XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 9 maggio 2019

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,

          premesso che:

              l'Europa deve riconoscere che il cristianesimo, sua anima religiosa, ne è diventato anche la sua anima culturale e la garanzia dei suoi valori caratteristici e universali compreso quello della laicità;

              i principi del cristianesimo sono patrimonio storico dei popoli europei; del resto, l'Europa è definita da confini ideali e politici, più che geografici. Nonostante i recenti tentativi di includere del «Progetto Europa» Paesi lontani dalla nostra storia, veniamo da una comune eredità umana e cristiana;

              a questi principi e a queste radici comuni cristiano-giudaiche dobbiamo molto della nostra cultura laica, del principio di separazione fra Stato e Chiesa e nel campo dell'arte con l'Europa delle basiliche e delle cattedrali; ad esse dobbiamo molto del principio del rispetto della dignità e della libertà umana e del rispetto della dignità di tutti gli uomini;

              nel primo giorno delle celebrazioni della Settimana Santa che portano a Pasqua un impressionante incendio ha devastato la cattedrale di Notre Dame a Parigi, uno dei simboli della civiltà europea e uno dei più amati del cristianesimo europeo;

              patrimonio dell'umanità, simbolo del cattolicesimo, Notre-Dame è una delle costruzioni gotiche più famose del mondo ed è il monumento storico più visitato d'Europa. La cattedrale Notre-Dame di Parigi, da 800 anni, è luogo di preghiera, punto di riferimento per l'intera Europa cristiana, protagonista di capolavori della letteratura francese, meta di turisti provenienti da tutto il mondo;

              realizzata nello stile architettonico del primo periodo gotico, è una delle più antiche cattedrali europee e detiene un record di visite da circa 13,6 milioni di turisti e pellegrini provenienti da ogni parte del mondo patrimonio dell'umanità dell'Unesco dal 1991;

              nel corso dei secoli è stata oggetto di diversi interventi di restauro e, in quanto simbolo del cattolicesimo francese, fu devastata durante la Rivoluzione, tra il 1789 e il 1799;

              proprio lo scorso anno la Chiesa cattolica francese aveva lanciato un appello per raccogliere fondi e avviare delle opere di restauro della struttura che aveva seri problemi;

              il giorno dopo il devastante incendio si è aperta la corsa alle donazioni per ricostruire la cattedrale, dal mondo della moda alle compagnie petrolifere ai privati cittadini, ma anche gli Stati membri dell'Unione europea hanno dato la loro piena disponibilità per contribuire alla rinascita di Notre-Dame;

              Notre Dame può e deve essere il simbolo della rinascita europea fondata sui veri valori del cristianesimo,

impegna il Governo

1) ad assumere iniziative per mettere a disposizione le migliori eccellenze italiane per ricostruire la cattedrale di Notre Dame, cuore spirituale della Francia, simbolo di arte, cultura e dell'identità europea.
(1-00180) «Meloni, Lollobrigida, Acquaroli, Bellucci, Bucalo, Butti, Caretta, Ciaburro, Cirielli, Luca De Carlo, Deidda, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferro, Fidanza, Foti, Frassinetti, Gemmato, Lucaselli, Mantovani, Maschio, Mollicone, Montaruli, Osnato, Prisco, Rampelli, Rizzetto, Rotelli, Silvestroni, Trancassini, Varchi, Zucconi».

Risoluzioni in Commissione:


      Le Commissioni II e III,

          premesso che:

              sono numerosi, nel nostro Paese, i casi di sottrazioni di figli minori a opera di un genitore che decide arbitrariamente di portare con sé il figlio minore in un luogo all'estero o di non ricondurlo nel luogo di dimora o residenza abituale, avviando anche in alcuni casi l’iter di iscrizione all'Aire del minore in assenza anche del consenso dell'altro genitore;

              sono diverse le fattispecie che si verificano ma che in comune hanno la sottrazione del figlio minore che viene senza il consenso dell'altro coniuge, condotto in un Paese straniero (per lo più Paese di origine del coniuge sottraente);

              la Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, ratificata in Italia con legge n. 64 del 15 gennaio 1994, sugli aspetti civili delle sottrazioni internazionali di minori prevede l'immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato estero contraente e di garantire comunque che il diritto di affidamento e visita previsti in uno Stato contraente siano rispettati negli altri Stati contraenti;

              attualmente, l'unico strumento di tutela a disposizione del genitore cui viene sottratto il figlio, oltre la procedura civile in virtù della Convenzione dell'Aja, che va applicata unitamente al regolamento (CE) n. 2201/2003 cosiddetto Bruxelles II bis, è la previsione penale ex articolo 574-bis del codice penale mentre non è prevista l'autonoma figura di reato di sottrazione illecita di minore che preveda appunto una adeguata sanzione per tale grave condotta, né sono previsti maggiori e più incisivi strumenti di indagini come le intercettazioni per tali tipologie di condotte;

              è innegabile che la sottrazione abbia un duro impatto sulla vita del minore, il quale viene inserito in contesto sociale, culturale, ambientale estraneo sino ad allora e da quel momento segue un lungo e farraginoso iter processuale e prima della determinazione definitiva del caso il bambino trascorre un lungo periodo lontano da uno dei due genitori;

              è altresì, noto come le vicende di sottrazioni comportino il coinvolgimento delle autorità dei diversi Stati e non pochi episodi di attriti tra gli Stati interessati sulla determinazione del foro di competenza, o altro, posto che per i casi di sottrazioni internazionali di minori vengono coinvolte le autorità centrali convenzionali presso il Ministero della giustizia e le autorità consolari dei reciproci Paesi dei genitori coinvolti;

              maggiori criticità nel tempo, si sono evidenziate nell'articolo 12, comma 1, della Convenzione dell'Aja (convenzione 2), in cui è stabilito che il genitore del figlio sottratto è obbligato a presentare istanza presso l'autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato contraente in cui il figlio è stato condotto illecitamente, laddove sarebbe opportuno per il genitore cui viene sottratto il figlio, che potesse presentare istanza nel luogo in cui il figlio risiedeva o dimorava abitualmente prima della sottrazione,

impegnano il Governo:

          a promuovere le opportune modifiche normative al fine di garantire la piena consapevolezza da parte del genitore a cui viene sottratto il figlio dell'intenzione dell'altro genitore di iscrivere il figlio presso l'Aire del Paese in cui viene condotto il figlio e alla introduzione di una nuova fattispecie di reato che inasprisca la pena per il reato di sequestro di minore di anni dodici;

          ad assumere iniziative normative volte a prevedere un coordinamento e la specializzazione delle procure nazionali per i casi di sottrazioni internazionali di minori, con l'ingresso di personale specializzato;

          ad assumere iniziative volte ad istituire una commissione, o altro organismo ritenuto più opportuno, specializzato in tema di sottrazioni internazionali di minori, che riunisca tutte le competenze di autorità centrale dello Stato, così come definita della Convenzione dell'Aja, elaborando e diramando a tutte le ambasciate italiane nel mondo un protocollo di intesa sulle iniziative da intraprendere nel caso di sottrazione di minore italiano;

          ad attivarsi a livello europeo ed internazionale al fine di permettere l'adesione di altri Stati alla Convenzione dell'Aja del 1980, e per promuovere una sua modifica nelle parti in cui si è rivelata di difficile applicazione per i genitori a cui è stato sottratto il figlio;

          ad avviare ogni utile iniziativa di competenza affinché vengano ottemperate le sentenze a favore di genitori italiani ma rimaste inapplicate dai genitori residenti all'estero, proibendo di fatto il diritto di visita e o rimpatrio del minore così previsto dalla normativa internazionale;

          ad intraprendere iniziative che permettano la tempestiva individuazione, segnalazione e divieto di espatrio dei minore già ai terminal degli aeroporti o porti, facilitando l'applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985;

          ad assumere iniziative per una modifica delle direttive sulla registrazione all'Aire (anagrafe italiani residenti all'estero) prevedendo che il genitore che porta con sé il figlio minore all'estero debba in ogni caso chiedere il consenso dell'altro genitore o comunque far sì che quest'ultimo venga informato dalle autorità del comune di vecchia residenza o dimora del minore, dell'avvenuta richiesta da parte dell'altro coniuge, di iscrizione all'Aire del figlio.
(7-00247) «Suriano, Ascari, Sabrina De Carlo, Ehm, Olgiati, Emiliozzi, Romaniello, Saitta, Dori, Giannone».


      Le Commissioni III e XIII,

          premesso che:

              lo sviluppo dell'olivicoltura è dovuto alla straordinaria qualità dell'alimento olio sia sotto il profilo nutrizionale che del benessere, caratteristiche che hanno fatto lievitare l'interesse commerciale per questo prodotto sul mercato globale;

              a fronte della crescita del commercio mondiale dell'olio di oliva e delle olive da tavola è indispensabile incentivare la cooperazione internazionale a favore di una olivicoltura sostenibile e responsabile volta a migliorare e preservare la qualità, a realizzare una maggior integrazione della dimensione ambientale nelle attività del settore olivicolo-olerario, a supportare la ricerca e lo sviluppo di attività di formazione e trasferimento tecnologico e a promuovere il consumo mondiale di olio di oliva mediante campagne e programmi dedicati;

              il Consiglio oleicolo internazionale, Coi, opera fin dal 1959, sotto il patrocinio delle Nazioni Unite, per il conseguimento dei suddetti fini come organizzazione mondiale intergovernativa nel settore dell'olio di oliva e delle olive da tavola e costituisce l'unico forum di confronto istituzionale a livello internazionale nella determinazione di linee di azione e obiettivi programmatici;

              l'elenco dei membri del Coi, che ha sede a Madrid, comprende l'Unione europea in rappresentanza dei 28 Stati membri, e altri 14 Paesi, molti dei quali si affacciano sul mare Mediterraneo da cui proviene il 98 per cento della produzione mondiale di olio di oliva;

              l'attuale vertice di governo del Consiglio è composto da un rappresentante della Tunisia come direttore esecutivo, e da due direttori aggiunti di nazionalità turca e spagnola;

              nel corso della 108a Sessione ordinaria dei membri del Consiglio, tenutasi a Madrid dal 19 al 23 novembre 2018, le delegazioni di Tunisia e Turchia hanno chiesto ai Paesi membri di prorogare il mandato per ulteriori 4 anni per l'intero staff dirigenziale, quindi sia per il direttore esecutivo che per i due direttori aggiunti e la Commissione europea ha sostenuto tale proposta;

              tale proroga di fatto annulla gli accordi conseguiti tre anni fa in base ai quali, con il sostegno della Spagna che mantiene la sede operativa e gran parte del personale del segretariato esecutivo, si decise che la successiva direzione esecutiva sarebbe spettata all'Italia;

              sono noti i tentativi dei Paesi appartenenti alla Lega araba di rafforzare il proprio peso nell'ambito del Consiglio anche al fine di contribuire in maniera più incisiva alle decisioni di natura economica destinate ad impattare sui futuri mercati dell'olio di oliva;

              l'Italia, come noto, occupa un posto di assoluto rilievo nel mercato internazionale dell'olio di oliva, in particolare dell'extra vergine, ed è punto di riferimento per il settore olivicolo-oleario a livello mondiale,

impegna il Governo

ad intervenire, con determinazione, presso le competenti sedi unionali affinché, già nella riunione del Coi in programma per il mese di giugno 2019, la Commissione europea evidenzi la propria contrarietà al rinnovo dell'incarico agli attuali direttori e sostenga la legittima aspettativa del nostro Paese di esprimere un italiano al vertice del Consiglio o nelle altre cariche direttoriali.
(7-00245) «Parentela, Coin, Viviani, Bella, Bubisutti, Cadeddu, Cassese, Gastaldi, Cillis, Golinelli, Cimino, Liuni, Del Sesto, Lo Monte, Gagnarli, Lolini, Gallinella, Grande, L'Abbate, Lombardo, Maglione, Alberto Manca, Marzana, Pignatone».


      La II Commissione,

          premesso che:

              negli ultimi anni l'annoso problema del sovraffollamento delle carceri italiane si è posto all'attenzione del nostro ordinamento come uno dei più sentiti;

              il sovraffollamento, come noto, pregiudica gravemente la qualità di detenzione, ha conseguenze negative sulle condizioni di salute dei detenuti e limita, come di fatto accade, la sicurezza del personale penitenziario in servizio e di quanti sono detenuti nei settori della media e bassa sicurezza;

              sovente, infatti, le cronache riportano di aggressioni avvenute all'interno delle carceri in danno di altri detenuti e di quanti vi lavorano; uno degli aspetti più gravi della questione è il fatto che le aggressioni colpiscono il personale penitenziario, a segnalare una crescente indifferenza ed arroganza dei detenuti nei loro confronti;

              i Governi Gentiloni e Renzi hanno inteso fronteggiare tale questione mediante decreti «svuota-carcere» e con la legge n. 47 del 2015, aventi il principale obbiettivo – anche condivisibile in linea teorica – di rafforzare il principio della custodia cautelare e della detenzione – in genere – in carcere quale extrema ratio;

              con la nota sentenza «Torreggiani» pronunciata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, in data 8 gennaio 2013 l'Italia è stata condannata per violazione dell'articolo 3 della Cedu con l'imposizione di attuare, con urgenza e in tempi brevi, un sistema di interventi riparativi e compensativi in grado di assicurare il rispetto della dignità umana dei soggetti internati;

              sulla scorta di tale sentenza cosiddetta «pilota», i Governi di centro-sinistra hanno messo in campo diversi interventi normativi e da ultimo è stata emanata la legge n. 103 del 2017 recante «modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario», avente il supposto intento di adeguare il sistema normativo interno ad un «presunto» modello europeo;

              in linea con gli interventi degli ultimi anni volti alla riduzione del sovraffollamento, nell'ordinamento penitenziario è stata introdotta la sorveglianza dinamica, che va ad affiancarsi al regime aperto (il regime aperto si connota per il graduale superamento del criterio di perimetrazione della vita penitenziaria all'interno della camera di pernottamento. Il detenuto, quindi, non è più confinato nella cella di assegnazione ma gode di una certa libertà di movimento all'interno della sezione);

              in particolare, sul piano operativo ed organizzativo, la sorveglianza dinamica implica l'apertura delle stanze di detenzione per le ore giornaliere con la chiusura durante la notte ed in occasione della «conta» numerica di detenuti;

              il personale di polizia penitenziaria nelle sezioni detentive non è più assegnato ad una postazione fissa, bensì si muove nella sezione a cui è preposto e mantiene il controllo delle persone detenute con l'ausilio di supporti elettronici, laddove disponibili;

              ancora. La persona detenuta può dirigersi autonomamente da un piano all'altro all'interno della propria sezione, senza essere scortata dagli agenti e laddove permesso dal dirigente può, altresì, spostarsi tra diverse sezioni. Così come concepita, la sorveglianza dinamica implicherebbe un numero minore di unità del personale di polizia penitenziaria, a discapito, quindi, di un efficace sistema di tutela e sicurezza dei detenuti internati per reati lievi e del personale in servizio, non essendo in grado di fronteggiare i pericoli derivanti dal sovraffollamento con le limitate risorse, ad oggi, disponibili;

              orbene, fatte le necessarie premesse illustrative, giova rappresentare che l'istituto della sorveglianza dinamica pone una serie di interrogativi in relazione alla sua compatibilità con le strutture penitenziarie ad oggi esistenti sul territorio nazionale e la sua idoneità a garantire l'uso degli spazi detentivi e l'allocazione dei detenuti;

              tali questioni, di assoluta importanza, sono direttamente collegate alla necessità di assicurare, all'interno degli istituti detentivi, la sicurezza di quanti vi operano e dei detenuti, molti dei quali, non di rado, subiscono il disagio generato dalle azioni violente, minacciose e persino «mafiose» di altre persone detenute;

              la tutela e la sicurezza del personale in servizio presso gli istituti detentivi devono sempre rappresentare il fondamento di qualsivoglia riforma penitenziaria atteso che la polizia penitenziaria svolge una funzione essenziale per conto della comunità, prodromica alla sicurezza dei detenuti e di quanti altri sono presenti negli istituti;

              per la principale funzione che svolgono, connotata da un alto margine di rischio per la propria incolumità, si dovrebbe poter garantire al personale in servizio condizioni di impiego idonee alle rispettive mansioni ed in linea con il carattere impegnativo del lavoro che è chiamato ad eseguire;

              sicurezza del personale in servizio e tutela dei detenuti sono, a ben vedere, due fattori intrinsecamente legati tra loro;

              è evidente, infatti, che la possibilità di garantire ai soggetti detenuti l'esecuzione della pena in linea con i princìpi fondamentali condivisi dal Consiglio europeo, deve inevitabilmente coincidere con la garanzia di assicurare al personale penitenziario di operare in un ambiente altrettanto dignitoso e sicuro;

              non di rado, tuttavia, taluni detenuti, giovandosi della maggiore flessibilità della vita in carcere dopo l'introduzione del regime aperto e della sorveglianza dinamica, assumono comportamenti pericolosi e violenti in danno di altri detenuti e del personale penitenziario, generando condizioni di vita e di lavoro particolarmente ostili;

              alle considerazioni si qui svolte, si aggiunga che:

                  la riforma Madia ha notevolmente ridotto il personale in organico;

                  le riforme succedutesi sino ad oggi non hanno apportato alcun ammodernamento tecnologico (ad esempio sistemi di videosorveglianza) che possa in qualche modo assicurare livelli sufficienti e ottimali di sicurezza non solo per i detenuti ma anche per il personale;

                  istituti penitenziari importanti in termini numerici, quali Poggioreale e Secondigliano, a quanto consta ai presentatori del presente atto, registrano la pressoché totale assenza di videosorveglianza e i presidi di vigilanza armata esterna sono quasi inesistenti con grave vulnus per la sicurezza;

              venendo alle dolenti note: un recente dossier elaborato dal sindacato autonomo della polizia penitenziaria Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) evidenzia un aumento, rispetto ai primi tre mesi del 2017, del 30 per cento delle violenze nei confronti di agenti negli istituti penitenziari;

              si parla, ed è opportuno evidenziarlo, di un livello di violenza e aggressività mai registrato fino ad oggi, con episodi di estrema gravità;

              il delegato provinciale Giuseppe Iovine e il dirigente nazionale Maurizio Russo Osapp affermano «Ormai sembra un bollettino di guerra, ogni giorno negli istituti penitenziari si assiste inermi alle aggressioni ai danni dei colleghi e delle colleghe che operano nelle carceri in totale abbandono, senza tutela e con i minimi standard di sicurezza. Il personale è stressato, sfiduciato, abbandonato dallo Stato e dalle istituzioni che dovrebbero garantire l'incolumità, dare protezione e sicurezza»;

              si riportano a titolo esemplificativo alcuni episodi:

                  in data 7 maggio 2018 la cronaca riporta di una aggressione avvenuta presso il carcere di Carinola, in provincia di Caserta, dove un detenuto ha ferito con una testata al volto un agente, costretto a ricorrere a cure sanitarie;

                  in data 18 maggio 2018 l'ennesimo episodio nel carcere di Bellizzi. Un detenuto della provincia del napoletano, condannato per reati di violenza e rapina, ha aggredito un assistente capo della polizia penitenziaria che è dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso. Lo stesso detenuto, il giorno successivo alla prima aggressione, si è scagliato con violenza contro altri due responsabili della sicurezza della casa circondariale;

                  in data 1° giugno 2018 la cronaca informa di sette aggressioni avvenute nell'arco di una settimana presso il carcere di Bari;

                  in data 13 giugno 2018 nel carcere di Ariano Irpino un gruppo di detenuti in regime di custodia aperta ha preso in ostaggio un agente ed un ispettore del servizio di vigilanza della polizia penitenziaria, liberati dopo alcune ore. Sempre in data 13 giugno 2018 ma nel carcere di Trapani un detenuto, già destinatario di diversi rapporti disciplinari, ha colpito violentemente al volto un assistente capo della polizia penitenziaria. Anche in questa occasione si è reso necessario il ricorso alle cure mediche;

                  in data 20 giugno 2018 nel carcere di Sulmona un detenuto ha lanciato dell'olio bollente contro un agente di 47 anni, costretto ad un delicato intervento chirurgico;

                  in data 21 giugno 2018 nella casa di reclusione di Turi, in provincia di Bari, un detenuto che si trovava all'interno della sala colloqui, invitato ad uscire perché il tempo a disposizione era terminato, ha aggredito con violenza inaudita un agente di polizia penitenziaria, colpendolo ripetutamente con pugni e schiaffi, incurante della presenza all'interno della sala di familiari di altri detenuti, tra cui anche dei bambini;

                  in data 4 luglio 2018, nella casa circondariale «Antimo Graziano» di Bellizzi Irpino, un detenuto ha preso a pugni un agente causandogli delle contusioni;

                  in data 3 agosto 2018 presso il carcere di Salerno due psichiatre sono state aggredite da un detenuto nel corso di una visita. Episodio che, come tanti altri, mette in luce la mancanza di sicurezza di quanto operano all'interno degli istituti detentivi;

                  in data 3 agosto 2018 nel carcere di Lucca un detenuto nigeriano ha aggredito con calci e pugni due agenti e un sovrintendente della polizia penitenziaria e solo grazie all'intervento di altri poliziotti si è potuto evitare che la situazione degenerasse oltremodo;

                  in data 31 agosto 2018 presso il carcere di Caltanissetta quattro agenti di polizia penitenziaria riportano ferite mentre tentavano di sedare una violenta rissa tra detenuti di origine nigeriana;

                  in data 2 settembre 2018 la cronaca riporta di una aggressione grave avvenuta presso il carcere di Prato. Quattro poliziotti penitenziari sono stati aggrediti violentemente da un detenuto sudamericano; in particolare uno di loro è stato gravemente ferito alla gola con dei colpi di lametta;

                  in data 10 settembre 2018 presso il carcere di Brissogne, Aosta, due agenti di polizia penitenziaria sono stati aggrediti da un detenuto. Si tratta dell'ennesimo episodio di violenza avvenuto nell'identica sezione detentiva aperta denominata A2 che di fatto risulta da tempo in balia degli appartenenti alla popolazione detentiva;

                  in data 2 ottobre 2018, presso il carcere di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), un detenuto tedesco ha ferito 5 agenti di polizia penitenziaria e due infermieri ai quali sono stati riconosciuti 35 giorni di prognosi;

                  in data 18 ottobre 2018 alcuni agenti di polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Messina sono costretti a ricorrere alle cure mediche (dieci giorni di prognosi) dopo aver tentato di contenere l'azione aggressiva di un detenuto nei confronti dell'agente preposto al reparto sosta;

                  in data 20 novembre 2018 presso il carcere di Trani un detenuto foggiano ha aggredito un agente penitenziario;

                  in data 8 dicembre 2018, presso la casa di reclusione «Calogero Di Bona – Ucciardone» di Palermo, un detenuto dopo aver minacciato di morte un agente ne ferisce a calci e pugni altri tre;

                  in data 25 dicembre 2018 si apprende da organi si stampa di una nuova aggressione avvenuta presso il carcere di Montorio durante la quale un detenuto aggrediva per futili motivi un agente che riportava lesioni allo zigomo sinistro, con prognosi di tre giorni;

                  tra il 19 e 21 gennaio 2019 presso il carcere di Don Bosco di Pisa si sono susseguite tre aggressioni nei confronti del personale della Polizia penitenziaria: il primo giorno un detenuto georgiano ha aggredito un agente che ha riportato delle ferite; il secondo giorno un agente è stato aggredito da un detenuto tunisino; il terzo giorno un altro operatore è stato colpito da un carrello del vitto che gli è stato lanciato addosso da un detenuto, riportando delle lesioni;

                  in relazione ai problemi connessi alla sorveglianza dinamica è intervenuto il sindacato autonomo di polizia penitenziaria; il segretario generale del Sappe Donato Capece ha dichiarato «la situazione delle carceri si è notevolmente aggravata. Basterebbe avere l'onestà di esaminare i dati degli eventi critici accaduti in carcere nell'anno 2017 (...) 9.510 atti di autolesionismo, 1.135 tentati suicidi, 7.446 colluttazioni e 1.175 ferimenti. E la cosa grave è che questi numeri si sono concretizzati proprio quando sempre più carceri hanno introdotto la vigilanza dinamica ed il regime penitenziario aperto, ossia con i detenuti più ore al giorno liberi di girare per le sezioni detentive con controlli sporadici ed occasionali della Polizia Penitenziaria»;

                  ancora, a seguito dell'aggressione avvenuta presso il carcere di Lucca, di cui sopra, Capece lamenta ancora una volta la carenza di personale e l'evidente acuirsi della situazione rispetto al passato. A testimonianza di ciò il segretario ha fornito i dati del primo semestre dell'anno 2018: «5.157 atti di autolesionismo, 585 tentati suicidi; 3.545 colluttazioni, 571 ferimenti, 5 tentati omicidi»;

                  in occasione dell'aggressione avvenuta presso il carcere di Spoleto, Capere afferma: «Nelle carceri umbre si contano sistematicamente atti di autolesionismo, tentati suicidi sventati in tempo dagli uomini della polizia penitenziaria, colluttazioni e ferimenti. Lasciare le celle aperte più di 8 ore al giorno senza far fare nulla ai detenuti, lavorare, studiare, essere impegnati in una qualsiasi attività è controproducente perché lascia i detenuti nell'apatia: non riconoscerlo vuol dire essere demagoghi ed ipocriti». La proposta quindi: «è quella di sospendere la vigilanza dinamica: sono, infatti, state smantellate le politiche di sicurezza delle carceri preferendo una vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto, con detenuti fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno, con controlli sporadici e occasionali, con detenuti di 25 anni che incomprensibilmente continuano a stare ristretti in carceri minorili»;

                  a causa del procrastinarsi di tale situazione di pericolo, sulla medesima scia degli altri sindacati, è intervenuto anche il Segretario nazionale del Si.N.A.P.Pe (Sindacato nazionale autonomo Polizia Penitenziaria) Luigi Vargas: «Ci si domanda se è il caso di insistere con la sorveglianza dinamica, un regime detentivo aperto che alla luce dei fatti sta mostrando le sue falle. È giunto il momento di arrestare questa carneficina. Non possiamo più accettare che si verifichino ancora eventi ai danni dei rappresentanti dello Stato, la cui unica colpa è quella di espletare con professionalità e spirito di sacrificio i loro compiti istituzionali. La custodia dinamica spesso viene interpretata, soprattutto dai detenuti particolarmente violenti e remissivi alle regole, come un ammorbidimento del regime penitenziario infondendo in essi la convinzione di rimanere impuniti..»;

                  il segretario generale del Spp (Sindacato di Polizia penitenziaria) Aldo di Giacomo dinanzi all'ennesima azione di violenza ingiustificata avvenuta presso la casa di reclusione di Turi ha affermato: «Mi rivolgo al nuovo Ministro della giustizia chiedendo interventi urgenti e straordinari tesi a fermare la mattanza che quotidianamente vede vittime gli agenti di polizia penitenziaria, che svolgono il proprio dovere al servizio dello Stato in strutture che ormai non garantiscono più alcuna sicurezza. È inaccettabile assistere e subire passivamente l'escalation di violenza che da tempo gli appartenenti al Corpo sono costretti a subire. Chiedo come primo atto concreto, finalizzato a ristabilire la legalità all'interno delle strutture penitenziarie, l'abolizione del cosiddetto sistema di vigilanza dinamica»;

                  alla luce di quanto sin qui rappresentato risulta palese la necessità di ridefinire i criteri della sorveglianza dinamica e della sua applicazione, rivedere l'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, limitare l'accesso al beneficio del regime aperto e della sorveglianza dinamica per chiunque abbia commesso un reato grave, non solo in forma associata, perpetrato con condotte violente e minacciose tali da far ritenere il detenuto un soggetto pericoloso per gli altri detenuti e per il personale;

                  si rende opportuno ed urgente adottare provvedimenti di tutela «rafforzata» per gli agenti e di sicurezza in generale all'interno degli istituti, prevedendo idonei sistemi di videosorveglianza e limitando l'accesso al regime delle celle aperte e al sistema della sorveglianza dinamica solo per coloro che non hanno riportato condanne per reati di violenza grave contro la persona e che, a seguito di un periodo di ricognizione dimostrino di essere effettivamente meritevoli di tali benefici;

                  ai fini del rafforzamento della tutela intramuraria sarebbe altresì opportuno, oltre ai sistemi di videosorveglianza, investire sul corpo di polizia penitenziaria attraverso il potenziamento degli organici e dotando gli agenti di strumenti, quali spray e taser per assicurare l'incolumità sul posto di lavoro. È evidente, inoltre, che il sistema della sorveglianza dinamica, così come concepita, necessita di maggior personale e non di una riduzione dello stesso;

                  la prassi ha dimostrato che il problema del sovraffollamento non può essere combattuto e sconfitto tramite la mera apertura delle celle, bensì per mezzo di misure idonee a contenere l'ordine e la sicurezza per quanti nelle carceri permangano in detenzione e per quanti ivi lavorano;

                  ciò rende improcrastinabile l'esigenza di una allocazione più attenta e rigorosa delle risorse disponibili, una previsione urgente di misure di attuazione di mezzi all'avanguardia a fini della sorveglianza e misure più stringenti per quanti non siano meritevoli di tali benefìci;

                  occorre, una risposta forte da parte dello Stato finalizzata a coadiuvare il personale di polizia penitenziaria al fine di non generare nello stesso un senso di abbandono da parte delle istituzioni;

                  è un dato di fatto incontestabile, oggetto di molteplici denunce da parte dei sindacati, che persiste ormai da tempo un'azione di violenza ingiustificata contro il personale in servizio nelle carceri;

                  il personale della polizia penitenziaria e – in generale – tutti coloro che appartengono alle forze dell'ordine rappresentano un indispensabile presidio di legalità e di sicurezza sul territorio, nelle città e nelle carceri;

                  pertanto, il loro ruolo non può essere in alcun modo sminuito;

                  è opportuno garantire la punibilità di quanti si rendano protagonisti di aggressioni in danno del personale della polizia penitenziaria, superando l'idea che le violenze, verbali o fisiche che siano, si traducano in una mera violazione disciplinare; è certo che le sanzioni disciplinari non rappresentano un effettivo deterrente per la commissione di ulteriori e spesso più gravi eventi in danno del personale ovvero di altri soggetti detenuti. Per tale ragione le pene edittali previste per i reati di violenza o minaccia e resistenza nei confronti degli appartenenti delle forze dell'ordine risultano essere inadeguate, atteso che per effetto dei provvedimenti «svuotacarceri», lasciano di fatto impunite tali condotte illecite,

impegna il Governo:

          a compiere una valutazione del sistema carcerario – con urgenza – basata su criteri non meramente deflattivi bensì qualitativi, in grado di assicurare da un lato il rispetto della dignità umana dei soggetti detenuti, dall'altro la sicurezza degli stessi e in particolar modo del personale in servizio presso gli istituti penitenziari;

          ad assumere iniziative volte a disciplinare in maniera differenziata l'istituto della sorveglianza dinamica tenendo conto, quale parametro di riferimento, della pericolosità dei singoli detenuti;

          ad assumere iniziative per prevedere una maggiore allocazione delle risorse disponibili all'interno delle carceri e disporre misure idonee ed avanzate di sorveglianza, nonché un aumento significativo degli appartenenti alla polizia penitenziaria, predisponendo nuove assunzioni tramite scorrimento delle graduatorie degli idonei non vincitori e nuove procedure concorsuali;

          a prevedere al più presto l'apertura degli istituti penitenziari in via di ultimazione e la creazione di nuove strutture.
(7-00246) «Varchi, Cirielli».


      La IV Commissione,

          premesso che:

              si rende necessario assicurare la presenza di un supporto psicologico al personale militare appartenente alle Forze Armate e garantire, specie in un contesto così sensibile, un adeguato supporto morale con l'intento di pervenire, attraverso la conoscenza dei fenomeni, all'attuazione di procedure che permettano una conoscenza e una gestione efficace di eventi critici che, come è noto, sono ad alto impatto emotivo;

              durante l'audizione della Ministra per la difesa sulle linee programmatiche del Dicastero presso le Commissioni congiunte 4a (Difesa) del Senato della Repubblica e IV (Difesa) della Camera dei deputati, tenutasi a Roma il 26 luglio 2018, è stato espresso l'impegno a garantire le legittime aspettative del personale militare su temi che riguardano la loro vita quotidiana quali ad esempio la tutela dei rapporti familiari e la salvaguardia della salute;

              il deputato Antonio Del Monaco (con l'interrogazione 4-01187 del 25 settembre 2018, presentata nella seduta n. 49) ha richiesto alla Ministra della difesa se – al fine di implementare il lavoro di prevenzione primaria finalizzata a evitare il fenomeno dei suicidi tra i militari – non ritenesse opportuno adottare iniziative per aumentare gli psicologi nelle brigate, fino ad arrivare a livello reggimento e reparti equiparati;

              la Ministra della difesa, nella sua risposta scritta (pubblicata venerdì 28 dicembre 2018 nell'allegato B del resoconto della seduta n. 104), ha affermato che la Difesa è impegnata nello svolgimento di specifiche attività finalizzate a prevenire e ridurre i fenomeni di suicidio e che, essendo la tutela della salute del proprio personale una priorità assoluta per le Forze armate, è sua intenzione avviare un piano per rafforzare ulteriormente il supporto psicologico ai militari e alle loro famiglie che vivono un disagio, non escludendo la possibilità di ricorrere anche a strutture/figure esterne;

              è innegabile l'attenzione che la Difesa esprime per il mantenimento dello stato di benessere psico-fisico del proprio personale, in particolare di coloro che si trovano impiegati in operazioni fuori dal territorio nazionale e pertanto esposti con maggiori probabilità a situazioni catalizzatrici di esperienze disorganizzanti dell'equilibrio psico-emotivo;

              le osservazioni psicologiche effettuate sui reduci delle guerre del XX e XXI secolo hanno condotto alla formulazione del cosiddetto disturbo post-traumatico da stress (d'ora in avanti Dpts) ed allo sviluppo degli attuali criteri diagnostici;

              nella codificazione internazionale dei disturbi mentali, al Dpts è associata inderogabilmente la presenza di un evento rilevante quale causa di stress e nel 2013, in Italia, stando ai dati della Difesa, si erano già registrati almeno una trentina di casi (agli atti dell'Osservatorio epidemiologico della difesa sono presenti 16 casi, di cui 3 nel 2007, 9 nel 2008, 1 nel 2010 e 3 nel 2011 a cui si aggiungerebbero altri 16 casi risultati estrapolati dai ricoveri (post-sgombero da teatro operativo estero presso il Celio);

              il dato relativo ai suicidi avvenuti nel 2016, pubblicato sulla «RELAZIONE SULLO STATO DELLA DISCIPLINA MILITARE E DELL'ORGANIZZAZIONE DELLE FORZE ARMATE» registra un aumento rispetto al 2015 (23 casi rilevati a fronte dei 17 casi dell'anno precedente);

              nell'ambito delle Forze Armate si verificherebbe la tendenza da parte del personale a occultare/dissimulare il disturbo, al fine di evitare provvedimenti medico-legali;

              valutato il convincimento pressoché unanime del Comitato tecnico-scientifico per lo studio dei disturbi mentali nel personale militare che, nonostante trauma e stress non siano sinonimi e non appartengano al medesimo dominio di eventi psichici, la fenomenologia clinica li associa rispetto all'assunto che esiste una soglia di tolleranza agli stimoli, oltre la quale le esperienze sono in grado di provocare ferite profonde all'individuo e che il trauma è un'esperienza che mette in difficoltà il sistema di protezione difensivo dell'individuo e potrebbe esporlo a sentimenti di impotenza e di perdita di controllo;

              preso atto che il servizio militare presenta diverse fonti di stress, quali il contenuto e il contesto in cui il lavoro si svolge e che lo stesso, in un certo senso è parte delle «regole di ingaggio» del militare, mentre invece il trauma non è declinabile in termini operativi perché è l'esito di un processo psico-patogenetico che incastra in un'implosione eventi e mondo interno come fallimento di ogni strategia che colloca la persona nell'area della sofferenza psichica;

              l'articolo 9, comma 4, della legge 11 gennaio 2018, n. 3 (Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute), ha disposto che all'articolo 1 della legge 18 febbraio 1989, n. 56 (ordinamento della professione di psicologo), sia premesso l'articolo 01 (categoria professionale degli psicologi) che prevede che: «La professione di psicologo di cui alla presente legge è ricompresa tra le professioni sanitarie di cui al decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, ratificato dalla legge 17 aprile 1956, n. 561»;

              va inoltre considerato il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare), che al titolo V (sanità militare), capo I (disposizioni generali), articolo 183 reca norme relative ai rapporti con il servizio sanitario nazionale; si rilevano inoltre al capo IV (personale addetto alla sanità militare) nella sezione I (personale del servizio sanitario militare), gli articoli 208, 209 e 210 e nella sezione II (esercizio delle professioni sanitarie), gli articoli 211 e 212 e l'articolo 821, comma 2, lettera c, relativo all'Arma dei Carabinieri, concernente ruoli del personale in servizio permanente, dove è ricompreso espressamente il comparto sanitario e psicologico nel ruolo tecnico degli ufficiali in servizio permanente e l'articolo 847 concernente l'equiparazione degli ufficiali del ruolo tecnico agli ufficiali dei ruoli normali delle Forze Armate costituiti per l'assolvimento di analoghe mansioni;

              ai sensi del comma 3 dell'articolo 183 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 il Ministero della difesa può stipulare convenzioni con laureati in medicina, psicologia, estranei all'Amministrazione dello Stato; il rapporto di lavoro tra l'amministrazione e questi è regolato dagli accordi collettivi nazionali stipulati ai sensi dell'articolo 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e del comma 8 dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 502 del 1992, così come modificato dal decreto legislativo n. 517 del 1993 e dal decreto legislativo n. 229 del 1999;

              preso atto del fatto che la possibile origine del Dpts risiede nelle transazioni fra il soggetto e la realtà, nel rapporto fra caratteristiche dell'evento e caratteristiche soggettive (si pensi al concetto di resilienza, ossia alla capacità di fronteggiare efficacemente gli eventi avversi e di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà), è auspicabile costruire una rete di intervento ampia ed integrata che coinvolga i diversi attori afferenti alla individuazione e presa in carico delle problematiche psicologiche. Nello specifico, individuare team di pari con competenze tecniche tali da rilevare le problematiche con funzioni di coadiutore socio-assistenziale specifico; team supervisionato da una figura professionale con una formazione in ambito psicologico clinico, individuata tra il personale civile ed esterno alle Forze Armate;

              il personale militare, afferente al Pst (peer support team) assumerebbe il ruolo di referente al supporto e all'orientamento (Rso) e al suo interno un membro del gruppo di lavoro farà riferimento, attraverso il coordinamento e il supervisore, nelle varie unità, a un team superiore composto da esperti a più livelli individuati nella realtà civile e militare. Essa quindi, a seguito di un adeguato momento di formazione ad opera delle stesse Forze Armate, e in sinergia con le associazioni accreditate presenti sul territorio, effettuerà un intervento di supporto morale, e di orientamento al fine di sviluppare le strategie volte alla risoluzione delle problematiche inerenti;

              la nuova figura potrebbe così fungere da ponte tra due tipologie di supporto: da un lato il supporto morale, mantenendo il senso di appartenenza e il senso di identità, dall'altro l'orientamento al supporto psicologico clinico, destinato al militare e alla sua famiglia;

              il punto di forza di tale progetto è quello di proporre l'inserimento di una nuova figura che, piuttosto che allontanare dalle Forze Armate il militare in difficoltà, creerebbe uno spazio neutro e un ponte verso azioni di intervento integrate gestite da associazioni professionali specializzate e/o presidi ospedalieri, in grado quindi di coniugare interventi psicologici specifici e azioni finalizzate al mantenimento del senso di appartenenza alle Forze Armate. Tale progetto, avrebbe inoltre il pregio di impedire prolungati tempi di attesa «in stato di malattia»,

impegna il Governo:

          ad istituire una struttura organizzativa di vertice interforze per l'indirizzo e il coordinamento delle attività indicate in premessa, costituito da personale appartenente alle Forze Armate e ad associazioni professionali specializzate e riconosciute, e da strutture periferiche, a livello di forza armata, gerarchicamente sovraordinate dalla struttura sopra indicata, abilitate a svolgere le attività indicate in premessa;

          ad istituire, a livello territoriale, una figura di supervisore clinico (clinical supervisor) alla guida di un team di supporto, composto da professionisti provenienti dalle Forze Armate;

          ad emanare apposite linee guida volte a favorire una nuova «politica» del peer support, nonché ad individuare idonei percorsi di formazione professionale gestiti dalla struttura di vertice interforze per l'indirizzo e il coordinamento delle attività indicate in premessa;

          a prevedere, per quanto concerne l'accreditamento delle associazioni sul territorio, idonei canali di ricerca volti a verificare la presenza di requisiti minimi quali: capacità di presenza sul territorio nazionale, esperienza temporale non inferiore a cinque anni e dimostrabili capacità di relazioni funzionali all'accoglienza della richiesta di supporto;

          a convocare un tavolo tecnico presso il dicastero della difesa, coinvolgendo le associazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale per la definizione dei dettagli operativi e la stesura delle linee guida.
(7-00243) «Roberto Rossini, Galantino, Rizzo».


      La XIII Commissione,

          premesso che:

              l'Unione europea si colloca al primo posto per la produzione di conigli a livello mondiale, superando l'Asia e in particolare la Cina che tuttavia, con una produzione di 417 mila tonnellate di carcasse, è il maggiore esportatore; l'Unione europea ha un saldo negativo nella bilancia commerciale con la Cina per quanto riguarda la carne di coniglio: il 99 per cento delle importazioni di carne di coniglio nell'Unione europea provengono dalla Cina e questa condizione pone gli allevatori europei, compresi gli italiani, in una situazione di pesante svantaggio commerciale;

              l'Italia, fino a pochi anni addietro leader europeo del settore, ha perso il proprio primato produttivo, subendo anche la competizione europea, soprattutto di Francia, Spagna e Ungheria;

              la filiera cunicola italiana ancora poco organizzata e piuttosto polverizzata, la bassa competitività dei nostri allevamenti, la competizione europea ed extra europea, hanno causato il fallimento di oltre il 40 per cento degli allevamenti cunicoli italiani e di oltre il 20 per cento dei macelli;

              in data 29 aprile 2010 è stato approvato in sede di Conferenza Stato-regioni il Piano di intervento per il settore cunicolo (Atto 22/Conferenza Stato-regioni), ma ad oggi molte previsioni in esso contenute sono ancora disattese; l'istituzione della Commissione unica nazionale dei conigli vivi da carne da allevamento nazionale (C.u.n. cunicola), avviata dopo una lunga gestazione, con lo scopo di formulare le tendenze di mercato e dei prezzi della categoria di prodotto «conigli vivi da allevamento nazionale» in maniera trasparente e neutrale, è una delle poche misure previste dal Piana ad essere stata attuata;

              al riguardo, l'Autorità garante del mercato e della concorrenza, nelle sue osservazioni del 29 aprile 2011 inviate al Governo e alle Camere, ha sancito che l'attività della Cun deve ispirarsi ai princìpi di trasparenza e neutralità, elementi fondamentali per tutelare il libero mercato e la libera concorrenza e per consentire di superare i meccanismi discrezionali delle borse merci locali, così decretando l'autorevolezza della Cun stessa;

              il Piano di intervento per il settore cunicolo prevedeva anche azioni per l'introduzione dell'etichettatura di origine obbligatoria della carne di coniglio, rimasta disattesa a differenza delle carni bovine, suine, ovine, caprine e di volatili, per le quali l'obbligo è stato introdotto dai regolamenti (CE) n. 1760/2000 e n. 1169/2011;

              l'adozione di un sistema di etichettatura corretto e trasparente appare fondamentale per valorizzare la produzione nazionale, consentire scelte di acquisto consapevoli ai consumatori, dare maggiore sicurezza sui prodotti e tutelare la salute dei cittadini, del territorio, dell'economia e dell'occupazione;

              l'ingerenza nel mercato cunicolo nazionale di carni e prodotti derivati, a prezzi irrisori, provenienti da altri Paesi europei ed extraeuropei, appesantisce il mercato, condizionando negativamente le quotazioni, spesso al di sotto dei costi produttivi;

              il settore cunicolo ha risentito molto duramente anche del calo del consumo di carne nell'Unione europea. I dati per il 2016 (gli ultimi disponibili in modo aggregato) indicano una flessione del mercato del 4,7 per cento, dovuta a una tendenza dei consumatori a consumare meno carne di coniglio. Con un consumo medio di 1,70 chili per abitante, la carne di coniglio è una delle carni meno consumate nell'Unione (collocandosi tra l'1 per cento e il 2 per cento del consumo complessivo di carne);

              occorre altresì fare una riflessione sul sistema di allevamento: nel nostro Paese la maggioranza dei conigli è allevata in gabbie, ma come emerso dall'indagine «Eurobarometro sul benessere animale 2016», i consumatori sono estremamente interessati al modo in cui gli animali sono allevati,

impegna il Governo:

          ad attivarsi, nelle opportune sedi europee, per la revisione della normativa unionale in materia di etichettatura al fine di introdurre l'obbligo dell'indicazione dell'origine per le carni di coniglio e per i prodotti trasformati a base di coniglio, sia intero che porzionato, nonché del Paese di allevamento e di macellazione, al fine non solo di salvaguardare un comparto importante della zootecnia nazionale, ma anche di garantire una maggior certezza giuridica a tutti gli operatori della filiera e una corretta informazione ai consumatori;

          a riferire alle competenti commissioni parlamentari sullo stato di attuazione del piano di settore di cui in premessa sull'eventuale presenza di criticità ostative alla sua piena applicazione e in merito alle iniziative eventualmente necessarie per provvedere al suo aggiornamento;

          ad assumere iniziative, di concerto, con le amministrazioni periferiche competenti per il monitoraggio del settore, e per un rafforzamento e coordinamento dei controlli sulle importazioni ed esportazioni di carni di coniglio, anche al fine di contrastare più efficacemente la contraffazione, l'agro-pirateria e il commercio di prodotti falsamente indicati come «made in Italy»;

          a valutare l'opportunità di richiedere, ai sensi dell'articolo 12, comma 2, della legge n. 287 del 1990, l'avvio di una indagine conoscitiva da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, per verificare il corretto funzionamento del mercato delle carni di coniglio;

          a richiamare l'attenzione delle istituzioni unionali sulla necessità di verificare l'eventuale adozione da parte di alcuni Stati membri di misure che si configurano come lesive degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea;

          a valutare l'opportunità di incentivare l'utilizzo di metodi di allevamento più rispettosi del benessere animale, anche al fine di consentire una maggiore valorizzazione del prodotto nazionale rispetto a quello di importazione.
(7-00244) «Gagnarli, Alberto Manca, Cillis, Cadeddu, Gallinella, Del Sesto, Lombardo, Maglione, Parentela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


      VIETINA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha pubblicato con Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 90 del 24 novembre 2017 il concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali di cui al Ddg 1259/2017;

          da quanto si apprende da notizie di stampa, a seguito della pubblicazione del decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 395 del 27 marzo 2019 con l'allegato elenco dei candidati ammessi alla prova orale, numerosi docenti esclusi sarebbero in procinto di avviare ricorso collettivo al Tar del Lazio per consentire a tutti coloro che hanno conseguito un punteggio pari o superiore a 60/100 (ma inferiore a 71,7/100) di essere ammessi alle prova scritta. Unitamente a tale ricorso sembra si stiano avviando anche ricorsi individuali da parte chi ha punteggio prossimo all'ingresso e da chi, oltre ad aver riportato un punteggio pari alla sufficienza, ha motivi individuali da far valere in giudizio; tali procedimenti rischiano di inficiare la procedura concorsuale la quale sarebbe interessata da numerose anomalie procedurali rispetto a quanto previsto nel bando quali:

              violazione del «principio di contestualità ed unicità» delle prove scritte su tutto il territorio nazionale: violazione del principio dell'anonimato;

              mancata pubblicazione, in anticipo, delle griglie di valutazione con descrittori analitici;

              disparità di trattamento in merito alla possibile consultazione dei testi normativi, rimessa alla eccessiva discrezionalità dei responsabili d'aula o vigilanti;

              malfunzionamenti della tastiera (anomalie specifiche che meglio si adattano, in ragione dell'onere probatorio, ad un ricorso individuale);

              imposta risoluzione di casi (cosiddetti «case study»), non riscontrabile nei contenuti del bando;

          è parere dell'interrogante che tali anomalie potrebbero invalidare il concorso e con esso le legittime aspettative di tutti coloro i quali vi stanno dedicando le proprie energie –:

          se il Governo sia a conoscenza di quanto espresso in premessa;

          in caso affermativo, quali iniziative di competenza il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia già assunto per accertare l'esistenza delle irregolarità illustrate in premessa e garantire la trasparenza della procedura concorsuale;

          come il Governo intenda assicurare il corretto svolgimento della procedura concorsuale nel rispetto delle regole poste dalla normativa vigente.
(4-02869)


      BIGNAMI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

          le recenti linee guida Agid sull'effettuazione dei pagamenti elettronici a favore delle pubbliche amministrazioni e dei gestori dei pubblici servizi sembrano presentare alcune criticità. Stando all'interpretazione che alcuni comuni avrebbero dato, anche a seguito della pubblicazione delle relative Faq, sembra che i comuni non possano più accettare pagamenti in contanti se non quelli effettuati direttamente allo sportello della tesoreria comunale, che però è situato presso l'istituto bancario aggiudicatario;

          tra le problematiche che si verrebbero a creare vi è, tra l'altro, quella relativa a servizi come l'economato o pagamento dei diritti di segreteria da effettuare a mezzo bancomat;

          tale sistema prevede infatti che le pubbliche amministrazioni installino nuovi Pos che veicolano automaticamente ogni pagamento nel circuito «PagoPA», con la generazione automatica del codice avviso di pagamento (cosiddetto IUV) che prevede un costo a singola generazione per i comuni (acquistabile anche a blocchi), ma che soprattutto lascerebbe discrezionalità all'istituto di credito, che svolge funzione di tesoreria, di applicare o meno commissioni di pagamento al debitore (cittadino), che potrebbero raggiungere anche i 2 euro a pagamento;

          parrebbe dunque aprirsi potenzialmente uno scenario che potrebbe portare, per esempio, l'aggiudicatario del servizio tesoreria comunale ad applicare commissioni a chi non è suo correntista o ad esentare chi invece lo è nel migliore dei casi;

          alla lettera «d» del paragrafo 5 evidenziato nell'allegato, si poteva intendere che i pagamenti effettuati presso i Pos installati in comune potessero essere considerati come versamento per cassa, ma la Faq A34 sembra escluderlo categoricamente;

          impedire i pagamenti in contanti nei comuni potrebbe rappresentare, ad avviso dell'interrogante, una scelta quantomeno avventata, che potrebbe esporre i cittadini a un aumento di costi attraverso nuove commissioni, ed esporre gli amministratori alle ire dei cittadini per scelte indipendenti dalla loro volontà –:

          quali iniziative si intendano assumere per superare le criticità di cui in premessa, valutando di lasciare ai comuni la possibilità di accettare anche pagamenti in contanti per i servizi resi ai cittadini;

          quali ulteriori iniziative si intendano assumere per impedire che il nuovo sistema di pagamento per le pubbliche amministrazioni generi ulteriori costi, in termini di commissioni o altri oneri, per i cittadini.
(4-02872)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


      VARCHI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

          negli ultimi anni si è verificato un significativo incremento del fenomeno migratorio che riguarda cittadini italiani che si trasferiscono a Londra;

          le cifre fornite dal consolato italiano a Londra parlano di circa 315.000 persone che hanno già trasferito la propria residenza e una stima prudenziale consentirebbe di affermare che altrettanti hanno già trasferito il proprio domicilio abituale a Londra ma non ancora la residenza con una cifra pari almeno al doppio (circa 700.000 riferiva il console generale d'Italia a Londra in un'intervista al Sole24Ore qualche mese fa);

          le statistiche, dunque, consentono di affermare che per la prima volta nella storia Londra è la prima città del mondo per numero di immigrati italiani ospitati, superando Buenos Aires che deteneva questo infelice (per l'Italia) primato;

          come è noto, l'Inghilterra sta attraversando un momento storico di grande travaglio, con particolare riferimento alla cosiddetta Brexit, ossia la scelta di porsi al di fuori dell'Unione europea;

          è del tutto evidente, dunque, che il presidio italiano a Londra, mai come ora, deve essere costituito da uffici pienamente efficienti e fruibili da parte degli italiani che lì si trovano;

          ebbene, da controlli effettuati sui principali motori di ricerca sul web, risulta che presso gli uffici dell'ambasciata d'Italia a Londra gli utenti abbiano notevoli difficoltà ad ottenere servizi basilari, talvolta imbattendosi in soggetti che parlano un italiano stentato;

          parimenti risulta all'interrogante che il sito web dell'ambasciata, sia di difficile consultazione, non offra i risultati maggiormente richiesti dagli utenti in navigazione ed, in ultimo, preveda un meccanismo automatico di risposta ai quesiti degli utenti, che non pare prevedere neppure la lettura del quesito ad opera del personale presente negli uffici;

          analoghe considerazioni possono estendersi anche al consolato generale d'Italia a Londra;

          le cronache politiche londinesi rassegnano l'evidenza di un momento abbastanza confuso con riguardo alla cosiddetta Brexit, evento politico-economico rispetto al quale non vi è ancora unità d'intenti e chiarezza rispetto all'epilogo, atteso il 23 maggio 2019, ad oltre tre anni dal referendum sull'uscita dall'Unione europea gli inglesi parteciperanno alle elezioni per il rinnovo del parlamento europeo e, scongiurata l'ipotesi di una «hard-Brexit» con il no deal, resta comunque incertezza sulla «soft Brexit»;

          appare abbastanza evidente, dunque, che gli italiani a Londra i quali, lo si ribadisce, sono oltre mezzo milione da una stima prudenziale, in un momento storico del genere, non abbiano alcun supporto logistico, burocratico e amministrativo –:

          quali rimedi il Ministro interrogato intenda adottare al fine di dotare il consolato generale d'Italia e l'ambasciata d'Italia a Londra di strumenti telematici adeguati a fronteggiare le richieste e le esigenze degli italiani a Londra e come si intenda riorganizzare, sotto il profilo delle risorse umane, gli uffici italiani per renderli più efficienti.
(4-02864)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta scritta:


      CIPRINI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

          la Villa del Colle del Cardinale, sita in Perugia, frazione Colle Umberto – strada per Sant'Antonio è una prestigiosa residenza d'epoca ma anche luogo museale per eventi ed esposizioni temporanee estesi al giardino e al parco;

          la Villa, di proprietà del Ministero per i beni e le attività culturali dal 1996, è stata costruita nella metà del Cinquecento dal porporato Fulvio della Corgna, nipote di papa Giulio III del Monte;

          particolarmente importante anche per le sue caratteristiche architettoniche e artistiche, è immersa e circondata da un complesso naturalistico, esteso in 13 ettari, di straordinario fascino paesaggistico e di indiscusso pregio monumentale e riveste ancor oggi un grande interesse scientifico, per la varietà e la ricchezza delle specie botaniche;

          il complesso della villa, il giardino e il parco circostante sono sottoposti alla tutela dello Stato, in quanto aree di importante interesse pubblico sotto il profilo architettonico, storico, artistico, archeologico e paesaggistico;

          la società Marinelli A. Calce Inerti S.r.l. con sede in Corciano (Perugia) in data 21 dicembre 2018 ha presentato alla regione Umbria richiesta di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale regionale per una «Modifica delle tecniche di coltivazione mediante l'impiego di esplosivi relativo al progetto definitivo approvato – 1° stralcio, finalizzato all'ampliamento della cava attiva di calcare sita in località Monte Petroso nel Comune di Perugia» già autorizzato dal comune di Perugia con prot. n. 221348 in data 21 dicembre 2015 e successivamente perfezionato con la variante autorizzata in data 11 aprile 2017;

          secondo quanto si apprende dallo studio preliminare allegato all'istanza dalla impresa proponente, «Rispetto al progetto autorizzato ed in corso, che prevede l'estrazione del materiale mediante impiego di mezzi meccanici, si rende oggi necessario anche l'impiego di esplosivo (...)»;

          la cava in questione è adiacente e limitrofa alla Villa Colle del Cardinale;

          con la richiesta al vaglio della regione Umbria, dunque, l'azienda propone una modifica delle tecniche di coltivazione mediante l'impiego di esplosivi;

          con l'ampliamento dell'attività di cava in località Monticchio (Perugia), si è autorizzato anche il passaggio dei camion sulla strada S. Antonio, a ridosso del muro di cinta della Villa;

          con il rilancio dal 2016 dell'attività industriale estrattiva, il transito dei camion diretti alla cava lungo la strada vicinale Sant'Antonio-Belveduto, che lambisce il muro di cinta della Villa, ha comportato una intensificazione del traffico generato dal passaggio di mezzi pesanti lungo la strada;

          la stessa strada è transitata anche dai camion dei rifiuti da e per la vicina discarica di Borgogiglione, interessata da provvedimenti dell'autorità giudiziaria di Perugia nell'ambito di una inchiesta sui rifiuti;

          appare evidente, a parere dell'interrogante, l'impatto derivante dal traffico dei mezzi pesanti sull'ambiente, sul paesaggio, sul territorio nonché sulla viabilità e sulla fruibilità anche turistica della bellissima villa rinascimentale con conseguente compromissione dell'equilibrio ambientale e danni anche d'immagine al complesso della Villa del Cardinale che, unitamente al paesaggio nel quale è immersa, costituisce un'unità paesistica di notevole interesse pubblico, godibile dalle strade di accesso ed esempio di spontanea fusione tra natura e lavoro umano –:

          quali iniziative, anche di carattere ispettivo, intendano intraprendere i Ministri interrogati per quanto di competenza, per tutelare e valorizzare il paesaggio, l'equilibrio ambientale dell'area in questione nonché il complesso della Villa del Colle del Cardinale anche con un adeguato sostegno finanziario per l'adeguamento degli impianti e la manutenzione del parco e degli edifici connessi;

          se siano state rispettate le norme a tutela dell'area e del complesso della Villa, anche alla luce dei rischi connessi al transito dei mezzi pesanti lungo la strada S. Antonio;

          quali iniziative di competenza intendano assumere per favorire la partecipazione anche degli organi della Soprintendenza competente e del polo museale della Villa del Colle del Cardinale alla futura adozione dei provvedimenti che riguardano l'area in questione.
(4-02859)


      PAXIA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

          nei vari anni il governo della regione siciliana ha ridotto drasticamente il contributo destinato al teatro Massimo «Vincenzo Bellini» di Catania, portandolo dai 21,7 milioni di euro del 2006 agli 11,6 milioni per l'anno 2019;

          a causa del finanziamento ridotto per il triennio in corso dalla regione siciliana, che vede diminuire il contributo da 11,6 milioni per l'anno 2019 a 8,8 milioni per il 2020 e addirittura a zero euro per il 2021, sarà impossibile adempiere agli obblighi di legge e quindi garantire l'apertura del Teatro Massimo «Bellini»;

          il Teatro «Bellini» ha 418 dipendenti in pianta organica, di cui, durante quest'ultimo anno, ne sono stati in servizio 212. I precari storici sono 42 e le ultime assunzioni – 10 unità – sono avvenute nel 2006. Nonostante tutto ciò nel 2018 il teatro ha effettuato ben 160 spettacoli;

          senza l'intervento da parte della regione siciliana, la paralisi delle attività teatrali, in primis quelle estive, sarà inevitabile. Infatti, a causa di una azione politica regionale che prevede tagli alla cultura sono a serio rischio l'erogazione degli stipendi dei dipendenti e l'assunzione del personale precario, con un significativo impatto anche sui livelli occupazionali della città;

          non percependo da mesi lo stipendio a causa dei contratti a tempo scaduti, i lavoratori, in stato di agitazione, hanno deciso di manifestare sul tetto del Teatro Sangiorgi;

          è estremamente penalizzante per Catania e per la Sicilia tutta che, nella città che dette i natali al «Cigno» Vincenzo Bellini, non si realizzi il «Bellini Festival», in considerazione anche del fatto che è noto come lo svolgimento dei festival lirici attivi un circolo virtuoso a livello culturale, con il coinvolgimento di tour operator e associazioni di settore;

          tante sono le opere messe in scena dal 1° gennaio 2019 ad oggi e altre sono in programma ma nonostante questo il teatro «Bellini» – una delle più prestigiose istituzioni artistiche musicali del Paese che vanta una tradizione ultrasecolare – è destinato a chiudere i battenti –:

          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e se non ritenga opportuno e indispensabile, per quanto di competenza, un'iniziativa governativa a sostegno del teatro catanese per risolvere il problema illustrato anche attraverso l'aumento della dotazione del fondo unico dello spettacolo (Fus);

          se non ritenga opportuno adottare ogni iniziativa di competenza per promuovere l'istituzione del Bellini Festival e, in particolare, per tutelare i lavoratori e le lavoratrici del Teatro Massimo «Vincenzo Bellini» di Catania.
(4-02866)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


      FRATOIANNI e PALAZZOTTO. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

          il 4 maggio 2019, un'agenzia di stampa ha riportato la notizia del salvataggio da parte della Marina italiana di pescherecci italiani che sarebbero stati puntati da motovedette libiche;

          sul profilo Twitter del ministero della difesa è stato pubblicato il seguente tweet: «Grazie al coraggio e alla professionalità della marina militare si è evitato il peggio»;

          la notizia del salvataggio sarebbe stata in seguito smentita e il tweet del Ministero della difesa rimosso;

          alle 21,13 del 4 maggio, l'agenzia di stampa Adnkronos ha pubblicato un'intervista a Toni Scilla, presidente regionale di Agripesca Sicilia e componente dell'ufficio di gabinetto dell'assessorato alla pesca della Sicilia, che avrebbe affermato che i nove pescherecci italiani sarebbero stati salvati solo grazie al tempestivo intervento delle navi della Marina italiana che altrimenti sarebbero finite nelle mani della Guardia costiera libica;

          tutto sarebbe avvenuto intorno alla mezzanotte del 3 maggio in acque internazionali;

          occorre chiarire al più presto perché il Ministero della difesa avrebbe smentito sé stesso, prima ringraziando la Marina militare per l'intervento e poi sostenendo che fosse tutto falso;

          in realtà, nel tratto di mare di fronte alla Libia è diventato impossibile pescare e il rischio di sequestro dei motopescherecci italiani da parte dei libici è sempre alto;

          occorre impedire che le milizie libiche continuino a terrorizzare i pescatori italiani e a catturare migranti che vengono poi riportati nei campi di detenzione in Libia;

          se fosse vero che la cosiddetta Guardia costiera libica, addestrata dai Governi italiani e con mezzi forniti dai governi italiani, dia la caccia ai pescherecci italiani sarebbe un'ulteriore e definitiva prova della non credibilità, della non correttezza e della non legittimità di questa formazione paramilitare;

          già l'11 novembre 2018, la trasmissione Le Iene ha dedicato un servizio, rintracciabile, che documentava le aggressioni armate dei libici nei confronti dei pescherecci italiani;

          tali aggressioni sarebbero avvenute anche con le motovedette che l'Italia ha donato alla Libia;

          secondo l'inchiesta, il servizio Vi.Pe (vigilanza pesca) sarebbe stato depotenziato e i pescherecci italiani, nel tratto davanti la Libia, non avrebbero adeguata copertura;

          la Libia, in modo arbitrario, avrebbe spostato il proprio confine a 74 miglia dalla costa, mentre la distanza dalla costa che segna il limite delle acque territoriali è uguale in tutto il mondo e dista 12 miglia;

          il nostro Paese non può rimanere ostaggio di uno Stato non sicuro e non sovrano come la Libia che ha unilateralmente spostato in avanti i propri confini, dichiarando «guerra» ai pescatori di Mazara del Vallo –:

          se il Governo non intenda chiarire se la notte tra il 3 e il 4 maggio 2019 vi sia stata una minaccia per i pescatori italiani da parte della cosiddetta guardia costiera libica e cosa sia realmente accaduto al largo delle coste italiane;

          se, accertati i fatti, il Governo non intenda chiarire quali mezzi libici avrebbero costituito tale minaccia e se la Marina militare italiana sia effettivamente intervenuta per scongiurare il potenziale sequestro di 9 pescherecci di Mazara del Vallo da parte dei libici;

          quali iniziative il Governo intenda intraprendere affinché tali aggressioni nei confronti dei pescherecci italiani vengano adeguatamente contrastati dal momento che all'interrogante appaiono come atti ostili da parte della Libia;

          se e per quali motivi il servizio Vigilanza pesca sia stato ridimensionato e se non si intenda potenziarlo al fine di garantire una maggiore sicurezza ai pescherecci italiani impegnati nella loro attività di pesca nel Mediterraneo;

          se intenda fornire chiarimenti circa il tweet citato in premessa, pubblicato e poi rimosso dall'account del Ministero della difesa.
(4-02875)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


      BIGNAMI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

          a mezzo stampa si apprende delle tensioni, dei disagi e perfino delle risse generatisi a causa delle lunghe e interminabili code all'Agenzia dell'entrate di via Tiarini a Bologna il 26 aprile 2019. Qui le persone erano in fila addirittura dalle tre del mattino, per accaparrarsi i primi posti in vista della scadenza del 30 aprile per la rottamazione delle cartelle esattoriali;

          alle 8,15 del 26 aprile, si apprende sempre dalla stampa, la lista di persone in fila era già a quota trecento. Nel corso della giornata sono scoppiate liti accese e una persona si è sentita male con conseguente intervento del 118. Sono intervenuti sul posto anche la polizia e la municipale, chiudendo per un paio d'ore il tratto di via Tiarini;

          l'affluenza e le corse dell'ultimo minuto, ad avviso dell'interrogante, erano ampiamente prevedibili a causa del ponte per le festività e sussistevano dunque tutte le condizioni per prepararsi adeguatamente a un tale afflusso di persone. In tale occasione, a parere dell'interrogante, l'Agenzia delle entrate si è fatta invece cogliere completamente impreparata, ricorrendo poi ad una apertura straordinaria nella giornata di sabato 27 aprile –:

          se sia a conoscenza dei fatti esposti e se risultino episodi simili in altre città d'Italia;

          alla luce di quanto accaduto, se si intendano adottare iniziative per concedere una proroga sul termine di scadenza del 30 aprile per la presentazione della richiesta di rottamazione;

          se siano state assunte iniziative in ordine a quanto esposto in premessa;

          quali ulteriori iniziative si intendano assumere per evitare il ripetersi di simili situazioni.
(4-02860)


      BIGNAMI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

          dal 1o luglio 2019 scatterà l'obbligo per i contribuenti, con volume d'affari superiore a 400 mila euro, di documentare i corrispettivi percepiti non più attraverso il tradizionale scontrino o la ricevuta fiscale, ma solo attraverso la trasmissione on line dei relativi dati, da effettuarsi mediante la loro memorizzazione elettronica e successivo invio, e con rilascio di documento commerciale valido anche a fini fiscali;

          1o gennaio 2020 tale obbligo sarà esteso a tutti gli operatori;

          le operazioni che dovranno essere certificate sono tutte quelle previste dall'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 relativo al commercio al minuto e alle attività assimilate. Ne consegue che tutta l'attività commerciale verrà coinvolta da tale riforma con i relativi disagi che potrebbero conseguirne, anche in relazione ai luoghi di operatività delle attività stesse, in particolare nelle aree marginali e dove la connessione internet non risulta particolarmente efficiente;

          con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, dovrebbe infatti essere individuata la platea degli esonerati da tale obbligo;

          oltre ai disagi relativi alla connessione internet, vanno citati gli ulteriori costi per l'adeguamento al nuovo sistema. Tali adempimenti necessiteranno di nuovi registratori telematici o di server telematici, o di una procedura web messa a disposizione gratuitamente dall'Agenzia sul portale «fatture e corrispettivi». Per gli operatori che dispongono di più punti cassa per punto vendita, occorrerà ottenere una certificazione di conformità del processo di controllo interno, rilasciata da un revisore legale;

          agli operatori verrà riconosciuta un'agevolazione finanziaria in misura pari al 50 per cento della spesa sostenuta per l'acquisto o l'adattamento degli attuali registratori di cassa, per un massimo di 250 euro in caso di acquisto e di 50 euro in caso di adattamento per ogni strumento;

          l'entrata in vigore della fatturazione elettronica ha già prodotto notevoli disagi per gli operatori economici e i titolari di partita Iva, unitamente ai disservizi che il sistema dell'Agenzia delle entrate ha fatto registrare con l'avvio dell'obbligo stesso. Pertanto, è facilmente prevedibile che questo nuovo obbligo produrrà ulteriori disagi e aggravi burocratici soprattutto per i piccoli operatori economici –:

          se, alla luce di quanto già accaduto con l'avvio della fatturazione elettronica, si intenda adottare iniziative per rivedere complessivamente l'impianto della riforma citata in premessa, esonerando dall'obbligo, definitivamente, i piccoli operatori e artigiani o, comunque, introducendo la facoltà di adesione al nuovo sistema di trasmissione dati;

          quali ulteriori iniziative si intendano assumere per esonerare dall'obbligo i commercianti e gli operatori delle zone marginali come quelle di montagna.
(4-02861)


      UNGARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

          il decreto-legge n. 119 del 2018, cosiddetto decreto fiscale convertito dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, introduce una nuova tassa per chi effettua operazioni di trasferimento di denaro all'estero, al di fuori dell'Unione europea, dal 1° gennaio 2019. L'imposta si sarebbe dovuta applicare ai trasferimenti di denaro, ad esclusione delle transazioni commerciali, effettuati verso Paesi non appartenenti all'Unione europea da istituti di pagamento che offrono il servizio. Per ogni rimessa a partire da 10 euro si dovrà pagare allo Stato una tassa dell'1,5 per cento;

          viene usato il condizionale, perché la citata disposizione di legge prevedeva il termine, oggi ampiamente superato, di 60 giorni affinché con apposito decreto attuativo il Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con banca d'Italia e Agenzia delle entrate, determinasse le modalità di riscossione e di versamento dell'imposta;

          la rimessa di denaro è un trasferimento di fondi tra persone fisiche da e verso Paesi esteri. Si tratta, dunque, di un provvedimento che riguarda quasi esclusivamente i migranti che vivono e lavorano in Italia e che inviano denaro per sostenere le famiglie nei Paesi d'origine. Si tratta di persone difficilmente «bancabili» ovvero non aventi accesso a servizi del credito bancario e che usano canali innovativi, anche per la loro prossimità sia in spedizione che in ricezione: tabacchi, bar e altro;

          circa 5 miliardi di euro all'anno è il valore delle rimesse dei lavoratori migranti, secondo i più recenti dati pubblicati dalla Banca d'Italia. Le operazioni di trasferimento del denaro all'estero, sono costantemente monitorate dalla Guardia di finanza e da altre autorità per risalire a eventuali flussi illeciti, sono una linfa vitale per le economie più deboli. E lo racconta anche la recente storia italiana di emigrazione;

          per molti cittadini stranieri lavorare e vivere in Italia ha uno scopo preciso: inviare denaro nei Paesi d'origine. Si tratta quindi di una tassa discriminatoria e in contrasto anche con le recenti direttive comunitarie. Anche l'Anac ha segnalato l'8 febbraio 2019 gravi criticità sulla nuova imposta in materia di concorrenza tra gli operatori e un rischio di riduzione della trasparenza tra le tariffe e un aumento dei canali informali di trasferimento, ovvero del «nero», auspicando opportune modifiche –:

          se il Ministro interrogato non intenda adottare iniziative, in linea con la segnalazione dell'Anac, per abrogare la citata disposizione stante lo scarso gettito stimato in 10 milioni di euro e il carattere discriminatorio dell'imposta.
(4-02868)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GEMMATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

          secondo quanto si evince da fonti di stampa e dalle recenti dichiarazioni del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, sembrerebbe che l'amministrazione abbia individuato tre aree potenzialmente adeguate all'ubicazione di nuove strutture carcerarie: la prima a Pozzuoli, in provincia di Napoli, la seconda a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria e la terza in provincia di Bari;

          la costruzione di un nuovo penitenziario in provincia di Bari appare necessaria soprattutto in considerazione del fatto che, attualmente, la città dispone di un carcere, il «Francesco Rucci», non adeguato dal punto di vista strutturale, non sufficiente ad ospitare l'alto numero di detenuti e ubicato in una zona centrale della città che risulterebbe poco funzionale alle effettive esigenze di funzionamento della casa circondariale e che comporta problemi di viabilità e di sicurezza;

          dal punto di vista strutturale c'è da evidenziare che l'attuale penitenziario risale ai primi anni del ‘900 e, nonostante la manutenzione ordinaria, risulta fatiscente e non adeguato a garantire standard sostenibili di vivibilità per i detenuti e di operatività per gli agenti di polizia;

          il problema del sovraffollamento del carcere barese, invece, è evidenziato dal relativo indice di affollamento che risulta in linea con il trend nazionale e regionale e che è calcolato sulla base dei detenuti presenti per 100 posti letto regolamentari;

          secondo dati Istat, l'indice di affollamento delle carceri in Italia risulta pari a 116,1 alla data del 30 giugno 2018. Attualmente, solo Sardegna, Calabria, Sicilia e la provincia di Trento hanno un indice di affollamento non superiore a 100 ovvero una capienza a livello regionale sufficiente a ospitare i detenuti rispettando gli standard previsti dalla legge;

          secondo i predetti dati, la regione con il maggiore sovraffollamento è il Molise (157 detenuti per 100 posti letto regolamentari), seguita da Puglia, Friuli-Venezia Giulia e Lombardia, con valori compresi tra 144 e 135. La situazione relativa ai singoli istituti si aggrava a causa della necessità della distinzione di genere, della distinzione logistica tra i vari circuiti cui vengono assegnati i detenuti, nonché per effetto del diritto riconosciuto del detenuto a scontare la pena – ove possibile – in ambito regionale;

          con riferimento all'istituto «Francesco Rucci», è significativo evidenziare i dati della tabella del Ministero della giustizia denominata «detenuti presenti e capienza regolamentare degli istituti penitenziari», aggiornata al 31 gennaio 2019, che indicano il sovraffollamento del carcere determinato da una presenza di ben 440 detenuti su una disponibilità di posti letto regolamentari di 299 unità;

          la costruzione di un nuovo carcere in una zona più periferica della città, così come sostenuto anche dal Sappe, determinerebbe concreti benefici in ordine alla maggiore sostenibilità dell'indice di affollamento, alle condizioni di vivibilità dei detenuti e di operatività del personale di polizia penitenziaria, alla sicurezza, alla viabilità nonché al miglioramento della funzionalità dell'istituto;

          una nuova struttura, con spazi più ampi, migliorerebbe anche la gestione dei detenuti sotto il profilo sanitario. Le cure potrebbero essere effettuate quasi esclusivamente all'interno del penitenziario prevedendo l'aumento degli spazi dedicati al Sai – centro clinico gestito dalla Asl (che attualmente è già presente nel carcere di Bari anche se con servizi più ridotti) – riducendo quindi il trasporto e la presenza di detenuti verso i nosocomi e gli ambulatori della città –:

          se, anche alla luce delle recenti dichiarazioni del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ritenga opportuna l'edificazione di un nuovo penitenziario nella città di Bari e, in caso affermativo, in quale zona della città, con quali risorse economiche e quali siano le tempistiche di attuazione di un eventuale progetto di costruzione.
(5-02097)

Interrogazione a risposta scritta:


      MULÈ. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

          nelle carceri italiane si assiste quotidianamente a un forte decadimento delle reali condizioni di vita dei detenuti causato da un grave e cronico sovraffollamento carcerario che ha raggiunto in tutta Italia livelli mai sfiorati;

          la lettura dei dati statistici ha consegnato il 2018 alla storia come l’annus horribilis del sistema carcerario: 67 suicidi (record in negativo dal 2009) e 100 decessi, 59.655 detenuti presenti a fronte di 50.581 posti regolamentari, 52 «bambini in cella» e un tasso di sovraffollamento medio pari al 117,94 per cento;

          secondo gli ultimi dati, al 13 febbraio 2019, si sarebbero verificati già sei suicidi e nove decessi e il numero dei detenuti al 31 gennaio 2019 ha toccato la cifra di 60.125;

          da notizie pervenute all'interrogante, nel carcere di Vercelli a fronte di una capienza massima dell'istituto di 230 detenuti, se ne contano mediamente ben 370 e un solo infermiere in servizio è tenuto quasi sempre a sopperire alle necessità di cura di tutti i detenuti;

          la Corte europea dei diritti dell'uomo, negli ultimi anni, ha condannato più volte l'Italia per il «trattamento inumano e degradante» nelle sue carceri, che molto spesso si traduce nella presenza, assolutamente insufficiente, di pochissimi agenti quasi sempre impegnati in più servizi contemporaneamente per far fronte alle varie esigenze ed emergenze;

          a suonare l'allarme è stato, da ultimo, il Garante nazionale delle persone private della libertà, che nella relazione annuale al Parlamento ha denunciato una situazione intollerabile nelle carceri italiane soprattutto in riferimento al sovraffollamento;

          al fenomeno appena richiamato, si lega inevitabilmente quello relativo alle lungaggini processuali: la durata media dei processi penali nelle sezioni ordinarie dei tribunali – quando il rito è collegiale – è pari a 707 giorni e di 534 giorni quando il rito è monocratico –:

          se e quali iniziative di competenza, di carattere normativo e amministrativo, il Ministro interrogato intenda porre in essere al fine di garantire condizioni di vita dignitose per i detenuti ospitati nelle carceri italiane e, nello specifico, nell'istituto penitenziario di Vercelli, assicurando il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo.
(4-02858)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      TOCCAFONDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          il consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato italiane (Fsi) ha deliberato la nascita di una nuova società denominata FSTechnology con l'intento di far confluire in questa, tutte le funzioni, le attività e le strutture che si occupano di informatica delle società del gruppo Fsi;

          in questa nuova società Fst, è prevista la confluenza anche di personale assunto dall'esterno;

          pertanto, a tale società che diventerà titolare in esclusiva dei sistemi informatici di tutto il gruppo Fs, verrà affidata la gestione dei contratti informatici che sono uno degli asset strategici del gruppo Fs;

          attualmente, queste attività vengono svolte all'interno di ogni singola società salvaguardando le specificità di missione, coordinate tutte dalla holding Ferrovie dello Stato italiane; attività, pertanto, già esistenti e svolte in maniera coordinata dalla capogruppo Ferrovie dello Stato italiane con una organizzazione efficiente e consolidata nel tempo;

          fino agli anni Novanta all'interno delle Fs esisteva una divisione informatica (articolazione organizzativa) che coordinava e gestiva tutti i processi informatici delle ferrovie. Successivamente, nel 1994, fu deciso che queste attività confluissero in una nuova società, Tele Sistemi Ferroviari s.r.l., che successivamente fu messa sul mercato dove nell'arco di dieci anni, venne interamente acquisita dal privato, pur continuando a gestire il sistema informatico di tutto il gruppo Fs;

          tale situazione, nel tempo, ha portato al trasferimento di tutto il know-how a questa nuova società, lasciando le Fs senza conoscenze e professionalità nel settore informatico. Soltanto dopo parecchi anni, e non senza difficoltà, si è riusciti a ricostruire un tessuto di esperti informatici, perché si interfacciassero con questa società, e allo stesso tempo è stato possibile ricostruire strutture efficienti all'interno del gruppo Fs;

          ad oggi non è chiaro quale sia l'intento del gruppo Fs se non quello di creare una nuova società, un nuovo consiglio di amministrazione e nuovi dirigenti, e quindi nuove poltrone, senza alcuna garanzia che anche questa nuova società, poi, venga ceduta al privato, ripercorrendo la strada già vista in passato e quindi depauperando l'azienda e rischiando così di perdere nuovamente il prezioso know-how di cui le Fsi si sono faticosamente riappropriate in questi anni;

          attualmente a Firenze i lavoratori impegnati in queste attività informatiche sono circa 30 di cui 25 in Trenitalia e 5 in Rfi, e, auspicando che nessuno di questi lavoratori venga spostato e/o licenziato, ma al massimo ricollocato nelle varie aziende Fs, la questione preoccupante è che così procedendo, si perderanno inevitabilmente sul territorio fiorentino 30 posti di lavoro che saranno spostati sulle sedi di Milano e Roma. Inoltre, si ritiene che questa operazione possa trasformarsi in uno spreco di denaro pubblico e in uno sperpero di tutto il know-how ferroviario informatico ricostruito nel tempo, lasciando ancora una volta la dipendenza diretta da società private –:

          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti e come intenda procedere, per quanto di competenza, per evitare possibili perdite del know how all'interno del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e per garantire la posizione dei 30 lavoratori fiorentini.
(5-02094)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BIGNAMI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          il comune di Vezzano, ubicato in provincia di Reggo Emilia, è attraversato dalla strada statale 63 del Valico del Cerretto la quale permette il collegamento tra Reggio Emilia e l'Appennino Reggiano;

          il tratto della strada sopracitata, compreso precisamente tra Vezzano e La Vecchia, sarebbe soggetto a un costante ed ingente flusso di traffico con mezzi che vanno a velocità piuttosto elevata;

          a mezzo stampa sono diverse le segnalazioni relative all'elevata pericolosità del tratto stradale in questione;

          la pericolosità del tratto Vezzano-La Vecchia è determinata anche dalla scarsa illuminazione che crea problemi di visibilità per pedoni e conducenti di mezzi;

          tra gli ultimi incidenti occorsi quello a danno di uno scooterista il 27 marzo 2019 e quello a danno di una donna, investita sulle strisce pedonali, il 16 marzo 2019;

          le condizioni di pericolosità della strada generano comprensibilmente notevole preoccupazione tra la popolazione residente e tra coloro che quotidianamente, con mezzi propri, la attraversano –:

          se sia a conoscenza della situazione;

          quali iniziative intenda porre in essere a tutela dell'incolumità dei pedoni e dei conducenti dei mezzi di trasporto nel tratto sopracitato della strada statale in questione, eventualmente valutando, dove possibile, l'introduzione di strisce pedonali illuminate, il potenziamento dell'illuminazione e l'installazione di dossi stradali (previsti dall'articolo 179 del codice della strada) finalizzati ad abbassare la velocità dei veicoli;

          quanti sinistri si siano verificati dal 2014 a oggi, annualmente, nel tratto stradale in questione.
(4-02862)


      BIGNAMI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          di recente la stampa locale ha reso nota la volontà della regione Emilia-Romagna e della città metropolitana di Bologna di superare definitivamente il progetto della cosiddetta bretella Reno-Setta, un progetto di nove chilometri di superstrada del costo di 400 milioni di euro che avrebbe dovuto mettere in collegamento le vallate del Reno e del Setta con l'Autostrada del Sole;

          il fatto appare piuttosto singolare, perché, proprio in considerazione dell'alta rilevanza strategica dell'opera, la città metropolitana l'aveva inserita tra le linee guida programmatiche del 2016-2021;

          della bretella Reno-Setta di fatto si discute da anni. Lo studio di fattibilità per la sua realizzazione fu valutato da Anas come antieconomico non dichiarandosi disponibile a farsi carico del contributo pubblico necessario, nonostante la regione Emilia-Romagna abbia finanziato, nel 2008, nell'ambito della legge regionale 1998, uno studio di fattibilità a tale scopo predisposto poi dalla provincia di Bologna;

          la bretella Setta-Reno, oltre a rendere collegato un territorio intervallivo, darebbe respiro all'economia montana, oggi penalizzata da una viabilità risalente ai primi del ‘900, garantendo inoltre alle numerose attività industriali del territorio la possibilità di rimanere in loco e avere un collegamento autostradale. Di fatto, metterebbe in contatto non solo due valli ma anche due regioni, Emilia-Romagna e Toscana, inserendosi nel tratto autostradale con gli evidenti benefici che ne conseguirebbero in termini di collegamenti;

          non meno importante e da non sottovalutare è il collegamento con l'Alto Appennino bolognese per il suo rilancio turistico estivo e invernale: il turismo rimane tra le principali fonti economiche per le comunità dell'Alto-medio Reno;

          all'opera si è dato di fatto un semplice «stop» politico senza che vi sia stato un vero e proprio adeguamento dello studio di fattibilità. Va considerato inoltre che gli investimenti che si effettuano in montagna o sull'Appennino sono spesso sfavorevoli alla logica costi/benefici e che per tali opere esiste invece un concetto più ampio di «contribuzione di solidarietà», anche sotto forma di finanziamenti europei a tutela delle realtà marginali e svantaggiate;

          una «bocciatura» di un'opera strategica che pertanto appare frutto solo di una scarsa volontà politica di andare a ricercare risorse e possibilità per la realizzazione dell'opera stessa e che va nella direzione di depotenziare ancor più un territorio montano già in forte sofferenza –:

          se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per riaprire il confronto con gli enti territoriali interessati sulla realizzazione della bretella Reno Setta, opera strategica per il rilancio dell'economia e del turismo dell'Appennino bolognese.
(4-02870)


      TOMBOLATO, VINCI, CAVANDOLI, MACCANTI, CAPITANIO, DONINA, FOGLIANI, GIACOMETTI e ZORDAN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          nella giornata del 28 aprile 2019, il treno Frecciarossa n. 9604 delle ore 5,17 in partenza da Brescia e diretto a Napoli è stato soppresso dopo che il capotreno ha riscontrato che i due macchinisti del treno erano in stato di ebbrezza;

          le cronache riferiscono che sia stato il medesimo capotreno a essersi accorto, fin dall'inizio della preparazione del treno, che vi fossero anomalie sul convoglio nel momento i due macchinisti non erano stati in grado di aprire le porte ai viaggiatori;

          sono intervenute successivamente anche le forze di polizia che hanno sottoposto i due macchinisti al test dell'etilometro ed entrambi sono risultati positivi. In particolare, uno dei due macchinisti ha riportato un livello alcolemico di quattro volte sopra il limite di legge (1,95 grammi per litro a fronte del massimo consentito di 0,5 g/l), mentre l'altro ha richiesto l'intervento di un medico del 118. I passeggeri, 67 in attesa di salire sul Frecciarossa per Napoli, sono stati dapprima trasferiti a Milano e da lì hanno potuto raggiungere Napoli;

          con riferimento allo specifico e inedito episodio, Trenitalia si è impegnata a verificare «eventuali violazioni da parte dei macchinisti degli obblighi contrattuali e della deontologia professionale» e si è riservata «di adottare tutti i provvedimenti del caso». La società ha ad ogni modo rassicurato il pubblico, chiarendo che lo stringente ed articolato sistema di controlli, predisposto dall'azienda a garanzia della sicurezza dell'esercizio e dei propri passeggeri, che prevede anche controlli preventivi e a sorpresa sui propri equipaggi, si è rilevato pienamente efficace;

          quanto accaduto fa comunque sorgere serie riflessioni sulla necessità di codici di comportamento che per la fattispecie dovrebbero essere previsti per i conducenti dei treni ad alta velocità di Trenitalia e nello stesso tempo desta non poche preoccupazioni in merito alle scorrette condotte che altrimenti possono porre in atto tali operatori ferroviari, con ciò mettendo a rischio oltre che la propria incolumità, anche e soprattutto la vita e la sicurezza degli utenti del servizio del trasporto ferroviario –:

          quali informazioni intenda fornire sui fatti citati in premessa;

          se non ritenga di dovere adottare iniziative, per quanto di competenza, per chiarire quali siano i codici di comportamento che le aziende che gestiscono il servizio di trasporto ferroviario, sia per l'alta velocità sia per i treni convenzionali, devono adottare ai fini dell'incolumità e della sicurezza pubblica, nei confronti del proprio personale che ricopre ruoli di alta responsabilità, come nel caso dei macchinisti di cui al caso in questione e se si intendano promuovere iniziative per renderli più stringenti.
(4-02871)


      VALLASCAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

          a quanto consta all'interrogante il 21 aprile 2019, la nave Moby Tommy, della compagnia Moby Lines, in navigazione sulla linea Cagliari-Arbatax-Civitavecchia, rotta gestita dalla Società Cin Tirrenia in regime di convenzione con lo Stato, sulla base di motivazioni non chiare avrebbe omesso di effettuare scalo ad Arbatax;

          la circostanza avrebbe causato disagi ai passeggeri in partenza, costretti a trasferirsi al porto di Cagliari, in una giornata nella quale i servizi di trasporto pubblico erano fortemente ridotti essendo domenica di Pasqua;

          negli ultimi mesi si sarebbero verificate altre circostanze analoghe, creando gravi disagi anche agli operatori economici del territorio e agli autotrasportatori, considerato che il porto di Arbatax, per posizione strategica, è funzionale all'economia di tutta la Sardegna;

          la decisione di saltare lo scalo di Arbatax, il 21 aprile 2019 non sarebbe scaturita da avverse condizioni meteorologiche: sembrerebbe, infatti, che la forza del vento misurata sarebbe stata di 10 nodi da Sud, in assenza di onde all'imboccatura; ad ogni modo, il porto sarebbe dotato di un rimorchiatore di ausilio alla sicurezza della navigazione, di un servizio di pilotaggio e di ormeggio che hanno sempre garantito l'ingresso in sicurezza delle navi sino ai 30 nodi di vento (talvolta anche 35) da Maestrale e da Grecale; nella mattinata del 21 aprile, la locale agenzia marittima avrebbe informato i responsabili della società che le condizioni meteorologiche erano favorevoli, circostanza che sarebbe confermata anche dagli operatori del porto, ma nonostante questo la società di navigazione avrebbe deciso ugualmente l'omissione dello scalo;

          in assenza di condizioni meteo sfavorevoli, l'omissione servizio da parte della compagnia sarebbe attribuibile unicamente alla bassa convenienza economica di effettuare lo scalo a causa del carico ridotto da imbarcare ad Arbatax: 45 passeggeri che, per questioni puramente economiche, sarebbero stati fatti imbarcare al porto di Cagliari, con un preavviso tramite sms; omettere un servizio di trasporto pubblico, in assenza di reali e motivate ragioni, rappresenterebbe un fatto increscioso, aggravato dalla circostanza che il servizio è svolto in regime di convenzione con lo Stato, situazione che, ad avviso dell'interrogante, potrebbe far configurare l'omissione come interruzione di pubblico servizio;

          il 18 luglio 2012, tra la Compagnia italiana di navigazione Cin e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è stata stipulata la convenzione della durata di otto anni per la gestione dei servizi pubblici di cabotaggio marittimo tra la penisola e le isole maggiori, Sardegna e Sicilia, e le isole Tremiti;

          per lo svolgimento del servizio, è stato previsto, per ciascun anno della durata della convenzione, un corrispettivo pari a 72.685.642,00, non assoggettabile ad alcuna forma di rivalutazione;

          nel corso degli anni, nonostante i vincoli della convenzione, si sarebbero verificati molteplici disservizi e anomalie nella gestione del servizio, in misura tale da causare molteplici di disagi ai Sardi e all'economia della Sardegna;

          le contestazioni riguarderebbero numerosi aspetti del servizio: dalla soppressione di alcuni collegamenti, all'inadeguatezza e sottodimensionamento delle navi, al regime tariffario, tutte circostanze che aggraverebbero le conseguenze negative scaturite dalla condizione di insularità –:

          se non ritenga opportuno adottare iniziative, per quanto di competenza, per verificare in relazione alle effettive condizioni meteorologiche della sera del 21 aprile 2019 al porto di Arbatax, se vi fossero le condizioni per effettuare un attracco in sicurezza;

          quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per mettere fine a quella che appare all'interrogante una prassi adottata da Cin Tirrenia di omettere, senza fondate ragioni, lo scalo di Arbatax, circostanza che sta creando danni economici e di immagine a un territorio a forte vocazione turistica.
(4-02876)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      D'INCÀ. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          secondo quanto denunciato dal Sindacato autonomo di polizia di Treviso, la provincia trevigiana, una provincia fortemente antropizzata e, sotto l'aspetto industriale ed economico, ed in forte espansione, evidenzierebbe una forte carenza di organici e dotazioni della polizia di Stato nelle varie specialità;

          in questo periodo di tempo le misure adottate sono state insufficienti per invertire la tendenza, mentre un sistema di sicurezza adeguato alle esigenze del territorio richiederebbe sforzi molto consistenti e i recenti concorsi hanno permesso una iniezione di personale giovane ma non sufficiente a bilanciare le uscite;

          dal 2011, tra pensionamenti e la crescente inabilità del personale legato all'aumento dell'età anagrafica, mancherebbero circa 100 unità;

          attualmente la questura di Treviso conta un organico di 245 uomini, compreso il commissariato di Conegliano che ad agosto vedrà ridurre il suo organico a 35 effettivi contro i 58 del 2001 anno della sua inaugurazione;

          a titolo di esempio, nel 2001 il commissariato di Conegliano metteva in campo 3 pattuglie per turno (12 nelle 24 ore), mentre oggi a malapena riesce a metterne in campo una pattuglia per turno (4 nelle 24 ore) e spesso si va a 3 giornaliere;

          i reparti investigativi della squadra mobile (15 persone attuali contro 31 nel 2011) e la Digos non riescono a gestire indagini complesse e di lunga durata a causa dell'organico ridotto;

          il personale che svolge servizi di polizia giudiziaria nei vari settori della questura viene impiegato per un terzo della settimana in servizi di ordine pubblico e di emergenza operativa (accompagnamenti di cittadini stranieri, tutela, servizi di vigilanza varia);

          oggi l'ufficio immigrazione richiede l'impiego di 35 operatori in servizio, mentre venti anni fa tutto ciò non era nemmeno prevedibile;

          la polizia postale attende ancora la conferma ufficiale dell'annullamento del decreto di chiusura pubblicato dal precedente Governo. Attualmente conta un organico di 5 investigatori contro i 12 del 2011 e con il proliferare dilagante dei reati in rete, questo appare inconcepibile;

          negli ultimi 20 anni i distaccamenti della polizia stradale e i posti di polizia ferroviaria hanno dimezzato gli organici e la polizia di frontiera dell'aeroporto di Treviso ha carenze di organico in relazione all'aumento del numero dei voli;

          nel complesso delle varie specialità si può dire che alcuni servizi sono ancora funzionanti grazie all'abnegazione e alla disponibilità degli agenti che si rendono disponibili a turni supplementari di servizio straordinario giornaliero;

          anche le dotazioni tecnologiche di mezzi e strumenti informatici non riescono a tenere il passo dell'evoluzione informatica per ragioni di spesa corrente e gli uffici attendono l'arrivo delle dotazioni del Taser e delle telecamere individuali per tutti gli agenti –:

          se sia al corrente di quanto suesposto e se non ritenga di prevedere l'assegnazione di nuovo personale e di implementare la dotazione dei mezzi e dei dispositivi attuali di sicurezza anti-terrorismo, da destinare agli uffici di P.S. della provincia di Treviso, un territorio che attualmente non gode di un sistema di sicurezza adeguato a garantire la cittadinanza dai pericoli della micro-criminalità, così come di quelli derivanti dal terrorismo e dalla criminalità organizzata.
(5-02098)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BIGNAMI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          di recente la stampa ha diffuso la notizia dell'arresto di un 27enne, con due alias, uno marocchino e uno libico, accusato di violenza sessuale ai danni di due donne, una 23enne e una 33enne, attirate e violentate in un ex vivaio in via Zanardi a Bologna. I gravi fatti si sarebbero svolti il 15 e il 20 aprile;

          a carico del 27enne erano stati emessi due decreti di espulsione; il primo un anno fa dalla questura di Cagliari e il secondo a marzo 2019 dalla questura di Bologna;

          il soggetto risultava inoltre essere un «noto» pusher, spesso individuato e identificato dalle forze dell'ordine, condannato per direttissima e poi di nuovo a piede libero;

          il 27enne è stato arrestato a seguito del blitz dei Carabinieri in un covo di via Agucchi. Riconosciuto dalle vittime, è stato dunque tradotto in carcere con l'accusa di violenza sessuale, sequestro di persona e rapina. La 33enne, vittima di violenza, ha raccontato i drammatici momenti vissuti: picchiata e abusata sotto la minaccia di un coltello, convinta di morire, ha trovato la forza di scappare solo quando il suo aguzzino si è allontanato;

          i gravi episodi aprono seri interrogativi sulle tempistiche di esecuzione dei decreti di espulsione. Spesso i delinquenti gravati da tali provvedimenti restano in Italia anche per anni, liberi di girare e di cambiare città, in una condizione di sostanziale impunità;

          il caso descritto non è ovviamente l'unico. Si ricordi, a titolo esemplificativo, che anche il senegalese che il 21 aprile 2019 aveva aggredito con una spranga e ferito a Torino due agenti delle volanti e un vigilantes aveva a proprio carico due provvedimenti di espulsione, uno dalla questura di Cuneo e un altro da parte della questura di Torino –:

          per quale motivo, nei casi specifici citati in premessa, i provvedimenti di espulsione non siano stati eseguiti con tempestività;

          quali elementi conoscitivi intenda fornire in relazione ai decreti di espulsione emessi e a quelli effettivamente eseguiti nel nostro Paese negli ultimi cinque anni;

          se al Ministro interrogato risultino criticità oggettive nell'esecuzione dei suddetti decreti, in caso affermativo quali;

          quali iniziative di carattere normativo si intendano adottare al fine di rendere immediatamente eseguibili i decreti di espulsione evitando che le persone gravate da tali provvedimenti permangano nel nostro Paese anche diversi anni, in situazione di totale irregolarità e impunità.
(4-02865)


      BIGNAMI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

          con comunicato del 26 aprile 2019 una nota sigla sindacale ha reso nota la triste notizia del suicidio di un agente di polizia penitenziaria in carico all'Istituto penale per minorenni di Catanzaro;

          il comunicato si conclude con le seguenti parole: «serve una mobilitazione in tutto il Paese, non possiamo e non dobbiamo rimanere spettatori di questi episodi che ci lasciano amarezza e rabbia»;

          l'osservatorio nazionale suicidi forze dell'ordine «Cerchio Blu» sembra essere, ad oggi, l'unico strumento non governativo che raccoglie le informazioni sui singoli eventi;

          dal sito si evincono anche i dati ufficiali sui casi di suicidio, aggregati, del periodo 2009-2014: 62 avvenuti tra il personale della Polizia di Stato, 92 tra i Carabinieri, 45 tra la Guardia di finanza, 47 tra la Polizia penitenziaria, 8 all'interno del Corpo forestale –:

          se si disponga di dati aggiornati e suddivisi anno per anno, al fine di poter verificare l'aumento o la diminuzione dei casi di suicidio nonché le relative motivazioni;

          quali iniziative si intendano assumere o siano state assunte al fine di monitorare, ridurre e azzerare i casi di suicidio tra le forze dell'ordine.
(4-02867)


      FASSINA, FORNARO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

          dal 6 maggio 2019 nel quartiere di Casal Bruciato, a Roma, i militanti di CasaPound stanno protestando contro l'assegnazione di una casa popolare in via Satta a una famiglia rom;

          a tal proposito, si sottolinea come la stessa organizzazione neofascista CasaPound abbia installato un gazebo nel cortile interno degli immobili di proprietà del Comune di Roma, in via Satta 20 a Casal Bruciato, proprio dove si trova l'appartamento legittimamente assegnato a una famiglia Rom;

          così come si evince anche dai video e dai report diffusi dalla stampa e dagli stessi militanti di CasaPound, il Gazebo si trova esattamente sotto le finestre dell'appartamento in questione, sito al secondo piano;

          dalla sera del 6 maggio diversi sono stati i momenti di tensione vissuti in quel quartiere e i militanti di CasaPound si sono resi protagonisti di esplicite minacce e tentativi di aggressione alla famiglia in questione;

          poco prima dell'arrivo della famiglia che è riuscita ad accedere al palazzo, scortata dalle forze dell'ordine da un ingresso laterale, alcuni attivisti si sarebbero opposti all'intervento del reparto mobile che stava sgomberando l'ingresso della palazzina;

          la donna, una madre bosniaca di circa 40 anni, con in braccio una bambina, all'ingresso nel palazzo sarebbe stata sommersa di insulti irripetibili come: «Andate via» e «Ti stupro»;

          anche dopo la prima notte trascorsa dentro l'appartamento spoglio e senza l'allaccio della corrente, la coppia rom avrebbe continuato a ricevere ulteriori minacce dai partecipanti al presidio nel cortile delle case popolari;

          «Non ti far più vedere, se torni qui ti ammazziamo di botte», «Li vogliamo vedere tutti impiccati, bruciati», «Vi facciamo menare» sarebbero state le frasi pronunciate;

          una normativa regionale e un bando comunale, fatto nel 2012, legittimerebbero questa assegnazione e la famiglia merita ogni strumento di tutela in quanto legittima assegnataria;

          il presidio organizzato da CasaPound con tanto di gazebo all'interno di una proprietà del comune, ad avviso degli interroganti, non fa altro che alimentare un clima di odio e intolleranza e crea evidenti disordini che non possono essere tollerati;

          al terzo giorno di presidio il gazebo di CasaPound è ancora presente e continuano le minacce alla famiglia bosniaca, «Tanto vi tiriamo una bomba» sarebbe stato detto alla coppia;

          non è la prima volta che organizzazioni neofasciste come CasaPound fomentano e strumentalizzano vicende di questo tipo ricorrendo alla violenza, alle minacce e agli insulti –:

          se il Governo intenda verificare attraverso la prefettura e la questura di Roma se siano stati valutati tutti i profili di ordine pubblico in relazione al presidio permanente, con tanto di gazebo installato all'interno del cortile di proprietà del comune di Roma in via Satta, 20, a Casal Bruciato organizzato da CasaPound, visti i tanti momenti di tensione che si sono venuti a creare e il continuo ricorso alla violenza verbale, alle minacce, agli insulti e ai tentativi di impedire, anche fisicamente, l'ingresso ad una famiglia bosniaca presso l'appartamento a loro legittimamente assegnato messi in atto dagli stessi militanti dell'organizzazione neofascista;

          se e quali iniziative di competenza, anche alla luce di quanto esposto in premessa, il Ministro intenda assumere affinché la questura e la prefettura di Roma procedano allo scioglimento del presidio organizzato da CasaPound e alla rimozione immediata del gazebo impedendo in futuro il ripetersi di analoghi episodi;

          se intenda verificare quali iniziative siano state adottate o stia adottando la questura di Roma, comprese le dovute segnalazioni alla procura della Repubblica nei riguardi di chi abbia eventualmente posto in essere comportamenti penalmente rilevanti anche tramite gravi minacce nei confronti di una famiglia legittima assegnataria dell'appartamento in questione.
(4-02874)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


      ASCARI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

          il programma Erasmus Plus è il programma dell'Unione europea per l'istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport 2014-2020 approvato con il regolamento (UE) n. 1288/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, che combina e integra tutti i meccanismi di finanziamento attuati dall'Unione europea fino al 2013;

          il programma si compone di diverse iniziative tra cui alcune rivolte anche allo scambio di studenti universitari per lo svolgimento di tirocini formativi;

          ha destato recentemente molto scalpore il caso di Pino La Monica, attore e formatore condannato per molestie e abusi su minori suoi allievi, nella provincia di Reggio Emilia;

          il caso è particolarmente noto in quanto, solo nell'aprile del 2019, la Corte di cassazione ha confermato la pena a 6 anni, tre mesi e 10 giorni di carcere per La Monica, dopo 11 anni dall'inizio del processo, a seguito di continui rinvii tra corte d'appello di Bologna e Corte di cassazione per il corretto calcolo della pena;

          in occasione della sentenza definitiva La Monica «ha affermato di aver usufruito di una borsa di studio universitaria in Germania (già conclusa)»;

          all'interrogante risulta che vi sarebbe stato un soggetto avente lo stesso nominativo del condannato iscritto ad un ateneo italiano che avrebbe svolto un tirocinio formativo all'estero, in Germania, nell'ambito del programma Erasmus Plus, nel 2017;

          secondo l'interrogante, vista la gravità dei fatti commessi e acclarati in sede giudiziaria, sarebbe opportuno chiarire se sia stata conferita al condannato sopra richiamato una borsa di studio per mobilità per svolgere un tirocinio all'estero da parte di un ateneo italiano –:

          se sia a conoscenza dei fatti;

          se intenda adottare iniziative normative al fine di limitare l'accesso ai programmi universitari di scambio internazionali nei confronti di coloro che sono condannati per gravi reati contro la persona, anche per evitare il pericolo della reiterazione del reato.
(3-00726)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

          in data 1° marzo 2018, Ugl Terziario e Assocall hanno siglato il contratto collettivo nazionale (Ccnl) per operatori call center outbound dei call center in outsourcing;

          il Ccnl, che decorre dal 1° marzo 2018 e scadrà il 31 dicembre 2021, individua specifici profili professionali con i quali è possibile stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa, definendone anche il relativo trattamento economico e normativo: il compenso orario minimo di riferimento è fissato nella misura di euro 6,50 fino al 31 marzo 2019, nella misura di euro 7,30 fino al 31 marzo 2020 e nella misura di euro 8,00 fino alla scadenza del contratto;

          l'attività svolta dai call center trova la sua disciplina anche nel comma 243 dell'articolo 1 della legge n. 232 del 2016;

          con decreto direttoriale n. 77 del 2018 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha aggiornato il costo medio orario del lavoro per il personale dipendente da imprese aggiudicatarie di servizi di call center;

          secondo quanto riportato dalla stampa online (https://www.corrierecomunicazioni.it, 1° ottobre 2018), «Sale la retribuzione per i lavoratori dei call center. Il ministero del Lavoro ha adottato Decreto Direttoriale n. 77 che aggiorna il costo medio orario del lavoro per il personale dipendente da imprese aggiudicatarie di servizi di call center. Il primo adeguamento era stato adottato a fine 2017 per poi entrare in vigore a gennaio; dopo la firma del nuovo contratto nazionale del settore si sono resi necessari ulteriori aggiornamenti. Il costo deve oscillare tra i 0,4016 euro di un lavoratore di secondo livello – il primo livello nel contratto delle Tlc non è contemplato – e i 0,5092 del quinto livello. Non sarà dunque più possibile mettere in piedi gare per l'affidamento di servizi di customer care che vadano al di sotto di questi parametri. La retribuzione annua lorda del lavoratore non deve stare al di sotto dei 18.635,36 euro di un addetto di secondo livello; per il quinto livello la retribuzione deve essere di 23.655,68. “Il costo del lavoro – spiega a CorCom, Fabio Gozzo della Uilcom – è stato parametrato non alla quantità effettiva di minuti in cui l'addetto è al telefono ma prendendo in considerazione anche le pause di legge e i cosiddetti tempi di inoccupancy in cui l'addetto è al videoterminale ma non in comunicazione con il cliente”»;

          eppure alcune imprese di call center applicano in maniera «discutibile» il Ccnl, calcolando il pagamento delle ore lavorative sulla base dei soli minuti trascorsi al telefono o in operazioni al computer strettamente correlate;

          in sintesi, secondo questa interpretazione, un'ora «produttiva» sarebbe la somma di tempo di reale conversazione e il calcolo dell'ora ai fini della maturazione della retribuzione avverrebbe, dunque, in base ai minuti di parlato, di attesa, di compilazione di moduli dopo la chiamata;

          il fenomeno, purtroppo, non è nuovo e fu denunciato anche dalla stampa secondo quanto riportato da www.ilgiornale.it del 16 marzo 2017: «Call center, lavoratori pagati solo per i minuti effettivi» –:

          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, anche promuovendo iniziative ispettive da parte degli organi preposti sul territorio, al fine di porre in essere le più opportune verifiche e garantire ai lavoratori dei call center il rispetto della giusta retribuzione loro spettante;

          quali iniziative di competenza, anche normative, intenda adottare affinché la posizione dei lavoratori venga adeguatamente tutelata.
(5-02096)

Interrogazione a risposta scritta:


      VARCHI, BELLUCCI e GEMMATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la famiglia e le disabilità, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

          la prestazione assistenziale dell'indennità di accompagnamento, istituita dalla legge n. 18 del 1980, con il riconoscimento di un'invalidità totale e permanente del 100 per cento è riconosciuta a chi si trovi nella materiale impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore ovvero nell'impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita con la conseguente necessità di un'assistenza continua;

          gli aventi diritto all'indennità di accompagnamento sono gli invalidi civili che hanno ottenuto il riconoscimento di un'invalidità totale e permanente del 100 per cento;

          l'indennità di accompagnamento è stata fissata per il 2019 nella misura complessiva di euro 517,84 per dodici mensilità;

          le persone affette da gravi disabilità necessitano di un'assistenza continua che non si esaurisce con un impegno temporaneo da parte di chi li assiste;

          l'assistenza ai disabili gravi viene spesso assicurata da persona che presta la sua opera all'interno di un rapporto di lavoro contrattualizzato che non prevede (per contratto) periodi di sospensione;

          l'indennità di accompagnamento costituisce spesso l'unico sostegno economico grazie al quale il disabile grave può accedere ad una forma di assistenza privatistica;

          l'erogazione dell'indennità di accompagnamento è sospesa nei periodi di degenza in strutture sanitarie con retta a carico dello Stato o di altro ente pubblico;

          durante i periodi di ricovero l'assistito si ritrova comunque ad aver bisogno di un'assistenza dedicata che non può essere compensata dall'assistenza del personale medico ed infermieristico presente – spesso in carenza di organico – presso le strutture ospedaliere e, conseguentemente, con la sospensione dell'erogazione in proporzione ai giorni di degenza, sovente non è in grado di far fronte al pagamento- dovuto per contratto - di chi lo assiste –:

          se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative per rivedere l'istituto dell'indennità di accompagnamento garantendo la continuità dell'erogazione anche nei periodi di degenza dell'assistito.
(4-02863)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


      BIGNAMI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

          a partire dal 16 aprile 2019 è diventata obbligatoria la ricetta veterinaria elettronica; la finalità è quella di sostituire il formato cartaceo a livello nazionale per gli animali domestici e quelli di allevamento e la ricetta veterinaria elettronica avrà una identificazione mediante un numero ricetta e il Pin di quattro cifre prodotto dal sistema nel momento in cui viene emessa dal veterinario;

          per tre mesi i veterinari potranno apporre nelle ricette una data retroattiva per avere i farmaci;

          gli unici Paesi europei che hanno adottato la ricetta veterinaria elettronica sono la Spagna e il Portogallo, tuttavia tali Stati hanno stabilito di affiancare alla ricetta dematerializzata quella cartacea;

          inoltre, la Spagna ha introdotto la ricetta veterinaria elettronica unicamente per gli animali destinati alla produzione di generi alimentari e precisamente per gli antibiotici prescritti;

          conseguentemente, l'Italia rischierebbe di diventare l'unico Paese in Europa che ha la ricetta veterinaria elettronica obbligatoria anche per gli animali da affezione, con la complicazione per i professionisti di non poter più emettere ricetta cartacea;

          il Ministero della salute, a partire dal 2016, ha avviato il progetto della ricetta informatizzata veterinaria collaborando con l'istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise con sede a Teramo;

          inoltre, il Ministero attraverso il sistema Classyfarm si occuperebbe di facilitare e agevolare l'interazione e la collaborazione tra gli operatori agricoli e l'autorità competente al fine di monitorare ed innalzare il livello di sicurezza e tutelare la qualità dei prodotti agroalimentari;

          Classyfarm opera, negli ambiti sopracitati, in collaborazione con il Ministero della salute in base a quanto è stato stabilito dal decreto del Ministero della salute del 7 dicembre 2017;

          l'introduzione della ricetta elettronica veterinaria, a parere dell'interrogante, potrebbe arrecare un ulteriore innalzamento dei costi per la sanità nazionale, per i professionisti, per l'intestatario della ricetta e per i farmacisti;

          i veterinari dovranno dotarsi di strumenti telematici, smartphone e tablet, atti all'elaborazione della ricetta elettronica; inoltre, la digitalizzazione comporta nuove tempistiche di prescrizione e di interazione nel caso in cui vi sia necessità di un cambio di ricetta;

          vi potrebbero essere ulteriori costi per l'intestatario della ricetta; infatti, alle somme per la visita potrebbe aggiungersi il costo dell'erogazione delle ricette in quanto potrebbe configurarsi come una «prestazione» a tutti gli effetti;

          inoltre, i farmacisti dovranno dotarsi di un nuovo sistema di archiviazione dei dati derivanti dall'introduzione della ricetta elettronica e per le farmacie potrebbe sorgere il problema di usufruire di un sito diverso per farmaci veterinari, con relative complicazioni per la registrazione;

          l'interrogante non è contro a priori verso aiuti tecnologici per agevolare l'operato dei professionisti tuttavia, l'introduzione della ricetta elettronica veterinaria potrebbe arrecare ulteriori costi e complicazioni per tutta la filiera sopracitata, la quale si ritrova l'obbligo della ricetta elettronica senza neanche un adeguato periodo di preparazione e aggiornamento a livello strumentale, e strutturale con il rischio, oltretutto, di incappare in sanzioni o problematiche burocratico-amministrative –:

          a quanto ammontino gli investimenti relativi agli appalti e/o alle collaborazioni avviate con Classyfarm e con l'istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo;

          se disponga di dati, anche statistici, relativi ai costi legati all'introduzione della ricetta elettronica veterinaria per veterinari, farmacisti ed intestatari, con particolare riferimento agli oneri derivanti dalla strumentazione e dall'adeguamento informatico;

          se sia stato rilevato il rischio che l'apposizione, per la durata di tre mesi, di una data retroattiva per avere i farmaci nelle ricette possa arrecare ulteriori problematiche in futuro per i professionisti del settore veterinario;

          se intenda adottare iniziative per definire modalità di configurazione della ricetta veterinaria elettronica analoghe a quanto è avvenuto in Portogallo e successivamente in Spagna, escludendo gli animali di affezione e vincolandola unicamente agli animali dai quali derivano prodotti alimentari, specificatamente con riferimento agli antibiotici.
(4-02873)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      DE MENECH. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

          Italia Wanbao-Acc è stata fondata con l'acquisizione di Acc Compressors da parte del Gruppo Wanbao nel 2014. Acc Compressors era una storica azienda produttrice di compressori per frigoriferi, fiore all'occhiello della metalmeccanica bellunese sotto le insegne di Zanussi Elettromeccanica;

          nel contesto delle grandi multinazionali del settore, il colosso giapponese Nidec ha acquisito la brasiliana Embraco di proprietà della Whirlpool, unendo così due dei maggiori produttori mondiali di compressori per la refrigerazione;

          con questa operazione Nidec ha però dovuto cedere la propria attività di compressori per frigoriferi prodotti negli impianti in Austria, Slovacchia e Cina, eliminando eventuali problemi di concorrenza;

          nel 2013 la società tedesca Secop ha comperato l'Acc di Fürstenfeld con sede in Austria;

          la vendita da parte di Nidec dello stabilimento austriaco Secop creerebbe un problema per Wanbao-Acc, che rischia infatti di essere tagliata fuori dai grandi giochi internazionali del settore;

          attualmente nello stabilimento di Mel lavorano 290 persone;

          i sindacati di categoria hanno più volte ribadito anche in questi giorni la loro preoccupazione per il futuro;

          i precedenti Governi si sono più volte interessati allo stabilimento bellunese, seguendo da vicino la fase commissariale che ha portato alla vendita di Acc ed evitando perdite importanti di posti di lavoro –:

          se il Governo abbia intenzione di farsi carico della questione al fine di aprire un tavolo di confronto tra tutti i soggetti e verificare le reali intenzioni della proprietà sullo stabilimento bellunese.
(5-02095)

Interrogazione a risposta scritta:


      BURATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

          le importazioni di gas in Italia negli ultimi anni sono tornate a crescere; nel piano nazionale integrato per l'energia e il clima 2030 si rileva, infatti, che nonostante la crisi economica, gli oneri per il sostegno alle energie rinnovabili e all'efficienza energetica sono sensibilmente cresciuti: considerando i soli incentivi coperti dalle tariffe, si è passati dai circa 3,5 miliardi di euro del 2009 ai circa 15 miliardi di euro del 2017;

          l'Italia purtroppo però continua a pagare un differenziale di prezzo con i Paesi del Nord Europa che rimane ancora molto alto, circa 2,5 centesimi di euro al metro cubo e che aumenta sensibilmente se si considerano i costi accessori della bolletta;

          in particolare, il comparto degli energivori italiani paga il gas circa il 15 per cento in più rispetto agli energivori tedeschi, francesi e inglesi, addirittura il 55 per cento in più rispetto alle imprese energy intensive degli Stati Uniti;

          il divario competitivo denunciato dai gasivori rischia anche di aggravarsi con il raddoppio del Nord Stream che comporterà importazioni di gas russo attraverso la Germania sia sul Transitgas che sul Tag;

          il Parlamento europeo ha approvato a maggioranza una relazione che invita i Paesi dell'Unione europea a sospendere l'attuazione del progetto per il gasdotto Nord Stream 2 che rafforza la dipendenza degli Stati europei dalle forniture di combustibile russo, minaccia il mercato interno dell'Unione europea e non corrisponde alla politica energetica dell'Unione;

          l'Autorità energetica tedesca Bundesnetzagentur ha deciso nell'ambito della riforma della struttura tariffaria regolatoria del trasporto di gas, di applicare una nuova metodologia di prezzo, spostando una quota significativa degli oneri per la remunerazione delle infrastrutture di trasporto del gas sul cosiddetto «exit», ossia sul gas che transita dai punti di uscita della rete nazionale verso l'estero, incluso perciò quello che dal Nord Europa transita in Germania verso l'Italia;

          questa decisione determinerebbe, già a partire dal 2019, un'influenza diretta sul mercato del gas italiano che l'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente ha quantificato in 500 milioni di euro in più all'anno;

          con l'introduzione di queste barriere tariffarie si ostacola la creazione di un mercato unico del gas, generando una distorsione delle regole di concorrenza a scapito dei concorrenti europei e a favore della sola Germania;

          il decreto interministeriale del 2 marzo 2018 in conformità agli orientamenti comunitari prevede incentivi a favore delle cosiddette imprese gasivore, al fine di stabilire un sistema di agevolazioni analogo a quello previsto per le aziende energivore e finanziare misure di decarbonizzazione, da adottare con successivo decreto ai sensi dell'articolo 21, commi 1 e 2, della legge europea –:

          se e quando il Governo intenda adottare le iniziative di competenza per completare anche per gli energivori italiani del gas il percorso tracciato per gli energivori elettrici in ordine a interrompibilità, interconnector e meccanismi di agevolazione su fiscalità e parafiscalità;

          se non si ritenga necessario adottare le iniziative di competenza in sede di Commissione europea, a sostegno del comparto del gas italiano e in difesa delle regole della concorrenza nel mercato energetico, al fine di varare a breve un nuovo «pacchetto gas»;

          se il Governo intenda porre esplicitamente sulle competenti sedi europee il problema delle derivanti barriere tariffarie che ostacolano la creazione del mercato unico del gas e la convergenza dei costi per tutti i consumatori.
(4-02877)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

      L'interpellanza urgente Cannizzaro e Occhiuto n. 2-00377, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 maggio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Ettore.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta scritta Cimino n. 4-02832, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 maggio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Cancelleri.

      L'interrogazione a risposta scritta Cimino n. 4-02833, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 maggio 2019, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Cancelleri.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Benamati n. 5-02026 del 7 maggio 2019.

ERRATA CORRIGE

      Risoluzione in Commissione Cenni e Gadda n. 7-00239 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 169 del 2 maggio 2019. Alla pagina 6159, prima colonna, alla riga quattordicesima, deve leggersi: «Le Commissioni III e XIII,», e non come stampato. Alla pagina 6161, prima colonna, alla riga trentesima, deve leggersi: «(7-00239) “Cenni, Scalfarotto, Gadda”», e non come stampato.