore e del prestigio» del Capo dello Stato può trovare la sua naturale espressione in un sistema costituzionale monarchico, nel genus dei reati di «lesa maestà», ma risulta, di converso, incompatibile con l'espressione della sovranità che negli ordinamenti repubblicani e costituzionali appartiene al popolo.
      Apparirebbe peraltro contrastante con la Costituzione una norma che prescrivesse addirittura la restrizione della libertà personale, imponendo la pena della reclusione a chi «offenda l'onore e il prestigio» di quel solo soggetto istituzionale a cui l'ordinamento riserva un privilegio oltremodo garantista.
      Il reato di vilipendio è quindi a buon diritto annoverabile nei cosiddetti reati di opinione, che possono essere intesi come divieti di dire la cosa sbagliata e di diffondere l'opinione considerata errata su certi valori sovra-individuali.
      Partendo dal brocardo «cogitationis poenam nemo patitur» (nessuno può essere legittimamente punito per avere avuto un pensiero), che costituisce il principio di materialità nel diritto penale, si conclude che anche chi abbia espresso questo pensiero non potrebbe essere perseguito penalmente poiché lo Stato non ha il potere di vietare ai singoli di esprimere il loro pensiero anche qualora il messaggio espresso abbia un contenuto inopportuno, irriguardoso o finanche offensivo, fatte salve le tutele accordate a tutti i cittadini rispetto ai reati di diffamazione ed ingiuria.
      La libertà di esprimere ciò che si pensa è un aspetto essenziale dell'autonomia e della dignità delle persone: un modo per realizzare la propria personalità attraverso l'ideazione di pensieri che possono essere liberamente espressi.
      Le fattispecie penali dei reati di vilipendio – tranne per quello al Presidente della Repubblica, di cui all'articolo 278 del codice penale – sono state oggetto di recente e significativa revisione legislativa, con una totale depenalizzazione in favore di sole sanzioni amministrative mediante la legge n. 85 del 2006 («Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione») che ha modificato i seguenti articoli del codice penale: 241, 270, 283, 289, 292, 299, 403, 404 e 405.
      Si può anche sostenere che il legislatore sia incappato in una svista, dal momento che non ha previsto un'uguale depenalizzazione anche per le fattispecie penali riferite al vilipendio del Presidente della Repubblica.
      Si ricorda, inoltre, l'autorevole opinione dell'Emerito Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il quale, in un intervento tenuto alla Giornata dell'informazione il 16 ottobre 2010, aveva così concluso il suo discorso: «Se mi permettete una telegrafica postilla: per quel riguarda l'articolo 278 del codice penale, non toccato peraltro dalla riforma dei reati di opinione di pochi anni fa, chiunque abbia titolo per esercitare l'iniziativa legislativa può liberamente proporne l'abrogazione. Giudichino poi i cittadini che cosa è libertà di critica – e che cosa non lo è – nei confronti di istituzioni che dovrebbero essere tenute fuori dalla mischia politica e mediatica».
      A distanza di oltre ottanta anni dal codice Rocco si propone, quindi, la depenalizzazione del reato di offese all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica previsto dall'articolo 278 del codice penale che appare non più in linea con l'attuale contesto socio-politico.
      Il delitto di vilipendio al Capo dello Stato, si presenta, peraltro, come una fattispecie a forma libera e di non facile determinazione, capace di comprendere nel concetto di vilipendio qualunque opzione, giudizio e valutazione ritenuti più o meno offensivi, senza che sia definito in alcun modo il grado di gravità dell'opinione espressa perché si possa comminare la sanzione penale.
      Nello specifico, il reato di vilipendio al Capo dello Stato e gli altri reati d'opinione presentano, infatti, nell'attuale configurazione, numerose problematiche relative, ad esempio, all'indeterminatezza degli stessi elementi costitutivi della fattispecie, che non consentono immediatamente di definire se mediante l'espressione di una determinata opinione sussista o no l'offesa alla reputazione nei confronti di un'alta carica istituzionale.
      È più che opportuno, quindi, ribilanciare gli opposti interessi, da un lato quello del doveroso rispetto delle istituzioni e dall'altro l'altrettanto doverosa tutela della libertà d'opinione anche in relazione al dettato della Costituzione.
      Allo stato attuale chiunque può essere perseguito penalmente per il solo fatto di aver espresso le proprie opinioni o la propria posizione ideologica, politica o religiosa, per quanto poco condivisibile essa possa apparire.
      S'intende pertanto coltivare il rispetto per le istituzioni democratiche senza processare i cittadini che manifestano opinioni sfavorevoli verso le stesse, esercitando soltanto il loro diritto d'opinione senza che possano essere accusati di aver commesso un reato semplicemente per la qualità istituzionale del soggetto destinatario dell'espressione ritenuta potenzialmente offensiva.
      La presente proposta di legge prevede perciò la depenalizzazione di questa fattispecie mediante l'equiparazione del vilipendio al Capo dello Stato al reato previsto e punito dall'articolo 292 del codice penale, rubricato «Vilipendio o danneggiamento alla bandiera o ad altro emblema dello Stato», il quale sanziona il vilipendio con una sanzione pecuniaria che è aumentata se il fatto è compiuto in pubblico o in occasione di una cerimonia ufficiale.
      Auspichiamo, dunque, che questa proposta di depenalizzazione possa costituire anche un invito ad approfondire la discussione per una modifica complessiva del nostro sistema penale capace di unificare nel solo codice penale la moltitudine di fattispecie delittuali e contravvenzionali disperse nelle singole leggi che regolano ciascuna materia di settore.
torna su
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Modifica dell'articolo 278 del codice penale).

      1. L'articolo 278 del codice penale è sostituito dal seguente:
      «Art. 278. – (Offese all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica). – Chiunque offende l'onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.000 a euro 5.000. La sanzione è aumentata da euro 5.000 a euro 10.000 nel caso in cui il medesimo fatto sia commesso in occasione di una pubblica ricorrenza o di una cerimonia ufficiale».

Art. 2.
(Disposizioni di coordinamento).

      1. Al primo comma dell'articolo 19-bis delle disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale, di cui al regio-decreto 28 maggio 1931, n. 601, dopo le parole: «previste dagli articoli» è inserita la seguente: «278,».

Per tornare alla pagina di provenienza azionare il tasto BACK del browser