Frontespizio Relazione
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 2613-E-ter


RELAZIONE DELLA I COMMISSIONE PERMANENTE
(AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI)
presentata alla Presidenza il 7 aprile 2016
(Relatore di minoranza: QUARANTA)
sul
DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE
APPROVATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
l'8 agosto 2014 (v. stampato Camera n. 2613)
MODIFICATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DALLA CAMERA DEI DEPUTATI
il 10 marzo 2015 (v. stampato Senato n. 1429-B)
MODIFICATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 13 ottobre 2015 (v. stampato Camera n.2613-B)
APPROVATO, SENZA MODIFICAZIONI, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DALLA CAMERA DEI DEPUTATI
l'11 gennaio 2016 (v. stampato Senato n.1429-D)
APPROVATO, IN SECONDA DELIBERAZIONE, CON LA MAGGIORANZA ASSOLUTA DEI SUOI COMPONENTI, DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 20 gennaio 2016
presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(RENZI)
e dal ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il parlamento
(BOSCHI)
Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica il 21 gennaio 2016


      

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Onorevoli colleghi! Siamo dunque giunti all'ultimo atto dell’iter parlamentare del disegno di legge costituzionale C. 2613 Renzi-Boschi e la parola sta per passare agli elettori, avendo già le opposizioni annunciato la raccolta di firme fra i deputati, così come il comitato per il NO fra i cittadini. Ben lontani risultano essere infatti i due terzi dei consensi delle due Camere, che avrebbero reso impraticabile il ricorso al referendum, avendo la maggioranza raccolto il voto favorevole, fra le opposizioni, del solo sparuto gruppo del senatore Verdini.
      Occorre tuttavia denunciare come in modo evidente il Presidente del Consiglio cerchi di trasformare il responso del referendum costituzionale in una sorta di plebiscito su di sé ed il suo Governo, annunciando per un verso una raccolta di firme tra i deputati di maggioranza per chiederne la convocazione (mentre lo spirito della norma è di consentire l'utilizzo di questo strumento alle minoranze ed ai cittadini) e obbligando dall'altro gli elettori (contravvenendo all'articolo 48 della Costituzione che prevede che il voto sia libero) ad esprimersi con un voto unico su circa un terzo degli articoli della Costituzione, con l'evidente obiettivo di non consentire una reale discussione di merito.
      Inoltre ci pare molto grave, ancora sul piano del metodo, che a questa così ampia riforma si sia giunti senza alcun mandato preventivo popolare, con numeri parlamentari tanto risicati quanto frutto di un premio di maggioranza valutato incostituzionale dalla Corte costituzionale e imponendo anche alla propria maggioranza un vincolo di fedeltà al Governo tale da minacciare, in caso di non approvazione del testo o di modifiche non decise dal Governo, lo scioglimento delle Camere.
      Un tale metodo, indegno di uno spirito costituente, non poteva che accompagnarsi ad una propaganda biecamente populista (volta a preparare il terreno al plebiscito referendario): anziché concentrarsi su come garantire il diritto dei cittadini ad essere informati e a conoscere il merito di una riforma così profonda delle istituzioni, si evocano astratte quanto fantasiose promesse di efficienza, semplificazione e sensibile taglio dei costi. Si cerca contemporaneamente di celare che la qualità della democrazia dipende viceversa dal protagonismo diretto dei cittadini nelle istituzioni, che questa riforma mortifica pesantemente penalizzando tutti gli istituti di democrazia diretta ed eliminando addirittura il diritto di voto per il Senato, nonostante questo mantenga il supremo potere di revisione costituzionale.
      La pochezza culturale prima ancora che politica della proposta si rivela peraltro nella totale assenza di una riflessione che riguardi compiutamente Regioni ed enti locali: apparentemente da un lato si riconosce loro un ruolo importante nella Camera alta, seppur in un Senato che rischia di essere il dopolavoro di consiglieri regionali e sindaci (il cui concreto funzionamento non è ancora stato spiegato e di cui a oggi l'unico dato certo è che non sarà eletto dal voto diretto dei cittadini) e dall'altro però, con la riforma del Titolo V, si sottrae ruolo e competenze alle Regioni spostando quasi tutte le materie di legislazione concorrente in capo a quella statale.
      La riforma in discussione non semplifica affatto. Un Senato dalla composizione imbarazzante; ridotto nei numeri tanto da poter difficilmente svolgere qualunque ruolo di controllo, quanto eterogeneo nella composizione: consiglieri regionali, sindaci, senatori di diritto, senatori a vita, senatori per sette anni. Regioni sovrarappresentate, e che difficilmente potranno conciliare il lavoro del Senato con quello del consiglio regionale, ed altre irrilevanti. Un numero spropositato di possibili procedimenti legislativi, con rischio di paralisi nel caso in cui i Presidenti delle Camere non concordassero nell'individuare nei diversi casi le materie prevalenti. Modifiche al Titolo V ambigue e mal concepite tali da riaprire potenzialmente un nuovo contenzioso fra Stato e Regioni.
      Tuttavia il cuore della riforma e l'aspetto più inquietante e dirompente e per questo il più celato è il mutamento della forma di governo. La legge elettorale, approvata in modo inconsueto prima di quella costituzionale, ne determina il segno: un inedito quanto pericoloso «presidenzialismo alla fiorentina». Un «vincitore certo la sera del voto», in assenza del conseguimento della maggioranza dei voti validi, è incompatibile con un sistema parlamentare. Si può verificare però con l'elezione diretta del premier, prevista dall’Italicum al ballottaggio, che gli consegni la maggioranza assoluta degli eletti senza che abbia raggiunto alcuna soglia minima di voti al primo turno. Saremo così in un sistema privo di sufficienti contrappesi che contemplerà contemporaneamente l'elezione diretta di un premier che si nominerà gran parte dei suoi deputati e che scipperà col «voto a data certa» il potere legislativo al Parlamento e con la «clausola di supremazia» e la riforma del Titolo V concentrerà su di sé anche quelle che erano molte prerogative in capo alle Regioni.
      Il rispetto di elementari regole democratiche e del controverso risultato elettorale di questa legislatura avrebbero dovuto indurre il Governo ad astenersi da qualunque iniziativa di riforma costituzionale ed il Parlamento a lavorare su poche e condivise riforme quali ad esempio la riduzione bilanciata degli eletti di Camera e Senato, il riconoscimento alla sola Camera dei deputati del voto di fiducia ed una nuova condivisa legge elettorale che sopperisse alle censure della Corte costituzionale.
      Forse però la spiegazione della genesi di questa riforma sta, oltre che nell'ambizione smodata al comando assoluto propria della cultura istituzionale dell'attuale premier, nel desiderio di compiacere servilmente questa Europa di finanzieri e tecnocrati che vedono nel rafforzamento degli esecutivi la possibilità di imporre un'agenda economica e sociale frutto del pensiero unico neoliberista. Meglio concentrare il potere in poche fidate mani eterodirette da Bruxelles o Berlino piuttosto che parlamenti che discutano e decidano liberamente.
      Per queste ragioni il gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà si opporrà a questo penoso maquillage costituzionale nel Parlamento e nel Paese.

Stefano QUARANTA,
Relatore di minoranza.

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