XVIII LEGISLATURA
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli nella seduta dell'8 aprile 2019.
Amitrano, Battelli, Benvenuto, Berti, Bonafede, Boschi, Braga, Brescia, Buffagni, Businarolo, Campana, Carfagna, Castelli, Castiello, Cirielli, Colucci, Cominardi, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Sabrina De Carlo, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Fassino, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Frusone, Galli, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grillo, Grimoldi, Guerini, Guidesi, Invernizzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Maniero, Manzato, Micillo, Migliore, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Napoli, Orlando, Alessandro Pagano, Parolo, Patassini, Picchi, Polverini, Rampelli, Ribolla, Rixi, Ruocco, Saltamartini, Scalfarotto, Scerra, Scoma, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Spadoni, Spessotto, Tofalo, Vacca, Valente, Vignaroli, Villarosa, Raffaele Volpi, Zóffili, Zolezzi.
Annunzio di proposte di legge.
In data 5 aprile 2019 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
DELLA FRERA e ZANGRILLO: «Modifica all'articolo 1 della legge 5 gennaio 1953, n. 4, in materia di contenuto dei prospetti di paga dei lavoratori» (1746);
DEIANA ed altri: «Introduzione dell'articolo 232-quater del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di smaltimento delle biomasse vegetali spiaggiate» (1747);
MOLLICONE ed altri: «Modifica all'articolo 3 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, in materia di tutela dei conduttori che versano in condizioni economiche disagiate, nei casi di dismissione di immobili pubblici» (1748);
FRASSINETTI ed altri: «Agevolazioni fiscali e tariffarie per l'installazione di defibrillatori semiautomatici o automatici esterni nei condomìni con più di dieci unità abitative e altre disposizioni per la diffusione della conoscenza delle tecniche di primo soccorso presso le istituzioni scolastiche» (1749).
Saranno stampate e distribuite.
Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
I Commissione (Affari costituzionali):
MELICCHIO ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sullo svolgimento delle operazioni di voto e di scrutinio nella circoscrizione Estero negli anni 2017 e 2018» (1335) Parere delle Commissioni II, III e V.
III Commissione (Affari Esteri):
«Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo italiano e il Governo di Singapore di cooperazione scientifica e tecnologica, fatto a Roma il 23 maggio 2016» (1641) Parere delle Commissioni I, V, VII e X.
VIII Commissione (Ambiente):
PAITA: «Disposizioni concernenti l'adozione di programmi di intervento strategico per la realizzazione di opere di interesse pubblico» (1566) Parere delle Commissioni I, II, V, IX, X, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
IX Commissione (Trasporti):
«Delega al Governo per la modifica del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285» (1661) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VII, VIII, X, XII, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari sociali):
COLLETTI ed altri: «Modifiche alla legge 8 marzo 2017, n. 24, al codice di procedura civile e alle disposizioni per la sua attuazione nonché alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, in materia di responsabilità sanitaria» (1321) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Trasmissione dalla Corte dei conti.
Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 4 aprile 2019, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Società per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione (MEFOP) Spa, per l'esercizio 2017, cui sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 132).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XI Commissione (Lavoro).
Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 4 aprile 2019, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Fondazione Istituto italiano di tecnologia (IIT), per l'esercizio 2017, cui sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 133).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive).
Il Presidente della Corte dei conti, con lettera in data 3 aprile 2019, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 17, comma 9, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, la relazione, approvata dalle Sezioni riunite in sede di controllo della Corte stessa il 29 marzo 2019, sulla tipologia delle coperture adottate e sulle tecniche di quantificazione degli oneri relativamente alle leggi pubblicate nel quadrimestre settembre-dicembre 2018 (Doc. XLVIII, n. 4).
Questa relazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).
Trasmissione dal Ministero dell'interno.
Il Ministero dell'interno ha trasmesso un decreto ministeriale recante una variazione di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, di pertinenza del centro di responsabilità «Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione», autorizzata in data 6 febbraio 2019, ai sensi dell'articolo 1, comma 1262, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
Questo decreto è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).
Trasmissione dal Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo.
Il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo ha trasmesso un decreto ministeriale recante una variazione di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, autorizzata, in data 19 marzo 2019, ai sensi dell'articolo 33, comma 4-quinquies, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla XIII Commissione (Agricoltura).
Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 5 aprile 2019, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la proposta di decisione del Consiglio sulla posizione da adottare a nome dell'Unione europea in occasione della 18a riunione della conferenza delle parti della convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione (COP 18 della CITES) (COM(2019) 146 final), corredata dai relativi allegati (COM(2019) 146 final - Annex 1 e COM(2019) 146 final - Annex 2), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 4 aprile 2019, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Nell'ambito di tali documenti, il Governo ha richiamato l'attenzione sulla raccomandazione della Commissione del 26.3.2019 – Cibersicurezza delle reti 5G (C(2019) 2335 final), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e IX (Trasporti).
Con la predetta comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento:
Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro (COM(2019) 160 final);
Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'applicazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (COM(2019) 161 final);
Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare (COM(2019) 162 final).
Annunzio di provvedimenti concernenti amministrazioni locali.
Il Ministero dell'interno, con lettere in data 26 e 28 marzo 2019, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 141, comma 6, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, i decreti del Presidente della Repubblica di scioglimento dei consigli comunali di Civate (Lecco), Corropoli (Teramo), Diamante (Cosenza), Palestrina (Roma) e Senna Comasco (Como).
Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.
Trasmissione dal Difensore civico della regione Basilicata.
Il Difensore civico della regione Basilicata, con lettera in data 26 marzo 2019, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, la relazione sull'attività svolta dallo stesso Difensore civico nell'anno 2018 (Doc. CXXVIII, n. 13).
Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.
MOZIONE FORMENTINI, SABRINA DE CARLO, DELMASTRO DELLE VEDOVE, QUARTAPELLE PROCOPIO, COLUCCI ED ALTRI N. 1-00139 CONCERNENTE IL RICONOSCIMENTO DEL GENOCIDIO DEL POPOLO ARMENO
Mozione
La Camera,
premesso che:
la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, ratificata dall'Italia con la legge 11 marzo 1952, n. 153, riconosce che il genocidio ha inflitto gravi perdite all'umanità in tutte le epoche storiche;
la Sottocommissione per i diritti umani delle Nazioni Unite nel 1973 riconobbe che lo sterminio di oltre un milione e mezzo di armeni nell'Impero ottomano avvenuto negli anni 1915-1917 era da considerarsi il primo genocidio del XX secolo, ai sensi della predetta Convenzione;
più di venti Paesi del mondo hanno riconosciuto ufficialmente il genocidio armeno;
il Parlamento europeo, con la «Risoluzione su una soluzione politica del problema armeno», adottata il 18 giugno 1987, riconobbe che i tragici eventi del 1915-1917 occorsi agli armeni nel territorio ottomano costituivano genocidio e ritenne, altresì, che il rifiuto da parte del Governo turco di riconoscere il genocidio commesso dai «Giovani turchi» rappresentava un ostacolo all'adesione della Turchia alla Comunità europea;
con la risoluzione del 12 marzo 2015, inerente alla «Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2013», in vista del 100o anniversario di detto genocidio, il Parlamento europeo chiese a tutti gli Stati membri di provvedere al suo riconoscimento (paragrafo 77);
con la risoluzione del 15 aprile 2015 sul centenario del genocidio armeno, il Parlamento europeo, considerando l'importanza di mantenere vivo il ricordo del passato e ritenendo fondamentali verità e memoria per la riconciliazione tra i popoli, invitava nuovamente la Turchia a riconoscere il genocidio armeno, «aprendo così la strada a un'autentica riconciliazione tra il popolo turco e il popolo armeno». Il Parlamento europeo invitava, altresì, Armenia e Turchia «a concentrarsi su un'agenda che metta in primo piano la cooperazione tra i popoli» ed «a procedere alla normalizzazione delle loro relazioni, ratificando e attuando senza condizioni preliminari i protocolli sull'istituzione di relazioni diplomatiche, aprendo la frontiera e migliorando attivamente le proprie relazioni, con particolare riferimento alla cooperazione transfrontaliera e all'integrazione economica»;
tra i Paesi membri dell'Unione europea hanno dato seguito alla richiesta del Parlamento europeo: Austria, Belgio, Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Svezia e lo stesso ha fatto la Svizzera;
la Camera dei deputati, con la risoluzione n. 6-00148, approvata il 17 novembre 2000, pur richiamando la sopra menzionata risoluzione del Parlamento europeo sul riconoscimento del genocidio armeno, si limitava ad impegnare il Governo ad adoperarsi per il completo superamento di ogni contrapposizione tra popoli e minoranze diverse nell'area;
Sua Santità Papa Francesco, il 12 aprile 2015, in occasione di una solenne celebrazione in San Pietro, ricordava il massacro degli armeni perpetrato dall'Impero ottomano ritenuto «il primo genocidio del XX secolo». Il Pontefice richiamava quanto già espresso nel 2001 da Papa Giovanni Paolo II, che, in una dichiarazione congiunta con il Patriarca Karekin II, aveva utilizzato il termine «genocidio» per definire il massacro della popolazione armena avvenuto da parte dell'Impero ottomano a partire dal 1915;
il riconoscimento e la memoria delle persecuzioni e degli orrori occorsi nel XX secolo deve costituire un monito perenne, affinché il Parlamento sia per sempre baluardo della libertà umana e della dignità della persona secondo i principi e le disposizioni della Costituzione della Repubblica,
impegna il Governo
1) a riconoscere ufficialmente il genocidio armeno e a darne risonanza internazionale.
(1-00139) «Formentini, Sabrina De Carlo, Delmastro Delle Vedove, Quartapelle Procopio, Colucci, Centemero, Carelli, Capitanio, Piccoli Nardelli, Molinari, D'Uva, Zóffili, Cecchetti, Coin, Bordonali, Ziello, Eva Lorenzoni, Bisa, Paolini, Colla, Gadda, Andrea Romano».
MOZIONI MELONI ED ALTRI N. 1-00163, LUPI ED ALTRI N. 1-00166, PANIZZUT, MAMMÌ ED ALTRI N. 1-00167, LORENZIN ED ALTRI N. 1-00168 E CALABRIA ED ALTRI N. 1-00169 CONCERNENTI INIZIATIVE A FAVORE DELLA FAMIGLIA E PER L'INCREMENTO DELLA NATALITÀ
Mozioni
La Camera,
premesso che:
gli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione sono dedicati alla famiglia e al ruolo che ad essa è riservato nell'ordinamento, con particolare riferimento ai rapporti tra i coniugi, ai doveri e diritti rispetto ai figli e ai compiti dello Stato nel sostegno da accordare alla formazione della famiglia e alla tutela della maternità, dell'infanzia e della gioventù, ed è compito del legislatore garantirne la formazione e tutelarne i singoli aspetti;
l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha definito quali politiche per la famiglia quelle che «aumentano le risorse dei nuclei familiari con figli a carico; favoriscono lo sviluppo del bambino; rimuovono gli ostacoli ad avere figli e alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare; e promuovono pari opportunità nell'occupazione»;
la denatalità e lo squilibrio demografico rappresentano una delle prime grandi emergenze italiane in questa fase storica della nostra Nazione;
l'Istat stima che al 1o gennaio 2019 la popolazione in Italia ammonti a 60 milioni 391 mila residenti, oltre 90 mila in meno rispetto al 2017, oltre cinque milioni dei quali sono stranieri;
sempre secondo i dati Istat, nel 2018 sono avvenute 449 mila nascite, minimo storico dall'unità d'Italia, ossia 9 mila in meno rispetto al precedente registrato nel 2017, con una costante e progressiva diminuzione delle nascite dal 2008 al 2018, che in soli dieci anni ha visto 128 mila bambini in meno venire alla luce e, nel medesimo arco temporale, sono diminuiti anche i decessi, che nel 2018 sono stati 636 mila, tredicimila meno di quelli avvenuti nel 2017;
pertanto, la dinamica naturale di nascite e decessi nel 2018 è negativa e l'Istat ha calcolato che le prossime nascite non saranno sufficienti a compensare i futuri decessi, nonostante la fecondità sia prevista in rialzo da 1,34 a 1,59 figli per donna nel periodo 2017-2065;
la società italiana sta, dunque, invecchiando in maniera estremamente veloce, senza che vi sia un ricambio generazionale, con ripercussioni sociali drammatiche nel prossimo futuro, che richiedono lo sviluppo di strategie a lungo termine, quali politiche più mirate di sostegno alle famiglie;
in particolare, tra i fattori collegati alla denatalità gioca un ruolo importante la riduzione delle nascite da madre italiana, 358 mila nel 2018 con una diminuzione di 8 mila nascituri nel 2018 rispetto al 2017;
relativamente al tasso di sostituzione, cioè al numero di figli necessario per rimpiazzare naturalmente la popolazione, pari a un tasso di fertilità di 2,1 figli per donna, in Italia vi è un numero medio pari a 1,34 (1,46 nel 2010), con una differenziazione che vede attribuito alle donne italiane, in media, 1,26 figli (1,34 nel 2010), mentre alle cittadine straniere residenti 1,97 (2,43 nel 2010);
in merito alla distribuzione sul territorio nazionale, la fecondità presenta un profilo diverso tra le regioni: nel 2018 la provincia autonoma di Bolzano si conferma l'area più prolifica della nazione con 1,76 figli per donna, seguono la provincia di Trento (1,50), la Lombardia (1,38) e l'Emilia-Romagna (1,37), mentre le aree dell'Italia dove la fecondità è più contenuta sono tutte nel Mezzogiorno (1,29), in particolare in Basilicata (1,16), Molise (1,13) e Sardegna (1,06), e la situazione è critica anche nel Centro che, con 1,25 figli, occupa l'ultimo posto tra le ripartizioni geografiche e, in particolare, nel Lazio (1,23);
secondo quanto evidenziato durante il Festival di statistica 2018, le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno e hanno una propensione sempre più bassa ad avere figli e le conseguenze saranno quelle di veder crollare la popolazione, arrivando nei prossimi 100 anni a poco più di 16 milioni di abitanti, rispetto ai 59 milioni e 423 mila attuali;
l'istituto statistico della Commissione europea, Eurostat, ha calcolato che il tasso di fertilità nell'Unione europea è sceso ai livelli più bassi durante la crisi economica (2008-2011), tanto da parlare di baby recession, e che nel suo complesso l'Unione è passata da più di 7,2 milioni di nuovi bebé nel 1970 a 5 milioni e 114 mila neonati nel 2016;
secondo le rilevazioni di Eurostat, nessuno dei 28 Stati dell'Unione europea raggiunge il cosiddetto «livello di sostituzione», ossia quel numero di figli necessario per rimpiazzare naturalmente la popolazione, possibile solo con un tasso di fertilità pari a 2,1 figli per donna, mentre il tasso medio di natalità si attesta, invece, a 1,60 figli per donna;
i tassi di natalità più alti sono state registrati in Irlanda (13,5 per 100 residenti), Svezia e Regno Unito (11,8 per cento) e Francia (11,7 per cento), mentre quelli più bassi sono stati registrati in Italia (7,8 per cento), Portogallo (8,4 per cento), Grecia (8,6 per cento), Spagna (8,7 per cento), Croazia (9,0 per cento) e Bulgaria (9,1 per cento). In termini assoluti, la popolazione nel 2016 è aumentata in diciotto Stati membri dell'Unione europea e diminuita in dieci, tra i quali l'Italia, che ha subito una riduzione di popolazione del –1,3 per mille;
le previsioni dell'Onu dicono che gli ultrasessantenni sono oggi un quarto della popolazione europea, ma entro il 2050 saranno già il 35 per cento, e se per ogni persona di età superiore a 65 anni ci sono oggi 3,3 persone in età lavorativa, nel 2050 questa proporzione scenderà sotto la soglia di due, con l'Italia destinata ad averne 1,8 già nel 2035, con le inevitabili importanti ricadute sul sistema del welfare;
l'Italia, contrariamente ad altri Paesi europei, non ha sinora avuto un piano nazionale di politiche familiari, inteso come un quadro organico e di medio termine di politiche specificatamente rivolte alla famiglia, cioè aventi la famiglia come destinatario e come soggetto degli interventi;
il piano nazionale per la famiglia varato nel 2012, che prendeva le mosse proprio dalla constatazione che sino ad allora avevano «largamente prevalso interventi frammentati e di breve periodo, di corto raggio, volti a risolvere alcuni specifici problemi delle famiglie senza una considerazione complessiva del ruolo che esse svolgono nella nostra società, oppure si sono avuti interventi che solo indirettamente e talvolta senza una piena consapevolezza hanno avuto (anche) la famiglia come destinatario» e che «in particolare, sono state largamente sottovalutate le esigenze delle famiglie con figli», non ha avuto alcun seguito e da allora non è stato adottato alcun nuovo piano;
anche la legge di bilancio per il 2019 non fa che confermare una linea di misure frammentate e una tantum che ha caratterizzato gli interventi pro famiglia degli ultimi anni, senza adottare, ancora una volta, iniziative strutturali, in grado di offrire un reale sostegno a quei cittadini che decidono di mettere al mondo dei figli;
il passivo demografico è uno dei problemi cardine dell'Italia: la crisi demografica è un tema strategico per il futuro ed è necessario, dunque, mettere in campo contromisure imponenti ed immediate atte ad adottare politiche di incentivo alla natalità e di sostegno alla maternità;
a questi fattori si aggiungono, nondimeno: l'assenza di politiche efficaci a sostegno della famiglia e della maternità, unitamente alla scarsa tutela accordata alle donne lavoratrici; l'insufficienza e l'inadeguatezza dei servizi di assistenza, con servizi educativi e scolastici costosi, con la mancanza di una rete sussidiaria;
altra difficoltà rilevata è quella concernente la relazione tra maternità e disoccupazione femminile, vale a dire l'impossibilità per le donne di proseguire a lavorare dopo essere diventate madri, questione strettamente legata alla presenza e/o accessibilità dei servizi per l'infanzia;
è stato stimato, infatti, che solamente 43 donne su 100 continuano a mantenere il proprio lavoro in seguito alla nascita di un bambino e spesso le neo-mamme subiscono anche una grave decurtazione stipendiale, che può arrivare anche al 20 per cento nei venti mesi successivi al parto;
dare maggiori possibilità alle madri di mantenere il posto di lavoro ha, tuttavia, una serie di ricadute in termini di crescita del prodotto interno lordo, di sostenibilità finanziaria della spesa sociale, di capacità delle famiglie di sostenersi (i dati dicono che le famiglie monoreddito sono esponenzialmente più a rischio di povertà), ma perché ciò avvenga non bastano i bonus, ma urge piuttosto una riforma strutturale;
la rete dei servizi per la prima infanzia è uno strumento essenziale sia per il benessere e lo sviluppo dei bambini, sia per il sostegno al ruolo educativo dei genitori nell'ambito della conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia;
in Italia si continuano a registrare considerevoli ritardi nel recepimento delle iniziative normative europee in materia di sostegno alla genitorialità e servizi alla famiglia e da anni l'Europa raccomanda all'Italia di moltiplicare gli strumenti che facilitano l'ingresso nel mondo del lavoro di chi ha una famiglia, per poter puntare all'equilibrio dei conti pubblici e a tornare a crescere dopo anni di debolezza;
l'obiettivo fissato in sede europea, che prevedeva una copertura territoriale dei servizi per l'infanzia almeno al 33 per cento entro il 2010, è ancora oggi largamente disatteso in Italia, dove tale copertura arriva in media ad appena il 20 per cento, con punte minime del 13 per cento di strutture nelle regioni meridionali;
a questo si aggiunge la scarsa diffusione di modelli di accoglimento alternativi agli asili nido, sul modello, ad esempio, delle Tagesmutter tedesche;
un efficace sostegno alle famiglie, inoltre, non può prescindere da un insieme di politiche abitative che possano garantire un alloggio ai nuclei che non possiedono sufficienti risorse proprie per acquistarne o locarne uno, al fine di realizzare pienamente il diritto alla casa;
i provvedimenti a sostegno della natalità e della maternità sin qui adottati dimostrano di non aver risolto il problema del calo delle nascite e tantomeno di restituire alle giovani coppie quel diritto al futuro, del quale la genitorialità è una componente essenziale,
impegna il Governo:
1) ad adottare iniziative per avviare una rivoluzione del welfare che metta la famiglia naturale al centro dello Stato sociale e porre in essere un imponente piano di incentivo alla natalità per invertire il trend negativo del calo demografico in Italia;
2) ad adottare iniziative per introdurre il reddito per l'infanzia, per consentire l'erogazione di un assegno familiare di 400 euro al mese per i primi sei anni di vita per ogni figlio minore a carico per le coppie con redditi sotto gli 80.000 euro annui;
3) ad adottare iniziative per avviare una profonda revisione del sistema fiscale – con particolare riguardo al complesso delle detrazioni e deduzioni – prevedendo efficaci misure di agevolazione in favore delle famiglie con figli a carico, al fine di assicurare un prelievo più equo e progressivo basato sul quoziente familiare;
4) a promuovere il rilancio dell'occupazione femminile facilitando l'accesso al lavoro part-time e al telelavoro previsto dalla legge n. 81 del 2017, con l'obiettivo di garantire una più ampia flessibilità nella scelta dell'orario di lavoro e permettere alle madri di scegliere di trascorrere più tempo a casa con il proprio figlio;
5) ad adottare iniziative per prevedere incentivi in favore delle imprese che assumono neomamme e donne in età fertile;
6) ad adottare iniziative per definire incentivi per le aziende che prevedano, al loro interno, delle aree adibite ad asilo nido aziendali per le mamme lavoratrici;
7) ad adottare iniziative per prevedere l'esenzione contributiva per tutte le assunzioni in sostituzione di maternità, a fronte della riduzione del 50 per cento che vige oggi solo per le imprese fino a venti dipendenti, così da poter consentire alle imprese una riduzione degli oneri a loro carico;
8) ad assumere le iniziative di competenza affinché gli asili nido siano gratuiti ed aperti fino all'orario di chiusura di negozi e uffici e prevedano un sistema di turnazione nel periodo estivo per le madri lavoratrici;
9) a sostenere il potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, anche attraverso l'incentivazione dei nidi condominiali, sui luoghi di lavoro e in case private secondo il modello tedesco delle Tagesmutter;
10) ad adottare iniziative per applicare la deducibilità del costo del lavoro domestico di baby sitter, al fine di agevolare quelle famiglie che affrontano spese extra per l'assistenza dei loro figli;
11) ad adottare iniziative per garantire la copertura del congedo parentale, di 180 giorni, fino all'80 per cento, sia per i dipendenti pubblici che privati, e per un periodo che copra fino al sesto anno di vita, a fronte di quello attuale del 30 per cento;
12) ad adottare iniziative per prevedere il pieno riconoscimento dell'opera dei caregiver familiari.
(1-00163) «Meloni, Lollobrigida, Bellucci, Acquaroli, Bucalo, Butti, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Luca De Carlo, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Fidanza, Foti, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».
La Camera,
premesso che:
in questi anni di crisi economica e sociale la famiglia si è rivelata il miglior strumento di welfare, intervenendo concretamente nel sostegno dei suoi componenti che vivevano difficoltà nel lavoro, nella salute, nel mantenere l'abitazione, nell'educazione dei figli;
l'attuale sistema fiscale si è dimostrato ampiamente punitivo per le famiglie con figli, soprattutto per le famiglie numerose;
i dati sulla natalità in Italia sono preoccupanti: si sta assistendo ad un inverno demografico, ad un calo costante di nascite di anno in anno che, se il trend non verrà invertito, comporterà un progressivo impoverimento, non solo economico, ma anche sociale e culturale del nostro Paese;
l'incremento del tasso di natalità, com’è noto, è un vantaggio incomparabile – nel medio e lungo termine – per l'economia di un Paese: maggior numero di occupati, di consumatori e di contribuenti;
il tasso di fecondità nel nostro Paese è attestato su 1,39 figli per donna in età fertile. Quello italiano è uno dei livelli più bassi di fecondità osservato nei Paesi sviluppati; l'età della madre alla nascita del primo figlio è andata aumentando, avvicinandosi oggi alla soglia dei trent'anni;
gli incentivi economici di per sé non convincono una coppia a far nascere un bambino; la questione è più complessa ed è culturale, ma occorre che, per chi i figli li desidera, siano eliminati gli ostacoli di natura economica, lavorativa ed organizzativa che portano sempre più spesso a rinviare la maternità e la paternità o addirittura alla rinuncia a procreare; con la nascita dei figli, inoltre, si accentua il problema di conciliazione dei tempi riservati al lavoro con quelli dedicati alla famiglia;
in Europa esistono Paesi – la Francia, i Paesi scandinavi, la Germania – i cui Governi hanno investito largamente nelle politiche familiari, determinando un incremento notevole della natalità. In Francia, dove il 3 per cento del prodotto interno lordo viene destinato alle cosiddette prestazioni familiari, si registra ormai un indice di fecondità assestato attorno a 2 figli per donna;
è, quindi, prioritario allineare il nostro Paese agli standard dei Paesi europei più virtuosi, mettendo al centro del dibattito politico i temi della famiglia e della natalità ed affrontandone le problematiche con interventi normativi più incisivi,
impegna il Governo:
1) a realizzare, attuando in tal modo il dettato costituzionale, politiche in favore della famiglia incentrate su tre filoni di intervento:
a) iniziative per prevedere agevolazioni fiscali in favore delle famiglie con figli a carico e genitori a carico, con l'obiettivo di introdurre il quoziente familiare attraverso una profonda modifica del sistema delle detrazioni, ovvero elevando gli attuali massimali per i figli a carico, riconoscendo una più accentuata progressione per le famiglie via via più numerose, riconoscendo una specifica detrazione aggiuntiva per i genitori a carico del contribuente, al fine di incentivare il sostegno ai genitori in difficoltà economiche o non autonomi da parte dei figli e rimediando così a una palese irrazionalità della disciplina tributaria;
b) iniziative per definire misure specifiche di sostegno alla natalità e di incentivo al suo incremento e corrispondenti misure a favore della conciliazione tra lavoro e vita familiare, prevedendo incentivi in favore delle imprese che assumono donne e un credito d'imposta in percentuale sulla retribuzione riconosciuto al datore di lavoro per ogni giorno di assenza dei neo-genitori, aumentando il contributo corrisposto durante il periodo di congedo parentale fino al sesto anno del bambino, al fine di favorire la possibilità di cura e di accoglienza del nuovo nato da parte dei genitori e, contemporaneamente, rafforzando le politiche di sostegno tramite bonus a favore della famiglia (da quelli per la neo-mamma, al « bonus bebé», a quelli per la scolarizzazione, al « bonus baby-sitter»);
c) iniziative per l'incremento del fondo di solidarietà per l'acquisto della prima casa e l'incremento delle agevolazioni per l'accesso alla locazione da parte delle giovani coppie, con particolare riferimento – per la locazione – alla previsione di una detrazione in percentuale sul canone di locazione sia per il proprietario che per l'affittuario.
(1-00166) «Lupi, Colucci, Tondo, Schullian».
La Camera,
premesso che:
l'Italia è afflitta ormai da diversi anni da quadro generale di severa crisi demografica. Crisi che è risultato di una lunga inerzia nel governare i processi di trasformazione socio-economica che si sono manifestati negli ultimi decenni in cui la popolazione italiana ha conosciuto profondi cambiamenti che ne hanno radicalmente modificato la struttura e la composizione;
la drastica caduta della natalità — giunta a livelli tra i più bassi al mondo – è stata, infatti, accompagnata da una serie di fattori, tra i quali nuovi modelli e tempistiche di formazione delle famiglie; un aumento della longevità e dall'invecchiamento della popolazione, nonché nuove dinamiche dei flussi migratori;
l'immagine di un'Italia costituita in maggioranza da famiglie numerose appartiene ormai ad un remoto passato. In termini di fecondità, con 1,32 figli per donna il nostro Paese si attesta ben al di sotto della media dell'Unione europea (Ue) di 1,59. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta il tasso di fecondità totale è sceso al di sotto del livello di sostituzione di 2,1 figli e da almeno trent'anni presenta valori tra i più bassi del Continente;
secondo i dati Istat, le nascite in Italia continuano a diminuire incessantemente dal 2008, quando raggiunsero il picco massimo di 576.659 su tutto il territorio nazionale, per poi scendere a 561.944 nel 2010, a 485.780 nel 2015 e addirittura a 458.151 nel 2017, con un decremento di oltre 15 mila rispetto all'anno precedente;
tra il 2014 e il 2017 le nascite sono quindi diminuite di circa 45 mila unità, mentre la diminuzione dal 2008 è stata di quasi 120 mila unità; nel 2018, il numero delle nascite è sceso di 9 mila unità rispetto al 2017 e si attesta attorno ad un dato complessivo di circa 449 mila nati sul territorio nazionale;
tali dati sono significativi, soprattutto se si pone mente al fatto che nel 1964 si raggiunse il picco di nascite, con un dato annuo che superava il milione, per poi rimanere al di sopra delle 900 mila nascite negli anni Sessanta e al di sopra delle 800 mila negli anni Settanta;
negli ultimi anni si è registrato anche un aumento costante dei decessi, passando dai 593.427 del 2011 ai 649.061 del 2017; il costante calo delle nascite ed il progressivo incremento dei decessi provoca inevitabilmente una riduzione della popolazione complessiva, in quanto il saldo naturale della popolazione è negativo ed è tale ormai dalla metà degli anni Novanta, salvo qualche piccola eccezione;
ne consegue che, dal 2015 in poi, anche la popolazione complessiva è in costante riduzione, cosa che non accadeva addirittura dal 1952, negli ultimi tre anni, la popolazione complessiva si è quindi ridotta di ben 300 mila persone e il trend è destinato a continuare anche in futuro;
secondo il rapporto su «Il futuro demografico del Paese», recentemente pubblicato dall'Istat, secondo uno scenario mediano – quindi, non troppo ottimistico né eccessivamente pessimistico – in Italia la popolazione residente attesa nel 2045 dovrebbe essere pari a circa a 59 milioni, per scendere poi attorno ai 54,1 milioni nel 2065; la flessione rispetto al 2017 (60,6 milioni) sarebbe pari a 1,6 milioni di residenti nel 2045 e a 6,5 milioni nel 2065, mentre tenendo conto della variabilità associata agli eventi demografici la stima della popolazione al 2065 oscilla da un minimo di 46,4 milioni a un massimo di 62; tra il 2045 e il 2065, pertanto, la popolazione diminuirebbe di ulteriori 4,9 milioni, registrando una riduzione medio annua del 4,3 per mille;
lo stesso rapporto prevede altresì che il Mezzogiorno perderebbe popolazione per tutto il periodo, mentre nel Centro-nord, dopo i primi trent'anni di previsione con un bilancio demografico positivo, si avrebbe un progressivo declino della popolazione soltanto dal 2045 in avanti; è prevedibile che negli anni a venire si registri uno spostamento del peso della popolazione dal Mezzogiorno al Centro-nord, in particolare nel 2065 il Centro-nord accoglierebbe il 71 per cento di residenti contro il 66 per cento di oggi, mentre il Sud arriverebbe ad accoglierne il 29 per cento contro il 34 per cento attuale;
le future nascite, secondo il citato documento, non saranno sufficienti a compensare i futuri decessi e se nel breve periodo il saldo naturale dovrebbe attestarsi attorno a quota –200 mila, nel medio e lungo periodo il saldo negativo dovrebbe raggiungere la quota di –300 e –400 mila persone;
ulteriore effetto del calo delle nascite e del costante – e positivo – aumento della speranza di vita è che l'età media tende a crescere anno dopo anno e si attesta attualmente attorno ai 45 anni;
le conseguenze del calo demografico e del progressivo invecchiamento della popolazione sono molto pesanti;
anzitutto, un Paese nel quale è sempre più preponderante il peso degli ultrasessantacinquenni è destinato a spendere sempre di più per la previdenza, l'assistenza e la sanità, mentre si trova a dover ridurre gli interventi nel settore educativo in quanto bambini e ragazzi sono sempre meno;
un Paese nel quale la presenza di ultrasessantacinquenni è sempre più massiccia si confronta quotidianamente con una riduzione della popolazione attiva, cioè di quella parte della popolazione compresa tra i 20 e i 65 anni che di fatto produce la ricchezza;
il numero dei lavoratori non soltanto si contrae costantemente, ma denota un progressivo invecchiamento che, secondo i più recenti studi, comporta una riduzione della produttività, in quanto le persone mediamente più anziane sono generalmente meno capaci di adeguarsi ai continui mutamenti socio-economici e al progresso tecnologico;
inoltre, il progressivo invecchiamento della popolazione comporta da un lato una riduzione della popolazione in età feconda, cioè delle donne tra i 15 e i 49 anni, con una conseguente ed ulteriore riduzione del numero delle nascite, e dall'altro un aumento dei decessi, nonostante la speranza di vita sia sempre in aumento;
il fenomeno descritto non è circoscritto solo al nostro Paese, ma è una tendenza che accomuna tutta l'Europa e il continente americano;
la popolazione europea è cresciuta dai 447 milioni del 1950 ai circa 600 milioni attuali, ma secondo alcuni dati estrapolati da uno studio delle Nazioni Unite già nel 2050 si prevede una drastica riduzione di circa 20 milioni di persone;
confrontando i tassi di fecondità, si evince tuttavia che l'Italia è sicuramente il Paese che vive le maggiori difficoltà; a metà degli anni Novanta, l'Italia ha raggiunto il picco più basso, equivalente a 1,19 figli per donna, tasso successivamente salito sino a 1,46 nel 2010 ed attualmente attestatosi a 1,32; a questo calo ha contribuito la drastica diminuzione nell'incidenza delle donne con tre o più figli (dal 36,2 al 10,4 per cento) e la crescita nella quota delle donne rimaste senza figli (dal 13,8 al 25,4 per cento) o con un figlio (dal 17,5 al 28 per cento);
i dati italiani su natalità e fecondità della popolazione residente, se comparati a quelli di altri Paesi, mostrano peraltro come nel nostro Paese solo una parte delle donne scelga volutamente di non fare figli o di fermarsi al primo; per le altre, invece, si tratta di necessità, correlata ad una serie di fattori quali la paura della perdita del posto di lavoro, le proprie possibilità economiche rispetto ai costi che un figlio comporta, la mancanza di un sostegno strutturale al lavoro femminile e l'oggettiva difficoltà di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
ad oggi la maternità di una lavoratrice rappresenta – soprattutto per le piccole medie e imprese – un costo aggiuntivo poiché alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro pongono a carico dell'impresa il 20 per cento della retribuzione residuale non corrisposta dall'Inps (che ai sensi dell'articolo 22, comma 1, del decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151 riconosce un'indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità) e spesso il datore di lavoro affianca alla futura mamma, nei mesi precedenti il congedo di maternità, una figura sostitutiva, cui spetta anche in questa fase transitoria il trattamento retributivo pattuito;
nel complesso, la situazione demografica italiana si presenta particolarmente preoccupante per la presenza di diverse distorsioni strutturali – diminuzione donne in età feconda, contenuto livello di fecondità, quota elevata di anziani – che sono destinate a produrre per molto tempo un ammontare di decessi superiore a quello dei nati, una riduzione dell'ammontare della popolazione, un ricambio insufficiente nelle età lavorative e un calo dell'ampiezza delle nuove generazioni;
è, inoltre, in atto un processo di frammentazione e semplificazione delle strutture familiari, con una forte crescita delle famiglie formate da una sola persona, più che raddoppiate nell'ultimo trentennio (da 3,8 a 8 milioni); nello stesso periodo sono aumentate le famiglie nucleari (+1 milione), sono diminuite le coppie con figli (-1,5 milioni), cresciute quelle senza figli (+1,5 milioni) e i nuclei monogenitore (+1 milione);
continuano poi a diminuire le famiglie numerose con cinque e più componenti, che negli anni ‘70 erano oltre 3,4 milioni, una per ogni 5 famiglie, e oggi sono 1,4 milioni, una per ogni 17 famiglie; famiglie che mostrano, per altro, un maggiore rischio di povertà ed esclusione sociale. Nel complesso, le famiglie con tre figli sono 902 mila, 133 mila sono le famiglie con quattro figli e appena 30 mila quelle con cinque o più figli;
il tema del superamento del nostro «inverno demografico» è una questione di interesse nazionale che deve essere al posta al centro dell'agenda politica;
l'attenzione dell'Esecutivo in questa direzione è testimoniata dall'istituzione di un Ministro con delega alle politiche per la famiglia e dalle prime misure adottate nell'ambito della manovra di bilancio 2019-2021 ai fini del sostegno della genitorialità e della natalità, tra le quali si ricordano: la nuova disciplina del Fondo per le politiche della famiglia, la cui dotazione strutturale è stata elevata da 5 a oltre 100 milioni di euro annui; lo stanziamento di oltre 440 milioni di euro per la proroga e il rafforzamento per ogni figlio successivo al primo dell'assegno di natalità; l'incremento da 1.000 a 1.500 euro annui dell'assegno destinato al pagamento delle rette per la frequenza di asili nido pubblici o privati autorizzati, ovvero per le forme di assistenza presso la propria abitazione nelle famiglie con bambini affetti da gravi patologie croniche; le nuove modalità più flessibili di fruizione del congedo di maternità; la proroga e l'ampliamento della durata sino a sei giorni del congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente; la ridefinizione e il finanziamento della Carta della famiglia e, infine, le agevolazioni in tema di lavoro agile a favore delle madri lavoratrici e dei lavoratori con figli in condizioni di disabilità;
tali primi interventi costituiscono solo un primo passo di un disegno complessivo diretto a ricondurre ad unità politiche pubbliche oggi ancora troppo frammentate, disordinate, disomogenee;
per evitare che la crisi demografica prosciughi, nel lungo periodo, le finanze pubbliche e depotenzi il sistema di protezione sociale, occorre, infatti, attuare una vera e propria riforma strutturale, capace di agire, contestualmente, su tutti i fattori di sostegno alla famiglia: dai trasferimenti monetari diretti – quali le diverse tipologie di assegni familiari, l'assegno di natalità, il premio alla nascita, il bonus per gli asili nido, e altro, a quelli indiretti – quali i diversi sgravi fiscali –, sino al variegato universo delle prestazioni e dei servizi di welfare (asili nido e servizi per la prima infanzia, consultori e centri per la famiglia, e altro) e alle altre specifiche azioni di supporto a partire da quelle per la conciliazione dei tempi tra vita professionale e vita familiare (congedi di maternità e di paternità, smart working, e altro), senza trascurare il ruolo strategico che può e deve svolgere l'incentivazione alle moderne forme di welfare familiare aziendale;
dal punto di vista della spesa pubblica, il «criterio guida» di una riforma siffatta dovrebbe essere quello di assicurare la completa integrazione e complementarietà tra le componenti di spesa fiscale per la famiglia e quelle di carattere lato sensu assistenziale, che oggi invece appaiono non coordinarsi tra loro, secondo una logica comune che metta al centro la famiglia, i suoi bisogni e il suo benessere; vi sono troppi istituti con analoghe finalità di sostegno, destinati a platee diverse con criteri di accesso differenziati, in alcuni casi con valenza a regime in altri temporanei, che determinano un quadro confuso nel quale alcune esigenze rimangono prive di tutela, mentre altre registrano sovrapposizioni di interventi prive di fondamento;
tutti gli osservatori concordano sulla stretta correlazione tra andamento demografico ed equilibri di bilancio, individuando nelle tendenze demografiche avverse uno dei principali fattori di rischio per la sostenibilità di lungo periodo della spesa pensionistica e sanitaria;
l'investimento nel capitale umano e sociale delle famiglie è un investimento ad alto valore aggiunto, che al pari di quelli produttivi presenta un effetto moltiplicatore sia in termini di rilancio della crescita, sia in termini di salvaguardia della sostenibilità del nostro sistema di welfare; lo stesso Parlamento europeo ha del resto invocato un maggior coordinamento delle politiche macroeconomiche e sociali affinché la crescita, la competitività e la produttività del sistema economico rispondano al meglio alle sfide del declino demografico e dello squilibrio generazionale,
impegna il Governo:
1) ad adoperarsi in sede di Unione europea affinché, nell'ambito di una riforma del patto di stabilità e crescita, sia introdotta una nuova fattispecie di « Golden rule» per gli investimenti nelle politiche familiari ossia uno specifico spazio di flessibilità di bilancio da destinare a interventi di riforma strutturali specificamente rivolti ad elevare il tasso di natalità del nostro Paese sino a traguardare almeno la media europea;
2) a predisporre un progetto di riforma strutturale del welfare familiare, finalizzato a razionalizzare i diversi istituti vigenti a sostegno della natalità e della genitorialità, con l'obiettivo di pervenire ad un sistema organico più semplice e coordinato delle diverse misure di sostegno di natura assistenziale e fiscale, che tenga conto della situazione effettiva di ciascun nucleo familiare e garantisca, secondo una logica coerente, interventi complementari nei diversi ambiti dei sussidi, delle agevolazioni tributarie, dell'assistenza all'infanzia, dei servizi alla persona, della conciliazione dei tempi di vita professionale e familiare e delle pari opportunità;
3) a prevedere, nell'ambito del suddetto complessivo intervento di riordino iniziative per:
a) un unico beneficio di natura monetaria destinato alle famiglie con prole, parametrato al numero, alla condizione e all'età dei figli e graduato in base alla sua effettiva situazione economica, destinato al sostegno delle spese per la crescita, il mantenimento e l'educazione dei figli;
b) una rimodulazione dell'Irpef e, in particolare, del sistema delle tax expenditures (detrazioni e deduzioni) dirette al sostegno delle spese familiari, al fine di ridurre l'intensità del prelievo fiscale in favore delle famiglie, in particolare per quelle numerose e con figli in condizioni di disabilità, agevolare l'accesso alla prima casa e le locazioni in favore delle giovani coppie, nonché introdurre specifiche detrazioni per il costo del lavoro domestico di baby sitter e per spese destinate al novero dei prodotti per la prima infanzia;
c) l'introduzione di forme di decontribuzione a favore dei datori di lavoro finalizzate a promuovere la fruizione dei congedi delle madri lavoratrici, nonché a ridurre la pressione contributiva anche nei casi di assunzioni sostitutive di lavoratrici in congedo di maternità;
d) la definizione di un sistema di sostegno alle imprese di carattere permanente diretto a incentivare la creazione di strutture e servizi di welfare familiare all'interno delle aziende, anche attraverso l'industria 4.0 e la digitalizzazione;
e) l'adozione di specifiche misure per favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, anche attraverso incentivi per le assunzioni, nonché nuove ed ulteriori forme flessibili di lavoro che consentano di conciliare l'attività professionale con la cura della vita familiare nell'ambito del lavoro pubblico e privato;
f) l'estensione del periodo del congedo di paternità anche per i dipendenti nella pubblica amministrazione;
4) ad assumere iniziative per individuare, nella prossima manovra di bilancio, adeguate risorse finanziarie sia per conseguire l'obiettivo di copertura in tutto il territorio nazionale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia definito dalla Strategia di Lisbona, anche attraverso l'utilizzo e la rigenerazione del patrimonio immobiliare pubblico, favorendo al contempo orari di apertura più ampi per i medesimi servizi, sia per assicurarne gradualmente la gratuità, superando ogni forma di sperequazione territoriale;
5) a promuovere, anche mediante iniziative per introdurre agevolazioni di natura fiscale, la diffusione dei nidi gestiti dalle assistenti materne (cosiddette tagesmutter);
6) ad assumere iniziative per prevedere più ampi congedi parentali soprattutto per i padri e non solo nei primi anni di vita del bambino, al fine di sostenere la genitorialità e promuovere una maggiore condivisione dei compiti di cura all'interno della coppia o della famiglia;
7) a prevedere specifiche iniziative di conciliazione in favore delle madri lavoratrici autonome, anche mediante misure dirette ad armonizzare gli istituti di tutela della maternità per le lavoratrici professioniste e le altre lavoratrici autonome;
8) ad adottare le opportune iniziative per riqualificare e potenziare le attività dei consultori familiari e dei centri per la famiglia quali luoghi privilegiati per il sostegno alla maternità, alla paternità e alle responsabilità genitoriali e per l'assistenza alle famiglie più fragili, garantendone una diffusione più omogenea nel territorio nazionale, ampliandone le funzioni in riferimento a: l'assistenza psicologica e sociale alle famiglie e alle donne, con particolare riferimento al sostegno delle responsabilità genitoriali, alla presenza di disabilità o di patologie gravi; il coordinamento di interventi sanitari e socio-assistenziali per la tutela della salute della donna e della famiglia; la protezione dei minori e del loro corretto sviluppo psico-fisico; la promozione di iniziative di prevenzione e di tutela in caso di violenze, maltrattamenti e abusi sessuali; la mediazione familiare in caso di conflittualità nel nucleo familiare; la prevenzione e il trattamento delle malattie; sessualmente trasmissibili, delle patologie e delle situazioni di disagio che incidono sulla vita sessuale e di relazione;
9) ad attivare un piano di rilancio e recupero dell'edilizia residenziale pubblica finalizzato a contrastare il disagio abitativo in particolare per le giovani famiglie, nonché a potenziare le misure di sostegno per l'accesso alla prima casa;
10) ad adottare le opportune iniziative per il riconoscimento sul piano previdenziale del valore dei carichi di cura, con particolare riferimento alla cura dei figli e dei familiari in condizione di disabilità.
(1-00167) «Panizzut, Mammì, Boldi, Massimo Enrico Baroni, De Martini, Bologna, Foscolo, D'Arrando, Lazzarini, Lapia, Locatelli, Lorefice, Tiramani, Menga, Ziello, Nappi, Nesci, Provenza, Sapia, Sarli, Sportiello, Trizzino, Troiano, Leda Volpi».
La Camera,
premesso che:
la famiglia per la Costituzione italiana è il nucleo fondante della società, il soggetto promotore dello sviluppo e del benessere sociale, è il luogo in cui coltivare il futuro, il desiderio di maternità e di paternità;
la famiglia è stata il pilastro del nostro welfare, svolgendo in Italia, in particolare durante le crisi economiche una funzione di ammortizzatore sociale, colmando in molti casi l'assenza di servizi di cura alla persona e all'infanzia propri dello Stato e degli enti locali. L'assenza di politiche attive omogenee sul territorio nazionale, ha finito per creare delle disparità di accesso ai servizi sociali e socio-assistenziali, tra nord e sud e intraregionali. Il peso di questo carico di assistenza è caduto sulla famiglia e in particolare sulle donne che sono state penalizzate sia come lavoratrici, che come madri e care giver familiari. Il peso usurante dell'organizzazione socio-familiare a carico delle donne lo si ritrova fotografato nelle condizioni di salute femminile, particolarmente peggiori nella fase della vecchiaia rispetto alla popolazione maschile;
il tasso di fecondità nel nostro Paese è attestato su 1,39 figli per donna in età fertile. Quello italiano è uno dei livelli più bassi di fecondità osservato nei Paesi sviluppati ed è il risultato di una progressiva diminuzione delle nascite che è in atto dal baby boom. L'inverno demografico ha un impatto scientificamente provato sul sistema di sviluppo economico del Paese, sulle previsioni di sostenibilità del sistema sanitario nazionale e del sistema previdenziale, sul mondo del lavoro e non da ultimo sulla spinta all'innovazione del Paese. Per questo il tema richiede un approccio complessivo e sistemico, fuori dalle logiche a silos;
certi che gli incentivi economici di per sé non convincono una coppia a far nascere un bambino, ma certamente aiutano la sostenibilità familiare, lo Stato, per la Costituzione italiana, ha il dovere di eliminare gli ostacoli di natura economica, lavorativa e di organizzazione che fanno rinunciare o rinviare la maternità e la paternità, così come deve assicurare il sostegno a famiglie con portatori di handicap e riconoscere l'attività di cura degli anziani;
è necessario realizzare attraverso politiche attive il raggiungimento dell'obiettivo del 60 per cento dell'occupazione femminile, poiché una famiglia in cui la donna non lavora è una famiglia a rischio povertà. È un fatto la correlazione tra disoccupazione femminile, minor reddito delle donne e tardiva stabilizzazione nel mercato del lavoro e denatalità in Italia. Tutti gli studi dimostrano che questo porta anche un aumento della produttività del sistema Paese con una significativa crescita del Pil, accreditata fino a 7 punti percentuali. Fornendo, nel contempo, servizi di supporto all'infanzia, asili nido gratuiti, defiscalizzazione dei servizi di baby sitting, congedi parentali in più fasi della vita del bambino/adolescente sia per la mamma che per il padre, incentivando le aziende a defiscalizzare gli investimenti per gli asili e il welfare aziendale,
impegna il Governo:
1) a mettere al centro del dibattito politico il tema della famiglia, della natalità e delle esigenze a esse legate, adottando un piano universalistico per la natalità in maniera da poter affrontare sin da oggi il tema della sostenibilità economica, previdenziale e sanitaria dei prossimi anni, secondo i seguenti princìpi e criteri cardine:
a) a equiparare l'attività di assistenza in famiglia ad un'attività lavorativa soprattutto ai fini previdenziali, poiché «Fattore famiglia» significa configurare un sistema fiscale che tenga conto in modo determinante dei figli e della particolarità delle famiglie numerose, senza distinzione di reddito;
b) riconoscere la maternità come evento significativo e unico nella vita della donna con un valore per l'intera comunità, assumendo iniziative affinché per ogni figlio, lo Stato garantisca un anno di contributi reali per un massimo di tre anni di riduzione dell'età pensionabile;
c) rendere stabile e definitivo l'assegno per la nascita o adozione di un bambino, misura che deve diventare strutturale e non da rinnovare in ogni finanziaria;
d) garantire l'accesso gratuito al servizio di asili nido, pubblici e privati, come succede in molti Paesi europei: misure universalistiche e non progressive – asili nido gratuiti come grandi infrastrutture a sostegno di chi ha un bisogno e di chi ha un merito, a favore di chi è più debole, delle donne che lavorano e quindi a sostegno del lavoro e delle imprese –;
e) intervenire con attenzione per il concreto sostegno delle famiglie che affrontano l'esperienza della disabilità, anche formando, in modo specifico, gli insegnanti di supporto per i bambini con diverse tipologie di handicap nel servizio scolastico compresa la scuola dell'infanzia, assumendo, nello stesso tempo, iniziative, per quanto di competenza, per il rafforzamento della rete socio-sanitaria delle Asl per garantire in modo omogeneo sul territorio servizi di cura e tutoraggio anche nell'orario extrascolastico;
f) sostenere le famiglie più bisognose, che ad esempio non possono farsi carico dei costi dei centri estivi o che non hanno aiuti da familiari, intervenendo, in questi casi, presso le scuole, materne e primarie, che si faranno carico di svolgere attività nei mesi di giugno e luglio;
g) ridurre il cuneo fiscale liberando così risorse che possono essere distribuite all'impresa e ai salari dei lavoratori;
h) promuovere un'assistenza domiciliare efficace e capillare e un nuovo modello di organizzazione dei beni comuni, come ad esempio l'infermiere di condominio, servizi alla persona messi in comune, spazi concepiti diversamente per la semi-autosufficienza, poiché famiglia non significa solo giovani coppie, ma con il passare degli anni, e il diminuire delle nascite, famiglia sempre più significa anziani o anziani soli, i quali rappresentano una delle principali sfide che le società moderne ed economicamente avanzate si trovano ad affrontare; si tratta di anziani che bisogna curare, assistere e mantenere attivi visto che oggi in Italia si contano 14 milioni di over 65 di cui 4 milioni di non autosufficienti e nei prossimi anni questi numeri sono destinati a moltiplicarsi: si stima che entro il 2050 si invertirà il rapporto tra attivi ed inattivi;
i) creare una nuova economia del terzo settore attraverso un modo nuovo e diverso di rappresentare l'assistenza alle persone, favorendo l'assistenza domiciliare integrata con l'assistenza sanitaria e anche al fine di mantenere la socialità di una popolazione over 75. Share Economy dell’Health Care: è ormai necessario proporre un nuovo modello di welfare, un welfare di comunità;
l) creare un fondo vincolato per il sociale così come per la salute per far dialogare sanità e sociale anche, eventualmente, promuovendo l'accorpamento dei servizi sociali nella competenza del Ministero della salute, così come la famiglia con un unico e non dispersivo coordinamento delle politiche attive sul welfare.
(1-00168) «Lorenzin, Toccafondi, Longo, Soverini, Schullian».
La Camera,
premesso che:
la famiglia è la cellula su cui si fonda e cresce l'intera società. Lo Stato ne riconosce la funzione sociale all'articolo 29 della Costituzione, che individua infatti la famiglia come società naturale, e all'articolo 31 stabilisce che: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose»;
in Italia il sistema fiscale interviene come se la capacità contributiva delle famiglie non fosse condizionata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli. Investire nelle politiche familiari significa, pertanto, investire sulla qualità stessa della struttura sociale e, in definitiva, sullo stesso futuro della società;
se in questi ambiti fossero introdotte maggiori agevolazioni si tornerebbe a ragionare di «famiglia» in un'ottica di investimento sul futuro, generando un nuovo processo virtuoso per la natalità e la crescita economico-sociale del Paese;
in Italia, nell'ambito delle politiche di welfare, la spesa per la famiglia è la voce meno consistente (1,4 per cento spesa sociale) ed è la più bassa se confrontata con il resto dei Paesi europei;
l'assenza di efficaci politiche per l'infanzia e la carenza di strutture e di servizi socio-educativi per l'infanzia, continuano a rappresentare uno dei problemi cronici del nostro Paese. I pesanti e costanti tagli agli enti territoriali imposti in questi ultimi anni, hanno contribuito a peggiorare la situazione dal punto di vista sia della qualità dei suddetti servizi che dei costi;
tra il 2004 e il 2012 i comuni, titolari dell'offerta pubblica sul territorio, avevano molto investito sui servizi per la prima infanzia, con risorse passate da 1,1 a 1,6 miliardi di euro (+47 per cento). Poi è iniziato il calo di risorse, con una contrazione della spesa;
è evidente lo scarto ancora esistente tra le reali esigenze delle famiglie nel poter disporre di strutture e di servizi socio-educativi per l'infanzia, e la concreta possibilità di soddisfare queste esigenze. Poche sono le regioni che possono vantarsi di aver raggiunto il traguardo del 33 per cento fissato dall'Unione europea. Il Consiglio europeo nel 2002 a Barcellona, ha posto come traguardo per gli Stati membri che i posti disponibili nei servizi per la prima infanzia avrebbero dovuto coprire entro il 2010 almeno un terzo della domanda potenziale, cioè il 33 per cento dei bambini sotto i 3 anni. Obiettivo recepito anche dal decreto legislativo 65 del 2017 che ha ribadito questo impegno, ma che è finora rimasto sulla carta. Non c’è stato alcun aumento delle risorse;
con riferimento all'offerta di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia, il comunicato dell'Istat del 21 marzo 2019 indica come i posti disponibili coprono il 24 per cento del potenziale bacino di utenza (bambini residenti sotto i 3 anni). Tale dotazione è ancora sotto al citato parametro del 33 per cento fissato per sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro;
la diffusione dei servizi risulta molto eterogenea sul territorio. I posti variano da un minimo del 7,6 per cento dei potenziali utenti in Campania a un massimo del 44,7 per cento in Valle D'Aosta;
l'offerta comunale degli asili nido e altri servizi socio-educativi mostra fortissime sperequazioni regionali;
la spesa media dei comuni a livello regionale varia da un minimo di 88 euro l'anno per un bambino residente in Calabria a un massimo di 2.209 euro l'anno nella Provincia autonoma di Trento;
come rilevato anche dall'Ocse, esiste un nesso causale immediato e diretto fra la scarsa disponibilità di servizi pubblici per l'infanzia e la disoccupazione femminile: è di tutta evidenza, infatti, che le donne-madri che non possono affidare il bambino ad altri componenti del nucleo familiare o sostenere il costo di servizi di asilo nido privati o baby-sitting non abbiano altra scelta che sacrificare in tutto o in parte al proprio lavoro;
diversi sono gli ambiti sui quali è indispensabile agire per favorire la famiglia e la natalità: oltre ai citati servizi per l'infanzia, è necessario intervenire sulla disoccupazione in particolare quella giovanile, su una reale politica di conciliazione della vita familiare e lavorativa, sulla povertà minorile. Tutti aspetti che scoraggiano le coppie più giovani a costruire una famiglia;
ad aggravare fortemente la situazione delle famiglie italiane contribuisce in maniera determinante la recessione economica a cui ci ha condotto questo Governo;
gli ultimi dati Istat certificano che il reddito disponibile delle famiglie consumatrici nel quarto trimestre 2018 è diminuito dello 0,2 per cento in termini nominali e dello 0,5 per cento in termini reali, rispetto ai tre mesi precedenti. A questo si aggiunge la recente analisi dell'Ocse che confermano come le condizioni di vita nel nostro Paese, siano le stesse di inizio millennio;
è in aumento il numero di coloro che non si sentono in grado di dare le giuste garanzie alla propria famiglia con il proprio lavoro;
persiste il preoccupante costante calo della natalità che affligge da troppi anni il nostro Paese, conseguenza anche dell'inadeguatezza dei servizi per l'infanzia a supporto delle famiglie, la sostanziale assenza di specifici ed efficaci aiuti finanziari a favore della famiglia, nonché la carenza di politiche volte a favorire le pari opportunità tra uomini e donne;
l'Istat ci ricorda che nel nostro Paese nel 2018 si contano 449 mila nascite, ossia 9 mila in meno del precedente minimo registrato nel 2017. Rispetto al 2008 risultano 128 mila nati in meno;
il saldo naturale nel 2018 è negativo (-187 mila), risultando il secondo livello più basso nella storia dopo quello del 2017 (-191 mila);
gli effetti di un così basso tasso di natalità sono economicamente e socialmente pericolosi. Ciò risulta tanto più grave se si considera che, negli ultimi 10-15 anni, i giovani hanno sempre più posticipato la decisione di sposarsi ed avere dei figli;
non c’è alcuna iniziativa strutturale volta a sostenere quei giovani che, senza aiuti da parte dello Stato, mettono al mondo dei figli, compiendo sul fronte personale un gesto tanto naturale quanto coraggioso, con pochissimo sostegno da parte delle istituzioni;
mancano efficaci misure a sostegno della famiglia, laddove sarebbero necessarie anche politiche, soprattutto fiscali, dedicate e più mirate, tra le quali l'introduzione del quoziente familiare, in grado di favorire la creazione di nuovi nuclei familiari, con riguardo a quelli più numerosi, e di sostenere quelli esistenti. Particolarmente penalizzati sono poi i nuclei familiari più numerosi;
giova infatti ricordare che il rischio di povertà cresce all'aumentare dei figli minori presenti in famiglia: l'incidenza si attesta al 10,5 per cento tra le famiglie con almeno un figlio e raggiunge il 20,9 per cento tra quelle con tre o più figli. Tra gli individui più a rischio anche le donne, stimate in 2 milioni 472 mila. I giovani tra i 18 e i 34 anni sarebbero, invece, un milione e 112 mila (il 10,4 per cento, è il valore più elevato dal 2005);
sotto questo aspetto il Governo, con le misure finora proposte in questa legislatura non ha previsto nulla, e poco o nulla c’è nella legge di bilancio approvata nel dicembre scorso;
peraltro, con specifico riguardo alle famiglie e in particolare a quelle più numerose, lo stesso reddito di cittadinanza pensato da questo Governo e da poco approvato dal Parlamento, e che dovrebbe sostenere le famiglie in situazioni di estrema necessità, finisce per essere fortemente iniquo nei confronti dei nuclei familiari più numerosi o dove è presente una persona disabile. Infatti: il contributo all'affitto non aumenta all'aumentare dei componenti della famiglia; la scala di equivalenza (insieme di coefficienti che consente di calcolare l'ammontare mensile da corrispondere a famiglie che hanno più di un componente) per come è stata concepita penalizza le famiglie numerose rispetto ai singoli individui; nuclei familiari con lo stesso Isee sono inclusi o esclusi dall'erogazione del beneficio sulla base della numerosità dei componenti. È chiaro quindi come il reddito di cittadinanza finisce per essere molto più generoso nei confronti dei nuclei familiari composti da una sola persona e molto meno generoso per quanto riguarda le famiglie numerose. E questa misura è ancora più penalizzante laddove all'interno del nucleo familiare vi sia una persona con disabilità;
così come nulla si sta facendo e poco si è fatto in questi ultimi anni, in materia di politica di conciliazione della vita familiare e lavorativa;
nonostante il generale miglioramento di questi anni del tasso di occupazione femminile, permangono profonde differenze sul territorio riguardo alla loro partecipazione delle donne al mercato del lavoro;
il fenomeno del cosiddetto gender pay gap, ossia il divario retributivo di genere che caratterizza il nostro Paese è altresì un tema centrale attraverso il quale devono passare necessariamente lo sviluppo e la crescita economia, sociale e culturale dell'Italia;
ormai da anni il World Economic Forum (WEF) redige il Global Gender Gap Report attraverso cui si classificano i Paesi sulla scorta degli indici di gender pay gap, cioè la differenza in termini di opportunità, status e attitudini tra i due sessi. Nonostante il Report 2018 ci offra una immagine dell'Italia lievemente migliore rispetto a quella del Report 2017 (siamo passati dall'ottantaduesimo posto al settantesimo su 149 Paesi, dopo però essere calati tra il 206 e il 2017 di ben trentadue posizioni), il divario tra uomini e donne sul piano della retribuzione e delle opportunità appare evidentemente allarmante;
nella classifica globale pubblicata a fine 2018 l'Italia si attesta al 118esimo posto per opportunità e partecipazione alla vita economica e lavorativa femminile. Siamo invece quartultimi tra i Paesi dell'Europa Occidentale;
vale la pena in questa sede ricordare che con il codice delle pari opportunità (decreto legislativo n. 198 del 2006) il legislatore ha introdotto nell'ordinamento previsioni normative indirizzate specificatamente alla parità di genere nel mondo del lavoro. Previsioni che ci accorgiamo non sono sufficienti a tutelare la donna lavoratrice;
è necessario implementare sensibilmente le misure a sostegno della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, adottando un approccio che parte dalla domanda e dalla necessità delle donne, madri e lavoratrici, attraverso maggiori incentivi e sgravi fiscali all'assunzione, favorendo le misure di conciliazione fra carichi familiari e lavoro, nonché, come si è visto, un intervento massiccio per il rafforzamento delle reti per l'infanzia. Questo avrebbe ritorni importanti sia sotto il profilo della crescita demografica che della natalità, che sotto il profilo dell'affermazione del ruolo della donna-lavoratrice nella nostra società;
nell'ultima legge di bilancio nessuna misura, al di là di qualche proroga di norme già vigenti, è stata proposta e approvata dal Governo;
il risultato è che una delle poche iniziative legislative con le quali si è contraddistinto il Governo, è stata la mancata proroga di un'importante misura introdotta nel 2012 in via sperimentale, ma che era sempre stata prorogata negli anni, ossia il beneficio per il servizio di baby sitting per le mamme che rinunciano al congedo parentale. Questa norma consentiva alle mamme di «scambiare» il congedo parentale con un bonus fino a 600 euro mensili per un massimo di sei mesi (quelli previsti per il congedo parentale facoltativo) per pagare la baby sitter o l'asilo nido. Pertanto dal 1o gennaio 2019, le madri lavoratrici non possono più presentare domanda per l'accesso al beneficio;
nel corso dell'esame parlamentare della legge di bilancio 2019, Forza Italia ha presentato molte proposte emendative, con misure a sostegno delle famiglie e della genitorialità, ma non accolte dal Governo e dalla maggioranza che lo sostiene,
impegna il Governo:
1) ad assumere le opportune iniziative normative volte a introdurre l'istituto del quoziente familiare, individuando quindi il nucleo familiare e non il singolo contribuente quale soggetto passivo dell'Irpef, con conseguenti ed evidenti benefici per le famiglie più numerose;
2) ad assumere iniziative per predisporre ulteriori opportuni benefici e un incremento delle attuali agevolazioni fiscali per le famiglie, al fine di favorire la genitorialità e la formazione di nuovi nuclei familiari, prevedendo, tra l'altro:
a) di mettere a regime e aumentare l'attuale assegno di natalità;
b) di reintrodurre il beneficio per il servizio di baby sitting per le mamme che rinunciano al congedo parentale, previsto dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, e non prorogato dal Governo;
c) di aumentare le detrazioni per ciascun figlio, e quelle incrementali previste per ogni figlio portatore di handicap;
d) di aumentare l'importo massimo entro il quale è possibile beneficiare delle detrazioni per le spese sostenute per gli addetti all'assistenza personale nei casi di non autosufficienza;
e) di riformare il sistema delle adozioni, snellendo il procedimento burocratico; incrementare le risorse a favore del Fondo per il sostegno delle adozioni internazionali;
f) di incrementare le risorse a favore del Fondo di garanzia per la prima casa (legge n. 147 del 2013), istituito con priorità per l'accesso al credito da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori;
3) ad assumere iniziative per prevedere l'implementazione di misure volte a favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, anche prevedendo sgravi fiscali per le aziende che assumono neomamme e donne in età fertile e l'esenzione contributiva per le assunzioni effettuate in sostituzione di donne in congedo maternità;
4) ad aumentare le iniziative normative e le risorse destinate alla conciliazione tra vita professionale e vita privata anche prevedendo iniziative e risorse volte a promuovere il ricorso a forme di lavoro agile per le donne lavoratrici, con particolare riguardo alle lavoratrici con funzioni di cura familiare, nonché incrementando il Fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, di cui alla legge n. 247 del 2007, garantendo comunque che un'organizzazione aziendale che incentivi la suddetta conciliazione, non finisca per favorire l'allontanamento della donna dalle relazioni di lavoro e dall'opportunità di formazione e carriera;
5) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre una normativa pensionistica agevolata per le lavoratrici madri che possono vedersi scontato fino a 3 anni di periodo contributivo necessario per andare in pensione in base al numero di figli;
6) ad assumere iniziative per prevedere un aumento a dieci giorni, e la sua messa a regime, del congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente, da fruire entro i cinque mesi dalla nascita del figlio;
7) ad assumere iniziative volte ad introdurre e promuovere, attraverso accordi tra datori di lavoro e lavoratori, misure di monitoraggio e valutazione delle condizioni di lavoro e retribuzione tra generi, nonché volte a prevenire e contrastare eventuali disparità e discriminazioni in tale ambito, in particolare al fine di contribuire a salvaguardare le condizioni economiche delle famiglie;
8) a prevedere un incremento della quota di investimento pubblico nel welfare destinato alle famiglie, rispettando in tal modo il dettato costituzionale, e favorire conseguentemente la natalità e la crescita economica e sociale del Paese;
9) ad assumere iniziative per implementare le misure di sostegno alla paternità e alla maternità, con particolare riguardo alla necessità di avviare un piano pluriennale di investimenti, finalizzati a incrementare gli asili nido e i servizi socio-educativi per l'infanzia, riducendo le forti disomogeneità esistenti sul territorio nazionale nell'offerta di detti servizi, e per garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti in ambito di Unione europea, prevedendo che una quota sia finalizzata anche a favorire con opportuni incentivi le imprese e altri luoghi di lavoro nella realizzazione di asili aziendali o interaziendali;
10) ad assumere le opportune iniziative, di concerto con gli enti locali, al fine di garantire un orario prolungato degli asili nido e l'apertura anche estiva delle medesime strutture, prevedendo un aumento dei trasferimenti a favore degli enti locali al fine di rendere economicamente sostenibile la previsione della gratuità dei medesimi.
(1-00169) «Calabria, Palmieri, Gelmini, Marrocco, Spena, Versace, Bagnasco, Battilocchio, Bignami, Cannizzaro, Fiorini, Gagliardi, Mandelli, Minardo, Mugnai, Nevi, Novelli, Perego Di Cremnago, Pettarin, Pittalis, Rotondi, Ruffino, Saccani Jotti, Scoma, Elvira Savino, Silli, Squeri, Maria Tripodi, Vietina, Zanella».