Frontespizio Relazione
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4768-A-quater


DISEGNO DI LEGGE
APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 30 novembre 2017 (v. stampato Senato n. 2960)
presentato dal ministro dell'economia e delle finanze
(PADOAN)
Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica
il 1° dicembre 2017
(Relatore di minoranza: MELILLA)


      

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Onorevoli Colleghi! – Per l'ennesima volta il Parlamento è chiamato a votare una legge di bilancio gravemente insufficiente, sostanzialmente priva di quel ragionamento di struttura indispensabile per rilanciare il sistema economico del Paese e che, soprattutto, lascia aperti seri problemi in molteplici settori che avrebbero meritato una certa attenzione da parte di un Governo che dovrebbe attuare politiche di centrosinistra.
      Perché cari colleghi, questo disegno di legge di bilancio altro non è che un coacervo di parole e intendimenti fatti refluire in disposizioni giustapposte che, di fatto, non rispondono in modo serio alle urgenze e alle necessità del Paese e dove si conferma l'assenza di una strategia adeguata per uscire dalla crisi e ritrovare una crescita sostenuta riducendo le disuguaglianze soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno.
      Purtroppo è sotto gli occhi di tutti come con questo provvedimento si continuino ad assegnare bonus a pioggia indiscriminatamente e a scommettere solo sui meccanismi della decontribuzione e della defiscalizzazione, oltre che della deregolazione del lavoro senza creare direttamente occupazione stabile.
      Come strategia per uscire davvero dalla crisi e riformare il modello di sviluppo del Paese occorre molto di più e il Gruppo parlamentare Articolo 1-Movimento Democratici e Progressisti lo ha evidenziato, presentando più di 350 emendamenti in Commissione Bilancio con i quali si descrive una vera e propria contromanovra di finanza pubblica dotata di coperture incontestabili in contrapposizione al provvedimento di respiro squisitamente «elettorale» che voteremo a breve. Un provvedimento in cui, tolte le spese obbligatorie per rinviare gli aumenti dell'IVA e delle accise, solo per l'anno 2018 peraltro, e non in modo strutturale, gran parte delle risorse rimanenti sono destinate a finanziare una pioggia di incentivi che si aggiungono agli oltre 50 miliardi di euro di bonus che abbiamo sprecato nel corso di questa legislatura. Incentivi, peraltro, per lo più destinati alle imprese che, invece, avremmo potuto sfruttare per un grande piano per il lavoro e di investimenti pubblici.
      Al riguardo, con riferimento ai temi dello sviluppo economico e del Mezzogiorno, sottolineo come con i nostri emendamenti sia stata evidenziata la necessità di varare un grande piano per il lavoro e per l'ambiente con un incremento netto degli investimenti di almeno mezzo punto di PIL l'anno nei settori di intervento più utili ed urgenti come quello della manutenzione urbana delle nostre città, della messa in sicurezza del territorio, della prevenzione contro il dissesto idrogeologico, della viabilità minore e delle bonifiche dei siti inquinati.
      Come Gruppo parlamentare abbiamo evidenziato come debbano e possano essere introdotte procedure che rendano effettivi questi interventi eliminando gli ostacoli di diversa origine che oggi fanno sì che il ciclo della spesa per le opere pubbliche sia in Italia di circa nove anni, nella prospettiva ovviamente di accelerare gli investimenti in particolare nel Mezzogiorno che, come noto, si trova in una situazione di crisi economica e sociale drammatica e che deve, nel modo più assoluto, godere degli effetti derivanti dal ripristino della piena applicazione della così detta «Clausola Ciampi» con cui si riserva la destinazione del 45 per cento degli investimenti pubblici proprio ai territori del Sud.
      La politica degli investimenti pubblici, dunque, deve considerarsi cruciale per affrontare il problema della disoccupazione e in particolare del lavoro dei giovani (povero e precario come mai negli ultimi trenta anni così come riporta il bollettino dell'Istat che mostra impietosamente la cruda realtà facendo il punto sui dati del terzo trimestre 2017: due milioni e 784.000 lavoratori precari, mai così tanti dal 1992).
      Questa per me e i colleghi del Gruppo Parlamentare Articolo 1-Movimento Democratici e Progressisti rappresenta una questione dirimente che ruota tutta intorno al combinato disposto Jobs Act e assenza di reali investimenti pubblici che, per inciso, il Governo dice di continuare a fare ma sempre e comunque con le stesse risorse già previste a legislazione vigente da anni. Investimenti che diminuiscono e che oggi sono passati dai 54 miliardi del 2009 ai 36 miliardi del 2016, con un calo del 35 per cento. E allora colleghi e membri del Governo, se oggi l'obiettivo è quello di affermare che il Jobs Act, il contratto a tutele crescenti, rappresenta la forma principale di ingresso nel mondo del lavoro, dovete riconoscere che questa cosa non è vera sia perché è smentita platealmente dai numeri, sia perché in assenza di investimenti e interventi strutturali in economia quello che avanza sempre è solo la precarietà economica, lavorativa, sociale e alla fine esistenziale.
      Abbiamo anche proposto un vero e proprio piano di contrasto alla delocalizzazione produttiva e fiscale delle imprese, auspicando l'anticipo al 2018 dell'entrata in vigore delle disposizioni sulla web tax contenute nel provvedimento in esame, chiedendone un rafforzamento.
      Abbiamo depositato specifiche proposte con cui prevediamo una riscrittura precisa dell'intervento normativo attualmente vigente in materia di delocalizzazioni di attività produttive. Si dispone infatti che, per i contributi erogati alle imprese italiane ed estere operanti sul territorio nazionale che abbiano beneficiato di contributi pubblici in conto capitale e che entro tre anni dalla concessione degli stessi delocalizzino la propria produzione dal sito incentivato a uno Stato anche appartenente all'Unione europea, con riduzione o messa in mobilità del personale, venga stabilita la decadenza dal riconoscimento del beneficio e, soprattutto, l'obbligatorietà della restituzione dei contributi in conto capitale ricevuti, con applicazione degli interessi legali, anche laddove la delocalizzazione avvenga tramite cessione di ramo d'azienda o di attività produttive appaltati a terzi, con riduzione o messa in mobilità del personale dell'impresa.
      Inoltre, abbiamo proposto che al fine di contrastare la delocalizzazione delle piccole e medie imprese e la conseguente perdita di occupazione e di elevati gradi di specializzazione e unicità sul mercato mondiale, sia istituito, presso il Ministero dello sviluppo economico il «Fondo speciale per il sostegno alla formazione di cooperative di maestranze» con una dotazione iniziale di 30 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018 destinato a supportare le nuove cooperative costituite da lavoratori dipendenti che intendano riscattare l'azienda subentrandone nella gestione per il mantenimento della continuità produttiva qualora si tratti di piccole e medie imprese che versano in gravi difficoltà di produzione e commercializzazione dei prodotti con immanente pericolo di chiusura oppure che abbiano avviato procedure di delocalizzazione delle attività produttive.
      Ma questo Governo non ne ha voluto sapere, oltre a non aver fatto nulla per frenare i processi di delocalizzazione che stanno desertificando il tessuto economico anche dei distretti industriali più competitivi del Paese.
      Per quanto attiene al settore della previdenza ci siamo battuti contro l'allungamento automatico della età pensionabile per allargare gli spazi per il pensionamento dei lavoratori dopo la macelleria sociale fatta da una legge ingiusta e vergognosa quale è stata la Riforma Fornero in linea con la posizione della CGIL.
      La legge Fornero va radicalmente cambiata.
      Ma anche su questo fronte non c'è stato nulla da fare. Totale indifferenza anche per il tema dell'assegno sociale, una misura assistenziale che non può essere legata all'età contributiva, nonché di «Opzione donna», che abbiamo riproposto con forza.
      Per quanto riguarda il settore sanitario, a fronte di un perdurante de-finanziamento della nostra sanità pubblica (nel rapporto spesa sanitaria/PIL, siamo da tempo al sotto la media dei rispettivi valori dell'Unione europea a 15), le nostre proposte emendative si sono concentrate prioritariamente sulla necessità che venga garantita l'universalità e l'equità del nostro Servizio sanitario nazionale, invertendo la tendenza alla preoccupante discesa del rapporto spesa sanitaria/PIL (6,5 per cento nel 2018; 6,4 per cento nel 2019 e 2020) e stanziando invece più risorse per la nostra sanità pubblica.
      Con questo disegno di legge di bilancio, invece, si continuano a equiparare a qualsiasi altro centro di costo le spese sostenute per finanziare il Servizio sanitario nazionale e la conseguenza di questa visione miope è che al pari di altri costi, diventa paradossalmente azione «virtuosa» quella di ridurne gradualmente la loro incidenza rispetto al PIL.
      Inoltre, abbiamo posto con forza che nell'agenda di questo Governo entrasse finalmente l'idea di abrogare il cosiddetto superticket, un iniquo e intollerabile balzello che troppo spesso ha l'effetto di rendere più costoso l'accesso al servizio sanitario pubblico rispetto a quello privato.
      L'ultimo dato gravissimo ci parla di 14 milioni di cittadini che non possono curarsi per ragioni economiche.
      Ma niente da fare anche per questo nostro emendamento.
      Abbiamo proposto di incrementare il Fondo per le non autosufficienze, di adottare un nuovo sistema di detraibilità per le spese di assistenza nei confronti dei disabili, di stanziare nuovi fondi per i consultori, per rafforzare i dipartimenti di salute mentale, per allentare i vincoli di assunzione del personale sanitario, tutte necessità di eccezionale urgenza che ci sono sembrate, alla luce della loro bocciatura, rivolte al Governo di altro Stato.
      E anche per quanto riguarda la scuola e più in generale il diritto allo studio, non possiamo in alcun modo ritenerci soddisfatti.
      Abbiamo presentato numerosissime proposte emendative per cercare di contenere i guasti prodotti dalla «Buona scuola», chiedendo impegni concreti per affrontare con maggiore determinazione il contrasto alla precarietà in ambito scolastico attraverso la stabilizzazione dei posti di lavoro, dal precariato AFAM al personale ATA, di cui la scuola ha assolutamente bisogno per poter svolgere efficacemente il suo servizio. Ma niente anche su questo.
      E veniamo all'università e alla ricerca: le politiche di austerità, poste in essere per far fronte alla crisi economica, hanno determinato in questi anni tagli ingenti e controriforme continue che hanno finito per soffocare il campo dell'università, della ricerca e dell'innovazione, vero motore di sviluppo dei Paesi più avanzati.
      L'ultimo report dell'OCSE, «Uno sguardo sull'istruzione 2017», ha evidenziato come il nostro Paese registra appena il 18 per cento di laureati, contro il 37 per cento della media nella zona OCSE. Peggio di noi solo il Messico.
      Nel 2016 solamente il 64 per cento dei laureati compresi tra i 25 e i 34 anni ha trovato un lavoro. Le iscrizioni all'università sono calate in questi ultimi anni, e secondo il Rapporto ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) sullo stato del sistema universitario del 2016, circa il 42 per cento degli studenti abbandona, il 12 per cento in più della media UE.
      Queste criticità, inevitabilmente, si acuiscono fortemente nelle regioni del Mezzogiorno e per tali ragioni abbiamo chiesto al Governo di prevedere un deciso incremento delle risorse finalizzate a finanziare il sistema di istruzione e ricerca e consentire il rilancio dell'università pubblica, gravemente penalizzata da troppi anni di tagli. Abbiamo anche auspicato un piano di investimenti a favore degli atenei, quale condizione necessaria per consentire una revisione e un superamento degli attuali limiti nell'accesso ai corsi di laurea da parte degli studenti.
      Nulla di tutto ciò è previsto in questa legge di bilancio, neanche la definitiva stabilizzazione dei precari del CNR che ormai dall'ultimo decreto-legge cosiddetto «milleproroghe» chiedono con forza una soluzione alla loro situazione.
      Volevamo, inoltre, dare positiva e rapida soluzione alle legittime e giuste rivendicazioni dei professori universitari e dei ricercatori volte ad ottenere che le classi e gli scatti stipendiali bloccati nel quinquennio 2011-2015, vengano sbloccati dal 1° gennaio 2015, anziché, come è attualmente, dal 1° gennaio 2016, e che il quadriennio 2011-2014 venga riconosciuto ai fini giuridici. Ma anche su questo il Governo ha fatto orecchie da mercante.
      Infine, abbiamo raccolto il grido di dolore delle proposte dell'ANCI e dell'UPI su cui invero qualcosa è stato fatto ma non abbastanza per poter esprimere una valutazione positiva dell'impianto complessivo del provvedimento.
      C'è, poi, un ultimo aspetto, purtroppo, estremamente critico che non si può tralasciare. La legge di bilancio che ci apprestiamo ad approvare contiene numerose disposizioni in totale contrasto con le norme della legge n. 196 del 2009, come recentemente modificata, legge che dovrebbe regolare in maniera tassativa il contenuto della legge di bilancio.
      In particolare nel passaggio al Senato, ma anche nell'esame svolto in Commissione Bilancio qui alla Camera, sono state introdotte una messe di norme micro-settoriali, ordinamentali, localistiche che destinano piccole mance e che attribuiscono a questo provvedimento un carattere elettoralistico, che una legge di finanza pubblica non può e non deve permettersi.
      Spiace sottolineare che quest'assalto alla diligenza, come avveniva ai tempi delle finanziarie della Prima Repubblica, non è ascrivibile esclusivamente all'iniziativa parlamentare, ma è opera in gran parte dello stesso Governo, il quale non si è astenuto neppure dall'inserire in questa legge il testo di un mille-proroghe anticipato.
      Gravissimo poi il tentativo del Governo di criminalizzare il movimento popolare contro il gasdotto TAP nel Salento. Bene ha fatto il Presidente Boccia a dichiarare inammissibile per estraneità di materia l'emendamento del Governo.
      Cari colleghi, potrei continuare l'elenco delle altre serie proposte su tutti i settori di intervento, dalla giustizia, alla difesa, agli esteri, al lavoro, alle pensioni, alla scuola, allo sviluppo, ai trasporti, all'ambiente, alle infrastrutture, all'agricoltura, alla sanità, alla cultura, al settore finanziario, che come Gruppo parlamentare abbiamo presentato nel pieno spirito costruttivo di una modifica migliorativa della legge di bilancio.
      Evidenziamo solo come questo provvedimento nel suo insieme, e lo dico con rammarico, non servirà al nostro Paese perché frutto di politiche di svalutazione del lavoro e di austerità imposte dall'euro-zona e attuate da questo Governo in linea di perfetta continuità con quello precedente.

Gianni MELILLA,
Relatore di minoranza

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