Organo inesistente

XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4282


PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE
d'iniziativa dei deputati
NICOLETTI, CARRESCIA, SBERNA, MONTRONI, GASPARINI, KRONBICHLER, SANTERINI, GUERRA, VERINI, GNECCHI, SENALDI, PAOLO ROSSI, CASELLATO, CASATI, CIMBRO, ROMANINI, ZAN, COVA, LA MARCA, TARICCO, ZANIN
Modifiche all'articolo 135 della Costituzione e alla legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2, in materia di elezione dei giudici della Corte costituzionale
Presentata l'8 febbraio 2017


      

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Onorevoli Colleghi! — La composizione della Corte costituzionale è di tipo misto: cinque giudici sono eletti dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa, cinque sono nominati dal Presidente della Repubblica e cinque sono eletti dal Parlamento in seduta comune (articolo 135 della Costituzione). La diversa origine dell'elezione e/o nomina è funzionale alla costituzione di un collegio capace di competenza tecnica e di sensibilità politica.
      In particolare, l'elezione di un terzo dei giudici della Corte costituzionale da parte del Parlamento in seduta comune, sulla quale intende incidere la presente proposta di legge costituzionale, rappresenta un atto fondamentale di partecipazione dell'Assemblea rappresentativa del popolo alla formazione del più importante organo di garanzia della Repubblica.
      Nello svolgere la funzione di «custode della Costituzione», la Corte costituzionale riveste un ruolo fondamentale nell'interpretazione della volontà politica del popolo. Sia della volontà a suo tempo espressa nel testo della Costituzione del 1948 – volontà che pose a fondamento del vivere associato i princìpi inderogabili del rispetto dei diritti fondamentali della persona, lo Stato di diritto e la democrazia – sia della volontà continuamente esprimentesi nell’«aggiornamento» (o nella «manutenzione») della legge fondamentale e nella produzione legislativa.
      Per questa ragione, giustamente, i Costituenti hanno voluto che una parte dei membri della Corte fosse scelta dai rappresentanti dei cittadini, in modo che la Corte esprimesse al proprio interno la ricchezza del pluralismo sociale e culturale e fosse in costante ascolto della società e dei suoi mutamenti. Ciò in piene sintonia e coerenza con la tradizione del costituzionalismo liberale e democratico che, fin dalle prime esperienze di controllo di costituzionalità dell'operato del legislatore, ha riconosciuto il carattere «anche» politico di tali organi e, conseguentemente, ne ha affidato l'elezione o la nomina al popolo o ai suoi rappresentanti. La composizione della Corte suprema degli Stati Uniti d'America (USA) è «collegata» al «popolo sovrano» tramite la nomina da parte del Presidente degli Stati Uniti e l’advice and consent del Senato. Il legame con i rappresentanti del popolo è presente anche in Europa a partire dalle proposte di istituzione di un Giurì costituzionale nell'esperienza della Costituzione francese del 1795 ad opera di Sieyès. Parimenti nel dibattito costituzionale italiano successivo all'esperienza rivoluzionaria del 1848, Rosmini avanzò l'idea di un tribunale politico «custode della Costituzione» la cui composizione era addirittura affidata a un'elezione a suffragio universale.
      La composizione delle Corti costituzionali europee del ’900 è debitrice della citata tradizione. In Francia il Conseil constitutionnel è interamente di nomina politica (i nove giudici sono nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Presidente dell'Assemblea nazionale e per un terzo dal Presidente del Senato). In Germania i giudici costituzionali sono eletti dal Parlamento: metà dal Bundestag e l'altra metà dal Bundesrat. In Spagna quattro giudici del Tribunale costituzionale sono scelti dal Congresso dei deputati, quattro dal Senato, due dal Governo e due dal Consiglio generale del potere giudiziario.
      Nella Corte costituzionale italiana la presenza di giudici eletti dai rappresentanti del popolo è di facile comprensione: accanto a giudici provenienti dalle magistrature, espressione delle più alte autorità giurisdizionali e del loro sapere giuridico, è prevista la presenza di un terzo di giudici eletti dalle due Camere in seduta comune, ossia dai rappresentanti del popolo eletti dai cittadini e dunque portatori di diverse visioni della vita civile e di diversi interessi sociali. A bilanciare la compresenza di una componente tecnica e di una componente di estrazione «politica», la Costituzione ha poi previsto una terza componente di giudici nominati dal Presidente della Repubblica, quale supremo potere arbitrale ma al tempo stesso quale «rappresentante» dell'unità della nazione (sull'importanza della composizione «mista» della Corte costituzionale si veda G. Zagrebelsky V. Marcenò, Giustizia costituzionale, Bologna, il Mulino, 2012).
      Lungi dunque dal costituire un elemento di inquinamento o di deviazione, l'elezione di una parte dei giudici costituzionali da parte del Parlamento in seduta comune esprime l'idea che, come la Costituzione è il frutto del confronto e della mediazione tra il pluralismo delle componenti politiche e ideali di una società, così anche la sua interpretazione non è un'attività meramente tecnica, ma il frutto di un costante e rinnovato confronto tra tali componenti. In questa prospettiva è essenziale che la Corte possa vedere rappresentati al proprio interno i diversi orientamenti politici e ideali, le diverse tradizioni valoriali, la multiforme ricchezza delle tradizioni giuridiche del Paese.
      In questo senso, coerentemente con la previsione costituzionale di una parte di giudici di nomina «politica», e coerentemente con il riconoscimento del carattere intrinsecamente «plurale» degli orientamenti politico-ideali del Paese, la legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2, che si intende modificare, stabilisce le modalità di elezione dei giudici di estrazione parlamentare: la maggioranza dei due terzi dei componenti del collegio nei primi due scrutini e dei tre quinti dei componenti del collegio a partire dal terzo in poi. Tali maggioranze sono funzionali a sottrarre l'elezione dei giudici costituzionali eletti dal Parlamento alla «disponibilità» di una componente politica del Parlamento e, in particolare, della maggioranza politica che sostiene il Governo in carica.
      Queste maggioranze, obbligando le forze politiche che siedono in Parlamento a cercare un accordo, rischiano di allungare i tempi del procedimento di elezione in assenza di un'intesa fra i partiti. Per tale ragione in passato si è consolidata una convenzione costituzionale volta a garantire la presenza tra i giudici di nomina politica di orientamenti politici e culturali diversi, sia di maggioranza che di minoranza (A. Pizzorusso, Art. 135, in G. Branca A. Pizzorusso, Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, Zanichelli 1981, pagina 151; G.U. Rescigno, Ripensando le convenzioni costituzionali, in «Politica del diritto», 1997, pagine 511 e seguenti).
      La «convenzione costituzionale» rischia di divenire una procedura meramente spartitoria tra le forze politiche e non è necessariamente in grado di garantire la presenza nella base degli orientamenti «politico-ideali» della società (assicurando in alcuni casi solo prossimità «politico-partitiche»), ma in molti casi non si è rivelata efficace sotto il profilo della tempestività. Tempestività che è assolutamente necessaria per una piena funzionalità dell'organo, che non può operare con un numero di giudici inferiore a undici, ipotesi che si è verificata nel 2002.
      Frequenti sono ormai i ritardi nell'elezione dei giudici da parte delle Camere. Ritardi che hanno minato la credibilità del Parlamento in ordine alla sua capacità di svolgere tale delicata funzione e hanno logorato candidature in un gioco politico avente talvolta finalità del tutto estrinseche rispetto alle funzioni della Corte. Ricordiamo – a titolo di esempio – alcuni eclatanti precedenti: undici mesi per la sostituzione dei giudici Casavola e Spagnoli (1995-1996), quasi venti mesi per la sostituzione del giudice Caianiello (1995-1997), oltre diciassette mesi per la sostituzione dei giudici Guizzi e Mirabelli (2000-2002), diciotto mesi per la sostituzione del giudice Vaccarella (2007-2008). Di qui i ripetuti richiami dei Presidenti della Repubblica, che nel caso del Presidente Cossiga hanno raggiunto la minaccia di ricorrere allo scioglimento delle Camere in caso di prolungati ulteriori ritardi (sui ritardi si vedano J. Luther, I giudici costituzionali sono giudici naturali?, in «Giurisprudenza costituzionale», 1991, pagina 2483; R. Bin, C. Bergonzini, La Corte costituzionale in Parlamento in R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), «Effettività» e «seguito» delle tecniche decisorie della Corte costituzionale, Jovene, Napoli, 2006, pagine 215-237; A. Pugiotto, «Se non così, come? E se non ora, quando?»: sulla persistente mancata elezione parlamentare di un giudice costituzionale, in L. Desanti, P. Ferretti, A.D. Manfredini (a cura di), Per il 70. Compleanno di Pierpaolo Zamorani: scritti offerti dagli amici e dai colleghi di Facoltà, Giuffrè, Milano 2009, pagine 339-354).
      Nel tentativo di porre rimedio alle situazioni di stallo che si protraggono per mesi o addirittura per anni, al momento della vacanza di un «seggio» di nomina parlamentare nella Consulta, la presente proposta di legge costituzionale conferma la scelta del Costituente dell'elezione parlamentare di una parte dei giudici. Sottrarre al Parlamento un tale compito potrebbe produrre un reale impoverimento della composizione della Corte che, fino ad ora, ha svolto positivamente il proprio ruolo.
      Si tratta piuttosto di individuare un «meccanismo di chiusura» della procedura di elezione che garantisca la sostituzione dei seggi vacanti entro tempi certi.
      La prorogatio dei giudici uscenti, pure vigente fino al 1967 ( ai sensi dell'articolo 18 del Regolamento generale), non pare una soluzione auspicabile: da un lato rischierebbe di favorire l'inerzia parlamentare e dall'altro non risolverebbe il caso di vacanze dovute a cause di forza maggiore. Né la soluzione – già proposta in passato in dottrina e in sede parlamentare – di affidare al Presidente della Repubblica, in caso di reiterato rinvio da parte dell'organo competente, il compito di nomina dei membri della Corte da sostituire pare risolvere il problema (si vedano: R. Pinardi, Prime osservazioni sul problema dei ritardi parlamentari nell'elezione dei giudici della Corte costituzionale, in A. Anzon, G. Azzariti, M. Luciani (a cura di), La composizione della Corte costituzionale. Situazione italiana ed esperienze straniere. Atti del seminario di Roma del 14 marzo 2003, Giappichelli, Torino, pagine 223 e seguenti; A. Cerri, Corso di giustizia costituzionale, Giuffré, Milano, 2008, V edizione, pagina 65; la proposta di legge presentata dall'onorevole Corleone nella VIII legislatura, atto Camera n. 3518). Considerato che il Presidente della Repubblica concorre alla nomina di un terzo dei giudici costituzionali, il suo intervento suppletivo troverebbe una piena giustificazione in una facoltà che la Costituzione già gli attribuisce, ma altererebbe l'equilibrio ideato dal Costituente nella composizione della Corte.
      Altri ancora hanno suggerito di introdurre il ballottaggio tra i due candidati che hanno raggiunto il numero più alto dei voti, replicando quanto già previsto per l'elezione dei giudici costituzionali da parte delle supreme magistrature. D'altra parte, un meccanismo siffatto, se da un lato conterrebbe in sé un elemento di «chiusura», dall'altro potrebbe portare al superamento di quella «maggioranza qualificata» che invece, nonostante i suoi difetti, rimane una garanzia di ricerca di accordi rispettosi del pluralismo politico che anima il Parlamento.
      Di fronte ai limiti delle ipotesi sopra sinteticamente considerate, con la presente proposta di legge costituzionale si intende introdurre un meccanismo atto a garantire che l'elezione dei giudici da parte del Parlamento si svolga entro un arco temporale chiaramente definito. A tale fine, all'articolo 1 si modifica l'articolo 135, primo comma, della Costituzione, inserendo una riserva di legge costituzionale per la definizione di modalità e tempi dell'elezione (come già ora avviene con la legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2), nonché appositi meccanismi che garantiscano il rispetto dei tempi previsti dalla legge. Con ciò si intende attribuire valore costituzionale non solo alle modalità di elezione, ma anche al rispetto dei tempi dell'elezione dei giudici.
      All'articolo 3 il termine per la sostituzione del seggio è fissato in tre mesi a partire dalla vacanza della carica. La legge costituzionale n. 2 del 1967 oggi prevede un termine più breve, un mese. L'arco temporale a disposizione del Parlamento viene ampliato, ma viene anche reso perentorio attraverso l'introduzione di una procedura disciplinata dalle disposizioni di cui all'articolo 2. Si introduce la possibilità che – scaduto il termine di tre mesi – la Corte costituzionale presenti una terna di possibili candidati. Si tratta di un'ipotesi prevista nella Repubblica Federale Tedesca per il Bundesverfassungsgericht (si veda l'articolo 4 della legge istitutiva del Tribunale costituzionale). La terna presentata dalla Corte non è vincolante e si muove nell'ambito della «moral suasion» al fine di sollecitare la scelta del Parlamento. Non si tratta di una procedura di cooptazione (pure prefigurata in dottrina e in Parlamento, nel primo caso sempre da R. Pinardi e nel secondo nella XII legislatura dall'atto Camera n. 2115 d'iniziativa dell'onorevole Bassanini e nella XIII legislatura dall'atto Camera n. 167 d'iniziativa dell'onorevole Corleone), ma di una proposta formulata al Parlamento qualora esso stesso non riesca a compiere la scelta nel termine previsto. Attraverso tale meccanismo, la Corte potrebbe indicare esplicitamente profili professionali che consideri necessari, in un dato momento storico, allo svolgimento delle sue funzioni. In ogni caso, anche dopo tale iniziativa, la discrezionalità di scelta del Parlamento rimarrebbe intatta.
      Solo se dal ricevimento della lista decorresse (ancora una volta) inutilmente il termine di trenta giorni, la scelta dovrebbe essere compiuta di comune accordo dai Presidenti delle due Assemblee parlamentari. Si tratta di una «supplenza» funzionale a chiudere l'elezione dei giudici costituzionali e a ripristinare l'integrità della composizione della Consulta. Anche per questa ipotesi è precisato che la terna presentata dalla Corte non è vincolante. Nel diritto comparato rintracciamo un'ipotesi similare nel caso francese, perché i Presidenti delle due Assemblee scelgono, in quel caso separatamente, una quota dei componenti del Consiglio costituzionale. Nella prospettiva istituzionale italiana, l'intervento dei Presidenti è da intendere come un'ipotesi eccezionale, – quasi un'eccezione nell'eccezione – una prerogativa alla quale i Presidenti accedono nel caso in cui l'inerzia del Parlamento si prolunghi oltre il quinto mese dalla cessazione del mandato del giudice uscente. La scelta si ispira a quanto già accade in occasione di altre nomine, in cui i Presidenti delle due Camere scelgono i componenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali e designano un membro del Consiglio della magistratura militare. In dottrina la possibilità di sentire i Presidenti delle due Assemblee è stata ipotizzata da Cerri in relazione all'ipotesi in cui sia il Presidente della Repubblica a intervenire in caso di reiterato ritardo delle Camere (vedi supra opera citata).
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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE
Art. 1.

      1. Al primo comma dell'articolo 135 della Costituzione è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La legge costituzionale disciplina le modalità e i tempi di elezione dei giudici costituzionali e garantisce che la nomina avvenga entro i termini previsti».

Art. 2.

      1. Dopo l'articolo 3 della legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2, è inserito il seguente:

          «Art. 3-bis. – 1. — Decorso inutilmente il termine di cui all'articolo 5, la Corte costituzionale, entro trenta giorni, sottopone al Parlamento una terna di candidati deliberata a maggioranza assoluta dei propri componenti. Il Parlamento sostituisce il seggio vacante entro trenta giorni dal ricevimento della terna di candidati. Trascorso tale termine senza che il Parlamento abbia provveduto, la sostituzione del seggio è decisa d'intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. La proposta della Corte non è vincolante né per il Parlamento né per i Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica».

Art. 3.

      1. L'articolo 5 della legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2, è sostituito dal seguente:

          «Art. 5. – 1. — Il Presidente della Corte costituzionale dà immediata comunicazione della cessazione dalla carica di un giudice all'organo competente per la sostituzione. L'organo competente provvede alla sostituzione entro tre mesi dalla vacanza».

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