XVIII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Giovedì 27 settembre 2018

ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEGLI ARGOMENTI IN CALENDARIO

Mozione n.  1-00033 – Iniziative per la celebrazione del centesimo anniversario della vittoria della prima guerra mondiale

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 59 minuti
(con il limite massimo di 11 minuti per ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 21 minuti
    MoVimento 5 Stelle 1 ora e 3 minuti
    Lega – Salvini premier 44 minuti
    Partito Democratico 42 minuti
    Forza Italia – Berlusconi presidente 40 minuti
    Fratelli d'Italia 26 minuti
Liberi e Uguali 23 minuti
    Misto: 23 minuti
        MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero 8 minuti
        Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica 4 minuti
        Minoranze Linguistiche 4 minuti
        Noi Con l'Italia-USEI 4 minuti
        +Europa-Centro Democratico 3 minuti

(*) Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione della mozione.

Mozione n.  1-00045 – Iniziative volte al contrasto dell'antisemitismo

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 59 minuti
(con il limite massimo di 11 minuti per ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 21 minuti
    MoVimento 5 Stelle 1 ora e 3 minuti
    Lega – Salvini premier 44 minuti
    Partito Democratico 42 minuti
    Forza Italia – Berlusconi presidente 40 minuti
    Fratelli d'Italia 26 minuti
    Liberi e Uguali 23 minuti
    Misto: 23 minuti
        MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero 8 minuti
        Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica 4 minuti
        Minoranze Linguistiche 4 minuti
        Noi Con l'Italia-USEI 4 minuti
        +Europa-Centro Democratico 3 minuti

(*) Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione della mozione.

Comunicazioni del Governo in vista del Consiglio europeo del 18 ottobre 2018

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 4 ore.

Governo 30 minuti
Interventi a titolo personale 10 minuti 10 minuti
Gruppi 1 ora e 59 minuti
(per la discussione)
1 ora e 11 minuti
(per le dichiarazioni di voto)
    MoVimento 5 Stelle 29 minuti 10 minuti
    Lega – Salvini premier 20 minuti 10 minuti
    Partito Democratico 19 minuti 10 minuti
    Forza Italia – Berlusconi presidente 18 minuti 10 minuti
    Fratelli d'Italia 12 minuti 10 minuti
    Liberi e Uguali 10 minuti 10 minuti
    Misto: 11 minuti 11 minuti
        MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero 3 minuti 3 minuti
        Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica 2 minuti 2 minuti
        Minoranze Linguistiche 2 minuti 2 minuti
        Noi Con l'Italia-USEI 2 minuti 2 minuti
        +Europa-Centro Democratico 2 minuti 2 minuti

Ddl di ratifica nn.  1123 e 1125

Tempo complessivo: 2 ore per ciascun disegno di legge di ratifica.

Relatore 5 minuti
Governo 5 minuti
Richiami al Regolamento 5 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 16 minuti (con il limite massimo di 3 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 1 ora e 24 minuti
    MoVimento 5 Stelle 18 minuti
    Lega – Salvini premier 13 minuti
    Partito Democratico 14 minuti
    Forza Italia – Berlusconi presidente 14 minuti
    Fratelli d'Italia 8 minuti
    Liberi e Uguali 7 minuti
    Misto: 10 minuti
        MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero 2 minuti
        Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica 2 minuti
        Minoranze Linguistiche 2 minuti
        Noi Con l'Italia-USEI 2 minuti
        +Europa-Centro Democratico 2 minuti

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 27 settembre 2018.

      Battelli, Benvenuto, Bitonci, Bonafede, Claudio Borghi, Brescia, Buffagni, Cappellacci, Cardinale, Carfagna, Carinelli, Castelli, Castiello, Ciprini, Cirielli, Colletti, Colucci, Cominardi, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Del Re, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Formentini, Fraccaro, Fugatti, Galizia, Galli, Gallinella, Gallo, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grillo, Guerini, Guidesi, Liuzzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Lupi, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Pastorino, Picchi, Quartapelle Procopio, Rampelli, Rixi, Rizzo, Romaniello, Rosato, Ruocco, Saltamartini, Sarti, Scoma, Carlo Sibilia, Spadafora, Spadoni, Tofalo, Vacca, Valbusa, Valente, Villarosa, Raffaele Volpi, Zoffili.

Annunzio di proposte di legge.

      In data 26 settembre 2018 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
          GERMANÀ: «Istituzione della Zona di interesse strategico turistico ambientale nazionale della Valle del Mela nella città metropolitana di Messina» (1197);
          BAZZARO e LAZZARINI: «Disposizioni per l'inclusione sociale, la rimozione delle barriere alla comunicazione e il riconoscimento e la promozione della lingua dei segni italiana e della lingua dei segni italiana tattile» (1198);
          MARTINO: «Norme per favorire lo sviluppo dell'economia digitale nei comuni colpiti dal terremoto del 6 aprile 2009» (1199);
          PAOLO RUSSO: «Istituzione del Ministero del cibo» (1200).

      Saranno stampate e distribuite.

Annunzio di disegni di legge.

      In data 26 settembre 2018 è stato presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge:
          dal Ministro per gli affari europei:
      «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2018» (1201).

      Sarà stampato e distribuito.

Adesione di deputati a proposte di legge.

      La proposta di legge CIRIELLI ed altri: «Delega al Governo per l'istituzione di un Servizio nazionale militare di volontari per la mobilitazione» (132) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Delmastro Delle Vedove e Ferro.

      La proposta di legge GALLINELLA e GAGNARLI: «Norme per la valorizzazione e la promozione dei prodotti agroalimentari provenienti da filiera corta, a chilometro zero o utile e di qualità» (183) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Cadeddu, Cassese, Cillis, Cimino, Cunial, Del Sesto, L'Abbate, Lombardo, Maglione, Alberto Manca, Marzana e Pignatone.

      La proposta di legge CLAUDIO BORGHI ed altri: «Interpretazione autentica dell'articolo 4 del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n.  148, in materia di gestione delle riserve ufficiali» (1064) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Paolini, Patassini e Tarantino.

Modifica del titolo di proposte di legge.

      La proposta di legge n.  416, d'iniziativa dei deputati VERINI ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n.  47, al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge 3 febbraio 1963, n.  69, in materia di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di contrasto delle liti temerarie, di segreto professionale e di istituzione del Giurì per la correttezza dell'informazione».

      La proposta di legge n.  784, d'iniziativa dei deputati VANESSA CATTOI ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Disposizioni per il potenziamento dell'educazione motoria nella scuola primaria».

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

      La Commissione europea, in data 26 settembre 2018, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione da adottare a nome dell'Unione alla seconda riunione della conferenza delle parti della convenzione di Minamata sul mercurio in relazione all'adozione degli orientamenti per lo stoccaggio temporaneo ecologicamente corretto del mercurio, ad esclusione dei rifiuti di mercurio, di cui all'articolo 10, paragrafi 2 e 3 (COM(2018) 657 final), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Atti di controllo e di indirizzo.

      Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

      Nell’Allegato A ai resoconti della seduta del 26 settembre 2018, a pagina 4, seconda colonna, righe tredicesima e quattordicesima, le parole: « , per le disposizioni in materia di sanzioni» devono intendersi soppresse.

MOZIONI BIANCOFIORE ED ALTRI N.  1-00030, LOLLOBRIGIDA ED ALTRI N.   1-00038, MIGLIORE ED ALTRI N. 1-00039 E D'UVA E MOLINARI N. 1-00047 CONCERNENTI INIZIATIVE IN RELAZIONE AL PROSPETTATO RICONOSCIMENTO DELLA CITTADINANZA AUSTRIACA AI CITTADINI ITALIANI DI LINGUA TEDESCA E LADINA RESIDENTI IN ALTO ADIGE

Mozioni

      La Camera,
          premesso che:
              il Presidente del Consiglio austriaco Sebastian Kurz, in data 18 dicembre 2017, ha annunciato che l'Austria sta valutando la possibilità di concedere il doppio passaporto alle sole popolazioni di lingua tedesca e ladina della provincia autonoma di Bolzano – provincia della Repubblica italiana – alla luce della richiesta avanzata al Governo di Vienna da 19 consiglieri provinciali altoatesini;
              il Primo Ministro austriaco, in data 18 aprile 2018, nel palese tentativo di influenzare la campagna per le elezioni provinciali/regionali previste in Alto Adige per ottobre 2018, si è permesso di annunciare che «L'Austria apre i consolati all'estero agli altoatesini: “Siamo i loro tutori”», equiparando di fatto gli altoatesini alle vittime del nazismo;
              il 21 luglio 2018 il quotidiano tirolese Tiroler Tageszeitung riportava che per il 7 settembre 2018 sarebbe stata messa a punto la bozza del disegno di legge contenente le modalità con le quali i cittadini italiani dell'Alto Adige, esclusivamente di etnia tedesca e ladina, potranno presentare la domanda per ottenere anche la cittadinanza austriaca;
              in questi giorni si è generata una vera e propria confusione in merito alla già di per sé aberrante decisione del Governo austriaco, poiché sono circolate notizie contrapposte, tanto che la versione della Tiroler Tageszeitung, secondo la quale era pronto il parere della commissione di esperti sul disegno di legge, è stata successivamente smentita dalla Fpoe che ha confermato la presentazione dello stesso entro l'anno;
              nel gruppo di lavoro istituito dal Governo guidato dal Cancelliere conservatore Sebastian Kurz, si è dunque giunti alla «svolta» cinque mesi dopo l'insediamento degli esperti: un team composto da funzionari e tecnici dei Ministeri degli esteri e dell'interno, che era stato costituito all'inizio di febbraio 2018, circa due mesi dopo l'insediamento del nuovo Esecutivo;
              la cerchia di coloro che possono richiedere la cittadinanza austriaca è già stata definita: in relazione alla funzione protettiva dell'Austria, riguarda soltanto i cittadini italiani residenti in Alto Adige con lingua madre tedesca (62 per cento) o ladina (4 per cento): criterio fuori luogo, considerato che vi sono molte famiglie multilingue la cui identità non sono attribuite a una lingua o una cultura, e aberrante nei confronti della popolazione italiana che si vuole costringere evidentemente a optare;
              resta comunque fermo il fatto che sul piano giuridico non è del tutto chiaro il criterio per ottenere la doppia cittadinanza e sarebbe fortemente discriminatorio prevedere che l'unico parametro possa essere la dichiarazione di appartenenza linguistica, che in provincia di Bolzano è, ancora, indispensabile per l'accesso al pubblico impiego e a molte prestazioni sociali, come l'edilizia agevolata, ma che si può rendere scegliendo a piacimento il gruppo linguistico; si tratta di regole anacronistiche – sconosciute al resto del Paese – che pongono lo statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige varato nel 1972 in contrapposizione con i principi fondanti dell'Unione europea e con la stessa Costituzione italiana, impedendo la reale uguaglianza e parità di diritti fra cittadini italiani residenti nella provincia autonoma di Bolzano, di lingua italiana, tedesca e ladina;
              come riportato dai maggiori organi di stampa, entro il 7 settembre 2018 si sarebbero apportati i chiarimenti testuali al disegno di legge in fase di stesura. Il giornale Tiroler Tageszeitung ha specificato che per rispettare lo spirito europeo ci dovrebbero essere, in analogia con quanto previsto per gli altoatesini, anche maggiori diritti per i cittadini dell'Unione europea con doppia cittadinanza rispetto a prima. L'Austria vorrebbe rispettare i requisiti europei;
              da parte dei vertici di Vienna sembra ci sia molta confusione, considerato che il 23 luglio 2018 lo staff dell'ufficio del portavoce del Governo di Vienna, Peter Launsky-Tieffenthal, ha affermato che «i requisiti legali per la concessione della cittadinanza austriaca agli altoatesini ci saranno non prima del 2019/2020»;
              sul tema sarà cruciale l'accordo con il Governo italiano, tanto che nelle riunioni del gruppo di lavoro è stato affermato che «la legge sull'acquisizione della cittadinanza austriaca da parte degli altoatesini non sarà decisa contro la volontà di Roma; ma solo in accordo». La funzione di protezione dell'Austria per l'Alto Adige, che è ancorata al diritto internazionale, «non dovrebbe essere messa in pericolo»;
              come riportato in una dichiarazione del 24 luglio 2018, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano avrebbe chiesto all'ambasciatore italiano a Vienna, Sergio Barbanti, di informarsi con il Governo a Vienna sulle ultime intenzioni sul doppio passaporto per gli altoatesini, definendo la questione come un atto «curioso» e aggiungendo che «con tutti i problemi che in questo momento ci sono in Europa, la questione della doppia cittadinanza ci sembrava l'ultimo che bisognasse sollevare»;
              il 7 settembre 2018, a Cernobbio, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano ha ribadito la curiosità della questione, specificando che «abbiamo avuto interlocuzioni come Farnesina con l'ambasciatore austriaco e, con l'ambasciata di Vienna, con il Governo austriaco, per far presente come oggettivamente ci sembra l'ultima delle questioni che varrebbe la pena di aprire»;
              l'azione intrapresa dal Governo di Vienna mostra la volontà di una concessione che ha rinfocolato i propositi di indipendenza dall'Italia di alcuni partiti sudtirolesi, palesando il rischio di un possibile «caso Catalogna» anche per l'Alto Adige-Südtirol;
              Vienna si accinge, dunque, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, a dar seguito con inspiegabile leggerezza a una provocazione delle frange politiche estremiste e secessioniste di partiti di lingua tedesca a Bolzano, proprio in concomitanza delle elezioni provinciali che si svolgeranno a ottobre 2018;
              come se non bastasse il presidente della provincia altoatesina, Arno Kompatscher, durante un incontro con l'ex Cancelliere austriaco e attuale deputato Christian Kern, ha riferito sugli esiti positivi delle trattative in materia finanziaria, facendo addirittura riferimento ad una funzione «di potenza tutrice» da parte dell'Austria;
              sul tema della doppia cittadinanza, il presidente della provincia ha appoggiato la scelta di Vienna, anche in considerazione del fatto che «la funzione tutrice dell'Austria non subirebbe comunque modifiche»;
              il presidente della provincia autonoma, Kompatscher e il Ministro austriaco Kern parlano ancora con palese intento provocatorio di funzione «tutrice» da parte dell'Austria sull'Alto Adige, trascurando totalmente il trattato sulla «quietanza liberatoria» sottoscritto da entrambi gli Stati nel 1992, che ha posto fine ad ogni rivendicazione dell'Austria su una porzione di Stato italiano, Stato membro dell'Unione europea della quale l'Austria detiene in questo momento la presidenza;
              in data 22 aprile 1992 fu presentata all'ambasciata della Repubblica d'Austria da parte del Governo italiano la dichiarazione di chiusura della vertenza, al cospetto dell'Onu, con l'accettazione dell'esistenza dell'autonomia altoatesina. Lo scopo era proprio quello di tutelare la minoranza, riferendosi, inoltre, all'accordo di Parigi del 1946 per esaudire la richiesta espressa da parte dell'Svp di un ancoraggio internazionale per la rivendicazione dei propri diritti davanti ad istanze internazionali;
              in data 1o giugno 1992 il Governo tirolese ha emanato una dichiarazione di approvazione dell'attuazione del «pacchetto» risolutivo per la questione dell'Alto Adige; successivamente il Parlamento tirolese ha preso atto di questa dichiarazione ed il Parlamento austriaco ha approvato a grande maggioranza (125 voti a favore espressi dalla Spö, Övp e dai Verdi, 30 voti contrari della Fpö) la chiusura della vertenza nei confronti dell'Italia davanti all'Onu;
              la scelta di concedere la cittadinanza su base etnica andrà a minare non solo la convivenza nei Paesi dell'Unione europea, caratterizzati dalla presenza di cittadini di molteplici culture, ma anche la tenuta del tessuto sociale dell'Alto Adige-Südtirol, poiché porterà inevitabilmente a una forte spaccatura della popolazione sudtirolese tra coloro che desidereranno e potranno ottenere la doppia cittadinanza e coloro ai quali non sarà concesso tale «privilegio», ritornando, di fatto, ai tempi dolorosissimi delle «opzioni» del 1939, quando solo i sudtirolesi che scelsero il Terzo Reich vennero considerati da molti i «veri» patrioti;
              l'azione intrapresa dal Governo di Vienna si pone in totale contrasto non solo con la Costituzione italiana, nello specifico con l'articolo 3 che sancisce l'eguaglianza dei cittadini, ma anche con la normativa europea (direttiva 2000/43/CE del Consiglio del 29 giugno 2000 recepita in Italia con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n.  215) per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente della razza e dall'origine etnica, nonché con il principio di non discriminazione sancito dall'articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cedu) e riaffermato dall'articolo 21 della Carta di Nizza,

impegna il Governo:

1)    a manifestare in tutte le sedi competenti la contrarietà del Governo italiano alle decisioni unilaterali adottate dal Governo austriaco e a quelle che appaiono ai firmatari del presente atto di indirizzo gravi ingerenze in questioni interne dello Stato italiano, nel pieno rispetto dell'autonomia della provincia autonoma di Bolzano e del suo statuto, ribadendo in quelle stesse sedi il principio di «unità nazionale» del nostro Paese e la sovranità dello stesso;

2)    a chiarire quale sia la posizione del Governo e se vi sia l'intenzione di intraprendere le opportune iniziative di competenza in caso di mancato rispetto da parte dell'Austria della «quietanza liberatoria» del 1992, dello statuto e della Costituzione italiana;

3)    ad adottare le opportune iniziative al fine di contenere quelle che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano intromissioni del Governo austriaco a fini propagandistici su una porzione dello Stato italiano, quale è l'Alto Adige, come nel caso riportato in premessa, volte, sempre ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ad una chiara azione rivendicatrice del territorio appartenente al regno austro-ungarico prima dei trattati di pace conseguenti la prima guerra mondiale, della quale questo anno ricorre il centenario;

4)    a tutela del diritto e nel rispetto delle leggi, a porre in essere iniziative volte a tutelare la minoranza italiana sul territorio della provincia autonoma di Bolzano.
(1-00030) «Biancofiore, Gelmini, Novelli».


      La Camera,
          premesso che:
              desta preoccupazione e sconcerto quanto riportato da fonti di stampa e dichiarazioni ufficiali da parte di rappresentanti del Governo e del Parlamento austriaco in merito alla prossima discussione di una proposta di disegno di legge per la concessione della cittadinanza austriaca ai cittadini italiani di lingua tedesca e ladina residenti nella provincia già autonoma dell'Alto Adige;
              in base a quanto contenuto nelle bozze ufficiose del disegno di legge di cui hanno riferito importanti testate giornalistiche d'Oltrebrennero, gli altoatesini di lingua tedesca e ladina potrebbero partecipare alle elezioni per il Nationalrat, il Parlamento austriaco, mentre il servizio civile e le prestazioni sociali scatterebbero per ora invece solo per coloro che dovessero trasferirsi in Austria;
              per realizzare questo disegno l'Austria dovrà modificare la propria attuale legislazione e il quotidiano Tiroler Tageszeitung scrive, rivelando fonti attendibili a livello governativo, che l'accesso alla cittadinanza comporterà un costo agevolato di 660 euro. Potranno fare domanda gli altoatesini che si sono dichiarati ai censimenti linguistici italiani previsti dallo Statuto di autonomia di lingua tedesca oppure ladina;
              secondo il deputato della Freiheitliche Partei Osterreichs (Fpc), il Partito della libertà austriaco, Werner Neubauer – interpellato dall'agenzia di stampa austriaca Apa – è realistica l'approvazione del disegno di legge entro l'anno e la bozza sinora elaborata dovrebbe essere la base delle trattative con il Governo di Roma per trovare un'intesa sulla doppia cittadinanza, anche se la decisione sarà assunta in forma unilaterale, senza un lavoro coordinato con l'Esecutivo del nostro Paese;
              l'ipotesi di concessione della cittadinanza austriaca a cittadini italiani costituisce una forzatura che alimenta anche una frattura profonda nella società che si vorrebbe divisa fra cittadini di diversa serie, a seconda del gruppo linguistico di appartenenza;
              sul quotidiano La Stampa un commentatore ha definito il passo intrapreso dall'Austria sulla doppia cittadinanza, nell'ottantesimo anniversario dell’Anschluss, «un gesto simbolico solo apparentemente innocuo. L'indiretta offerta della cittadinanza austriaca, assolutamente inutile data l'ottima condizione dell'autonomia di cui godono i cittadini di lingua tedesca, aprirebbe un'ambigua rivendicazione identitaria-linguistica»;
              l'autonomia costituisce, attraverso gli accordi De Gasperi-Gruber, culminati con il rilascio nel 1992 della «quietanza liberatoria» da parte dell'Austria, l'approdo di un complesso percorso, non certo una tappa come l'iniziativa austriaca sottenderebbe;
              guardare oltre l'attuale status autonomo dell'Alto Adige, estendendo la stessa cittadinanza austriaca a una popolazione compatta residente in una provincia dotata di autonomia quasi integrale, equivale, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, a dichiarare una sorta di annessione, un atto di inaudita gravità. Oltre a creare un solco fra le popolazioni di lingua diversa della provincia di Bolzano;
              la ridiscussione da parte austriaca della «quietanza liberatoria» del 1992, con cui veniva dichiarata chiusa la vertenza internazionale sull'Alto Adige aperta di fronte all'Onu, riapre un conflitto internazionale faticosamente ricomposto e che ha avuto un costo altissimo anche in termini di vite umane (oltre una ventina i civili e militari uccisi nella stagione più cruenta, quella del terrorismo separatista);
              l'inasprirsi delle relazioni bilaterali tra Italia ed Austria, a seguito dell'apertura del dibattito sull'estensione della cittadinanza austriaca, ha già generato in provincia di Bolzano reazioni molto accese e una mobilitazione generale sospinta dal vento catalano da parte dei movimenti dichiaratamente secessionisti, che in consiglio provinciale contano dieci consiglieri su trentacinque;
              la prospettata estensione della cittadinanza austriaca ai cittadini di lingua tedesca e ladina (e solo ad essi), maggioranza assoluta prossima al 75 per cento dell'intera popolazione in provincia di Bolzano, determinerebbe un unicum, a livello internazionale, ossia una provincia italiana dotata di autonomia quasi integrale abitata da una popolazione con cittadinanza dello Stato confinante, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo premessa scontata della possibile richiesta di cessione della stessa sovranità italiana sul medesimo territorio;
              la concessione della cittadinanza italiana agli italiani anche di Slovenia e Croazia non costituisce alcun precedente apprezzabile, data la purtroppo modesta presenza italiana nei territori delle due Repubbliche affacciate sull'Adriatico, con autentico status di minoranza sia nazionale che regionale delle medesime;
              in ogni caso l'Italia riconosce la doppia cittadinanza a chiunque risieda in qualunque parte del mondo e soddisfi dei requisiti essenziali, mentre l'Austria la estenderebbe solo ai cittadini dell'Alto Adige, quindi con espressa finalità rivendicatoria politica sulle popolazioni della provincia italiana dell'Alto Adige,

impegna il Governo:

1)    ad assumere immediate iniziative per ottenere il pieno rispetto da parte del Governo austriaco della «quietanza liberatoria» con cui fu definito il quadro limite entro cui esercitare le funzioni di tutela delle minoranze di lingua tedesca e ladina dell'Alto Adige e che escludeva in modo assoluto da parte dell'Austria rivendicazioni territoriali e di status giuridico sugli abitanti della provincia italiana di Bolzano, sia per il presente che per il futuro, ed individuava nell'autonomia lo strumento definitivo di composizione della vertenza internazionale fra le due Repubbliche;

2)    ad adottare nei confronti delle autorità austriache iniziative concrete volte a tutelare l'integrità nazionale italiana e la minoranza italiana dell'Alto Adige di fronte al rafforzarsi in Alto Adige di tendenze dichiaratamente secessioniste ed antitaliane alimentate anche da quelle che appaiono ai firmatari del presente atto di indirizzo improvvide iniziative legislative austriache fondate sulla base di una discriminante «etnica».
(1-00038) «Lollobrigida, Meloni, Acquaroli, Bellucci, Bucalo, Butti, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Crosetto, Deidda, Luca De Carlo, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Fidanza, Foti, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».


      La Camera,
          premesso che:
              da notizie a mezzo stampa si è appreso che il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Moavero Milanesi, negli scorsi mesi avrebbe chiesto all'ambasciatore italiano in Austria di informarsi sulle ultime intenzioni del Governo austriaco in merito alla cosiddetta questione della concessione del doppio passaporto ai cittadini altoatesini, inserita nel programma di Governo austriaco, definendo la questione come «curiosa» e lasciando intendere la contrarietà del Governo italiano all'apertura di questo tema;
              tale contrarietà è stata confermata dal successivo annullamento da parte del Ministro Moavero Milanesi di uno degli usuali incontri bilaterali che si sarebbe dovuto tenere a Vienna nel mese di settembre 2018, così confermando la linea italiana già affermata nel mese di marzo 2018 dall'allora Ministro Alfano che, a sua volta, aveva annullato un precedente incontro con la controparte austriaca, dando istruzioni all'ambasciatore italiano a Vienna di non prendere parte alla riunione sulla proposta della doppia cittadinanza per la popolazione di lingua tedesca e ladina dell'Alto Adige;
              sempre da notizie a mezzo stampa si è appreso che pochi giorni fa, durante il viaggio in Italia del cancelliere austriaco Sebastian Kurz, a margine di un incontro con il Presidente del Consiglio Conte, quest'ultimo avrebbe sottolineato di aver avuto «l'occasione di rappresentare che l'Italia e il Governo hanno una posizione chiara sulla vicenda dei passaporti e della doppia cittadinanza», ossia una posizione di netta contrarietà, più volte manifestata da esponenti dell'Esecutivo e delle istituzioni italiane, mentre desta preoccupazione il fatto che su una questione così delicata per l'interesse nazionale dell'Italia fino ad oggi tali posizioni non siano state pubblicamente sostenute anche da quelle componenti del Governo che si ricollegano al Partito del Vice Presidente del Consiglio Salvini;
              come è noto, per definire la questione della tutela della minoranza linguistica tedesca del Trentino-Alto Adige, il 5 settembre 1946 a Parigi, a margine dei lavori della Conferenza di pace successiva alla fine della seconda guerra mondiale, fu siglato il noto accordo De Gasperi-Gruber, che per più di settant'anni ha permesso il mantenimento di buone relazioni, in un quadro reciproco di sviluppo e prosperità di questi due Paesi, prevedendo tra l'altro la completa eguaglianza dei diritti degli «abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e di quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento rispetto agli abitanti di lingua italiana»;
              lo stesso Cancelliere austriaco a settembre, in occasione dell'incontro con il Presidente del Consiglio Conte, avrebbe avuto occasione di dichiarare che l'Austria comunque agirà «in accordo con Roma»; del resto l'eventuale concessione unilaterale della doppia cittadinanza ai cittadini sudtirolesi costituirebbe, di fatto, una rimessa in discussione di quegli accordi di Parigi, tuttora in vigore, che hanno fortemente contribuito a mantenere buone relazioni di amicizia e prosperità tra l'Italia e l'Austria;
              ciò che desta maggiore preoccupazione è la considerazione che un'eventuale concessione del doppio passaporto ai cittadini sudtirolesi, lungi dal tutelare realmente tali minoranze, rischierebbe di fatto di frammentare la popolazione Altoatesina tra coloro che potrebbero ottenere la cittadinanza e coloro che invece non potrebbero ottenerla, apparentemente dimenticando la circostanza che i cittadini degli Stati dell'Unione europea sono già titolari, oltre che della cittadinanza nazionale, anche di quella europea, una cittadinanza che in quanto capace di integrare e allargare i diritti connessi alla cittadinanza nazionale, andrebbe senz'altro valorizzata, in particolare da un Paese, come l'Austria, che si trova proprio in questo momento a ricoprire il delicato ruolo della Presidenza di turno dell'Unione europea;
              va altresì rilevato che, poiché sino ad oggi l'Austria non dispone ancora di una legge nazionale atta a consentirle il riconoscimento della doppia cittadinanza, le dichiarazioni d'intenti austriache sembrano fin qui destinate più a sortire effetti sul piano mediatico in vista delle prossime ravvicinate scadenze elettorali, che non a determinare concreti mutamenti nell'immediato sul piano giuridico, non essendo neppure chiaro quali siano i requisiti esattamente previsti per ottenere l'eventuale concessione della doppia cittadinanza da parte dell'Austria;
              è sufficiente rileggere la storia europea dell'ultimo mezzo secolo per diffidare da qualunque azione politica o giuridica volta ad incentivare la nascita e il consolidamento dei particolarismi o dei nazionalismi, ossia di tutte quelle tendenze dei gruppi etnici, religiosi, o politici, a porsi come entità separate all'interno di uno Stato o di una comunità che, lungi dal fornire crescita e prosperità alle comunità cui appartenevano, hanno sempre finito per minare le stesse fondamenta di una pacifica convivenza civile;
              al contrario, la nascita stessa dell'Unione europea ha testimoniato quel coraggioso tentativo compiuto alla metà del secolo scorso dai padri fondatori, sulle macerie della seconda guerra mondiale, per superare, prima attraverso un'integrazione tutta economica, e successivamente attraverso una progressiva integrazione anche politica e dei diritti, i particolarismi e gli egoismi nazionali e assicurando così, anche attraverso il pieno riconoscimento delle minoranze linguistiche, quella pace e quella stabilità che ci hanno accompagnato per più di settant'anni,

impegna il Governo:

1)    a proseguire e a consolidare la politica tradizionalmente seguita dall'Italia, nelle sue relazioni bilaterali e nell'ambito del processo di integrazione europeo, volta a rafforzare la stabilità delle relazioni internazionali, in un'ottica di pace e benessere per le rispettive popolazioni;

2)    ad adottare ogni iniziativa utile sul piano politico e su quello diplomatico al fine di prevenire in ogni modo, e scongiurare, il rischio di iniziative unilaterali, potenzialmente capaci di rinfocolare nuovi nazionalismi o particolarismi, destinati a minare le fondamenta di una pacifica convivenza in Europa;

3)    ferma restando la piena e necessaria tutela delle minoranze linguistiche, ad adottare ogni iniziativa utile, sul piano politico e su quello diplomatico, volta a sostenere con forza il modello di convivenza fin qui applicato in Alto Adige, anche alla luce degli ottimi risultati fino ad oggi conseguiti in termini di integrazione e pacifica convivenza anche tra realtà storiche, linguistiche e culturali differenti;

4)    ad adottare ogni iniziativa utile, per quanto di competenza, volta a promuovere sul territorio del Sud-Tirolo campagne di informazione e sensibilizzazione sul valore aggiunto in termini economici e culturali costituito dalle regioni con presenza di multilinguismo, sulla ricchezza offerta dalle comunità multi-culturali, e sui diritti connessi alla cittadinanza europea, quale forma di cittadinanza integrativa e aggiuntiva rispetto a quella nazionale.
(1-00039) «Migliore, Boschi, Enrico Borghi, Ceccanti, Fiano».


      La Camera,
          premesso che:
              sono sempre più ricorrenti le affermazioni circa la presentazione di un disegno di legge da parte del Governo austriaco per conferire la cittadinanza dell'Austria e il relativo passaporto ai cittadini italiani di lingua ladina e tedesca della provincia autonoma di Bolzano;
              il summenzionato disegno di legge sarebbe diretta conseguenza di una lettera inviata alle autorità austriache da 19 consiglieri (su 35) provinciali di Bolzano, i quali affermano che: «gli altoatesini hanno perso la loro cittadinanza austriaca con l'annessione involontaria dell'Alto Adige da parte dell'Italia. Il recupero della cittadinanza sarebbe ora un atto di riparazione»;
              tale iniziativa fu accolta e inserita all'interno del programma della coalizione al Governo dell'Austria. Annunciata dapprima da Werner Neubauer, responsabile della FPÖ per i rapporti con l'Alto Adige, e poi confermata dal vice cancelliere austriaco Heinze Christian Strache, che aveva fatto sapere di voler addirittura fare pressioni per l'autodeterminazione del Sudtirol;
              da allora il Governo austriaco ha organizzato una commissione di esperti, che sarebbe, secondo quanto riportato dal quotidiano tirolese Tiroler tageszeitung in data 21 luglio 2018, in procinto di presentare il disegno di legge, annunciato per settembre 2018;
              secondo le indiscrezioni, la doppia cittadinanza sarebbe affidata alla regione amministrativa del Tirolo, con annessa iscrizione al registro elettorale di Innsbruck. Quindi i cittadini di lingua tedesca residenti a Bolzano potrebbero votare per il Parlamento austriaco e anche per il Parlamento europeo in cambio di una tassa che si aggirerebbe intorno ai 660 euro, ma nessun diritto sarebbe concesso ai residenti in Alto Adige per quanto concerne i servizi di welfare o la prestazione del servizio militare o civile;
              a seguito dell'Accordo De Gasperi-Gruber del 1946, da parte italiana fu poi approvato il cosiddetto «pacchetto dell'autonomia» di Bolzano che conteneva il secondo statuto di autonomia, che entrò in vigore il 20 gennaio del 1972 e condusse al modello positivo – universalmente riconosciuto come esempio di cooperazione e dialogo tra gruppi linguistici – dell'Alto Adige. Il riconoscimento dell'autonomia e la tutela delle minoranze sono principi fondamentali della Costituzione italiana, insieme all'unità e all'indivisibilità dello Stato. Il modello di autonomia ha altresì favorito lo straordinario successo economico e sociale della provincia di Bolzano che vanta il prodotto interno lordo pro capite più alto tra le regioni e province italiane;
              esperienza tanto positiva che portò alla chiusura definitiva del contenzioso tra Austria e Italia nell'estate del 1992 in ambito Onu, con la concessione da parte dell'Austria all'Italia della cosiddetta «quietanza liberatoria» con cui Vienna riconosce il pieno adempimento dell'accordo De Gasperi-Gruber;
              un ulteriore passo in avanti fu poi segnato con l'adesione dell'Austria all'Unione europea nel 1995, che condusse alla realizzazione dell'euroregione Tirolo-Alto Adige/Sudtirol-Trentino e quindi al definitivo superamento delle frontiere regionali, sostituendo alla separazione la cooperazione interregionale, e facendo diventare così la regione un importante modello per il futuro, non sempre facile, processo di integrazione europea;
              per queste ragioni, le ricorrenti affermazioni circa la presentazione di un disegno di legge da parte del Governo austriaco per conferire la cittadinanza dell'Austria e il relativo passaporto ai cittadini italiani di lingua ladina e tedesca della provincia autonoma di Bolzano, hanno destato preoccupazione,

impegna il Governo:

1)    a ribadire, anche nelle sedi dell'Unione europea, i rischi potenziali che potrebbe comportare, per la popolazione di lingua italiana, un'eventuale approvazione della legge austriaca sulla concessione della cittadinanza e del passaporto ai cittadini dell'Alto Adige;

2)    a difendere il modello di autonomia e convivenza pacifica instaurato in Alto Adige che ha radici tipiche ed esclusive di questo territorio.
(1-00047) «D'Uva, Molinari».


MOZIONI MELONI ED ALTRI N. 1-00032, FASSINA ED ALTRI N. 1-00041, BARELLI ED ALTRI N. 1-00042, MORASSUT ED ALTRI N. 1-00043 E FRANCESCO SILVESTRI, DE ANGELIS ED ALTRI N. 1-00048 CONCERNENTI INIZIATIVE PER ROMA CAPITALE

Mozioni

      La Camera,
          premesso che:
              Roma è la capitale della Repubblica, come sancito dall'articolo 114 della Costituzione;
              la legge 5 maggio 2009, n.  42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione», all'articolo 24, detta norme transitorie sull'ordinamento, anche finanziario, di Roma Capitale fino all'attuazione della disciplina delle città metropolitane;
              l'articolo citato identifica Roma Capitale quale «ente territoriale, i cui attuali confini sono quelli del comune di Roma, e dispone di speciale autonomia, statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dalla Costituzione»;
              ai sensi del medesimo articolo a Roma Capitale, oltre a quelle attualmente spettanti al comune di Roma, sono attribuite le seguenti funzioni amministrative:
                  a) concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali;
                  b) sviluppo economico e sociale di Roma Capitale, con particolare riferimento al settore produttivo e turistico;
                  c) sviluppo urbano e pianificazione territoriale;
                  d) edilizia pubblica e privata;
                  e) organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico e alla mobilità;
                  f) protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la regione Lazio;
                  g) ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla regione Lazio ai sensi dell'articolo 118, comma 2, della Costituzione;
              la regione Lazio non ha ancora emanato la legge regionale necessaria per devolvere a Roma Capitale i poteri di propria competenza nelle materie elencate dalla legge citata;
              il decreto legislativo 17 settembre 2010, n.  156, disciplina le «Disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n.  42, e successive modificazioni, in materia di ordinamento transitorio di Roma Capitale» e prevede che, dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo, l'Assemblea capitolina disciplini l'esercizio delle predette funzioni con propri regolamenti «in conformità al principio di funzionalità rispetto alle attribuzioni di Roma Capitale»;
              con deliberazione 7 marzo 2013, n.  8, l'Assemblea capitolina ha approvato lo Statuto di Roma Capitale, che costituisce l'atto fondamentale di esercizio dell'autonomia normativa e organizzativa dell'ente;
              l'approvazione dello Statuto ha rappresentato un contributo determinante nell'opera di completamento dell'assetto istituzionale di Roma Capitale, avviata con il decreto legislativo n.  156 del 2010 e destinata a proseguire con ulteriori interventi, in particolare sotto il profilo regolamentare, per l'armonizzazione del proprio ordinamento;
              appare necessario portare avanti l'opera di perfezionamento dello status di Roma Capitale, al fine di garantire il miglior assetto delle funzioni che la città, in qualità di capitale della Repubblica, è chiamata a svolgere;
              Roma, al pari delle altre metropoli e capitali europee, deve essere in grado di garantire ai cittadini servizi sempre più efficienti;
              la città di Roma ospita la sede delle più importanti istituzioni nazionali, quali il Parlamento, il Governo e la Presidenza della Repubblica, nonché la sede apostolica della Chiesa cattolica, e ciò comporta un consistente afflusso di turisti provenienti da tutta Italia e da tutto il mondo, che si aggiunge a quello dei lavoratori pendolari;
              la città di Roma, pertanto, dovrebbe sempre essere dotata di risorse finanziarie sufficienti a far fronte prontamente alle particolari situazioni e agli eventi eccezionali che, in qualità di capitale, è spesso chiamata ad affrontare,

impegna il Governo:

1)    a riconoscere la centralità della capitale attraverso la previsione e lo stanziamento di fondi e risorse speciali;

2)    ad assumere le iniziative necessarie a rafforzare le prerogative e i poteri di Roma in un quadro di maggiore attenzione alle problematiche di rilievo nazionale che inevitabilmente ricadono sulla città;

3)    ad adottare ogni iniziativa, per quanto di competenza, affinché siano trasferiti poteri e risorse utili a dare concreta attuazione al dettato normativo e costituzionale rispetto alla città di Roma Capitale.
(1-00032) «Meloni, Lollobrigida, Bellucci, Mollicone, Silvestroni, Rampelli».


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 114, terzo comma, della Costituzione, come sostituito dalla legge costituzionale n.  3 del 2001, recita: «Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento»;
              il decreto legislativo n.  156 del 2010, in materia di ordinamento provvisorio di Roma capitale, è stato il primo provvedimento a essere emanato in attuazione della delega prevista dall'articolo 24 della legge n.  42 del 2009 sul federalismo fiscale. Tale delega riguarda l'ordinamento provvisorio, anche finanziario, di Roma capitale e la configura, in luogo del comune di Roma, come l'ente territoriale «Roma capitale» dotato di una speciale autonomia;
              a Roma Capitale la legge n.  42 del 2009 ha attribuito ulteriori funzioni amministrative, relative alla valorizzazione dei beni storici, artistici e ambientali, allo sviluppo del settore produttivo e del turismo, allo sviluppo urbano, all'edilizia pubblica e privata, ai servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico e alla mobilità, e alla protezione civile, prevedendo che siano assegnate risorse ulteriori, in considerazione del ruolo di capitale della Repubblica e delle nuove funzioni ad essa attribuite, nonché procedendo alla determinazione dei principi generali per l'attribuzione al nuovo ente territoriale di un nuovo patrimonio;
              le disposizioni recate dall'articolo 24 della legge n.  42 del 2009 in materia di ordinamento di Roma capitale hanno avuto un carattere transitorio o, per meglio dire, hanno costituito una «normativa-ponte» in vista dell'attuazione di una disciplina organica delle città metropolitane ex articolo 23 della legge n.  42 del 2009;
              la nuova disciplina sulle città metropolitane è stata dettata con una diversa fonte legislativa, costituita dall'articolo 18 del decreto-legge n.  95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  135 del 2012;
              il consiglio comunale di Roma il 7 marzo 2013 ha approvato il nuovo statuto di Roma Capitale, che recepisce quanto stabilito nel decreto legislativo n.  156 del 2010 sull'ordinamento di Roma Capitale; questo ha previsto, tra l'altro, la diminuzione dei municipi da 19 a 15;
              lo statuto della città metropolitana di Roma è stato approvato con deliberazione della conferenza metropolitana n.  1 del 22 dicembre 2014;
              l'essere capitale e area metropolitana rappresenta per Roma una particolarità che ha bisogno non solo di un ordinamento differenziato, ma anche di un modello metropolitano efficace, tenuto conto che Roma capitale comprende quindici municipi ognuno con un numero di abitanti pari ad una media città italiana;
              la legge n.  56 del 2014 all'articolo 1, commi 11, lettera c), e 22, nonché l'articolo 22 dello statuto della città metropolitana di Roma hanno previsto la possibilità per la città metropolitana di Roma di costituire nel proprio ambito più zone omogenee e, in tale contesto, ciascuno dei municipi di Roma potrebbe costituire una zona omogenea, trasformandoli in comuni dell'area metropolitana dotati di autonomia amministrativa in coerenza con lo statuto della città metropolitana;
              le revisioni dell'assetto ordinamentale di Roma Capitale sono materia di portata politica «costituzionale», considerati anche gli effetti sugli altri livelli istituzionali territoriali e sul quadro normativo statale. Tali revisioni devono avvenire dentro un percorso di carattere «costituente», come si evince anche dalla previsione del referendum tra i residenti della città metropolitana ai fini del ridisegno dell'assetto ordinamentale in questione. Al tal fine, il percorso di revisione ordinamentale va aperto alla partecipazione attiva e al consenso di almeno una parte significativa delle rappresentanze istituzionali delle minoranze;
              l'iniziativa politica e istituzionale, intrapresa recentemente dalla sindaca Raggi con il Presidente del Consiglio dei ministri, va nella giusta direzione del riconoscimento istituzionale ed economico della «specialità» di Roma Capitale della Repubblica e sede dello Stato Vaticano;
              qualsivoglia riassetto ordinamentale riguardante Roma Capitale non può non prevedere l'elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano e la costituzione in zone omogenee di ciascun municipio di Roma Capitale, trasformando gli stessi municipi in comuni dotati di autonomia amministrativa;
              nel contesto del ridisegno ordinamentale di Roma Capitale va affrontato anche il problema del debito storico del comune di Roma;
              l'articolo 78 del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, recante «disposizioni urgenti per Roma capitale», ha previsto il subentro dello Stato, per il tramite di un commissario straordinario – quale organo di Governo – nella gestione delle passività del comune di Roma, risalenti fino alla data del 28 aprile 2008, con l'impegno a ripianarle senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato;
              le passività risalenti fino alla data del 28 aprile 2008 sono state quantificate in 16,97 miliardi di euro quale debito accertato e 5,49 miliardi di euro quale debito in attesa di accertamento definitivo, a fronte di un credito accertato, ma largamente inesigibile, di 5,62 miliardi di euro e un credito in attesa di accertamento definitivo di 0,08 miliardi di euro;
              il debito storico in carico alla gestione commissariale si riferisce a 1.469 contratti di mutuo, di cui 1.339 accesi con Cassa depositi e prestiti e il resto con istituti di credito privati, tra cui Banca Dexia Crediop, Intesa San Paolo, Unicredit. L'83 per cento del debito residuo è su mutui a tasso fisso e il 17 per cento a tasso variabile, con un costo medio del debito pari al 4,2 per cento;
              una parte del debito è relativa ai buoni obbligazionari comunali (Boc) emessi in tre tranche a partire dal 2003 per un ammontare di 1,4 miliardi di euro, con scadenza 27 gennaio 2048, quando dovrà essere restituito l'intero capitale, per il quale non si stanno facendo accantonamenti; questi hanno un tasso di interesse fisso al 5,345 per cento, che a suo tempo era compatibile con i tassi di mercato, ma che oggi appare oneroso, causando una spesa per interessi di circa 75 milioni di euro l'anno;
              purtroppo, gli interventi avviati, con il concorso della fiscalità generale, per estinguere il debito storico si sono rivelati inadeguati e larga parte del flusso atteso di risorse dal bilancio dello Stato e dall'addizionale Irpef gravante sui cittadini di Roma appare utilizzato per operazioni finanziarie incoerenti;
              con la riforma costituzionale del 2001, è stata introdotta la cosiddetta golden rule sugli investimenti, ovvero si prevede che gli enti territoriali sono tenuti al pareggio di bilancio per la parte corrente e possono ricorrere all'indebitamento solo per effettuare investimenti e a determinate condizioni;
              è del tutto evidente che il peso dell'estinzione del debito storico di Roma Capitale può essere considerevolmente ridotto al fine di liberare risorse di bilancio per affrontare in maniera adeguata le criticità presenti nella città, ad esempio quelle relative al trasporto pubblico, alla gestione del territorio, all'edilizia residenziale pubblica; è quindi necessario procedere a una riduzione del debito a partire dalla ricontrattazione dei mutui accesi con Cassa depositi e prestiti attraverso la quale recuperare risorse necessarie,

impegna il Governo:

1)    ad assumere ogni iniziativa di competenza, in particolare di carattere normativo, in raccordo con gli enti territoriali, volta all'elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano e, contestualmente, alla costituzione in zone omogenee di ciascun municipio di Roma Capitale, trasformando gli stessi municipi in comuni dotati di autonomia amministrativa;

2)    ad adottare le iniziative di competenza per prevedere, data anche la specificità delle funzioni di carattere nazionale assolte da Roma capitale, non solo il rafforzamento delle sue prerogative, ma anche lo stanziamento di risorse adeguate che consentano la possibilità di affrontare le criticità economiche e sociali presenti nella città, nonché gli impegni di carattere nazionale e internazionale ai quali deve assolvere;

3)    a prevedere nel disegno di legge di bilancio 2019, come più volte proposto dall'Anci nella XVII legislatura e alla luce di quanto segnalato in premessa, soluzioni al fine di procedere in tempi brevi alla ristrutturazione dei debiti contratti dai comuni con Cassa depositi e prestiti, sottoscritti a tassi d'interesse anche superiori al 5 per cento, insostenibili e di gran lunga superiori ai livelli dei tassi attualmente applicati.
(1-00041) «Fassina, Fornaro, Muroni, Occhionero, Pastorino».


      La Camera,
          premesso che:
              Roma è la capitale della Repubblica, in base all'articolo 114 della Costituzione;
              a Roma Capitale sono attribuite per la legge 5 maggio 2009, n.  42, approvata dal Governo Berlusconi IV, oltre a quelle attualmente spettanti, le seguenti nuove funzioni amministrative:
                  a) concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, previo accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali;
                  b) sviluppo economico e sociale di Roma Capitale, con particolare riferimento al settore produttivo e turistico;
                  c) sviluppo urbano e pianificazione territoriale;
                  d) edilizia pubblica e privata;
                  e) organizzazione e funzionamento dei servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico e alla mobilità;
                  f) protezione civile, in collaborazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri e la regione Lazio;
                  g) ulteriori funzioni conferite dallo Stato e dalla regione Lazio ai sensi dell'articolo 118, comma 2, della Costituzione;
              rispetto alla legge delega n.  42 del 2009, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione», risulta scaduto il termine dei tre anni per l'emanazione dei provvedimenti correttivi e integrativi;
              in base al decreto legislativo n.  156 del 2010 la nuova Assemblea capitolina da esso istituita dovrà disciplinare con propri regolamenti l'esercizio delle nuove funzioni attribuite a Roma Capitale;
              lo statuto di Roma Capitale, con delibera n.  9 del 7 marzo 2013, ha come sua priorità prevalente l'autonomia amministrativa e finanziaria dei 15 municipi di Roma, così come sancito dal decreto legislativo n.  156 del 2010;
              con deliberazione 7 marzo 2013, n.  9, l'Assemblea capitolina ha approvato lo statuto di Roma Capitale che definisce i principi, le funzioni e gli organi dell'ente, indicando quale priorità l'autonomia amministrativa e finanziaria dei 15 municipi di Roma, così come sancito dal decreto legislativo n.  156 del 2010;
              in base al decreto legislativo n.  61 del 2012 viene richiesta, previo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, la determinazione dei costi connessi al ruolo di Roma Capitale della Repubblica;
              ai sensi del decreto legislativo n.  61 del 2012 viene adottata la programmazione pluriennale degli interventi nel territorio di Roma;
              ai sensi del decreto legislativo n.  61 del 2012 è stipulata da Roma Capitale un'intesa istituzionale di programma con la regione Lazio e le amministrazioni centrali, all'interno della quale si può concorrere al finanziamento di interventi di interesse nazionale sul territorio di Roma;
              ai sensi del decreto legislativo n.  61 del 2012 sono attribuite a Roma Capitale ulteriori capacità organizzative e funzioni amministrative nell'ambito della valorizzazione dei beni storici, artistici, paesaggistici, ambientali e fluviali;
              alle disposizioni di legge appena citate non sono corrisposte iniziative atte a realizzare una nuova cooperazione istituzionale fra i diversi livelli amministrativi dello Stato, della regione Lazio e di Roma Capitale;
              al contrario, la cosiddetta legge Delrio sulla nuova disciplina delle province e delle città metropolitane, non sostenuta da un'adeguata e corrispondente riforma costituzionale, ha ingenerato un ulteriore rallentamento nel processo di devoluzione dei poteri oggi esercitati dalla regione Lazio verso Roma Capitale;
              in sede di Conferenza unificata non si sono per questo registrati passi significativi nella direzione di un rafforzamento dell'autonomia amministrativa di Roma Capitale nel solco delle nuove funzioni attribuite dall'articolo 24, comma 3, della legge delega n.  42 del 2009;
              il comune di Roma ad oggi non ha dimostrato, al di là alle citate modifiche statutarie del 2013, di dare attuazione alle leggi e decreti, frenando in tal modo il processo di autonomia ed efficienza necessaria affinché Roma possa considerarsi una moderna capitale europea;
              la regione Lazio, al di là delle mere dichiarazioni favorevoli, non ha proceduto all'iniziativa di trasferimento di proprie competenze in settori determinanti per l'efficacia della riforma,

impegna il Governo:

1)    ad adottare le opportune iniziative al fine di dare ulteriore e piena attuazione a quanto già previsto dalla legge delega n.  42 del 2009;

2)    a promuovere tutte le iniziative utili a definire in modo più stringente le funzioni amministrative di Roma Capitale in materia di turismo, attività produttive, trasporto pubblico locale, urbanistica e pianificazione del territorio, edilizia pubblica e privata, favorendo una più efficace cooperazione interistituzionale fra Roma Capitale e regione Lazio;

3)    ad adottare le opportune iniziative al fine di prevedere una più estesa e articolata attribuzione di funzioni a Roma Capitale, nel rispetto dei vincoli costituzionali, in materie di rilevanza economica e sociale, come il settore agroalimentare e del commercio;

4)    ad adottare iniziative per prevedere, nel bilancio dello Stato, nuovi fondi speciali per Roma Capitale, in considerazione delle sue speciali funzioni di capitale europea, sede di importanti organismi internazionali, di università e accademie nazionali e straniere, oltre che delle istituzioni parlamentari, del Governo e della Presidenza della Repubblica e territorio più vicino allo Stato della Città del Vaticano.
(1-00042) «Barelli, Angelucci, Battilocchio, Calabria, Giacomoni, Marrocco, Polverini, Ruggieri, Spena, Occhiuto».


      La Camera,
          premesso che:
              Roma Capitale della Repubblica italiana è l'unica grande capitale europea priva di un sistema istituzionale e di un ordinamento amministrativo speciale, in grado di garantire un adeguato livello di prestazioni delle funzioni di capitale dello Stato nazionale, di grande metropoli mondiale e di sede della Chiesa cattolica; condizioni che ne fanno una città per sua natura «speciale», in cui si sommano elementi di modernità, di storicità e di spiritualità con pochi eguali nel mondo con l'eccezionale presenza, nel suo territorio, di due Stati e di un'Agenzia delle Nazioni Unite (la Fao) e conseguentemente di tre reti di rappresentanza diplomatica;
              le maggiori capitali delle più grandi e importanti nazioni europee godono da molti anni, se non da sempre, di speciali prerogative amministrative, che le distinguono dalle altre città delle stesse nazioni e che sono caratterizzate da elevati livelli di autonomia, da dotazioni finanziarie speciali derivanti da contributi statali o da specifiche deleghe di autonomia fiscale, talora da potestà legislativa in determinati settori, tutto questo con l'obiettivo di consentire un ottimale svolgimento delle funzioni generali e nazionali in esse presenti e di una piena ed onorevole rappresentanza della comunità nazionale: tra le città principali che godono di tali opportunità si ricordano Londra, Parigi, Bruxelles, Berlino, Madrid e Vienna;
              Roma è un patrimonio dell'umanità, di valore mondiale per il livello impareggiabile di beni storici, archeologici e culturali ai quali si somma un patrimonio ambientale e paesaggistico ancora rilevante e significativo nonostante le aggressioni prodotte dallo sviluppo urbanistico del secolo XX, espansivo e dispersivo; un patrimonio che trascende persino la dimensione nazionale, collocando il valore e l'importanza di Roma a livello continentale e globale;
              le caratteristiche morfologiche e insediative attuali del territorio metropolitano romano si sono generate per stratificazioni successive e rapide nel corso del Novecento e a partire dalla fine dell'Ottocento successivamente alla proclamazione di Roma come Capitale del neonato Stato italiano unitario, sulla base di vicende storiche e politiche che hanno prodotto un forte inurbamento di masse rurali dai territori limitrofi e dalle regioni del Centro-Sud e un sistema economico scarsamente industrializzato, con limitate vocazioni produttive e manifatturiere e con un preponderante carattere amministrativo, accompagnato da un forte ruolo del settore edilizio e della rendita fondiaria e urbana;
              anche da questa storia moderna di Roma derivano i caratteri di spiccata dispersione insediativa su un territorio di 1.290 chilometri quadrati (il più esteso comune europeo) pari alla somma del territorio delle 9 maggiori città italiane; caratteristiche che rendono assai costosa la realizzazione, la gestione e la manutenzione delle reti di servizio essenziali (trasporto, manutenzione urbana, acqua, energia), dei servizi «secondari» (scuola, sanità, cultura, sport) e il loro adeguamento nel tempo soprattutto in periferia;
              appare evidente, da quanto premesso fino ad ora, che la storia antica e il lascito straordinario e unico che ne deriva e la storia moderna, con le contraddizioni che ha prodotto in un arco di lungo periodo e che ancora pesano, impongono una specialità di strumenti amministrativi e gestionali, di modelli partecipativi e di esercizio della democrazia, di intervento sulla struttura urbana, che non può più essere rinviata;
              la necessità di collocare opportunamente il ruolo di Roma nel contesto nazionale italiano e di dotare la Capitale di un regime giuridico speciale ha rappresentato un tema ricorrente e costante del confronto politico, istituzionale e sociale dello Stato nazionale unitario fino dalla prima riunione del Parlamento italiano il 17 marzo del 1861 a Torino, con uno storico discorso di Cavour e ancor di più con l'assimilazione di Roma nel territorio italiano con l'azione militare del 20 settembre del 1870, fino alla risoluzione della «questione vaticana» con il Concordato del 1929 ed alle diverse iniziative legislative assunte sul problema della Capitale in epoca liberale, giolittiana e infine repubblicana;
              tale confronto, tuttavia, non ha mai trovato uno sbocco risolutivo, essendo altresì sublimato attraverso periodici aggiustamenti fatti di provvedimenti parziali e settoriali adottati attraverso specifiche leggi o finanziamenti eccezionali collegati ad eventi internazionali di carattere religioso, culturale o sportivo;
              un'organica riforma dello status di Roma Capitale è sempre mancata; è mancata una percezione contemporanea di Roma, la cui funzione nazionale è stata quasi sempre elaborata in forma ideologica o mitologica se non simbolica, ma senza un effettivo investimento sugli elementi di modernità, di sviluppo, di innovazione e conseguentemente di adeguata strumentazione amministrativa, capace di valorizzare tali potenzialità oggettivamente presenti in una città con caratteri storici e culturali così preponderanti e pertanto incline alla scienza, all'innovazione, al progresso;
              la «specialità» romana ha una dimensione territoriale che non si esaurisce nel dato relativo all'estensione della superficie comunale;
              fra Roma e il territorio circostante esistono potenti interconnessioni, ad esempio con spostamenti casa-lavoro di 300 mila persone al giorno;
              la corona metropolitana di Roma, e cioè l'insieme dei comuni limitrofi alla città centrale, è uno dei territori italiani a maggiore attrattività insediativa;
              fra i censimenti del 1971 e 2011 ha guadagnato più di 600 mila abitanti; è il territorio di localizzazione di numerose attività produttive e di servizio ad elevata specializzazione che primeggiano a livello nazionale ed internazionale;
              i più recenti dati, forniti dalla camera di commercio di Roma e del Lazio, rappresentano la realtà di un territorio metropolitano e regionale nel quale convivono ormai contraddittoriamente elementi di vitalità ed elementi di crisi profonda che testimoniano come Roma non sia ancora fuori dal tunnel della crisi; ad un aumento del numero delle imprese, giovanili, femminili e straniere, delle start-up, dei flussi turistici e dell’export si affianca la realtà di una dispersione occupazionale che si riconverte in «impresa di sopravvivenza, in settori a basso indice di innovazione per unità di prodotto e di servizi»;
              tutto questo configura l'area metropolitana romana come un territorio attivo, ormai stabilmente sottratto alla tradizionale configurazione di area «pigra» e assistita, ma costantemente in bilico e a rischio di regressione e impone con ancor maggiore forza ed urgenza la necessità di un'azione a largo raggio e con caratteri di organicità per riformare gli strumenti amministrativi e la struttura istituzionale dell'ordinamento giuridico e del potere democratico metropolitano, che ha il compito di valorizzare e guidare al meglio la crescita economica, sociale e civile del territorio;
              un nuovo modello di sviluppo per la città metropolitana di Roma Capitale può prendere forma attraverso un sostegno alla vocazione internazionale di Roma e alla sua capacità di attrarre talenti e capitali, in particolare in ambito universitario e produttivo; una valorizzazione e ulteriore sviluppo della rete delle istituzioni formative, universitarie e di centri di ricerca nel loro rapporto con il sistema produttivo e con il territorio (soprattutto in periferia) per le specifiche caratteristiche di sostegno all'innovazione, alla creazione di lavoro e alla promozione di più elevati livelli di coesione sociale e di crescita civile; una spinta decisa nella direzione di una rivoluzione digitale dei servizi pubblici, dell'impresa, delle reti di sicurezza e di sostegno alle marginalità; un programma di interventi periodizzato e scadenzato per obiettivi di intervento sul sistema delle infrastrutture per la mobilità ed il trasporto pubblico su ferro ed ecologico; il sostegno al sistema turistico; un incessante programma di intervento finalizzato al risanamento urbanistico, alla rigenerazione urbana e alla valorizzazione del patrimonio ambientale con l'adozione di norme e procedure di intervento nella trasformazione urbana che tengano conto delle specialità, sopra richiamate, della storia e dell'attualità del sistema insediativo e morfologico dell'area metropolitana romana;
              ancora oggi, nonostante il solenne riconoscimento costituzionale del riformulato articolo 114 della Costituzione, Roma gode di un regime ordinario e sostanzialmente assimilabile a quello di tutti gli altri comuni italiani senza distinzione di dimensione territoriale, storica, demografica, morfologica; condizione che impedisce un credibile progetto di rilancio della capitale nella direzione di un nuovo progetto strategico con i profili precedentemente richiamati;
              si tratta di un regime che non tiene conto delle sue due specialità, quella di essere Capitale della Repubblica e quella di essere una grande e moderna area metropolitana, la più grande e complessa d'Italia;
              in relazione a tale retroterra storico si può oggi affermare la permanenza di una «questione romana» che, pur mutando profilo e carattere nel corso di questi 150 anni, resta un tema nazionale aperto con crescenti significati europei e mondiali e che si affianca alle storiche questioni italiane come la «questione meridionale» e una più recente ma non meno importante «questione settentrionale»;
              tra i provvedimenti e le norme più recenti, intervenute per regolare e aggiornare le attribuzioni dei poteri di Roma Capitale e agire sulle corrispondenti dotazioni finanziarie, va ricordato l'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n.  42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione», che ha introdotto «norme transitorie sull'ordinamento, anche finanziario, di Roma Capitale» «fino all'attuazione della disciplina delle città metropolitane»;
              in attuazione delle disposizioni contenute nella suddetta legge sono stati successivamente approvati il decreto legislativo 17 settembre 2010, n.  156, e il decreto legislativo 18 aprile 2012, n.  61;
              si tratta di interventi episodici, fortemente disomogenei, che appaiono in contrasto con la riserva di legge organica e speciale per Roma Capitale, contenuta nel terzo comma dell'articolo 114 della Costituzione;
              tali provvedimenti non hanno pertanto introdotto sostanziali modifiche, né un reale potenziamento alle funzioni già attribuite al comune di Roma, poi denominato Roma Capitale, mentre hanno, per converso, gravemente compromesso le opportunità e i vantaggi previsti a beneficio di Roma dalla legge n.  396 del 1990 («legge per Roma Capitale») che aveva rappresentato, dopo un lungo percorso parlamentare, l'approdo più alto ed efficace, anche se insufficiente, a una organica legislazione per Roma;
              con l'eliminazione degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 della legge n.  396 del 1990 e con la mancata sostituzione di queste norme con quelle previste dal decreto legislativo n.  61 del 2012, è stata demolita la sola legge che nella storia nazionale aveva garantito continuità di finanziamenti pubblici aggiuntivi ai trasferimenti ordinari, finalizzati ad investimenti in conto capitale e non in spesa corrente e legati a precisi obbiettivi programmatici e strategici, quali il risanamento urbanistico, la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico e culturale, la realizzazione di nuove strutture museali, il potenziamento del sistema turistico, la modernizzazione delle reti infrastrutturali e la mobilità su ferro, il decentramento amministrativo e della direzionalità pubblica dal centro storico;
              tali risorse furono erogate annualmente a partire dal 1992 e fino al 2001 e poi nel biennio 2006-2007 con un volume medio annuale di 100 miliardi di lire, divenuti poi, dopo il 2002, 100 milioni di euro e hanno consentito, attraverso il ruolo centrale del consiglio comunale in rapporto con gli organi dello Stato e della Commissione nazionale per Roma Capitale, la realizzazione di numerose opere pubbliche, la riqualificazione di ampi quadranti della periferia urbana e metropolitana, lo sviluppo, la crescita e la diversificazione del sistema economico ed imprenditoriale romano tra la metà degli anni Novanta e la fine del primo decennio degli anni 2000;
              nel 2008 è stata istituita con decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, la struttura per la «gestione commissariale del debito pregresso di Roma Capitale»;
              con l'approvazione del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, è stata stabilita una dotazione finanziaria della «gestione commissariale» pari a 500 milioni di euro all'anno fino al termine ultimo del 2048, provenienti per 300 milioni di euro da erogazioni del Ministero dell'economia e delle finanze e per 200 milioni di euro da addizionale aggiuntiva dell'Irpef pari allo 0,4 per cento a carico dei cittadini residenti nel territorio di Roma Capitale;
              tali misure sono state ritenute necessarie per risolvere il problema dell'indebitamento pregresso del comune di Roma, considerato fuori controllo, ma la cui reale entità non è risultata mai fino in fondo chiara;
              nel 2008 l'indebitamento del comune di Roma, ricalcolato per valore medio per abitante, risultava inferiore a quello del comune di Milano e a quello del comune di Torino, oltre che a quello di numerosi altri comuni italiani, il che rende discutibile la considerazione di una situazione di dissesto che attivò la procedura di istituzione della «gestione commissariale», tanto che a dieci anni di distanza il 60 per cento delle partite di debito commerciale registrate è riferito a soggetti non ancora identificati;
              la massa debitoria fu costruita in modo improprio, senza quantificare con certezza il debito commerciale, l'unico che poteva generare veri squilibri, dato che i mutui, per loro natura e regola contabile, sono comunque coperti e finanziati dal bilancio. In altre parole, si è individuato un metodo molto costoso e non soggetto a controlli per finanziare la città. Il risultato deludente è sotto gli occhi di tutti;
              in realtà, il comune di Roma nel 2008 presentava dei parametri di deficit e indebitamento in linea con quelli degli altri grandi comuni italiani. I problemi più importanti, che non presentavano profili di crisi strutturale, riguardavano ad esempio la crisi di liquidità dovuta ai mancati trasferimenti della regione Lazio per diversi interventi di sua competenza, come il trasporto pubblico locale e le politiche abitative;
              nonostante tali disposizioni, che, a partire dal 2008, hanno azzerato i debiti pregressi dell'amministrazione di Roma Capitale trasferendoli integralmente alla struttura della gestione commissariale, Roma Capitale ha prodotto dopo il 2009 un deficit strutturale di poco meno di un miliardo di euro all'anno per il quale sono state necessarie nuove norme emergenziali introdotte con l'articolo 16 del decreto-legge 6 marzo 2014, n.  16, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 maggio 2014, n.  68;
              si deve, in questo quadro, ricordare che solo nel 2014, proprio sulla base del decreto-legge n.  16 del 2014 e del piano di rientro elaborato dall'amministrazione del comune di Roma dell'epoca fu possibile quantomeno veder riconosciuto annualmente un contributo speciale di 110 milioni di extra costi, seppur sempre confinati in spesa corrente, che continuano a pervenire grazie all'azione del Governo nazionale tra il 2014 e il 2017;
              sul rispetto di quel piano di rientro a partire dal 2016 e dalla costituzione dell'amministrazione guidata dal MoVimento 5 Stelle, piano che dovrebbe oramai essere concluso, non possono che essere sollevati, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, enormi rilievi, peraltro già espressi dal Governo in quegli anni;
              questa situazione e l'insieme di tali misure, relative al mancato sostegno finanziario ordinario e speciale in favore della Capitale e al ripiano del debito pregresso, rappresentano, a distanza di anni, un pesante onere proiettato in un tempo di lunga durata che configura una pressione fiscale elevatissima sul territorio romano, cui non corrispondono adeguati e conseguenti servizi;
              si determina una patologica e distorta condizione finanziaria e istituzionale che, a fronte di un gigantesco sforzo contributivo pubblico pari a 500 milioni di euro (senza precedenti nella storia italiana e di Roma Capitale), vede un crollo verticale degli impegni di spesa in conto capitale per opere e servizi, che accentua e aggrava una tendenza di fondo e generale propria degli ultimi anni in tutte le amministrazioni locali d'Italia, di riduzione delle spese per investimenti ed aumento cronico della spesa corrente;
              la scelta di sottrarre Roma dalla prova della candidatura olimpica per il 2024, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha rappresentato non solo la perdita di una grande occasione per mobilitare risorse importanti per sospingere investimenti per opere e servizi utili anche successivamente all'evento olimpico, ma ha contribuito enormemente a rafforzare l'immagine internazionale di una città in crisi e chiusa in se stessa, impermeabile agli investimenti anche del settore privato e di provenienza nazionale e internazionale;
              la crisi strutturale che attraversa la città di Roma deve dunque essere collegata a un'insufficienza degli strumenti amministrativi disponibili e all'ordinamento giuridico della Capitale, che chiamano in causa la necessità di uno sforzo istituzionale concorde, ma anche a un'evidente mancanza di capacità amministrativa, di efficienza e di trasparenza dell'amministrazione di Roma Capitale negli anni 2008-2013 (sindaco Alemanno) e a partire dal 2016 (sindaca Raggi); anni nel corso dei quali si sono determinate le condizioni di aggravamento finanziario, di degrado amministrativo, di arretramento morale e di persistente confusione e stasi amministrativa;
              tutto ciò contribuisce ad alimentare una condizione di disagio diffuso, di conflittualità sociale, di degrado delle strutture e delle aziende di servizio del trasporto pubblico locale e della gestione del ciclo dei rifiuti, di abbandono della manutenzione urbana che, oltre a rendere difficile e faticosa la vita quotidiana dei cittadini di Roma, ledono l'immagine della Capitale e con essa quella dell'intera nazione;
              un particolare richiamo deve essere rivolto alla situazione di Atac, il cui debito non riconosciuto da Roma Capitale per una quota di circa 200 milioni di euro era in carico originariamente alla «gestione commissariale» ed è progressivamente e inspiegabilmente ricaduto sull'azienda stessa in un percorso di progressivo disimpegno sia di Roma Capitale che della «gestione commissariale», accentuandone il collasso;
              l'entità reale del «debito pregresso del 2008» è stato oggetto di valutazioni spesso assai divergenti;
              le modalità del suo trattamento e della sua riduzione attraverso il pagamento di creditori e ratei bancari da mutuo ha suscitato ricorrenti interrogativi relativamente agli anni ricompresi tra il 2009 ed il 2015 (invece con un apprezzabile riordino e trasparenza di trattamento nel periodo successivo anche nel regolare rapporto di informazione al Parlamento) per quanto riguarda le vere cifre del debito e per quanto riguarda la stessa opportunità di procedere, ancora in forme così stringenti e in tempi così lunghi, al suo ripiano o tornare a una gestione ordinaria della materia;
              con successivi provvedimenti nel corso dell'anno 2015 sono stati assegnati a Roma Capitale circa 250 milioni di euro di finanziamenti per le attività e gli investimenti collegati al Giubileo della Misericordia, ma né Roma Capitale né il Governo nazionale hanno mai resocontato in merito all'effettiva destinazione di queste risorse e al loro effettivo utilizzo;
              Roma è l'unica grande area metropolitana italiana che non ha ancora beneficiato, nell'ambito dei nuovi e ordinari strumenti di programmazione della spesa pubblica in conto capitale, dell'avvio di un contratto istituzionale di sviluppo al cui interno definire le priorità di intervento per le infrastrutture e per lo sviluppo territoriale e i relativi finanziamenti da parte di Stato, regione, enti locali territoriali, aziende concessionarie dei servizi di pubblica utilità e settore privato, dotato di un'apposita cabina di regia e di monitoraggio,

impegna il Governo:

1)    a relazionare rapidamente agli organi parlamentari, secondo quanto stabilito nello stesso decreto-legge n.  78 del 2010, sullo stato di attuazione del piano di rientro e sulle attività della «gestione commissariale», valutando, in raccordo con tutte le forze parlamentari, le ulteriori modalità con cui affrontare tutta la materia relativa al debito pregresso di Roma Capitale;

2)    a fornire elementi altrettanto rapidamente agli organi parlamentari in merito alle destinazioni e agli effettivi utilizzi delle risorse trasferite nell'ambito dei provvedimenti per il Giubileo della Misericordia del 2015;

3)    a valutare, in raccordo con tutte le forze parlamentari, la possibilità di riportare presso la «gestione commissariale» (in caso di sua permanenza) l'intero debito Atac, per le parti accertate e riconosciute e per i 200 milioni non riconosciuti, per consentire di scollegare il debito dal servizio e, compatibilmente con un contestuale impegno dell'azienda a curare la qualità del servizio e a non produrre ulteriore debito, a favorire in condizioni meno gravose un rilancio del servizio;

4)    ad assumere iniziative urgenti per garantire il rilancio degli investimenti per opere e per servizi e il potenziamento dei servizi di trasporto pubblico locale e di gestione del ciclo dei rifiuti, valutando le più opportune misure per consentire all'amministrazione di Roma Capitale di spostare risorse dalle voci di spesa corrente o di ripiano del debito agli investimenti in conto capitale, anche recuperando ed aggiornando i contenuti e gli obbiettivi della legge per Roma Capitale n.  396 del 1990;

5)    ad intraprendere, promuovendo una «legge speciale per Roma Capitale» o altra iniziativa di riforma dell'assetto regionale e metropolitano, la necessaria azione per giungere a una organica riforma dello status di Roma Capitale, tale da garantire adeguati poteri e risorse economiche, funzioni e potestà legislativa, fiscale, amministrativa, se necessario, anche attraverso le iniziative di competenza per definire modifiche costituzionali;

6)    ad assumere ogni più urgente iniziativa affinché le risorse destinate agli interventi ricompresi nel «bando periferie» della città metropolitana di Roma possano essere al più presto reintegrate per non compromettere la realizzazione e l'efficacia dei suddetti progetti.
(1-00043) «Morassut, Nobili, Giachetti, Anzaldi, Campana, Madia, Mancini, Melilli, Orfini, Piccoli Nardelli, Prestipino, Enrico Borghi».


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 114, comma 1, della Costituzione, così come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.  3, recita: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”; il comma 3 del medesimo articolo dispone: «Roma è la Capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento»;
              la riforma del titolo V del 2001 ha altresì mutato il regionalismo italiano prevedendo – all'articolo 116, comma 3, della Costituzione – che la legge dello Stato possa disporre, su iniziativa della regione interessata, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, nelle sole materie di competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni e nei settori dell'organizzazione della giustizia di pace, dell'istruzione, dell'ambiente e dei beni culturali;
              a tal riguardo, ad oggi risultano avanzate richieste di autonomia differenziata da ben 8 regioni;
              la legge 7 aprile 2014, n.  56, ha radicalmente mutato l'ordinamento delle province, attraverso un riordino sia del quadro istituzionale sia delle competenze, disponendo, in particolare, che, nelle more della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, le province siano enti territoriali di secondo grado ed abbiano funzioni di area vasta nei settori espressamente indicati dalla medesima legge (pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, costruzione e gestione delle strade provinciali, regolazione della circolazione stradale, programmazione provinciale della rete scolastica, raccolta ed elaborazione di dati nonché assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali, gestione dell'edilizia scolastica, controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale, promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale);
              la legge 5 maggio 2009, n.  42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione», all'articolo 24, definisce puntualmente l'ordinamento transitorio di Roma Capitale;
              con il decreto legislativo n.  156 del 2010, che contiene disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della citata legge n.  42 del 2009, in materia di ordinamento transitorio di Roma Capitale, all'articolo 1, comma 2, si precisa che: «Le norme di cui al presente decreto costituiscono limite inderogabile per l'autonomia normativa dell'Ente e possono essere modificate, derogate o abrogate dalle leggi dello Stato solo espressamente»; ma l'inciso più cogente è rappresentato dall'espressione del principio sul decentramento di cui all'articolo 3, comma 5, secondo periodo: «Lo statuto disciplina, nei limiti stabiliti dalla legge, i municipi di Roma Capitale, quali circoscrizioni di decentramento, in numero non superiore a quindici, favorendone l'autonomia amministrativa e finanziaria»;
              Roma Capitale ha approvato lo statuto con deliberazione dell'Assemblea capitolina n.  8 del 7 marzo 2013;
              il regolamento del decentramento amministrativo, approvato con deliberazione n.  10 dell'8 febbraio 1999 dal consiglio comunale, ha assunto il compito di disciplinare in modo razionale le competenze attribuite ai municipi, considerate le diramazioni territoriali dell'amministrazione capitolina;
              il contratto per il Governo del cambiamento ha recepito le criticità della Capitale dovute principalmente all'obsolescenza dell'attuale assetto normativo e per tale ragione si è deciso di rimodernare il «disegno attuativo delle disposizioni costituzionali su Roma Capitale (articolo 114 della Costituzione), con legge dello Stato», anche attraverso «un nuovo patto tra la Repubblica e la sua Capitale, restituendole nuova e definitiva dignità»;
              concretamente l'attuale amministrazione capitolina ha operato scelte orientate al migliore funzionamento della cosiddetta «macchina amministrativa» mediante l'approvazione da parte dell'Assemblea capitolina della mozione n.  62 del 31 maggio 2018, la quale impegna la sindaca e la giunta: «a realizzare la sperimentazione di nuove forme di decentramento municipale anche attraverso le attività e il supporto dell'Osservatorio sul decentramento nonché della Consulta dei presidenti, l'attuazione di “progetti di decentramento speciale” presentati dai singoli municipi», nonché a «promuovere la più ampia forma di decentramento anche nell'ambito delle sperimentazioni necessarie in attuazione degli articoli 5 e 114 della Costituzione della Repubblica italiana»;
              allo scopo di attuare un serio piano di miglioramento delle criticità operative che di fatto impediscono la fluida realizzazione degli obiettivi indicati nelle linee programmatiche capitoline, l'Assemblea di Roma Capitale ha ulteriormente provveduto ad approvare l'ordine del giorno n.  49 in data 31 luglio/1o agosto 2018, con l'obiettivo di snellire e migliorare l'assetto amministrativo di Roma;
              appare pertanto necessario e urgente far ripartire un serio dibattito nelle sedi istituzionali nazionali sul futuro della capitale d'Italia; un dibattito costruttivo, programmatico e non dettato dal carattere emergenziale, come è accaduto negli ultimi anni quando si è parlato della città di Roma. Un dibattito che prosegua nel solco tracciato dall'attuale programma capitolino e che tenga conto delle specifiche criticità che si rilevano nel complesso tessuto economico e sociale della capitale;
              l'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 17 settembre 2010, n.  156 («Disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n.  42, in materia di ordinamento transitorio di Roma»), dispone che: «Il sindaco di Roma Capitale può essere udito nelle riunioni del Consiglio dei ministri all'ordine del giorno delle quali siano iscritti argomenti inerenti alle funzioni conferite a Roma Capitale»,

impegna il Governo:

1)    ad adottare tutte le iniziative necessarie al fine di garantire un rafforzamento dell'ordinamento di Roma Capitale in attuazione dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione, a partire dal decentramento amministrativo e dal ruolo dei municipi, in attuazione dell'articolo 5 della Costituzione;

2)    ad adottare iniziative per realizzare un progetto di rilancio di Roma Capitale e della macchina amministrativa capitolina, attraverso un'azione normativa idonea al potenziamento del ruolo della città di Roma quale capitale della Repubblica;

3)    ad avviare, preliminarmente alla realizzazione di un progetto di rilancio, un approfondimento nelle opportune sedi in ordine ai principali conflitti di competenza tra Roma Capitale, regione Lazio, Città metropolitana di Roma Capitale e Stato e le problematiche relative all'attuazione e all'applicazione delle disposizioni relative all'ordinamento di Roma Capitale;

4)    a valutare l'opportunità di coinvolgere il sindaco di Roma Capitale nelle riunioni del Consiglio dei ministri all'ordine del giorno delle quali siano iscritti argomenti inerenti – a vario titolo – alle funzioni conferite a Roma Capitale;

5)    ad implementare, attraverso le iniziative di competenza, la riforma del federalismo fiscale al fine di completare l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, che prevede non soltanto l'equilibrio dei bilanci degli enti locali e territoriali, nel rispetto dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, ma anche l'autonomia di entrata e di spesa;

6)    ad adottare ogni iniziativa di competenza al fine di attuare l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con particolare riferimento alle iniziative di autonomia differenziata già avanzate dalle regioni;

7)    ad adottare iniziative per riformare l'ordinamento degli enti locali al fine di armonizzare le disposizioni vigenti in materia con la riforma costituzionale del titolo V della parte seconda della Costituzione, in un quadro di efficienza e di funzionalità.
(1-00048) «Francesco Silvestri, De Angelis, Massimo Enrico Baroni, Gerardi, Baldino, Saltamartini, Daga, Zicchieri, De Toma, Flati, Frusone, Mariani, Ruocco, Salafia, Tuzi, Vignaroli».


MOZIONI DELRIO ED ALTRI N.  1-00036, LOLLOBRIGIDA ED ALTRI N. 1-00040, MOLINARI E D'UVA N. 1-00044 E SANTELLI ED ALTRI N. 1-00049 SULLA POSIZIONE DA SOSTENERE IN SEDE EUROPEA CIRCA L'APPLICAZIONE NEI CONFRONTI DELL'UNGHERIA DELL'ARTICOLO 7, PARAGRAFO 1 DEL TRATTATO UE, IN RELAZIONE ALLA RISOLUZIONE ADOTTATA DAL PARLAMENTO EUROPEO

Mozioni

      La Camera,
          premesso che:
              il 12 settembre 2018 il Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria a Strasburgo, ha approvato, sulla base della relazione della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Judith Sargentini) una risoluzione su una proposta recante l'invito al Consiglio a constatare, a norma dell'articolo 7, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione europea, l'esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte dell'Ungheria dei valori su cui si fonda l'Unione;
              la risoluzione del Parlamento europeo è stata approvata con 448 voti a favore, 197 contrari e 48 astenuti, con 693 votanti;
              nella suddetta risoluzione si afferma:
                  «considerando che l'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze, quali enunciati all'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea (TUE) e ripresi dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, e che tali valori, comuni agli Stati membri e approvati liberamente da tutti gli Stati membri, costituiscono il fondamento dei diritti di cui godono quanti vivono nell'Unione;
                  considerando che un eventuale rischio evidente di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all'articolo 2 TUE non riguarda soltanto il singolo Stato membro in cui si manifesta il rischio, ma ha un impatto sugli altri Stati membri, sulla fiducia reciproca tra questi e sulla natura stessa dell'Unione, nonché sui diritti fondamentali dei suoi cittadini in base al diritto dell'Unione;
                  considerando che come indicato dalla comunicazione della Commissione europea del 2003 sull'articolo 7 del Trattato sull'Unione europea, l'ambito di applicazione dell'articolo 7 TUE non si limita agli obblighi derivanti dai trattati, come accade per l'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, e che l'Unione può valutare l'esistenza di un evidente rischio di violazione grave dei valori comuni in settori che rientrano nelle competenze degli Stati membri;
                  considerando che l'articolo 7, paragrafo 1, TUE costituisce una fase preventiva, riconoscendo all'Unione la capacità di intervenire in caso di evidente rischio di violazione grave dei valori comuni; che tale azione preventiva prevede un dialogo con lo Stato membro interessato e mira a evitare eventuali sanzioni;
                  considerando che le autorità ungheresi sono sempre state disposte a discutere la legalità di qualsiasi misura specifica, la situazione non è stata affrontata e permangono molte preoccupazioni, che hanno un impatto negativo sull'immagine dell'Unione, nonché sulla sua efficacia e credibilità nella difesa dei diritti fondamentali, dei diritti umani e della democrazia a livello mondiale, e rivelano la necessità di affrontarle mediante un'azione concertata dell'Unione;
                  afferma che le preoccupazioni si riferiscono alle seguenti questioni:
                  il funzionamento del sistema costituzionale e del sistema elettorale;
                  l'indipendenza della magistratura e di altre istituzioni e i diritti dei giudici;
                  la corruzione e i conflitti di interesse;
                  la tutela della vita privata e la protezione dei dati;
                  la libertà di espressione;
                  la libertà accademica;
                  la libertà di religione;
                  la libertà di associazione;
                  il diritto alla parità di trattamento;
                  i diritti delle persone appartenenti a minoranze, compresi i rom e gli ebrei, e la protezione dalle dichiarazioni di odio contro tali minoranze;
                  i diritti fondamentali dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati;
                  i diritti economici e sociali;
                  ritiene che i fatti e le tendenze menzionati nell'allegato della presente risoluzione P8 TA-PROV(2018)0340 – rappresentino, nel complesso, una minaccia sistemica per i valori di cui all'articolo 2 TUE e un evidente rischio di violazione grave dei suddetti valori;
                  prende atto dell'esito delle elezioni parlamentari in Ungheria, che hanno avuto luogo l'8 aprile 2018; sottolinea il fatto che qualsiasi Governo ungherese è responsabile dell'eliminazione del rischio di grave violazione dei valori di cui all'articolo 2 TUE, anche se tale rischio è una conseguenza duratura delle decisioni politiche suggerite o approvate dai Governi precedenti;
                  trasmette, a norma dell'articolo 7, paragrafo 1, TUE, la proposta motivata in allegato al Consiglio, invitandolo a stabilire se esista un evidente rischio di violazione grave da parte dell'Ungheria dei valori di cui all'articolo 2 TUE e a rivolgere all'Ungheria raccomandazioni adeguate al riguardo»,

impegna il Governo

1)    a sostenere, in seno al Consiglio dell'Unione europea, il voto espresso dal Parlamento europeo.
(1-00036) «Delrio, Quartapelle Procopio, De Luca, Fassino, Berlinghieri, Ceccanti, Franceschini, Guerini, La Marca, Minniti, Scalfarotto, Giachetti, Mauri, Raciti, Rotta, Sensi, Annibali, Anzaldi, Ascani, Bazoli, Benamati, Boccia, Bonomo, Bordo, Enrico Borghi, Boschi, Braga, Bruno Bossio, Campana, Cantini, Carla Cantone, Cardinale, Carè, Carnevali, Cenni, Ciampi, Colaninno, Critelli, Dal Moro, D'Alessandro, De Filippo, De Maria, De Menech, De Micheli, Del Barba, Del Basso De Caro, Di Giorgi, Marco Di Maio, Ermini, Ferri, Fiano, Fragomeli, Fregolent, Gadda, Gariglio, Giacomelli, Giorgis, Gribaudo, Incerti, Lacarra, Lepri, Librandi, Losacco, Lotti, Madia, Gavino Manca, Mancini, Marattin, Martina, Melilli, Miceli, Migliore, Mor, Morani, Morassut, Moretto, Morgoni, Romina Mura, Nardi, Navarra, Nobili, Noja, Orfini, Orlando, Padoan, Pagani, Ubaldo Pagano, Paita, Pellicani, Pezzopane, Piccoli Nardelli, Pini, Pizzetti, Pollastrini, Portas, Prestipino, Rizzo Nervo, Andrea Romano, Rosato, Rossi, Schirò, Serracchiani, Siani, Topo, Ungaro, Vazio, Verini, Viscomi, Zan, Zardini».


      La Camera,
          premesso che:
              in data 12 settembre 2018 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione della deputata olandese Judith Sargentini, con la quale si chiedeva l'avvio della procedura sanzionatoria, di cui all'articolo 7 del Trattato di Lisbona, prevista in caso di violazione dei diritti fondamentali da parte di uno Stato membro, nei confronti dell'Ungheria;
              la procedura sanzionatoria, significativamente definita «opzione nucleare», costituisce un precedente pericolosissimo e può giungere, nella scala delle sanzioni, sino alla sospensione del diritto di voto di Budapest nel Consiglio dell'Unione europea;
              il carattere di aggressione politica, mascherata da motivazioni giuridiche, traspare chiaramente da alcune affermazioni dei leader europei, tra i quali Guy Verhofstadt, capogruppo dei liberaldemocratici, che ha affermato testualmente: «affronteremo chiunque voglia distruggere il progetto europeo, questo è il messaggio»;
              purtroppo e con chiara compromissione della sovranità degli Stati membri nel 2013 la Commissione europea ha, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, unilateralmente ed arbitrariamente deciso che il potere d'intervento dell'Unione europea è esteso anche ai campi, come nel caso di specie, ove gli Stati possono agire autonomamente;
              la procedura sanzionatoria di cui all'articolo 7 del Trattato di Lisbona prevede che i competenti organi dell'Unione europea dovranno procedere a eventuali tre votazioni: il Consiglio dell'Unione europea dovrà decidere, con una maggioranza di quattro quinti, in ordine alla sussistenza del «rischio manifesto» di una grave violazione dei diritti da parte dello Stato membro, successivamente il Consiglio europeo sarà chiamato a votare all'unanimità l’«esistenza di una grave e persistente violazione» da parte del medesimo Stato e, infine, il Consiglio vota a maggioranza qualificata per indicare le sanzioni da assumere;
              il Consiglio europeo è composto dai leader degli Stati membri e, nel caso italiano, dal Presidente del Consiglio dei ministri;
              la posizione dell'Italia e segnatamente il voto dell'Italia, tramite il Presidente del Consiglio dei ministri, sarà quindi determinante;
              evidentemente il voto del Presidente del Consiglio dei ministri assume un valore politico straordinario e sarà espressione non di convincimenti di natura personale, ma esprimerà la posizione dello Stato italiano;
              in occasione dell'esame della citata risoluzione i deputati europei del MoVimento 5 Stelle, in dissenso rispetto al proprio gruppo politico di appartenenza al Parlamento europeo – «Europa della Libertà e della Democrazia Diretta», hanno votato a favore delle sanzioni, mentre il gruppo parlamentare europeo della Lega ha votato contro le sanzioni al Governo di Budapest;
              l'Italia non potrà esprimersi a due voci in seno al Consiglio europeo, dovendo prendere definitiva posizione relativamente a una questione che attiene intimamente al tema della sovranità degli Stati membri e della libera determinazione di politiche della sicurezza e dell'immigrazione,

impegna il Governo

1)    ad assumere, in ogni sede competente e, in particolare, in seno al Consiglio europeo, una netta posizione a favore del Governo ungherese e del suo incomprimibile diritto a determinarsi liberamente in ordine alle politiche della sicurezza e dell'immigrazione ed in ogni caso alle politiche sottratte al concorso delle norme europee, sino ad esprimere voto contrario nei prosieguo delle fasi della procedura sanzionatoria di cui all'articolo 7 del Trattato di Lisbona.
(1-00040) «Lollobrigida, Meloni, Delmastro Delle Vedove, Cirielli, Acquaroli, Bellucci, Bucalo, Butti, Caretta, Ciaburro, Crosetto, Deidda, Luca De Carlo, Donzelli, Ferro, Fidanza, Foti, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».


      La Camera,
          premesso che:
              l'8 aprile 2018 il Premier Viktor Orbàn ha vinto le elezioni per il suo terzo mandato consecutivo;
              nel corso dei suoi precedenti Governi l'Ungheria ha sperimentato una costante e consistente crescita economica, con ampi investimenti industriali nei settori dell'alta tecnologia, un indice basso di disoccupazione e conti sovrani sotto controllo;
              l'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea indica lo Stato di diritto quale pilastro su cui si fonda l'Unione, insieme al rispetto della dignità umana, alla libertà, alla democrazia, all'uguaglianza, al rispetto dei diritti umani, comprese le persone appartenenti a minoranze. Nel complesso, questi valori costituiscono il fondamento dei diritti di cui godono quanti vivono nell'Unione europea;
              il 12 settembre 2018 il Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria a Strasburgo, ha approvato una risoluzione nella quale si chiede al Consiglio dell'Unione europea di valutare, a norma dell'articolo 7, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione europea, «se esista un evidente rischio di violazione grave da parte dell'Ungheria dei valori di cui all'articolo 2 TUE e a rivolgere all'Ungheria raccomandazioni adeguate al riguardo»;
              l'articolo 7, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione europea costituisce una fase preventiva, che prevede una fase di dialogo con lo Stato membro interessato e che mira a evitare eventuali sanzioni, riconoscendo all'Unione la capacità di intervenire in caso di «evidente rischio di violazione grave dei valori comuni». Il Parlamento europeo ha assunto la propria decisione in base alla valutazione su aspetti dello Stato di diritto;
              dal punto di vista procedurale, il 18 settembre 2018 la Presidenza del Parlamento europeo ha formalmente investito la Presidenza di turno austriaca del Consiglio dell'Unione europea della questione, che passerà all'esame del Consiglio affari generali, attraverso l'audizione dello Stato membro interessato; l'Ungheria è comunque intenzionata ad impugnare la risoluzione del Parlamento europeo dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione;
              dopo l'audizione l’iter si svilupperà in successivi passaggi che potranno durare alcuni mesi, comprendendo la possibilità per il Consiglio sull'Unione europea di rivolgere all'Ungheria raccomandazioni che dovranno essere deliberate a maggioranza dei quattro quinti degli Stati membri e previa approvazione del Parlamento europeo, sempre che nel frattempo il Consiglio non verifichi che sono venuti meno i motivi che hanno portato all'innesco di tale procedura,

impegna il Governo:

1)    ad attivarsi, in primo luogo attraverso un dialogo continuo, nel rispetto dell'autonomia e della sovranità di ogni Stato membro, per la protezione e la promozione dei diritti e dei valori su cui si fonda l'Unione, sanciti all'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea, rappresentando questi il fondamento comune e il presupposto irrinunciabile per tutti gli Stati membri, in armonia con i principi e lo spirito dei Trattati;

2)    ad attivarsi affinché il Consiglio dell'Unione europea accerti che i motivi che si ritiene siano all'origine della procedura di cui all'articolo 7, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione europea nei confronti dell'Ungheria non siano venuti meno e, nel caso non fossero più validi, affinché sia chiusa celermente la procedura stessa, in quanto infondata.
(1-00044) «Molinari, D'Uva».


      La Camera,
          premesso che:
              nella seduta plenaria del 12 settembre 2018, il Parlamento europeo con 448 voti a favore, 197 contrari e 48 astenuti ha approvato una risoluzione su una proposta recante l'invito al Consiglio a constatare, a norma dell'articolo 7, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione europea, l'esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte dell'Ungheria dei valori su cui si fonda l'Unione;
              l'articolo 7, del Trattato sull'Unione europea, stabilisce che, su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio può constatare che sussista un evidente rischio di violazione grave o che esista una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all'articolo 2 del Trattato;
              la procedura prevista dal citato articolo 7 prevede due meccanismi differenti: uno per le misure preventive, qualora vi sia un chiaro rischio di violazione dei valori dell'Unione europea, e uno per le sanzioni qualora la violazione sia avvenuta. Le sanzioni – non definite chiaramente dai trattati – possono giungere alla sospensione del diritto di voto a livello del Consiglio dell'Unione europea e del Consiglio europeo;
              in entrambi i casi la decisione finale spetta ai rappresentanti degli Stati membri nel Consiglio europeo, con quorum diversificati a seconda della situazione: per quanto riguarda il meccanismo preventivo richiede la maggioranza dei quattro quinti degli Stati membri, mentre in caso di violazione è necessaria una decisione all'unanimità dei capi di Stato e di Governo;
              l'8 aprile 2018 si sono tenute le elezioni per il rinnovo del Parlamento magiaro nelle quali il premier Viktor Orban ha conquistato il suo terzo mandato consecutivo dal 2010. Con un'affluenza alle urne del 68,13 per cento degli aventi diritto il partito di governo, Fidesz e il suo alleato del partito cristiano democratico, con il 49 per cento dei consensi hanno ottenuto 133 seggi su 199. Secondo è il partito Jobbik con il 20 per cento e 26 seggi, terza è risultata l'alleanza socialisti-verdi con 12 per cento;
              nella sua relazione, la missione di osservazione elettorale limitata dell'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell'OSCE (OSCE/ODHIR) ha dichiarato che il modo in cui le elezioni sono state amministrate dal punto di vista tecnico è stato professionale e trasparente e che nel complesso i diritti e le libertà fondamentali sono stati rispettati;
              nell'allegato alla risoluzione votata dal Parlamento europeo viene dato atto che le autorità ungheresi sono sempre state disposte a discutere la legalità di qualsiasi misura specifica, riportando numerosi casi in cui le autorità di Budapest hanno modificato le proprie norme, tenendo conto delle sentenze e dei suggerimenti delle diverse istituzioni ed organismi europei, contestando tuttavia la lenta od omessa adozione di ulteriori azioni raccomandate;
              proprio a causa della gravità dei suoi possibili effetti, la procedura di cui all'articolo 7 del TUE è particolarmente lunga e complessa, tanto da essere stata attivata soltanto una volta in precedenza, nei confronti della Polonia, senza peraltro essere giunta a termine;
              premesso che, nel caso di specie, si ritiene che non sussistano i presupposti per l'avvio della procedura, è evidente come, in considerazione delle maggioranze richieste e degli equilibri in seno al Consiglio europeo, l'ipotesi di una sua effettiva attivazione risulti altamente improbabile. Pertanto, se, come ipotizzabile, le ventilate sanzioni europee non comporteranno alcun effetto concreto, la scelta compiuta va letta in un'ottica prevalentemente e squisitamente politica, anche in relazione alle prossime scadenze elettorali del 2019;
              la discussione sull'attivazione della procedura, in questa fase storica, è infatti necessariamente condizionata da un più ampio dibattito che coincide con l'avvio della campagna elettorale per le elezioni europee e che rende impossibile una valutazione serena e oggettiva delle situazioni;
              in questo momento, la pretesa di attivare, o comunque anche solo proporre l'attivazione della procedura dell'articolo 7, pare quindi animata dal desiderio di far prevalere l'una o l'altra parte e non di affermare nel concreto il rispetto dei principi fondanti del Trattato dell'Unione;
              il risultato netto sarebbe sfavorevole all'Europa, per via dell'effetto o della reazione che la propaganda elettorale imprimerà alle decisioni che verranno assunte, quali esse siano, e l'Unione potrebbe risultare allora ancora più divisa e la sua crisi ancora più profonda;
              per i firmatari del presente atto di indirizzo la strada maestra continua ad essere quella del dialogo e della ragionevolezza, abbandonando ogni posizione ideologica ed evitando di commettere quegli errori che hanno portato l'Europa a non comprendere porzioni sempre più ampie della propria popolazione che – anche grazie ai ritardi nella costruzione della casa comune europea dei popoli e non solo dei governanti – vede l'Unione sempre più lontana,

impegna il Governo

1)    ad attivarsi, in seno al Consiglio dell'Unione europea, affinché prosegua il dialogo con il Governo ungherese, escludendo ogni possibilità di avallare posizioni ideologiche e strumentali che rischiano, in particolare in vista delle prossime elezioni, di limitarsi a rafforzare sentimenti antieuropei e nazionalismi, senza alcuna discussione di merito sul futuro delle istituzioni comunitarie e sulla loro capacità di gestire le crisi, a partire da quella migratoria, nonché di rispondere alle legittime aspettative di benessere e sicurezza dei propri cittadini.
(1-00049) «Santelli, Pettarin, Occhiuto».