XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 148 di lunedì 25 marzo 2019

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNA RITA TATEO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 20 marzo 2019.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Battelli, Benvenuto, Bonafede, Claudio      Borghi, Brescia, Buffagni, Businarolo, Carfagna, Castelli, Castiello, Cirielli, Colucci, Cominardi, D'Inca', D'Uva, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Frusone, Galli, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grillo, Grimoldi, Guerini, Guidesi, Invernizzi, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Manzato,      Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Parolo, Picchi, Rampelli, Rixi, Ruocco, Saltamartini, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Tofalo, Vacca, Valente, Vignaroli, Villarosa e Raffaele Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente settantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio della nomina di Vice Ministri.

PRESIDENTE. Comunico che, in data 22 marzo 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri ha inviato al Presidente della Camera la seguente lettera: “Onorevole Presidente, informo la S. V. che con decreti del Presidente della Repubblica in data odierna, adottati su mia proposta, previa approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, a norma dell'articolo 10, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, delle deleghe di funzioni conferite dal Ministro dell'economia e delle finanze, è stato attribuito il titolo di Vice Ministro ai Sottosegretari di Stato presso il medesimo Dicastero, on. dott. Massimo Garavaglia e on. Dott.ssa Laura Castelli. Con viva cordialità, firmato: Giuseppe Conte”.

Discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nell'anno 2019, sul Programma di lavoro della Commissione per il 2019 e sul Programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea (Doc. LXXXVI, n. 2-A) (ore 14,04).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nell'anno 2019, sul Programma di lavoro della Commissione per il 2019 e sul Programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea (Doc. LXXXVI, n. 2-A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 21 marzo 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 21 marzo 2019).

Avverto, altresì, che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.

(Discussione – Doc. LXXXVI, n. 2-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.

Ha facoltà di intervenire in sostituzione della relatrice, Conny Giordano, il presidente della Commissione politiche dell'Unione europea, deputato Battelli, che abbiamo sempre il piacere di ascoltare.

SERGIO BATTELLI, Presidente della XIV Commissione. È sempre un piacere, Presidente, parlare con lei. Grazie colleghi, grazie ai membri del Governo. La XIV Commissione ha svolto l'esame congiunto della Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, riferita all'anno 2019, del Programma di lavoro della Commissione per il 2019 e del programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea per portare avanti l'agenda strategica elaborata delle future Presidenze rumena, finlandese e croata, che in questo ordine si succederanno alla Presidenza per il periodo di diciotto mesi, dal 1° Gennaio 2019 al 30 giugno 2020.

Tutte le Commissioni permanenti, nonché il Comitato per la legislazione per i profili ricadenti nell'ambito delle rispettive competenze, hanno espresso i pareri dei quali si dà conto in questa relazione. L'esame dei documenti programmatici del Governo italiano e della Commissione europea rappresenta una preziosa occasione per approfondire le principali questioni che devono essere affrontate dagli Stati membri e dalle istituzioni europee, nonché per esprimere una valutazione complessiva sugli obiettivi prioritari individuati e sulle strategie messe in campo a livello nazionale e di Unione europea. L'esame congiunto dei documenti consente di porre in essere una vera e propria sessione parlamentare europea di fase ascendente e costituisce uno strumento particolarmente utile ai fini della qualificazione del contributo del Parlamento per la definizione di un quadro organico della politica europea del nostro Paese, articolata intorno a grandi obiettivi e a linee di intervento prioritarie. Merita altresì apprezzamento l'impegno profuso dal Governo per affinare, sulla base dell'esperienza progressivamente acquisita, i contenuti della Relazione programmatica che risulta più ricca di elementi informativi e dati utili per una valutazione sulle priorità da perseguire.

Il 2019 sarà un anno di passaggio nell'Unione europea: dal 23 al 26 Maggio si svolgeranno infatti le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, che avvieranno il processo di costituzione dell'assetto istituzionale dell'Unione europea. Si tratterà infatti di rinnovare la Commissione europea, eleggendo un nuovo Presidente della Commissione, nominare un nuovo Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Unione europea e il nuovo Presidente del Consiglio europeo. Il 31 Ottobre 2019 scade inoltre il mandato dell'attuale Presidente della Banca Centrale Europea. Tra i temi prioritari del fine legislatura europea, vi sono sicuramente l'auspicabile raggiungimento di un accordo con il Regno Unito per un recesso ordinato dall'Unione europea, che comporti il minor disagio possibile per i cittadini e per le imprese, il prosieguo dei negoziati per il quadro finanziario pluriennale, volto ad allocare adeguate risorse finanziarie secondo le principali priorità dell'Unione per il periodo 2021-2027, la discussione sull'approfondimento sull'Unione economica e monetaria e sull'unione bancaria e la definizione di una strategia europea strutturata su politiche comuni sull'immigrazione e per la riforma del sistema comune europeo di asilo; ricordo, peraltro, che il 9 maggio 2019 è previsto lo svolgimento a Sibiu, in Romania, di un Vertice europeo straordinario chiamato a dare indicazione per una nuova agenda strategica per l'Unione europea nel prossimo quinquennio, che dovrà essere adottata dal Consiglio europeo di giugno. Mi limito, in questa sede, ad evidenziare che la Commissione ha accolto positivamente, con riferimento al coordinamento nazionale delle politiche europee, l'impegno recato dalla Relazione programmatica di promuovere l'efficace partecipazione dell'Italia alle attività dell'Unione europea attraverso gli strumenti di coordinamento, indirizzo e impulso politico, con particolare riferimento al ruolo del Comitato interministeriale per gli affari europei, il CIAE, al fine di garantire un più efficace coordinamento della posizione italiana nell'ambito dei negoziati europei.

Desideriamo, inoltre, esprimere apprezzamento per l'impegno del Governo per incrementare gli sforzi per la risoluzione delle procedure di infrazione a carico dell'Italia e a rafforzare l'impegno atto alla conclusione delle procedure di infrazione attualmente pendenti ai sensi degli articoli 258 e 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, garantendo un corretto flusso informativo e un adeguato coinvolgimento delle Camere, al fine di evitare effetti finanziari negativi a carico della finanza pubblica.

Conclusivamente, se il Presidente me lo consente – spero che me lo consenta –, rinvio alla relazione scritta approvata dalla Commissione il 21 marzo scorso, che è in distribuzione e pubblicata sul sito della Camera, nella quale si dà ampia evidenza del lavoro svolto in Commissione sui documenti al nostro esame e del contributo di tutte le Commissioni di settore, che ringrazio per l'impegno. Grazie colleghi, grazie Presidente.

PRESIDENTE. Certamente è consentito richiamarsi alla relazione scritta. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo. Prego, sottosegretario.

LUCIANO BARRA CARACCIOLO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. No, mi attengo alla relazione del presidente Battelli.

PRESIDENTE. Sta bene. È iscritta a parlare la collega Murelli. Ne ha facoltà.

ELENA MURELLI (LEGA). Grazie, Presidente. Sottosegretario, onorevoli colleghi, oggi siamo chiamati a esprimerci su un documento importante, anzi su una triade di documenti, quali la Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per il 2019, il Programma di lavoro della Commissione Europea per il 2019 e il Programma dei diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea. L'esame congiunto dei suddetti documenti rappresenta una vera e propria sessione parlamentare europea di fase ascendente dedicata alla valutazione e al confronto tra le priorità delle istituzioni europee e di quelle del Governo, nonché di quelle individuate dalle Presidenze del Consiglio per l'anno in corso. La discussione dei suddetti documenti è da intendere come uno dei principali strumenti per l'esercizio ex ante della funzione di indirizzo e di intervento che il Parlamento ha nella definizione attiva, da parte dell'Italia, della politica europea, nonché come funzione di controllo sulla condotta del Governo nelle sedi decisionali dell'Unione Europea. L'esame dei tre atti programmatici ci offre il quadro dei lavori in corso e programmati in sede di Unione europea. Il coinvolgimento attivo e tempestivo del Parlamento, prima tramite la discussione avvenuta nella Commissione politiche dell'Unione europea, come il presidente ha appena detto, ed ora tramite l'Aula, sui temi oggetto della Relazione programmatica è fondamentale per definire un piano comune e condiviso della politica europea italiana nel contesto europeo.

Analizzando la Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea e le politiche che in quest'ambito si intendono promuovere, non posso che partire dalla peculiare fase storica e di rallentamento economico attualmente attraversata dall'Unione europea, e non solo dall'Italia come molti vogliono far credere, dando la colpa al nostro Governo e ai suoi decreti tra cui il “decretone” approvato la settimana scorsa, proprio qui alla Camera. Secondo le previsioni economiche intermedie della Commissione europea presentate il 7 febbraio 2019, l'economia europea dovrebbe crescere per il settimo anno consecutivo, ma con un tasso inferiore rispetto a quelli degli ultimi anni. Secondo la Commissione europea, infatti, il PIL della UE e dell'eurozona è cresciuto dell'1,9 per cento nel 2018, in calo rispetto al 2,4 del 2017. Dovrebbe crescere 1,5 nel 2019 e 1,7 nel 2020 nell'Europa e 1,3 nel 2019 e 1,6 nel 2020 nell'eurozona. Si tratta di stime al ribasso rispetto a quelle che la Commissione europea aveva presentato a ottobre 2018. Secondo la Commissione stessa, però, le prospettive future sono altresì soggette a incertezza, in particolare a causa della Brexit, delle tensioni commerciali e del possibile rallentamento dell'economia cinese. La Commissione europea prevede anche per il 2019 una crescita, pur con rilevanti differenze, in tutti gli Stati membri dell'Unione. Secondo tali previsioni, l'Italia registrerebbe il tasso di crescita più basso, anche per il 2020, tra gli Stati membri; tuttavia, sono previste consistenti revisioni al ribasso della crescita per il 2019 non solo per l'Italia, ma anche per la Germania e i Paesi Bassi.

Per quanto riguarda il programma di lavoro della Commissione europea per il 2019, occorre rilevare che si tratta di un programma di fine mandato, in vista delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo del prossimo maggio, e del conseguente esaurimento del mandato della Commissione Junker. Tra i temi prioritari del fine legislatura europea vi sono il prosieguo dei negoziati per il quadro finanziario pluriennale, volto ad allocare adeguate risorse finanziarie secondo le principali priorità dell'Unione per il periodo 2021-2027. All'interno del quadro finanziario pluriennale, nel tracciare una diversa ripartizione degli stanziamenti tra le varie finalità, la Commissione europea propone di aumentare il finanziamento in settori considerati prioritari e ad alto valore aggiunto europeo, quali la ricerca, l'innovazione e l'Agenda digitale, i giovani, la migrazione e la gestione delle frontiere, la difesa e la sicurezza interna, l'azione esterna, il clima e l'ambiente.

Parallelamente a tali settori, che beneficiano di un aumento delle risorse, ve ne sono, tuttavia, altri oggetto di tagli alle politiche tradizionali. Uno di questi è proprio uno dei settori cardine del mercato italiano, l'agricoltura. Sì, perché i fondi per la nuova PAC ammonterebbero a 365 miliardi di euro, a fronte dei 408,3 della PAC precedente. Subirebbe quindi, secondo le stime della Commissione, una riduzione del 5 per cento a prezzi correnti, il che equivarrebbe ad una riduzione di circa il 12 per cento a prezzi costanti; mentre, secondo il Parlamento europeo il taglio sarebbe più consistente ed ammonterebbe al 15 per cento.

La proposta legislativa della Commissione europea sulla nuova PAC si muove in un contesto di grande incertezza e preoccupazione per le proposte di riduzione di bilancio contenute nel quadro finanziario pluriennale. La PAC passerebbe dal rappresentare il 37,6 per cento del bilancio UE, oggi, ad un più modesto 28,5 per cento: significa un taglio importante sia sui pagamenti diretti, ma soprattutto sulle misure dello sviluppo rurale, che sono quelle, per intenderci, oggi gestite dalle regioni.

Nella sua attuale impostazione, la PAC ha sostanzialmente fallito non solo la sua mission legata alla tutela della produzione agricola, al sostegno dei prezzi e alla tutela del reddito degli agricoltori, ma anche la più recente, che è quella di tutela dell'ambiente e della biodiversità, le norme sul greening, insieme al suo generale impianto iperburocratico. Per far fronte ad una necessaria sburocratizzazione della PAC, nelle intenzioni dichiarate, la Commissione propone un riequilibrio di responsabilità tra l'Unione europea e gli Stati membri, introducendo, in nome di una maggiore sussidiarietà, i Piani strategici nazionali. I nuovi obiettivi europei individuati dalla Commissione dovranno, quindi, essere raggiunti attraverso i Piani strategici redatti dai Ministeri, in base alle loro peculiari esigenze, ma valutati sulla base di indicatori comuni della Commissione.

A livello ideale, vediamo con favore la possibilità che gli Stati membri abbiano libertà di manovra nel predisporre misure peculiari per le proprie esigenze, ma, in generale, l'impianto previsto per i Piani strategici risulta decisamente oneroso. Ad una prima analisi, parrebbe infatti che l'unico elemento di vera semplificazione sia stato quello che solleva la Commissione da tutte le sue storiche incombenze per assegnarle, in modo dirompente rispetto alle capacità di gestione di alcuni, agli Stati e alle loro strutture. Se, da un lato, nella sua ipotesi più pretenziosa, sarebbe magnifico poter avere iniziative che supportino filiere agricole al di là dei confini amministrativi regionali, la possibilità di perdere il patrimonio conquistato da tante regioni italiane, di conoscenza, di efficienza nella gestione di strumenti della PAC ci mette in allerta rispetto ad una gestione nazionale che oggi, anche per alcune lacune dell'amministrazione centrale, non ci sembra essere in grado di reggerne il carico. Appare evidente la necessità di porre in essere iniziative al fine di evitare un aggravio della pressione fiscale sui contribuenti nazionali e un aumento del contributo nazionale al bilancio europeo, tenuto conto delle risorse che il nostro Paese già versa all'Europa, pari a circa 12 miliardi annui; in particolare, nel bilancio approvato alla Camera a dicembre sono stati stanziati ulteriori 1.400 milioni di euro per contributi aggiuntivi europei, pari all'8,3 per cento del nostro bilancio.

Un altro tema importante nella Relazione è il tema del lavoro. In particolare, la Relazione programmatica esordisce affermando l'intenzione del Governo di svolgere un'azione di impulso affinché siano posti in essere gli adempimenti volti all'attuazione dell'Agenda europea per le competenze. Questa decisione parte dal presupposto che per esprimere appieno le proprie potenzialità sul posto di lavoro nella società contemporanea è necessaria un'ampia gamma di competenze. Si afferma, quindi, la necessità di un intervento a livello europeo, posto che 70 milioni di europei non possiedono adeguate competenze di lettura e scrittura, e un numero ancora maggiore dispone di scarse competenze matematiche e digitali, situazione che li espone al rischio di disoccupazione, povertà ed esclusione sociale.

Ci sono temi importanti nella Relazione, tra cui l'occupazione giovanile, la sicurezza sul lavoro, che meritano non solo una citazione; ma mi voglio soffermare, in particolare, su due temi. Il primo è l'impegno del Governo nel rafforzamento delle misure di conciliazione tra vita professionale e vita privata, nonché nelle azioni di incentivazione del welfare familiare e aziendale, agevolando al contempo il ricorso a modalità di lavoro agile.

Il secondo tema riguarda direttamente le politiche sociali, la lotta alla povertà e l'esclusione sociale, che il Governo inserisce nel quadro del pilastro europeo. Mi voglio soffermare su questo punto proprio perché l'approvazione del “decretone”, la scorsa settimana, con il reddito di cittadinanza e “quota 100”, nonché la riforma del sistema previdenziale, sono uno strumento perfettamente in linea con le raccomandazioni rivolte all'Italia da parte del Consiglio europeo per favorire l'inclusione sociale e il ricambio generazionale nel mondo del lavoro.

Un altro tema prioritario di fine legislatura europea è l'auspicabile raggiungimento di un accordo con il Regno Unito per un recesso ordinato dall'Unione europea, che comporti il minore disagio possibile per i cittadini e per le imprese: un tema di nostro interesse nazionale, sia per i nostri connazionali residenti, che sono circa 700 mila, sia per le imprese italiane che operano con il Regno Unito. Essi, con l'accordo Brexit, potranno continuare ad esercitare i diritti attualmente garantiti dalle normative europee, sulla base dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione.

L'Italia ha partecipato al negoziato all'interno del fronte europeo, che ha manifestato coerenza e compattezza. Le questioni di maggiore rilevanza nazionale sono: le garanzie per i diritti degli italiani residenti nel Regno Unito, che appunto, come ho detto, sono 700 mila, e la semplicità nelle procedure burocratiche, che, a tal fine, dovranno essere affrontate dai cittadini italiani. Con specifico riferimento ai cittadini italiani e comunitari, Londra si è impegnata a garantire tutti i diritti attuali agli europei che già risiedono nel Regno Unito, con specifiche procedure che sono già in corso, anche a fronte di questa situazione di incertezza. Questo perché il Regno Unito, a differenza dell'Italia, non ha un sistema di certificato di residenza, e per questo motivo ha dovuto avviare una procedura specifica già disciplinata in parte anche nell'accordo di recesso, che attualmente sta continuando.

La tutela delle indicazioni geografiche nell'agroalimentare, visto che l'Italia è il Paese con il più alto numero di indicazioni geografiche protette in ambito europeo: tutela che nel testo dell'accordo di recesso appare garantita per l'intero periodo di transizione, e potenzialmente anche nella prospettiva delle future relazioni commerciali.

Il mantenimento di un forte rapporto con il Regno Unito, sia in materia di sicurezza e difesa sia in materia di sicurezza interna e contrasto del terrorismo. Nella nostra risoluzione di maggioranza, che abbiamo depositato questa mattina, chiediamo, quindi, al Governo di adoperarsi affinché ci sia un auspicabile raggiungimento di un accordo con il Regno Unito per un recesso ordinato dall'Unione europea, ma anche e soprattutto, in caso di no deal, siano adottate tutte le misure necessarie per la piena tutela dei cittadini e delle imprese italiane che lavorano e operano nel Paese britannico. Un'uscita ordinata, che non pregiudichi il livello dei rapporti commerciali e di business esistenti tra i due Paesi.

Come ben esplicitato nella Relazione programmatica per il 2019, bisogna constatare che, a fronte della presenza, nell'architettura europea, di tutte le componenti di uno Stato-nazione, rappresentato da un dettagliato corpo legislativo che governa i comportamenti dei cittadini europei, dei produttori, consumatori e risparmiatori che vivono nel territorio dell'Unione, il complesso dei Paesi membri, tuttavia, non ha assunto i contenuti formali tipici della corrispondente organizzazione sociale di Stato unitario o federazione tra Stati, dando luogo a quella che nella Relazione viene definita “zoppia istituzionale”, alla quale va, però, posto rimedio. Lo stesso dicasi sull'approfondimento fatto nella Relazione sull'Unione economica e monetaria e l'Unione bancaria, che necessita di una mera riorganizzazione e riforma.

In tema di mercato unico, poi, l'obiettivo generale della strategia della Commissione europea, pubblicato ad ottobre 2015, era quello di rimuovere dal mercato unico gli ostacoli economici che ancora sussistono, attraverso la creazione di nuove opportunità per i consumatori e per le imprese, incoraggiando l'ammodernamento e l'innovazione e conseguendo risultati pratici a beneficio dei cittadini nella loro vita quotidiana. Tuttavia, tali ostacoli persistono ancora: i prezzi dei beni e dei servizi sono diversi da Paese a Paese, nonché le regole e le tassazioni. La nuova era industriale basata sull'impiego della tecnologia al servizio dell'industria dovrebbe vedere l'Europa maggiormente coinvolta nella nascita di una vera e propria filiera, interamente interconnessa e digitalizzata.

Risulta, quindi, fondamentale per la crescita dell'Europa la visione di un mercato unico digitale, per stimolare la competitività, l'innovazione e la sostenibilità dell'economia nazionale e di quella europea, garantendo il massimo vantaggio della nuova era digitale.

Tuttavia, sono necessari, a livello europeo, politiche di contrasto alla delocalizzazione fiscale delle imprese nei Paesi extra-UE, soprattutto con riferimento alle grandi società multinazionali che operano nel mercato digitale. Sottolineo, Presidente, che occorre proseguire nel lavoro avviato dalla Commissione europea per la comunicazione del 21 marzo 2018, proponendo una serie di misure per la tassazione omogenea dell'economia digitale e dell'e-commerce, al fine di creare un sistema normativo idoneo a garantire la tassazione dei profitti realizzati dalle multinazionali in questo settore produttivo, sempre più strategico anche per l'economia del nostro Paese, al fine di evitare il dumping fiscale tra gli Stati membri. È importante, invece, aiutare le nostre piccole e medie imprese, tessuto fondamentale dell'economia italiana, anche attraverso finanziamenti europei specifici, rafforzando i programmi integrati per il mercato interno – Single market programme –, con particolare attenzione gli stanziamenti riservati al programma Cosme, che è il programma specifico di sostegno alle piccole e medie imprese, tramite regole più semplici e aiuti più concreti, diretti allo sviluppo e sostegno alla competitività del mercato.

Un ulteriore tema importante della Relazione programmatica 2019 è la definizione di una strategia europea strutturata su politiche comuni, sull'immigrazione e per la riforma del sistema comune europeo di asilo. In tema di immigrazione e di relazione con Stati extra-UE vorrei sottolineare l'importanza di continuare a prevenire la migrazione illegale e rafforzare la cooperazione con i Paesi di origine e di transito, in particolare dell'Africa settentrionale, nel quadro di un più ampio partenariato. È necessario intensificare il contrasto alle reti dei trafficanti di persone e rafforzare ulteriormente la cooperazione con i Paesi terzi in materia di indagine, arresto e perseguimento di soggetti dediti al traffico e alla tratta di esseri umani, al fine di impedire alle persone di intraprendere viaggi pericolosi e illegali. Il principio “aiutiamoli a casa loro” è fondamentale per stabilire la nuova politica europea per l'immigrazione, che non deve essere basata sull'assistenzialismo, come invece era basata la precedente politica italiana. La riduzione degli sbarchi in questi mesi e la diminuzione delle morti in mare ne sono un esempio concreto, che la politica migratoria europea vada rivista, non considerando solo l'Italia il primo porto di sbarco e riconsiderando invece una politica migratoria regolare e uguale tra tutti gli Stati europei. I due continenti dovrebbero concentrarsi sulle opportunità disponibili per ridurre la necessità per gli africani di cercare opportunità altrove, creando le opportunità ed eliminando la necessità dell'immigrazione. La partnership tra Europa e Africa dovrebbe mirare a creare un ambiente per mantenere i loro giovani e garantire loro che stare nel proprio continente o Paese è meglio per loro, potendo trovare sicurezza e lavoro.

Il mio appello finale va alle istituzioni europee per fermare qualsiasi attività decisionale – come, per esempio, ho già fatto in discussione generale la scorsa settimana sulla legge europea -, di fermare qualsiasi politica di austerity nei confronti dell'Italia, specialmente tramite le procedure di infrazione. Il nostro Governo, tramite il coinvolgimento delle Camere, si è già attivato e sta proseguendo i lavori al fine di assicurare una sostanziale riduzione delle procedure di infrazione ed evitare effetti finanziari negativi a carico della finanza pubblica. Il 2019 sarà un anno di passaggio nell'Unione europea: il 26 maggio si svolgeranno, infatti, le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, che avvieranno il processo di ricostruzione dell'assetto istituzionale dell'Unione europea; il 31 ottobre 2019 scade anche il mandato dell'attuale presidente della Banca centrale europea. Considerata, quindi, la peculiarità dell'attuale fase di fine legislatura europea, si rende quanto mai necessaria una riflessione sulla natura e sul futuro del progetto europeo, sulla governance e sullo stesso assetto istituzionale dell'Unione europea, al fine di rafforzare quella dimensione sociale dell'Europa fatta di valori comuni e condivisi prima che di obiettivi economici, al fine di creare, sul terreno del progresso economico, della libertà di circolazione nel mercato unico, della salvaguardia dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali e della tutela della dignità delle persone, un'autentica unione dei popoli fondata sui principi solidaristici e unitari. Un anno fondamentale per ricostruire il nuovo assetto europeo.

Concludo, Presidente, chiedendo alle istituzioni europee una partecipazione attiva dell'Italia al dibattito sulle prospettive di riforma della governance e del progetto europeo nelle opportune sedi comunitarie. L'assetto istituzionale e le procedure decisionali unionali devono essere sottoposti a un necessario processo di revisione, con l'obiettivo condiviso di riavvicinare l'Unione europea agli interessi reali dei cittadini ed esercitare pienamente quel ruolo centrale che spetta all'Italia, membro fondatore dell'Unione europea.

Il futuro sviluppo dell'Unione europea deve portare a una vera Europa federalista, una vera Europa dei popoli.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Raciti. Ne ha facoltà.

FAUSTO RACITI (PD). Grazie, Presidente. Oltre a rilevare che, per l'ennesima volta, discutiamo di affari europei senza il Ministro competente, volevo rappresentare la posizione del nostro gruppo parlamentare rispetto a questa Relazione programmatica, che è molto chiara rispetto agli intendimenti della Commissione europea, ma che non dice sostanzialmente nulla rispetto agli impegni che il Governo italiano intende davvero assumere.

La Relazione programmatica sulla partecipazione italiana all'Unione europea nel 2019 costituisce un elemento decisivo, non solo sul fronte della politica europea, ma anche in termini di politica interna. Il nesso tra aspetti europei e dimensioni interne è cruciale in questo momento, data l'imminenza delle elezioni del 26 maggio, le quali verosimilmente modificheranno gli assetti delle istituzioni europee. Il ruolo del nostro Governo in Europa, al di là delle dichiarazioni formali, ha subìto un progressivo isolamento: l'aspro confronto sulla legge di bilancio, lo scontro sul tema dei migranti portati avanti dal Ministro dell'Interno Salvini e iniziato la scorsa estate, le posizioni espresse sul Venezuela, il duro contrasto con la Francia, che ha portato il Governo di Parigi a richiamare il proprio ambasciatore a causa delle dichiarazioni del Ministro Di Maio sono solo alcuni degli esempi di graduale allontanamento del Governo in carica dal classico tracciato europeo del nostro Paese. Anche l'accoglienza riservata al nostro Presidente del Consiglio in occasione del suo intervento nell'Aula del Parlamento europeo di Strasburgo, il 12 febbraio scorso, con il duro intervento del presidente del gruppo ALDE, il liberale Verhofstadt, al quale si sono uniti, in un coro di critiche, i presidenti dei gruppi e S&D, Verdi e Popolari, la dice lunga sullo stato delle relazioni del nostro Governo a livello europeo. È ormai chiara la collocazione sempre più marcata dell'Esecutivo giallo-verde al fianco dei Paesi del cosiddetto gruppo Visegrád - formato da Governi che si collocano, nell'Unione europea all'estrema destra -, come le continue, recenti visite del Ministero dell'Interno Salvini testimoniano. A peggiorare la situazione, le recenti dimissioni del Ministro Savona e l'interim assunto dal Presidente del Consiglio confermano l'assoluta assenza di una proposta politica del Governo capace di mettere al centro i temi europei.

Nella Relazione del Governo vengono sviluppati orientamenti e priorità del Governo per il 2019. Nella presente discussione, il mio intervento prova a individuare alcuni dei temi contenuti nella Relazione e a sviluppare qualche proposta un po' più completa di quelle avanzate dal Governo rispetto alle vicende e ai temi trattati nella Relazione del Governo, partendo dallo stato dell'integrazione politica europea, che doveva subire un rilancio in seguito all'iniziativa di questo Governo, iniziativa che era stata individuata attorno a due temi fondamentali all'inizio di questa legislatura, ovvero quello dell'immigrazione e quello dell'economia, rispetto ai quali ad oggi, dopo quasi un anno dall'insediamento del Governo, registriamo invece un significativo arretramento, derivato non solo dalla mancata discussione o, addirittura, la regressione rispetto al Trattato di Dublino, ma rispetto ai quali dobbiamo registrare anche un arretramento significativo per quello che riguarda la politica economica del Governo, non solo perché, per la prima volta, abbiamo avuto un testo della finanziaria che sostanzialmente è stato scritto integralmente altrove, ma anche perché registriamo che gli indicatori economici cominciano a dare segnali estremamente preoccupanti rispetto agli esiti della manovra finanziaria, indicando, per il nostro Paese, una condizione sostanzialmente di stagnazione o, addirittura, di recessione. Forte preoccupazione destano i dati sulla produzione industriale, che nel 2018 ha registrato un forte decremento, e, ad aggravare il quadro, si aggiungono le tensioni che hanno caratterizzato in questi mesi rapporti tra l'Esecutivo in carica e le istituzioni europee.

Da molti osservatori l'Italia è vista attualmente come l'anello debole dell'area euro e, con riguardo al futuro dell'Europa e alle imminenti elezioni del prossimo maggio, il 6 marzo scorso a Bruxelles si è riunita la terza edizione del Weuco (Woman european council), che ha registrato la partecipazione dei deputati del Parlamento europeo, di rappresentanti della Presidenza del Consiglio europeo e di parlamentari provenienti dai diversi Parlamenti dell'Unione. In questa occasione sono stati esaminati i punti all'ordine del giorno del Consiglio europeo del 21 marzo scorso e, in generale, gli elementi rilevanti sul futuro degli assetti delle diverse istituzioni dell'Unione europea; sono inoltre state formulate proposte, tenuto conto che le donne sono ancora sottorappresentate in ambito europeo, sia nelle istituzioni che nel mercato del lavoro. Da questo punto di vista, è grande ed evidente il silenzio del Governo - l'inattività del Governo - e il fatto che all'interno della relazione manchi qualsiasi spunto credibile di politica che il nostro Governo possa sostenere in sede europea.

Io credo che l'insieme delle cose che emergono da questa relazione, l'insieme delle lacune che emergono da questa relazione - per riferimenti più specifici rimando alla relazione che noi abbiamo presentato come gruppo parlamentare - metta in evidenza il fatto che il vuoto che questo Governo ha determinato non è semplicemente un vuoto istituzionale derivato dall'assenza del Ministro degli affari europei, ma è un vuoto di iniziativa politica più complessiva, sia sul piano interno, per quello che riguarda gli standard, il raggiungimento e l'innalzamento dei nostri standard ambientali, la spesa in ricerca (che la stessa relazione dice essere più bassa rispetto alla media europea, ma rispetto alla quale non individua nessuna credibile strategia), sia rispetto agli obiettivi di politica estera e di politica europea complessiva del nostro Paese. Con particolare riferimento alla politica europea, penso sia alla scarsa o mancata partecipazione italiana al dibattito che nel corso di questi mesi si è sviluppato sulla riforma del Fondo salva-Stati, sia al silenzio del Governo italiano sulle proposte di tassazione dei giganti del web, sulle quali, con grande stupore, anche in sede europea manca un'iniziativa italiana che possa completare e rafforzare questa iniziativa, sia, infine, ai temi più complessivi dell'integrazione delle riforme istituzionali del nostro sistema istituzionale europeo rispetto alle quali mancano iniziative del Governo.

Queste sono le ragioni che ci hanno indotto a presentare la nostra relazione, con l'auspicio che questa relazione possa essere utile, effettivamente discussa dal Parlamento e che possa offrire un contributo e uno spunto di lavoro al nostro Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Occhionero. Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA OCCHIONERO (LEU). Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, questa è un'altra preziosa occasione che noi abbiamo, oggi in quest'Aula, per affrontare, in realtà, il grande e importante quesito per cui dobbiamo decidere che ruolo dare alla nostra Italia, al nostro Paese, nell'ambito dell'Unione europea. Di fatto, in quest'occasione emergono nuovamente le incapacità di un Governo che, attraverso un'accozzaglia di lacunosi intendimenti, in realtà, nulla mostra in merito agli eventuali, seri, concreti progetti di cui noi oggi necessitiamo per affrontare quello che è il panorama europeo. L'hanno detto già i colleghi che mi hanno preceduto e la relazione programmatica del Governo in realtà delinea ed individua delle priorità: innanzitutto, la necessità di individuare e di procedere con un recesso ordinato da parte della Gran Bretagna dall'Unione europea; poi, il sostegno alle candidature che saranno avanzate dall'Italia in sede di rinnovo delle cariche istituzionali ai vertici dell'Unione europea; e, ancora, la rinegoziazione nell'ambito del quadro finanziario 2012-2027 della ridefinizione degli stanziamenti destinati ai fondi di coesione e alla PAC; infine, tra le priorità che nella relazione programmatica del Governo si leggono vi è una strategia europea strutturata dei flussi migratori, un equo sistema di imposizione fiscale, l'attuazione del pacchetto normativo dell'economia circolare, che potenzia, ad esempio, la raccolta differenziata, nonché l'attenzione al clima, alla lotta ai cambiamenti climatici, alle misure di inclusione sociale, al ruolo prioritario che l'Unione deve avere nell'ambito delle pacificazioni delle crisi internazionali.

Per quanto riguarda il commercio, poi, importanti sono gli scambi proficui commerciali tra gli Stati dell'Unione europea.

Anche il programma di lavoro della Commissione per il 2019, in realtà, individua alcune grandi priorità; tra queste voglio menzionare, ad esempio, il completamento dell'unione bancaria, oppure la creazione di un meccanismo di garanzia per il Fondo di risoluzione delle crisi bancarie o la necessità di riformare e di rivedere il diritto d'asilo.

Così come anche il Consiglio dell'Unione europea, nella sua programmazione, redatta insieme dalla Romania, dalla Finlandia e dalla Croazia, che si susseguono nella Presidenza del Consiglio europeo, in realtà, individua alcune priorità; in primis, quella sicuramente dell'uscita ordinata dall'Unione europea della Gran Bretagna.

Tuttavia, a questo punto, dobbiamo considerare in realtà quali sono le azioni che questo Governo mette in campo per realizzare le priorità che abbiamo fino ad ora elencato. Ebbene, io direi che sono davvero poche, perché al di là di alcuni pochi, pochissimi punti lievemente apprezzabili, in realtà, c'è il nulla. C'è il nulla perché, di fatto, nel Governo manca l'intendimento reale e concreto di superare le politiche di austerità dell'Unione europea. Mancano seri progetti per mettere in campo la rivisitazione del Patto di stabilità, una crescita economica all'interno dell'Unione europea e un percorso reale di armonizzazione fiscale tra i diversi Paesi dell'Unione. Ancora di più, emerge in maniera palese, evidentemente palese, la macro contraddizione nella gestione dei flussi migratori, perché, da un lato, leggiamo che nell'ambito delle azioni del Governo si chiede un'equa distribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo e, invece, nelle conclusioni del Consiglio europeo si parla, con l'assenso dell'Italia, di un sistema di distribuzione volontaria, in accordo chiaramente e facendo l'occhiolino a quelli che sono i compagni del gruppo di Visegrád.

Mancano, dunque, tutte quelle misure concrete per una gestione reale dei flussi migratori. Ancora una volta, da un lato, Salvini non fa altro che cavalcare il disagio dell'immigrazione, lanciando, poi, in aperta polemica con l'Unione europea, la politica del respingimento, mentre poi, però, si parla di volontà di risoluzione del problema dei richiedenti diritto di asilo. Questa, per noi, è una contraddizione che richiede chiaramente un'azione massiccia e forte da parte del nostro Governo italiano, che però - ahimè - manca. Mancano anche misure economiche che facciano ridurre quelle grandi disuguaglianze sociali ed economiche, oltre che territoriali, che purtroppo ci sono ancora all'interno dell'Unione europea. Mancano anche tutte quelle forme di contrasto alla delocalizzazione di cui tanto si è parlato, del dumping sociale e fiscale, così come mancano tutte quelle che sono per noi le misure volte a rafforzare le iniziative di inclusione sociale.

Sarebbe necessario, anche, che il nostro Governo prevedesse un ripensamento dei fondamenti dell'imposizione tradizionale per cui si può agire solamente con il consenso generale, prevedendo anche, tra i Paesi favorevoli, delle forme di cooperazione rafforzata, così come sarebbe necessario anche un ripensamento di quella che è l'Unione monetaria europea, ma soprattutto rivedere il ruolo che l'Unione europea deve avere all'interno dei rapporto di mediazione nelle aree di crisi. Tutto questo manca, ma sarebbe necessario anche continuare sulla linea del favoreggiamento del processo di allargamento dell'Unione ai Balcani, sempre nell'ambito di un quadro di pace, di sicurezza, di garanzia dei diritti civili e senza mai perdere di vista, appunto, i diritti civili, cercando di superare tutte quelle negoziazioni che, in realtà, calpestano e cancellano i diritti umani.

Poi, sarebbe necessario favorire il commercio, con misure a tutela di un commercio sviluppato all'interno di tutti i Paesi dell'Unione europea, nell'ottica di scongiurare le grandi guerre commerciali, che certamente porterebbero dei grandi disagi sia l'Italia che alla nostra filiera del made in Italy.

Ecco, tutto questo manca e allora sarebbe necessario rimetterci sul percorso dei padri fondatori dell'Unione europea, per cercare, attraverso un impegno serio e responsabile, di restituire all'Italia quel ruolo principale e centrale che merita all'interno dell'istituzione europea, per poter realizzare, quindi, un'Italia sempre più giusta, in un'Europa sempre più sociale (Applausi dei deputati dei gruppi Liberi e Uguali e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Marrocco. Ne ha facoltà.

PATRIZIA MARROCCO (FI). Presidente, onorevoli colleghi, ciò che ci apprestiamo ad esaminare oggi è una serie di documenti acquisiti nel corso dell'istruttoria svolta presso la XIV Commissione politiche dell'Unione europea e nelle Commissioni competenti per materia in sede consultiva, ossia la relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nell'anno 20019, il programma di lavoro della Commissione Europea per il 2019 e il programma dei 18 mesi del Consiglio dell'Unione europea per il periodo gennaio 2019-30 giugno 2020. L'esame congiunto di tali documenti rappresenta, come di consueto, un'importante occasione per valutare in modo sistematico l'adeguatezza e l'efficacia delle politiche dell'Unione, permettendo alle Camere di svolgere appieno le prerogative parlamentari per quanto attiene alle funzioni di indirizzo in merito alla partecipazione dell'Italia nell'Unione europea, con particolare riferimento ai negoziati prioritari per il Paese.

Quello che mi preme sottolineare fin da subito è che tali relazioni programmatiche si inseriscono in un contesto economico caratterizzato da elementi di forte preoccupazione e criticità, sia a livello europeo che a livello globale, e, soprattutto, mi preme segnalare a nome del mio gruppo, Forza Italia, che è necessario compiere un cambio di passo da parte del Governo soprattutto per quanto riguarda la partecipazione del nostro Paese in sede europea, che lo vede troppo spesso assente e poco determinante proprio in quella fase ritenuta cruciale. L'Europa si trova a un bivio delle scelte strategiche da compiere, pena la sua stessa sopravvivenza. La crescita in tutto il continente sta rallentando, con una contrazione dell'economia e dei commerci internazionali che produce una scarsa domanda interna e un calo sul fronte degli investimenti, che rende meno competitiva l'Unione rispetto ai grandi attori mondiali, come USA, Cina e Russia.

Alla congiuntura non favorevole contribuisce anche l'incertezza sul processo ancora incompiuto della Brexit, con la deriva euroscettica, i nascenti protezionismi, insieme agli effetti delle perduranti tensioni sui dazi tra Stati Uniti e Cina. Di fronte alle grandi sfide che l'Europa ha davanti e che richiedono risposte comuni, coese e condivise, il nostro Paese sta perdendo credibilità a livello europeo. Rischiamo di non contare nulla nel contesto globale anche per le reiterate assenze e per le posizioni talvolta maldestre e contraddittorie sulla politica estera. Rischiamo di perdere la storica influenza sul Mediterraneo, dalla Libia all'operazione navale Sophia, fino alle contraddittorie prese di posizione su importanti scelte di politica estera, come sul Venezuela di Maduro o sui rapporti commerciali con la Cina, con la sottoscrizione di accordi impegnativi nell'ambito del memorandum sulla nuova Via della Seta, laddove abbiamo rischiato di compromettere la tradizionale vocazione europea e transatlantica dell'Italia, dovendo poi giustamente ridimensionare le intese per ricondurle quantomeno nell'ambito di una cornice dell'Unione europea nel rispetto di adeguati standard e di misure antidumping europee.

La discontinua presenza italiana ai tavoli negoziali europei, il rischio di un prolungato isolamento, la scarsa difesa di interessi nazionali sono tutti elementi che pesano maggiormente se continueremo ad affidarci a una controproducente alleanza con i Paesi sovranisti di Visegrad; un'alleanza che non potrà che riservarci delusioni e penalizzazioni sia sul versante dell'immigrazione che su quello economico, in quanto tali Paesi sono quelli maggiormente sostenitori di un controllo rigido sui bilanci pubblici e riluttanti a qualsiasi ipotesi di condivisione e solidarietà sulla gestione dei migranti. L'Italia è chiamata, anche in ragione di una sua collocazione geopolitica, a sostenere gli interessi strategici dell'Unione europea affinché torni ad esercitare il suo tradizionale ruolo di attore in ambito commerciale, economico e finanziario, sviluppando, al contempo, una più forte e coesa politica estera e di difesa in ambito NATO, lavorando affinché l'Alleanza atlantica rafforzi la sua attenzione operativa anche a Sud, non solo a Est del continente.

Il nostro Paese deve impegnarsi per divenire attore principale delle politiche europee nel Mediterraneo su tutti i temi di interesse strategico, dal campo energetico a quello infrastrutturale ed economico, a quello del controllo dei flussi migratori, tessendo a tal fine alleanze con i Paesi del Sud Europa, affinché gli assetti futuri dell'Unione europea non siano improntati ad un'ottica dei soli Paesi del Nord Europa, spesso non coincidenti con quelli strategici del nostro Paese. È necessario che l'Italia torni a riconsiderare l'Unione come il più grande investimento culturale, politico ed economico possibile, un consenso sovranazionale che l'Italia ha contribuito a costruire quale membro fondatore dell'Unione europea, promuovendo e condividendo il processo d'integrazione, trasformando l'Europa da continente di guerra a continente di pace, con la riconciliazione tra popoli divisi da secoli di conflitti, impegnati a sviluppare la democrazia e la difesa dei diritti fondamentali.

Occorre, dunque, con un lavoro costante e competente nelle sedi europee, riacquistare la tradizionale funzione dell'Italia quale Paese guida. Purtroppo, non è esente da conseguenze anche la persistente assenza di un ministro italiano per le politiche europee, con l'attribuzione di adeguate deleghe e ancora non sostituito; una presenza indispensabile ai tavoli negoziali in considerazione delle rilevanti trattative in corso, a partire da quella sul nuovo quadro finanziario pluriennale 2021-2027, fino ai dossier sul rilancio della politica industriale, al fine di scongiurare il riavvicinarsi dell'egemonia dell'asse franco-tedesco, che, in assenza di un nostro ritrovato ruolo, produrrebbe effetti dannosi per gli interessi del nostro Paese e per il futuro dell'intera Europa. Occorre dunque uscire da un isolamento in ambito europeo che rischia di escludere l'Italia anche dalla partita sulle prossime nomine dei vertici comunitari, per riguadagnare un ruolo decisivo e coerente con il peso di un Paese fondatore.

Occorre impegnarsi per costruire un'Europa del futuro, capace di assicurare pace, prosperità e benessere per tutti i suoi popoli, che riaffermi il suo ruolo di attore globale in quanto culla di democrazia nei suoi principi fondanti, pensiero, arte e cultura, che tutela la libertà e la dignità della persona. Certo, secondo noi occorre anche imprimere un cambio di passo per l'Unione, affinché l'Europa sia meno attenta ai parametri di bilancio e più vicina alle esigenze dei propri cittadini, per superare i deficit di democrazia e l'eccesso di burocrazia delle istituzioni europee, per avvicinarle maggiormente ai cittadini, per dare risposta alle grandi sfide, a partire da quelle dell'immigrazione, della disoccupazione e della sicurezza, della rivoluzione tecnologica e dei cambiamenti climatici, per rafforzare il modello di economia sociale di mercato, proteggere le fasce più deboli e vulnerabili colpite della globalizzazione, per dare maggiori opportunità ai giovani, affinché possano continuare a guardare all'Europa come a uno spazio per progettare il futuro. In conclusione, Presidente, tutti noi siamo ormai protesi verso la prossima scadenza elettorale del Parlamento europeo e gli ultimi sondaggi segnalano un'avanzata della compagine sovranista-populista, che, seppure ancora distante dal poter conquistare l'egemonia nel Parlamento europeo, apre incertezze sulla costituzione della futura maggioranza parlamentare.

Il rischio è che l'Unione europea si ritrovi bloccata da spinte contrapposte, strattonata, da un lato, da chi vorrebbe decisioni immediate e radicali e, dall'altro lato, da chi coltiva la drammatica illusione che stare fermi e appoggiarsi alle regole e ai rituali sia l'unica possibilità di sopravvivenza.

Troppi vorrebbero trasformare il voto di maggio in un referendum pro o contro l'Europa, da un lato, o, dall'altro, renderlo esclusivamente un riflesso di politica interna. Forza Italia è convintamente europeista, e chi, come noi, sostiene che l'Europa sia da cambiare in profondità deve avere anche l'onestà intellettuale e morale di riconoscere che cambiare l'Unione significa stare dentro l'Europa. Come efficacemente ha prefigurato Chirac, la costruzione dell'Europa è un'arte, è l'arte del possibile, ed è questo il percorso che Forza Italia ha scelto di intraprendere (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Noi crediamo nell'Europa, ma crediamo anche in una nuova Europa, crediamo nei popoli che la vivono, nell'identità che la animano, nelle radici cristiane in cui affonda. Non crediamo, invece, nelle sovrastrutture in cui si è arrovellata, nei burocrati, nei diktat imposti e compiacenti a qualche lobby, anziché al bene delle nazioni che la compongono. La partecipazione dell'Italia nell'Unione europea nel 2019 vedrà, dopo le prossime elezioni, uno scenario sicuramente molto diverso da quello al quale siamo abituati. Noi sovranisti sicuramente riusciremo a cambiare le regole in gioco con più forza e con una volontà che da sempre ci contraddistingue, con la caparbietà che utilizziamo in tutti i dibattiti e in tutti i consessi.

Ora, nell'attesa, però, di arrivare al 26 maggio, noi non possiamo esimerci dal valutare i propositi di questo Governo verso l'Unione.

Ecco, noi vogliamo che l'Italia riesca finalmente a rialzare la testa e vorremmo che questo passaggio fosse assolutamente chiaro; vorremmo che l'Italia si facesse promotrice con orgoglio di un cambio di passo, innanzitutto sulle politiche dell'immigrazione. Vedete, sebbene condividiamo l'attività che è stata fatta, lo sforzo che è stato fatto dal Governo per impedire lo sbarco di nuovi migranti nel nostro territorio, la nostra attenzione è sempre rivolta ai nostri interessi nazionali e dobbiamo capire che questi sforzi, in realtà, non sono stati sufficienti, non risolvono il problema. Quanto fatto dall'attuale Governo in tema di immigrazione, sebbene abbia rappresentato un discusso cambio di rotta rispetto a quanto avveniva con i precedenti Governi, necessita ancora di essere definitivamente completato con l'introduzione del blocco navale. Chiediamo che il primo sforzo del Governo nei confronti dell'Europa, il primo punto in agenda a partire dal 2019 sia quello di chiedere una missione europea per dialogare con i governi libici e concordare un blocco navale al largo delle loro coste; l'apertura in territorio libico degli hotspot; la selezione in territorio africano di chi ha diritto di essere considerato rifugiato e poi la distribuzione equa dei migranti in tutti i Paesi dell'Unione europea. E noi vogliamo ripetere con forza a chi ci dice che questo non è possibile, che non si può fare, che, in realtà, è stato già fatto e che quindi è assolutamente possibile farlo e che, anzi, è l'unica soluzione che possiamo percorrere se vogliamo davvero affrontare il problema in maniera sistemica, con coraggio e soprattutto cercando di aiutare le persone che davvero hanno necessità di essere aiutate, ma sui loro territori e nelle loro nazioni. Senza questo sforzo, i propositi del Governo giallo-verde enunciati nella Relazione programmatica non avranno possibilità di essere attuati. O il Governo va in Europa con l'obiettivo del blocco navale o, come già avvenuto anche quest'anno, saremo di fronte ad un'Unione europea poco solidale con gli italiani e con gli stessi migranti. Saremo di fronte, insomma, ad un'Unione Europea che continuerà a scaricare il barile delle responsabilità sulle spalle dell'Italia, lasciandoci soli ad affrontare una vera e propria emergenza. Peraltro, l'Italia deve rivendicare un ruolo da protagonista nell'ambito delle politiche estere e di sicurezza comune, essendo rivolta al Mediterraneo, una zona che vogliamo di pace, senza destabilizzazioni che andrebbero a creare soltanto altri problemi a tutte le nazioni coinvolte, ma anche e soprattutto alla nostra. Sotto questo profilo, non possiamo che farci promotori di una politica di sviluppo del continente africano nella quale, però, tutti i Paesi europei si assumano le proprie responsabilità. Coloro che maggiormente hanno sfruttato quel territorio sono oggi incredibilmente i primi a scaricare le conseguenze migratorie sulle nostre spalle; questo è inaccettabile. Contrastare l'immigrazione clandestina, richiedere il blocco navale, avere un ruolo da protagonista nella politica estera e di sicurezza comune significa, innanzitutto e soprattutto, preservare la nostra di sicurezza, quella dei nostri cittadini, quella dei nostri territori, anche da fenomeni inquietanti quali quelli terroristici o nati da forme di fanatismo da condannare in maniera incondizionata. La lotta al terrorismo e alla diffusione del suo proselitismo passerà attraverso la proposta di regolamento COM (2018) 640, la quale introduce l'ordine di rimozione, obbligando i prestatori di servizio di hosting a togliere dalla Rete siffatti contenuti. Ora rimane, però, ancora aleatorio come il Governo vorrà dare il suo fattivo contributo all'implementazione del regolamento istitutivo della procura europea. Abbiamo già evidenziato le nostre perplessità che sono, tra l'altro, ampiamente condivise anche da una certa magistratura nei confronti di tale strumento, che, se non correttamente gestito, oltre a rappresentare un'ulteriore riduzione della nostra sovranità, rischierà di demolire quanto di buono c'è nel nostro ordinamento in termini di lotta alla criminalità organizzata e, in particolare, alle mafie. Ci aspettavamo, quindi, di più rispetto alle modalità di partecipazione dell'Italia alla procura europea e alle regole che intenderà imporre circa la sua istituzione nonché in relazione all'aumento di competenze che già altri Paesi membri vanno prospettando.

Proprio la lotta alla criminalità organizzata, ai traffici illeciti dei Paesi limitrofi, al terrorismo e alla tratta di persone, la sicurezza delle frontiere nello spazio Schengen e le misure volte a sviluppare l'inter-portabilità di banche sono gli unici strumenti possibili per arrivare a debellare ogni rischio per la nostra nazione. In tutto questo contesto, non possiamo non notare come la Relazione programmatica non accenni, neppure marginalmente, a quanto avvenuto, per esempio, in questi giorni. Ora il memorandum con la Cina, che ancora attendiamo di leggere perché nessuno del Governo si è degnato di portare all'attenzione del Parlamento il testo e gli allegati, parrebbe contenere, secondo indiscrezioni giornalistiche, anche un “via libera” nelle telecomunicazioni, che inizialmente sembrava tramontato. L'apertura alla Cina in questo campo interessa la nostra nazione, la sua sicurezza e la sicurezza di altri popoli europei a noi ad oggi inscindibilmente legati.

Chiediamo chiarezza, una chiarezza che non c'è nella vostra Relazione su un tema che non volete affrontare perché è per voi spinoso e ricco di lacune. Quali sono le garanzie che date sulla sicurezza dell'Italia e come si colloca questa vostra impostazione rispetto alle politiche comuni? Ecco, queste sono alcune delle domande a cui vorremmo fosse data finalmente risposta.

Il vostro silenzio - un silenzio tanto più amplificato nell'assenza di tale tema nella Relazione - ci spinge a chiedervi, ancora una volta delucidazioni, e non ci stancheremo di farlo, perché questo alimenta le nostre preoccupazioni, alimenta le preoccupazioni dell'Italia nei confronti della quale tutti ci auguriamo che, almeno nel corso del dibattito parlamentare, darete risposte certe, non evanescenti quali quelle sentite pochi giorni fa dal Presidente Conte (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.

(Annunzio di risoluzioni - Doc. LXXXVI, n. 2-A)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni De Luca ed altri n. 6-00066, Giglio Vigna, Scerra ed altri n. 6-00067, Rossello ed altri n. 6-00068 e Lollobrigida e altri n. 6-00069, che sono in distribuzione (vedi allegato A).

(Repliche - Doc. LXXXVI, n. 2-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire in sede di replica il sottosegretario Luciano Barra Caracciolo.

LUCIANO BARRA CARACCIOLO, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Nessuna replica.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è, quindi, rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Perego Di Cremnago ed altri: Avvio di un progetto sperimentale per la realizzazione di percorsi formativi in ambito militare per i cittadini di età compresa tra diciotto e ventidue anni (A.C. 1012-A) (ore 15,02).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1012-A: Avvio di un progetto sperimentale per la realizzazione di percorsi formativi in ambito militare per i cittadini di età compresa tra diciotto e ventidue anni.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 21 marzo 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 21 marzo 2019).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1012-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Forza Italia-Berlusconi Presidente e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la IV Commissione (Difesa) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Roberto Paolo Ferrari. Prego, collega.

ROBERTO PAOLO FERRARI, Relatore. La ringrazio. Illustre Presidente, onorevoli colleghi, la proposta di legge n. 1012, a prima firma del deputato Perego di Cremnago, è volta a promuovere una migliore conoscenza da parte dei giovani cittadini italiani di età compresa tra i 18 e i 22 anni del contributo fornito dalle Forze armate nella storia del nostro Paese, anche al fine di ridurre la distanza tra gli stessi giovani e le istituzioni mediante la promozione di forme innovative di apprendimento, in stretto raccordo con l'ambito militare, accrescendo nei soggetti destinatari il senso di appartenenza alle istituzioni della Repubblica. A tale scopo, l'iniziativa legislativa prevede la possibilità di accedere, su base volontaria, a un percorso educativo e di formazione specializzato nelle Forze armate, utilizzabile anche nella progressione degli studi universitari e in ambito professionale. Sulle finalità del provvedimento, che va nella direzione di avvicinare il mondo civile a quello militare, si è registrata un'ampia convergenza da parte dei gruppi presenti in Commissione; inoltre, l'articolata attività conoscitiva svolta ha consentito di acquisire, attraverso le audizioni del presidente del Centro alti studi per la difesa (CASD) e il rappresentante del Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR), nonché dei comandanti delle scuole e delle Forze armate e degli altri responsabili della formazione militare, elementi di informazione utili per definire il contesto più appropriato attraverso il quale perseguire gli obiettivi enunciati nella proposta di legge.

È stato così possibile apportare una serie di necessarie modifiche che hanno permesso di giungere a un testo sul quale - ripeto - si è registrata una sostanziale convergenza, come testimonia l'unanimità con la quale è stato conferito il mandato al relatore a riferire favorevolmente. In particolare, l'esigenza di valutare attentamente gli impegni richiesti alle Forze Armate nel loro complesso, prestando particolare attenzione anche ai profili di carattere finanziario dell'iniziativa legislativa, hanno indotto a sviluppare una riflessione riguardo al carattere strutturale dei percorsi formativi originariamente previsti dal testo della proposta di legge. Il ragionamento svolto ha portato la Commissione a convenire sull'opportunità di avviare allo stato un progetto sperimentale di formazione in ambito militare funzionale alla migliore definizione di futuri percorsi educativi e di specializzazione nelle Forze Armate. In tale ottica è stata altresì prevista, al termine dello svolgimento del progetto sperimentale, la presentazione da parte del Governo di una relazione sui risultati conseguiti e sulla possibilità di svolgere in maniera permanente percorsi formativi aventi le medesime finalità.

L'articolo 3 definisce gli obiettivi della proposta di legge che desidero qui richiamare, seppure sinteticamente: il raggiungimento di una maggiore comprensione del valore della difesa della patria e degli alti valori connessi alla difesa delle istituzioni democratiche del Paese, attraverso lo strumento militare; l'approfondimento dei principi fondamentali che regolano l'ordinamento militare e la specificità dello status militis; il conseguimento di una conoscenza approfondita delle principali minacce alla sicurezza interna e internazionale, nonché dell'architettura istituzionale preposta alla protezione cibernetica nazionale; l'acquisizione di conoscenze in tema di cooperazione strutturata permanente nell'ambito della difesa europea, Pesco, e la possibilità di svolgere incontri con le diverse realtà economico-sociali del Paese, utili ai fini della conoscenza delle diverse articolazioni del sistema produttivo nazionale e del comparto industriale connesso ai settori della difesa e della sicurezza.

Questi obiettivi sono conseguiti adesso attraverso l'avvio di un progetto formativo di durata complessiva di sei mesi e per la partecipazione al quale non compete alcuna retribuzione. È articolato in periodi di tempo equamente distribuiti in corsi di studio svolti con modalità telematica, permanenza presso le strutture operative e addestrative delle Forze Armate e dell'Arma dei carabinieri e forme di apprendimento pratico.

In relazione all'individuazione del progetto sperimentale e alla definizione dei suoi contenuti, la proposta affida al presidente del centro alti studi della Difesa il compito di presentare al Capo di stato maggiore della Difesa uno studio concernente la possibilità di organizzare il progetto formativo da svolgere presso i reparti e i comandi delle Forze Armate e dell'Arma dei Carabinieri. Al Capo di stato maggiore della Difesa spetta, invece, il compito di individuare le strutture operative formative e addestrative, comprese le scuole e le accademie militari dell'amministrazione della Difesa, equamente distribuite sull'intero territorio nazionale da utilizzare per la realizzazione del progetto sperimentale da avviare e concludere nell'anno 2020. Al termine di questo primo progetto l'amministrazione della Difesa ha facoltà di svolgere, nell'anno 2021, un secondo ciclo di sperimentazione semestrale rivolto ai candidati risultati idonei nella precedente selezione svolta.

L'articolo 4 elenca i requisiti richiesti ai giovani per la partecipazione al progetto sperimentale di formazione individuato ai sensi dell'articolo 3, mentre l'articolo 5 prevede che al termine dello svolgimento del progetto sperimentale di formazione l'amministrazione della Difesa rilasci un attestato volto a certificare l'esito positivo del percorso formativo svolto che potrà essere utilizzato all'atto della collocazione sul mercato del lavoro. Tale attestato consentirà, inoltre, l'acquisizione di crediti formativi universitari in misura non superiore a dodici, così come richiesto dal parere espresso dalla Commissione cultura, scienza e istruzione, nei termini stabiliti con apposita circolare del Ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca e costituirà titolo valutabile ai fini della nomina a ufficiale di complemento, fermo restando quanto previsto dall'articolo 674 del codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66. Infine, l'articolo 7 reca disposizioni relative alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dal provvedimento pari a un milione di euro nel 2020 e 500 mila euro nel 2021.

Avviandomi alla conclusione, segnalo che allo stato non sono operative analoghe iniziative in ambito militare. Infatti, a partire dal 1° gennaio 2015 non è più in vigore l'articolo 565-bis del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010, che autorizzava corsi di formazione a carattere teorico-pratico presso le Forze Armate.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che però non ritiene di farlo. È iscritta a parlare la deputata Maria Tripodi. Ne ha facoltà.

MARIA TRIPODI (FI). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, sottosegretario, non posso non nascondere la mia soddisfazione e quella di tutto il gruppo di Forza Italia per l'arrivo in Aula di questa proposta di legge. In particolare, da capogruppo in Commissione la soddisfazione è quella di aver portato come primo provvedimento esaminato in sede referente nella stessa un testo in quota a Forza Italia. Per questo ringrazio il collega Perego Di Cremnago, primo firmatario della proposta di legge, e tutti i deputati della Commissione difesa - non solo i colleghi di Forza Italia - che hanno apprezzato e condiviso la proposta agevolandone l'approdo in Aula con un consenso pressoché unanime.

Si tratta di una questione particolarmente rilevante e significativa proprio per il merito del provvedimento perché in una legislatura in cui l'approccio al tema della difesa sembra essere talvolta diffidente arriva in Aula un testo il cui obiettivo è, invece, quello di avvicinare le nuove generazioni alle nostre forze militari. Lo scopo della presente iniziativa è quello di offrire alle giovani generazioni l'opportunità di conoscere direttamente, attraverso un periodo di permanenza nelle Forze Armate, i valori, la disciplina, la storia e la specificità dell'ordinamento militare non solo ai fini di un arricchimento personale ma anche in vista del conseguimento di determinati benefici che si collegano allo svolgimento con esito positivo del percorso svolto in ambito militare.

La proposta, infatti, è diretta a disciplinare le modalità per l'avvio di un progetto sperimentale per la realizzazione di percorsi formativi volontari di sei mesi in ambito militare per i cittadini di età compresa tra i 18 e i 22 anni in possesso, naturalmente, di determinati requisiti stabiliti dalla medesima proposta di legge al termine dei quali vengono assegnati i crediti formativi universitari. I destinatari del provvedimento sono ragazze e ragazzi che abbiano interesse ad avvicinarsi e a conoscere in maniera diretta il contributo delle Forze Armate alla storia dell'Italia e l'alto valore etico che contraddistingue i nostri militari nell'assolvimento dei propri compiti istituzionali in patria e all'estero e ai quali anche in questa sede va il mio più vivo ringraziamento. Al contempo, il progetto sperimentale di formazione è volto a fornire una conoscenza approfondita delle principali sfide alla sicurezza interna e internazionale e dei principali mutamenti intervenuti nello scenario geopolitico mondiale che hanno imposto, nel corso degli ultimi anni, una revisione significativa dell'organizzazione e della vita delle Forze Armate dei Paesi europei e della NATO, tra cui il nostro.

Si tratta di un percorso a 360 gradi. In particolare, il progetto è svolto attraverso corsi di studio, periodi di permanenza presso le strutture formative, operative e addestrative delle Forze armate e dell'Arma dei carabinieri, la partecipazione a viaggi di studio, presso le maggiori istituzioni presenti in Europa, anche attraverso forme di collaborazione transnazionale con organizzazioni di altri Paesi, organizzazioni di simulazioni, assistenza a specifiche esercitazioni, la partecipazione a seminari di studio, con l'intervento di rappresentanti degli organismi facenti parte del sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica.

Il patrimonio di conoscenze e le esperienze umane maturate durante un percorso formativo così strutturato consentono, quindi, di risvegliare il senso di appartenenza alla Repubblica, vivere un'esperienza che avvicini i giovani al mondo della difesa e gli consenta di responsabilizzarsi, sperimentando la vita militare e acquisendo, al contempo, conoscenze specifiche nel campo della cyber sicurezza.

La proposta costruisce, quindi, un percorso che esce dal tradizionale perimetro dell'addestramento militare e si addentra nel campo della geopolitica, coniugando una parte di vita militare vera e propria a una parte di studio e di apprendimento della cyber sicurezza o dell'industria militare, puntando a definire un nuovo modello di difesa nel terzo millennio.

È importante come la proposta sia stata particolarmente apprezzata nel corso di tutte le audizioni svolte sul punto. Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato, contribuendo a rafforzare e a promuovere in maniera decisiva il significato e la fattibilità di questa proposta di legge. In molti hanno apprezzato la volontà della proposta di promuovere e accrescere il senso di appartenenza allo Stato e una cittadinanza più attiva e tutti i settori coinvolti dalle audizioni hanno dichiarato la compatibilità della proposta con le finalità dei percorsi formativi che già svolgono a favore del proprio personale strutturato.

Ci auguriamo, quindi, che la proposta di legge sia approvata celermente in quest'Aula e che possa essere esaminata al più presto anche dal Senato.

Forza Italia ha inteso offrire ai nostri giovani questa opportunità, per dare vita a uno scambio reciproco; i ragazzi possono, così, assorbire conoscenze e competenze e la Difesa preparare e, nel contempo, selezionare potenziale personale specialistico per rafforzare ancora di più il proprio patrimonio, che oggi ci rende grandi nel mondo.

In conclusione, signor Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, ribadisco la profonda soddisfazione nel vedere un nostro provvedimento approdare in Aula e trovare ampio consenso da parte di tutte le forze politiche, perché dimostra plasticamente come iniziative parlamentari di buonsenso e rivolte alla crescita delle future generazioni siano il cuore dell'azione politica di Forza Italia, che ancora una volta si dimostra dalla parte del merito, della competenza e dell'educazione dei nostri ragazzi (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sensi. Ne ha facoltà.

FILIPPO SENSI (PD). Grazie, Presidente. Il provvedimento in discussione interviene su una materia particolarmente delicata e complessa, nel momento storico e politico che stiamo attraversando.

L'istituzione di percorsi formativi in ambito militare per i giovani sotto i 22 anni richiama la necessità di una specializzazione tecnica, giuridica e addestrativa sempre più adeguata per i nuovi compiti che la difesa e i corpi militari hanno visto crescere nel corso degli ultimi decenni, in un mondo completamente trasformato ed in costante evoluzione dal punto di vista geopolitico.

Del resto, il superamento della leva obbligatoria, con l'introduzione del servizio militare professionale, ha imposto un radicale mutamento di prospettiva nel considerare il comparto della Difesa nazionale, il coordinamento con i partner militari e con il contesto europeo, che sempre più necessita di uno sviluppo di percorsi formativi specifici, di aggiornamenti sistematici, di affinamenti professionali e di una multidisciplinarietà applicata all'interno dei corpi militari e delle varie Armi.

In questi venti anni di servizio professionale sono stati compiuti importanti passi in avanti in questo senso e questa legge è un ulteriore, specifico tassello in questa direzione.

Il Partito Democratico nella discussione svolta in Commissione difesa si è pronunciato favorevolmente, ma abbiamo sottolineato alcune serie carenze del provvedimento, che ribadiamo in questa sede; critiche che abbiamo sottolineato con forza, notando contraddizioni e fragilità della misura, anche in Commissione affari europei.

Questi nostri rilievi critici si sono concretizzati in emendamenti e proposte, che sono stati tuttavia respinti, cosa che accentua le nostre riserve e perplessità sulla reale efficacia di un provvedimento, che pure in linea di principio condividiamo.

Quali sono queste perplessità? La prima, se vogliamo, è di ordine generale: il provvedimento si presenta staccato da un contesto e da una visione generale sulle politiche di rafforzamento e di adeguamento ai nuovi impegni della difesa nazionale e dei corpi militari.

Con la recente legge di bilancio, abbiamo registrato una riduzione delle risorse indirizzate allo sviluppo e alla qualificazione dei corpi e delle relative infrastrutture. Non c'è, a nostro avviso, un'adeguata programmazione del settore e, in assenza di un quadro organico di riferimento serio e strutturato, il nostro timore è che anche questo provvedimento rischi di naufragare o, al meglio, di rappresentare un episodio, risultando un'occasione sprecata.

In secondo luogo, il provvedimento è privo delle risorse necessarie che derivano dagli obiettivi in enunciato: si è infatti virato, accogliendo un emendamento di Forza Italia, sul carattere sperimentale dei progetti di percorso formativo fino al 2020, essenzialmente per ovviare a questa mancanza di risorse e, conseguentemente, di sistematicità.

Resta il fatto che, in questa situazione di incertezza ed aleatorietà, è forte il rischio che la legge diventi nulla più che un pezzo di carta senza particolari risultati pratici.

Questo giudizio rafforza dunque quello più generale poc'anzi esposto: anche su un aspetto così specifico non si dà continuità, ma si assiste a un episodio di vacuità propositiva, che rende persino pleonastica la nostra discussione parlamentare.

Infine, la terza perplessità riguarda il ruolo che debbono avere il Parlamento i suoi organi, a partire dalla Commissione difesa, per quel che riguarda la valutazione e l'informazione dei progetti di formazione attraverso una relazione finale al Parlamento. Questo aspetto, che mancava nel testo iniziale, è stato in parte soddisfatto con l'approvazione di un emendamento; in parte, perché riteniamo non basti un rapporto conclusivo, ma occorra anche un confronto preliminare.

Il coinvolgimento del Parlamento, a nostro avviso, non è una rivendicazione, ma è parte di un metodo istituzionale, di un punto di vista che punta sulla integrazione e la cooperazione di vari comparti dello Stato e di vari organi istituzionali in questa materia.

Il nostro giudizio, dunque, signor Presidente, pur non contrario per principio, resta critico sugli effetti finali e sull'efficacia di scelte puntuali e limitate che avrebbero invece meritato più risorse e un maggiore collegamento con un impianto generale di politiche per la difesa che non ravvisiamo nell'azione di questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Deidda che non è presente in Aula: si intende pertanto che vi abbia rinunziato.

È iscritto a parlare il collega Battilocchio. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI). Grazie, Presidente, grazie signor sottosegretario. Oggi stiamo scrivendo una bella pagina per il nostro Parlamento, con una larga convergenza, su un provvedimento che parte dall'ottima iniziativa del collega Matteo Perego, prosegue con l'impegno del relatore e delle Commissioni, ed ha riscontrato un consenso trasversale che ovviamente rafforza la convinzione che siamo sulla strada giusta.

La Commissione affari comunitari ha espresso il proprio parere a larga maggioranza ed è proprio della cornice europea della presente proposta che voglio brevemente parlare. Perché? Perché la Difesa sarà sempre più un tema europeo, perché finalmente inizia a passare la convinzione che l'Unione deve essere più compatta e forte verso l'esterno.

Il Presidente della Commissione Europea, Juncker, ha fissato per il 2025 l'obiettivo di avere una difesa comune europea, l'Unione europea della difesa. La road map è incentrata su tre priorità strategiche: reazione alle crisi e ai conflitti esterni, sviluppo delle capacità dei partner e protezione dell'Unione europea e dei suoi cittadini.

In questo quadro si inserisce anche la Pesco, quindi la Permanent Structured Cooperation, la cooperazione strutturata permanente, meccanismo previsto dai trattati dell'Unione europea che dovrebbe permettere di unire le forze su alcune tematiche, sviluppando l'integrazione organizzativa ed operativa dei diversi Paesi.

La nascita della Pesco - il 13 novembre 2017 - e il lancio ufficiale nel Consiglio dei Ministri degli affari esteri dell'11 dicembre 2017, non equivale, come a volte si dice, alla nascita di un esercito europeo, visto che la sovranità sulle Forze armate resta unicamente in capo ai singoli Paesi; infatti lo spiegamento delle forze rimane strettamente di competenza nazionale. Qui si tratta di una modalità di integrazione differenziata prevista dal Trattato di Lisbona del 2009, il cui scopo principale è aumentare l'efficienza dello strumento militare europeo, fare economie di scala negli acquisti, ridurre il numero esorbitante di diversi sistemi d'arma, facilitare il movimento delle truppe entro i confini dell'Unione e stimolare gli investimenti su progetti comuni. Va infatti ricordato che gli Stati membri dell'Unione europea spendono il 40 per cento di quello che gli Stati Uniti spendono per la difesa, ma riescono a generare capacità che sono solo il 15 per cento di quelle degli Stati Uniti: c'è un evidente problema di efficienza. Su questo settore l'Unione ha deciso di puntare e di investire: il Fondo europeo per la difesa nel bilancio pluriennale 2021-2027 ammonta infatti a 13 miliardi. Quindi, un asset strategico su cui l'Unione punta anche con risorse concrete; tuttavia va detto che questi ambiziosi progetti comuni, sinergici, non potranno essere facilmente raggiunti se non si percorrerà, nel rispetto delle specificità e delle peculiarità di questo settore, la strada dell'armonizzazione dei modelli di difesa dei Paesi membri.

Un esempio lampante di distanze ad oggi evidenti è rappresentato dai sistemi di reclutamento in Europa: totalmente disomogenei. Alcuni esempi: in Polonia ad oggi la leva è ancora obbligatoria, così come in Austria, dove dura sei mesi, e in Danimarca, dove è previsto un servizio militare di nove mesi; anche in Finlandia e Germania la leva è tuttora obbligatoria, ma il Paese teutonico è l'unico in cui il servizio civile prevede due differenti programmi destinati ai giovani di età compresa tra i 15 e i 27 anni. In Francia, invece, il servizio militare obbligatorio è stato abolito nel 1997, durante la Presidenza di Chirac, benché il Presidente Macron abbia messo tra le priorità del suo Esecutivo l'introduzione di un servizio universale, nazionale ed obbligatorio per i ragazzi e le ragazze. Belgio, Spagna e Portogallo hanno abolito la leva obbligatoria rispettivamente nel 1994, nel 2002 e nel 1999.

Che dire? Un quadro davvero variegato. In Italia, com'è noto, l'ultima classe che ha prestato il servizio militare obbligatorio è quella del 1985, visto che l'obbligatorietà è stata abolita nel 2005 durante il Governo Berlusconi.

Le nostre Forze armate sono quindi composte da professionisti di altissimo profilo, il cui ottimo operato è apprezzato in tutto il mondo, in ambito NATO, ONU e UE. In prima persona ho avuto il privilegio e l'onore di collaborare con i contingenti italiani all'estero, nei Balcani ed in Medio Oriente, toccando con mano la competenza e l'approccio al contempo umano e deciso dei nostri militari.

La dimostrazione dell'alta considerazione dei nostri militari nel mondo è evidenziata anche dalle numerose posizioni di vertice ricoperte da nostri connazionali nelle missioni internazionali e alla guida delle organizzazioni militari internazionali. Ad esempio, in questo momento abbiamo il comando dell'operazione KFOR in Kosovo, il comando dell'operazione UNIFIL in Libano, il presidente del Comitato militare dell'Unione europea, solo per citare alcuni esempi.

Ma, tornando al complesso comunitario, sarebbe importante, proprio alla luce di quel quadro disomogeneo, fortemente disomogeneo che ho brevemente descritto, provare ad offrire possibili spunti di sintesi, se si vuole davvero, come annunciato, tentare di arrivare all'Unione europea della difesa entro il 2025.

In tale ambito si inserisce la proposta in questione, lo scopo della quale è quello di offrire alle giovani generazioni l'opportunità di conoscere direttamente, attraverso un percorso di permanenza su base volontaria di almeno sei mesi nelle Forze armate, i valori, la disciplina, la storia e la specificità dell'ordinamento militare, non solo ai fini di un arricchimento personale, ma anche in vista del conseguimento di determinati benefici che la medesima proposta di legge collega allo svolgimento con esito positivo del percorso formativo svolto in ambito militare. Credo che, nell'ottica dell'armonizzazione dei sistemi europei, questo modello innovativo, che andremo ad approvare, possa essere utilizzato come possibile percorso da condividere e proporre nei tavoli congiunti anche ai partner europei; un progetto pilota da esportare come buona pratica in tutta l'Unione.

Quindi avanti, sono convinto che questa iniziativa su base volontaria, ben studiata, possa portare molti benefici per il consolidamento dei valori della patria, della disciplina e dello spirito di corpo, a favore dei giovani italiani; parallelamente, essa potrà costituire un ulteriore occasione e strumento per rendere ancor più visibile alla popolazione il duro lavoro dei militari, orgoglio del Paese che, silenziosamente, ogni giorno operano sul territorio nazionale e nei teatri operativi all'estero onorando la nostra bandiera. Al loro fianco siamo oggi e saremo sempre (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1012-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, se lo ritiene, il relatore, che non ritiene.

Ha facoltà di replicare il Governo; non intende replicare il sottosegretario, grazie.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Marattin ed altri n. 1-00141 concernente iniziative di politica economica, alla luce dei recenti dati economici (ore 15,32).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Marattin ed altri n. 1-00141 concernente iniziative di politica economica, alla luce dei recenti dati economici (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 15 marzo 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 15 marzo 2019).

Avverto che sono state presentate le mozioni Mandelli ed altri n. 1-00148 e Lollobrigida ed altri n. 1-00149 (Vedi l'allegato A), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare il collega Luigi Marattin, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00141. Ne ha facoltà.

LUIGI MARATTIN (PD). Presidente, con tutto il rispetto per il sottosegretario presente, è però un po' inusuale - credo - esporre i contenuti di una mozione in materia di politica economica senza un sottosegretario competente per materia (intendo, ovviamente, presente). In ogni caso ci dirà, se lo riterrà, sottosegretario Tofalo, la sua opinione a nome del Governo, o qui o in altra sede.

Guardate, il motivo per cui abbiamo ritenuto opportuno creare un'occasione affinché questo Parlamento possa discutere della situazione economica è un elementare principio di valutazione dei risultati.

Spesso la politica, al di fuori di queste Aule, è vista in maniera strana, perché sembra essere l'unica o una delle poche dimensioni dell'attività umana dove i risultati non contano, in fondo; dove contano altre cose, dove conta l'immagine, dove contano le relazioni, dove qualsiasi risultato può essere offuscato da considerazioni vaghe di altra natura.

Credo che sia per questo che spesso fra i nostri concittadini e la politica, intesa come la più nobile, in realtà, delle attività umane, come di governo della cosa pubblica, goda da qualche decennio ormai di cattiva reputazione. Ebbene, noi non ci siamo rassegnati a tutto questo, e intendiamo, anche con questa mozione, ma, in generale nella nostra attività parlamentare e politica, gettare un faro sui risultati di politica economica ottenuti finora da questo Governo. Il lasso temporale non è lunghissimo, ma non è più neanche tanto breve, perché stiamo parlando, dall'insediamento del Governo Conte, dal 1° giugno 2018, ormai di circa 9 mesi di attività politica di presenza del Governo Conte, e, quindi, di possibilità di espletare i propri intendimenti di politica economica ed evidentemente di valutarne i risultati. Lo abbiamo cercato di fare in maniera seria, lo cercheremo di fare discutendo questa mozione in maniera seria, abbastanza asettica, pur essendo noi ovviamente un gruppo politico, un gruppo parlamentare, ma cercando di gettare un fascio di luce sui dati concreti.

I dati concreti sono questi e, ripeto, questo è l'unico criterio con cui si giudica un Governo. Non è dal mese scorso che è successo: l'unico criterio con cui si giudica se un Governo sta facendo male o bene è che cosa succede da quando il Governo è in carica, da quando il Governo ha giurato fino ad adesso, avendo accortezza di non avere un lasso temporale troppo breve. Come è evoluta la situazione, in questo caso della nostra economia? Ebbene, dal giuramento del Governo Conte, che è avvenuto il 1° giugno 2018, ad oggi, l'economia italiana, dopo 14 trimestri di crescita continua è finita in recessione: abbiamo perso due decimali di PIL – uno nel terzo trimestre 2018, un altro nel quarto trimestre 2018 – e siamo entrati in quella che viene definita una recessione, vale a dire due trimestri consecutivi di arretramento del reddito prodotto. E, contrariamente a quello che si dice - veniva detto in parte anche prima, nella discussione su un provvedimento precedente -, siamo l'unico Paese in Europa a essere entrati in recessione. Non siamo l'unico in rallentamento, esiste un rallentamento generalizzato, è vero, ma il nostro, al momento, è l'unico Paese in Europa e nel mondo occidentale a essere finito in recessione.

Dal 1° giugno 2018, dal giuramento del Governo Conte, abbiamo raggiunto il punto più basso degli ultimi anni dell'indice di fiducia delle imprese, passato da un valore di 105,2, precedente al giuramento del Governo, a un valore di 98,3, che è l'ultimo dato disponibile, quello di febbraio 2019. È ovviamente un dato ISTAT. Perché è rilevante la fiducia delle imprese? Perché non troverete nessun economista, nessuna scuola teorica o nessuna verifica empirica che vi neghi che la fiducia delle imprese sia un fattore fondamentale nel determinare e il livello di investimenti e, di conseguenza, il livello del prodotto interno lordo di un Paese.

Nello stesso periodo temporale, dal giuramento del Governo Conte a fine febbraio 2019, ultimo dato disponibile, abbiamo uno stesso fenomeno di inversione dell'indice di fiducia delle famiglie, passato da 116,2, dell'estate scorsa, a 112,4, del febbraio 2019. Quindi, sia la fiducia delle imprese che la fiducia delle famiglie sono calate in maniera considerevole, e quella delle imprese ha raggiunto il punto più basso degli ultimi anni.

La produzione industriale, che è un indicatore forte, che anticipa il ciclo economico, in una economia profondamente manifatturiera come la nostra, anticipa anche i dati del PIL, rispetto al mese precedente il giuramento del Governo Conte è scesa di 15 punti. L'indice, più correttamente, è sceso dal 114,4 al 99,8: 15 punti in meno sulla produzione industriale.

Il mercato del lavoro - e qui l'argomento più attraente ovviamente anche per i non addetti ai lavori, perché si parla di quante persone lavorano o non lavorano - è l'argomento su cui girano il maggior numero di fake news, ma basta aprire il sito dell'ISTAT – tutti questi che cito sono dati ISTAT, tranne uno di Banca d'Italia, che sarà il prossimo – per verificare che dal giorno dell'insediamento del Governo Conte, 1° giugno 2018, all'ultimo dato disponibile, che, in questo caso, è il 31 gennaio 2019, in questo Paese si sono persi 91 mila posti di lavoro. E dal giuramento del Governo Conte ad oggi si sono persi, in particolare, 53 mila posti di lavoro dipendente a tempo indeterminato, quelli che dovevano essere incentivati ed accresciuti con alcune misure di politica economica, quali, ad esempio, il cosiddetto “decreto dignità”, che questo Parlamento ha approvato l'estate scorsa. Dal giuramento del Governo Conte ad oggi, in questo Paese ci sono 32 mila precari in più, laddove per precari intendo persone con contratti di lavoro dipendente a tempo determinato, esattamente quella tipologia di contratti che, invece, dovevano essere ridotti. Su questo, per fare chiarezza con chi ci sta ascoltando, se qualcuno ci sta ascoltando, la confusione si crea perché spesso si prende un intervallo di tempo più breve e si dice: rispetto a dicembre, a gennaio sono aumentati… rispetto a febbraio… Ripeto, dal nostro punto di vista, serietà impone che ci sia un solo criterio per giudicare l'operato di un Governo: da prima che arrivavi tu ad adesso cosa è cambiato? E l'unico modo per rispondere a questa domanda è guardare il mercato del lavoro il 1° giugno 2018, quando il Governo Conte giurava, e guardarlo adesso. E se si usa questo criterio, che è l'unico che una persona normale per giudicare l'operato di chicchessia utilizzerebbe, questi sono i dati, di nuovo fonte ISTAT.

La fonte Banca d'Italia, invece, per un altro dato, che noi riteniamo drammatico, indica gli investimenti di portafoglio dei residenti all'estero nei confronti di attività finanziarie italiane, in poche parole quante persone all'estero comprano i nostri strumenti finanziari emessi in Italia (azioni, obbligazioni, titoli del debito pubblico). Ebbene, da maggio 2018 a novembre 2018 - qui il dato è più breve, ma questo è l'ultimo dato disponibile dal Bollettino di Banca d'Italia - noi abbiamo un deflusso di investimenti di portafoglio di soggetti esteri nel nostro Paese pari a 109,4 miliardi. Cioè, dall'insediamento del Governo Conte fino all'ultimo dato disponibile, fine novembre, ci sono state dismissioni di attività finanziarie domestiche italiane pari a 109,4 miliardi; di questi, 88,1 sono relativi a titoli del debito pubblico, quindi, vi è stata una fuga di 88,1 miliardi dal debito pubblico italiano. Anche grazie a questo, o, meglio, anche per colpa di questo - qui abbiamo delle dichiarazioni francamente incredibili, della settimana scorsa, del Ministro Salvini -, un'elementare occhiata ai dati ci dimostra che, rispetto ai giorni precedenti l'inizio delle trattative per la formazione dell'attuale Governo, lo spread è circa raddoppiato. Parlavano di un livello di spread fra i 120 e i 130 punti base nei giorni precedenti l'avvio delle trattative per la formazione del Governo, rispetto a uno spread di stamattina pari a 246 o 247 punti base, perlomeno l'ultima volta che l'ho guardato. Stiamo parlando, appunto, di un livello di spread circa raddoppiato, e questo si è tramutato in 1,6 miliardi di maggiori interessi pagati finora, nel 2018 sui nostri titoli di Stato.

Questa settimana ci saranno importanti aste del debito pubblico, per circa 15 miliardi, vedremo come andranno, perché, qualora registrino un incremento di spesa per interessi, significherebbe che questo aumento dello spread sta costando agli italiani ulteriori miliardi di euro.

Questo deteriorarsi della situazione economica è basato su questi dati, che in un Paese normale non sono oggetto di discussione; sono semmai oggetto di interpretazione, ma non di discussione, invece noi sentiamo ripetere da nove mesi che ISTAT falsifica i dati, Bankitalia si candidi alle elezioni, che al Fondo monetario internazionale sono affamatori di popolo. Sentiamo affermazioni del genere pronunciate al massimo livello di questo Governo, che oggettivamente preoccupano anche sulla qualità del dibattito della nostra democrazia.

In ogni caso, questi dati ci portano a considerare del tutto irrealistica la stima di crescita del PIL che questo Governo ha fatto con la legge di bilancio 2019: una stima di crescita all'1 per cento del PIL reale nel 2019 che la Commissione europea ha già abbassato, come previsione, allo 0,2 per cento, l'ha ridotta di 5 volte, e Fitch, l'ultima agenzia di rating che si è espressa sul nostro debito sovrano, l'ha abbassata di dieci volte, perché secondo l'agenzia di rating Fitch la crescita nel 2019 non sarà dell'1 per cento, sarà dello 0,1 per cento. Ora, con questo giochino della virgola già ci avete provato a fregare gli italiani, il 2,4 o il 2,04, quindi, chiariamoci: 1 per cento non è 0,1 per cento, è di dieci volte la differenza fra queste due misure. E questo, ovviamente, ha dei riflessi sulla finanza pubblica del 2019 e degli anni seguenti; se cresciamo dieci volte in meno rispetto a quanto previsto, rispetto ai pilastri dell'architettura della finanza pubblica del 2019, questo crea un problema molto rilevante in corso d'opera.

Ci viene detto: non vi preoccupate, perché i provvedimenti della legge di bilancio 2019 risolveranno la situazione. Nella legge di bilancio 2019, ormai lo stiamo ripetendo da un po', citando anche qui dei dati ufficiali, gli investimenti e i contributi agli investimenti pubblici nel 2019 si riducono di un miliardo e 63 milioni rispetto al 2018. Non si è mai visto un Paese che esca da una fase recessiva, diminuendo gli investimenti pubblici. Nella legge di bilancio 2019 la pressione fiscale in questo Paese, dopo cinque anni di discesa, risale di quattro decimi di punto. Non si è mai visto un Paese che esca da una recessione o non entri in una recessione, alzando la pressione fiscale.

La legge di bilancio 2019, fondamentalmente, si basa su due grandi provvedimenti, uno l'abbiamo approvato qualche giorno fa, anzi, entrambi, li abbiamo approvati qualche giorno fa all'interno di un unico atto normativo, il cosiddetto “decretone”: reddito di cittadinanza e “quota 100”. Questa mattina colui che ha, dal punto di vista tecnico, per lo meno, ideato la misura cosiddetta “quota 100”, vale a dire Alberto Brambilla - ex consigliere economico non so se di Palazzo Chigi o del Ministero del lavoro, comunque dell'Esecutivo, poi allontanato evidentemente per queste opinioni -, ci dice, su Il Corriere della Sera, che la misura cosiddetta “quota 100”, oltre a costare sensibilmente di più di quello che viene previsto (lui stima intorno a 30-33 miliardi, lo ripeto, 30-33 miliardi nel corso del triennio), provocherà un ricambio, un'immissione di giovani nel mercato del lavoro pari al 10 per cento; vale a dire, ogni 10 prepensionati, uno, un giovane viene inserito nel mercato del lavoro.

Per mesi ci avevate raccontato che ogni dieci pensionati ne sarebbero entrati 30 di ragazzi nel mondo del lavoro; oggi, quello che vi ha scritto quella misura ci dice, sul Corriere della Sera, che su dieci prepensionati sessantaduenni, probabilmente, ci sarà un solo ingresso nel mercato del lavoro.

A tutto questo si aggiunge qualche significativa preoccupazione sul peggioramento del clima internazionale, perché questi dati che vi ho citato sono così stando le cose; stando così le cose, questi sono i dati; io sono qui a dirvi che c'è qualche preoccupazione che le cose in realtà non stiano così a livello internazionale, ma possano sensibilmente peggiorare. Stamattina per curiosità guardavo da quanto tempo l'area OCSE, l'area OECD, i Paesi più industrializzati del mondo occidentale, i G7 e i G20, non sono in recessione; ebbene, non sono in recessione dal primo trimestre del 2009, sono dieci anni che l'area OECD, l'area G7, l'area G20 non vanno in recessione. È uno dei cicli di espansione più lunghi della storia. L'area euro, l'Unione europea e la Germania, invece, non sono in recessione dal terzo trimestre 2013, sono sei anni, circa sei anni. Anche questo è uno dei cicli di espansione più lunghi della storia. Allora, la mia domanda è: se noi siamo messi così, con queste aree che ancora tirano, quando non tireranno più, visto che stanno tirando da un sacco di tempo, che cosa succederà alla nostra economia?

Abbiamo visto recentemente un calo drastico della produzione industriale in Germania, molto superiore alle attese; se la Germania stoppa in modo così brusco la produzione industriale trascina con sé le parti più produttive del Paese, vale a dire il Nord e il Nord-Est del nostro Paese, che sono intimamente legate al ciclo produttivo tedesco. È successa, il 22 marzo, venerdì, una cosa che negli Stati Uniti non succedeva dal 2007, vale a dire da qualche mese prima del fallimento di Lehman Brothers e che succede solo prima delle recessioni; è un fenomeno noto come inversione della curva dei rendimenti, vuol dire che un'obbligazione americana a tre mesi, lo ripeto, a tre mesi, rende più di un'obbligazione americana a dieci anni, cioè rende più prestare i soldi al Governo americano a tre mesi, di quanto non renda prestarglieli a dieci anni; ciò significa che il mercato sconta da “molto probabile” a “estremamente probabile” una recessione nei prossimi mesi. Questo aspetto è successo soltanto prima delle grandi recessioni.

Ci sono elementi di incertezza nei Paesi in via di sviluppo, non vi voglio annoiare su questo. Ci sono due grandi elementi geopolitico-economici che danno incertezza sul futuro, vale a dire l'esito dei negoziati commerciali fra Stati Uniti e Cina, molto minaccioso, come effetto, e, soprattutto, scendendo di dimensione, ma rimanendo comunque su una dimensione molto elevata, il pericolo della Brexit che rischia, da qui a qualche settimana, di avere dei fortissimi contraccolpi sulle nostre esportazioni, essendo il Regno Unito un mercato importante per la nostra economia.

Quindi, se siamo già messi così senza che tutto questo accada, qualora il ciclo economico dovesse peggiorare, e gli elementi che vi ho citato lo danno per molto probabile, che cosa succederà alla nostra economia? Noi affronteremo il 2019, data la diminuzione della crescita economica, con un deficit-PIL che non sarà inferiore al 2,5 per cento. Se questo Governo deciderà di evitare l'aumento dell'IVA, 23,3 miliardi di aumento IVA, ricorrendo al deficit, perché non trova altre vie, cioè non trova modo di tagliare spese per 23 miliardi, inizieremo il 2020 con un rapporto deficit-PIL del 4 per cento. Un rapporto deficit-PIL del 4 per cento significa un rapporto debito-PIL rapidamente in viaggio verso il 140 per cento del PIL. Cominciano a essere numeri non troppo dissimili da quelli che aveva la Grecia quando è finita a gambe all'aria e noi affronteremo una probabile recessione internazionale con questi numeri, vale a dire con nessuna munizione, con nessuno spazio fiscale per poter veramente stimolare l'economia, perché, di nuovo, non c'è nessun economista che vi neghi che in recessione la politica fiscale vada usata, ma la politica fiscale non la puoi usare quando hai dei margini così ristretti, perché te li sei mangiati sostanzialmente tutti, prima.

Allora, con queste premesse, noi con questa mozione chiediamo al Governo, innanzitutto, di chiarire, nel Documento di economia e finanza che deve approvare entro il 10 aprile, come sta lo stato dei nostri conti pubblici che è significativamente diverso da quello di dicembre per i motivi che ho provato a dire. Chiediamo, poi, al Governo come intenda rispettare gli impegni con la Commissione europea che davano numeri di finanza pubblica sostanzialmente diversi da questi e, visto che, lo ripeto, questa settimana ci presentiamo a chiedere 15 miliardi in prestito, come facciamo ogni mese, fino alla fine dell'anno, come intenda evitare contraccolpi sui mercati finanziari per quanto concerne il costo del nostro debito, presentandoci noi con questi numeri. Infine, chiediamo al Governo - anche se leggiamo sui giornali, perché solo questo ci è consentito fare, che vengono approvati decreti sblocca cantieri, decreti crescita e così via, aspetteremo che il Governo li presenti in Parlamento - di chiarire quali provvedimenti di politica economica intenda adottare ora e nel prossimo futuro per evitare quello che, sulla base di questi dati, sembra essere un periodo molto fosco per la nostra economia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battilocchio, che illustrerà la mozione Mandelli ed altri n. 1-00148, di cui è cofirmatario.

ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI). Presidente, a me il compito di illustrare brevemente questa mozione a prima firma del collega Mandelli, che parte da tutta una serie di considerazioni generali, che in parte sono anche riconducibili all'intervento che mi ha preceduto.

La legge di contabilità nazionale, come modificata dalla legge n. 163 del 2016, fissa al 10 aprile la data di presentazione alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, del principale strumento di programmazione economica e finanziaria nazionale, ossia il DEF, al cui interno è contenuto il Programma di stabilità e il Programma nazionale di riforma, PNR. La presentazione del DEF, nella prima metà del mese di aprile, è volta a consentire alle Camere di esprimersi sugli obiettivi programmatici in tempo utile per l'invio entro il 30 aprile al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione Europea del programma di stabilità e del PNR, che potrà, in questo modo, tenere conto delle indicazioni fornite nell'analisi annuale della crescita predisposta all'inizio di ciascun anno dalla Commissione europea.

In particolare, nell'ambito del DEF per il 2020 il Governo Conte, alla luce dei contenuti della legge di bilancio 2019, sarà tenuto a fornire delle indicazioni puntuali su come il nostro Paese intenda rispettare gli impegni relativi ai conti pubblici per il 2020, e, in particolare, spiegare se e come intenda disinnescare circa 23 miliardi di euro di clausole di salvaguardia previsti nel corso del 2020. Sino ad oggi ancora non si comprende se il Governo eviterà detti aumenti con misure tese ad un innalzamento del livello di tassazione ovvero ad un pesante taglio della spesa pubblica, ovvero ancora con la modifica o l'abrogazione di alcune norme onerose della legge di bilancio 2019.

Ciò che appare ancora più preoccupante è che, secondo voci circolanti nell'ambiente, il Governo sarebbe intenzionato a presentare nel prossimo mese di aprile un DEF contenente solo un quadro delle stime, che rinvia al prossimo autunno, con la Nota di aggiornamento al DEF 2020, ogni decisione cruciale di natura programmatica, che, secondo quanto previsto dalla legge di contabilità nazionale, dovrebbe essere, invece, contenuta nel Documento di economia e finanza. Non a caso, recentissimamente il Vicepresidente della Commissione europea, Dombrovskis, ha invitato l'Italia a prendere nuove iniziative per ridurre il deficit e il debito pubblico, che lo scorso gennaio ha, come sappiamo, registrato un nuovo picco. L'incremento mensile è stato pari a oltre 41 miliardi di euro.

Una serie di dati veramente preoccupanti e allarmanti, considerato, inoltre, come è stato anche ricordato, che tutte le previsioni fatte sino ad oggi rilevano che la crescita italiana sarà ben al di sotto dell'1 per cento stimato fino ad ora dal Governo; che l'OCSE ha annunciato che l'anno 2019 si chiuderà in recessione per l'Italia; che, come è stato ricordato, l'agenzia Fitch ha tagliato le stime di crescita dell'Italia; che l'Italia, dopo la Turchia, è stato il Paese che ha subìto la revisione più pesante del PIL 2019, pari a un punto percentuale nel giro di un trimestre; che già nel mese di febbraio Fitch aveva tagliato le previsioni di crescita dell'Italia allo 0,3 per cento. L'abolizione o la riduzione di misure agevolative e pro crescita, come l'aiuto alla crescita economica, l'iper e super ammortamento ed il patent box, creeranno un nuovo aggravio fiscale proprio sulle imprese, che sono tra le componenti della società che dovranno sopportare maggiormente i costi necessari per finanziare il reddito di cittadinanza e “quota 100”.

Quindi, il contesto generale appare certamente negativo, e anche se a gennaio nel fatturato e ordinativi delle aziende si è assistito ad un'inversione di tendenza, con più 3,1 dei fatturati e più 1,8 degli ordinativi, permangono settori fortemente colpiti dalla recessione, come quello automobilistico, che ha chiuso nel mese di gennaio 2019 con un sonoro meno 21,5 per cento e si trova oggi a fare i conti anche con l'introduzione, come sappiamo, dell'ecotassa. Inoltre, ulteriori effetti recessivi potrebbero prodursi qualora non si intervenga in modo chiaro e deciso sui fattori domestici che sono all'origine del rallentamento economico del Paese. I dati diffusi dall'Istat il 1° marzo del 2019 sul mercato del lavoro evidenziano, del resto, che - è stato detto in precedenza - dall'insediamento del Governo Conte al 31 gennaio 2019 si sono persi 91 mila occupati.

Nell'ambito di questo contesto, appare chiaro che lo spread sui nostri titoli pubblici, che da maggio scorso frena l'economia, non scenderà in modo significativo fino a quando gli investitori non capiranno come il Governo intenda impostare i conti pubblici del prossimo anno, anche alla luce del peggioramento della congiuntura macroeconomica. Sotto tale profilo, un'attenta definizione del quadro macroeconomico del prossimo DEF per il 2020 non può che rappresentare una tappa cruciale in questo particolare momento storico per il nostro Paese, perché il Documento di economia e finanza rappresenta, appunto, il programma di Governo su cui puntano gli occhi non solo l'Europa, ma anche i mercati e gli investitori europei, e da cui dipendono le decisioni di investimento e disinvestimento industriali a tutti i livelli, nazionale, europeo ed internazionale.

Quindi, è chiaro che il nostro Paese sconta un gap di credibilità rispetto ad altri Paesi europei; un gap che deve assolutamente essere recuperato. Fatte queste premesse ed individuata questa cornice, con la nostra mozione noi chiediamo al Governo, con buonsenso, di porre in essere ogni atto di competenza volto ad anticipare la definizione del quadro macroeconomico del DEF per il 2020, che dovrà essere comunque presentato alle Camere entro la data del 10 aprile 2019, corredato sia del quadro tendenziale che di quello programmatico della finanza pubblica; specificare, nell'ambito del DEF per il 2020, come il Governo intenda disinnescare i 23 miliardi di euro di clausole di salvaguardia previsti nel corso del 2020 e i 28,8 nel 2021; scongiurare il rischio di un'ulteriore manovra da circa 10 miliardi di euro, senza incorrere in procedura di infrazione per eccessivo scostamento del deficit; dare seguito alla revisione del sistema fiscale, in particolare attraverso l'introduzione di una vera flat tax.

Purtroppo, circolano svariate versioni, provenienti da più fonti, e una indefinita indicazione della relativa compensazione finanziaria. Invitiamo, inoltre, il Governo a chiarire come conciliare sotto il profilo della tenuta della sostenibilità economico-finanziaria l'annunciata adozione di un nuovo decreto d'urgenza, il cosiddetto “decreto crescita”, nell'ambito del quale si intende riattivare l'operatività di misure cancellate o fortemente depotenziate con la legge di bilancio 2019.

Infine, invitiamo il Governo ad esporre nel DEF per il 2020 quali saranno le misure di contrasto alla recessione del Paese e per recuperare credibilità nel contesto europeo ed internazionale. Auspichiamo una convergenza ampia sul testo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lucaselli, che illustrerà la mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00149, di cui è cofirmataria.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Il gruppo di Fratelli d'Italia ha ritenuto necessario, oltre che doveroso, presentare una mozione sul tema proprio perché riteniamo che sia assolutamente fondamentale dibattere in Aula, anche se pare che questi dibattiti non interessino a molti, su alcuni temi che sono invece fondamentali soprattutto per il futuro dei ragazzi che vediamo lì seduti a guardarci. Dunque dobbiamo partire da una prima considerazione ossia che le opposizioni, seppur in modo differente e partendo da presupposti assolutamente diversi, avevano iniziato a parlare con il Governo già in sede di DEF e poi ancora in sede di legge di bilancio, proprio perché ritenevamo assolutamente doveroso far presente che la linea indicata all'epoca sia dal Presidente del Consiglio sia dal Ministro Tria non era una linea che poteva essere sostenuta proprio perché di fatto le parole non erano poi supportate dai numeri. Tuttavia è proprio con i numeri che, invece, dobbiamo fare i nostri conti ed è su quelli che dobbiamo fare le nostre considerazioni. E allora se dobbiamo stare ai conti, se, come dicevano bene i colleghi prima, è ai numeri che ci dobbiamo attenere, allora vuol dire che sino a questo momento il Governo e l'attività di Governo in materia economica ha assolutamente fallito. Vedete, arriveremo presto e dovremmo fare i conti già ad aprile con il grossissimo problema, che ricordava prima il collega, dei 23 miliardi necessari per bloccare l'aumento delle aliquote IVA previste a partire dal 1° gennaio 2020. Faremo i conti con questo primo grossissimo problema partendo dai dati diffusi dall'Istat che ci raccontano un'economia nazionale nella quale, nel quarto trimestre 2018, i dati hanno certificato una contrazione del PIL pari allo 0,2 per cento e che non ha prospettive di miglioramento. L'ultimo bollettino della Banca d'Italia prevede per il 2019 una crescita massima allo 0,6: non ritengo necessario dover ricordare che il dato che ci venne invece raccontato dal Governo in legge di bilancio era fissato all'1 per cento e che evidentemente a questo punto è assolutamente smentito.

L'impatto negativo della frenata del PIL sui nostri conti pubblici determinerà in automatico l'incremento del deficit nominale e del debito e, ove questo non dovesse essere compensato, ovviamente chi capisce di numeri, sa che ciò potrà avere effetti assolutamente devastanti proprio perché, se non vi fossero massicci investimenti, la nostra economia rischierebbe di contrarsi ancora di più. Proprio parlando degli investimenti, mi pare che il Governo abbia abdicato a un altro ruolo fondamentale e abbia, ancora una volta, raccontato una cosa diversa da quella che poi ha messo nei numeri, perché la paralisi dei cantieri, che si sta venendo a creare in seguito alle numerosissime fratture presenti all'interno della maggioranza e che, voglio ricordarlo, rischia di bloccare anche la TAV sulla quale probabilmente abbiamo tempi molto più stringenti, considerato anche quanto ci dice l'Unione europea, rispetto agli investimenti privati farà sentire un'ulteriore contrazione. Confindustria dice che la fiducia delle imprese nell'economia italiana è calata drasticamente così come sono calati gli investimenti dall'estero e ciò accade per una serie di motivi e mi pare sia assolutamente evidente che non vi siano oggi le condizioni per investire nella nostra nazione: non ci sono i criteri in una nazione dove la burocrazia è ancora troppo predominante rispetto invece alla necessità di velocizzare i tempi per far sì che gli investimenti vengano effettuati.

E non da ultimo ricordo un dato che possiamo riprendere proprio dalla legge di bilancio perché non ho dimenticato e sicuramente i colleghi che facevano parte di quella Commissione non hanno dimenticato, come è stato cancellato il super-ammortamento e sono stati rimodulati tutti gli incentivi dell'iper-ammortamento in beni tecnologici. Ciò fa sì che le nostre aziende non solo abbiano più difficoltà (e ne avranno sicuramente molta di più di qui in avanti) ad investire nelle proprie attività ma abbiamo un problema anche rispetto alla concorrenza. Le imprese italiane continuano ad essere vessate da una tassazione assolutamente abnorme, dal peso di un'eccessiva burocrazia, come dicevo prima: pensiamo per esempio all'introduzione della fatturazione elettronica che, sino ad oggi, non ha dato alcun risultato se non quello di far chiudere moltissimi esercizi commerciali, di aver gravato i piccoli commercianti di un costo aggiuntivo e di una parte sostanziale all'interno della propria organizzazione imprenditoriale.

L'analisi annuale della crescita 2019, elaborata dalla Commissione europea nel novembre 2018, conferma che l'economia europea è entrata nel sesto anno di crescita ininterrotta e ribadisce anche che, in diversi Stati membri, il flebile impulso delle riforme e la bassa crescita della produttività e gli elevati livelli di debito gravano sul potenziale di crescita dell'economia generale e quindi anche quella degli altri Paesi. E, in particolare, abbiamo ritenuto necessario sottolineare come in questo documento venga evidenziato che le vulnerabilità persistenti e la bassa crescita della produttività creano disuguaglianze di reddito e aumento delle disparità regionali e territoriali. Ora è chiaro che tutto questo fa sì che l'Italia che, evidentemente è in recessione ma che rispetto ad essa non dà vere soluzioni per cui c'è il problema ma si tende e si continua a non voler analizzare il problema per quello che è e, quindi, a non dare risposte concrete, ecco allora, rispetto a questi fatti, dovremmo forse fermarci e capire che l'attività del Governo non sta andando nella giusta direzione. Lo dico anche in virtù di un semi-dibattito che c'è stato sul reddito di cittadinanza, sul provvedimento che abbiamo da poco discusso, ribadendo che, secondo Fratelli d'Italia, il gruppo al quale appartengo, è fondamentale che le risorse oggi vengano spese invece proprio per dare impulso alle imprese che creano lavoro perché, anche sul tema del lavoro, è stato fatto ricordo il decreto dignità ma, anche in questo caso, non vi sono stati gli effetti che ci venivano raccontati, anzi. Ciò inizia davvero ad essere un problema che, se non risolto, potrebbe diventare insormontabile e che comunque ricadrà per i suoi effetti negativi sulle prossime generazioni. Ad esempio, mi viene in mente che, anche rispetto alla politica nei confronti della Russia, noi abbiamo iniziato a portare all'attenzione dei Ministri competenti e del Governo la questione russa già dall'inizio della legislatura in corso, perché il blocco che abbiamo nei confronti della Russia ci porta di fatto a perdere nel mercato delle esportazioni italiane oltre 3 miliardi di euro ogni anno e ciò colpisce, in particolar modo, le imprese agroalimentari e il mercato delle tecnologie e, nonostante ci siano state rassicurazioni in tal senso, di fatto, quando poi si è andati in Europa per portare la propria voce, si è portata una voce distonica rispetto a quella utilizzata all'interno dell'Aula.

Ora l'Italia rileva dati nettamente inferiori a quelli della media degli Stati della zona euro anche per quanto riguarda la percentuale di occupati e il tasso fissato come obiettivo nell'ambito della strategia Europa 2020 che consiste nell'elevazione almeno al 70 per cento per i soggetti della fascia d'età compresa fra i 20 e i 64 anni per noi appare assolutamente lontano.

Sull'occupazione stabile continua a pesare in modo drammatico il costo del lavoro, che in Italia è del 10 per cento superiore a quello che si registra mediamente nel resto d Europa, prelevando il 49 per cento a titolo di contributi e di imposte. Ancora peggiore poi, se possibile, è la situazione delle piccole e medie imprese. Il total tax rate stimato per una media impresa equivale a un carico fiscale complessivo superiore di quasi 25 punti rispetto a quello pagato dalla media delle imprese in Europa, sfiorando il 65 per cento, e anche questa è una riflessione a carattere sostanziale perché se non ci preoccupiamo di queste differenze e se non ci preoccupiamo di alleggerire quel gap fra le nostre aziende e i nostri diretti concorrenti che sono le aziende innanzitutto della Comunità e che sono presenti all'interno della Comunità, allora dovremmo già dire di aver rinunciato alla possibilità, per le nostre aziende, di essere competitive con gli stessi strumenti sul mercato globale.

Ovviamente, a tutto questo dobbiamo aggiungere il basso reddito pro capite e nulla di questo è stato di fatto risolto dalle politiche economiche e fiscali varate sin qui da questo Governo che, invece di puntare alla produttività, e, quindi, al sostegno alla produttività, ha ritenuto necessario concentrarsi su un versante assistenzialistico, tra l'altro facendolo in modo del tutto inadeguato. Vedete, anche la ripresa degli investimenti pubblici, alla quale l'ultimo DEF aveva riconosciuto un ruolo chiave e io ricordo Tria in Commissione, durante le audizioni, raccontarci che i soldi per gli investimenti c'erano, che ci sarebbero stati e che gli investimenti sarebbero partiti di lì a pochissimo, ebbene, tutto questo non è successo e, quindi, anche in questo caso, non sembra aver trovato attuazione il criterio fondante una nazione come la nostra, che è quello, appunto, di effettuare quegli investimenti non solo perché necessari, ma perché, a questo punto, l'Italia ne ha davvero bisogno. E, invece, di contro vediamo l'abbandono dei progetti più importanti, quelli deliberati già da tempo, e ritorno alla TAV con numerosissimi problemi sia nei confronti delle aziende sia dei lavoratori coinvolti in quei cantieri.

Dovremmo pensare alla riduzione del debito pubblico, e noi riteniamo che la riduzione del debito pubblico non può essere realizzata con le cieche politiche dell'austerità che derivano dall'applicazione delle regole imposte anche attraverso questo DEF e che hanno prodotto, invece, effetti devastanti sulla mancata ripresa economica.

Abbiamo, dall'altra parte, la necessità di raccontare finalmente un'Italia diversa. Vedete, noi abbiamo partecipato ai lavori nella Commissione bilancio e nella Commissione finanze in maniera davvero molto serena, quindi senza partire mai da un preconcetto rispetto all'attività di Governo ma cercando di numerarci e di confrontarci sui numeri. Eppure, ancora oggi si parla genericamente di un'applicazione di una flat tax che, di fatto, non porterà a risultati concreti, a meno che non si prenda in considerazione quello che noi andiamo raccontando da tempo, cioè la possibilità di introdurre una flat tax incrementale, di modo che questa non abbia un'incidenza diretta sul bilancio dello Stato.

Vorremmo che ci fosse la riformulazione e che venisse messo mano nuovamente al sistema tributario con l'introduzione, per esempio, di un'unica aliquota fiscale per le famiglie e per le imprese e che ci fossero delle no tax area per le deduzioni. Vorremmo che venissero semplificati concretamente tutti gli adempimenti burocratici a carico delle imprese e vorremmo che venisse eliminata, o sospesa quantomeno, l'applicazione della fatturazione elettronica, che, sino a questo momento, ha prodotto soltanto dei danni.

Vorremmo che ci fosse l'avvio di quello che è stato detto in campagna elettorale, cioè l'avvio della riduzione delle accise sulla benzina. Vorremmo che venisse finalmente escluso lo split payment sulle piccole e medie imprese.

Vorremmo che ci fosse un'iniziativa sostanziale da parte di questo Governo per aiutare finalmente la crescita demografica e, quindi, contrastare la decrescita che è attualmente in atto in modo assolutamente preoccupante, che venisse incentivata la natalità con provvedimenti strutturali ma soprattutto permanenti, cioè con provvedimenti che abbiano la capacità di guardare non da qui a domani, ma da qui alle prossime generazioni.

Noi vorremmo davvero che ci fosse, tra l'altro, la tutela delle nostre aziende anche per ciò che riguarda il made in Italy. Lo abbiamo detto più volte e non ci stancheremo mai di ribadirlo: noi abbiamo la necessità che ci siano delle politiche concrete per tutelare i nostri prodotti e i nostri produttori all'estero, e la sottoscrizione di accordi in giro per il mondo ovviamente non è sufficiente. E vorremmo che venissero adottate politiche industriali efficienti, volte a fronteggiare la minaccia all'economia e alla sicurezza del Paese, attraverso la tutela delle aziende italiane di rilevanza strategica e ad alto contenuto tecnologico, spesso permeabili a manovre esterne indirizzate ad assumerne il controllo.

Insomma, noi vorremmo che ci fosse l'attenzione sulle politiche economiche di questo Paese, che ciò venisse fatto in maniera seria e che venisse fatto soprattutto in maniera onesta, senza raccontare ai nostri cittadini una crescita che non c'è e senza dare ai nostri cittadini la sensazione che attraverso alcune misure - penso, per esempio, al reddito di cittadinanza - si possa davvero stimolare il consumo interno, considerato che non è questo che fa crescere un Paese.

PRESIDENTE. Vogliamo cogliere l'occasione per salutare i ragazzi e gli insegnanti della scuola primaria della direzione didattica di Aulla, in provincia di Massa Carrara, che oggi sono qui con noi (Applausi). Bambini, oggi l'Aula non è tanto piena perché ci sono solo le discussioni sulle linee generali, altrimenti domani lo sarà e ci saranno tutti i colleghi che partecipano. Siamo contenti di avervi qui con noi, grazie.

È iscritto a parlare l'onorevole Fassina, che però non vedo in Aula; s'intende che vi abbia rinunciato.

È iscritta a parlare l'onorevole Faro. Ne ha facoltà.

MARIALUISA FARO (M5S). Grazie, Presidente. La mozione a prima firma Marattin è costruita a partire da una tesi di fondo scritta a chiare lettere nel testo: la recessione tecnica del secondo semestre 2018 dipenderebbe in maniera esclusiva dal calo della domanda interna, e non da quello delle esportazioni. Seguendo questa tesi, dovremmo aspettarci un rallentamento economico isolato del nostro Paese, con una crescita delle principali economie europee e mondiali, in linea con le aspettative. Naturalmente la tesi della mozione è falsa ed è quindi falso anche il corollario, come riconosce chiunque guardi con un minimo di attenzione ai dati macroeconomici. Non è assolutamente vero che il rallentamento italiano sia slegato dalla dinamica delle esportazioni. I dati ISTAT ci dicono, al contrario, che da luglio a dicembre 2018 le esportazioni, in termini congiunturali, hanno registrato il segno negativo in quattro mesi su sei: meno 2,6 per cento a luglio, meno 2,1 per cento a settembre, meno 0,4 a novembre e meno 2,3 per cento a dicembre. E non è un caso che, nel frattempo, le economie verso le quali esportiamo la quota maggiore del nostro prodotto abbiano accusato un forte rallentamento: la Germania, in particolare, avrebbe dovuto crescere del 2,3 per cento nel 2018, secondo le stime iniziali della Bundesbank, mentre è cresciuta dell'1,5 per cento. Si tratta di un Paese che compra dall'Italia beni e servizi per circa 55 miliardi di euro l'anno.

Lo stesso potremmo dire per la Francia e il Regno Unito: economie che accusano un consistente deficit commerciale verso l'Italia e che sono rallentate nel secondo semestre 2018, danneggiando il nostro percorso di crescita. Discorso analogo vale per la Cina, le cui importazioni, a dicembre 2018, erano crollate del 7,6 per cento, in termini tendenziali, e il cui tasso di crescita è in deciso rallentamento.

Vorrei ricordare ai colleghi anche un altro dettaglio, che tendono spesso a rimuovere: la prima legge di bilancio di questo Governo è entrata in vigore il 1° gennaio 2019, mentre qui ci troviamo a commentare i dati risalenti al secondo semestre 2018. Non è che non vogliamo essere giudicati nel merito, è che ci piacerebbe essere giudicati su quello che abbiamo fatto, non su quello che abbiamo ereditato da Marattin e colleghi. È pur vero che, al netto del rallentamento europeo e globale e al netto della programmazione economica restrittiva che abbiamo ereditato dal Governo Gentiloni, questo Governo ha intavolato una trattativa con l'Unione europea sul rapporto deficit-PIL 2019-2021. Se questo ha avuto un effetto di breve termine sui mercati e sul tasso di investimenti - e nessuno lo nega -, bisogna tenere anche conto che, proprio grazie a quella trattativa, l'Italia ha potuto inserire all'interno della legge di bilancio il reddito di cittadinanza, “quota 100”, la riduzione della pressione fiscale sulle piccole e medie imprese e un piano di investimenti da quasi 15 miliardi nel triennio.

Non voglio nemmeno pensare a cosa saremmo andati incontro con un deficit all'1,2 per cento, come previsto secondo la programmazione per il 2019 del Governo Gentiloni. Evidentemente, non avete ancora capito che l'austerità danneggia l'economia e gli stessi parametri di finanza pubblica. Infine, la mozione parla degli investimenti pubblici che sarebbero fermi. È curioso venire accusati di bloccare gli investimenti proprio da chi li ha portati al minimo storico, all'1,9 per cento del PIL nel 2018. Ricordo al collega Marattin che a Gennaio del 2019 le spese in conto capitale degli enti locali hanno segnato un cambio di marcia deciso rispetto al recente passato, un più 21,8 per cento nei comuni e un più 84,9 per cento nelle regioni nel bimestre gennaio-febbraio di quest'anno rispetto allo stesso periodo del 2018. Sono investimenti che ripartono anche grazie allo sblocco degli avanzi di amministrazione, che abbiamo approvato prima della manovra. Senza dimenticare che il Governo ha da poco varato il decreto “sblocca cantieri”, la prima tappa di un necessario percorso di semplificazione del codice degli appalti e del quadro normativo che regola le spese di investimento. A questo si aggiunge il “proteggi Italia”, un piano di 11 miliardi di euro per combattere il dissesto idrogeologico. Per quanto riguarda i dati economici positivi forse il collega dimentica il vero e proprio boom dei contratti a tempo indeterminato, nonostante i livelli occupazionali stiano soffrendo la recessione tecnica. A gennaio 2019 le trasformazioni a tempo indeterminato sono aumentate del 98,6 per cento rispetto a gennaio del 2018. È innegabile l'incidenza positiva del “decreto dignità”, che i cosiddetti “competenti” avevano criticato in lungo e in largo. La stessa produzione industriale a gennaio ha ripreso a correre, segnando un più 1,7 per cento, rispetto a dicembre 2018. Sono segnali di un rallentamento che potrebbe volgere al termine, grazie anche alle misure da poco entrate in vigore, e di certo si faranno sentire con particolare forza dal secondo trimestre di quest'anno. Si sta seguendo, Presidente, un percorso ben chiaro, velocizzando anche in alcuni casi l'attuazione e l'applicazione di determinate misure, affinché possano generare i propri effetti il prima possibile. Questo percorso non può fermarsi a causa di ipotesi e previsioni di un periodo precedente alle iniziative di questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Occhionero. Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA OCCHIONERO (LEU). Grazie, Presidente. Prendo la parola per sottoporre all'attenzione dell'Aula una questione che mi è particolarmente cara e che riguarda il caso della biblioteca “Albino” di Campobasso. Bene, Presidente, per tanto tempo la biblioteca “Albino” è stata il cuore culturale e sociale, non solo della città di Campobasso, capoluogo di regione del mio Molise, ma di tutta la nostra regione. Ebbene, purtroppo è chiusa da tre anni; ha costituito un servizio fondamentale, essenziale per tantissimi cittadini che la frequentavano abitualmente, ma soprattutto per tanti giovani, giovani studenti, che erano soliti frequentare davvero per l'approfondimento degli studi e per placare la sete di conoscenza e di sapere la biblioteca “Albino”. Soprattutto in questo momento storico, in cui è sempre più forte il bisogno di cultura, al quale fa da controcanto un linguaggio troppo aggressivo, retrivo, retrogrado, puntare sulla cultura sarebbe un'azione lungimirante anche per noi che ci occupiamo di politica e soprattutto sarebbe un'azione utile per il nostro Paese in generale e in questo caso per il mio Molise, per la città di Campobasso. Purtroppo - dicevo - la biblioteca “Albino” è chiusa da tre anni e da una prima gestione di competenza provinciale, a seguito di un accordo tra comune, provincia e Ministero, è passata alla gestione del Mibac. Da quel momento in poi, la biblioteca è rimasta chiusa, nonostante le rassicurazioni del Ministero, che aveva promesso alla nostra regione una apertura accelerata della stessa biblioteca. Ecco, io a questo punto sollecito il Governo, per il suo tramite, Presidente, perché noi, in Molise, abbiamo sete di conoscenza e di cultura e perché vogliamo che la biblioteca “Albino” riapra al più presto, perché la lettura non solo migliora la vita, ma forse leggere aiuterebbe anche noi a migliorare il Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Salutiamo i bambini e i loro insegnanti della scuola primaria “Santa Croce”, di Sapri, in provincia di Salerno, che sono venuti qui a trovarci oggi. Benvenuti (Applausi)! Oggi trovate l'Aula vuota perché c'è una discussione generale; domani ci saranno tutti i colleghi perché procediamo con le votazioni. Buon proseguimento della vostra visita.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 26 marzo 2019 - Ore 11:

1. Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni .

(ore 15)

2. Seguito della discussione della proposta di legge:

DE MARIA ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sullo stato della sicurezza e sul degrado delle città. (C. 696-A)

e delle abbinate proposte di legge: LUPI ed altri; GELMINI ed altri; RAMPELLI ed altri. (C. 1169-1313-1604)

Relatori: BRESCIA, per la maggioranza; MARCO DI MAIO, di minoranza.

3. Seguito della discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nell'anno 2019, sul Programma di lavoro della Commissione per il 2019 e sul Programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea. (Doc. LXXXVI, n. 2-A)

Relatrice: GIORDANO.

4. Seguito della discussione della proposta di legge:

PEREGO DI CREMNAGO ed altri: Avvio di un progetto sperimentale per la realizzazione di percorsi formativi in ambito militare per i cittadini di età compresa tra diciotto e ventidue anni. (C. 1012-A)

Relatore: FERRARI.

5. Seguito della discussione delle mozioni Marattin ed altri n. 1-00141, Mandelli ed altri n. 1-00148 e Lollobrigida ed altri n. 1-00149 concernenti iniziative di politica economica, alla luce dei recenti dati economici .

La seduta termina alle 16,30.