XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 86 di lunedì 19 novembre 2018

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI

La seduta comincia alle 13.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

SILVANA ANDREINA COMAROLI, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 16 novembre 2018.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Battelli, Benvenuto, Bonafede, Brescia, Buffagni, Carfagna, Castelli, Castiello, Cirielli, Colucci, Cominardi, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, De Luca, Del Re, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Galli, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Grande, Guerini, Guidesi, Liuzzi, Lollobrigida, Losacco, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Alessandro Pagano, Picchi, Rampelli, Rixi, Ruocco, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Suriano, Tofalo, Vacca, Valente, Villarosa e Raffaele Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente settanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del disegno di legge: Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici (A.C. 1189-A);e dell'abbinata proposta di legge Colletti ed altri (A.C. 765).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1189-A: Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici; e dell'abbinata proposta di legge n. 765.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è in distribuzione e sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1189-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Forza Italia-Berlusconi Presidente ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Le Commissioni Affari costituzionali e Giustizia si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza per la II Commissione, deputata Francesca Businarolo.

FRANCESCA BUSINAROLO, Relatrice per la maggioranza per la II Commissione. Grazie, Presidente. Voglio chiedere agli uffici se posso depositare la relazione più completa e in questa fase fare un piccolo sunto.

PRESIDENTE. È autorizzata.

FRANCESCA BUSINAROLO, Relatrice per la maggioranza per la II Commissione. Grazie, Presidente. Gentili colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame del disegno di legge n. 1189-A e della proposta di legge abbinata, recante misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, che è stato presentato dal Governo alla Camera il 24 settembre 2018 ed è stato assegnato, in sede referente, alle Commissioni riunite affari costituzionali e giustizia che ne hanno avviato l'esame il 4 ottobre. È stato, quindi, svolto un lungo ciclo di audizioni in cui figure autorevoli nel campo del diritto penale, del diritto della procedura penale e del settore giuridico in generale hanno apportato spunti importanti e interessanti, recepiti dalle Commissioni che hanno lavorato alacremente con l'intento di giungere a un provvedimento finalizzato principalmente a introdurre misure di contrasto alla corruzione, grave piaga dei nostri tempi, difficile da individuare e da debellare, nell'ottica di garantire la massima trasparenza e ridare ai cittadini quella fiducia e quelle tutele che nella società attuale spesso restano in secondo piano.

Segnalo che il testo del disegno di legge trasmesso dal Governo al Capo I modificava il codice penale, il codice di procedura penale, il codice civile, l'ordinamento penitenziario e alcune leggi speciali con l'obiettivo di potenziare l'attività di prevenzione e accertamento, oltre che di repressione dei reati contro la pubblica amministrazione. Nel corso dell'esame in sede referente le Commissioni riunite hanno deliberato di ampliare il perimetro dell'intervento normativo al fine di includervi il tema della prescrizione, oltre che le materie direttamente investite dal testo originario. In relazione a ciò è stato svolto, il 12 novembre scorso, un ulteriore ciclo di audizioni.

Come specificato nella relazione illustrativa del provvedimento, l'intervento normativo è determinato dalla convinzione che i reati contro la pubblica amministrazione siano delitti seriali e pervasivi che si traducono in un fenomeno endemico, il quale alimenta mercati illegali, distorce la concorrenza e costa alla collettività un prezzo elevatissimo in termini sia economici sia sociali. Il Governo, nel motivare le modifiche all'ordinamento penale previste dal disegno di legge, fa riferimento all'esigenza di organismi internazionali quali l'OCSE, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, attraverso l'attività del Working group on Bribery, chiamato a verificare l'attuazione della Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, e il Consiglio d'Europa attraverso l'attività del gruppo di Stati contro la corruzione, il GRECO.

Nel corso dell'esame in sede referente le Commissioni hanno approvato numerose modifiche al testo, tra le quali anche una modifica al titolo. L'Atto Camera n. 1189-A all'esame dell'Assemblea della Camera si compone ora di 16 articoli, suddivisi in due capi: il Capo I, dall'articolo 1 al 9, è relativo a misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione nonché in materia di prescrizione del reato; il Capo II è relativo a misure in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici.

Nella relazione mi limiterò a illustrare alcuni di questi articoli e alcune delle modifiche fatte e rimando per il resto alla relazione che è più approfondita e completa, come ho già anticipato alla Presidente, e comunque mi limito a discutere dall'articolo 1 all'8, che costituiscono, appunto, il Capo I. Segnalo, quindi, che l'articolo 1 del disegno di legge prevede una serie di modifiche al codice penale che, in relazione ai reati contro la pubblica amministrazione, mirano, in particolare, a conformare l'ordinamento interno agli obblighi convenzionali in materia di corruzione, ad inasprire e ad ampliare l'ambito applicativo delle sanzioni accessorie, ad aumentare le pene e a riformulare specifici reati, a prevedere la collaborazione come speciale causa di non punibilità e ad introdurre nuove ipotesi di procedibilità d'ufficio nonché a introdurre modifiche all'istituto della prescrizione.

Vado, poi, alla lettera m) che, modificando l'articolo 317-bis, integra il catalogo dei reati alla cui condanna consegue la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici perpetua o temporanea. Oltre all'indicato ampliamento del catalogo degli illeciti è aumentata la durata della misura accessoria temporanea, prevedendo un minimo di cinque e un massimo di sette. I limiti ordinari sono ora fissati da uno a cinque. Si prevede, invece, che l'interdizione temporanea sia compresa tra un anno e cinque anni in caso di collaborazione, cioè quando il condannato si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili, ovvero per il sequestro delle somme a altre attività trasferite (articolo 323-bis, secondo comma).

In conseguenza dell'ampliamento della prescrizione del reato nel perimetro del disegno di legge, disposto nel corso dell'esame in sede referente, sono state inserite le lettere d), e) ed f), che modificano, rispettivamente, gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale. La lettera d) sostituisce il primo comma dell'articolo 158, relativo alla decorrenza del termine di prescrizione del reato. La novità introdotta riguarda il termine di decorrenza per il reato continuato, fissato al giorno di cessazione della continuazione. Si tratta di un ritorno alla disciplina anteriore alla “legge ex Cirielli” del 2005. Ulteriori e rilevanti modifiche sono introdotte alla disciplina della sospensione della prescrizione. La lettera e) sostituisce, infatti, il secondo comma dell'articolo 159 del codice penale, stabilendo che, oltre che nelle ipotesi del primo comma, il corso della prescrizione venga sospeso dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado, sia di condanna che di assoluzione, o dal decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto. Per motivi di coordinamento con le nuove ipotesi di sospensione della prescrizione sono abrogati il terzo e il quarto comma dell'articolo 159.

Il secondo comma dell'articolo 1 del disegno di legge fissa al 1° gennaio 2020 l'entrata in vigore della disciplina della prescrizione introdotta dai novellati articoli 158, 159 e 160 del codice penale.

La lettera i) interviene sugli effetti della riabilitazione. Com'è noto, quest'ultima estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, salvo sia diversamente stabilito dalla legge. Il disegno di legge, così come modificato nel corso dell'esame in sede referente, aggiunge un settimo comma all'articolo 179 che, derogando alla regola generale dell'articolo 178, stabilisce che la riabilitazione concessa sulla base della disciplina dello stesso articolo 179 non abbia effetto sulle pene accessorie perpetue e prevede la dichiarazione d'estinzione della pena accessoria quando sia decorso un termine di almeno sette anni e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta.

La lettera r), modificata nel corso dell'esame in sede referente, inserisce nel codice penale il nuovo articolo 323-ter, con il quale si introduce nell'ordinamento una causa speciale di non punibilità per alcuni delitti contro la pubblica amministrazione in presenza di collaborazione. Il catalogo dei delitti a cui fa riferimento il comma 1 della disposizione è il seguente: corruzione impropria, corruzione propria, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o a promettere utilità e corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (ve ne sono altri ma rimando alla relazione). In relazione a questi fatti, caratterizzati da un accordo illecito, non è punibile colui che li denuncia volontariamente, fornisce indicazioni utili per assicurare la prova del reato, fornisce indicazioni utili per individuare gli altri responsabili. Per l'applicazione della clausola di non punibilità occorre, però, anche che l'interessato sveli la commissione del fatto prima che il suo nome sia iscritto sul registro degli indagati, prima che l'iscrizione sia conoscibile nei casi in cui la stessa sia aggiornata per la diversa qualificazione del fatto reato o se il PM abbia disposto il segreto delle iscrizioni, e comunque entro sei mesi dalla commissione del fatto stesso.

Il secondo comma del nuovo articolo 323-ter individua ulteriori presupposti per l'applicazione della causa di non punibilità al fatto commesso dal pubblico ufficiale, dall'incaricato di pubblico servizio, dal trafficante di influenze illecite. Questi soggetti devono infatti mettere a disposizione alternativamente l'utilità percepita o, se questo è impossibile, mettere a disposizione una somma di denaro di valore equivalente o fornire elementi utili ad individuare il beneficiario effettivo dell'utilità. Infine, il terzo comma specifica che la causa di non punibilità non si applica quando la denuncia è preordinata rispetto alla commissione del reato denunciato. L'articolo 3 novella il codice di procedura penale per ampliare l'uso delle intercettazioni nei procedimenti per reati contro la PA nonché per una più estesa applicazione delle pene accessorie in relazione agli stessi reati, eliminando gli automatismi procedurali che ne limitano attualmente l'ambito. La lettera f) di quest'articolo 3 aggiunge all'articolo 444 del codice di procedura penale un nuovo comma 3-bis, che prevede che la parte, nel formulare la richiesta di patteggiamento nei procedimenti per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione, possa subordinare l'efficacia della stessa all'esenzione delle pene accessorie previste dall'articolo 317-bis del codice penale o, in caso di applicazione delle citate pene accessorie, all'estensione degli effetti della sospensione condizionale, anche a quest'ultima. Analogamente a quanto previsto all'articolo 444, comma 3, se il giudice non ritiene di accedere alle indicate condizioni, cioè se intende applicare le pene accessorie o non sospenderne l'efficacia, rigetta la richiesta di patteggiamento. La lettera g), al numero 2, con un nuovo comma 1-ter dell'articolo 445, sempre del codice di procedura penale, intende affidare alla discrezionalità del giudice l'applicazione delle pene accessorie dell'interdizione ai pubblici uffici, nel caso di pena patteggiata per i più gravi reati. In virtù della clausola di salvezza introdotta alla lettera g), numero 1, all'articolo 445, comma 1, l'applicazione delle indicate pene accessorie potrà essere valutata dal giudice anche in caso di pena concordata fine ai due anni di reclusione.

L'articolo 4 interviene sulle disposizioni penali in materia di società, consorzi e altri enti privati, contenute nel codice civile, per prevedere la procedibilità d'ufficio per i diritti di corruzione tra privati e di istigazione alla corruzione tra privati. In particolare, l'articolo 4 del disegno di legge abroga il quinto comma dell'articolo 2635 del codice civile e il terzo comma dell'articolo 2635-bis del codice civile. L'abrogazione comporta la procedibilità d'ufficio tanto per il delitto di corruzione tra privati quanto per quello di istigazione alla corruzione.

L'articolo 5 del disegno di legge interviene al comma 1 dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, per inserire alcuni reati contro la pubblica amministrazione nel decalogo dei reati che precludono, in caso di condanna, l'accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione, a meno di collaborazione con la giustizia. Il comma 2, inserito dalle Commissioni di merito, integra la formulazione del comma 12 dell'articolo 47 dell'ordinamento penitenziario, disposizione relativa all'affidamento in prova al servizio sociale. La novella introdotta al comma 12 dell'articolo 47 esclude che l'esito positivo del periodo di prova estingua anche le pene accessorie.

L'articolo 6 è volto ad estendere la disciplina dell'operazione di polizia sotto copertura al contrasto di alcuni reati contro la pubblica amministrazione, ossia le fattispecie riconducibili alla corruzione nonché i delitti di turbata libertà degli incanti e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente; a tal fine è modificato l'articolo 9 della legge 6 marzo 2006, n. 146. L'articolo 7 reca alcune modifiche alla disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche dipendente da reato, prevista dal decreto legislativo n. 231 del 2001, tramite un inasprimento delle sanzioni interdittive nell'ipotesi di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica derivante dalla commissione di alcuni reati contro la pubblica amministrazione. In particolare, il disegno di legge, come modificato in sede referente, novella l'articolo 25 del citato decreto legislativo n. 231. Una prima modifica sostituisce il comma 1, prevedendo l'irrogazione all'ente della sanzione fino a 200 quote in relazione alla commissione del delitto di traffico di influenze illecite. Attualmente tale sanzione è già applicata per la commissione di delitti di cui agli articoli 318 (corruzione impropria), 321 (corruzione attiva) e 322, commi 1 e 3 (istigazione alla corruzione) del codice penale. Viene inoltre sostituito il comma 5 dell'articolo 25, sempre del decreto legislativo n. 231 del 2001, ampliando per una serie di reati contro la PA la durata delle sanzioni interdittive a carico delle persone giuridiche.

Vado velocemente alla conclusione, Presidente, per lasciare spazio al mio collega Forciniti. Concludo affermando quanto sia evidente che in questo provvedimento puntiamo ad essere più severi contro chi si macchia dei reati contro la pubblica amministrazione: chi lo farà dovrà essere consapevole che non lavorerà più con la cosa pubblica, che verrà trattato alla stregua dei peggiori delinquenti, perché l'Italia non è un Paese per corrotti ma il Paese degli onesti. Conforto sulla nostra riforma l'abbiamo ricevuto da più parti, autorevoli, e su tutte le parti del testo. L'effetto che vogliamo che si produca sarà solo ed esclusivamente di vantaggio per i cittadini e per le imprese oneste che lavorano sul nostro territorio. So che potremo lavorare anche in Aula con lo spirito di collaborazione e di etica politica che ci deve contraddistinguere. Facciamo un'opera d'arte di legalità con questo provvedimento, senza anteporre questioni di bandiera, senza fare barricate. Prestando massima attenzione al confronto tra maggioranza e opposizione nell'ottica di apportare migliorie al testo, puntiamo insieme a togliere dal nostro Paese il marcio che si nasconde dietro a ogni episodio corruttivo, piccolo o grande che sia. Facciamo in modo di vedere uno schermo verde al voto finale, perché tutti, ne sono sicura, vogliamo un Paese meno corrotto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti della scuola primaria “Giuseppe Mazzini” di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori (Applausi).

Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la I Commissione (Affari costituzionali), deputato Francesco Forciniti.

FRANCESCO FORCINITI, Relatore per la maggioranza per la I Commissione. Presidente, prima di passare all'esame del Capo II mi soffermerei brevemente sulle modifiche introdotte dall'articolo 9, nel Capo I. Tale articolo, che è stato introdotto nel corso dell'esame in sede referente, reca alcune modifiche al cosiddetto codice della trasparenza delle pubbliche amministrazioni, adottato con decreto legislativo n. 33 del 2013, così come modificato poi dal decreto legislativo n. 97 del 2016. In particolare, le modifiche proposte dalla disposizione sono oggetto dell'atto di segnalazione al Governo e Parlamento da parte dell'Autorità nazionale anticorruzione, approvato con delibera n. 1388 del 14 dicembre 2016.

Le novelle all'articolo 14, comma 1, lettera d) e all'articolo 41 del decreto legislativo n. 33 del 2013 riguardano il regime di trasparenza previsto per la dirigenza sanitaria e mirano ad equiparare gli obblighi di pubblicazione concernenti i dirigenti sanitari con quelli propri della generalità degli altri dirigenti amministrativi. Per dirigenti sanitari deve intendersi - ai sensi dell'articolo 41, comma 2 del codice - gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo, nonché per gli incarichi di responsabile di dipartimento e di strutture semplici e complesse. Attualmente, il regime di trasparenza per i dirigenti sanitari è dettato dall'articolo 41 del codice, che richiama l'applicazione degli obblighi di pubblicazione previsti dall'articolo 15 per i titolari di incarichi di collaborazione e consulenza delle amministrazioni.

Al fine di equiparare gli obblighi di pubblicità cui sono assoggettati i dirigenti sanitari con quelli dei dirigenti amministrativi, la lettera b) del comma 1 dell'articolo in esame sostituisce, all'articolo 41, comma 3, il richiamo all'articolo 15 (obblighi dei titolari di incarichi di collaborazione o consulenza) con quello all'articolo 14 (obblighi dei titolari di incarichi dirigenziali). Inoltre, la lettera a) aggiunge all'articolo 14, comma 1, lettera d), il riferimento alle attività professionali dei dirigenti medici, specificando che gli obblighi di pubblicazione riguardano anche le prestazioni professionali svolte in regime intramurario.

Adesso passerei all'illustrazione per sommi capi del Capo II del disegno di legge in esame, che reca norme in materia di trasparenza e controllo dei partiti e movimenti politici, nonché disposizioni riguardanti i rapporti tra quest'ultimi con fondazioni, associazioni e comitati. Con tale provvedimento si intende rafforzare gli obblighi di pubblicità e rendicontazione posti in capo a quei soggetti che, in ragione della rilevante funzione pubblica che esercitano, si ritiene debbano essere sottoposti a un sindacato da parte dei cittadini e opinione pubblica non solo per le loro attività politiche ma anche per quelle economiche. È un'esigenza che peraltro ci invita a tenere in debita considerazione anche il Gruppo europeo di Stati contro la corruzione, più noto con l'acronimo GRECO, laddove afferma l'importanza di strutturare un impianto legislativo che sappia garantire un approccio olistico alla pubblicazione di finanziamenti per le campagne che consenta un accesso più semplice dei cittadini a tali informazioni.

L'articolo 10, al comma 1, introduce il principio del consenso implicito alla pubblicità dei dati di tutti i soggetti che effettuano elargizioni verso partiti o movimenti politici di contributi, prestazioni gratuite e messa a disposizione di servizi a titolo gratuito con carattere di stabilità e altre forme di sostegno a carattere patrimoniale.

Tali elargizioni devono essere, in virtù di questo nuovo articolo 10, annotate dal partito o movimento politico in un registro bollato dal notaio e, contestualmente, pubblicate nel rendiconto, nonché nel sito Internet istituzionale del partito o movimento. Sono fatti salvi dai suddetti obblighi i contributi occasionalmente corrisposti in contanti o per un importo complessivo non superiore a 500 euro nel corso di manifestazioni o eventi pubblici.

Il secondo comma dell'articolo 10 introduce, invece, il divieto per i partiti di ricevere contributi da Governi o enti pubblici di Stati esteri, da persone giuridiche aventi sede in uno Stato estero e da persone fisiche maggiorenni non iscritte nelle liste elettorali o private del diritto di voto.

Il quinto comma si occupa, invece, di soddisfare le esigenze dei cittadini di poter votare con consapevolezza, perché introduce l'obbligo per partiti e movimenti di pubblicare nel proprio sito Internet istituzionale il curriculum vitae e il certificato penale dei propri candidati nelle consultazioni elettorali di qualunque genere, escluse quelle relative ai comuni con meno di 15 mila abitanti.

Il comma 6 prevede che partiti e movimenti politici debbano trasmettere annualmente i rendiconti di esercizio alla commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti, con i relativi allegati e con la certificazione e il giudizio del revisore legale.

L'articolo 11 interviene a integrazione e completamento rispetto a quanto già disposto da quello precedente con diverse modifiche alla normativa vigente in materia di pubblicità e tracciabilità dei contributi erogati verso partiti politici e soggetti titolari di cariche elettive e di Governo. Più nello specifico, il comma 1 riduce da 5 mila a 500 euro il limite dell'importo annuo ricevuto a titolo di liberalità da parte dei soggetti suddetti sopra il quale vi è l'obbligo di corredare la dichiarazione patrimoniale e di reddito con l'indicazione di quanto ricevuto. Di tale dichiarazione viene, altresì, data evidenza nel sito Internet dell'ente, nonché in quello del Parlamento italiano. Il comma 2 fissa, invece, a mille euro il tetto annuo di finanziamento raggiunto il quale diviene obbligatorio sottoscrivere una dichiarazione congiunta tra erogatore e beneficiario, da depositare presso la Presidenza della Camera dei deputati.

Gli articoli 12 e 15, invece, recano disposizioni in materia di trasparenza nei rapporti fra partiti, movimenti e fondazioni. In particolare, si prevede che gli obblighi di cui agli articoli precedenti siano applicati anche ad associazioni, fondazioni e comitati la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazione di partiti o movimenti politici, ovvero i cui organi direttivi siano composti in tutto o in parte da membri di organi di partiti o movimenti politici, ovvero persone che siano o siano state nei dieci anni precedenti membri del Parlamento nazionale o europeo, di assemblee elettive regionali o locali, ovvero che ricoprono o abbiano ricoperto nei dieci anni precedenti incarichi di governo a livello nazionale, regionale o locale, ovvero incarichi istituzionali per esservi stati eletti o nominati in virtù della loro appartenenza a partiti e movimenti politici. Rientrano nel campo di applicazione della nuova disciplina anche le fondazioni e le associazioni che erogano a titolo di liberalità o contribuiscono in misura pari o superiore a euro 5 mila l'anno al finanziamento di iniziative o servizi a titolo gratuito in favore di partiti, movimenti politici o loro articolazioni interne, di membri di organi di partiti o movimenti politici o di persone che ricoprono incarichi istituzionali.

L'articolo 14 contiene la delega al Governo ad adottare entro un anno un decreto legislativo recante un testo unico a scopo di mero coordinamento normativo fra le varie disposizioni vigenti in materia di trasparenza dei partiti.

L'articolo 13, che per pulizia espositiva ho lasciato in ultimo, reca le sanzioni amministrative pecuniarie che la commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti di partiti e movimenti politici può irrogare - irroga - in presenza di violazioni delle disposizioni contenute negli articoli 10, 11 e 12; sanzioni che possono variare da 12 mila a 120 mila euro e che vengono destinate alla cassa delle ammende (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la I Commissione (Affari costituzionali), deputato Gennaro Migliore. Prego.

GENNARO MIGLIORE, Relatore di minoranza per la I Commissione. Grazie, signora Presidente. Con questa relazione intendo affrontare alcuni degli aspetti che riguardano non solo la materia del provvedimento in sé, alla quale faranno certamente riferimento sia l'ulteriore relazione del collega Bazoli, sia, ovviamente, gli altri interventi in discussione sulle linee generali, ma anche dare conto dell'andamento piuttosto anomalo che si è verificato nel corso dell'esame di questo provvedimento. Un provvedimento che, come è stato detto dai due relatori che mi hanno preceduto, constava di due parti: una relativa ai provvedimenti contro i reati di corruzione e l'altra che riguardava il finanziamento ai partiti e alle fondazioni.

Una prima osservazione che andava fatta fin dall'inizio di questo provvedimento e che io ritengo sia fondamentale anche per individuare in quale contesto e di quale cultura politica sia permeato questo provvedimento, è l'accostamento, a nostro giudizio completamente improprio, di una materia che riguarda esplicitamente la punibilità di un reato e di una serie di reati collegati ai fenomeni corruttivi, e quello relativo al finanziamento dei partiti, quasi ci fosse una logica conseguenza. Evidentemente, non c'è nessuna logica conseguenza e vorrei anche ricordare che sia sull'uno che sull'altro argomento, nella precedente legislatura, il nostro Governo e la maggioranza di allora intervennero con un corposo intervento legislativo, sia in termini di punibilità dei fatti di corruzione, che peraltro hanno condotto anche ad un rafforzamento del contrasto ai fenomeni corruttivi nel nostro Paese e anche ad un concreto miglioramento nell'ambito delle classifiche che comunemente vengono evocate quando si parla di questo argomento, sia per quanto riguarda la disciplina relativa alla trasparenza delle amministrazioni dei partiti.

Ovviamente, anche in questo provvedimento ci sono delle questioni che, per quanto ci riguarda, possono essere accettabili, ma è l'impianto complessivo, e anche, appunto, l'evoluzione che da qui a poco riferirò, che desta assai preoccupazione da parte di chi vi parla e del gruppo che rappresento. In primo luogo, la questione legata al contrasto alla corruzione non intende, a nostro giudizio, perseguire i reati di corruzione ma, così come peraltro invece avevamo opportunamente fatto noi, estendere, senza nessun tipo di contenimento, azioni che appaiono più tese a violare la Costituzione, e quindi a violare il nostro Stato di diritto, piuttosto che a perseguire un reato.

È stato detto dalla relatrice Businarolo che questo non è un Paese per corrotti, e io, ovviamente, concordo con questa affermazione. Concordo anche perché non lo è mai stato e non lo è neanche adesso, quando questo provvedimento di legge non è ancora operativo, perché non lo è in relazione all'azione dei magistrati che si sono distinti insieme alle forze dell'ordine per la repressione dei reati, e anche, ovviamente, per il tipo di legislazione che è stata introdotta, in particolare nel corso della precedente legislatura. Voglio ricordare la reintroduzione del reato di falso in bilancio, l'introduzione del reato di autoriciclaggio, il pacchetto anticorruzione, che peraltro ha portato ad una misura operativa che è molto più efficace di quelle repressive ex post, come quella del rafforzamento dell'Autorità nazionale per il contrasto alla corruzione - Anticorruzione - presieduta autorevolmente dal dottor Cantone.

Noi ci troviamo, invece, adesso in presenza di un titolo del provvedimento che verrà esaminato poi nel dettaglio successivamente, ma che induce a pensare - e anche nella pregiudiziale di costituzionalità che presenteremo vi faremo ovviamente riferimento - che quella che viene considerata come una misura accessoria sia il rispetto del diritto, sia il rispetto delle garanzie delle persone, sia il rispetto per quanto riguarda il principio di difesa e anche il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, per non parlare di quello sancito dall'articolo 27, cioè della rieducazione della pena, che come è stabilito anche dalle sentenze della Corte costituzionale non può essere sottoposto in alcun modo ad un vincolo gerarchico relativo ad altri diritti.

E riguarda anche una serie di fattispecie, come la testé citata modifica dell'articolo 323, che introducono elementi francamente assai preoccupanti; infatti, la reintroduzione, sotto mentite spoglie, dell'agente provocatore, a nostro giudizio, visto che, peraltro, non si tratterebbe neanche di un agente, ma di un provocatore puro e semplice, potrebbe, con la causa di non punibilità, indurre alla realizzazione di simulazione di reati che potrebbero colpire persone incolpevoli, in particolare nella fase del processo, ma anche successivamente, anche per la difficoltà di rintracciare questa sorta di prova diabolica che dovrebbe essere, invece, garantita da questo ravvedimento operoso, peraltro, non particolarmente tipizzato all'interno del codice.

Tuttavia, la questione che noi vogliamo sottoporvi è, innanzitutto, quella relativa alla volontà del Governo, in particolare, e, quindi, della maggioranza - che, come dirò di qui a poco, è stata letteralmente asservita anche ai comportamenti bizzarri del Governo in alcuni momenti della discussione in Commissione -, di estendere questo provvedimento, in maniera del tutto incongrua, anche a una materia, quella della prescrizione, per la quale si è trovato l'escamotage, dopo una lunga sequenza di atteggiamenti ondivaghi da parte della maggioranza, di un testo collegato, in particolare quello del collega Colletti, relativo alla prescrizione.

Anche su questo, rimando al collega Bazoli l'esame di merito, però vorrei far notare come, a differenza di quanto ha detto la collega Businarolo, tutti gli auditi - lo ripeto, tutti gli auditi - hanno avuto pochissimo tempo e poi dirò perché questo è stato un ulteriore problema e un ulteriore aggravamento di quella che è stata, anche, la possibilità di discutere serenamente e con tutte le forze politiche; faccio notare l'assenza sostanziale, in questa discussione, della Lega, che non mi pare dato di poco conto, essendo un parte consistente della maggioranza: non ha relatori, non ha, ovviamente, presidente di Commissione referente, non è stata coinvolta, al punto tale che, come è noto dalle cronache giornalistiche, si sono anche manifestati dei contrasti molto duri, molto accesi che hanno portato, poi, a una mediazione del tutto campata in aria, lasciatemi usare questo termine poco istituzionale. Però, il Governo e la maggioranza hanno voluto introdurre un argomento, come quello della prescrizione, che non ci consente di proporre una ragionevole capacità di contrasto a quelli che sono i problemi della giustizia, né in termini di lunghezza dei processi, né in termini di valutazione di quello che è accaduto nel corso, anche, della lunga gestazione del provvedimento.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

GENNARO MIGLIORE, Relatore di minoranza per la I Commissione. Mi avvio a concludere. Sono state fatte audizioni nelle quali è stato dato torto a tutti i proponenti su quella che è la base fondamentale, cioè che non c'è la possibilità di esaminare un tema così delicato senza avere una cornice adeguata, come quella della riforma del codice penale.

PRESIDENTE. Collega, deve concludere.

GENNARO MIGLIORE, Relatore di minoranza per la I Commissione. Concludo, davvero, grazie per questi secondi in più. Per non parlare di quello che è accaduto venerdì scorso, quando, dopo un incredibile tira e molla, si è provveduto a smentire i relatori, peraltro del proprio partito, da parte del Governo che non è riuscito neanche a dare i pareri su emendamenti che erano stati concordati in maggioranza. Credo che questo testimoni chiaramente quale sia stato l'iter accidentato di questo provvedimento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la II Commissione (Giustizia), deputato Enrico Costa.

ENRICO COSTA, Relatore di minoranza per la II Commissione. Presidente, ovviamente noi, come gruppo di Forza Italia, presentiamo due relazioni di minoranza, una per la Commissione giustizia, l'altra per la Commissione affari costituzionali, ma dipaneremo nel corso del provvedimento le nostre articolate osservazioni, presentando, ovviamente, degli emendamenti.

Ebbene, noi diciamo, innanzitutto, che questo è un provvedimento inefficace; è un provvedimento inefficace perché, per far fronte alle esigenze che sono dichiarate e sono evidenziate nella relazione, non è sufficiente ed è assolutamente inutile.

Abbiamo una relazione che parla di un aumento di pene; inizia evidenziando l'inutilità dell'aumento di pene e, subito dopo, ci evidenzia che per due reati, articolo 318 e articolo 346-bis, si prevedono, appunto, degli aumenti di pena.

Si prevedono delle pene accessorie che diventano una sorta di tertium genus nell'ambito del codice penale; non più pene accessorie, cioè pene che accedono alla pena principale, pene che seguono la pena principale, ma pene che diventano sganciate dalla pena principale, con fortissime contraddizioni. Infatti, noi abbiamo la sospensione condizionale della pena e anche la riabilitazione che sono caratterizzate da un sindacato molto puntuale, l'uno, del giudice, l'altro, del tribunale di sorveglianza, un sindacato che deve verificare se vi è un pericolo di ricaduta nel reato; se non vi è il pericolo di ricaduta nel reato, viene concessa la sospensione condizionale, da una parte, e la riabilitazione, dall'altra.

Cosa fa questo provvedimento? Inserisce la possibilità, a fronte della concessione della sospensione condizionale della pena e della riabilitazione, di applicare sempre e comunque la sanzione accessoria. Questo, evidentemente, crea un corto circuito, perché se non vi è il pericolo di ricaduta, quale può essere l'obiettivo della sanzione accessoria? Questo non è stato spiegato, non è stato spiegato nella relazione, non è stato spiegato dal Governo e ha creato molti dubbi nei professori che sono stati auditi; addirittura, vi era una previsione di una doppia forma di riabilitazione. Il presidente Cantone, il presidente dell'ANAC lo ha evidenziato molto bene, perché in buona sostanza ha detto: se noi abbiamo una valutazione, un sindacato per giungere alla riabilitazione, non possiamo fare un secondo sindacato per ciò che attiene la caducazione delle sanzioni accessorie.

Anche per quello che riguarda il patteggiamento, noi arriviamo al punto che vi è una applicazione della pena su richiesta delle parti - così si chiama il patteggiamento: applicazione della pena su richiesta delle parti -, le parti (il pubblico ministero e l'imputato) condividono una pena, si applica questa pena, e, poi, il giudice potrebbe applicare una pena diversa, cioè applicare sempre quella pena principale, ma potrebbe, in sostanza, far correre ancora la pena accessoria, indipendentemente dall'accordo delle parti, senza indicare a quali criteri, il giudice stesso, debba agganciarsi per formulare questa sua presa di posizione. Ebbene, anche qui sarà la giurisprudenza a decidere.

Ecco, questo è tutto un provvedimento che verrà preso e devoluto al giudizio dei tribunali, al giudizio delle corti d'appello, al giudizio della Corte di cassazione, al giudizio delle sezioni della Corte di cassazione, al giudizio delle Sezioni unite, cioè la giurisprudenza riempirà i vuoti di questo provvedimento e riempirà quei vuoti che, invece, secondo noi, competono alla politica.

Cito altri passaggi - lo faccio per pillole, ovviamente - di questa relazione. Articolo 323-ter; si introduce una nuova causa di non punibilità: non viene punito il soggetto che commette un reato e, subito dopo, si pente.

Devo dire che so che il termine “pentimento” fa storcere il naso a qualcuno della maggioranza, però noi pensiamo che sia il termine più adatto a questa situazione e, devo dire, il soggetto che si pente, forse è il processo più fisiologico nell'ambito di questo reato. Io penso che invece il pericolo sia che si tratti di soggetti non che si pentono, ma di soggetti che già fin da subito vogliono tendere delle trappole, vogliono animare dei complotti, si attivano, per poi andare a denunciare i fatti a cui hanno dato causa. Si crea, cioè, una figura di agente provocatore privato. Voi dite che non c'è l'agente provocatore ma non è così: questo è un agente provocatore privato, che viene introdotto nell'ordinamento e sarà veramente pericoloso.

Avete scritto - ha scritto la maggioranza - in questo testo che il termine ultimo per effettuare la denuncia è il momento in cui c'è l'iscrizione nel registro degli indagati. Tuttavia, noi sappiamo che le iscrizioni, dovrebbero, ovviamente essere o poste in essere con una metodicità e una tempestività assoluta. Sappiamo bene, però, che vi sono uffici di procura che le fanno prima, uffici di procura che le fanno dopo, per non dire dei casi in cui magari questa tempestività scricchiola proprio per ottenere quelle confessioni e rendere questa norma effettiva attraverso la causa di non punibilità. Anche qui si crea una situazione assolutamente pericolosa dal punto di vista interpretativo, con elementi che sono stati messi in evidenza anche dal punto di vista costituzionale da tutti gli esperti che sono stati ascoltati, ma non c'è stato nulla che ha portato questa maggioranza a cambiare minimamente posizione.

La stessa cosa per l'agente sotto copertura: si chiama agente sotto copertura ed è un agente provocatore. Basta leggere le facoltà: pagare, prendere, dare, stimolare che sono previste, incluse quelle di svolgere addirittura tutta una serie di attività prodromiche rispetto al reato, che sono inserite nel testo. Anche questa è una norma molto pericolosa, una norma che è rubricata con un nome ma che ha un contenuto del tutto diverso. “Agente sotto copertura” è la qualifica che viene data dal testo, ma “agente provocatore” è la qualifica che bisognerebbe dare leggendo il contenuto di questo testo.

Veniamo ora al punto della prescrizione. Guardate, noi non dovremmo essere qui a discutere di prescrizione, non dovremmo essere qui a discutere di prescrizione se ci fosse una linearità nei comportamenti di questa maggioranza e se, soprattutto, ci fosse una linearità nell'interpretazione del Regolamento di questa Camera. Perché dico ciò? Perché è stato presentato un emendamento completamente estemporaneo rispetto al testo, che avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile. Per quattro giorni il giudizio di ammissibilità non è stato dato, salvo poi, su altri casi, per esempio, rispetto a 70 emendamenti, con un giudizio di ammissibilità in quattro e quattr'otto. Tale giudizio non è stato dato, dopodiché è arrivata una comunicazione del Presidente della Camera e si è pensato di usare l'éscamotage dell'allargamento del perimetro del provvedimento. Attraverso questo éscamotage si è reinserito questo meccanismo, attraverso - penso - un precedente che potrà essere utilizzato e creerà veramente delle frizioni per il futuro di questo Parlamento, perché noi dobbiamo pensare che non è solo questo provvedimento ad essere…

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ENRICO COSTA, Relatore di minoranza per la II Commissione. È già finito il tempo?

PRESIDENTE. Ha 50 secondi.

ENRICO COSTA, Relatore di minoranza per la II Commissione. Bene. Poi vado in prescrizione? No, ormai possiamo andare anche oltre la sospensione dell'intervento: io posso prendermi il tempo anche dell'altro relatore di Forza Italia, della Commissione Affari costituzionali?

PRESIDENTE. No, collega, dovrebbe concludere.

ENRICO COSTA, Relatore di minoranza per la II Commissione. Va bene, allora concludiamo. Articoleremo, poi, l'intervento successivamente. Chiedo soltanto una cosa: se, come sostiene il Ministro Bonafede, questo provvedimento è scritto per paralizzare le tecniche dilatorie delle difese, degli azzeccagarbugli, così li ha chiamati il Ministro Bonafede, mi spiega perché il 60 per cento delle prescrizioni interviene durante le indagini preliminari, quando le difese non toccano palla? Lascio così in sospeso questo interrogativo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la II Commissione (Giustizia), deputato Alfredo Bazoli.

ALFREDO BAZOLI, Relatore di minoranza per la II Commissione. Presidente, il Partito Democratico, quando si parla di misure di contrasto alla corruzione, è sempre attento, è sempre presente, è sempre in prima linea. Lo abbiamo dimostrato nella scorsa legislatura, quando abbiamo introdotto una legislazione sul punto molto puntuale, con un aumento delle pene significativo per tutti i reati contro la pubblica amministrazione, con la reintroduzione del falso in bilancio, con l'introduzione del reato di autoriciclaggio, con l'istituzione dell'Autorità nazionale anticorruzione, che è stata dotata di personale, di risorse e di poteri per operare adeguatamente, con l'introduzione del cosiddetto whistleblowing, cioè una legge finalizzata a garantire la possibilità della denuncia anche all'interno delle pubbliche amministrazioni di comportamenti lesivi della pubblica amministrazione stessa.

Il Partito Democratico ha, quindi, le carte in regola quando si parla di corruzione. Quando è arrivato questo disegno di legge, ci siamo accostati a questo disegno di legge della maggioranza con spirito costruttivo perché ci interessava e ci interessa, laddove possibile - e sappiamo che è certamente possibile - migliorare l'apparato legislativo che riguarda le norme contro la corruzione. Quindi abbiamo cercato di intervenire anche nella discussione, nell'istruttoria che è stata svolta in Commissione con questo spirito, uno spirito costruttivo, sperando di poter contribuire ad un miglioramento sostanziale delle norme, perché già avevamo visto, quando abbiamo letto il testo che è arrivato in Commissione - che poi è arrivato più o meno inalterato anche in Aula - avevamo già notato alcune notevoli criticità, che speravamo di poter contribuire a migliorare o a sanare. La prima delle quali, devo dire, è stata menzionata prima anche dal collega Migliore, cioè questo accostamento tra legge anticorruzione e legge sulla trasparenza dei partiti politici, che appare suggestiva di un'idea per cui laddove ci sono partiti politici, lì si annida la corruzione, che è francamente un'idea da respingere e anche un po' mortificante per la democrazia (ma questa è stata una scelta della maggioranza, di cui abbiamo dovuto prendere atto). Poi, per una serie di contenuti nella parte che riguarda la legge sulla corruzione, che noi riteniamo inefficaci o addirittura controproducenti o pericolosi nel loro reale impatto e negli effetti che vogliono raggiungere. Mi riferisco - e cito molto brevemente - ad alcuni aspetti di questa legge, che noi riteniamo contraddittori ed inefficaci.

Intanto, l'aumento delle pene: l'aumento delle pene principali e l'aumento delle pene accessorie. Nella relazione introduttiva alla legge si dice con grande chiarezza che l'esperienza insegna che oltre un certo limite di aumento delle pene, l'aumento delle pene non ha più effetti, non ha più efficacia; l'esperienza sul campo in particolare della legislazione contro la corruzione ci testimonia questa circostanza, cioè che l'aumento delle pene, spesso o quasi sempre, non ha determinato l'effetto di una riduzione dell'area dell'illegalità nei reati contro la pubblica amministrazione. Si dice questo nell'introduzione al disegno di legge e poi il disegno di legge aumenta le pene, aumenta le pene principali, aumenta in maniera smisurata e draconiana le pene accessorie. Noi troviamo in questo un'enorme contraddizione perché, in realtà, come dice l'introduzione al disegno di legge, se si vuol combattere adeguatamente la corruzione bisogna intervenire oggi, laddove già le pene sono molto alte e bisogna intervenire sulla prevenzione, sulle indagini, sulla capacità di prevenire fenomeni, ma non attraverso aumenti di pene che sono inefficaci. Quindi, per questa parte della legge siamo alle grida manzoniane, cioè è una legge che non servirà a nulla.

Poi, c'è l'agente sotto copertura. L'agente sotto copertura, ci è stato detto molto autorevolmente dagli auditi che abbiamo sentito, è una cosa che non funzionerà: sarà un agente sotto “scopertura” perché, nell'ambito di un accordo corruttivo tra privati, un terzo che interviene sarà sempre immediatamente riconoscibile e non potrà mai essere un agente sotto copertura. Altro è il contesto dove oggi ciò è previsto, per i reati che riguardano droga, che riguardano terrorismo internazionale: lì è previsto e lì può funzionare, ma dentro un accordo corruttivo l'agente sotto copertura non può funzionare. Il rischio è che costui si trasformi in un agente provocatore.

Cioè, noi abbiamo il rischio, per come è configurata quella figura oggi nella legge, che quella figura, quell'agente diventi un agente provocatore, cioè uno Stato che induce alla commissione di reati per reprimerli, il peggio che si può immaginare, una soluzione molto rischiosa da questo punto di vista.

E ancora, la causa di non punibilità: ci è stato detto con grande chiarezza dagli auditi, noi nella scorsa legislatura abbiamo introdotto una esimente, che riduce la pena per chi collabora, per chi aiuta a collaborare, che può aiutare anche a rompere il patto di omertà che c'è tra chi stipula un patto corruttivo, ma la causa di non punibilità è molto rischiosa - e ce lo ha detto lo stesso Cantone - perché rischia di provocare, anche qui, l'esistenza di un privato provocatore, perché, se tu, privato, sai che puoi indurre a un'azione corruttiva e, poi, tramite il tuo pentimento, verrai assolto e, quindi, non sarai punibile, questo può indurre a comportamenti maliziosi, non basta la cautela che è stata messa nella norma.

Queste sono le ragioni per le quali noi abbiamo molti dubbi, molte perplessità, e devo dire che la maggioranza non è stata molto disponibile a valutare anche i nostri emendamenti e i nostri tentativi di migliorare la legge sotto questo profilo.

Ma voglio dire e voglio aggiungere che il dibattito parlamentare, su tutta questa materia, è stato fortemente e irrimediabilmente inquinato dalla scellerata decisione, che io considero un vero e proprio atto di protervia e di arroganza del Ministro della giustizia, il quale ha preteso e ottenuto che dentro questo provvedimento venisse inserita una norma che riguarda la prescrizione, che nulla c'entra con gli argomenti che abbiamo discusso e approfondito in Commissione nel momento in cui abbiamo fatto l'istruttoria. Il Ministro ha preteso e ottenuto che venisse inserita la norma sulla prescrizione, una norma delicatissima, che riguarda un istituto fondamentale del nostro sistema del diritto penale, perché sulla prescrizione si gioca il delicato equilibrio tra la pretesa punitiva dello Stato, che ha il diritto e deve cercare di dare giustizia, e il diritto e le garanzie dei cittadini, che hanno il diritto di non stare sotto processo per tutta la vita. Quella norma - che è stata inserita in questo modo, alla fine dell'istruttoria, con un emendamento inserito all'ultimo minuto, addirittura un emendamento inserito grazie a una proroga del termine per gli emendamenti che è stata concessa, quindi un emendamento arrivato all'ultimo minuto - altera in modo irrimediabile e pericolosissimo questo equilibrio a favore dello Stato e rischia di mandare sotto processo, a processi eterni, qualunque cittadino che sia sottoposto alla pretesa punitiva dello Stato. È una norma molto pericolosa sotto il profilo delle garanzie, ma quello che offende è il modo in cui è intervenuta questa norma: in questo modo, con un emendamento all'ultimo minuto, senza consentire una discussione; quando la norma è arrivata, noi in Commissione abbiamo detto: ma vi rendete conto che ci impedite di discutere di questa cosa? E ci è stato risposto: beh, è nel contratto di Governo, beh, è una cosa nota.

Ma vi pare ammissibile che non si riesca a discutere di un istituto così importante perché c'è un atto di imperio del Governo, che pretende che venga inserito in un contesto che parla di tutt'altro, appunto, una riforma di questo genere? Questa, secondo noi, è una questione che ha inquinato fortemente tutto il dibattito successivo, ha alterato i rapporti tra la maggioranza e l'opposizione, ha alterato un po' anche i rapporti interni alla maggioranza, mi permetto di dire, perché abbiamo visto le fibrillazioni interne; ha reso la discussione una discussione a quel punto proprio inquinata da questa cosa, cioè dalla voglia di modificare un istituto così importante e così fondamentale, senza tener conto della necessità di approfondire, di discutere, di analizzare il contesto generale. E quando abbiamo fatto le audizioni - in un giorno, perché ci è stato concesso un giorno di audizioni per un tema così importante, un giorno! - tutti gli auditi ci hanno detto che questa norma è una norma pericolosa per la tenuta del nostro sistema penale e delle garanzie del nostro sistema costituzionale.

Allora questa è la ragione per la quale noi ci batteremo in Aula nei prossimi giorni, per cercare di modificare la legge che è uscita dalla Commissione. Non abbiamo grandi speranze che questo avverrà, perché abbiamo visto qual è l'atteggiamento della maggioranza, ma noi cercheremo di modificarla perché oggi questa legge - e ho concluso, Presidente - più che spazzare via i corrotti, spazza via un po' di garanzie e un po' di diritti dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, sottosegretario Ferraresi, che si riserva di intervenire successivamente.

È iscritto a parlare il deputato Ciro Maschio. Ne ha facoltà.

CIRO MASCHIO (FDI). Grazie, Presidente. Ci accingiamo a discutere e a votare un disegno di legge che tocca profondamente la vita e la libertà delle persone e, quindi, non posso non dire all'inizio quanto siamo basiti dal metodo con cui è stato affrontato questo disegno di legge. L'approccio è stato più propagandistico che riflessivo, non si è voluta avviare una profonda riflessione sulla corruzione, sulla trasparenza e sulla riforma del processo penale, costruendo e proponendo norme meditate e ragionate, si è voluto forzare i tempi. La motivazione è esclusivamente politica: il MoVimento 5 Stelle ha voluto appendersi al collo la medaglia della legge anticorruzione, per rispondere rapidamente alla forzatura che è stata fatta dalla Lega al Senato sul Ddl sicurezza. E, quindi, questa esigenza propagandistica ha portato a una forzatura sui tempi e sui metodi dei lavori, anche in Commissione, che non sarebbe stata opportuna su norme che, ripeto, disciplinano la vita e la libertà delle persone.

Il metodo, infatti, ha portato a sedute di Commissione lasciate in sospeso per ore o per giorni, in attesa che il Governo decidesse o meno cosa fare su alcuni nodi, a fronte poi di forzature e di accelerazioni improvvise, che hanno portato a non discutere con la giusta serenità e riflessione alcuni emendamenti molto delicati. E allora la prima critica che dobbiamo fare è questa: sulle norme penali non si fa propaganda, ma ci vuole riflessione, perché le norme vanno scritte bene, perché poi i giudici devono applicarle e le applicano sulla pelle dei cittadini. E quindi quello che noi approviamo oggi, domani può cambiare profondamente la vita, anche per tanti anni, di tantissimi cittadini.

E allora veniamo nel merito dei vari aspetti su cui si sviluppa questo disegno di legge. In primo luogo, la battaglia alla corruzione: la destra italiana è sempre stata in prima linea nella lotta alla corruzione già fin dalla Prima Repubblica e, quindi, da questo punto di vista, anche Fratelli d'Italia oggi non ha alcun problema a sostenere la necessità di un maggior rigore, che porti anche a un inasprimento o alla ridefinizione di alcune fattispecie di reato e di alcune norme. Da questo punto di vista siamo d'accordo, ma non possiamo non rilevare - come già hanno fatto altri colleghi e tutti gli auditi, sostanzialmente, anche nei lavori in Commissione - come ci siano alcune forzature, alcuni eccessi, alcuni squilibri, che, se non risolviamo noi, oggi, con gli emendamenti che proponiamo già in questa discussione, quasi sicuramente ci penserà la Corte costituzionale o i giudici che andranno ad applicare queste norme, perché, ripeto, ci sono diverse anomalie, diversi eccessi, che non possono non essere modificati.

All'interno di questo quadro, che riguarda le norme penali, i reati e le pene accessorie che ho appena citato, si è inserita, poi, quasi al termine dei lavori della Commissione, la questione della prescrizione. E allora non possiamo non sottolineare come, anche sulla prescrizione, sia stata fatta una incomprensibile e irragionevole forzatura propagandistica. Chi propone queste norme ci dice che le vittime dei reati non ottengono giustizia, perché gli avvocati - che il Ministro Bonafede ha avuto la mancanza di rispetto di definire spregiativamente “azzeccagarbugli” - gli “azzeccagarbugli” presenterebbero ricorsi, impugnazioni e cavilli per guadagnare tempo, per consentire di far maturare la prescrizione e, quindi, di fare assolvere dei colpevoli.

Questa è un'impostazione che è assolutamente fuori luogo, sia nei principi, cioè sia come atteggiamento, sia in termini di numeri perché i dati ci dicono che poco più del 4 per cento delle prescrizioni maturano a seguito di istanze o interventi fatti dagli avvocati; oltre a dirci il fatto che una parte molto ridotta, il 19 per cento soltanto, maturano a partire dalle sentenze di primo grado e che, quindi dal 50, 58 e 70 per cento circa, in una forbice che si sviluppa in vari anni, la gran parte delle prescrizioni matura nella fase delle indagini preliminari, che è una fase nella quale gli avvocati non hanno alcuna voce in capitolo.

E, allora, è evidente a tutti come il tema della prescrizione non vada affrontato dalla coda, ma andrebbe affrontato dalla testa. La soluzione è fare processi brevi, la soluzione è fare un piano di assunzioni, di investimenti in magistrati, assistenti, personale di cancelleria e in risorse strumentali a disposizione dei tribunali per velocizzare i processi.

Noi non dobbiamo consentire che i processi durino all'infinito senza neanche la spada di Damocle della prescrizione, noi dobbiamo fare in modo che i processi siano rapidi e giusti e, purtroppo, in questo provvedimento non c'è traccia di tutto questo.

Un ultimo tema, Presidente, riguarda la trasparenza e su questo credo che vada data la giusta importanza perché forse fa più scena la battaglia sulla corruzione, ma uno dei nuclei fondamentali di questo disegno di legge sono le norme sulla trasparenza. E mi rivolgo soprattutto al MoVimento 5 Stelle in quanto voi, cinque anni fa, vi siete presentati in Parlamento dicendo di volerlo aprire come una scatola di tonno, di voler aprire tutti i cassetti, di dimostrare la massima trasparenza. Adesso il tonno che sta nella scatola siete voi, il potere adesso siete voi e quindi siete i primi, Presidente vado a concludere, a dover dare l'esempio di massima trasparenza. E, allora, se andiamo a vedere le norme sulla trasparenza vediamo che ci sono numerosi adempimenti burocratici, molto stringenti, a carico dei cosiddetti partiti normali…

PRESIDENTE. Concluda.

CIRO MASCHIO (FDI). …ma c'è troppo poco su tutta quella rete di fondazioni, piattaforme, comitati che sono diventati ormai i luoghi decisionali veri del Paese. Allora, su questo mi auguro che, nei lavori della discussione di oggi e con gli emendamenti, il MoVimento 5 Stelle…

PRESIDENTE. Concluda, collega.

CIRO MASCHIO (FDI). …dia il buon esempio perché ci sia trasparenza per tutti e non solo per alcuni (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia e di deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Elisa Scutellà. Ne ha facoltà.

ELISA SCUTELLA' (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame del disegno di legge Atto Camera n. 1189, che riguarda le misure di contrasto per i reati contro la pubblica amministrazione, nonché la materia della prescrizione e la trasparenza dei partiti e dei movimenti politici.

Con le Commissioni congiunte affari costituzionali e giustizia abbiamo avviato un ciclo di audizioni informali dove abbiamo potuto ascoltare quelli che sono i pareri dei vari auditi, ma le modifiche che vengono apportate segnalo che sono delle modifiche che rientrano nel codice di procedura penale, nel codice penale, nel codice civile, nell'ordinamento penitenziario e anche in alcune leggi speciali.

Ma perché decidiamo di intervenire in queste materie? Non perché non sapevamo cosa fare, ma per tante motivazioni. Ad esempio, il fatto di dover raccogliere raccomandazioni che arrivano da organismi internazionali come il Greco, come il Consiglio d'Europa, come l'OCSE, o anche il fatto di prendere ad esame quelli che sono i dati di Transparency International, che dice, caro Presidente, che noi siamo al cinquantaquattresimo posto per quanto riguarda la percezione della corruzione e anche per quanto riguarda l'economia, perché la corruzione è un grosso male – noi lo sappiamo tutti, noi cittadini viviamo questo male –, la corruzione ha un costo di 10 miliardi di euro per quanto riguarda il PIL nazionale, e anche un costo di 40 milioni di euro perché la Guardia di finanza, nei primi sei mesi, ha scoperto mazzette di 40 milioni di euro per la corruzione.

E, allora, noi decidiamo di intervenire anche perché faccio riferimento a un questionario che è stato distribuito ai cittadini italiani di poche settimane fa, dove solo il 20 per cento dichiara che i partiti che non hanno candidati onesti non possono risolvere la questione della corruzione e il restante 80 per cento dichiara che non vuole denunciare… Presidente, io non sento se può richiamare...

PRESIDENTE. Colleghi…

ELISA SCUTELLA' (M5S). Grazie. Dicevo, l'80 per cento restante dichiara di non voler denunciare fatti di corruzione perché molto spesso non ci saranno delle condanne. E, allora, questo è un fatto spaventoso, che ci ha disturbato tanto al fine di voler intervenire.

Voglio precisare che in passato si è intervenuti nell'ambito della corruzione, nella materia della corruzione, in un momento di prevenzione e, infatti, colgo l'occasione per complimentarmi con la collega Businarolo, che è stata l'autrice del whistleblowing. Adesso questo non basta, quindi noi decidiamo anche di arrivare su una parte punitiva e, quindi, entriamo nel merito della proposta di legge Atto Camera n. 1189, definita anche “spazzacorrotti”.

Vede, Presidente ci è stato anche criticato il nome, ci è stato detto: cos'è questo “spazzacorrotti”? Come se definire una legge “svuotacarceri” avesse portato qualche risultato. E, forse, ci si fa tanta attenzione semplicemente al nome perché si vuole celare quello che sarà effettivamente il cambiamento portato da questa proposta di legge.

Noi, come già ha anticipato la collega relatrice Businarolo, abbiamo inserito varie norme. Io ovviamente mi soffermerò solo su quelle di competenza della Commissione giustizia, lasciando per quelle che riguardano Affari costituzionali la parola al collega Aiello.

Proprio nell'ambito della giustizia sono state apportate innumerevoli e consistenti modifiche come, ad esempio, l'aumento delle pene e l'inasprimento e l'ampliamento dell'ambito applicativo delle sanzioni accessorie, nuove ipotesi di procedibilità d'ufficio perché, ad esempio, abbiamo previsto che non c'è bisogno più della richiesta del Ministro della giustizia o della denuncia da parte della persona offesa per quei reati di corruzione che vengono commessi dal cittadino o dallo straniero presente nel territorio in altri Paesi. E, ad esempio, siamo anche intervenuti nell'ambito delle intercettazioni, nei procedimenti e abbiamo anche apportato delle importanti modifiche per ciò che riguarda l'articolo 5, l'articolo 6 e l'articolo 7.

Nello specifico, l'articolo 5 riguarda l'esclusione di benefit nell'ambito dell'ordinamento penitenziario e l'articolo 6 riguarda l'introduzione delle operazioni di polizia sotto copertura. Anche qui, vi è l'agente sotto copertura, questa figura mitologica che è stata criticata. Io vorrei dire una cosa: l'agente sotto copertura è una figura che è già presente in altre tipologie di reati. Se noi decidiamo di estendere questa figura anche in questa fattispecie di reato e decidiamo appunto d'intervenire in questa maniera, così decisiva, è proprio perché ci siamo resi conto, per le motivazioni che elencavo prima e anche perché, nella nostra coscienza, ognuno di noi sa che cos'è la corruzione, che si parla di reati molto importanti e che devono avere la giusta definizione.

Poi arriviamo a quella che è la prescrizione. Noi conosciamo tutti l'istituto della prescrizione, sappiamo che cos'è, sappiamo come funzionava prima e sappiamo le modifiche che vogliamo apportare. E anche qui siamo stati molto criticati. Ma io vorrei dire una cosa a chi ci critica: provate a parlare con le vittime di alcuni reati, che non vedranno mai il proprio aguzzino, l'artefice, colui che ha commesso quel reato, esser punito, ma non perché innocente, ma semplicemente perché è intervenuta la prescrizione. Provate a parlare con chi non può permettersi economicamente un processo lungo, perché c'è anche questo problema: i processi diventano lunghi, costano e non tutti si possono permettere economicamente di portare avanti un procedimento. Provate, ad esempio, a parlare con le vittime della strage di Viareggio. Provate a parlare con tutte queste persone. Ma sappiamo ovviamente che la prescrizione ad alcuni piace, per come è adesso.

Bene, Presidente, io mi avvio alla conclusione e volevo citare le parole di una persona molto importante che diceva che dobbiamo vivere ogni giorno nella legalità, dobbiamo cercare di costruire un percorso quotidiano fatto di legalità per combattere la corruzione. Questa persona è Papa Francesco (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pierantonio Zanettin. Ne ha facoltà.

PIERANTONIO ZANETTIN (FI). Grazie, Presidente, per la parola. Onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, fin dalla relazione introduttiva del disegno di legge del Ministro Bonafede si coglie un difetto genetico che, a mio giudizio, ne inficia ab origine la ratio politico-sociologica. Il testo proposto muove, infatti, enfatizzando un dato in merito alla corruzione percepita del tutto empirico, seppur elaborato da famosi istituti di ricerca, rilanciato dai media e da tempo acriticamente accettato dall'opinione pubblica. La politica del Governo giallo-verde vive proprio di queste suggestioni social: dati del tutto virtuali che vengono amplificati a dismisura fino a trasformarli in verità indiscutibili. La relazione al disegno di legge prosegue evidenziando il numero delle sentenze definitive di condanna per corruzione emesse nel nostro Paese, il cui numero viene giudicato troppo esiguo. È un numero che oscilla tra le 240 sentenze del 2012 e le 261 del 2017. Se queste sono le premesse, qual è la risposta del Governo giallo-verde? Poiché evidentemente a giudizio del Ministro Bonafede la domanda è troppo debole - se, cioè, le sentenze di condanna sono troppo poche - è necessario alimentare il loro numero artificialmente, con interventi in vitro e con l'esplicita finalità di creare la bolla.

Noi, Presidente, contestiamo sia le premesse sia le conclusioni. La situazione di partenza è proprio quella descritta dal Governo? È credibile che in Europa solo Bulgaria e Romania siano più corrotte dell'Italia? Personalmente manifesto qualche riserva a proposito. Rimango convinto che per vari motivi gli italiani possiedono una tendenza culturale all'autodenigrazione e quanto meno al pessimismo. Per anni il sistema mediatico ha rilanciato ed enfatizzato i piccoli e grandi scandali del Paese, alimentando un sentimento populista di antipolitica e anticasta che certamente incide anche sul dato della corruzione percepita di cui stiamo discutendo. Peraltro, la stessa vostra scelta, che giudico assai inopportuna, di abbinare in uno stesso disegno di legge la legislazione anticorruzione e la disciplina del finanziamento dei partiti tradisce la malcelata finalità di sovrapporre e far coincidere due questioni: la corruzione e il finanziamento dei partiti, che restano, invece, del tutto autonome e distinte. Certamente, i partiti nelle loro diverse fasi storiche hanno espresso fenomeni di corruzione, che giustamente sono stati repressi dalla magistratura, ma guai a gettare il bambino con l'acqua sporca.

Mi permetto di trarre queste conclusioni perché il pessimismo cosmico che ormai affligge l'Italia non si limita alla corruzione percepita ma si estende a numerosi altri ambiti. Ne cito uno tra i tanti: nel campo della sanità l'Italia è ai vertici mondiali per indicatori oggettivi come vita media, anni in salute, mortalità infantile, sopravvivenza al cancro. Eppure, se guardiamo un recente sondaggio OCSE sullo stato di salute, l'Italia si trova agli ultimi posti per condizione sanitaria percepita, con solo il 63 per cento delle persone intervistate che si dichiarano in buona salute. In testa alla classifica - guarda caso - con uno straordinario 90 per cento di buona salute percepita si trovano ovviamente gli Stati Uniti, patria dell'ottimismo e di 45 milioni di persone senza assicurazione sanitaria.

Non voglio certamente negare che il problema della corruzione nella pubblica amministrazione esista - è chiaro che la corruzione è un problema da risolvere - ma indicare una diversa ricetta. Per eliminare la corruzione dal Paese altre sono le opzioni da suggerire: non l'aumento a dismisura delle pene edittali per i reati, Daspo a vita, agenti infiltrati o, meglio, agenti provocatori, intercettazioni telefoniche e trojan per tutti. Mi consentirà una citazione dei classici, Presidente: “Corruptissima re publica plurimae leges”. È una frase tratta dagli Annales di Tacito e si riferisce alla decadenza di Roma negli anni che seguirono l'impero di Augusto. Tanto più Roma e la sua classe dirigente erano corrotte, tanto più aumentavano le leggi che dovevano disciplinare tutto e il contrario di tutto.

Purtroppo, sembra proprio questa oggi la condizione del nostro Paese. Il nostro ordinamento normativo, costellato da 40 mila leggi e 80 mila regolamenti, da una congerie di regolette e codicilli, alimenta insicurezza e l'incertezza del diritto, genera l'arbitrio delle burocrazie, ed è questo potere opaco e dispotico la prima fonte della corruzione.

Il troppo diritto offusca la cultura dei diritti convertendoli in favori chiesti e ricevuti in cambio di qualche utilità. Il corrotto, nella maggioranza dei casi, è un facilitatore che aiuta il cittadino a esercitare i suoi diritti che, altrimenti, sarebbero frustrati. Da liberale convinto credo, invece, che la vostra ricetta “manettara” e forcaiola non possa essere la soluzione. Rimango convinto che gli unici antidoti contro la corruzione siano le liberalizzazioni spinte in ogni campo economico - vale ancora per me il principio “meno Stato più mercato” -, siano una concorrenza effettiva tra le impresa, la certezza del diritto e la sburocratizzazione, in modo tale da ridurre i margini di discrezionalità degli interventi nella sfera economica.

Per questo non mi stancherò di denunciare in quest'Aula, come ho già fatto con altri interventi nelle scorse settimane, il delirio sanzionatorio che caratterizza questa vostra maggioranza, guidato da un populismo giudiziario di stampo giacobino che determina un gravissimo arretramento della cultura giuridica e delle guarentigie democratiche del Paese. Questo provvedimento è l'ennesima riprova del pregiudizio anti-impresa che, evidentemente, la vostra maggioranza considera il brodo di cultura della corruzione. Solo così si spiega la vostra ossessione per le intercettazioni telefoniche, i trojan e gli agenti infiltrati o provocatori, e solo così si spiega il cosiddetto “Daspo” a vita per i condannati a pene superiori ai due anni. Infatti, siete ottenebrati dalla cultura davighiana secondo cui non esistono politici innocenti ma solo colpevoli su cui non sono state raccolte le prove. Invece, da garantista convinto rifiuto queste aberranti conclusioni e mi ribello all'idea di essere un colpevole a piede libero per insufficienza di prove.

Faccio politica ininterrottamente da quando avevo diciott'anni. Sono partito dall'amministrazione locale rivestendo, in anni difficili, incarichi delicati in aziende municipalizzate e nell'amministrazione comunale e non sono mai stato neppure sfiorato da inchieste penali. Tutto questo disegno di legge trasuda, invece, un palese anelito verso uno stato di polizia di stampo sudamericano. Pensiamo alla clausola di non punibilità, prevista all'articolo 323-ter. State avallando un meccanismo perverso in base al quale un millantatore, un avversario politico, un concorrente sarà sempre in grado di distruggere la credibilità e l'onore di un pubblico amministratore, di un politico, di un imprenditore, con effetti devastanti nella vita sua e della sua famiglia. L'accusatore scriminato non rischia praticamente niente; l'accusato rischia, invece, tutto quello che ha di più caro.

Che cosa dire, poi, della norma che impedisce ai condannati per reati contro la pubblica amministrazione con pena appena superiore ai due anni - ripeto: è sufficiente una condanna a due anni e un giorno magari per un reato a condotta evanescente, come il traffico di influenze - di accedere ai benefici della “legge Gozzini”, come non avviene neppure per reati molto più gravi, come l'omicidio, ma solo per i terroristi o i mafiosi?

Già da tempo sappiamo bene che il nostro è il Paese più intercettato del mondo. Come riportato nella relazione dell'amministrazione della giustizia del 2015, in Italia sono state realizzate 132.749 intercettazioni telefoniche, oltre quaranta volte le captazioni effettuate in Gran Bretagna e negli Stati Uniti e questo disegno di legge punta proprio ad aumentare a dismisura le fattispecie penali in cui sono consentite le intercettazioni. Per non parlare, inoltre, del cosiddetto “agente infiltrato”, in realtà sostanzialmente un vero e proprio agente provocatore, un poliziotto mimetizzato che si infiltra nei comuni o negli assessorati regionali offrendo tangenti a dirigenti, sindaci ed assessori per farli finire in galera.

È stato segnalato, da attenti studiosi, che la maggioranza giallo-verde sta portando una sorta di mutazione genetica al corpus del nostro diritto penale, incentrato non più sul principio costituzionale della rieducazione ma, invece, sulla punizione e sulla vendetta dello Stato nei confronti del reo. Un diritto penale dell'odio che trae linfa ed alimento dai social network. Ma l'elemento più inquietante contenuto in questo disegno di legge rimane senza dubbio quello relativo alla prescrizione. Una modifica della prescrizione, quella portata avanti dal Ministro Bonafede, che è un autentico scempio giuridico. Tutti gli auditi in Commissione giustizia, avvocati, professori universitari, magistrati, hanno espresso critiche impietose su questa misura sia di merito sia di metodo. Il Ministro Bonafede è riuscito a realizzare un mezzo miracolo: contro la sua confusa e pasticciata proposta si sono schierati la maggior parte dei magistrati, a prescindere dalle aree culturali di riferimento, insieme all'intera avvocatura. Cristina Ornano, segretario generale di Area: “È uno spot”; Edmondo Bruti Liberati, ex procuratore di Milano: “Risposta sbagliata”; Raffaele Cantone: “Io starei molto attento”; il procuratore di Milano, Greco: “Rischia di far saltare le Corti d'appello”.

In spregio ai diritti dei cittadini, indagati, imputati, innocenti o colpevoli, parti offese, avete introdotto il principio di “fine processo mai”, in spregio al principio della ragionevole durata del processo previsto all'articolo 111 della Costituzione e dall'articolo 6 della CEDU.

Ma questo evidentemente al Ministro Bonafede non interessa.

Con una decisione scandalosa sono stati dichiarati inammissibili gli emendamenti di Forza Italia che proponevano almeno dei termini certi per le diverse fasi del procedimento o un'equa riparazione per l'imputato prosciolto dopo oltre dieci anni di processo. Dopo una convulsa trattativa all'interno della maggioranza avete previsto che l'entrata in vigore della nuova prescrizione sia differita al 1° gennaio 2020, quando dovrebbe entrare in vigore anche una epocale riforma del processo penale. Non è per nulla chiaro se ciò accadrà davvero: il Ministro Bonafede dice che la norma sulla prescrizione in quella data entrerà comunque in vigore, e così in effetti dice il testo normativo al nostro esame; Salvini e il Ministro Bongiorno, al contrario, dicono che esiste una clausola di collegamento. Tuttavia, in Commissione, la Lega e il MoVimento 5 Stelle hanno respinto gli emendamenti che tale collegamento stabilivano. Allora, come stanno davvero le cose? Questo collegamento esiste o non esiste? Si è parlato di riforma epocale del processo penale, ma non è per nulla chiaro quali ne saranno i principi ispiratori, perché gli esiti possono essere diametralmente opposti. La riforma andrà verso un processo più rispettoso delle guarentigie dei cittadini e degli imputati, orientato al principio del favor rei ispirato dalla nostra Costituzione, o, nella drammatica deriva “manettara” che stiamo vivendo, si risolverà in un pericoloso ed antidemocratico arretramento dei diritti di difesa dei cittadini? Il giustizialismo social che vi anima ci induce tuttavia ad assai cupe previsioni, ed infatti proprio oggi, sul Corriere della Sera, Milena Gabanelli torna ad evocare filtri severi - sottolineo l'aggettivo “severi” - per proporre appello. Vogliamo dimenticare quanti imputati vengono prosciolti in grado d'appello dopo essere stati condannati in primo grado? Vogliamo legittimare gli errori giudiziari sull'altare di una giustizia più veloce e sbrigativa?

Sulle eclatanti e macroscopiche censure di costituzionalità di questo provvedimento torneremo domani in modo più completo, in occasione del dibattito sulla pregiudiziale. Il problema della prescrizione dei reati, che obiettivamente esiste, necessitava di un approccio del tutto diverso: più tecnico, più razionale, anche se meno spendibile sui social network. Nel suo intervento in Commissione, il presidente emerito della Cassazione, Giovanni Canzio, ha fornito alcuni dati statistici assai significativi per comprendere cause e incidenza della prescrizione, facendo, dall'alto della sua autorevolezza, piazza pulita di tanti luoghi comuni e banalità di cui si è alimentato il dibattito politico sul tema. Ha chiarito che circa il 60 per cento delle prescrizioni si verifica nel corso delle indagini preliminari, non toccate con tutta evidenza dalla vostra riforma. Ha evidenziato che non corrisponde al vero la tesi secondo cui la prescrizione maturerebbe per effetto delle tecniche dilatorie ed ostruzionistiche degli avvocati, che in Cassazione praticamente non si prescrive nulla, ma soprattutto che circa il 50 per cento delle prescrizioni matura in soli quattro distretti di Corte d'appello: Venezia, Roma, Torino e Napoli. Canzio ha ricordato con orgoglio che la corte d'appello di Milano, di cui è stato un indimenticabile presidente, è assai virtuosa e non lascia prescrivere i processi. Questo è ovviamente è vero, tuttavia va detto anche, a giustificazione delle performance sconfortanti della corte d'appello di Venezia, che ogni consigliere di quella corte ha in carico mediamente 528 fascicoli pendenti, contro i 165 di un consigliere della corte d'appello di Milano e i 319 di un consigliere della corte d'appello di Torino; e le statistiche ci dicono che la produttività media di un magistrato veneto è fra le più alte a livello nazionale. Sono dati ufficiali questi, sottosegretario, che ho personalmente confrontate con il suo collega Morrone nel corso di un'interrogazione discussa in quest'Aula nel mese scorso. È su queste inaccettabili ed ingiustificabili disparità organizzative che dovrebbe lavorare il Ministero per evitare la prescrizione dei reati, ma su questi temi cruciali il Governo ha rifiutato ogni confronto di merito, come anche hanno dimostrato i lavori in Commissione giustizia. Il sottosegretario Ferraresi, qui presente, ha consegnato, su richiesta del gruppo di Forza Italia, una paginetta Excel di dati aggregati privi di alcun significato; ha dichiarato che il Ministero non era in grado di fornire nessun'altra informazione in merito e non ha accettato alcuna interlocuzione.

L'incidenza della prescrizione dei reati tra i diversi uffici giudiziari di primo grado varia invece da circoscrizione a circoscrizione, e in taluni casi è anche indipendente dalle scoperture degli organici o dalle condizioni socioeconomiche dei territori interessati ed appare legata invece all'organizzazione individuata dai singoli capi ufficio, più o meno sensibili al controllo di gestione. Piuttosto che incidere sui diritti costituzionali dei cittadini, come sta facendo il disegno di legge all'esame, il Ministro Bonafede dovrebbe invece mettere mano ad un'organizzazione giudiziaria più efficiente, ma questo ovviamente è più faticoso, presuppone un confronto vero e talvolta spigoloso con i singoli capi ufficio e non scatena l'entusiasmo social come il blocco tout-court della prescrizione.

Quanto affermo, Presidente, è provato da un caso che oserei dire di scuola e che merita di essere ricordato in questa discussione: il processo Mediatrade, che riguardava il presidente Berlusconi. Questo processo si è celebrato in tempi record proprio per evitare la prescrizione. Facciamo qualche precisazione, mettiamo qualche puntino sulle “i”. Il 18 giugno 2012 la pubblica accusa ha chiesto la condanna dell'imputato; il 26 ottobre 2012 il tribunale di Milano ha condannato Silvio Berlusconi, addirittura - evento più unico che raro - con motivazione contestuale alla pronuncia della sentenza; in neppure nove mesi, l'8 maggio 2013, è arrivata la sentenza della corte d'appello di Milano; e in neppure tre mesi è infine arrivata la sentenza della Cassazione, il 1° agosto 2013. Imputato eccellente, tempi record. Questo iter accelerato dimostra che se davvero lo si volesse, già oggi, senza nessuna riforma, nessun processo finirebbe in prescrizione. È l'organizzazione la chiave per risolvere il problema delle prescrizioni, non il suo blocco.

Un ultimo accenno ai lavori della Commissione. Abbiamo assistito alla scena vergognosa del Ministro Bonafede che non ha mai messo piede, neppure per un attimo, in Commissione a discutere un provvedimento così importante e contemporaneamente annunciare in diretta Facebook la riforma della prescrizione: un oltraggio senza precedenti al Parlamento. Nella mia ormai non breve esperienza parlamentare - mi dispiace dirle, presidente delle Commissioni riunite, che personalmente stimo -, credo di non aver mai assistito ad un andamento così caotico, confuso, irrazionale, contrassegnato da continui stop and go come quello che ha caratterizzato il provvedimento in esame. Come è capitato in questa occasione, quando i gruppi di opposizione abbandonano i lavori in Commissione, la logica vorrebbe che i lavori si sveltissero e si arrivasse agevolmente con il mandato al relatore, ma così non è stato, stavolta: una maggioranza divisa su tutto e costretta ad un matrimonio di mera convenienza ha fatto ostruzionismo a se stessa, lasciando irrisolti nodi cruciali; una maggioranza che propina al Paese ricette indigeste isolandolo dal contesto occidentale e democratico. Concludo questo mio intervento con l'auspicio, Presidente, che le forze che hanno a cuore il futuro democratico del Paese e che albergano anche all'interno dell'attuale maggioranza di Governo, abbiano un sussulto di dignità e d'orgoglio e si ribellino alla barbarie giuridica alla quale una furia giustizialista e giacobina cerca di trascinarci. I tempi sono maturi, inutile attendere ancora (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Manfredi Potenti. Ne ha facoltà.

MANFREDI POTENTI (LEGA). Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, quale appartenente alla Commissione giustizia mi accingo ad intervenire riguardo al Capo I del disegno di legge recante misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione ed in materia di trasparenza dei partiti e dei movimenti politici, il quale, come è noto, introduce rilevanti modifiche, tra le altre, al codice penale e di procedura penale, nonché in materia di ordinamento penitenziario e di disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni, anche prive di personalità giuridica, e della legge di ratifica ed esecuzione n. 146 del 2006.

Giunge infatti all'esame di questa Assemblea parlamentare un provvedimento di legge innegabilmente emblematico dell'incisivo cambio di rotta che questa maggioranza intende imprimere avverso gli episodi di irresponsabilità ai danni della pubblica amministrazione e del suo corretto e imparziale operare. Il nostro Paese è rimasto per lungo tempo inadempiente rispetto alle raccomandazioni giunte da organi europei riguardo alla necessità di adeguare i presidi di legge contro la corruzione. Nel nostro Paese simili comportamenti delittuosi riguardano fortunatamente la minor parte di coloro i quali rivestono ed esercitano incarichi pubblici o che con questi ultimi hanno a che fare. Tali episodi sono innegabilmente fonte di danni economici e rappresentano una macchia verso la parte sana ed incorruttibile della comunità italiana, divenendo lesivi dell'immagine internazionale del Paese. Vi è oggi quindi la necessità di intervenire con ben più grave cura, e non più, come è accaduto nel recente passato, per rispondere ad una percezione mediatica del fenomeno, ma per arrestare una minaccia che può effettivamente destabilizzare lo Stato di diritto ed un sano sviluppo economico.

Il contributo della Lega all'odierno intervento normativo non è mosso - ribadiamolo questo molto bene - da alcuna diffidenza verso categorie di amministratori pubblici, politici, dipendenti pubblici o privati, tanto meno imprenditori che con la pubblica amministrazione hanno a che fare; non vi è l'interesse politico a coltivare un clima di sfiducia collettivo che stimoli simili preconcetti sull'opinione pubblica.

Già nel 1947 simili distorte impostazioni culturali stimolarono il grande avvocato e giurista che fu Calamandrei a sminuire quel qualunquismo delle chiacchere diffuse, raccolte a volte anche dalle conversazioni in treno, e secondo cui tutti i politici e i pubblici amministratori sarebbero stati dei delinquenti e ladri. Ci sono, tuttavia, oggi serie preoccupazioni, espresse anche in sede di organismi internazionali, e che del resto hanno visto il nostro Paese riemergere più volte da piccoli e grandi scandali, il cui più grave, ricorderemo, è noto come Tangentopoli.

Veniamo, dunque, al merito del provvedimento che ci occupa. Pure a fronte di recenti interventi normativi, comunemente conosciuti come legge Severino e legge Grasso, ci si è oggi assunti l'innegabile responsabilità, derivante da un impegno programmatico di Lega e MoVimento 5 Stelle, per intervenire ulteriormente sulla materia.

Così come per altri provvedimenti in tema di giustizia, vedasi le riforme del giudizio abbreviato e anche quella della legittima difesa, recentemente oggetto di esame, si è ritenuto di procedere, anche questa volta, senza ritardo e con scopo socialpreventivo. In questo senso, i nostri lavori parlamentari si sono ancora una volta distinti per la loro intensità. Sia permesso un cenno alla circostanza per cui, nel corso dei lavori di Commissione, il testo ha subito un importante innesto, chiamiamolo estensivo, che riguarda un intervento di modifica della disciplina della prescrizione dei reati. Giova ricordare come all'argomento prescrizione si sia dedicata una specifica menzione nel contratto di Governo e per cui - si cita - è necessaria un'efficace riforma della prescrizione dei reati parallelamente alle assunzioni nel comparto giustizia. Il tutto nell'ottica di un processo giusto, tempestivo, ad evitare che l'allungamento del processo possa rappresentare il presupposto di una denegata giustizia.

Sulla sorte dell'istituto si sono accese le diverse sensibilità dell'arco parlamentare ed anche quelle del nostro movimento politico. Come gruppo Lega, riteniamo di avere contribuito a rappresentare in maniera chiara e schietta le possibili criticità di metodo che sottendono alla scelta della via emendativa, peraltro senza mai mettere in crisi gli obiettivi e i programmi assunti assieme al MoVimento 5 Stelle con gli italiani, anzi, facendo così maturare il convincimento dell'opportunità di un differimento dell'entrata in vigore del novellato. Una soluzione che può garantirci - quella, appunto, del rinvio dell'entrata in vigore - il tempo utile per affiancare a questa rivoluzione codicistica una indispensabile riforma del processo penale. Infatti, nel rispetto dell'invalicabile precetto costituzionale sul giusto processo, è ineludibile attivarsi affinché i tempi dei processi e, quindi, stante il contenuto della proposta di modifica, della prescrizione, non vengano rimessi al caso o, peggio, agli effetti delle croniche emergenze logistiche di alcuni tribunali o corti di appello. Questo rischio è stato segnalato nei giorni scorsi anche dal segretario federale della Lega, Matteo Salvini, e questo stesso messaggio perverrà all'Italia con l'astensione dalle udienze penali che le camere penali hanno proclamato a partire da domani. Qui è un invito ai cari colleghi 5 Stelle, avvisando che ci aspetteranno certamente tante altre sfide politiche e sapremo certamente come condividerle e farcene carico assieme e nell'interesse del Paese. É per l'effetto convinzione della Lega quella di riuscire a completare e attuare anche questo ulteriore impegnativo percorso di riforma della materia processuale penale.

Ci sia, invece, concesso di ricordare come i lavori che si sono protratti nelle Commissioni competenti I e II siano giunti ad assumere in alcuni momenti un tono di scontro, che è addirittura trasceso ad una bassa dialettica verbale, e ad un ostruzionismo fisico di alcuni rappresentanti delle opposizioni. Le scuse per simili comportamenti non hanno tardato, fortunatamente, ad arrivare e ad essere accolte, nello spirito di un comprensibile, seppur acceso e serrato, confronto politico. I lavori condotti dalle Commissioni riunite I e II hanno, peraltro, toccato un loro apice di livello con audizioni di altissimo profilo, che hanno visto coinvolte figure della magistratura come il dottor Cafiero De Raho e il dottor Cantone, ma anche membri di quella blasonata cerchia di esperti della dottrina penale, scelti tra i più noti penalisti italiani, tra cui i professori Gambardella, Pisani e Padovani.

La rappresentanza della magistratura ha mostrato apprezzamenti per questa riforma, ricordando, parole del dottor Cafiero De Raho, che anche chi non spara tocca la democrazia, giungendo a proporre per i reati di cui si tratta possibili specifiche misure cautelari, consigliando l'inserimento di un nuovo articolo, 290-bis, al codice di procedura penale. La parte della rappresentanza dei professori penalisti ha, invece, riscontrato molte più perplessità, tra le cui varie segnalate quella della eccessiva asprezza di termini di pene accessorie in relazione alla condanna per i reati di cui all'articolo 1, lettera h), dell'originario novellato, all'eccessivo tempo per vedere prodotti effetti di estinzione della pena accessoria dopo la riabilitazione, e quelle in relazione alla eccessiva discrezionalità lasciata al magistrato nel momento in cui questo si trovi a poter estendere o meno gli effetti della sospensione condizionale della pena alle pene accessorie, sia nel caso in cui si tratti di applicare le pene accessorie nel patteggiamento.

Una discrezionalità che, a detta degli illustri pareri, non verrebbe mitigata neppure dal più generale obbligo di valutazione sulla base dei criteri generali di cui all'articolo 133 del codice penale. Se concretamente si è addivenuti all'accoglimento di proposte emendative utili a mitigare alcune delle asperità della riforma, così come riscontrate, è grazie all'intenso lavoro politico e tecnico anche dei commissari della Lega. Ringrazio sentitamente i miei colleghi commissari del gruppo Lega, a cui deve andare il merito, in questa occasione, di avere sviscerato in se stessi una innata passione per il diritto, grazie a cui alcuni di loro mai avevano provato prima simile ardimento.

Rimettiamo, quindi, alla valutazione di quest'Aula il prodotto di tale sensibilità che ha coinvolto certamente anche i movimenti e i gruppi delle opposizioni - e questo necessariamente va riconosciuto - come il testo emendato in Commissione dell'articolo 1, lettera g), del disegno di legge, che vorrebbe introdurre un termine necessario di sette anni rispetto al maggiore di cui al testo Bonafede, per vedere estinta ogni pena accessoria perpetua dopo che il reo abbia conseguito la riabilitazione di cui all'articolo 179. Questa proposta emendativa consente di applicare l'estinzione, pur sempre condizionandola a prove effettive e costanti di buona condotta e decorso un termine non inferiore, appunto, a sette anni dalla riabilitazione.

Segnalo ancora un emendamento, stavolta a modifica dell'articolo 1, lettera h), con cui si intende garantire un consistente abbattimento della durata delle pene accessorie, non più nel solo caso di pena alla reclusione non superiore a due anni, ma anche al ricorrere delle circostanze attenuanti di cui all'articolo 323-bis, primo e secondo comma, riguardanti le ipotesi di particolare tenuità del fatto e quelle che attengono al caso di colui che si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati, per l'individuazione degli altri responsabili, ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite.

Pare doveroso, per questo interventore, segnalare, infine, un nuovo comma, lettera i-bis), che introdurrebbe l'articolo 322-ter in materia di custodia giudiziale di beni sequestrati e per cui i beni sequestrati, nell'ambito di procedimenti penali relativi ai delitti previsti dall'articolo 322-ter diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi della polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative.

Anche in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni prive di responsabilità giuridica in relazione ai reati che ci occupano, si segnala l'emendamento con cui si intende riconoscere, in relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 318, 321 e 322, commi 1 e 3, e 346-bis del codice penale, un beneficio premiale alla condotta resipiscente e collaborativa che intervenga prima della sentenza di primo grado, allorché l'ente si adoperi efficacemente per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione dei responsabili del reato, ovvero per il sequestro delle somme o di altre utilità trasferite. Il tutto a condizione della eliminazione delle carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

In questo caso le sanzioni interdittive, ordinariamente non inferiori a cinque anni e non superiori a dieci, troveranno applicazione nella misura di cui all'articolo 13, comma 2, della legge n. 231, e cioè per un tempo non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni. Un concreto abbattimento rispetto alla originaria formulazione, peraltro condizionato a precisi parametri temporali dell'intervenienda condotta riparatoria, che potrà concretizzarsi anche durante e fino a tutta la possibile fase del dibattimento di primo grado.

Tale soluzione avrebbe l'effetto di mitigare alcune preoccupazioni provenienti dal mondo delle imprese che sono seguite alla divulgazione dei contenuti dell'articolo 6 dell'originario testo di legge. Per chi avesse dubbi circa la volontà del nostro partito di voler dare un segnale nella direzione indicata da questo provvedimento normativo, valga un'ulteriore proposta della Lega riguardante la condotta di conseguimento indebito, per sé o per altri, di contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee.

Si è, infatti, pensato di proporre l'introduzione di una maggior pena da uno a quattro anni, rispetto alla forbice da sei mesi a tre anni, per coloro i quali rivestono la posizione di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio.

Vi è, poi, un'ultima previsione del testo in esame che è stata positivamente dibattuta e riguarda la figura dell'agente sotto copertura. Dovremo monitorare attentamente quale concreto utilizzo di questo strumento sarà possibile riguardo ai reati che ci occupano, quello di corruzione in testa. Come del resto è stato fatto notare anche in sede di audizioni, il particolare contesto in cui gli autori ed i complici di questi reati si trovano spesso ad operare fa sì che, dati alla mano, i protagonisti dei delitti siano per lo più soggetti tra i quali intercorre una pregressa conoscenza personale, con ampie e variegate situazioni di frequentazione. Ne consegue che gli organi inquirenti si troveranno a dover certamente sperimentare una diversa e più complessa metodologia esplorativa dell'indagine che, non dubitiamo, farà sì che le nostre forze di polizia giudiziaria potranno reinventarsi ulteriori ed affinati metodi operativi. Questi ultimi potrebbero presto fare scuola e divenire oggetto di studio a livello internazionale.

Sia compito di questa maggioranza farsi responsabilmente carico di un attento monitoraggio circa l'efficacia dello strumento investigativo de quo. Vi ringrazio dell'attenzione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marco Di Maio. Ne ha facoltà.

MARCO DI MAIO (PD). Presidente, questo disegno di legge è partito con un obiettivo che condividiamo, quello di contrastare la corruzione, ma che riteniamo non perseguirà affatto, purtroppo, miglioramenti significativi su questo versante, anzi, se verrà approvato così come ci viene proposto all'esame dell'Aula, avrà come effetto principale quello di riscrivere nella sostanza alcuni articoli fondamentali della Costituzione, senza, lo ripeto, alcun passo in avanti nella lotta alla corruzione.

Secondo questo disegno di legge, tutti i cittadini sono colpevoli fino a prova contraria, perché, forzando le procedure e i regolamenti parlamentari, avete preteso di ampliare gli argomenti trattati dal disegno di legge, introducendovi anche norme sulla prescrizione che poco hanno a che vedere con il rispetto dello Stato di diritto.

Che cosa prevede, quindi, la norma che avete introdotto, dopo settimane di stallo in Commissione? Che dal 1° gennaio 2020, tutte le persone che avranno un procedimento giudiziario, dopo la sentenza di primo grado, perderanno la tutela della prescrizione del reato, anche se saranno dichiarati innocenti. Ciò significa che, senza alcun limite di tempo, potranno essere sempre e comunque chiamati a rispondere di quel procedimento pendente, anche negli altri gradi di giudizio, anche se dichiarati innocenti. E parlo espressamente di tutela con riferimento alla prescrizione, perché così nasce nel nostro ordinamento, così è concepita; e, soprattutto, è concepita come tutela nei confronti della parte offesa di vedersi riconosciuta una risposta, da parte del sistema giudiziario, in un tempo ragionevole, come prevede, peraltro, l'articolo 111 della Costituzione, e come tutela, anche, nei confronti dell'imputato che deve poter essere sottoposto a un giusto processo, avendo la possibilità di provare la propria innocenza in tempi congrui, secondo quanto, peraltro, previsto dall'articolo 27 della Costituzione che, lo ricordo, ci dice che l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Con questa norma voi stravolgete questo articolo; dite, sostanzialmente, che tutti i cittadini sono colpevoli fino a prova contraria; rovesciate uno dei principi cardine di ogni democrazia liberale come lo è la nostra, oltre a violare le disposizioni riferite ad un processo equo in tempi ragionevoli che sono previste da vari accordi e trattati internazionali, tra cui il Patto internazionale sui diritti civili e politici dell'ONU del 1966 e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Si dice che questo intervento servirà a evitare che i responsabili di reati anche efferati possano uscire impuniti dal circuito giudiziario, beneficiando delle tecniche difensive e dilatorie messe in atto dagli imputati. Questo è palesemente falso e non sarà certamente questo intervento di eliminazione sostanziale della prescrizione ad evitarlo, perché, come dicono i dati del Ministero della giustizia, tra il 60 e il 70 per cento delle volte la prescrizione arriva prima dell'avvio del processo, cioè nella fase delle indagini preliminari, laddove le tecniche dilatorie difensive che vengono additate come responsabili dell'allungamento dei processi, in realtà, non possono incidere in alcun modo.

E non è vero che vogliamo lasciare tutto così com'è; ci si dimentica, infatti, che, sulla prescrizione, nella precedente legislatura si è già intervenuti, adottando la sospensione dei termini per diciotto mesi dopo la sentenza di primo grado e di altri diciotto dopo la sentenza di appello. La norma che voi avete introdotto vanifica anche questa riforma, senza, peraltro, valutare e attendere che possa dispiegare i suoi effetti, allungando a dismisura, potenzialmente in eterno, i tempi dei procedimenti giudiziari, senza alcuna garanzia per nessuno.

Questo tipo di intervento avrebbe potuto anche lontanamente avere un senso se fosse stato collegato già all'interno di questo provvedimento con una riforma, che è stata solo annunciata, del processo penale, però sono stati respinti tutti gli emendamenti, tutte le proposte e tutte le richieste di inserire da subito questo riferimento. Evidentemente, non avete ancora ben chiaro come volete riformare il processo penale.

In questo provvedimento ci sono molte altre cose che non ci convincono pur, lo ripeto, condividendo l'obiettivo di contrastare la corruzione, un obiettivo che condividiamo anche perché abbiamo alle spalle scelte che parlano per noi: l'istituzione dell'ANAC, l'Autorità nazionale anticorruzione, guidata da Raffaele Cantone; la reintroduzione del reato di falso in bilancio, che il Governo Berlusconi-Lega aveva depenalizzato; l'inasprimento delle pene per i reati di corruzione per induzione, corruzione in atti giudiziari e peculato e tante altre norme approvate nella scorsa legislatura, sulle quali non c'è stato il voto favorevole di nessuna delle forze di governo: il MoVimento 5 Stelle votò contro, la Lega si astenne.

La principale misura che introducete è il Daspo, cioè l'impossibilità per sempre di stabilire rapporti con la pubblica amministrazione, partecipare a gare d'appalto, concorsi, accordi con la PA di qualsiasi tipo per chi ha ricevuto una condanna superiore a due anni per alcuni reati. Questa è una norma che va contro il principio della rieducazione del condannato, previsto dalla nostra Costituzione. Siamo favorevoli a un periodo di sospensione di qualsiasi rapporto con la pubblica amministrazione, come del resto prevede già il nostro ordinamento, ma se il periodo di esclusione è eterno, se viene meno la possibilità di rieducazione, viene meno un altro pilastro del nostro Stato di diritto, una delle funzioni principali della pena, quella rieducativa.

Viene introdotta, poi, la figura dell'agente sotto copertura, un istituto già previsto per altre tipologie di contrasto alla criminalità, come la lotta alla mafia e alle organizzazioni criminali. Per come avete concepito questa norma, si tratta di un antesignano dell'agente provocatore che è, poi, il vero obiettivo a cui vuole tendere questo Governo. Non c'è alcuna garanzia che questo strumento non possa essere utilizzato come un reale, effettivo strumento di provocazione di un reato nei confronti di persone che quel reato non lo stanno commettendo o non lo hanno commesso. Circostanza, quella della provocazione, che indirettamente viene, poi, introdotta, quando si prevedono cause di non punibilità per alcune fattispecie di reati, nel caso in cui si collabori con la magistratura. Per l'applicazione della causa di non punibilità, occorrerà che il soggetto sveli la commissione del fatto, entro sei mesi dall'evento stesso. Quindi, se ci si autodenuncia entro sei mesi, si può beneficiare della non punibilità, purché si collabori denunciando dei fatti e degli elementi corruttivi. È una norma molto controversa e che, collegata con quella dell'agente sotto copertura, introduce, di fatto, una nuova forma di agente provocatore che, peraltro, non ha riscontrato tutto questo consenso, come, invece, ho sentito citare nel dibattito parlamentare, anche tra gli operatori e gli esperti della materia.

Siete, poi, intervenuti su alcune discipline, alcune norme che riguardano il funzionamento e il finanziamento dei partiti politici, accostando corruzione e partiti politici, come se la cosa fosse strettamente collegata; è un concetto un po' limitativo, oltre che sbagliato, per un Parlamento che dovrebbe, invece, finalmente, affrontare l'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione, sulla disciplina e il funzionamento dei partiti politici. Avete comunque apportato modifiche al testo, lavorando in Commissione con l'assenza sostanziale delle opposizioni che hanno abbandonato i lavori, lo voglio ricordare, non certo per ignavia, ma perché è venuta meno qualsiasi forma di rispetto del ruolo dell'opposizione parlamentare. Si è arrivati addirittura ad accusare l'opposizione di aver aggredito i funzionari, di aver impedito ai lavori di andare avanti; si sono fatte trascorrere intere giornate in Commissione, senza concludere assolutamente nulla e, poi, improvvisamente, si è avuta un'accelerazione, si sono convocate le riunioni un quarto d'ora per l'altro, senza fare alcun tipo di lavoro preparatorio, di minimo riconoscimento dei ruoli, anche interni, alle Commissioni stesse, si è svuotato di significato il confronto parlamentare, banalizzando i rilievi che venivano fatti da parlamentari di opposizione e, a volte, anche irridendo interventi che venivano avanzati.

È vero che questo Governo e questa maggioranza si sono caratterizzati per una proposta molto forte, che è stata fatta, contro la quale ci saremmo aspettati altre reazioni da parte dell'opinione pubblica più qualificata, più esperta in materia di diritto costituzionale, di difesa della Costituzione, cioè quella di voler chiudere sostanzialmente, in futuro, il Parlamento, perché tutto sommato non è poi così necessario.

Ebbene, con questo modo di lavorare, di fatto, ci state riuscendo, perché non state dando all'opposizione e ai luoghi deputati al confronto politico, al confronto democratico, al confronto anche di tesi differenti la possibilità di essere luoghi reali di confronto e di condivisione, e anche - perché no? - di unanime accettazione di alcune scelte.

Volete quindi svuotare le istituzioni del loro significato, ma fate attenzione perché facendo così delegittimate non solo il Parlamento, non solo le opposizioni, non solo le Commissioni parlamentari e rischiate di delegittimare voi stessi, e state pur certi che questo gli italiani lo capiranno molto prima di quanto voi non pensiate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Federico Conte. Ne ha facoltà.

FEDERICO CONTE (LEU). Presidente, ci apprestiamo ad una discussione su una proposta di legge che ha finalità sicuramente condivisibili, la lotta alla corruzione, che è un costo democratico insopportabile, non offuscato dalla distinzione tra corruzione percepita e corruzione effettiva, la cui distanza certo non può essere rappresentata dai citati dati statistici sui processi penali celebrati negli ultimi anni, essendo, evidentemente, quei processi il segno più evidente della difficoltà di far emergere fenomeni corruttivi e non la cifra della dimensione del fenomeno così come è diffuso nel nostro ordinamento giuridico. Anzi, proprio quella distanza, la differenza tra l'emerso e il sommerso, avrebbe dovuto stimolare una riflessione e una discussione sul fenomeno della corruzione più ampio, anche di carattere culturale e di carattere sistematico, perché se è vero che l'obiettivo non è in discussione, Presidente, è il come si vuole realizzare la lotta alla corruzione che avrebbe meritato uno spazio di approfondimento maggiore e che avrebbe dovuto discernere tra i due possibili momenti della lotta alla corruzione, quello preventivo e quello repressivo. Se si fosse affrontato un discorso che riguarda la prevenzione della corruzione, avrebbero dovuto entrare, a mio avviso, in discussione elementi e fattori diversi da quello strettamente giudiziario: ad esempio, un riflessione sulla riforma della pubblica amministrazione, che è l'intercapedine tra la legge e la sua attuazione, essendo, cioè, quello spazio interstiziale in cui più annida il germe della corruzione; oppure, per altro verso, il tema della iperlegiferazione da cui è afflitto il nostro ordinamento. Noi abbiamo una produzione normativa enorme che rimane spesso anche inapplicata perché non assecondata nella fase esecutiva da adeguati e pronti regolamenti di attuazione. La moltiplicazione di norme, l'ipernormazione di vari settori, è anch'esso un elemento foriero di difficoltà interpretative, applicative e di spazi di discrezionalità inevitabile, dai quali poi discende l'approfittamento nell'esercizio della funzione pubblica.

Si è preferito, invece, da parte della maggioranza, concentrarsi sull'aspetto repressivo: nulla di nuovo, in piena e lineare coerenza con l'attività del legislatore degli ultimi anni, quantomeno dal 2012 in poi, con la legge cosiddetta Severino. Sulla base dell'impianto di quella legge si muove anche questa, avendo optato, cioè fatto una scelta chiara circa il potenziamento delle misure interdittive. Si è scelto, cioè, il ricorso al diritto penale, ma il diritto penale è nel nostro ordinamento extrema ratio, è una norma che va maneggiata con cura perché dovrebbe assolvere a una funzione residuale; sicuramente, va organizzata e utilizzata nel contesto e nel quadro della normativa costituzionale di riferimento; un abuso di quel diritto, un abuso del diritto penale può creare distorsioni anche più gravi dei mali che vuole curare. Sullo sfondo c'è, Presidente, è inutile nascondercelo, la preoccupazione di un uso politico della giustizia, seppure in una diversa forma: quella della comunicazione politica.

La riflessione, seppur concentrata solo sull'aspetto repressivo, avrebbe meritato un percorso più armonioso, più piano, più calmo, i cui tempi non fossero contingentati all'esigenza della maggioranza. Invece abbiamo subito un percorso frettoloso, che certo si è svolto tutto, con tutta la trafila delle attività e degli adempimenti necessari, ma senza che nessun pensiero, nessuna parola, nessuna riflessione abbiano avuto la possibilità di poggiarsi ed essere colti per un attività collegiale, di realizzazione di un testo migliore e più equilibrato.

Questo percorso legislativo ha assunto, cioè, sin da subito significati diversi ed ulteriori, che riguardano la dinamica interna alla maggioranza, la concorrenza politica tra la Lega e il MoVimento 5 Stelle, la rincorsa a chi è il soggetto più rigoroso agli occhi degli italiani; una gara che si manifesta in questa settimana di lavori parlamentari, nella quale, non a caso, significativamente abbiamo i primi tre giorni della settimana dedicati all'approvazione della norma che stiamo discutendo e gli ultimi tre giorni della settimana dedicati alla conversione del decreto-legge “sicurezza”. Quindi, 1 a 1 è il risultato che si deve realizzare alla fine di questa settimana. Questo sul piano del tabellone politico: non so se altrettanto possiamo dire sul piano dell'interesse degli italiani e della qualità dell'attività normativa che ci accingiamo a svolgere.

Del resto, rispetto a questo percorso la prova del nove, la cartina di tornasole, è venuta dall'emendamento sulla prescrizione. Con un'elegante e colta definizione, il collega Potenti l'ha descritto come un innesto estensivo; se volessimo metterci sulla stessa linea metaforica, potremmo parlare di un trapianto di organi in un corpo estraneo, perché l'istituto della prescrizione ha a che fare con i reati contro la pubblica amministrazione, né più e né meno che con tutti gli altri reati del codice penale. Però esso rappresenta quell'acceleratore, quel quid pluris, quell'elemento aggiuntivo che avrebbe dovuto, dovrebbe e probabilmente renderà questo provvedimento normativo uno spazio di esaltazione dell'azione politica del MoVimento 5 Stelle.

Il tema è però molto delicato perché la spinta legalitaria che ha motivato, meritatamente mi consenta di aggiungere, il voto al MoVimento 5 Stelle, il sostegno politico che ha ricevuto, torce così verso un atteggiamento di tipo giustizialistico, perché altrimenti non può essere definito fuor di propaganda il ragionamento che vuole scaricare sui cittadini il costo dell'inefficienza del sistema giudiziario, un costo che risulta ed è risultato evidente e chiaro da tutti i dati statistici valutati in ordine al dove e al come matura la prescrizione rispetto alla geografia giudiziaria del Paese e ai momenti e alle fasi processuali. Si scarica sui cittadini il costo dell'inefficienza del sistema, con un'equazione molto spendibile in termini di semplificazione politica ma altrettanto falsa, che vuole l'imputato già colpevole e quindi impunito se si trova a vivere all'interno di un processo che viene giustiziato con una declaratoria di prescrizione.

Questa equazione introduce un elemento di velenosità, che fa male al dibattito politico e fa male anche alla società italiana, che è una società bisognosa di ritrovare pace, serenità e fiducia dopo molti anni di buio sociale, democratico ed economico.

È una stortura giuridica rispetto alla quale spero che il dibattito parlamentare e il voto possano ancora rimediare, dando una prova di resistenza democratica rispetto a quello che è avvenuto finora.

L'emendamento sulla prescrizione, tra l'altro, è stato anche oggetto di un intervento, di un accordo tra i due partiti della maggioranza, che lo rende, allo stato, inutile. Al di là dei formalismi sulla clausola di entrata in vigore o sull'accordo politico, sul quando entra in vigore, mi pare di poter dire che noi discutiamo di una norma il cui senso si dovrebbe inverare quando discuteremo la riforma del processo penale: una schizofrenia legislativa che poi, se riflettiamo bene, potrebbe riguardare anche lo stesso intervento sui reati contro la pubblica amministrazione, che meglio avrebbero fatto parte di una riforma organica, che poteva essere preceduta, vista la salute di cui gode la maggioranza e il tempo a disposizione, da un lavoro di approfondimento maggiore e più significativo.

E invece mi pare di poter dire che la prescrizione per il MoVimento 5 Stelle è un po' come il decreto-legge “sicurezza” per la Lega: interviene su una materia già ammannita, perché il decreto-legge “sicurezza” viene introdotto quando il fenomeno dei migranti si è praticamente ridimensionato a zero, e la norma sulla prescrizione interviene o interverrà quando su questa materia il precedente Governo, tra le cose buone che ha posto in essere, ha provveduto molto significativamente, anche lì a costo dei cittadini, con due provvedimenti distinti, che aggravano e di molto il tempo e la durata dei processi. Allora, se questo impianto di critica che ho appena svolto dovesse essere smentito durante il voto e io ovviamente ne sarei lieto, ci sono alcuni provvedimenti che possono essere utilizzati per riequilibrare il provvedimento complessivamente inteso, lì dove più langue la sua tenuta costituzionale.

Parliamo dell'articolo 317-bis, il Daspo per i corrotti era il titolo, era la cifra comunicazionale di questo provvedimento di legge, adesso è diventata la prescrizione, in effetti si parla di una misura interdittiva che nel nostro ordinamento c'è sempre stata, non è una novità, non è introdotta per la prima volta, si è soltanto abbassata la soglia della condanna penale oltre la quale questa viene applicata. È una scelta saggia ridurre da tre a due anni il tempo in cui si può applicare un provvedimento interdittivo perpetuo? Io credo di no, perché militano contro ragionamenti che riguardano il sistema, il nostro sistema penale. Noi sappiamo che quella a due anni è una pena che riguarda reati anche non molto gravi , che riguarda anche fatti non molto gravi, e, del resto, con l'innalzamento progressivo delle pene che abbiamo determinato nel tempo per i reati contro la pubblica amministrazione, per riguardare un reato contro la pubblica amministrazione, vuol dire che riguarda una fattispecie non particolarmente incisiva sotto il profilo penalistico e, soprattutto, accompagnata dal riconoscimento anche delle attenuanti.

Al di sotto dei due anni, pene temporanee tra cinque e sette anni: è una forbice edittale molto stretta verso l'alto. Il combinato disposto di questi due interventi rendono molto rigida, molto poco flessibile e, quindi, non suscettibile di una progressione trattamentale, quella che appunto vuole la Carta costituzionale, in funzione rieducativa della pena. Su questo, una revisione, che può essere accompagnata anche dagli emendamenti proposti a nome del mio gruppo, potrebbe dare il senso di un atteggiamento più equilibrato.

Sono sicuramente un fuor d'opera giuridico, la cui approvazione è solo a tempo, perché verrà giustiziata l'idea di poter consentire o di consentire al giudice di distinguere la sospensione condizionale della pena detentiva e non di quella accessoria, come se la prognosi di non recidiva potesse essere disgiunta, paradossalmente e in maniera assolutamente incomprensibile, in senso invertito, cioè per quella meno grave anziché per quella più grave. Noi dovremmo accettare l'assunto che una persona non merita di andare in carcere, cioè la pena più grave, però merita di essere inibito nelle sue attività sociali ed economiche. Si poteva raggiungere lo stesso obiettivo dell'irrigidimento, sul quale pure c'è una disponibilità a dare concorso con il nostro voto, semplicemente rendendo più rigorosa e stringente la maglia valutativa della meritevolezza della sospensione condizionale della pena: non snaturare l'istituto, ma evidentemente stratificarlo in modo che il giudice abbia sempre più necessità di motivazioni per concedere il beneficio.

Lo stesso paradigma argomentativo può essere ripetuto per l'istituto della riabilitazione: un soggetto viene dichiarato riabilitato quando il giudice può esprimere una compiuta e spesso severa valutazione sul fatto che quel soggetto ha ormai chiuso ogni rapporto, ha rescisso ogni collegamento con logiche o organizzazioni di carattere delinquenziale o del tipo per cui ha ricevuto la condanna. Come potrà mai essere ammissibile, sul piano logico prima che sul piano giuridico, che questa valutazione debba riguardare la pena detentiva, cioè il carcere, e non la pena accessoria? Tra l'altro, con una previsione di tempi che, pur nella versione ridotta in Commissione, sette anni anziché dodici, si pone in un assoluto contrasto con l'articolo 27 della Costituzione, che immagina - e questo è un approdo costituzionale che neanche questa forte maggioranza potrà mettere in discussione - che l'individuo debba essere sanzionato per consentirgli di ritrovare il suo spazio di vita nella società, non per esserne emarginato. Una concezione della sanzione, della pena, che non tenga conto della nostra cultura giuridica è evidentemente inaccessibile. Anche qui c'è un emendamento, a mia firma, del mio gruppo, che propone semplicemente una revisione della scaletta dei tempi necessari per accedere all'istituto della riabilitazione. Non sono sufficienti o ritenuti sufficienti i tre anni previsti nella vigente normativa? Portiamo a sei questo termine, è anche un suggerimento che viene dall'Università Cattolica di Milano, innalziamo gli otto previsti per recidivi a dieci, e portiamo a quindici quelli per i delinquenti abituali: una distensione nel tempo che renderà questo istituto sicuramente più efficace e dotato di un'efficacia special-preventiva sicuramente più pregnante.

Vi è poi il tema del sistema delle collaborazioni e delle attività sotto copertura: la scriminante dell'articolo 323-ter, unica norma per la quale - e questo mi fa piacere dirlo - il Governo ha ritenuto di accogliere una proposta emendativa che ha visto trasformata la premeditazione in preordinazione; la preordinazione è qualcosa di meno difficile da provare e quindi mette meglio in condizione il giudice di non consentire a soggetti che hanno preordinato e quindi hanno agito proditoriamente la loro confessione di beneficiare della esimente; questa esimente, però, si affida a un ragionamento molto semplice: la confessione sarà fatta volontariamente - e con questo avverbio il legislatore immagina e pretende troppo, secondo me, di prevedere strumentalizzazioni che pure sono dietro l'angolo - solo da chi avrà la il timore o la quasi certezza che il reato sarebbe scoperto altrimenti, cioè questa causa di esclusione non avrà un'efficacia di tipo sistemico come quella per i pentiti, se non vi sarà un coordinamento adeguato - anche su questo c'è ancora uno spazio di lavoro - con le azioni sotto copertura.

Al riguardo, torna il tema culturale di un'adeguata valutazione del fenomeno della corruzione, che, come dice la collega Businarolo, faccio mie le sue parole, riguarda delitti pervasivi e di carattere endemico, l'unico problema è che non ha carattere organico, cioè la corruzione non è come la mafia, non è come è stato il terrorismo, non sono fenomeni omogenei rispetto ai quali è possibile attrezzare, come con i pentiti, un'azione di sistema; per quanto pervasivi ed endemici, i reati di correzione sono frammentari, si annidano in luoghi e in dimensioni della pubblica amministrazione diversi: una cosa è la corruzione realizzata in un ufficio tecnico comunale di un comune del centro sud, altra cosa è quella che viene svolta da un alto funzionario di un ministero romano, è un rapporto che avviene sempre in circoli ristretti, quindi non c'è la possibilità di immaginare una reazione di sistema mutuando un modello, che, invece, ha riguardato fenomeni culturali, come il terrorismo, o storici e sociali, come la malavita organizzata.

E allora, anche da questo punto di vista, non potete non cogliere la preoccupazione che l'agente sotto copertura sia un cavallo di Troia per un agente provocatore. È nella norma, questa possibilità, anche qui c'è uno sforzo, con un emendamento, di segnalare il punctum dolens della norma, quello in cui c'è la distanza tra un osservatore e un provocatore. Se l'agente sotto copertura può dare o promettere e ricevere denaro, anche solo la promessa, anche prima dell'accordo a monte, evidentemente può incidere nel processo decisionale che forma il reato corruttivo e questo in aperta e patente violazione dell'articolo 6 della Carta europea dei diritti dell'uomo, che ci dice che è consentito introdurre nel nostro ordinamento - nell'ordinamento di qualsiasi Stato comunitario, ovviamente - la figura dell'agente provocatore, ammesso che, in mancanza della sua azione, il reato sarebbe stato comunque commesso. Questa è l'equazione la svolgere: se, invece, il reato viene commesso in ragione della sua anche solo concorrente azione, evidentemente travalica i limiti della tollerabilità che sono introdotti da strumenti normativi più ampi.

E allora, anche qui, ritornando al beneficio del pentitismo, chiamiamolo così, o al coordinamento di un'azione sotto copertura adeguata, forse una riflessione più adeguata andava fatta sul fenomeno che si vuole combattere, se lo si vuole combattere in maniera incidente e qualificata e non soltanto pensando alla prossima settimana o al prossimo mese della nostra vita politica, cosa alla quale purtroppo viene da pensare, se si considera - torno a dirlo - la prescrizione, sulla quale ho provato a fare uno sforzo, e spero che i colleghi della maggioranza possano farne un'adeguata valutazione: un emendamento che ho depositato stamattina in Aula, che non ho potuto depositare prima in Commissione, completa la proposta sulla prescrizione. Si può introdurre, per evitare prescrizioni facili, un ulteriore periodo di sospensione, Presidente, che copra tutto il periodo dell'istruttoria dibattimentale, dal momento in cui lo Stato esercita l'azione penale e quindi manifesta seriamente la volontà di procedere contro un cittadino, fino alla sentenza di primo grado, nei limiti dei tre anni previsti dalla legge Pinto, cioè quelli della ragionevole durata del processo, con una clausola ulteriore di proroga di un anno a disposizione del giudice per i casi di particolare complessità.

Andrebbe così sterilizzata la parte del processo nella quale più afferisce il motivo della prescrizione, che sta nel rinvio dell'udienza per l'assenza del giudice, nella mancata notifica non - mi si consenta una difesa della categoria - per le istanze di rinvio dell'avvocato che, come sapete, sono giustiziate già dalla sospensione della prescrizione che viene disposta in automatico. Questa copertura ulteriore, che si affianca a quella già pesante disposta dalla Orlando, ovviamente lascerebbe come unico punto scoperto del processo di primo grado, dal punto di vista del decorso del tempo, la fase delle indagini preliminari, quella che è governata, come si suole dire, dal dominis, ufficio del pubblico ministero, rispetto al quale evidentemente un'azione di contrasto andrebbe posta sotto il piano organizzativo, se è vero che ci vengono segnalate nella misura del 50-60 per cento le prescrizioni che maturano nella fase delle indagini preliminari e che il 50 per cento delle prescrizioni, in Italia, maturano in quattro distretti di Corte d'Appello la cui più efficiente organizzazione varrebbe da solo, il che ci dà anche il senso della misura amministrativa dell'intervento a farsi, a lenire il problema della prescrizione complessivamente.

Un secondo emendamento, e volgo alle battute finali, l'ho depositato stamattina in Aula, dicevo, prevede la possibilità per i processi troppo lunghi, quelli che eccedono i tempi di prescrizione previsti dalla legge, anche ad opera di sospensioni della prescrizione intervenute durante il processo, una forma di equa riparazione implicita. È un ragionamento che è avvenuto nel corso dei lavori della commissione Gratteri, per cui propongo che venga introdotta nel nostro codice una norma che consente di ridurre al giudice della cognizione o, se non possibile, al giudice dell'esecuzione, la pena comminata in misura di 45 giorni per ogni semestre – è una regola che già esiste nel nostro codice a proposito della liberazione anticipata – in cui il processo è durato oltre la misura. Sono quattro-cinque punti sui quali una riqualificazione del provvedimento potrebbe liberarlo, emendarlo dalla legitima suspicione di una norma pensata non per il sistema, ma per la politica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Federico Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Grazie, Presidente. Voglio iniziare ringraziando i colleghi Lucaselli, Maschio e Varchi che, in questi giorni, hanno retto lo scontro in Commissione e saranno loro che, dal punto di vista tecnico, sono intervenuti o interverranno sull'aspetto più giuridico che riguarda in particolare la prescrizione. Ma una cosa al riguardo lasciatemela dire, ebbi l'onore di collaborare con gli onorevoli Enzo Fragalà e Alberto Simeone, all'epoca di Alleanza Nazionale, e seguì la comunicazione sulle battaglie fatte riguardo al giusto processo di cui furono protagonisti. Ebbene oggi se fossero qui – e, in un certo senso, lo sono – avrebbero molto da ridire e contestare su questo provvedimento perché, vedete, un conto è rivendicare – come facciamo, tramite Giorgia Meloni, Fratelli d'Italia – la certezza della pena per rapinatori, stupratori, assassini, guarda caso spesso richiedenti asilo, e un altro conto è rispondere con la disarticolazione delle garanzie di tutti i cittadini. Se non volete lasciare la prescrizione individuale, che si fissi allora un tempo massimo per i diversi gradi di giudizio, oltre i quali è il processo stesso a decadere. Il giudizio morale ricadrebbe così sul sistema e non sull'individuo. Pensateci, pensiamoci, si può ancora intervenire, ma vi ripeto su questi temi lascio parlare i miei colleghi sicuramente più esperti e specialisti, pur avendo ben chiara una posizione al riguardo. Voglio affrontare, invece, la parte che riguarda il rapporto dei reati della politica, tra economia e politica e le sue degenerazioni. È singolare che il MoVimento 5 Stelle, tramite il suo Ministro della Giustizia, Bonafede, si faccia promotore di queste norme sulla regolamentazione della trasparenza dei partiti politici. Dobbiamo, infatti, ricordare che questo movimento è, in realtà, guidato da una piattaforma Internet chiamata piattaforma Rousseau che, fra l'altro, è stata esclusa dalla trasparenza, perché è stato abrogato – ma guarda tu il caso – in Commissione il comma 2 dell'articolo 12, ex articolo 9, ferme restando le ultimissime proposte della Lega, su cui penso ci sarà un ampio e approfondito dibattito. Questa piattaforma è di proprietà dell'Associazione Rousseau, di cui il presidente e fondatore è Davide Casaleggio, insieme a Gianroberto Casaleggio, il compianto Gianroberto Casaleggio. Il MoVimento 5 Stelle è controllato, di fatto, da una società comandata da un uomo solo, attraverso un'associazione e una piattaforma, sempre Davide Casaleggio, e lo sarà per sempre in quanto lui e il suo compianto padre Gianroberto furono i fondatori indiscussi e indiscutibili, a norma di statuto che, in quanto tali, non possono essere eliminati dall'Associazione. Bel simbolo di democrazia, questa. Davide Casaleggio è lo stesso poi che ha scritto in un suo post: “Rousseau ha 100 mila iscritti certificati e dal 2012 a oggi ha votato ogni 20 giorni, un nuovo modello di partecipazione è possibile, il concetto di democrazia sta evolvendo” – afferma Casaleggio – che spiega così la sua idea: “La democrazia è scegliere i propri candidati, la democrazia è definire il programma di governo assieme, la democrazia è decidere cosa finanziare, la democrazia è proporre una propria proposta di legge, la democrazia è partecipare alla costruzione delle leggi, la democrazia è condividere le buone pratiche, la democrazia è formarsi, la democrazia è attivarsi sul proprio territorio, la democrazia è immaginare il futuro”. Giusto, ma quale futuro, chiediamo a Casaleggio e ai colleghi dei 5 Stelle?

Casaleggio vorrebbe imitare Steve Jobs come guru, come prefiguratore del futuro, ma la sua piattaforma assomiglia di più a un film comico del famosissimo Lino Banfi, un sistema informatico “bucato”, come si usa in gergo tecnico, più volte da hacker che ne hanno dimostrato l'assoluta inadeguatezza e mancanza di cura della privacy, a tal punto che il Garante lo ha obbligato a garantire la privacy degli utenti entro un termine perentorio.

Quello che, però, è davvero inquietante, colleghi, è la filosofia sottintesa dal provvedimento, un attacco in perfetto stile giacobino alla politica. Ci si intenda bene: qui non si difende il finanziamento illecito o la politica non trasparente. Chi vi parla, come molti miei colleghi, non è stato mai citato in 60 mila pagine dell'inchiesta di Mafia capitale, pur avendo governato con orgoglio per cinque anni la Capitale dell'Italia. Qui si difende la politica con la “p” maiuscola, quella per cui molti di noi – non tutti – hanno sentito bruciare il sangue nelle vene contro le ingiustizie a 15 anni. E, con la scusa della democrazia diretta, ma talmente diretta che molti eletti sono in Parlamento grazie a trecento like su YouTube alle “parlamentarie”, ora si attacca il rapporto tra politica ed economia, in nome della trasparenza si criminalizzano partiti e fondazioni, si invoca la disintermediazione totale tra cittadino e potere e poi si obbliga ad andare dal notaio per 500 euro di donazione. Per carità, le cronache giudiziarie sono piene di fondazioni coinvolte in finanziamenti illeciti, ma la politica sapiente si domanda come facilitare le donazioni alla luce del sole, e non a criminalizzarle, si chiede come favorire la partecipazione politica agevolando i servizi, invece di alimentarne i finanziamenti. Ma non si può inseguire la cronaca e l'odore del sangue, facendo a pezzi il diritto, come state facendo con la prescrizione, con la sega elettrica della maggioranza numerica.

Facciamo un appello ai colleghi della Lega che, giustamente, hanno presentato gli emendamenti 7.7 e 7.22, emendamenti usati come pistola sul tavolo per chissà quale trattativa, ma che dicono una cosa semplice e ragionevole: l'obbligo di trasparenza va esteso anche alle associazioni come Rousseau. Eh, già, perché vedete, colleghi, il dogma pentastellato distrugge il diritto e le garanzie dei cittadini, favorendo giudici pigri e giustizialisti che vorrebbero tenere i cittadini sotto processo tutta la vita, ma poi, quando si tratta di applicare le stesse regole anche a loro, allora si indignano e fanno di tutto per evitarlo.

Ricapitoliamo insieme. Casaleggio è il capo della Casaleggio Associati, è il capo dell'Associazione Rousseau, che è proprietaria della piattaforma che gestisce il primo partito italiano e che esprime il Premier, il Vice premier e i Ministri e sottosegretari, compreso il Ministro della Giustizia, e non vogliono che si sappia chi sono i loro finanziatori e sostenitori. La democrazia diretta, i cittadini, sono tutte fandonie. Il sistema operativo Rousseau è il nuovo Ministero della verità prefigurato da Orwell nel suo fantastico, ma assolutamente attuale, 1984, una macchina che controlla tutti e genera false verità che condizionano la politica e, quindi, il voto. E noi siamo per la trasparenza, per l'onestà, ma non si possono agitare questi valori per poi disarticolare il sistema politico-democratico, per distruggere la politica.

Questo sta accadendo oggi in Italia. Questa gioiosa macchina del cambiamento giallo-verde dietro la cortina fumogena dei litigi, veri o finti che siano, organizza il disordine e procede con un obiettivo preciso: distruggere il sistema precostituito democratico. Per cosa? Quale modello politico si sta realizzando? Iniziamo ad essere sinceramente un po' inquieti.

Ma qualche parola va detta a proposito dello stesso Jean-Jacques Rousseau, presentato come teorico della democrazia e massimo riferimento filosofico dei pentastellati. Se è vero che egli affermava, nel suo Contratto Sociale, che la sovranità appartiene al popolo - e questo forse andrebbe ricordato anche a quegli intellettuali che mostrano un certo disprezzo per lo stesso popolo quando vota in modo diverso da quello che essi indicano - bisogna, però, anche ricordare come lo stesso Rousseau interpretava la cosiddetta “volontà generale”. Egli, infatti, sosteneva che tale volontà si esprimeva in una indistinta assemblea dei cittadini, i quali erano tenuti ad aderirvi e ad esprimersi (sentite come risuonano queste parole). Però, sempre nel Contratto è detto che chiunque non sia d'accordo con la volontà generale è una minaccia per la comunità e perciò va corretto. Ancora di più, nel Contratto Sociale di Rousseau, è singolare come tornino le stesse parole e gli stessi lemmi, nello stesso contratto di governo, c'è di più: c'è l'esaltazione della dittatura (in Rousseau, ovviamente); “Se per rimediarvi basta accrescere l'attività del Governo lo si concentra in uno o due dei suoi membri: di tal guisa non si altera l'autorità delle leggi ma solamente la forma della loro amministrazione. Se poi il pericolo è tale che l'apparecchio delle nostre leggi sia solo d'ostacolo per guarantirsene, allora si nomina un capo supremo che imponga silenzio a tutte le leggi e sospenda un istante la sovranità del popolo”.

E, infine, sulla censura afferma: “Del par che la dichiarazione della volontà generale si fa per mezzo della legge, così la dichiarazione del pubblico giudizio si fa con la censura. L'opinione pubblica è la specie di legge di cui il censore è il ministro e la quale ei non fa che applicare ai casi particolari, ad esempio del principe”.

Capite la nostra inquietudine, amici e colleghi? Vi state rendendo complici - e parlo, in particolare, alla Lega - di un disegno strategico di natura totalitaria di cui siamo convinti non ne siano consapevoli nemmeno i colleghi pentastellati, che votano quotidianamente ma che non conoscono il disegno strategico.

E questa correzione, evocata da Rousseau, rappresentava anche l'alienazione, ossia l'allontanamento, l'estraneità dell'associato dalla comunità con tutti i suoi diritti. In che modo ciò sia avvenuto lo hanno dimostrato ai suoi tempi Robespierre, che era un seguace di Rousseau - quindi, ogni tanto vanno riscoperte queste letture e non vanno solo citate nei post -, con il suo Comitato di salute pubblica e, in tempi a noi più recenti, con il regime comunista articolato sui comitati popolari ossia, per dirlo in russo, i soviet.

Ma Rousseau riteneva anche che l'assemblea che esprime la cosiddetta volontà generale funzioni solo se è composta da un ristretto numero di persone - e anche qui sentite come risuona una certa organizzazione -, il che indica una concezione molto elitaria e oligarchica della società. Ma è la stessa concezione che hanno i gestori della piattaforma Rousseau, dove le decisioni su questioni politiche e l'indicazione delle candidature alle cariche pubbliche vengono espresse da poche decine di persone e le votazioni sono - lo hanno dimostrato anche gli hacker - una farsa. Chiediamo, quindi, che anche a questa piattaforma si applichi quella pubblicità dei dati prevista dall'articolo 7.

In conclusione noi riteniamo, invece, che il sistema politico italiano debba continuare a essere basato sulla rappresentanza di tutte le concezioni politiche, sociali ed ideologiche esistenti e, quindi, sul pluralismo (Jünger diceva: “La dolorosa sinfonia dei contrasti”). Esso deve essere tutelato come fatto costituzionale previsto dall'articolo 49 che in questo disegno di legge non è neanche citato.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI (ore 15,28)

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Auspichiamo che queste osservazioni saranno tenute in considerazione anche nella legge delega cui è demandata l'elaborazione di un testo unico sulla materia dei partiti politici.

Nel frattempo, ci batteremo tutti come Winston Smith quando affermava - e concludo - rispetto al controllo del potere: “Avrebbero potuto analizzare e mettere su carta nei minimi particolari tutto quello che s'era fatto, s'era detto e s'era pensato. Ma l'intimità del cuore, il cui lavoro è in gran parte un mistero anche per chi lo possiede, restava imprendibile”. Saremo imprendibili e non ci arrenderemo mai (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Davide Aiello. Ne ha facoltà.

DAVIDE AIELLO (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sottosegretario Ferraresi, dopo anni di battaglie per la giustizia, la legalità e l'onestà, oggi con immenso orgoglio arriva in quest'Aula la legge anticorruzione, una legge degna di questo nome.

È un disegno di legge che introduce nuove misure per contrastare con forza il fenomeno della corruzione ed altre importanti novità che riguardano la trasparenza e il controllo dei partiti e movimenti politici. L'avevamo detto e l'abbiamo fatto: avevamo detto che, una volta al Governo, la legge anticorruzione sarebbe stata uno dei primi provvedimenti e così è. Ancora una volta abbiamo mantenuto l'impegno con i cittadini.

Questa è una legge che gli italiani aspettano da decenni, una legge che i precedenti Governi non hanno mai avuto il coraggio di introdurre nel nostro ordinamento giuridico e forse non hanno mai avuto il coraggio di concepire una legge anticorruzione. È una legge di cui il nostro Paese ha estremamente bisogno. L'Italia, come è tristemente noto a tutti, è una delle nazioni più corrotte d'Europa e del mondo. Lo è nelle percezioni dei cittadini che hanno una percezione forte di questo fenomeno ed è un dato estremamente indicativo.

La corruzione ha raggiunto livelli intollerabili e investe i settori più rilevanti del tessuto sociale ed economico del Paese. Anche le mafie utilizzano lo strumento della corruzione per introdursi nella pubblica amministrazione, per aggiudicarsi appalti sulle opere pubbliche, per la gestione di servizi pubblici essenziali, come la gestione dell'acqua e dei rifiuti, oppure per rendere possibile la cementificazione in aree altrimenti non edificabili. Stando alla Guardia di finanza, da gennaio 2017 ad oggi, sarebbero state riscontrate irregolarità su gare pubbliche e su appalti pubblici per 2,9 miliardi. Expo di Milano, MOSE di Venezia e mafia capitale sono alcuni degli esempi e dei casi eclatanti di corruzione.

Eppure, i grandi scandali dove gli appalti sono stati inquinati da mazzette, dove i delinquenti conclamati hanno finanziato la politica, dove i colletti bianchi obbedivano a logiche di criminalità organizzata si sono dissolti in pene del tutto inadeguate per rispondere a principi di giustizia reale. In carcere corrotti e corruttori, nella maggior parte di questi casi, sono finiti soltanto prima di essere giudicati, cioè nella fase delle indagini preliminari e nella fase della custodia cautelare. Da oggi con la nostra legge non sarà più così. Da oggi per i corrotti e per i corruttori si apriranno le porte del carcere e chi sbaglia non avrà più a che fare con la pubblica amministrazione.

La corruzione è un mostro che sta divorando l'Italia e a farne le spese sono i cittadini onesti che da troppo tempo sono costretti a pagare per le ruberie di soggetti senza scrupoli. Soltanto negli ultimi sei mesi - sempre come fonte la Guardia di finanza - la Guardia di finanza ha scoperto mazzette per 40 milioni di euro, appunto negli ultimi sei mesi.

Ma numeri come questi sono soltanto la punta dell'iceberg. Secondo uno studio recente, la corruzione costerebbe allo Stato ben 10 miliardi all'anno del PIL nazionale - 10 miliardi di euro l'anno! – e, stando agli esperti, la piaga del malaffare sarebbe la causa dell'aumento complessivo del costo degli appalti, pari a più 20 per cento, e del calo degli investimenti esteri, pari a meno 16 per cento. Questo significa meno ricchezza per il nostro Paese e meno posti di lavoro, perché gli investitori esteri non investiranno mai in un Paese ad alto tasso di corruzione. Dunque, a pagarne le spese sono sempre i cittadini onesti

Secondo l'Istat almeno 1.742.000 famiglie italiane sono state direttamente coinvolte in casi di corruzione nel corso della loro vita. La realtà che si nasconde dietro a questi numeri è allarmante perché per ogni persona disposta a mettere mano al portafoglio per comprare un vantaggio, un favore o semplicemente per vedere rispettato un suo diritto c'è un medico, un funzionario, un magistrato o un altro pubblico ufficiale disposto a vendersi.

Il 3,2 delle famiglie, che hanno ricevuto queste richieste dal corrotto di turno, hanno pagato o hanno pensato di farlo per avere un impiego, per sistemare un parente, per passare un concorso pubblico o per aprire un'attività propria. Anche nel caso della sanità, in ambito sanitario, solo per fare un esempio, la situazione è drammatica: in questo caso il 2,4 per cento delle famiglie intervistate da parte dell'Istat ha ammesso di aver ricevuto richieste di soldi o altri favori per visite mediche, accertamenti specialistici, ricoveri e persino interventi medici. Il dato più drammatico però è un altro: l'85 per cento di chi ha comprato un favore pensa che sia stato utile farlo. Ciò perché in Italia purtroppo conviene così, conviene fare il furbo per ottenere un proprio diritto, conviene fare il furbo per ottenere una prestazione sanitaria. È un sistema quindi che va combattuto, con tutte le forze possibili che lo Stato può mettere in campo. Per questo con il nostro provvedimento diamo più mezzi ai magistrati, agli inquirenti, aumentiamo le pene per la corruzione e rendiamo più facile l'azione giudiziaria per contrastare episodi corruttivi. Con questa legge l'Italia si adegua al resto d'Europa e anzi si candida a diventare un modello virtuoso per tutti gli altri Paesi.

Oltre a combattere l'odioso fenomeno della corruzione, questa legge introduce importanti novità che riguardano la trasparenza e il controllo dei partiti e dei movimenti politici. Questa parte ha investito la competenza della Commissione Affari costituzionali, di cui faccio parte. Con questa legge saranno inammissibili i finanziamenti anonimi, tutti i contributi saranno annotati in registri e pubblicati online. Sono esenti contributi in denaro fino a 500 euro corrisposti occasionalmente nel corso di eventi pubblici o manifestazioni pubbliche, fermo restando l'obbligo di rilasciare ricevute finalizzate al computo della complessiva entità dei contributi riscossi, quindi anche questi finanziamenti verranno complessivamente resi pubblici e trasparenti. Inoltre, sarà vietato ai partiti accettare contributi provenienti dall'estero, sia da persone fisiche che da persone giuridiche. In caso di violazioni a questo sistema saranno applicate delle sanzioni, anche gravi. Maggiori controlli sui bilanci saranno introdotti con questa legge. È disposto infatti un nesso stringente, anche ai fini dei controlli sui bilanci e sui rendiconti, tra i contributi e le prestazioni ricevute dai partiti da soggetti pubblici o privati ed il loro utilizzo, in modo da ammettere le spese amministrative strettamente connesse alla realizzazione degli obiettivi previsti dallo statuto. È indicato espressamente che solo a tali scopi possono essere utilizzati i contributi e le prestazioni. Viene disposto inoltre l'obbligo per i partiti di pubblicare il curriculum vitae dei candidati alle elezioni e il loro certificato penale, una cosa che il MoVimento 5 Stelle ha sempre fatto; inoltre, i soggetti obbligati alla dichiarazione patrimoniale e di reddito, componenti del Governo e parlamentari, devono indicare quanto ricevuto a titolo di liberalità per ogni importo superiore alla somma di 500 euro. Disponiamo quindi che i contributi ricevuti nei sei mesi precedenti il rinnovo del Governo o comunque dopo lo scioglimento anticipato delle Camere siano pubblici entro quindici giorni successivi al loro ricevimento. Per quanto riguarda invece le fondazioni - altro strumento utilizzato per i finanziamenti ai partiti - si prevede che fondazioni, associazioni e comitati politici siano assoggettati alla stessa disciplina vigente in termini di trasparenza e controllo dei partiti, nonché a tutte le nuove disposizioni introdotte con il presente provvedimento. I cittadini hanno diritto di sapere chi finanzia ogni singola forza politica. La provenienza di tutti i finanziamenti ai partiti politici, così come alle associazioni e fondazioni politiche, deve essere pubblica e tracciabile; anche questa è da sempre una grande battaglia del MoVimento 5 Stelle, che, ricordiamo, ha rifiutato anche il finanziamento pubblico a cui avrebbe avuto diritto. In Italia il sistema delle fondazioni è stato utilizzato dai partiti proprio per aggirare il sistema di controllo e di trasparenza. Le strutture di questo tipo censite dal 2015 a oggi sono più di cento. Si tratta spesso di zone opache, di strutture che sono accomunate dalla presenza di politici negli organi apicali. Fondazioni e associazioni sono diventate alcuni tra gli strumenti principali per incidere sul piano politico; è anche per questo che la gestione del denaro che passa da queste casse deve essere trasparente. L'ascesa di Matteo Renzi e della sua fondazione Open ne è stato un perfetto esempio: una struttura parallela al partito di appartenenza, in questo caso il Partito Democratico, utilizzata per raccogliere fondi, organizzare eventi e aggregare la base elettorale.

Le fondazioni non rappresentano solo il modo per affermarsi politicamente ma anche un modo per tessere rapporti trasversali tra partiti. Nel 2013 l'arrivo del Governo Letta, nato da un accordo post-elettorale centrosinistra-centrodestra, faceva segnare la presenza di numerosi Ministri appartenenti alla stessa fondazione, la Fondazione VeDrò; avversari nel campo della politica che avevano già stabilito rapporti personali in una fondazione, finanziata da diverse lobby. Da oggi la trasparenza sarà la regola alla quale non sarà concessa nessuna eccezione. Non c'è più spazio per finanziatori occulti e per le lobby. Da oggi tutti i cittadini potranno conoscere e controllare i nomi di chi finanzia le forze politiche, le cifre dei versamenti e la data in cui questi vengono effettuati. Più trasparenza, meno corruzione: ieri era solo uno slogan, da oggi è la realtà (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giusi Bartolozzi. Ne ha facoltà.

GIUSI BARTOLOZZI (FI). Presidente Rampelli, onorevoli deputati, era il 4 settembre ultimo scorso ed il Vice Premier e Ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, annunciava ai media che il Consiglio dei ministri avrebbe esaminato il disegno di legge del Ministro della Giustizia, Bonafede, che avrebbero chiamato poi legge “spazza corrotti”. La collega Scutellà nel suo intervento ha tentato di spiegare il perché del nome del disegno di legge, più correttamente il collega Aiello lo ha intitolato “anticorruzione”. Presidente, invece di spiegare il perché del nome del disegno di legge, sento il dovere di rappresentare come è stato annunciato questo disegno di legge, ossia nel solito stravagante modo, in una lettera ai corrotti o potenziali tali d'Italia pubblicata sul profilo Facebook, nella quale il Vice Premier declamava testualmente che la “spazza corrotti” è la prima seria misura contro la corruzione che viene discussa in Italia dal dopoguerra ad oggi; praticamente non lascia alcuno scampo a chi corrompe e a chi viene corrotto. Diceva sempre Di Maio che, prima dell'approvazione di questa legge, ad esempio, voi corrotti potevate contare sul fatto che chi viene a proporvi una mazzetta per truffare un concorso o un appalto sia senza dubbio alcuno un corruttore certificato e che nessuno possa scovarvi. Con la “spazza corrotti” non sarà più così. Ebbene, ecco il triste copione, più adatto alle sale cinematografiche che alle aule di giustizia: un disegno di legge fortemente preconcetto, inutilmente repressivo ed orientato a snaturare i rapporti interpersonali, per il sospetto continuo che ingenera tra dipendenti pubblici e tra cittadini e la pubblica amministrazione.

Ma, Presidente, quando si maneggia il diritto penale, che incide sui diritti fondamentali dell'uomo, la ramazza, indubbiamente utile per fare pulizia, può risultare, come detto in audizioni, di difficile compatibilità con i principi superiori del sistema, a partire da quelli di rango costituzionale. Ed allora, come ricordato in audizione da Confindustria, il fenomeno corruttivo è anzitutto un disincentivo al “fare impresa”, riduce gli investimenti privati e l'efficienza della spesa pubblica, distorce le dinamiche concorrenziali ed impedisce la crescita del Paese. Quindi, ancora una volta, Forza Italia non può che condividere la ragione di fondo del disegno di legge all'esame, ma dissente fortemente dalle modalità operative, la cui portata è marcatamente ed unicamente repressiva.

Andiamo allora la merito. Una prima grave criticità del disegno di legge in questione è che il Governo interviene come il proverbiale elefante nella cristalleria, senza rispettare gli equilibri, la coerenza e l'impostazione di fondo del sistema penale italiano.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI (ore 15,44)

GIUSI BARTOLOZZI (FI). Nel nostro ordinamento è ormai consolidata la distinzione fra due binari paralleli, per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio: l'uno, eccezionale ed emergenziale, apprestato per reati di particolare gravità e allarme, vale a dire quelli mafiosi e terroristici; l'altro, ordinario, valevole per tutti gli altri reati. Il disegno di legge all'esame e dunque il Governo “pentastellato” non solo rompe questo equilibrio riconducendo di fatto al binario mafioso-terroristico reati contro la pubblica amministrazione - che pur destando un elevato allarme sociale non sono certo compatibili con tali fattispecie di eccezionale gravità - ma snatura la sistematica interna di molti istituti, cercando di volgerla e piegarla a logiche radicalmente opposte a quelle che la ispirano. E così si costituisce un pericoloso precedente: basta evocare o catalizzare un clima di allarme attorno a determinate condotte per giustificarne un approccio da diritto penale dell'emergenza ed estendere a ogni settore il trattamento sanzionatorio eccezionale, che dovrebbe essere appannaggio, a tutto concedere, dei soli reati mafiosi e terroristici.

Un'altra evidente criticità risiede nel carattere assolutamente irragionevole e sproporzionato delle pene. All'articolo 1, comma 1, lettere c) e d), si interviene infatti sulla disciplina della pena accessoria dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. In particolare, si prevede che, ove la condanna sia inferiore a due anni, l'incapacità di contrattare si mantenga tra i cinque e i sette anni, mentre essa è perpetua per ogni eventualità di condanna superiore a due anni. Analogamente, dispone la successiva lettera h) in relazione alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici. Le criticità investono, dunque, quattro profili: il primo, in generale, l'irrogazione delle pene accessorie è prevista in modo automatico, cioè senza ricorrere al giudice, senza riconoscere al giudice un pur minimo apprezzamento che tenga conto delle concrete caratteristiche del delitto per cui si procede. Poi, ancora, nel nuovo articolo 32-quater il riferimento generico ad ogni condanna rischia di consentire l'irrogazione della pena accessoria anche in caso di condanna non definitiva, con evidenti violazioni dell'articolo 27 della Costituzione in relazione al principio di presunzione di innocenza, nonché, più in generale, in contrasto con elementari esigenze di ragionevolezza e proporzionalità.

Altrettanto sproporzionata pare la previsione di cui all'articolo 32-ter, secondo comma, ultimo periodo, laddove si prevede che, in ogni caso di condanna superiore a due anni, le pene accessorie producano i propri effetti in perpetuo. La disposizione pare assai difficilmente conciliabile con la finalità rieducativa della pena sancita dall'articolo 27 della Costituzione, oltre a intervenire in maniera irragionevole e sproporzionata a limitare la libertà di iniziativa economica e il diritto al lavoro. La previsione di un automatismo per ogni caso di condanna superiore a due anni appare sproporzionata sotto l'ulteriore profilo di un'assenza di gradualità nell'irrogazione della pena accessoria in relazione alla diversa gravità della pena principale. Inoltre, l'applicazione automatica e indistinta della pena accessoria, in uno con l'assenza di gradualità, pare suscettibile di pregiudicare il principio costituzionale di uguaglianza, finendo per trattare in modo uguale situazioni potenzialmente molto diverse tra di loro.

Infine, viene significativamente elevata la forbice edittale per la determinazione delle due pene accessorie applicabili nell'ipotesi di condanna alla reclusione fino a due anni per reati contro la pubblica amministrazione. In proposito, Presidente, rileviamo, da un lato, un tema di mancata graduazione rispetto all'entità della pena principale, in quanto la durata minima delle sanzioni accessorie è maggiore di quella della pena principale per talune fattispecie di reato come indicate; dall'altro, riducendo la forchetta edittale della pena accessoria, la novella riduce anche la possibilità per il giudice di calibrarne la durata su quella della pena principale, ma, soprattutto, per alcuni reati contro la pubblica amministrazione il disegno di legge estende il campo applicativo dall'interdizione perpetua dai pubblici uffici, affiancandola con l'incapacità perpetua di contrattare con la pubblica amministrazione. Entrambe le sanzioni sono applicate in caso di condanna alla reclusione superiore a due anni, ma si tratta di un inasprimento eccessivo, che solleva dubbi in ordine, da una parte, alla proporzionalità della sanzione rispetto al disvalore effettivo della condotta incriminata e, dall'altra, alla funzione rieducativa della pena.

Il rischio concreto è che l'applicazione dell'incapacità perpetua di contrattare con la pubblica amministrazione, lungi dall'essere riservata alle fattispecie caratterizzate da un maggiore disvalore penale, tale da interdire definitivamente il reo dai rapporti con la pubblica amministrazione, troverà applicazione pressoché generalizzata ed automatica, in contrasto con il principio di ragionevolezza. Nella stessa prospettiva, un ulteriore indice dello sproporzionato regime delineato dal disegno di legge, che la dice lunga sull'impostazione di fondo del Governo pentastellato, risiede nella quasi assoluta inespiabilità delle pene accessorie. Si prevede che per i reati contro la pubblica amministrazione l'eventuale riabilitazione non produca effetti estintivi rispetto all'interdizione dai pubblici uffici e all'incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione.

Queste pene accessorie diventano iperresistenti e la riabilitazione può essere concessa solo al ricorrere di presupposti assai stringenti. Devono decorrere almeno dieci anni - tre più sette - dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si è estinta e, inoltre, il condannato deve avere dato prove effettive e costanti di buona condotta. Insomma, più che una pena accessoria, sembra di trovarsi di fronte ad una damnatio memoriae, come è stata definita in sede di audizioni, più grave della stessa pena principale, ed espiabile solo attraverso una serie di gironi danteschi.

Il carattere perpetuo della pena, d'altra parte, pone problemi di compatibilità con il principio del finalismo rieducativo della pena. La pena, infatti, dovrebbe tendere a rieducare e risocializzare il condannato, ma anche il corrotto e il corruttore. Anche a questi deve essere concessa dall'ordinamento la chance del graduale e pieno reinserimento nella società a un certo punto del percorso di espiazione della pena.

In questa prospettiva, pare molto problematica la previsione dell'articolo 1, comma 1, lettera i), del disegno di legge, che incide sulla disciplina della riabilitazione ex articolo 179 del codice penale. Il disegno di legge, infatti, si propone di aggiungere un ultimo comma a quest'articolo, cioè, così recita, nel caso di condanna per corruzione, concussione e altri delitti contro la pubblica amministrazione, la riabilitazione concessa non produce effetti sulla pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici e su quella dell'incapacità a contrarre in perpetuo con la pubblica amministrazione. Gli effetti sarebbero, pertanto, limitati ad altre e diverse pene accessorie, eventualmente irrogate con la sentenza di condanna, nonché agli effetti penali della stessa.

Sempre secondo il disegno di legge, decorso un termine non inferiore a sette anni dalla riabilitazione la pena accessoria è dichiarata estinta quando il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta. Questa disposizione è sicuramente problematica sotto due profili: anzitutto per il limite di sette anni, che colloca il momento in cui può ottenersi la riabilitazione rispetto alla pena accessoria ad un'enorme distanza dalla commissione del fatto. Deve, infatti, trascorre il tempo del processo, quello dell'esecuzione della pena principale, l'intervallo di tre anni per chiedere la riabilitazione e l'ulteriore termine di sette anni per poter conseguire l'estinzione della pena stessa. Anche a non voler contare il tempo della durata del processo, in caso di condanna a due anni e un giorno di reclusione la pena accessoria perpetua non potrebbe estinguersi prima del decorso di dodici anni e un giorno. È un intervallo di tempo in grado di estromettere in modo irreversibile un individuo dalla pubblica amministrazione e un imprenditore dai rapporti commerciali con la stessa, rendendo, di fatto, impossibile nella sostanza la riabilitazione degli stessi, con conseguente dubbio di legittimità costituzionale in rapporto all'articolo 27, comma 3, della Costituzione.

Così come è congegnata la disposizione in esame è altamente problematica perché differisce di dodici anni la produzione del principale effetto della riabilitazione, subordinandolo, per di più, all'accertamento in quell'ulteriore periodo del requisito ordinario della riabilitazione, cioè la buona condotta, un requisito che il soggetto ha già soddisfatto per ottenere, dopo tre anni dall'esecuzione della pena, la riabilitazione con effetti limitati. Il disegno di legge configura così, in sostanza, un'ipotesi in cui un soggetto, pur essendo riabilitato, continua a subire una pena accessoria, e che una persona riabilitata continui ad essere sottoposta ad una pena è circostanza incompatibile nuovamente con l'articolo 27, comma 3, della Costituzione.

Ancora, Presidente, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione colpisce solo la persona fisica a cui è irrogata, e dunque è inutile, perché in genere si tratta di manager che l'azienda può facilmente sostituire, riprendendo i propri traffici. Nella misura in cui esso, poi, viene esteso all'ente complessivamente inteso tramite la modifica del decreto legislativo n. 231 del 2001, diviene irragionevolmente draconiano e sproporzionato perché si priva l'ente di ogni capacità di agire in sede contrattuale e commerciale e, dunque, lo si condanna all'estinzione.

Ancora, si introduce, di fatto, la figura dell'agente provocatore in senso proprio, non del mero agente infiltrato, discriminando tutta una serie di condotte di partecipazione attiva che oggi la giurisprudenza non ammette e considera forme di concorso nel reato. Con la nuova formulazione si va, infatti, ben oltre il limite imposto dalla giurisprudenza nazionale ed europea e si consente all'agente infiltrato di realizzare, per poi vedersele giustificate, tutta una serie di condotte che sconfinano molto da vicino nel concorso attivo nel reato, peraltro formulate in termini assai vaghi e insuscettibili in concreto di ricevere prova contraria dell'accusato, per citare i casi più eclatanti.

Nel complesso, la strategia che sta dietro l'introduzione dell'agente provocatore è chiara: il disegno di legge stimola i crimini, per poi reprimerli; costringe le forze dell'ordine a partecipare o innescare la commissione dei reati, premia e lusinga chi organizza complotti, alimenta il sospetto che in ogni imprenditore si annidi un corruttore e in ogni amministratore un corrotto a piede libero. Occorrerebbe, dunque, evitare l'utilizzo di espressioni generiche foriere di potenziali divergenze interpretative, quali, ad esempio, il riferimento ad attività prodromiche e strumentali. La stessa relazione illustrativa al disegno di legge ne è ben consapevole e, meritoriamente, sottolinea la distinzione tra la tecnica delle operazioni sotto copertura da un lato, e l'impiego di agenti provocatori dall'altro. Tale preoccupazione emerge nel disegno di legge in almeno due luoghi: nella previsione secondo cui il denaro e l'altra utilità devono essere corrisposti dall'infiltrato in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri, e nell'ultimo comma del nuovo articolo 323-ter, dove si stabilisce che questo non si applica quando vi è la prova che la denuncia del fatto è premeditata rispetto alla commissione del reato denunciato.

In sede di audizioni, poi, Presidente, è stato rilevato che la causa di non punibilità potrebbe essere strumentalizzata, in sinergia con la nuova disciplina utile sulle operazioni sotto copertura, per incastrare e mettere in trappola un proprio avversario politico o un concorrente nell'attività di impresa.

Tizio potrebbe far credere a Caio di intavolare un accordo corruttivo per, poi, denunciarlo subito, guadagnando l'impunità e assicurandolo alla giustizia, magari, attraverso un'operazione sotto copertura. In questa ipotesi, l'esponente delle forze dell'ordine finirebbe per essere, suo malgrado, un agente provocatore.

Ed ancora, nell'ipotesi di corruzione passiva dell'infiltrato che infingendo di essere questo o quel funzionario pubblico accetti denaro o la promessa di denaro nel corso di un'indagine per il delitto di istigazione alla corruzione, di cui all'articolo 322, inopportunamente incluso tra quelli per i quali sono ammesse le operazioni sotto copertura, sembra ad esempio difficile escludere il rischio di abusi da parte delle forze dell'ordine che sollecitino la dazione o la promessa dell'indebito, realizzando non meglio precisate attività prodromiche e strumentali per incastrare questa o quella persona.

Presidente, non si tratta di diffidare delle forze dell'ordine o della loro professionalità, che si è spesso mostrata elevatissima, specie in occasione di operazioni sotto copertura, in materia di contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo, ed io per prima non potrei far ciò, si tratta, solo, di evitare il rischio di abusi sempre possibili e, in uno Stato liberale di diritto, uno Stato liberale di diritto non può fare affidamento nel corretto comportamento delle forze dell'ordine; deve, invece, dotarsi degli strumenti necessari a fronteggiare abusi di potere, peraltro sempre possibili.

È vero che le operazioni sono ammesse nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine a determinati reati, ma è anche vero che non è prevista la garanzia di una previa autorizzazione del giudice o anche solo del pubblico ministero, come, a mio avviso, sarebbe opportuno, analogamente, per esempio, a quanto avviene per altri strumenti investigativi, come le intercettazioni telefoniche o ambientali, e che il testo della norma non precisa, come sarebbe invece opportuno, che gli elementi di prova da acquisire devono essere relativi a reati la cui realizzazione sia già iniziata. Deve, infatti, essere chiaro che gli agenti pubblici non possono legittimamente creare un reato, provocando una persona a commetterlo, cioè, a iniziarne l'esecuzione.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

GIUSI BARTOLOZZI (FI). Presidente, visto il tempo, vado velocemente alla conclusione, tralasciando il tema della prescrizione di cui i colleghi hanno già parlato. Presidente, non possiamo non evidenziare la frattura ormai completa tra il Governo e gli avvocati penalisti, con la rassegnata volontà, che è anche la nostra, di opporsi alle improvvide ricette populiste in materia di giustizia. Tale contrapposizione, giorno dopo giorno, si arricchisce ulteriormente di tensione; è stata preannunciata ed è prossima l'astensione di tre giorni, proclamata dalle camere penali; noi non possiamo non stigmatizzare il comportamento tenuto dal Ministro Bonafede che, invitato ad un congresso dei penalisti, non si è presentato, facendo riferimento a impegni precedentemente assunti e si è limitato ad inviare messaggi agli oltre mille professionisti riuniti, messaggi però che il componente del comitato di presidenza del congresso si è rifiutato di leggere, scandendo queste parole fra gli applausi degli avvocati: “Un Ministro della giustizia deve venire al congresso dei penalisti per ascoltare ed è per questo che la sua lettera, che ha inviato, non merita una lettura, ma solo una distribuzione ai presenti”.

PRESIDENTE. Onorevole, deve concludere.

GIUSI BARTOLOZZI (FI). Ecco, Presidente, quello palesato dal Ministro Bonafede, anche in questo disegno di legge, è un approccio ideologico, un programma che apre inquietanti scenari di involuzione e che noi, da garantisti, liberali e democratici, ci impegniamo a contrastare con tutti i mezzi e con ogni forma di azione politica, anche, laddove occorra, abbandonando i lavori di Commissione e di Aula, in difesa delle garanzie e delle libertà di tutti i cittadini e dei valori costituzionali e convenzionali del giusto processo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Stefano Ceccanti. Ne ha facoltà.

STEFANO CECCANTI (PD). Grazie, Presidente. Inizio con alcune notazioni di metodo su cui hanno già parlato altri colleghi. Noi potremmo dare da studiare questo lavoro, soprattutto in Commissione, come un esempio di come non si fa un'istruttoria legislativa in Commissione; un caso negativo, di scuola, perché il nostro Regolamento, le nostre regole di democrazia parlamentare vogliono che il testo arrivi ben istruito in Assemblea, dove, purtroppo, come sappiamo, quasi solo i membri della Commissione, che l'ha trattato fino in fondo, conoscono, fino in fondo, tutte le sfumature di questo lavoro.

Però, noi abbiamo già avuto un testo che nasceva eterogeneo e viziato da un'impostazione ideologica; perché trattare i partiti insieme alla lotta contro la corruzione? Sarebbe banale dire che c'è evidentemente un'area di sovrapposizione tra questi due aspetti, che va giustamente repressa.

Ma questo modo di procedere rivela una sfiducia verso la democrazia rappresentativa, perché la democrazia rappresentativa, in ultima analisi, è strutturata sui partiti. Ora, tutti noi sappiamo che la democrazia rappresentativa non si può difendere così com'è e va migliorata, tant'è che nella scorsa legislatura, la legislazione che è stata fatta sui partiti partiva da un'altra connessione: finanziamento pubblico, sia pure limitato, e democrazia interna; chi non ha, chi non vuole avere gli standard minimi di democrazia interna non entra nel sistema limitato del finanziamento pubblico.

Questo era un modo moderno di impostare la questione della riqualificazione della democrazia rappresentativa; ma, se invece si collega, partiti politici e corruzione, significa che, in ultima analisi, si diffida della democrazia rappresentativa e si immagina che puri dalla corruzione possano esistere solo dei tentativi di democrazia diretta, dove, normalmente, purtroppo, “diretta” è il participio passato di dirigere. Questo è il punto fondamentale che, già, rivelava fin dall'inizio questa grave distorsione, che non è, d'altronde, la prima volta che si manifesta. L'idea di delegittimare tout court la democrazia rappresentativa ha portato alcune disgrazie storiche in vari Paesi, ma si è ripetuta in altri momenti; ricordo a tutti, in quest'Aula, uno degli ultimi interventi di Aldo Moro a difesa di un innocente, del senatore Luigi Gui, quando ricordò che non bisognava trasformare lo scontro politico, anche duro, nel tentativo di processare gli altri nelle piazze, perché la cosa riemergente è questa scorciatoia giustizialista per cui l'altro da sé deve essere per forza corrotto e non un democratico che ha idee diverse da sé.

Questa era già la distorsione iniziale; a questa distorsione iniziale si è aggiunta la forzatura di voler inserire un elemento chirurgico sulla prescrizione, di cui parleremo domani anche in sede di pregiudiziali. Con forzatura, bisognava che si facesse subito, a rotta di collo, una votazione di corsa, allargamento del perimetro, urgenza mostruosa, per inserire una norma che dovrebbe essere applicabile dal 2020. Una mostruosa sproporzione tra la fretta e l'efficacia della norma che non ha giustificazione alcuna, se non in un intento di propaganda, perché qui, insieme ad alcune norme ragionevoli, c'è molta propaganda.

Questo è il punto di fatto; nessuno è contrario ad avere norme rigorose anticorruzione, ma le norme rigorose non sono le norme di propaganda. Allora, il collega Giorgis aveva presentato alcuni emendamenti che poi non ha ripresentato per l'Aula, perché il contesto evidentemente non è ancora del tutto maturo, se uno dei metodi per ragionare sui rischi di corruzione e sui rischi di squilibrio tra il potere politico e i poteri che non sono politici, è ragionare se il sistema di finanziamento che noi abbiamo sia adeguato o meno. La scorsa legislatura ha ristretto al minimo l'intervento pubblico al solo due per mille. Il collega Giorgis ci ha proposto di discutere, in Commissione, se non sia il caso di ragionare sul cosiddetto inoptato, in modo parallelo al sistema dell'otto per mille per le confessioni religiose, o se questa quota del 2 per mille sia eccessivamente bassa rispetto ai compiti pubblicistici che hanno i partiti politici. È un dibattito che ci porteremo avanti senz'altro e in tempi, magari, diversi, in cui potremo fare una analisi più approfondita dei limiti e dei pregi dell'attuale normativa. Se si fosse adottata quella linea emendativa del collega Giorgis, si sarebbe anche potuto pensare di mettere limiti più rigidi al finanziamento privato, ma, se invece si fa la scelta di mantenere il finanziamento pubblico in quei limiti assolutamente restrittivi del 2 per mille, tutta la catena di norme iper burocratiche, dai registri da notai, dichiarazioni congiunte, a una soglia minima di 500 euro, in assenza, appunto, di un finanziamento pubblico forte, che cosa producono? Producono che nei contribuenti più coscienziosi, nei candidati più coscienziosi, nelle forze politiche più serie, probabilmente, c'è una difficoltà, perché inserisci tali e tanti elementi di burocrazia che scoraggiano effettivamente questo.

Una soglia di 500 euro: si scende da 5.000 euro a 500 in un colpo solo! E invece i candidati più spregiudicati, le forze politiche magari più gassose che si presentano all'ultimo momento, alcuni contesti territoriali meno controllati, dove il monopolio della forza legittima dello Stato è meno forte, spingeranno ad un finanziamento in nero, e quindi spingeranno ad una concorrenza sleale delle forze politiche. Queste cose, se non siamo dei demagoghi, dobbiamo dircele.

Per questo l'idea di tenere un finanziamento pubblico estremamente limitato, e di mettere le braghe alla storia in tutto ciò che è più di 500 euro, si rivela non un miglioramento della democrazia rappresentativa, ma una scorciatoia demagogica che porta ad un suo peggioramento. Per questo noi invitiamo (se ne è dibattuto in Commissione, poi è stato bloccato anche qualche emendamento un minimo ragionevole da forzature interne alla maggioranza): ragioniamo seriamente sulle conseguenze a cui questi limiti eccessivi possono portare.

In tutto questo contesto di eccessiva rigidità, c'è però un'eccezione inspiegabile invece di eccesso di condiscendenza. Perché mettere degli obblighi di trasparenza per i candidati alle elezioni e svincolare i comuni sotto i 15.000 abitanti? Comuni medio-piccoli, dove spesso magari, proprio perché la dimensione di scala è più bassa, i rischi che le forze politiche siano più deboli rispetto anche a piccoli movimenti di elettorato o di quadri politici sono più pericolosi. Lì invece questo elemento va rafforzato!

E poi, in un'epoca in cui noi andiamo alle elezioni europee, in cui i nostri partiti hanno o cercano delle collocazioni europee, si ha questa norma di sovranismo politico, per cui possono contribuire solo i cittadini presenti nelle liste elettorali, come se un elettore di Podemos non potesse, non volesse finanziare il MoVimento 5 Stelle, o uno qualsiasi dei partiti socialisti e democratici europei, un contribuente, a cui sta antipatico il Partito Democratico, in vista magari delle elezioni europee, voglia finanziarlo, o un elettore, un militante della CDU non volesse, potesse finanziare Forza Italia. Perché questo sovranismo politico? Perché anche qui è un approccio ideologico: se noi pensiamo a un sistema di doppia sovranità, sovranità statale da una parte e sovranità europea dall'altra, non c'è niente di meglio che incentivare una democrazia rappresentativa europea. E quindi ben vengano le varie forze politiche che si integrano sempre tra di loro, anche la possibilità di avere in cittadini di altri Stati un elemento di vicinanza, e così via.

Con questo spirito, quindi, noi proseguiremo l'opposizione a buona parte di questo testo, perché alcune delle cose positive che si potevano fare sono state sopraffatte da demagogia e da una sfiducia inaccettabile verso la democrazia rappresentativa (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Salutiamo gli studenti dell'Istituto comprensivo Chieti n. 4, che stanno assistendo ai nostri lavori (Applausi).

È iscritta a parlare la deputata Maria Carolina Varchi. Ne ha facoltà.

MARIA CAROLINA VARCHI (FDI). Presidente, mentre riflettevo sull'intervento da fare oggi in discussione generale, per un attimo ho rischiato di cedere alla tentazione di svolgere un esercizio di retorica, indissolubilmente legato alla professione che svolgo, che è quella di avvocato penalista. Poi però ho pensato che in questa sede, nell'esercizio del mandato parlamentare, è giusto ribadire alcuni concetti che attengono al primato della politica, la politica con la “P” maiuscola, la politica della quale il mio partito, Fratelli d'Italia, si fa fiero interprete in ognuna delle sedi nelle quali gli elettori ci mandano con il loro voto.

Credo sia allora opportuno liberare il campo da equivoci, perché questo provvedimento è stato presentato con una retorica roboante e addirittura con uno spot, quasi che fosse un prodotto da vendere agli elettori. Questa retorica roboante ci ha regalato un termine, che è quello di “spazza corrotti”, sapientemente individuato dalla Casaleggio per entrare più facilmente nel dibattito, per circolare più facilmente sui social e gli strumenti di comunicazione. Ecco, credo sia allora opportuno liberare il campo da qualsiasi ipotesi, circa la volontà di qualche partito di difendere i corrotti.

Presidente, qui nessuno vuole difendere i corrotti, qui nessuno intende non agevolare la repressione della corruzione, che è un reato particolarmente odioso, così come tutti i reati contro la pubblica amministrazione, perché colpiscono ciascun cittadino e indeboliscono lo Stato nelle sue fondamenta. Questo credo vada quindi precisato con forza; e mi si consenta di farlo con l'orgoglio di chi porta in quest'Aula l'appartenenza a quel partito che passò indenne dal grande terremoto di Mani Pulite, come ha più volte ricordato il pubblico ministero che diventò l'icona di quel processo, Antonio Di Pietro, politicamente agli antipodi rispetto a noi, che ha ricordato come il Movimento Sociale Italiano sia stato l'unico partito ad uscire indenne da Mani Pulite. Quindi, ecco, credo che Fratelli d'Italia, per quello che è, per quello che rappresenta, ben possa schierarsi nettamente dalla parte della legalità.

E però è necessario fare qualche altra precisazione su questo provvedimento: che è un provvedimento che raccoglie tutto e il contrario di tutto, un provvedimento nel quale, con una tecnica che io considero ai limiti della pirateria politica, è stato introdotto in extremis un emendamento sulla prescrizione, che ha costretto le Commissioni prima a rimanere paralizzate per quattro giorni, fino a quando la sottoscritta ha ritenuto di trasmettere in diretta una comunicazione che il Ministro Bonafede stava facendo agli italiani tramite Facebook, mentre noi ancora attendevamo dopo quattro giorni che la maggioranza sciogliesse i nodi nei quali si era aggrovigliata. Il ministro Bonafede ha detto “via libera”; e allora con un voto assolutamente confuso, che i presidenti di Commissione si sono assunti l'onere di dichiarare valido - nel merito del quale non intervengo perché vede, Presidente, i tecnicismi non mi appassionano, mi appassiona la politica -, la maggioranza ha deciso di introdurre tutto e il contrario di tutto in questo provvedimento.

Sulla prescrizione, io ho ascoltato le parole di tanti componenti della maggioranza che sono stati ospitati sui giornali, nelle trasmissioni televisive. Il Ministro ha detto, poi forse ha fatto marcia indietro, non abbiamo ben compreso: la prescrizione è uno strumento nelle mani di una categoria della quale mi onoro di far parte, degli avvocati, che possono utilizzare questi strumenti per far sì che questo istituto venga applicato in favore dei loro clienti. Ecco, io credo che per rispetto di loro stessi, quei parlamentari del MoVimento 5 Stelle che hanno nel portafoglio un tesserino da avvocato dovrebbero vergognarsi di queste parole (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e Forza Italia-Berlusconi Presidente); e forse dovrebbero spiegare al loro Ministro che gli avvocati non hanno alcuno strumento per far maturare la prescrizione, perché da domani e fino al 23 tutti gli avvocati penalisti dichiareranno di astenersi per salvaguardare la Costituzione, perché le battaglie degli avvocati non sono battaglie per la categoria, sono battaglie per la giustizia, e tutti i processi che saranno rinviati vedranno interrompere il termine del decorso della prescrizione. Quindi smettetela di raccontare bugie agli italiani, che qualcuno potrebbe anche credervi, e così convincersi che la prescrizione sia uno strumento processuale di carattere dilatorio. No: la prescrizione, diceva un filosofo, è il tempo dell'oblio, è il tempo trascorso il quale uno Stato che non riesce a svolgere un processo in tempi ragionevoli, dice la nostra Costituzione, evidentemente ha perduto l'interesse ad emettere una sentenza. Un cittadino non può stare a vita sotto processo.

Ma la propaganda svela la vera ragione di questa corsa frenetica per portare in Aula questo provvedimento: perché vedete, la riforma epocale della giustizia - perché per il Ministro Bonafede ogni riforma della giustizia è epocale - dovrebbe prevedere quantomeno un impegno serio per questo comparto nel bilancio.

Eppure, io ho qui le poche paginette con cui la relatrice di maggioranza ha presentato in Commissione la legge di bilancio e poco o nulla c'è in materia di giustizia: qualche assunzione spalmata in un triennio, ma il problema vero - ed è ciò per cui si batte Fratelli d'Italia - è che noi vogliamo la certezza della pena e dell'esecuzione della pena. Vogliamo anche processi veloci, perché i colpevoli vengano condannati subito e perché gli innocenti vengano scagionati subito (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e Forza Italia-Berlusconi Presidente), perché la vera condanna, talvolta, è un processo che dura anni e questo l'Italia non se lo può permettere.

Poi, sempre perché, come dicevo prima, in questo provvedimento entra tutto e il contrario di tutto, si parla anche di trasparenza. Si parla di trasparenza in materia di finanziamenti e contributi ai partiti. Io, anche qui, desidero affermare a titolo personale che, laddove se ne abbia la possibilità economica, è giusto contribuire a quella che definivamo la buona battaglia: la buona battaglia degli ideali, la buona battaglia dei principi, la buona battaglia dei valori. Questa buona battaglia ha bisogno di un contributo, naturalmente, secondo le norme, secondo le leggi e in piena trasparenza. Però, bisogna anche capire chi conduce questa buona battaglia, perché tanti dei parlamentari che oggi siedono tra i banchi della maggioranza, all'inizio dell'anno hanno partecipato alle parlamentarie, con le quali, sostanzialmente, hanno dato una cambiale in bianco alla Casaleggio per stabilire chi dovesse fare il parlamentare della Repubblica. Allora, dal regolamento per le parlamentarie, aggiornato dal Comitato di garanzia del 13 gennaio 2018, io leggo: ciascun parlamentare italiano, eletto ovviamente con il MoVimento 5 Stelle, si obbliga ad erogare un contributo economico destinato al mantenimento delle piattaforme tecnologiche che supportano l'attività dei gruppi dei singoli parlamentari e consiglieri e per il finanziamento del cosiddetto scudo della rete. Allora, gettate la maschera! Voi non siete i portavoce dei cittadini, voi siete portavoce della Casaleggio Associati (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e Forza Italia-Berlusconi Presidente e di deputati del gruppo Partito Democratico): questo siete!

Voi ogni mese con le vostre indennità contribuite a fare arricchire una società che ha come scopo quello del lucro, quello dell'impresa, non un partito che dipende dagli ideali e dai valori, rispetto ai quali si può dissentire, rispetto ai quali si può essere d'accordo, ma che comunque soggiace a delle regole che voi volete invece evitare che vengano applicate alla Casaleggio Associati e alle scatole cinesi come la piattaforma Rousseau, nonché al MoVimento 5 Stelle, che non si capisce se è un partito, se è un'associazione, se è il controllante o se è il controllato.

Allora, io credo che da questo equivoco bisognerà uscire. Spero che vi aiuti a uscire dall'equivoco l'altro partito di maggioranza, la Lega; spero che la Lega trovi la forza contrattuale - visto che voi amate il termine contratto - per imporvi di gettare la maschera, per dimostrarvi che la superiorità morale non si acquisisce con un provvedimento come questo, raffazzonato, rispetto al quale più di una censura di costituzionalità verrà mossa a ragion veduta.

La superiorità morale si acquisisce, semmai la si può acquisire, quando si governa, quando si amministra. Allora vorrei capire come mai nessuno dei parlamentari Cinquestelle abbia speso una parola per un sindaco del movimento che in provincia di Palermo viene rinviato a giudizio per falso ideologico, turbata libertà degli incanti, violazione del segreto d'ufficio, abuso d'ufficio (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)!

Smettetela con la pantomima dell'autosospensione: voi avete un'intera giunta, una maggioranza in consiglio comunale che sostiene questa Amministrazione. Parlo di Bagheria, parlo del più importante comune della provincia di Palermo, quindi non avete nessuna superiorità morale per parlare di corruzione, non avete nessuna superiorità morale per parlare di trasparenza, non siete nelle condizioni di dare lezioni a nessuno, certamente non di diritto - e lo abbiamo visto - ma, consentitemi, neanche di politica (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Matilde Siracusano. Ne ha facoltà.

MATILDE SIRACUSANO (FI). Grazie Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, oggi discutiamo di un disegno di legge che si chiama anticorruzione, ma che avrebbe dovuto avere un altro nome: avrebbe dovuto chiamarsi decreto manette per tutti. È un disegno di legge che viola evidentemente le garanzie del processo penale, le garanzie costituzionali, quelle per cui tutti dovremmo batterci, signor sottosegretario. È un disegno di legge che non ci piace per tutta una serie di fattori e Forza Italia ha cercato di fare una battaglia in Commissione e continuerà a condurla in maniera ancora più dura in quest'Aula, perché il testo è a dir poco spaventoso.

Il Ministro Bonafede ha scritto un testo che non ha cultura giuridica, un testo che sembra non avere percezione della realtà di questo Paese, dove la giustizia è malsana e va riformata in senso diametralmente opposto. Un disegno di legge che vede equiparare i reati contro la pubblica amministrazione a quelli mafiosi e terroristici, prevedendo un trattamento sanzionatorio degno di reati, appunto, di eccezionale gravità, per lo più in riferimento alle pene accessorie. Inoltre, vi è una cosa anche molto grave: un disegno di legge che amplia in maniera esponenziale il potere discrezionale dei pubblici ministeri nel rintracciare le ipotesi di reato sul traffico di influenze illecite, inserendo un termine che si chiama “altra utilità”: altra utilità che dà un potere discrezionale impressionante, discriminatorio e che riduce talmente tanto il margine tra lecito e illecito da renderlo invisibile. Questa è una cosa gravissima, signor sottosegretario.

Un disegno di legge che introduce l'agente provocatore, un elemento legittimato a commettere il reato per far commettere reati, perché non si tratta di un agente infiltrato, signor sottosegretario, signor Presidente, si tratta di un agente provocatore e, come è noto, in base alla giurisprudenza sia della Cassazione, sia della Corte europea dei diritti dell'uomo, esiste una separazione ben netta fra agente infiltrato, che è legittimo, e l'agente provocatore, che invece è illegittimo. Perché possa godere della discriminante di quell'articolo 51 del codice penale, quindi l'esercizio di un dovere di servizio, l'agente infiltrato deve operare entro limiti assai ristretti e cioè limitarsi ad attività di mero controllo, contenimento ed osservazione dell'altrui attività illecita. Al contrario, l'agente infiltrato diventa agente provocatore e, dunque, è punibile perché diventa un vero e proprio concorrente del reato tutte le volte che la sua condotta abbia avuto rilevanza causale nei confronti di un determinato reato e, negli stessi casi, le prove ottenute tramite l'azione dell'agente provocatore, non sono utilizzabili in giudizio. La ragione è ovvia: l'agente non può avere una licenza a delinquere per stimolare gli altri a commettere reati che altrimenti non avrebbero compiuto. D'altro canto, le prove da questo raccolte, in quanto non genuine, non possono essere usate in giudizio. Con la nuova formulazione si va ben oltre il limite imposto dalla giurisprudenza e si consente all'agente infiltrato di realizzare, per poi vedersele giustificate, tutta una serie di condotte che sconfinano molto da vicino nel concorso attivo del reato, peraltro formulate in termini assai vaghi.

Onorevole Presidente e onorevoli colleghi, è evidente che la nostra interpretazione circa quel che è giusto e quel che non lo è rispetto a quella del Governo è profondamente diversa.

Come non fare un accenno a quello che è accaduto in merito alla prescrizione, che viene trasformata e viene comunicata in maniera assolutamente distorta ai nostri cittadini, che viene proposta dal Ministro Bonafede come uno strumento attraverso cui gli avvocati possono eludere le condanne come se fosse un crimine? Invece la prescrizione rappresenta nella sostanza una remota garanzia di ragionevole durata dei processi e l'unico deterrente all'inerzia processuale che in questo momento in Italia è un grosso problema.

Poi, un altro appunto: su tutto si può contrattare, perché - sa - questo Governo è composto da due forze di maggioranza che, per certi aspetti, sono antitetiche, che possono contrattare su tutto, sulle pensioni, sul lavoro, sulle tasse, ma non si può contrattare sulla giustizia, non si può contrattare sulla libertà (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente), che ha una ricaduta drammatica sulla vita dei cittadini. Quello che è accaduto durante il dibattito anche sulla prescrizione è evidenza di questo e non è ammissibile. Per trovare un compromesso si è pensato a una soluzione fantasiosa: differire l'entrata in vigore della prescrizione al 2020 subordinandola a una riforma organica del processo penale di cui ancora non c'è nessun accenno, di cui non c'è nessuna una base e dove l'orientamento del Ministro Bonafede, signor sottosegretario, è veramente strano. Un atteggiamento veramente difficile da pensare con una riforma del processo penale, che è invece quella che occorre in questo Paese.

Per concludere, noi continueremo a fare battaglia, auspicando che questo testo venga stravolto che venga cambiato perché le esigenze di questo Paese in merito alla giustizia sono diametralmente opposte e perché concludo dicendo che non si può contrattare, non si possono trovare compromessi sulla giustizia e sulla libertà dei nostri cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cosimo Ferri. Ne ha facoltà.

COSIMO MARIA FERRI (PD). Grazie, Presidente. Devo dire, sono davvero tante le cose da dire, perché su questo provvedimento ci sono tante lacune e tanti errori tecnici e giuridici. Ma occorre fare anche una considerazione politica, in quanto oggi viene presentato questo provvedimento a questa Camera, al Paese, come una legge che risolve i problemi della corruzione, come una legge epocale. Ecco, io voglio spiegare - tramite lei, Presidente - a questa Camera, ma anche a chi ci ascolta, che è l'ennesima bugia; è l'ennesima bugia perché sulla lotta alla corruzione, se vogliamo essere obiettivi e vogliamo andare analizzare i provvedimenti, i testi, come bisogna fare quando si parla di norme, voglio rivendicare quello che è stato fatto col Governo Renzi e voglio citare la legge n. 69 del 2015, che su questi temi della corruzione è intervenuta in maniera efficace e incisiva. E cito alcuni dei provvedimenti che sono inseriti in questo testo. Intanto, ha subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena alla restituzione del profitto ex articolo 165 del codice penale, ha introdotto e ha esteso per i reati di corruzione e i reati contro la pubblica amministrazione l'articolo 323-bis nel caso di condotte collaborative e, quindi, ha introdotto una circostanza attenuante, prevedendo una riduzione della pena fino a due terzi per tutti coloro che, anche nei reati di corruzione per induzione, corruzione propria e le altre ipotesi di corruzione, decidano di collaborare. Quindi oggi, tra l'altro, questa attenuante introdotta dalla legge n. 69 del 2015 si sovrappone alla causa di non punibilità, che vuole introdurre questo disegno di legge creando, tra l'altro, confusione dal punto di vista tecnico-giuridico, e non solo, perché comunque per quanto riguarda la causa di non punibilità che vuole introdurre questo provvedimento, con l'articolo 323-ter, a seguito di una collaborazione processuale si crea un meccanismo sulla base dell'autodenuncia, inserendo dei termini, però, con un provvedimento e ipotesi che creano confusione, perché appare indeterminata, appare irragionevole nei termini, perché tiene conto del periodo prima dell'iscrizione nel registro degli indagati e nei sei mesi dall'iscrizione, quindi è irragionevole nei termini perché non si capisce nemmeno quando e come ne possa venire a conoscenza la persona che intenda collaborare. Inoltre, appare sproporzionata, perché non consegue alla riparazione dell'offesa come accade, per esempio nella ritrattazione, per quanto riguarda la falsa testimonianza - è già previsto nel nostro codice -, è scarsamente applicabile nei reati di corruzione perché sono dei reati contratto, a concorso necessario.

Quindi, ci sono tutta una serie di profili che creano un vulnus per quanto riguarda la causa di non punibilità, quando c'è già il 323-bis che la legge introdotta col Governo Renzi ha, invece, chiarito parlando non di non punibilità, ma inserendo una riduzione di pena consistente per chi intenda collaborare. Cito questo esempio per far capire come poi le diversità tra la legge n. 69 del 2015 - e sottolineiamolo, sono già passati quattro anni - e quella vostra, constino in ben pochi cambiamenti e, quindi, questo per rispiegare a chi ci ascolta quanto non sia vero che questa sia una legge “spazzacorrotti” o che rivoluziona la materia, perché forse se c'è una “spazzacorrotti” incisiva ed efficace, è quella che ho citato. Inoltre, sempre con la legge n. 69 del 2015 abbiamo inasprito le pene dei delitti di peculato, corruzione, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità e inasprire le pene vuol dire allungare i termini della prescrizione, perché nel nostro codice il termine della prescrizione è legato alla pena massima prevista per quel reato, quindi aumentando le pene massime, come abbiamo fatto per alcuni reati di due anni, per altri di due anni e sei mesi e, quindi, comunque aumentandole in maniera consistente, abbiamo aumentato anche i tempi prescrizionali.

Inoltre, sempre per i reati contro la PA, con una successiva legge, la n. 103 del 2017, abbiamo anche aumentato, per questi tipi di reato, la prescrizione quando c'è un atto interruttivo. Oggi il sistema prevede l'aumento di un quarto, ai sensi dell'articolo 161 del codice penale; con questa legge del 2017, la n. 103 approvata col Governo Gentiloni, l'aumento a seguito di atto interruttivo per questi tipi di reato è non più di un quarto, ma è della metà. Quindi, c'è stato un ulteriore aumento della prescrizione. Così come, sempre con questa legge che ho citato ora è stato previsto un allungamento della sospensione della prescrizione di diciotto mesi tra il deposito della motivazione della sentenza di primo grado e la lettura del dispositivo del giudizio di appello e, quindi, per questi diciotto mesi è sospesa la prescrizione. Così come è sospesa tra il deposito della motivazione della sentenza d'appello e la lettura del dispositivo nel giudizio di Cassazione, per altri diciotto mesi. Quindi, sono trentasei mesi di sospensione che si aggiungono ai criteri generali che ho citato e anche indicato nello specifico per quanto riguarda i reati contro la pubblica amministrazione e, in particolare corruzione, corruzione per induzione e gli altri tipi di reato.

Quindi, questo per dire come nella scorsa legislatura siamo intervenuti su questi temi in maniera davvero efficace. E, ancora, con la legge n. 69 del 2015 abbiamo, per esempio, previsto la possibilità di procedere a un rito alternativo come quello del patteggiamento solo previa restituzione del profitto e, quindi, limitando anche questa possibilità di accedere al rito alternativo. Solo se restituisci il profitto, la tangente, quello che hai preso, e solo in quel caso, puoi chiedere un rito alternativo. Così come abbiamo toccato un altro punto, che è quello delle pene accessorie. Abbiamo aumentato la durata della pena accessoria, vi è l'incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione, portandola a cinque anni. È vero, mi si dirà: ma in questo provvedimento si prevede l'incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione in perpetuo; si introduce poi tutto lo schema della riabilitazione, sulla quale si può, tra l'altro intervenire, vi sono anche lì delle cose da dire, però è anche vero che la soluzione che avete prospettato voi in questo provvedimento è una soluzione che contrasta col sistema nostro, di rapporto tra pena principale e pena accessoria, che ci deve essere una durata, così come contestiamo il fatto che ci sia la previsione di una sospensione condizionale della pena principale e non della pena accessoria. Quindi, tutti temi che noi cercheremo di far cadere con i nostri emendamenti, ma che dimostrano come, da una parte ci siano dei problemi giuridici, dall'altra però come nel passato si siano affrontati tutti questi temi. Noi, non solo, abbiamo anche rivisto il falso in bilancio e sappiamo che quando si dà una tangente o si versa una tangente nella voce del bilancio, che si va ad alterare per cercare di fare uscire quei soldi dal bilancio della società e, quindi, sempre nella nostra legislatura, abbiamo ritrasformato il falso in bilancio in delitto con una punibilità seria e concreta.

Così abbiamo introdotto, perché non esisteva nel nostro codice penale, il reato di autoriciclaggio, che è molte volte collegato perché, chiaramente, il denaro frutto della corruzione può essere riciclato, quindi, oltre al riciclaggio che c'è già, come chiaramente tutti sanno, abbiamo introdotto il reato di autoriciclaggio. Questo per dire come ci siamo comportati nella scorsa legislatura.

Quindi, siamo intervenuti sulla prescrizione, siamo intervenuti nella lotta contro la corruzione e, però, abbiamo cercato, anche per salvare il principio di obbligatorietà dell'azione penale in cui noi crediamo, perché garantisce l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, di deflazionare il contenzioso. Uno dei problemi è costituito, infatti, dalle denunce e dai procedimenti penali che pendono presso le procure. Quindi, siamo intervenuti anche nel deflazionare, introducendo la legge sulla messa alla prova, introducendo l'istituto della lieve entità e della tenuità del fatto per cercare di deflazionare, cercando, quindi, di guardare da una parte a un'efficacia per quanto riguarda i reati gravi come quello della corruzione e, dall'altra, a deflazionare, con istituti come quelli citati, per creare un contenzioso e consentire alla magistratura di rimanere concentrata sui fatti più gravi. Abbiamo avviato, così, anche una riforma per quanto riguarda la depenalizzazione. Quindi, noi abbiamo detto: salviamo il principio di obbligatorietà dell'azione penale, però, siccome in concreto tutte le notizie di reato sono talmente tante che non possono essere trattate, cerchiamo di mettere dei ripari e abbiamo così dato vita a una depenalizzazione, alla tenuità del fatto, alla messa alla prova e a tutta una serie di provvedimenti. Questo è per far comprendere come siamo intervenuti. Oggi noi chiediamo di procedere con attenzione e in modo organico.

Abbiamo, poi, pensato agli organici, all'organizzazione e agli uffici giudiziari; abbiamo rivisto le piante organiche, abbiamo assunto ogni anno più di 300 magistrati; abbiamo ridato vita, dopo vent'anni, a un concorso per personale amministrativo, assumendo quasi 3 mila persone, quindi pensando anche a rafforzare gli organici dei nostri uffici giudiziari per consentire ai magistrati di lavorare con le risorse. Chiaramente, ce n'è bisogno ancora e ben venga ancora un piano di assunzioni straordinarie che avrà sempre il nostro appoggio e il nostro consenso perché il tema organizzazione esiste.

Allora, noi vi chiediamo di procedere in questo modo; vi chiediamo di verificare se tutte queste norme che sono state introdotte funzionano perché non mi pare che ci siano dei provvedimenti per rivedere tutte queste norme. Sulla tenuità del fatto non vedo provvedimenti che dicano non sta funzionando e, quindi, che va rivista; sulla messa alla prova non vedo provvedimenti di abolizione e sul piano di assunzioni vedo, dagli annunci che sta facendo il Ministro della giustizia, che si sta seguendo il nostro lavoro e quello che abbiamo impostato. Quindi, è un lavoro che mi sembra che sia anche condiviso da questo Governo e da questa maggioranza.

Anche sul ddl anticorruzione, che voi presentate come riforma epocale e che non lo è - e potrei aggiungere tantissime altre cose su quello che è stato fatto in questi anni ma il tempo corre -, andate a ritoccare tutti quegli istituti che comunque noi avevamo già introdotto. Anzi, noi avevamo alzato le pene e voi no, noi abbiamo comunque sospeso la prescrizione e voi la sospendete in materia atecnica, con tutta una serie di problemi giuridici e costituzionali - domani ciò si vedrà anche nella pregiudiziale - che comunque creano nel sistema un effetto non efficace così come vorreste. Allora, chiediamo di monitorare la riforma che è stata fatta dai nostri Governi, di verificare se questa sospensione funzioni, di verificare la compatibilità con la ragionevole durata del processo e anche di andare a capire le ragioni della prescrizione.

Oggi c'era un bell'articolo anche su Il Corriere della Sera, a firma della Gabanelli e di Ferrarella, dove si dice che, sì, l'idea può essere buona ma ciò non basta: andiamo a verificare quello che succede a 360 gradi e con delle misure che siano efficaci.

Siccome oggi le misure ci sono, noi vi chiediamo responsabilità nel portare avanti il lavoro che è stato fatto dai nostri Governi: verifichiamone la compatibilità e l'efficacia. Verifichiamo se non si arriva al risultato, a cui chiaramente tutti noi guardiamo, che è quello di svolgere i processi in tempi ragionevoli. Noi dobbiamo dare una tutela effettiva anche alle vittime e alle persone offese, nel rispetto delle garanzie; la vittima deve essere considerata e deve avere gli stessi diritti e gli stessi doveri degli indagati. Quindi, andiamo a verificare, perché non penso che una vittima possa rimanere soddisfatta…

PRESIDENTE. Concluda.

COSIMO MARIA FERRI (PD). … di fronte a un processo sine die. Occorre garantire tempi certi sia per chi è indagato, sia per chi è imputato, sia per le vittime. È vero che tutti i cittadini chiedono che i corrotti vadano in galera - e noi dovremmo essere i primi a chiederlo e a fare norme - ma nello stesso tempo chiedono che chi sfrutta, chi abusa, chi commette il reato di corruzione se è colpevole ci vada presto …

PRESIDENTE. Concluda.

COSIMO MARIA FERRI (PD). …e non ci vada dopo trent'anni, con tutti i problemi che affronteremo anche domani quando si parlerà della pregiudiziale di costituzionalità sulla prescrizione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Annagrazia Calabria. Ne ha facoltà.

ANNAGRAZIA CALABRIA (FI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il provvedimento all'esame di quest'Aula presenta evidenti criticità che non possono e soprattutto non devono passare inosservate, in primis per il rispetto nei confronti dei cittadini e, in secondo luogo, delle istituzioni che si rappresentano. Il Governo, attraverso questo provvedimento, interviene nel nostro ordinamento con prepotente scompostezza, senza rispettare gli equilibri, la coerenza e l'architettura del nostro sistema penale. Il disegno di legge, infatti, costituisce un pericoloso precedente di populismo penale. Basta evocare, infatti, o catalizzare un clima di allarme attorno a determinate condotte per giustificare un approccio da diritto penale di emergenza, così come già sottolineato dalla collega Bartolozzi, ed estendere a ogni settore il trattamento sanzionatorio eccezionale che dovrebbe essere, invece, appannaggio dei soli reati mafiosi o terroristici.

Le lacune e le criticità del provvedimento sono numerose. Solo per citarne qualcuna, ricordo le pene accessorie irragionevoli, misure inutili e al contempo sproporzionate per le imprese; l'introduzione nel nostro ordinamento dell'agente provocatore, con il paradosso di catalizzare reati al solo fine di reprimerli; infine, il vero e proprio mostro giuridico della prescrizione, inserita attraverso un emendamento, che a gran voce abbiamo denunciato e che non è soltanto inammissibile al provvedimento ma è soprattutto inutile, dannoso e incostituzionale.

Evidenti perplessità si ravvisano anche sulla disciplina dei partiti politici e questo provvedimento rappresenta l'ennesima occasione persa perché è evidente che affrontare il tema della trasparenza dei partiti costituisce un buon motivo per un intervento significativo sul tema stesso, ma la rigidità del testo proposto dal Governo non riesce a spostare il tema centrale sull'essenza e sul vero significato dei partiti.

Quale migliore occasione per riflettere su questo significato? Probabilmente perché non si ha una visione abbastanza matura sul tema. Forza Italia, invece, ha sempre dato una lettura seria all'articolo 49 della Costituzione, interpretandolo esattamente non come una norma che vincola ma come una norma che libera, una norma che sia in grado di dare la possibilità a chiunque di poter esercitare il proprio diritto di associarsi liberamente.

Il tema della trasparenza, quindi, assume non soltanto una primaria rilevanza per la democrazia, ma anche e soprattutto per la promozione di una corretta competizione politica, nonché per la libertà di associazione politica da parte dei cittadini, che hanno diritto di conoscere i rapporti che legano i partiti e i soggetti più vari che ne sostengono l'azione. Tale azione è una naturale implicazione del carattere necessariamente democratico dell'associazionismo politico tutelato dall'articolo 49 della Costituzione, proprio in quanto mediante i partiti i cittadini possono concorrere a determinare la politica nazionale. Un attento legislatore, quindi, deve essere in grado di promuovere il necessario grado di trasparenza della vita dei partiti e, in particolare, delle loro forme di finanziamento. È importante, dunque, saper promuovere un atteggiamento che sia il più costruttivo possibile, cosa che invece non è stata minimamente colta e sviluppata da parte di questo Governo.

Sul punto la posizione di Forza Italia è sempre stata chiara. In maggioranza come all'opposizione ci siamo sempre espressi per l'abolizione del finanziamento pubblico e per il passaggio a un sistema di finanziamento trasparente, controllato e assolutamente tracciabile che fosse totalmente a carico dei privati, in piena coerenza con un'ottica liberale del modo di intendere la politica e i partiti.

D'altra parte è chiaro a tutti noi come l'opacità del finanziamento dei partiti abbia rappresentato uno dei fattori della loro delegittimazione e quindi della crisi di fiducia dei cittadini nelle istituzioni rappresentative e nei meccanismi democratici, dei quali, appunto, l'associazionismo politico è un presupposto necessario. È proprio da questo punto che bisognerebbe saper ripartire. La credibilità è legata alla responsabilità dei partiti, la responsabilità di essere innanzitutto trasparenti.

Permettetemi di aggiungere che la credibilità della politica non si riconquista semplicemente con tagli rigorosi di spesa, ma la politica riconquisterà la sua credibilità solo se saprà dimostrare di essere in grado di ascoltare le esigenze dei cittadini e di saper dare delle risposte loro: una risposta seria ai problemi del Paese, ma prima ancora una risposta alla voglia e al bisogno di partecipazione, un bisogno e una voglia che esistono e che sono diffusi.

Questo provvedimento avrebbe potuto avere più coraggio, rendendo realmente corrispondente al titolo i suoi contenuti. Mi preme ricordare un punto importante, soprattutto a questa maggioranza. Il provvedimento che stiamo discutendo non nasce dal nulla, non nasce in questa legislatura, ma nasce da obiettivi già conquistati, in particolar modo nella XVI legislatura, dall'approvazione della legge n. 96 del 6 luglio 2012, durante il Governo Berlusconi perché, oltre a realizzare degli importanti risparmi di spesa in un momento di crisi economica, ha dato vita al dimezzamento del finanziamento pubblico e ha introdotto il principio del cofinanziamento, aprendo la strada al finanziamento privato, quindi avviando il superamento dell'automatismo tra finanziamento ai partiti e finanziamento pubblico.

Dunque, il vero punto di partenza per la promozione di una seria trasparenza dei partiti è stato quello promosso dal Governo Berlusconi e lo sottolineo con orgoglio, anche perché ci troviamo di fronte a un Governo che in tutto questo tempo ha fatto della trasparenza un mantra, una stella polare da seguire, quando invece nei fatti l'azione politica è indirizzata su punti totalmente estranei alla trasparenza. Questo i cittadini devono saperlo.

La vera rivoluzione culturale è partita durante gli ultimi Governi Berlusconi, da un punto fondamentale: la libera contribuzione ai partiti è un contributo alla democrazia che va incentivato. Partendo da questo punto fondamentale, durante l'esame in Commissione il gruppo di Forza Italia ha denunciato con forza tutte le storture del provvedimento, anche sulle norme che non fanno altro che ingessare la gestione stessa dei partiti politici.

I nostri emendamenti sono mossi anche dall'intento di apportare delle migliorie al testo, che abbonda di formule totalmente generiche e non suscettibili di univoca verificazione e destinate a innescare profondi conflitti in sede applicativa. Proprio per questi motivi abbiamo avuto il coraggio, ancora una volta con estrema serietà e consapevolezza, di proporre interventi che, oltre a rendere più semplici e intelligibili la formulazione delle disposizioni sotto uno stretto profilo di drafting, da un lato eliminano tutte le figure incerte per l'applicazione delle disposizioni, dall'altro si ispirano alla ormai consolidata categoria nazionale ed europea dell'in house providing, per rideterminare i criteri di collegamento, ora ancorati in modo più chiaro alla composizione degli organi direttivi e alla quota di risorse destinate al sostegno delle attività di partito.

Pertanto, onorevoli colleghi, il nostro approccio, come dimostrato dalle stesse proprio proposte emendative, muove dal concetto della rivoluzione culturale di cui vi parlavo poco fa, che non si fa solo con le leggi ma con la consapevolezza di chi fa la politica. Le leggi aiutano, ma non sostituiscono mai la volontà politica. L'Italia negli ultimi vent'anni è cambiata; ha imparato ad aspettarsi di più da una politica che deve essere capace di parlare il linguaggio della gente.

Sta a noi, a tutti noi, con serietà e con trasparenza, ritrovare questo linguaggio, fatto di contenuti e non solo di parole: lo dobbiamo fare per chi ci ha dato la fiducia, lo dobbiamo fare per tutti gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Emanuele Fiano. Ne ha facoltà.

EMANUELE FIANO (PD). Gentile Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il Presidente Fico, in occasione dell'anniversario, domani, dei cento anni di quest'Aula e della cerimonia che svolgeremo alla presenza del Presidente Repubblica ha dichiarato, all'apertura della mostra che qui si svolgerà per i cento anni del progetto realizzato da Basile: “La mostra ci ricorda che la conquista della democrazia per il nostro Paese non va mai data per scontata ma va rispettata e tutelata ogni giorno. Non è sempre stato così, lo sappiamo bene, il fascismo e la seconda guerra mondiale non sono poi così lontani, la democrazia è un bene che è stato conquistato con sforzi e sacrifici, non dobbiamo dimenticarlo mai”, spiega il presidente Fico.

Ancora: “La Camera è per me il ruolo dove si esplica la funzione democratica nel nome del popolo italiano. Possono sembrare parole formali, ma io avverto sinceramente l'enorme responsabilità del ruolo di Presidente di un organo costituzionale che appartiene ai cittadini italiani”.

Ora, diversi miei colleghi del gruppo del Partito Democratico - ma non solo - hanno svolto interventi di grande rilievo nel merito delle questioni che la legge che stiamo discutendo affronta, ma per me, che non sono un delicato giurista come chi, appunto, del mio gruppo ha parlato, è difficile scindere il merito di quello che noi andiamo discutendo dalla forma con la quale noi abbiamo discusso questo merito nelle due Commissioni referenti congiunte. C'è stato un episodio particolare nella trattazione di questo merito, cioè l'allargamento del perimetro della materia che abbiamo votato in Commissione. Lo abbiamo allargato dopo un intervento scritto con il quale il Presidente Fico, rispondendo ad un quesito che le opposizioni hanno chiesto ai presidenti delle Commissioni di riferire, ha risposto.

Ci è stato detto che ciò che avveniva era un precedente, che anzi c'erano diversi precedenti che gentilmente gli uffici immagino abbiano fornito alla Presidenza. È bene essere chiaro su quello che è successo: esistite un solo precedente, negli oltre settant'anni del dopoguerra di funzionamento di questa Camera dei deputati, simile a ciò che è successo, ma esso non è identico. Parliamo della Commissione Affari costituzionali che si svolse il 16 giugno 2005, sotto la presidenza Bruno. Perché dico unico? Perché è l'unico caso nel quale l'ampliamento del perimetro di una materia di legge discutenda in Commissione referente, avviene dopo la presentazione degli emendamenti al testo principale presentato: è l'unica volta che ciò avviene prima della scorsa settimana nella storia di questa Camera dei deputati. Tuttavia, quel caso, assimilabile, ebbe da parte del presidente Bruno un trattamento diverso, ma veniamo prima al merito di ciò che è avvenuto.

Da noi, nella legge che stiamo discutendo, l'allargamento del perimetro è avvenuto sulla base di uno châssis - come direbbe il presidente Sisto -, di un supporto legislativo, che riguardava i temi del contrasto alla corruzione, sul quale, con un emendamento e non con un testo articolato - dopo leggerò le parole del presidente Bruno -, con un emendamento, un caso mai successo e senza precedenti nella storia di questa Camera dei deputati, viene introdotta una nuova materia, ovvero la modifica dei termini della prescrizione dei reati. Sono due materie diverse.

L'unico precedente al quale il Presidente dalla Camera ha potuto fare riferimento - precedente che secondo me non sta in piedi - è un precedente che riguarda un'aggiunta di elementi all'interno della modifica della legge elettorale. La materia di supporto è la medesima: la legge elettorale, per la quale erano stati presentati testi abbinati (Soro, Fontana, Soda, Gazzara, Benedetti Valentini, Nespoli) e sulla quale, successivamente alla costituzione di un testo unificato dei testi abbinati, viene introdotto l'allargamento della materia.

Non solo, Presidente - e sarò lieto se lei vorrà informare il Presidente Fico di queste opinioni, che comunque non mancherò di ripetere anche domani allo stesso Presidente -, in quell'occasione i colleghi allora dell'opposizione, della Margherita, il collega Bressa, chiese al presidente Bruno se gli emendamenti che dopo l'ampliamento dalla materia i colleghi commissari potevano presentare al nuovo testo fossero unicamente da restringere alla materia nuova che era stata innestata. Il presidente Bruno rispose che la risposta non era questa, ma la risposta era che l'attività emendativa dei colleghi poteva estendersi a tutto il nuovo testo o articolato che veniva presentato alla Commissione. A noi, signora Presidente, è stato negato dai presidenti delle Commissioni - che immagino avranno informato di questo il Presidente della Camera - il diritto di emendare il resto del testo.

E ci è stato chiesto di intervenire sulla materia della prescrizione, sulla quale è ovvio che possano esserci legittime opinioni diverse, ma immagino che lei avrà ascoltato l'articolazione e la profondità degli interventi di ogni gruppo di opposizione, qui, oggi, in Aula, circa il merito di ciò che si è andato modificando nel sistema della giustizia italiana con quell'innesto. A noi è stata data la possibilità unicamente di intervenire su una materia che veniva introdotta con un emendamento di 25 righe. Ritengo che, se il Presidente Fico vuole onorare le parole che ha detto in occasione del centesimo anniversario dei lavori che hanno restaurato quest'Aula, dovrebbe essere avveduto del fatto che all'opposizione in questo Parlamento è stato negato un diritto elementare di partecipazione alla possibilità di modificare ciò che la maggioranza legittimamente portava in discussione. A noi, per la prima volta nella storia parlamentare di questa Camera, è stato negato il diritto di emendare compiutamente un testo che veniva innovato; peraltro, in quell'occasione del 2005, con l'accordo di tutti i gruppi; in questa occasione con il disaccordo dei gruppi di opposizione. È un episodio raro, dunque, secondo me unico; si potrà obiettare che è assimilabile: secondo me è unico, ma comunque raro. E qual è il perché di questa rarità? Qual è la motivazione della rarità dell'episodio che abbiamo vissuto sul restringimento dei tempi di discussione e sull'andamento convulso dei lavori di Commissione? Lo voglio dire subito, non sempre per responsabilità dei presidenti di Commissione, ma dell'iter che questa procedura ha subito. Il perché è politico, Presidente. Come sempre, quando le fattispecie tecniche si complicano e si avverte forte il meccanismo di complicazione dei lavori, e d'altra parte non ci sarebbe stata una convocazione l'ultimo giorno di discussione di un Ufficio di Presidenza alle 22,30, se il lavoro che abbiamo svolto si fosse svolto, per l'appunto, in maniera lineare e piana, il perché è politico. Il perché è, e lo dimostrerò, che, in ragione di un dissidio politico o di più dissidi politici tra le due forze di maggioranza che sostengono il Governo, ci si arrovella su come tecnicamente risolvere questo dissidio a scapito dello spazio di democrazia dovuto alle opposizioni.

E, d'altra parte, come altro dovrei interpretare, Presidente, quanto le sto per leggere, che è una dichiarazione resa il 16 novembre, dunque proprio la sera di convocazione di quell'Ufficio di Presidenza, dal sottosegretario Ferraresi - mi dispiace che adesso non ci sia - a proposito di altro episodio, che non riguarda la prescrizione, ma riguarda il tema della tracciabilità delle donazioni ai partiti. Inizialmente vi era un testo di legge, su questo testo di legge vi erano degli emendamenti modificativi presentati dal gruppo della Lega, successivamente ci è stato annunciato che il gruppo della Lega aveva convinto i relatori e la presentazione di emendamenti dei relatori che comprendevano le loro richieste di modificazione di questo tema, e infine queste modificazioni non ci sono state, giacché, come voi vedete, nel testo che è stato presentato per l'Aula, per adesso, nel testo presentato, queste modificazioni non ci sono state. E che cosa dichiara a questo proposito il sottosegretario Ferraresi, che è stato, per la verità, cinque giorni presente, giorno e notte, a questa discussione?

C'è stato un difetto di comunicazione, dichiara, virgolette, all'Adnkronos il sottosegretario Ferraresi. L'accordo che era già stato raggiunto a Palazzo Chigi - a Palazzo Chigi: ma noi siamo il potere legislativo, non siamo l'Esecutivo; non prendiamo ordini da nessuno, noi discutiamo di un testo che viene presentato in sede referente ai commissari di una Commissione, nella sede, nel palazzo dove risiede il potere legislativo - all'approvazione della legge anticorruzione non è stato adeguatamente trasmesso a qualcuno nel MoVimento 5 Stelle, dichiara il sottosegretario Ferraresi - dunque, noi abbiamo l'esigenza di comprendere, prima di iniziare la discussione della legge, se sono andati bene tutti i sistemi di comunicazione all'interno del MoVimento 5 Stelle, perché questo potrebbe portare con sé delle conseguenze - qualcuno del MoVimento 5 stelle ha preso delle iniziative su un punto, quello delle soglie per la tracciabilità delle donazioni ai partiti, che non era in discussione.

Poi dice: con la Lega siamo d'accordo e, come sempre, riusciremo a trovare la soluzione ottimale. Di questo aspettiamo notizie in quest'Aula. Dunque la situazione è questa: il Governo prende delle decisioni a Palazzo Chigi. Se la linea del Wi-Fi si interrompe e qualcuno del MoVimento 5 Stelle prende delle decisioni autonome, il risultato è la modifica di un testo di legge da votare.

Questa scena si ripete in altre occasioni di merito, nel corso della discussione in Commissione, giacché, anche su un emendamento che avrebbe modificato la natura del reato di peculato, prima, devo dire correttamente, l'opinione dei relatori è sempre stata contraria all'emendamento presentato dalla Lega sulla modifica di quel reato, poi questo emendamento viene accantonato, la discussione prosegue per diverse ore, o forse, rispetto alla presentazione, anche per più ore, e infine quel testo presentato dalla Lega, che modifica il reato di peculato, viene ritirato. Dunque, la sintesi di un accordo o di un mancato accordo tra i due gruppi di maggioranza o di una mancanza di comunicazione tra le decisioni che avvengono a Palazzo Chigi e ciò che avviene dentro Palazzo Montecitorio modifica il senso, la scrittura di un testo di legge che modifica il codice penale, cioè che può modificare il destino di cittadini italiani che da queste decisioni possono essere coinvolti.

Ma non c'è solo questo, perché è già stato detto in quest'Aula prima: nel corso della discussione, mentre noi discutevamo sulla natura della modifica del regime della prescrizione - mi pare fosse la presidente Sarti a presiedere in quel momento, e chiedeva a noi, giustamente, la nostra opinione su ciò che andava intervenendo, e discutevamo, credo, se non ricordo male, sull'ammissibilità di un emendamento sulla prescrizione - giunge notizia in diretta da Facebook che il Ministro Bonafede, uscendo da Palazzo Chigi, annuncia che l'accordo c'è già; anzi, che l'accordo comprende una questione legittimamente di modifica del testo penale, del codice, e cioè che l'intervento sulla prescrizione potrà avere efficacia soltanto a partire da una certa data futura, ma che, anzi, deve intervenire solo qualora sarà già stata approvata la riforma del processo penale, cosa che, evidentemente, come la presidente poi mi pare abbia chiarito, non può intervenire in un emendamento, perché non si può rinviare all'applicazione di una modifica di legge che ancora non c'è. Tutto questo è successo, tutto questo è successo a scapito della possibilità dei deputati delle opposizioni di intervenire su ciò che stava accadendo. L'emendamento madre, quello che ha modificato il testo dei relatori, che ha modificato la questione della prescrizione, è stato presentato il 5 novembre; gli altri emendamenti, gli emendamenti complessivi al testo di legge, sono stati presentati sei giorni prima. I parlamentari che partecipavano ai lavori delle due Commissioni congiunte hanno, dunque, avuto la possibilità di discutere del termine della prescrizione, e solo di quello, e solo sul testo dell'emendamento, conseguente, peraltro, a una decisone avvenuta fuori di qui, a Palazzo Chigi, come annunciato in diretta dal Ministro Bonafede, soltanto una settimana dopo che il resto del provvedimento aveva avviato la propria discussione.

Vi è poi la questione molto dibattuta, cosa che ovviamente è legittima, è potere dei presidenti di Commissione, e per l'Aula sarà potere del Presidente dell'Aula, discernere sull'ammissibilità degli emendamenti, ma trovo, e vado a concludere, Presidente, incomprensibile che, qualora ci si restringa, si restringa all'opposizione il campo di azione su di un determinato argomento, proprio su quell'argomento gli emendamenti che vengono presentati vengano ritenuti inammissibili.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

EMANUELE FIANO (PD). Noi abbiamo avuto un allargamento di perimetro che non ha precedenti. Ci è stato precluso e ristretto il tema dell'emendabilità di quell'argomento ad un unico singolo emendamento. Sono stati respinti, come inammissibili, gli emendamenti su quel testo dei presentatori. Abbiamo saputo in diretta Facebook quale era l'opinione del Ministro e abbiamo infine saputo dal sottosegretario che su altri argomenti era stato un errore di alcuni membri del MoVimento 5 Stelle presentare l'emendamento. È la frase finale, Presidente: quando succede questo, quando per motivi di dissidio politico interno si decide, con decisioni tecniche, di limitare i tempi di discussione dell'opposizione, vuol dire che i tempi non sono buoni.

La riforma di un codice penale…

PRESIDENTE. Deve concludere.

EMANUELE FIANO (PD). …che ha come oggetto la sorte e la vita - ho finito, è l'ultima riga - dei cittadini non può essere frutto delle vostre discussioni interne, perché la democrazia dei cittadini non vi appartiene (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1189-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, sottosegretario Ferraresi. Prego.

VITTORIO FERRARESI, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Grazie, Presidente. Oggi è un orgoglio poter rappresentare il Governo su un provvedimento così importante per noi, come quello dell'anticorruzione, come quello della riforma della prescrizione, come quello della trasparenza sui finanziamenti ai partiti.

Noi dobbiamo cercare di tutelare, Presidente, una cosa molto importante; una cosa molto importante che, purtroppo, in tutte queste ore non ho sentito nominare da nessun rappresentante delle opposizioni, perché tutti hanno parlato di gravità dei provvedimenti, del Daspo ai corrotti, della riabilitazione, delle sanzioni accessorie, come se quell'imprenditore o quell'impresa che si macchia di gravi reati di corruzione fosse una vittima. E nessuno, in quest'Aula, nelle opposizioni, ha pensato a quelle imprese sane, a quelle imprese sane che hanno decine, centinaia di dipendenti che ogni anno falliscono, perché qualche impresa che corrompe gli frega il lavoro, perché qualche impresa che corrompe gli frega l'appalto e mette sulla strada queste persone, mette sulla strada persone oneste, persone che hanno diritto di lavorare, persone che rispettano le regole e stanno alle stesse, seguendo quello che gli appalti o il codice degli appalti gli dicono.

Allora, noi pensiamo a queste, perché se è vero che è giusto dare una sanzione accessoria pesante, già prevista nel nostro codice, ai corrotti e ai corruttori, è altrettanto giusto che queste persone non si avvicinino più a contratti pubblici o a un ufficio pubblico, perché questo tutela tutte quelle altre persone, che sono la maggioranza del Paese, che non sono state citate, che grazie a questa corruzione non lavorano e non danno da mangiare alle loro famiglie.

Di questo noi ci occupiamo; ci occupiamo di potenziare le indagini, per fare emergere i fatti di corruzione che non sono adeguatamente perseguiti, non sono adeguatamente scoperti; ci impegniamo a far rispettare nel nostro ordinamento e ad attuare nel nostro ordinamento delle richieste che derivano sia dall'ANAC, pluricitato, sia da organismi internazionali ed europei. Ci impegniamo a far fronte, visto che si critica tanto il fenomeno della percezione della corruzione, al fatto che la stessa Corte dei conti ci dice che le opere pubbliche in Italia costano il 40 per cento in più, per la corruzione.

Vedete, questo è un qualcosa di molto concreto, perché, prima, il collega di Fratelli d'Italia diceva: noi vogliamo certezza della pena per furti e rapine. Certo, collega, anche noi vogliamo certezza della pena, noi, però, la vogliamo per tutti, anche per i colletti bianchi. Perché, se è vero che una persona che compie un furto o una rapina li compie derubando di 50, 100, 200 euro, 500 euro o mille euro un singolo, i corrotti, i corruttori sottraggono al Paese miliardi di euro. Questi miliardi di euro non li sottraggono alla singola persona, li sottraggono a tutti noi e, forse, allora, lo percepiamo come un danno minore, ma non sono questi miliardi di euro risorse che potrebbero andare, invece, alla sanità, alla scuola, alle strade? Sono risorse che tolgono a tutti noi; sono risorse che vengono meno allo Stato, ma quello Stato, colleghi, siamo noi.

Ecco perché noi crediamo che questo sia un provvedimento epocale e necessario. Vedete, sono state dette numerose cose a cui vorrei anche solo in parte replicare. In Commissione è stato detto: alzare le pene non serve per contrastare la corruzione. A parte che il nostro intervento bilancia alcuni reati che non erano adeguatamente perseguiti dal punto di vista della pena, uniformando il sistema, ma il precedente intervento del Partito Democratico faceva proprio questo. Uno dei principali meriti che si era preso, oltre ad allungare la prescrizione sulla pena, era quello di alzare le pene, e mi sono sentito in Commissione, qui, dire: alzare le pene non serve. Guardate, l'innalzamento delle sanzioni, in questo progetto di legge, in questo disegno di legge, è una parte, una minima parte degli interventi che viene fatta; mentre nell'intervento precedente, sì, era una massima parte degli interventi che veniva fatta.

Per non parlare di tutti gli interventi citati; addirittura, io capisco prendersi il merito di aver reintrodotto il falso in bilancio, salvo poi abbassare le soglie di punibilità; io capisco aver introdotto l'ANAC, pur togliendoli poi, successivamente, i poteri; io capisco tutto, tranne prendersi il merito della norma sul whistleblowing che è una norma fortemente voluta dal gruppo 5 Stelle nella precedente legislatura e portata a casa grazie al contributo della forza di maggioranza che oggi rappresenta il Governo.

Per non parlare delle mistificazioni totali fatte sull'agente sotto copertura, mistificazioni che non hanno alcun senso di esistere, perché l'agente sotto copertura è una norma già prevista nel nostro ordinamento, è un istituto già ampiamente discusso dalla giurisprudenza del nostro Paese, che ha delimitato pacificamente, in modo tranquillo, questo istituto all'interno del nostro ordinamento, senza alcun tipo di problema. Non siamo davanti all'agente provocatore; siamo davanti a una richiesta che ci viene fatta, anche da impegni che l'Italia ha preso a livello internazionale, per il contrasto alla corruzione, niente di più, niente di meno. E, soprattutto, siamo davanti a un istituto che permetterà veramente di potenziare e di fare emergere la corruzione, perché il vero problema, oltre alla prevenzione è il fatto di scovare qualcosa che, purtroppo, nonostante i danni, non viene portato alla luce.

Si parlava, appunto, prima, del mercato, delle liberalizzazioni; addirittura, il collega Zanettin ha voluto dire che la corruzione in realtà è un falso problema, perché la corruzione sta nei codicilli, la corruzione si combatte ampliando al mercato, ampliando le liberalizzazioni, ma se quel mercato è drogato dalla corruzione stessa, se quel mercato, quei codicilli sono in qualche modo messi all'angolo da imprese che corrompono, ma mi spiegate come fa il mercato a sostenere un'attività del genere se lo stesso è influenzato da società criminali o da azioni criminali?

Io credo che, anche in questo caso, si sia di fronte a una sorta di incredibile mancanza di connessione con la realtà e, in connessione con la realtà, mi riferisco anche al fenomeno della prescrizione, io voglio dire che i dati sono stati consegnati alla Commissione in tempi ragionevoli per la discussione, mi riferisco ai dati sulla prescrizione come sono stati richiesti e, successivamente, mi dispiace che anche qui sia stato detto che i successivi dati disaggregati non sono stati consegnati, perché, evidentemente, le persone che hanno lasciato la Commissione, non si sono rese conto che poi alla fine questi dati sono stati consegnati e il fatto che siano stati consegnati successivamente, pochi giorni dopo che una richiesta era già stata adempiuta, ci fa ovviamente sorridere, da questo punto di vista, come ci fa sorridere il fatto che si dica: la maggior parte dei reati si prescrive nelle fasi delle indagini preliminari, gli avvocati non c'entrano niente, oppure, comunque, il vostro intervento non è efficace.

È ovvio che in una situazione giustizia quale quella che ci è stata lasciata dai Governi precedenti - e qui non mi riferisco solo all'ultimo, ma a tutti i Governi precedenti, in cui la giustizia è stata usata come un qualcosa da cui togliere solamente le risorse, allo sbando totale, perché si voleva fare in modo che questa non funzionasse – che qualcuno di Fratelli d'Italia o di Forza Italia mi venga a dire che questa stabilità non immette risorse sufficienti, quando va a fare in modo che siano aumentate in modo esponenziale le risorse per il personale amministrativo delle cancellerie (3000 assunzioni in tre anni, più 5000 di turnover), per l'aumento della dotazione organica dei magistrati (assunzione di seicento magistrati), oltre alle facoltà assunzionali, cosa che non avveniva dal 2001, ci fa francamente sorridere. Se volevate far funzionare la giustizia, colleghi, forse, dovevate investire un po' di più negli anni precedenti e, invece, non l'avete fatto.

Ebbene, questo ha creato il fatto che molti magistrati, davanti a una platea elevatissima di soggetti indagati, valutino il fatto che alcuni reati, purtroppo - visto che appunto il fenomeno della prescrizione si può tenere sotto controllo, perché si può valutare la durata del procedimento e il momento della prescrizione stessa - non si possano perseguire, perché ovviamente alcuni sono già etichettati come prescritti, ancor prima di partire.

Ed è questo il motivo per il quale, senza risorse e con grandi difficoltà, non tutti i reati vengono perseguiti, o almeno non vengono perseguiti con celerità: si mettono davanti i reati che hanno speranza di finire quantomeno con un accertamento. Sarebbe una follia portare avanti con priorità un reato che so già essere prescritto. È questo il motivo per il quale la gran parte di reati finisce in prescrizione prima del processo! Ed è questo il motivo per il quale quelli che invece finiscono a processo, in cui si spendono risorse da parte di magistrati, di personale, di vittime, di avvocati devono, irrimediabilmente, immancabilmente arrivare a sentenza definitiva: che quelli che si considerano tali da poter arrivare alla fine, con un accertamento definitivo, che quelli di cui il magistrato ha operato una valutazione e ha detto “ce la possiamo fare”, finiscano ugualmente in prescrizione, ciò è inaccettabile per uno Stato civile, è inaccettabile!

Allora, è ovvio che se io devo andare a dire ad una persona, dopo tutto lo sforzo e le risorse impiegate - il reato dev'essere scoperto, devono partire le indagini, dev'essere chiesto il processo, c'è la costituzione di parte civile, inizia il dibattimento, sentenza di primo grado, sentenza di secondo grado -, o ad una vittima che ha subito anche dei gravi reati, che tutto ciò che ha fatto in questi anni non porterà mai a niente perché tutto finirà in un cestino?

Io non me la prendo la responsabilità di vivere in un Paese del genere, perché, vedete, come dite voi, la durata ragionevole dei processi è assolutamente una priorità di questo Governo, ma non accetto ciò da forze politiche che non hanno mai investito nella giustizia perché si tratterebbe di un'ipocrisia. Possiamo però dire che uno Stato deve rinunciare all'accertamento della verità per controbilanciare il fatto della ragionevole durata dei processi? Guardate, io nella scorsa legislatura ho partecipato a dei dibattiti in sede di riforma della prescrizione con professori e magistrati che non la pensavano come noi. Ovviamente, poi, c'è chi cambia idea nel frattempo, ma di questo però non mi prendo la responsabilità, cioè di persone che cambiano idea, ma hanno tutti detto: guardate, la prescrizione è una cosa, la ragionevole durata dei processi è un'altra, nonostante io, onorevole Ferraresi, non condivida la sua idea di prescrizione. Devono essere tutelate entrambe! La prescrizione è un tempo che scorre e crea una situazione di oblio, ma crea il fatto che una persona non può, ovviamente, stare lì all'infinito, per un semplice fatto, cioè non per il fatto della ragionevole durata, ma per il fatto che lo Stato non ha nessun interesse ad accertare quel fatto: la prescrizione serve a quello! Se lo Stato dimostra la volontà di accertare un fatto, Presidente, ed è ovvio che con una sentenza si dimostra la volontà di accertarlo, quel fatto, è incomprensibile che arrivi la prescrizione.

Allora, io non dico che non tengo alla ragionevole durata dei processi. Io dico che con la riforma della prescrizione, un investimento forte nella giustizia come è stato fatto da questo Governo ed è già in legge di stabilità - questo è incontrovertibile -, ed una riforma del processo penale si possono garantire ragionevole durata dei processi, certezza e giustizia alle persone che hanno sofferto, ma che tramite la prescrizione, in questo momento, vengono sbeffeggiate e colpite due volte.

Ci aspettiamo, ovviamente, anche sull'altra parte, sulla trasparenza ai partiti, una collaborazione, perché è un punto molto importante. È stato detto più volte: cosa c'entra il finanziamento ai partiti? Qui non si parla di finanziamento ai partiti, qui si parla di trasparenza e tracciabilità dei finanziamenti ai partiti. La trasparenza, colleghi, è l'arma di prevenzione migliore per il contrasto al crimine e per il contrasto alla corruzione. Su queste basi noi abbiamo intavolato un discorso che ci porterà ad approvare una vera riforma dell'anticorruzione, a mettere risorse che aspettavamo da decenni sulla giustizia, a dare risposta alle vittime del reato e a far sì che i partiti e le fondazioni abbiano un forte incentivo ad essere sempre più trasparenti e quanto a questo ne va anche della loro dignità e della loro “faccia” rispetto ai cittadini.

Con tutto questo noi approveremo un provvedimento che migliorerà la qualità della vita degli italiani, farà recuperare risorse utili, disincentiverà i disonesti, incentiverà le imprese oneste e farà in modo anche di garantire quella trasparenza che di fatto non c'è mai stata, e che di fatto ha creato una cattiva immagine del nostro Paese e della politica tutta.

PRESIDENTE. Specifico che è stata data la parola al Governo in quanto i relatori avevano già comunicato alla Presidenza di rinunciare all'intervento in fase di replica.

(Annunzio di questioni pregiudiziali – A.C. 1189-A)

PRESIDENTE. Avverto che a norma dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Zanettin ed altri n. 1 e Migliore ed altri n. 2, che saranno esaminate e poste in votazione prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento.

Come già previsto nel vigente calendario dei lavori, a norma dell'articolo 119, comma 4, del Regolamento, il seguito dell'esame del provvedimento sarà iscritto all'ordine del giorno a partire dalla seduta di domani, e vi si procederà ove il parere della Commissione bilancio confermi che dal provvedimento non derivano oneri finanziari.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Carlo Fatuzzo. Ne ha facoltà.

CARLO FATUZZO (FI). Signora Presidente Edera Spadoni, ho letto una pagina intera del Corriere della Sera e ho riflettuto molto sull'argomento che domani noi celebreremo il centenario della costruzione di quest'Aula della Camera dei deputati. Sono stato talmente coinvolto dalla solennità della cosa, dalla riflessione su tutto quello che è successo in quest'Aula negli ultimi cento anni, che noi abbiamo letto sui libri di storia in buonissima parte, che mi sono chiesto se io personalmente, io Carlo Fatuzzo, sono nel giusto e rispettoso della dignità del Parlamento quando concludo i miei interventi dicendo: “Viva i pensionati, pensionati, all'attacco”.

Qualche voce mi è giunta, anche direttamente in occasione di interventi di questo tipo, per cui, insomma, io lederei in questo modo la dignità del Parlamento. Io rifletterò, ho riflettuto e rifletterò ancora su questo, ma mi chiedo se non sia invece indecoroso “turpiloquiare” in quest'Aula, dire parolacce, addirittura vedere partire dall'estrema destra all'estrema sinistra e viceversa colleghi che cercano di andare a vie di fatto. Credo che invece sia giusto ricordare, anche se in modo esclamativo, i pensionati, che tanto hanno lavorato e costruito in questi cento anni. Quindi, viva i pensionati, pensionati, all'attacco!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il collega Alfredo Bazoli. Ne ha facoltà.

ALFREDO BAZOLI (PD). Presidente, un giovane giornalista bresciano, Federico Gervasoni, che è collaboratore de La Stampa di Torino, è da qualche mese oggetto di minacce e intimidazioni sempre più esplicite sul web da parte di esponenti e gruppi neofascisti. Gervasoni è colpevole semplicemente di aver fatto il suo dovere, il suo mestiere. Tramite inchieste pubblicate da La Stampa ha disvelato l'esistenza a Brescia di movimenti neofascisti, che si stanno costituendo o ricostituendo, e da allora è oggetto di queste minacce, che sono tanto più preoccupanti perché a Brescia da qualche tempo ci sono episodi che coinvolgono, appunto, gruppi neofascisti e che sono abbastanza inquietanti: penso alle ronde del gruppo Brixia Blue Boys, penso all'apertura di sedi di Forza Nuova e di CasaPound, che anch'esse hanno fatto simili ronde in quartieri della città, penso all'aggressione da parte di 12 neofascisti appartenenti a Veneto Skinhead in un quartiere della città in una sera di settembre.

Allora, noi vogliamo, io voglio testimoniare con questo mio intervento la mia personale solidarietà e la solidarietà di tutto il gruppo del Partito Democratico a Federico Gervasoni.

Non lasceremo nulla di intentato per combattere la rinascita, il rigurgito di movimenti neofascisti a Brescia come in tutta Italia, come dimostrato dal fatto che abbiamo depositato e discusso nei giorni scorsi una mozione che impegna il Governo a contrastare questi fenomeni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 20 novembre 2018 - Ore 15:

1. Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate):

Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici (ai sensi dell'articolo 69, comma 1, del Regolamento) (ove il parere della Commissione Bilancio confermi che dal provvedimento non derivano oneri finanziari). (C. 1189-A)

e dell'abbinata proposta di legge: COLLETTI ed altri. (C. 765)

Relatori: FORCINITI (per la I Commissione) e BUSINAROLO (per la II Commissione), per la maggioranza; SISTO e MIGLIORE (per la I Commissione) e COSTA e BAZOLI (per la II Commissione), di minoranza.

2. Seguito della discussione della proposta di legge:

BALDELLI ed altri: Modifica all'articolo 12 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, concernente l'esercizio di funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta da parte dei dipendenti delle società concessionarie della gestione dei parcheggi e delle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone (ove il parere della Commissione Bilancio confermi che dal provvedimento non derivano oneri finanziari). (C. 680)

Relatore: BALDELLI.

3. Seguito della discussione delle mozioni Fiano ed altri n. 1-00072 e Fornaro ed altri n. 1-00078 recanti iniziative volte al contrasto della violenza neofascista e neonazista .

La seduta termina alle 17,25.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: FRANCESCA BUSINAROLO (A.C. 1189-A)

FRANCESCA BUSINAROLO, Relatrice per la maggioranza per la II Commissione. (Relazione – A.C. 1189-A). Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame del disegno di legge C. 1189 ed abbinata, recante misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici che è stato presentato dal Governo alla Camera il 24 settembre 2018 ed è stato assegnato in sede referente alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia, che ne hanno avviato l'esame il 4 ottobre, decidendo di svolgere audizioni informali.

Segnalo che il testo del disegno di legge trasmesso dal Governo al capo I modificava il codice penale, il codice di procedura penale, il codice civile, l'ordinamento penitenziario e alcune leggi speciali, con l'obiettivo di potenziare l'attività di prevenzione, accertamento e repressione dei reati contro la pubblica amministrazione. Nel corso dell'esame in sede referente, le Commissioni riunite hanno deliberato di ampliare il perimetro dell'intervento normativo, al fine di includervi il tema della prescrizione oltre che le materie direttamente investite dal testo originario. In relazione a ciò è stato svolto (il 12 novembre) un ulteriore ciclo di audizioni e d è stata abbinata la proposta di legge Colletti C. 765 recante modifiche al codice penale in materia di prescrizione dei reati.

Come specificato nella relazione illustrativa del provvedimento, l'intervento normativo è determinato dalla convinzione che «i reati contro la pubblica amministrazione siano delitti seriali e pervasivi, che si traducono in un fenomeno endemico, il quale alimenta mercati illegali, distorce la concorrenza, costa alla collettività un prezzo elevatissimo, in termini sia economici, sia sociali».

Gli interventi proposti dal Governo si aggiungono alle misure già introdotte nelle ultime due legislature: si pensi, soprattutto, per la XVI legislatura all'approvazione della legge 6 novembre 2012, n. 190, (c.d. legge Severino) e, per la XVII legislatura, all'approvazione della legge 27 maggio 2015, n. 69 (c.d. legge Grasso).

Il Governo motiva le modifiche all'ordinamento penale previste dal disegno di legge con l'esigenza di recepire alcune raccomandazioni rivolte al nostro legislatore da organismi internazionali, quali l'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), attraverso l'attività del Working Group on Bribery, chiamato a verificare l'attuazione della Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali (1997), ed il Consiglio d'Europa, attraverso l'attività del Gruppo di Stati contro la corruzione, GRECO.

Le Commissioni hanno approvato numerose modifiche al testo, tra le quali anche una modifica al titolo; l'A.C. 1189-A, all'esame dell'Assemblea della Camera si compone ora di 16 articoli, suddivisi in due capi.

Il Capo I (artt. 1-9) è relativo a Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione nonché in materia di prescrizione del reato.

Il Capo II (artt. 10-16) è relativo a misure in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici.

Nella relazione mi limiterò a illustrare il contenuto delle disposizioni da 1 a 8 del disegno di legge le cui disposizioni attengono principalmente alla competenza della Commissione Giustizia. Sulle restanti disposizioni (dall'articolo 9 all'articolo 16) si soffermerà, invece, il relatore per la I Commissione.

Segnalo, quindi, che l'articolo 1 del disegno di legge prevede una serie di modifiche al codice penale che - in relazione ai reati contro la pubblica amministrazione – mirano, in particolare: a conformare l'ordinamento interno agli obblighi convenzionali in materia di corruzione; ad inasprire e ad ampliare l'ambito applicativo delle sanzioni accessorie; ad aumentare le pene e riformulare specifici reati; a prevedere la collaborazione come speciale causa di non punibilità e ad introdurre nuove ipotesi di procedibilità d'ufficio, nonché a introdurre modifiche all'istituto della prescrizione.

In particolare, le lettere a) e b) del comma 1 aboliscono la necessità della richiesta del Ministro della giustizia e della denuncia della persona offesa per il perseguimento di reati di corruzione e di altri delitti contro la pubblica amministrazione commessi all'estero da un cittadino italiano o straniero presente sul territorio nazionale, tramite l'introduzione di un nuovo comma agli articoli 9 e 10 del codice penale. La finalità di tali disposizioni è quella di adeguare il diritto interno agli strumenti di lotta alla corruzione previsti dal Consiglio d'Europa.

La lettera c), riformulando l'articolo 32-quater c.p., amplia il catalogo dei reati commessi in danno o a vantaggio di un'attività imprenditoriale (o comunque in relazione ad essa) alla cui condanna consegue l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Ai reati già previsti dall'articolo 32-quater sono aggiunti: il peculato, escluso quello d'uso (articolo 314, primo comma); la corruzione in atti giudiziari (articolo 319-ter); il traffico di influenze illecite (articolo 346-bis). Per coordinamento, il delitto di attività attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti viene ora riferito all'art. 452-quaterdecies c.p., anziché all'art. 260 del Codice dell'ambiente (abrogato dall'art. 7 del decreto legislativo n. 21 del 2018, sulla riserva di codice).

La lettera m), modificando l'art. 317-bis c.p., integra il catalogo dei reati alla cui condanna consegue la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici (perpetua o temporanea).

Agli attuali reati di peculato (art. 314), concussione (art. 317), corruzione propria (art. 319) e corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter), alla cui condanna consegue l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, sono aggiunti dalla lettera m): la corruzione impropria (art. 318); la corruzione propria aggravata (art. 319-bis); l'induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater, primo comma), la corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art. 320), la corruzione attiva (art. 321), l'istigazione alla corruzione (art. 322), i reati di corruzione nelle sue diverse forme commessi da membri della Corte penale internazionale, da organi e funzionari dell'Unione europea o di Stati esteri (art. 322-bis), il traffico di influenze illecite (art. 346-bis).

Un'ulteriore modifica all'art. 317-bis inasprisce la disciplina dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici in relazione alla condanne per i citati reati contro la P.A.

Oltre all'indicato ampliamento del catalogo degli illeciti, è aumentata la durata della misura accessoria temporanea prevedendo un minimo di 5 e un massimo di 7 anni (i limiti ordinari sono fissati tra 1 e 5 anni): in caso di condanna alla reclusione per un tempo inferiore a due anni (l'attuale limite è di tre anni); ove ricorra l'attenuante della particolare tenuità degli illeciti (art. 323-bis, primo comma).Si prevede, invece, che l'interdizione temporanea sia compresa tra un anno e cinque anni in caso di collaborazione cioè quando il condannato si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite (art. 323-bis, secondo comma).

In conseguenza dell'ampliamento alla prescrizione del reato del perimetro del disegno di legge disposto nel corso dell'esame in sede referente, sono state inserite le lettere d), e) e f) che modificano, rispettivamente, gli artt. 158, 159 e 160 del codice penale.

La lettera d) sostituisce il primo comma dell'art. 158 relativo alla decorrenza del termine di prescrizione del reato.

La novità introdotta riguarda il termine di decorrenza per il reato continuato, fissato al giorno di cessazione della continuazione (si tratta di un ritorno alla disciplina anteriore alla legge ex Cirielli del 2005).

Ulteriori, rilevanti modifiche sono introdotte alla disciplina della sospensione della prescrizione.

La lettera e) sostituisce, infatti, il secondo comma dell'art. 159 c.p. stabilendo che, oltre che nelle ipotesi del primo comma, il corso della prescrizione viene sospeso dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di condanna che di assoluzione) o dal decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto.

Per motivi di coordinamento con le nuove ipotesi di sospensione della prescrizione sono abrogati il terzo e il quarto comma dello stesso art. 159.

La lettera f), infine - anche in tal caso, per esigenze di coordinamento con quanto previsto dal nuovo secondo comma dell'art. 159 – abroga il primo comma dell'art. 160 c.p. che attualmente individua come cause di interruzione del corso della prescrizione la pronuncia della sentenza di condanna o il decreto penale di condanna.

Il comma 2 dell'articolo 1 del disegno di legge fissa al 1° gennaio 2020 l'entrata in vigore della disciplina della prescrizione introdotta dai novellati articoli 158, 159 e 160 del codice penale.

Le lettere g) ed h) – sempre nell'ottica di ampliamento e inasprimento delle sanzioni accessorie per reati contro la pubblica amministrazione - introducono modifiche in materia di sospensione condizionale della pena. In particolare, la lettera g) modifica il quarto comma dell'articolo 165 c.p. relativo agli obblighi del condannato per specifici reati contro la pubblica amministrazione che accede alla sospensione condizionale. In particolare, la novella prevista dalla lettera g), come modificata nel corso dell'esame in sede referente: aggiunge al catalogo dei reati di cui all'art. 165, quarto comma, la corruzione attiva (art. 321 c.p.) cioè la corruzione da parte del privato; estende l'obbligo del pubblico ufficiale (o dell'incaricato di pubblico servizio) al pagamento all'amministrazione lesa della somma determinata a titolo di riparazione pecuniaria ex art. 322-quater, cioè della somma equivalente al prezzo o al profitto del reato.

La lettera h) modifica, invece, l'articolo 166 c.p. relativo agli effetti della sospensione condizionale della pena, prevedendo che il giudice, nella sentenza di condanna per specifici reati contro la pubblica amministrazione, possa disporre – in deroga alla regola generale - che la sospensione condizionale della pena non estenda gli effetti anche all'interdizione dai pubblici uffici e alla incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.

La lettera i) interviene sugli effetti della riabilitazione. Come noto, quest'ultima estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, salvo sia diversamente stabilito dalla legge (art. 178 c.p.).

Il disegno di legge, così come modificato nel corso dell'esame in sede referente: aggiunge un settimo comma all'art. 179 c.p. che, derogando alla regola generale dell'art. 178, stabilisce che la riabilitazione concessa sulla base della disciplina dello stesso articolo 179, non ha effetto sulle pene accessorie perpetue; prevede la dichiarazione di estinzione della pena accessoria perpetua quando sia decorso un termine di almeno sette anni e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta.

La lettera l), introdotta nel corso dell'esame in sede referente, integra il primo comma dell'art. 316-ter c.p., aggiungendo un'aggravante del delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato quando l'illecito è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri; in tali ipotesi, la pena è della reclusione da uno a quattro anni (anziché da sei mesi a tre anni).

Con la lettera n) sono inasprite le pene previste dall'articolo 318 c.p. a carico del pubblico ufficiale per il reato di corruzione per l'esercizio della funzione (corruzione impropria): è aumentata infatti la pena della reclusione sia nei limiti minimi (da uno a tre anni) che in quelli massimi (da sei a otto anni), con conseguente aumento anche dei termini di prescrizione del reato.

La successiva lettera o) amplia l'ambito applicativo dell'art. 322-bis c.p. che sanziona attualmente i reati di corruzione commessi da membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri.

La riforma aggiunge, al primo comma, due nuovi numeri che estendono la portata incriminatrice dell'art. 322-bis: a funzionari extra UE ovvero a chi esercita, nelle organizzazioni pubbliche internazionali, funzioni corrispondenti a quelle di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (n. 5-ter); ai membri di assemblee parlamentari internazionali o organizzazioni internazionali o sovranazionali nonché ai funzionari delle corti internazionali (n. 5-quater).

Una seconda modifica introdotta dalla lettera o) riguarda il secondo comma, n. 2) dello stesso art. 322-bis. La novella amplia l'ambito applicativo della disposizione con riguardo ai funzionari esteri, eliminando l'elemento finalistico dei reati di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater, secondo comma), di corruzione attiva (art. 321) e di istigazione alla corruzione (art. 322, primo e secondo comma). Viene, infatti, soppresso il riferimento al fatto “commesso per procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio in operazioni economiche internazionali ovvero per ottenere o mantenere un'attività economica o finanziaria”.L'integrazione del contenuto della rubrica dell'articolo 322-bis c.p. è, infine, dettata dalla necessità di coordinamento con le modifiche introdotte dalla lettera l) alla stessa disposizione.

La lettera p), introdotta nel corso dell'esame in sede referente, aggiunge al codice penale l'art. 322-ter.1 con cui è stabilito che i beni diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, oggetto di sequestro nell'ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti contro la PA compresi tra gli articoli 314 e 320 del codice penale, possono essere affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale, agli organi di polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative. La previsione è modellata su quella per la custodia dei beni sequestrati nei procedimenti per reati tributari (art. 18-bis, D.Lgs. 74/2000).

Alcune modifiche sono introdotte dalla lettera q), così come riformulata nel corso dell'esame in sede referente, al citato art. 322-quater c.p. relativo alla riparazione pecuniaria conseguente a condanne per reati contro la PA.

Anche in tale caso viene: esteso l'obbligo del pagamento della somma a titolo di riparazione pecuniaria anche al privato corruttore (art. 321 c.p.); soppresso il riferimento a quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale (o dall'incaricato di pubblico servizio); stabilito che la somma da pagare da parte del condannato sia quella equivalente al prezzo o al profitto del reato a titolo di riparazione pecuniaria in favore della pubblica amministrazione lesa dalla condotta illecita.

La lettera r), modificata nel corso dell'esame in sede referente, inserisce nel codice penale il nuovo articolo 323-ter, con il quale si introduce nell'ordinamento una causa speciale di non punibilità per alcuni delitti contro la pubblica amministrazione, in presenza di collaborazione.

Il catalogo di delitti cui fa riferimento il comma 1 della disposizione è il seguente: corruzione impropria (art. 318); corruzione propria (art. 319); corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter); induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater), corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art. 320); corruzione attiva (art. 321); delitti di corruzione e di induzione indebita commessi da membri della Corte penale internazionale, da organi e funzionari dell'Unione europea o di Stati esteri (ex art. 322-bis); traffico di influenze illecite (art. 346-bis); turbata libertà degli incanti (art. 353); turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353-bis); astensione dagli incanti (art. 354).

In relazioni a questi fatti, caratterizzati da un accordo illecito, non è punibile colui che: li denuncia volontariamente; fornisce indicazioni utili per assicurare la prova del reato; fornisce indicazioni utili per individuare gli altri responsabili.

Per l'applicazione della causa di non punibilità occorre però anche che l'interessato sveli la commissione del fatto prima: che il suo nome sia iscritto sul registro degli indagati (ex art. 335 c.p.p.); che l'iscrizione sia conoscibile nei casi in cui la stessa sia aggiornata per la diversa qualificazione del fatto-reato o se il PM abbia disposto il segreto sulle iscrizioni (art. 335, commi 2 e 3-bis, c.p.p.) e, comunque, entro 6 mesi dalla commissione del fatto stesso.

Il secondo comma del nuovo articolo 323-ter individua ulteriori presupposti per l'applicazione della causa di non punibilità al fatto commesso dal pubblico ufficiale, dall'incaricato di un pubblico servizio o dal trafficante di influenze illecite. Questi soggetti devono infatti mettere a disposizione, alternativamente, l'utilità percepita o, se questo è impossibile, mettere a disposizione una somma di denaro di valore equivalente o fornire elementi utili ad individuare il beneficiario effettivo dell'utilità.

Infine, il terzo comma 3 specifica che la causa di non punibilità non si applica quando la denuncia è preordinata rispetto alla commissione del reato denunciato.

La lettera s) abroga il delitto di millantato credito, previsto attualmente dall'articolo 346 del codice penale. La fattispecie abrogata è ricompresa nella nuova formulazione del delitto di traffico di influenze illecite (articolo 346-bis c.p.), introdotta dalla lettera t), in modo da soddisfare appieno gli obblighi internazionali sottoscritti, che impongono la punibilità indipendentemente dal fatto che la mediazione sia stata veritiera o mendace.

Rispetto alla normativa vigente, la riforma punisce il traffico di influenze illecite con la reclusione da 1 a 4 anni e mezzo; estende i casi in cui al “mediatore” non si applica la fattispecie di traffico di influenze, bensì le ipotesi più gravi di concorso nel reato corruttivo; prevede che il reato possa essere commesso anche sfruttando o vantando relazioni con pubblici ufficiali e funzionari di organismi internazionali, dell'Unione europea e di Stati esteri; prevede quale contropartita degli accordi illeciti non soltanto la prestazione patrimoniale («denaro o altro vantaggio patrimoniale», nella vigente formulazione della norma), ma «denaro o altra utilità»; integra la formulazione dell'aggravante.

La lettera u), introdotta nel corso dell'esame in sede referente, aumenta le pene per il delitto di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) prevedendo la reclusione da due a cinque anni e la multa da 1.000 a 3.000 euro (attualmente, reclusione fino a tre anni e multa fino a 1.032 euro).

Infine, la lettera v) del comma 1, interviene sull'articolo 649-bis del codice penale, estendendo le ipotesi di perseguibilità d'ufficio di alcuni delitti contro il patrimonio, tra i quali figura l'appropriazione indebita.

L'articolo 2 abroga il comma 2 del D.Lgs. 216 del 2017 (di attuazione della riforma delle intercettazioni) che prevede che l'intercettazione di comunicazioni tra presenti nelle abitazioni o in altri luoghi di privata dimora (i luoghi indicati dall'articolo 614 c.p.) non può essere eseguita mediante l'inserimento di un captatore informatico su dispositivo elettronico portatile (cd. trojan) quando non vi è motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa.

La disposizione ha natura di coordinamento con quanto previsto dall'art. 266 c.p.p. come modificato dall'art. 3 del disegno di legge

L'articolo 3 novella il codice processuale penale, per ampliare l'uso delle intercettazioni nei procedimenti per reati contro la PA nonché per una più estesa applicazione delle pene accessorie in relazione agli stessi reati, eliminando gli automatismi procedurali che ne limitano attualmente l'ambito.

La lettera a), inserita nel corso dell'esame in sede referente - novellando il comma 2-bis dell'art. 266 c.p.p. - consente sempre le intercettazioni mediante l'uso dei captatori informatici (cd. trojan) su dispositivi elettronici portatili nei procedimenti per delitti contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata ai sensi dell'art. 4 c.p.p.

In relazione al nuovo contenuto dell'art. 266 c.p.p., la lettera b), anch'essa introdotta in sede referente, modifica l'art. 267 c.p.p. per derogare – in relazione alle intercettazioni con uso dei citati captatori informatici (trojan) nei procedimenti per delitti contro la PA puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni – alla regola generale che prevede che il decreto motivato del GIP debba indicare le circostanze di tempo e di luogo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono.

La lettera c), introdotta nel corso dell'esame in sede referente, aggiunge al codice processuale penale l'art. 289-bis, che prevede che, con il provvedimento che dispone il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, il giudice dispone l'interdizione temporanea dell'imputato nella conclusione di contratti con la stessa P.A. salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio.

La nuova disposizione aggiunge che tale misura, se si procede per reati contro la PA, può essere disposta anche fuori dei limiti di pena previsti dall'art. 287, comma 1, quindi anche per reati puniti con reclusione inferiore a tre anni.

Attualmente, il divieto di concludere contratti con la PA - di durata tra 1 e 5 anni, ex art. 32-ter c.p. - può essere adottato nei confronti del solo condannato in via definitiva per i reati indicati dall'art. 32-quater c.p., tra cui una specifica serie di delitti contro la PA commessi in relazione ad un'attività imprenditoriale. Dunque il nuovo art. 289-bis c.p.p.: stante il riferimento all'imputato, anticipa gli effetti della misura alla fase processuale; può essere adottato nei procedimenti per ogni reato contro la pubblica amministrazione.

La lettera d), inserita in sede referente, aggiunge la lettera m-quinquies) al comma 2 dell'art. 380 c.p.p., così prevedendo fuori degli ordinari limiti di pena l'arresto obbligatorio in flagranza per i seguenti delitti contro la pubblica amministrazione: il peculato (escluso quello d'uso, art. 314 primo comma); la concussione (art. 317); la corruzione impropria (art. 318); la corruzione propria, semplice (art. 319) e aggravata (art. 319-bis); la corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter); l'induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater, primo comma), la corruzione di persona incaricata di pubblico servizio (art. 320); la corruzione attiva (art. 321); l'istigazione alla corruzione (art. 322); i reati di corruzione nelle sue diverse forme commessi da membri della Corte penale internazionale, da organi e funzionari dell'Unione europea o di Stati esteri (art. 322-bis); il traffico di influenze illecite (art. 346-bis).

La lettera e), introdotta nel corso dell'esame in sede referente, aggiunge al comma 2 dell'art. 407 c.p.p. il n. 7-ter) che - derogando alla regola generale del comma 1 che fissa in diciotto mesi la durata delle indagini preliminari – stabilisce che per i delitti contro la pubblica amministrazione per i quali l'art. 380 c.p.p.(come sopra novellato) prevede l'arresto obbligatorio in flagranza la durata massima delle indagini preliminari è stabilita in due anni.

La lettera f) aggiunge all'articolo 444 c.p.p. un nuovo comma 3-bis che prevede che la parte, nel formulare la richiesta di patteggiamento nei procedimenti per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione possa subordinare l'efficacia della stessa all'esenzione dalle pene accessorie previste dall'articolo 317-bis del codice penale o, in caso di applicazione delle citate pene accessorie, all'estensione degli effetti della sospensione condizionale (ex articolo 163 c.p.) anche a queste ultime. Analogamente a quanto previsto dall'articolo 444, comma 3, se il giudice non ritiene di accedere alle indicate condizioni (cioè intenda applicare le pene accessorie o non sospenderne l'efficacia) rigetta la richiesta di patteggiamento.

La lettera g), al numero 2) – con un nuovo comma 1-ter dell'articolo 445 c.p.p. - intende affidare alla discrezionalità del giudice l'applicazione delle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici (articolo 317-bis c.p.) nel caso di pena patteggiata per i più gravi reati. In virtù della clausola di salvezza introdotta dalla lettera g) numero 1) all'articolo 445, comma 1, c.p.p., l'applicazione delle indicate pene accessorie potrà essere valutata dal giudice anche in caso di pena concordata fino a due anni di reclusione (articolo 445, comma 1, secondo periodo).

Con la lettera h) viene integrata la formulazione dell'articolo 578-bis c.p.p. per estendere la competenza del giudice dell'impugnazione, a fronte dell'estinzione del reato per amnistia o prescrizione, anche alla decisione sulla confisca allargata o per equivalente di cui all'articolo 322-ter c.p. ovvero sulla confisca del prezzo o del profitto illecito (o dell'equivalente del prezzo o del profitto) nei procedimenti per i delitti contro la P.A. previsti dagli artt. 314-320 c.p, anche se commessi dai pubblici ufficiali o funzionari stranieri indicati all'articolo 322-bis, primo comma, del codice penale.

La lettera i), novellando l'articolo 683 c.p.p., assegna al tribunale di sorveglianza (competente sulla concessione e sulla revoca della riabilitazione) anche la competenza a dichiarare l'estinzione della pena accessoria nel caso di cui all'articolo 179, settimo comma, del codice penale. L'ulteriore modifica introdotta dalla lettera i) non ha contenuto innovativo, ma di semplice coordinamento normativo.

L'articolo 4 interviene sulle disposizioni penali in materia di società, consorzi ed altri enti privati contenute nel codice civile, per prevedere la procedibilità d'ufficio per i delitti di corruzione tra privati (articolo 2635 c.c.) e di istigazione alla corruzione tra privati (articolo 2635-bis c.c.). In particolare, l'articolo 4 del disegno di legge abroga il quinto comma dell'art. 2635 c.c. e il terzo comma dell'art. 2635-bis c.c. che prevedono, per ciascuno dei delitti, la procedibilità a querela della persona offesa, da individuarsi nella società o ente privato, che può esercitare tale diritto per mezzo dell'assemblea (qualora sia ravvisabile un'offesa "interna") o tramite gli amministratori (qualora l'offesa provenga dall'"esterno"). L'abrogazione comporta la procedibilità d'ufficio tanto per il delitto di corruzione tra privati quanto per quello di istigazione alla corruzione.

L'articolo 5 del disegno di legge interviene, al comma 1, sull'articolo 4-bis, comma 1, dell'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) per inserire alcuni delitti contro la pubblica amministrazione nel catalogo dei reati che precludono, in caso di condanna, l'accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione, a meno di collaborazione con la giustizia. Il comma 2, inserito dalle Commissioni di merito, integra la formulazione del comma 12 dell'art. 47 dell'ordinamento penitenziario, disposizione relativa all'affidamento in prova al servizio sociale. La novella introdotta al comma 12 dell'art. 47 esclude che l'esito positivo del periodo di prova estingua anche le pene accessorie perpetue.

L'articolo 6 è volto ad estendere la disciplina delle operazioni di polizia sotto copertura al contrasto di alcuni reati contro la pubblica amministrazione, ossia le fattispecie riconducibili alla corruzione, nonché i delitti di turbata libertà degli incanti e di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. A tal fine è modificato l'articolo 9 (comma 1, lettera a), della legge 16 marzo 2006, n. 146, che contiene il quadro normativo di riferimento delle tecniche investigative speciali riconducibili alla tipologia generale delle operazioni coperte.

Accanto all'ampliamento del catalogo dei delitti per cui è consentito il ricorso alle speciali tecniche investigative, la disposizione in commento amplia il novero delle condotte non punibili. Analogamente a quanto già previsto, tra gli altri casi, per le operazioni antidroga o per il contrasto dei sequestri di persona a scopo di estorsione, viene estesa alle indagini in materia di reati contro la pubblica amministrazione la possibilità della consegna controllata di denaro o di altra utilità in esecuzione delle attività illecite in corso. Viene altresì riconosciuta la possibilità per agenti e ufficiali di polizia giudiziaria di utilizzare temporaneamente beni mobili e immobili, documenti, identità o indicazioni di copertura per l'esecuzione delle operazioni sotto copertura.

La relazione illustrativa del disegno di legge originario sottolinea come le condotte non punibili restino confinate a quelle necessarie per l'acquisizione di prove relative ad attività illecite già in corso: deve trattarsi cioè di condotte che, inserendosi in modo indiretto o meramente strumentale nell'esecuzione di attività illecita altrui, non istighino o provochino la condotta delittuosa, in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e della Corte di cassazione.

Le Commissioni hanno apportato una modifica al testo, di carattere meramente formale, relativa alla sostituzione nella lettera a) del comma 1, del riferimento all'art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, che viene sostituite con quello all'art. 452-quaterdecies c.p.; la fattispecie di traffico illecito di rifiuti è stata, infatti, spostata dal D.lgs. n. 21 del 2018 dal codice dell'ambiente al codice penale.

L'articolo 7 reca alcune modifiche alla disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche dipendente da reato, prevista dal decreto legislativo 231 del 2001., tramite un inasprimento delle sanzioni interdittive nell'ipotesi di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, derivante dalla commissione di alcuni reati contro la pubblica amministrazione. In particolare, il disegno di legge, come modificato in sede referente, novella l'articolo 25 del citato decreto legislativo 231 (lettera b).

Una prima modifica sostituisce il comma 1 prevedendo l'irrogazione all'ente della sanzione fino a 200 quote in relazione alla commissione del delitto di traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.). Attualmente tale sanzione è già applicata per la commissione dei delitti di cui agli articoli 318 (corruzione impropria), 321 (corruzione attiva) e 322, commi 1 e 3 (istigazione alla corruzione) del codice penale.

Viene inoltre sostituito il comma 5 dell'art. 25 del D.Lgs. 231 ampliando, per una serie di reati contro la P.A., la durata delle sanzioni interdittive a carico delle persone giuridiche.

Si tratta dei seguenti reati (elencati dai commi 2 e 3 dell'art. 25, non modificati): concussione (art. 317); corruzione propria, semplice (art. 319) e aggravata (art. 319-bis) dal rilevante profitto conseguito dall'ente; corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter); induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater); dazione o promessa al pubblico ufficiale (o all'incaricato di pubblico servizio) di denaro o altra utilità da parte del corruttore (art. 321); istigazione alla corruzione (art. 322).

La durata delle sanzioni interdittive dovrà essere compresa: tra 4 e 7 anni, se autore del reato siano persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; tra 2 e 4 anni ove il reato sia commesso da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti che rivestono nell'ente le posizioni apicali sopraindicate.

Attualmente il comma 5 prevede solo il limite minimo di durata delle sanzioni interdittive, pari a un anno.

Viene, poi, aggiunto all'art. 25 il comma 5-bis che stabilisce una minore durata delle sanzioni interdittive (non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni) quando, prima della sentenza di primo grado, l'ente si sia adoperato per evitare ulteriori conseguenze del reato ed abbia collaborato con l'autorità giudiziaria per assicurare le prove dell'illecito, per individuarne i responsabili e abbia attuato modelli organizzativi idonei a prevenite nuovi illeciti e ad evitare le carenze organizzative che li hanno determinati.

Per coordinamento, la lettera a) dell'articolo 7 modifica l'art. 13, comma 2, del d.lgs. n. 231 del 2001, che stabilisce i limiti minimi (3 mesi) e massimi (2 anni) delle sanzioni interdittive applicabili agli enti, premettendo la clausola di salvezza delle nuove disposizioni del comma 5 dell'art. 25.

Con la lettera c) è introdotta, all'art. 51 del D.Lgs 231, una modifica in materia di durata massima delle misure cautelari a carico degli enti.

Attualmente il giudice può imporre misure cautelari della durata massima di un anno; l'art. 51 fa infatti riferimento ad una durata «che non può superare la metà del termine massimo indicato dall'articolo 13, comma 2» (due anni).

Dopo la sentenza di condanna di primo grado, la durata della misura cautelare «non può superare i due terzi del termine massimo indicato dall'articolo 13, comma 2» (un anno e 4 mesi).

Con la novella del comma 1 dell'art. 51, si prevede che il giudice, nel disporre le misure cautelari, non ne possa determinare la durata in misura superiore a un anno.

La novella del comma 2 dello stesso art. 51 stabilisce che, in ogni caso, la durata della misura cautelare non può superare un anno e quattro mesi. Le previsioni, pur non avendo natura innovativa si giustificano in ragione della clausola di salvezza (introdotta all'articolo 13, comma 2, dalla lettera a)) relativa alla maggiore durata delle misure interdittive applicabili agli enti responsabili di reati contro la PA

L'articolo 8 prevede che il Governo italiano non rinnovi alla scadenza (1° ottobre 2019) le riserve che l'Italia ha apposto alla Convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata dal nostro Paese con la legge n. 110 del 2012.

Fanno eccezione (e, quindi saranno oggetto di rinnovo) le riserve relative: alle condotte di corruzione passiva da parte di pubblici funzionari stranieri; alle condotte di corruzione, attiva e passiva, dei membri delle assemblee pubbliche straniere, fatta eccezione per quelle dei Paesi membri della UE e delle assemblee parlamentari internazionali.