XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 291 di lunedì 20 gennaio 2020

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI

La seduta comincia alle 14,10.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FEDERICA DAGA , Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 13 gennaio 2020.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Azzolina, Battelli, Benamati, Benvenuto, Berlinghieri, Boccia, Bonafede, Claudio Borghi, Boschi, Brescia, Buffagni, Cancelleri, Castelli, Cirielli, Colletti, Colucci, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Dadone, De Maria, De Micheli, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Di Stefano, Ferraresi, Gregorio Fontana, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gallo, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Grande, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, L'Abbate, Liuni, Liuzzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Maggioni, Mauri, Molinari, Morani, Morassut, Morelli, Orrico, Parolo, Rizzo, Ruocco, Paolo Russo, Saltamartini, Scalfarotto, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Spadoni, Speranza, Tofalo, Traversi, Vignaroli, Villarosa, Raffaele Volpi e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente settantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio della nomina di due Sottosegretari.

PRESIDENTE. Comunico che, in data 17 gennaio 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, ha inviato al Presidente della Camera la seguente lettera: "Onorevole Presidente, informo la S.V. che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, sentito il Consiglio dei Ministri, ha nominato Sottosegretari di Stato per l'Istruzione l'on. dott.ssa Anna ASCANI e il dott. Giuseppe DE CRISTOFARO. Con viva cordialità,

firmato: Giuseppe Conte".

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 16 dicembre 2019, n. 142, recante misure urgenti per il sostegno al sistema creditizio del Mezzogiorno e per la realizzazione di una banca di investimento (A.C. 2302-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2302-A: Conversione in legge del decreto-legge 16 dicembre 2019, n. 142, recante misure urgenti per il sostegno al sistema creditizio del Mezzogiorno e per la realizzazione di una banca di investimento.

Ricordo che nella seduta del 9 gennaio è stata respinta la questione pregiudiziale Centemero ed altri n. 1.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2302-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Claudio Mancini.

CLAUDIO MANCINI , Relatore. Grazie, Presidente. Il decreto si prefigge, da un lato, il conseguimento di obiettivi di carattere strutturale, essendo diretto a contribuire e favorire il superamento della situazione di marcato sottodimensionamento che caratterizza sia il sistema produttivo del Mezzogiorno, sia in particolare il sistema bancario e finanziario che opera al servizio del primo, e, dall'altro lato, il decreto è collegato alla situazione congiunturale di crisi della Banca Popolare di Bari, da cui trae il carattere di urgenza e rispetto alla quale mira a promuovere le condizioni per la ristrutturazione e il rilancio della banca, favorendo la creazione di una realtà bancaria che possa svolgere un importante ruolo di sostegno finanziario alla crescita economica.

Per quanto riguarda, quindi, il tema strutturale, è noto che il divario dimensionale, produttivo e finanziario tra Mezzogiorno e resto d'Italia, già storicamente elevato, si è ampliato nel corso della doppia recessione degli anni dal 2008 al 2012. Nel 2018 il prodotto interno lordo risultava, nel Sud, ancora di dieci punti percentuali inferiore a quello del 2007: è un divario che deriva in larga misura dalla minore produttività delle imprese meridionali, che può essere ricondotta anche alla loro minore dimensione, perché imprese troppo piccole faticano a investire in ricerca e sviluppo e ad accedere ai mercati internazionali.

Come dimostrato con chiarezza nelle audizioni tenute in Commissione, anche le banche meridionali deputate al finanziamento della piccola e media impresa locale risentono di una dimensione eccessivamente contenuta, stentano a raggiungere livelli soddisfacenti di redditività necessari ad alimentare il proprio capitale e ad espandere il credito all'economia reale. Da qui la necessità di interventi che agevolino il superamento di questi deficit dimensionali e riducano il divario di sviluppo economico tra il Mezzogiorno e le regioni dell'Italia centrale e settentrionale. Come è noto, un primo intervento legislativo in questo senso è stato l'emendamento parlamentare presentato al decreto-legge n. 34 del 30 aprile 2019, che ha portato all'introduzione dell'articolo 44-bis della legge di conversione del cosiddetto “decreto crescita”, che prevede, nel caso di aggregazioni tra società che abbiano la sede legale nel Mezzogiorno, la conversione in crediti d'imposta di alcune attività per imposte anticipate, che risultino iscritte nel primo bilancio della società risultante dall'aggregazione; una conversione che avverrebbe lungo un periodo temporale di quattro anni e limitata ad un ammontare non superiore a 500 milioni. È noto, tuttavia, che l'efficacia di queste disposizioni è subordinata alla preventiva comunicazione, ovvero, dove necessaria, all'autorizzazione della Commissione europea. È stata avviata un'interlocuzione con la Direzione concorrenza della Commissione e sono stati rappresentati ai servizi della Commissione le ragioni in base alle quali lo schema previsto dalla norma potrebbe essere considerato compatibile con gli orientamenti della Commissione in materia di aiuti di Stato, cioè con il regolamento di esenzione. In ogni caso, occorre essere consapevoli che tali misure possano incentivare le iniziative e l'apporto di capitali privati per il superamento di condizioni critiche, anche nello specifico caso di cui ci stiamo occupando in questo momento, ma non possono sostituirsi agli altri strumenti. In altri termini, non possono essere quelle norme, di per sé, da sole, risolutive, né sul piano qualitativo, né su quello delle risorse necessarie. Alle ragioni storiche prima citate sul sottodimensionamento strutturale delle aree del Sud, si sono recentemente aggiunti fattori di particolare urgenza, connessi all'accelerazione di alcune situazioni di crisi di imprese di grande rilevanza per il territorio locale. E in particolare, la crisi della Banca Popolare di Bari ha confermato, ancora una volta, la necessità di delineare interventi a carattere strutturale che abbiano, quale obiettivo esplicito e prioritario, il rilancio del tessuto economico del Sud Italia. È in questo scenario che si inquadra il decreto-legge di cui stiamo discutendo, che predispone la dotazione patrimoniale per l'operatività a pieno regime di una banca di proprietà pubblica, operante in base a criteri e condizioni di mercato, che sia capace, anche attraverso la promozione di aggregazioni e di altre operazioni di sistema, di sostenere la crescita delle imprese del Mezzogiorno e di contribuire, così, a ridurre il divario di sviluppo economico ricordato all'inizio di questo intervento. Il provvedimento assegna a Invitalia uno più contributi in conto capitale fino a 900 milioni di euro nel 2020, interamente finalizzati al rafforzamento patrimoniale della società Banca del Mezzogiorno-Mediocredito Centrale, per la promozione di attività finanziarie e di investimento anche a sostegno delle imprese e dell'occupazione del Mezzogiorno, che possano sostanziarsi anche attraverso l'acquisizione di partecipazioni al capitale di banche e società finanziarie operanti nel Sud Italia. Inoltre, il decreto dispone che, a seguito di tali operazioni di acquisto, con decreto del Ministero dell'Economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello Sviluppo economico, si possa autorizzare la scissione di Mediocredito Centrale e la costituzione di una nuova società, interamente partecipata dal Ministero dell'Economia e delle finanze, cui assegnare le attività e le partecipazioni acquisite in banche e società finanziarie. Tale possibilità si riferisce all'eventualità in cui sorgano esigenze di razionalizzazione dell'assetto operativo e organizzativo del Mediocredito Centrale, al momento non escludibili. La copertura finanziaria dell'intervento è individuata nelle risorse iscritte in bilancio destinate alla partecipazione al capitale di banche e fondi internazionali, come rifinanziate per l'anno 2020 dalla legge di bilancio. Il decreto consente a Mediocredito Centrale di prendere parte, insieme con il Fondo interbancario di tutela dei depositi e insieme a eventuali altri investitori, a un aumento di capitale che verrà deliberato dalla Banca Popolare di Bari ai fini del suo rilancio. Come è noto, infatti, lo scorso venerdì 13 dicembre la banca è stata sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria da parte della Banca d'Italia.

A seguito delle negoziazioni avviate fin da subito dagli amministratori straordinari della Banca Popolare di Bari con Mediocredito Centrale e con il Fondo interbancario di tutela dei depositi, alla fine dello scorso anno sono state assunte coerenti deliberazioni che hanno posto in sicurezza la banca e costituiscono il presupposto per procedere nella realizzazione di un progetto strategico di ristrutturazione e rilancio della Banca Popolare di Bari entro la metà di quest'anno. Questo progetto prevede a regime la trasformazione della banca in una società per azioni, con la copertura delle perdite che emergeranno a seguito delle valutazioni condotte dai commissari e la contestuale ricapitalizzazione della banca da parte di Mediocredito Centrale, del Fondo interbancario di tutela dei depositi e di altri investitori privati che potranno auspicabilmente essere individuati. In tale ottica il consiglio del Fondo interbancario ha approvato all'unanimità un intervento immediato a favore della Popolare di Bari per l'importo di 310 milioni di euro, nell'ambito del più ampio progetto di rafforzamento patrimoniale che potrà arrivare sino a 1,4 miliardi di euro da realizzare nei prossimi mesi. Inoltre, sia il Fondo sia Mediocredito Centrale hanno sottoscritto, assieme con la Banca Popolare di Bari, un accordo quadro che definisce i passi successivi da compiere per il completamento dell'operazione nel quadro di un percorso e di una tempistica predefinita. L'accordo quadro contiene, tra l'altro, le linee strategiche del piano industriale per il rilancio della banca pugliese, il recupero del suo equilibrio economico e patrimoniale e l'assunzione da parte della stessa di un ruolo centrale nel finanziamento dell'economia del Mezzogiorno.

Come già in occasione della partecipazione all'aumento di capitale di Carige, l'intervento del Fondo interbancario è in linea con i principi consolidati affermati dalla Corte di giustizia e ribaditi nella sentenza del tribunale dell'Unione europea relativa proprio al “caso Tercas” e, cioè, le risorse del Fondo sono private e il contesto normativo italiano, unito alla peculiare governance del Fondo, assicura la sua assoluta autonomia sia dall'autorità di vigilanza sia dal Governo nella valutazione prima e nella deliberazione poi degli interventi preventivi o alternativi al rimborso dei depositanti.

Quanto all'intervento di Mediocredito Centrale, l'importo e le modalità del proprio intervento saranno definiti in funzione di una remunerazione attesa del capitale investito in linea con normali condizioni di investimento e ancorata a parametri e logiche di mercato. Tale ottica è coerente con l'obiettivo generale del decreto-legge di realizzare una banca d'investimento che promuova, secondo criteri e condizioni di mercato, lo sviluppo di attività finanziarie e di investimento con un'attenzione particolare rivolta al sostegno delle imprese del Mezzogiorno. Essa è, inoltre, pienamente coerente con i vincoli previsti dalla disciplina europea in materia di aiuti di Stato. La valutazione della Commissione europea al riguardo sarà infatti incentrata sulla verifica del cosiddetto test “dell'investitore privato in un'economia di mercato”, in base al quale dovrà essere dimostrato che in circostanze analoghe un investitore con dimensioni e formazioni analoghe avrebbe effettuato l'investimento di cui si discute.

Condizione necessaria per consentire a Mediocredito Centrale di partecipare alla ricapitalizzazione e al rilancio della Popolare di Bari è, quindi, la predisposizione da parte della stessa banca di un piano industriale robusto e credibile, sulla base del quale Mediocredito Centrale potrà definire la dimensione e le modalità del proprio intervento nel quadro della propria autonoma valutazione imprenditoriale, che non potrà che svolgersi secondo logiche di mercato e nel rispetto della disciplina in materia di aiuti.

É in questo complesso contesto che si è svolto il lavoro della nostra Commissione finanze, nella consapevolezza della necessità di convertire il decreto in tempi rapidi ma anche dell'opportunità di ascoltare contributi importanti sia degli attori istituzionali che di quelli sociali. Sono stati auditi i sindacati, i sindaci di Bari e di Teramo, Federcasse, le associazioni dei consumatori e i comitati rappresentativi dei soci. C'è stata, inoltre, un'interlocuzione approfondita con gli attori istituzionali, a partire dai commissari della Popolare di Bari, Banca d'Italia, Invitalia, Mediocredito Centrale, fino alla conclusiva audizione dello stesso Ministro Gualtieri. Posso riferire all'Aula che pur nelle diverse collocazioni tutte le forze politiche presenti in Commissione hanno espresso grande consapevolezza per la necessità di preservare il sistema bancario da un rischio di un fallimento di una realtà importante come quella della Popolare di Bari e, allo stesso tempo, di non disperdere il capitale di fiducia, di professionalità e di radicamento territoriale che quella banca mantiene e che sarà un asset importante per la Banca del Mezzogiorno.

Certo, molto si è discusso e approfondito in Commissione sulle ragioni delle difficoltà finanziarie della Popolare di Bari, di come abbia funzionato il sistema dei controlli, di quali effetti abbia prodotto l'acquisizione di Tercas, di come siano stati prospettati agli acquirenti i valori delle quote della banca, ma posso dire che più che la polemica sul passato è prevalso nel confronto in Commissione un'attenzione al futuro, alle scelte necessarie che con questo decreto si compiono. Il mandato al relatore è stato approvato con ampio consenso e senza nessun voto contrario dopo che è stato approvato all'unanimità un emendamento che esprime la volontà del Parlamento di seguire con attenzione gli sviluppi dell'intervento sulla Popolare di Bari e gli sviluppi della banca d'investimento nel Mezzogiorno. Mediocredito Centrale dovrà riferire nelle competenti Commissioni parlamentari ogni quattro mesi sull'utilizzo delle risorse assegnate, anche con particolare attenzione alle ricadute occupazionali e al sostegno al sistema delle imprese che deriveranno dall'attuazione del decreto. Parimenti, il Governo, qualora il Ministro dell'Economia e delle finanze ritenesse di operare la scissione dal Mediocredito Centrale degli asset acquisiti in virtù dei 900 milioni di euro che qui vengono stanziati, sarà tenuto a riferire al Parlamento dei contenuti e delle modalità con cui si darebbe avvio al soggetto finanziario interamente partecipato dal MEF previsto dal decreto.

In conclusione, Presidente, colleghe e colleghi, pur essendoci punti aperti di difficoltà - e segnalo all'Aula la questione posta dai colleghi umbri sulla banca di Orvieto, partecipata al 75 per cento dalla Popolare di Bari, la necessità posta dai sindacati di una chiarezza sul piano di ristrutturazione e sulla questione degli esuberi e la necessità anche di mantenere un rapporto con i soci della Popolare di Bari, che dovranno votare la trasformazione in società per azioni - resta comunque un dato di fondo che emerge dal lavoro fatto in Commissione, cioè che si può contemporaneamente chiudere e affrontare una vicenda negativa del sistema bancario italiano e metterla alla base di un progetto che con la Banca del Mezzogiorno possa essere un progetto di sviluppo e crescita per il nostro Mezzogiorno.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

È iscritto a parlare il deputato Massimo Ungaro. Ne ha facoltà.

MASSIMO UNGARO (IV). Grazie, Presidente. Colleghi, con questo decreto si predispongono 900 milioni di euro per il rafforzamento patrimoniale della società Banca del Mezzogiorno-Mediocredito Centrale, tramite Invitalia, una società totalmente partecipata dal Ministero dell'Economia e delle finanze per appunto mettere il Mediocredito Centrale in condizioni di acquisire partecipazioni a capitali di banche e società finanziarie a sostenere l'economia del Mezzogiorno. Per il Governo questo è uno strumento per affrontare due esigenze, ovvero il salvataggio e il rilancio industriale della Banca Popolare di Bari, commissariata dalla Banca d'Italia lo scorso dicembre, dopo la rilevazione di requisiti prudenziali di capitale inferiore ai limiti regolamentari, e con essa porre le basi per la creazione di una banca di investimento che possa sostenere il sistema creditizio del nostro Meridione.

Il gruppo di Italia Viva voterà a favore di questo decreto: salvare la Popolare di Bari è un intervento necessario, come lo furono gli interventi a sostegno delle banche venete, del Montepaschi di Siena e di Carige, poco meno di un anno fa. Dobbiamo tutelare la stabilità finanziaria del nostro Paese e dobbiamo evitare che crisi locali, come appunto quella della Popolare di Bari, una banca con un attivo di 13 miliardi di euro e operante in tre regioni (Puglia, Basilicata e Abruzzo) crescano incontrastate e divampino fino a ledere la fiducia nell'intero sistema bancario nel nostro Paese. Occorre quindi spegnere questo focolaio il prima possibile per evitare corse ai depositi, con effetti domino che ledono la fiducia anche degli istituti bancari sani. È anche utile, inoltre, ricordare che la somma totale spesa dello Stato italiano a sostegno delle proprie banche rimane una frazione, se confrontata alla spesa effettuata dai nostri principali partner europei. Occorre intervenire per tutelare i quasi 3 mila dipendenti della Popolare di Bari, le centinaia di migliaia di risparmiatori, e assicurare la continuità nell'erogazione del credito di oltre 100 mila imprese, per evitare una grave crisi economica e occupazionale nel cuore del Meridione. Ma una volta finita l'emergenza occorre anche interrogarsi su come si è arrivati a questo punto. Al contrario di altri casi di salvataggio, la Popolare di Bari sembra essere non solo vittima della grave recessione economica ma anche di una cattiva gestione, come indicano le ripetute rilevazioni della Banca d'Italia che negli anni hanno denunciato problemi seri di governance e una carenza nelle funzioni di controllo di quella che appare a tutti gli effetti un'allegra erogazione del credito; una valutazione che appunto portò la Banca d'Italia già nel 2010 a imporre un divieto di espansione alla Popolare di Bari. Durante l'aumento di capitale del 2014-2015, anche la Consob rilevò e sanzionò diverse violazioni delle regole di trasparenza dei comportamenti nella prestazione dei servizi di investimento verso i clienti della banca: sono stati venduti prodotti, come azioni o obbligazioni subordinate della banca stessa, a clienti che magari non ne capivano veramente i parametri di rischio. Anche qui, anche a Bari, famiglie e lavoratori vittime dell'asimmetria di informazioni e di intermediari che non rispettano le regole sulla trasparenza. Qualunque sottoscrittore di obbligazioni o azioni che le abbia acquistate in circostanze ambigue e comunque senza una piena comprensione dei rischi deve essere rimborsato e aiutato dallo Stato, e l'ente venditore deve essere sanzionato. In poche parole, i regolatori non erano contenti dell'operato della Popolare di Bari, e nemmeno i soci e i clienti della banca, come conferma la relazione annuale del 2018 dell'arbitro per le controversie finanziarie, che rileva appunto come la Popolare di Bari nel nostro Paese sia stata la società maggiormente chiamata in causa, quasi il 13 per cento degli oltre 1.800 ricorsi effettuati quell'anno. I risparmiatori della Popolare di Bari si meritano di meglio, è quindi fondamentale porre alcune condizioni per evitare che l'intervento dello Stato vada a premiare chi ha violato le regole e attuato scelte sbagliate. E in primis, chi ha sbagliato deve pagare, a partire dai dirigenti della banca, una condizione che ci sembra assolta già dalla procedura di amministrazione straordinaria messa in campo dalla Banca d'Italia. Chiediamo totale trasparenza su quello che è accaduto, che ha portato la Popolare di Bari in questa situazione. Chiediamo rapidi aggiornamenti sui prossimi interventi del Governo e in questa direzione andavano i nostri emendamenti approvati in Commissione per una relazione su base quadrimestrale alle Commissioni parlamentari competenti da parte della Banca del Mezzogiorno-Mediocredito Centrale. In secondo luogo, per evitare di essere qui tra un anno di nuovo a chiedere soldi ai contribuenti, occorre una radicale trasformazione della governance della Popolare di Bari, a partire dalla trasformazione della Popolare di Bari in una società per azioni, uno dei pilastri delle riforme in ambito bancario attuate dal Governo Renzi nel 2015. Abbandonando il voto capitario, come Spa la Popolare di Bari potrà migliorare la propria governance ed accedere a nuove fonti di capitale. Una riforma tra l'altro fortemente caldeggiata dalla Banca d'Italia e a cui hanno aderito tutte le banche popolari del nostro Paese tranne la Popolare di Sondrio e, guarda caso, la Popolare di Bari. Come gruppo di Italia Viva, questa era una condizione fondamentale, che abbiamo posto in ogni momento durante la fase di esame in Commissione, sulla quale abbiamo ricevuto rassicurazioni a partire dallo stesso Ministro Gualtieri. In terzo luogo, l'intervento deve ricorrere a logiche, criteri e condizioni di mercato - come tra l'altro recita il testo del decreto stesso - che coinvolgano anche soggetti bancari privati, non solo per limitare al massimo i costi per lo Stato, uno Stato che, come già sappiamo, ha un enorme debito pubblico, un debito talmente grande che la nostra spesa per interessi sul nostro debito è superiore alla nostra spesa per istruzione e ricerca, ma anche per condividere i rischi con attori privati che già operano nel settore ed evitare che lo Stato e la collettività si ritrovano a svolgere da soli funzioni che non gli sono proprie. Anche in questo caso registriamo le affermazioni del Ministro Gualtieri, durante la sua audizione, di un rilancio industriale che coinvolga altri attori, a cominciare dal Fondo interbancario di tutela dei depositanti. A nostro avviso, con queste condizioni il salvataggio della Popolare di Bari è sostenibile e il suo rilancio industriale è credibile. Ci sono anche buoni argomenti per affrontare il tema e la necessità di creare una banca di investimenti per il Mezzogiorno, un Mezzogiorno che, ricordiamolo, ha una disoccupazione di oltre il 20 per cento, il doppio della media nazionale. Il PIL del Mezzogiorno è di oltre 8 punti inferiore ai livelli del 2007, mentre l'Italia, come Paese, è sotto di 4 punti e la maggior parte dei Paesi dell'Unione Europea ha già recuperato i livelli del 2007. È nel Mezzogiorno che si trova la maggior parte di quei tre milioni di ragazzi che non stanno né studiando né lavorando e che appunto ogni anno portano un vero esodo giovanile, trovando altrove, oltre i confini nazionali, i mezzi appunto per soddisfare le proprie aspirazioni. Noi sappiamo anche che è proprio nel Mezzogiorno che le imprese hanno sete di credito e maggiori difficoltà ad accedere al credito. Le banche nel Mezzogiorno sono troppo piccole, hanno dimensioni troppo piccole per attuare e rispondere alla sfida della rivoluzione tecnologica e a una situazione di tassi estremamente bassi che non fanno altro che erodere i margini di interesse. Proprio nel Mezzogiorno è un sistema estremamente bancocentrico, è quindi opportuno intervenire e porsi come Paese l'importanza di creare una banca di investimento che possa agglomerare e consolidare il sistema creditizio meridionale. A favore di ciò (ci raccontano i lavori dell'economista Emanuele Felice) riscontriamo nel nostro Paese la storia e l'operato della Cassa per il Mezzogiorno, che noi sappiamo bene che, tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni Settanta, compensò di quasi due terzi il divario tra Nord e Sud del Paese, anche grazie all'operato della Cassa per il Mezzogiorno, un divario che noi sappiamo negli ultimi dieci anni ritornato agli anni Cinquanta. Dall'altro, però, è utile ricordare al Governo anche l'operato infelice dell'Isveimer, l'Istituto per lo sviluppo economico dell'Italia meridionale, che fallì e venne liquidato nel mezzo degli anni Novanta. È quindi un tema estremamente delicato a cui è opportuno dedicarsi, e noi chiediamo che il Parlamento venga totalmente coinvolto su questo tema. Infine, invito il Governo, nei prossimi provvedimenti, se possibile, a prendere nuove iniziative per rinnovare gli obblighi di trasparenza nella vendita di prodotti finanziari e per assicurarsi che i prodotti finanziari vengano venduti alla clientela che veramente ne conosca i rischi; attuare iniziative per una maggiore educazione finanziaria dei risparmiatori nel nostro Paese, ed infine attuare nuove misure per permettere alle nostre banche di smaltire in maniera più efficiente e più rapida la massa di crediti deteriorati.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pierantonio Zanettin. Ne ha facoltà.

PIERANTONIO ZANETTIN (FI). Grazie, Presidente, per la parola. Onorevole rappresentante del Governo, sottosegretario Baretta, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, nel nostro Parlamento torniamo di nuovo a parlare di banche e lo facciamo per l'ennesimo crack che ha interessato una banca italiana, la Banca Popolare di Bari.

E io oggi, in questo mio intervento, voglio parlare del decreto-legge all'esame del Parlamento, ma forse più in generale del problema del credito nel nostro Paese e della politica creditizia, nonché di come si è articolata sia sul piano politico, sia sul piano tecnico questa politica creditizia negli ultimi anni.

Un primo ragionamento, un primo rilievo, mi sento di farlo sul piano strettamente politico: noi oggi assistiamo - vi abbiamo già assistito, per carità, qualche mese fa, sul “decreto Carige”, ma lo constatiamo anche in questa occasione con riferimento a questo decreto sulla Banca Popolare di Bari - a un mutamento genetico del MoVimento 5 Stelle. Io lo voglio ricordare, perché è un dato oggettivo: nella scorsa legislatura ricordiamo tutti i principali esponenti del MoVimento 5 Stelle - da Di Maio a Di Battista, allo stesso sottosegretario Villarosa - urlare e sbraitare contro i soldi pubblici che venivano destinati al salvataggio delle banche. Su questo argomento, assai suggestivo, il MoVimento 5 Stelle, di fronte a un popolo di cittadini che hanno perso i loro risparmi e che è in difficoltà economica, hanno costituito larga parte del loro consenso, che li ha portati ad essere, alle ultime consultazioni politiche, il primo partito del Paese. Oggi questo consenso sta scemando in modo significativo, come tutte le consultazioni elettorali che si stanno succedendo dimostrano, ed evidentemente questo dipende molto anche dal fatto che i cittadini si stanno rendendo conto che quegli argomenti sui quali tanto consenso ha costruito il MoVimento 5 Stelle in quegli anni erano fasulli, tant'è che oggi, giustamente, il MoVimento 5 Stelle vota perché risorse pubbliche vengano destinate al salvataggio delle banche, nella fattispecie della Banca Popolare di Bari.

Noi ci compiacciamo di questa evoluzione, come dire, istituzionale del MoVimento 5 Stelle - non siamo quelli che la criticano - però credo che nel Parlamento vada ricordata questa mutazione genetica: quegli argomenti che loro hanno usato per costruire il consenso in quegli anni non avevano ragion d'essere. Forza Italia, un partito che è all'opposizione oggi come lo era negli anni del centrosinistra, non ha mai usato quegli argomenti pretestuosi per prendere un pugno di voti in più; sui temi delle banche, sui temi della sicurezza finanziaria del sistema, con senso di responsabilità e con sincero spirito patriottico, ha votato o ha sostenuto provvedimenti che erano di maggioranza e che non le appartenevano, ma proprio per questo spirito, come dire, di responsabilità civile nei confronti del Paese.

La seconda questione che vorrei portare all'attenzione di quest'Aula oggi, relativamente alla Banca Popolare di Bari, è il tema delle banche popolari; un tema a me caro per il vissuto soprattutto locale, perché essendo vicentino e veneto ho vissuto, da socio storico sia dalla Banca Popolare di Vicenza, sia di Veneto Banca, tutto quello che ha riguardato tante famiglie e tanti soci di quelle banche popolari. Qui mi viene utile una riflessione generale: dopo il crack di Banca Popolare di Vicenza, dopo il crack di Veneto Banca, dopo il crack di Banca Popolare di Bari, dobbiamo interrogarci su quello che è e su quello che era l'assetto normativo di queste banche, perché tutte queste tre banche erano banche popolari, quindi banche teoricamente cooperative, non quotate. Ecco, sul tema della non quotazione io voglio richiamare l'attenzione di quest'Aula e del Governo. Abbiamo tanto discusso sulle ragioni di questi crack e tutti - anche ho sentito alcuni interventi che mi hanno preceduto - puntano il dito in particolare sulla mala gestio che sicuramente c'è stata per tutte queste banche o per molte di esse; però io credo che la questione si debba porre anche sul piano normativo più ampio e qui la responsabilità secondo me va individuata molto astrattamente sul mondo regolatorio. Infatti, si sono lasciate crescere queste realtà - le banche popolari non quotate - a livelli di dimensioni che tradivano lo spirito cooperativo. Quando la Popolare di Vicenza aveva 116 mila soci sparsi su tutto il territorio nazionale, quando Veneto Banca aveva 75 mila soci, quando la Popolare di Bari ha avuto fino ai 70 mila soci, voi capite, colleghi, che avevano fatto crescere delle realtà che erano tutte scollegate con la realtà locale dalla quale erano nate e in cui erano state partorite; e quali erano e sono, per quello che è rimasto di quelle realtà - è rimasto assai poco, ahimè - gli assetti normativi che non potevano reggere? Innanzitutto, il voto capitario. I gruppi dirigenti di queste banche venivano selezionati per mera cooptazione, erano del tutto autoreferenziali; talvolta, per le esperienze che abbiamo tutti vissuto, erano espressione di soggetti che - adesso c'è la contrapposizione fra territorio e tecnocrazia - alla tecnocrazia neanche ci arrivavano come preparazione culturale, quindi erano realtà assolutamente inadeguate a reggere giganti di dimensioni nazionali che mi amministravano patrimoni di miliardi di euro. Poi, da liberale convinto - uno dei pochi forse rimasti liberali e liberisti -, io non credo che si possano amministrare entità di queste dimensioni senza metterci il cash, perché poi le vicende che hanno riguardato i crack ci hanno consentito di andare a vedere le quote azionarie dei singoli amministratori e abbiamo visto, almeno con mia sorpresa, veramente con una critica severa, che questi amministravano - magari malamente - e poi avevano investito in quella banca poche decine o centinaia di migliaia di euro: patrimoni di miliardi amministrati, eccetera, da gente che aveva messo 10 mila, 2 mila, 50 mila, 100 mila, cioè, comunque, frazioni assolutamente irrisorie del capitale sociale. Poi, la mancata quotazione: anche qui secondo me i regolatori non hanno capito cosa succedeva. La mancata quotazione cosa faceva? Faceva sì che il prezzo fosse fatto in maniera domestica; veniva fissato dal consiglio d'amministrazione sulla base di perizie che venivano presentate da professori universitari più o meno convinti delle forbici di prezzo che andavano a proporre. Tuttavia, questa quotazione domestica ha fatto sì che, in realtà, il pubblico degli azionisti, per decenni, era stato abituato a vedere delle azioni che crescevano sempre - magari poco, ma crescevano sempre - e che anche dopo la grande crisi del 2008 non scendevano, quando invece le altre azioni scendevano, generando nella platea degli azionisti e anche degli obbligazionisti l'idea che questa fossero sostanzialmente delle obbligazioni. È qui il grande difetto: si è lasciato credere al popolo degli azionisti, che era variegato - credo anche a Bari, ma sicuramente, per quello che conosco, nel Veneto, in quanto c'erano tutti e tutti erano soci di queste banche, dall'operaio al capitano d'industria -, anche negli anni della crisi, che il valore fosse indipendente da quello che era nel mercato globale e questo è stato dannosissimo. Allora, mi sento di dire in quest'Aula, lasciando una testimonianza, che la vera responsabilità è certamente degli amministratori, è certamente della vigilanza che negli anni della crisi non ha capito fino in fondo quello che stava succedendo, ma è dei regolatori, che negli anni buoni, nei primi anni Duemila, non dovevano lasciar crescere queste banche a queste dimensioni; bisognava in quell'epoca imporre la trasformazione in Spa, non nel pieno della crisi, come fece il Governo Renzi - ahimè - travolgendo in particolare le popolari venete.

Detto questo, che riguarda Popolari venete e Popolare di Bari, io credo che però un tema rimanga oggi nel dibattito che stiamo affrontando, perché se è tutto giusto quello che è stato detto, che abbiamo necessità di investire delle risorse pubbliche per salvare il sistema, perché il sistema bancario è un ecosistema e nel sistema finanziario noi non possiamo permetterci che nessun correntista perda una lira, perché se no viene messa in crisi l'intero sistema, da qui anche le critiche al bail-in e a quello che ci è stato imposto in quegli anni, su cui non siamo stati attenti. Però, c'è una cosa da spiegare, sottosegretario Baretta, lei che è del Governo ed è veneto, perché bisogna spiegare soprattutto ai veneti, agli investitori veneti, perché la Banca Popolare di Bari, che nel 2010 era sicuramente in condizioni finanziarie meno favorevoli di Veneto Banca e di Banca Popolare di Vicenza, oggi sopravvive, mentre Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono scomparse. Dobbiamo spiegare, bisognerà spiegare perché gli obbligazionisti subordinati di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza hanno visto sparire i loro risparmi e i loro investimenti, mentre gli obbligazionisti di Banca Popolare di Bari avranno la possibilità - almeno stando a quello che emerge dagli atti del provvedimento al nostro esame - di salvare i loro risparmi investiti in obbligazioni.

Ora, sul piano tecnico so perfettamente qual è la ragione: è una ragione di natura tecnica, c'è una sentenza, quella della Corte europea di giustizia sul caso Tercas, che ha cambiato le cose. C'è anche, come dire, un clima generale più favorevole, perché sappiamo tutti che oggi la Germania è più in difficoltà: i Länder della Bassa Sassonia, della Sassonia-Anhalt, hanno la necessità di salvare la Norddeutsche Landesbank, che ha sede ad Hannover, e quindi oggi c'è da parte anche dell'Europa un clima più favorevole rispetto agli aiuti di Stato che vengono erogati nei confronti di istituti bancari dei territori, però questo è un dato tecnico, non politico, sottosegretario Baretta. Il FIR, che abbiamo tutti visto con piacere che andrà a dare qualche risorsa agli azionisti e obbligazionisti veneti, in realtà lascia un piatto di lenticchie; sono, cioè, piccole cifre, importi, per carità, utili, bene, perché il territorio sta soffrendo, sta soffrendo tanto e ha sofferto tanto, e quindi, se arriva qualche risorsa da parte del Fondo interbancario dei depositi, non è che positivo. Però, dico che la questione si pone, e si pone in modo chiaro: gli obbligazionisti della Banca Popolare di Bari vengono salvati, gli obbligazionisti di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca non sono stati salvati. Queste cose, Presidente, dovrebbero, credo, in particolare essere spiegate e approfondite dal Parlamento nella famosa, ormai mitica, Commissione parlamentare d'inchiesta che è stata varata a marzo dell'anno scorso dal Parlamento. La vicenda della Commissione parlamentare d'inchiesta ormai si sta trasformando in una farsa: è stata votata dal Parlamento nel marzo del 2019, sono passati mesi, sono state fatte varie convocazioni, tutte di volta in volta sconvocate. Adesso ce n'è una prossima, fissata per l'8 febbraio, mi pare, e non possiamo che compiacerci che questa Commissione possa partire, però non possiamo, anche sul piano politico, ma sotto questo profilo, dimenticare che questi continui ritardi, questi continui slittamenti, sono dovuti a un'incapacità di questa maggioranza, la maggioranza giallorossa, di individuare il presidente di questa Commissione e ai rischi che una presidenza sbagliata può determinare in questa materia così delicata. L'auspicio che Forza Italia, e mi accingo alla conclusione, Presidente, intende lanciare oggi nella discussione di questo decreto-legge, è che in questa prossima Commissione parlamentare d'inchiesta ci sia un approccio bipartisan. La stabilità finanziaria del Paese dovrebbe indurci tutti, tutte le forze politiche, credo, a considerarla un po' alla stregua della politica estera, sulla quale, tendenzialmente, non ci si divide in Parlamento. Le responsabilità dei crack vanno accertate nei tribunali, e lo stanno facendo nelle sedi penali, e andranno accertate anche in sede civile, perché sono state intraprese e verranno intraprese azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori; però sarebbe, credo, davvero importante per il Paese se, con riferimento a questa nuova Commissione d'inchiesta, si potessero discutere questi temi, al netto di quella che può essere considerata una becera propaganda, con serenità e un minimo di competenza. Ripeto, i temi da affrontare sono tanti: penso al voto capitario nelle società quotate; penso alla necessità della tutela del vero credito cooperativo, quello dei territori; penso al problema degli NPL, uno dei grandi temi che agitano le banche, perché hanno in pancia questi crediti non performanti, e, dall'altra parte, tante famiglie, che hanno, magari, gli immobili ipotecati e che se li vedono cedere a soggetti terzi e del tutto estranei, appartenenti al mondo della finanza. Penso che in quella Commissione si dovrebbe anche discutere di un nuovo e più moderno modo di fare banca.

Qui c'è il tema delle criptovalute, la tecnofinanza, temi su cui, volenti o nolenti, anche il nostro Paese dovrà confrontarsi negli anni a venire. Questi sarebbero gli auspici di Forza Italia, un partito responsabile, che guarda all'interesse generale; ma, ahimè, su questi temi, anche negli ultimi mesi, non abbiamo visto sorgere auspici favorevoli. In realtà, nonostante queste nostre speranze, si rischia l'ennesima ordalia. Non ci resta che sperare che qualcuno vada a rileggersi il monito, che giudico molto saggio, del Presidente Mattarella all'indomani dell'approvazione della legge sulla Commissione parlamentare d'inchiesta e ne tragga ammonimento. Il voto pressoché unanime del Parlamento che si annuncia su questo provvedimento dovrebbe indurci, quindi, ad avere un approccio su questi temi più razionale e meno emotivo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zennaro. Ne ha facoltà.

ANTONIO ZENNARO (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, Governo, quello in oggetto è un tema centrale, pone nell'agenda politica il tema del credito nel Mezzogiorno d'Italia; un tema fondamentale che molto spesso non fa parte dell'agenda politica e della discussione. La verità è che - lo dimostrano i dati - maggiore e più diffusa è la rete bancaria e maggiore è anche la crescita economica dei territori. Oggi abbiamo un Mezzogiorno d'Italia che tra mille difficoltà ha una rete bancaria molto limitata, e questo deriva soprattutto, anche nel corso del tempo, da una serie di provvedimenti, ma anche da una serie di situazioni che si sono andate a creare. Oggi, se guardiamo la rete bancaria, non abbiamo nessun grosso gruppo bancario sotto Roma; rimaneva la Popolare di Bari, ma con questa crisi, nella sostanza, oggi rimangono solamente i crediti cooperativi, che, tra mille difficoltà, fanno un lavoro straordinario. Il tema oggetto del decreto pone l'attenzione finalmente su un tema importante, che è quello dell'intervento pubblico nel settore bancario. Molto spesso - si è visto anche nelle discussioni - c'è una grande attenzione su questo tema; questo deriva dal fatto, sostanzialmente, che in questi anni il Sud, tra mille difficoltà, è riuscito a fare un lavoro straordinario, perché senza banche, senza la concessione di credito, oggi è molto difficile fare impresa, è molto difficile fare investimenti, e, laddove non hai una struttura bancaria articolata, oggi sei in difficoltà. È stato un decreto anche, se vogliamo, attaccato soprattutto, non dico in Commissione, ma sui social. Qualche forza politica ha preso un po' in giro questo decreto, dando anche la colpa un po' di questa situazione al Premier Conte e al Governo. La verità è che, quando si andava a salvare Carige, tutti erano d'accordo, mentre, quando si parla di intervento su una situazione del Mezzogiorno d'Italia, più di qualcuno comincia a fare lo snob e a vedere la cosa come un mero intervento pubblico e una perdita di denaro. La verità è che finalmente si può sfatare un dogma che per tanti anni è vissuto in Italia, quello dell'intervento pubblico nel settore del credito.

Noi abbiamo un'esperienza che fino all'inizio degli anni Novanta era quella delle banche pubbliche, delle banche di Stato e, se andiamo a confrontare i dati con i competitor europei, nei primi anni Novanta, queste erano le banche più forti a livello europeo; se facciamo lo stesso confronto oggi rispetto a quel dato, vediamo che banche che sono state privatizzate, banche che hanno avuto dei processi di privatizzazione sono molto più deboli e molto più esposte a quella che è la condizione dei mercati. Quindi, su questo va posto l'accento, va posto un accento molto forte, perché non sempre l'intervento pubblico è sinonimo di perdita di denaro.

Un altro tema importante è proprio quello su cui questo decreto ci permette di intervenire: il tema dell'economia del Sud. Noi, oggi, abbiamo un'economia con mille difficoltà, con indici di produttività non in linea con il Nord, però, proprio lo strumento di questo decreto permetterà di rafforzare il sistema creditizio nel Sud Italia. Noi abbiamo avuto, nella regione da cui provengo, che è l'Abruzzo, l'esperienza di Tercas; nel 2012 ci fu il commissariamento; cosa successe? Successe che, dalla mattina alla sera, furono chiamati gli imprenditori, gli artigiani e i commercianti e fu richiesto il rientro dei fidi; quel rientro dei fidi, quasi immediato, provocò uno scossone e provoca ancora oggi una serie di conseguenze: l'Abruzzo e la provincia di Teramo hanno tra i più alti livelli di crediti deteriorati a livello nazionale. Realtà floride che avevano una lunga storia furono messe in difficoltà; messe in difficoltà per quel sistema, se vogliamo, di mancato controllo da parte della Banca d'Italia. Ricordo solo che il commissario, poi, fu messo sotto inchiesta. Una situazione di cui, oggi, paghiamo ancora le conseguenze. Oltretutto, la Tercas ha svolto un ruolo centrale in un territorio che è stato colpito da due terremoti; ricordo il terremoto de L'Aquila, ma anche il sisma dell'Italia centrale. Oggi, il capoluogo di provincia, Teramo, è ancora un capoluogo terremotato. Quindi, in questo contesto gli imprenditori del territorio che hanno resistito, nonostante il terremoto, la situazione di difficoltà, la crisi economica dell'Italia, sono degli eroi, perché hanno resistito contro ogni statistica e, oggi, si trovano ancora in una situazione di incertezza, perché, comunque, la situazione della crisi della Popolare di Bari ha creato una grande incertezza sul territorio perché è la prima banca, la prima banca come raccolta, la prima banca come impieghi, ma anche la prima banca per tesoreria degli enti locali. Si è voluto scaricare il tema Tercas, dire che la Popolare di Bari è in crisi perché ha acquisito Tercas nel 2014; ebbene, son passati comunque sei anni, quindi, dire che questa è una conseguenza diretta mi sembra fuorviante, oltretutto perché, con l'incorporazione dell'ex Tercas, la Banca di Bari si è portata dentro tutta una serie di clientela di alto livello, si è portata dentro anche la tesoreria degli enti locali; quindi, c'è tutta una situazione che va vista nella fotografia, nel suo insieme. Spesso ho sentito molte critiche su questo decreto; un conto è andare sul territorio e dire una cosa, dire che la banca va salvata, che serve il decreto, fare le riunioni con i sindacati e, poi, invece, si viene qui a Roma e si racconta un'altra storia. Quindi, dico: attenzione, attenzione perché la materia del credito è una materia fondamentale, che va insieme anche al tessuto imprenditoriale di un territorio che resiste, nonostante mille difficoltà. Oggi abbiamo a rischio tanti progetti imprenditoriali, abbiamo un tessuto, ad esempio, in Abruzzo, sul settore turistico che, tra mille difficoltà, sta facendo ottimi risultati, abbiamo anche un settore dell'enogastronomia che, tra mille difficoltà, riesce ad esportare in giro per il mondo. Sono tanti progetti che, oggi, senza questo decreto, senza il salvataggio della Popolare di Bari, potrebbero andare persi nel nulla, aggravando una situazione di disoccupazione, una situazione molto difficile. Per questo è importante lavorare, lavorare con serietà; ho sentito anche qualche critica: adesso il MoVimento 5 Stelle si mette a salvare le banche. Fate il contrario di quello che avevate detto. Ebbene, se andiamo a vedere il nostro programma elettorale di quando ci siamo candidati nel 2018 c'è proprio l'istituzione di una banca degli investimenti, quella che oggi noi andiamo ad ampliare e amplificare con l'aumento di capitale del Mediocredito Centrale che, attraverso il Fondo di garanzia, fa un lavoro straordinario. Infatti, oggi, se vuoi avere credito devi proprio aderire al Fondo di garanzia, perché sennò le banche ti danno i soldi tra mille difficoltà - soprattutto le banche, ad esempio, della Puglia o dell'Abruzzo che, molto spesso, sono il frutto di quelle crisi bancarie, di quegli acquisti e di quelle vendite a un euro - e, oggi, se sei un imprenditore di Pescara o di Teramo, se vai a chiedere una pratica di fido, la tua pratica viene mandata non si sa dove, a Torino, a Reggio Emilia, quindi, con una spoliazione di tutta quella che è la storia imprenditoriale, di tutto quello che è un tessuto economico che, tra mille difficoltà, resiste. Ecco perché è importante questo decreto. È anche importante perché, finalmente, con esso si pongono le basi per una politica economica a 360 gradi sul Mezzogiorno d'Italia. Questo significa tutelare l'interesse nazionale, questo significa lavorare per il rilancio del Mezzogiorno d'Italia. È troppo comodo andare sui social e parlare di “sovranismo”, di tutela dell'interesse nazionale se, poi, si propongono politiche ultraliberiste e, poi, non c'è lo strumento del credito che, in situazioni molto difficili, non può che essere pubblico; è vero, sì, in condizioni di mercato, ma senza l'intervento pubblico, come al solito, il più forte mangerebbe il più piccolo. Quindi, su questo serve un lavoro serio e contrasteremo anche tutta una serie di discorsi che vengono fatti poi sui territori o il contrario di quello che si dice a Roma, perché la vera tutela del Mezzogiorno si fa con i fatti e questo decreto dimostra che stiamo facendo fatti concreti. Detto questo, poi, c'è il tema del personale. Abbiamo sentito parecchie notizie, abbiamo fatto anche delle audizioni, il tema del personale è un tema che per noi è importantissimo: vanno assolutamente tutelati i posti di lavoro, vanno assolutamente evitati i soliti spacchettamenti che abbiamo visto, perché, poi, cosa succede? Succede che abbiamo una diminuzione del personale e vogliamo evitare che in territori, soprattutto quelli colpiti già da due terremoti, si vadano ad effettuare licenziamenti. Su questo si troverà la più grande contrapposizione da parte del MoVimento 5 Stelle, non possiamo permetterci che oggi le persone vengano mandate per strada, soprattutto, in territori che hanno grandissime difficoltà per il ricollocamento del personale. Mi avvio alla conclusione. Su questo tema non molleremo la presa, è fondamentale che le banche del Mezzogiorno siano sempre più forti; è importante che anche i crediti cooperativi siano tutelati per evitare quella che è un po' la linea europea di favorire le grandi banche a scapito delle piccole banche, perché sono proprio le piccole banche che nei territori conoscono le realtà, conosco la storia e molto spesso nei momenti di difficoltà sono state l'unico presidio rispetto a una restrizione del credito che ha ammazzato tante imprese. Ecco perché, come MoVimento 5 Stelle, voteremo a favore di questo decreto. Noi siamo dalla parte delle piccole e medie imprese e lo dimostriamo con i fatti.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Anna Rita Tateo. Ne ha facoltà.

ANNA RITA TATEO (LEGA). Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, siamo oggi, qui, in Aula, per discutere la conversione in legge del decreto-legge recante misure urgenti per il sostegno al sistema creditizio del Mezzogiorno e per la realizzazione di una banca di investimento. Si tratta di uno dei tanti decreti che questa maggioranza produce in quanto incapace di avere un programma politico che faccia realmente ripartire la nostra Italia, ma cerchiamo, oggi, di comprendere il perché di questo ennesimo decreto e di conseguenza della sua relativa conversione. Dalla relazione illustrativa del Governo si apprende che in ragione dell'ampliamento del divario tra le regioni del Mezzogiorno e il resto dell'Italia, a seguito della crisi economico-finanziaria, nonché delle relative ripercussioni sull'economia reale e sul tessuto imprenditoriale, con questo intervento si intende contribuire al superamento degli ostacoli strutturali del Mezzogiorno, riducendo il predetto divario di sviluppo economico. Ma io mi chiedo: come può un decreto con appena tre articoli risolvere un problema così complesso, come può un decreto risolvere gli ostacoli strutturali del Mezzogiorno?

Infatti, con questo decreto - e mi dispiace dirlo, in quanto sono pugliese e sono della città di Bari - non si risolve alcunché e questo emerge chiaramente dal comunicato stampa relativo al Consiglio dei ministri del 13 dicembre 2019 con il quale viene annunciato che, in base a tale decreto, veniva disposto un aumento di capitale, che consentirà successivamente alla società Banca del Mezzogiorno-Mediocredito Centrale (MCC), insieme con il Fondo interbancario di tutela dei depositi ed eventuali altri investitori, di partecipare al rilancio della Banca Popolare di Bari. Questo decreto-legge ha quindi un'unica funzione: cercare di risolvere la situazione di crisi della Banca Popolare di Bari che, nel Mezzogiorno, ed in particolar modo per le regioni della Puglia, della Basilicata e dell'Abruzzo, detiene una quota di mercato significativa; ha, infatti, circa 600 mila clienti, i depositi ammontano a 8 miliardi di euro, le azioni emesse dalla Banca sono ampiamente diffuse tra il pubblico di piccoli risparmiatori e il numero dei soci è pari a circa 70 mila.

Ma mi permetta, Presidente, di dire che questo decreto-legge, che la Camera si appresta a convertire in legge, è solo uno specchietto per le allodole. Il Governo e questa maggioranza non hanno compreso che la crisi della Popolare di Bari è una crisi che dura da troppi anni. Tutto questo emerge in modo chiaro dalla relazione della Banca d'Italia, che qui voglio ricordare: già nel 2010 la Banca Popolare di Bari è stata assoggettata ad accertamenti ispettivi, all'esito dei quali la Banca d'Italia ha vietato alla Banca Popolare di Bari di espandere la propria attività; all'improvviso, nel 2014, esattamente nel giugno, tali provvedimenti vengono rimossi, e nel luglio seguente la Banca d'Italia autorizza la Banca Popolare di Bari ad acquisire il controllo di Banca Tercas attraverso un contributo dato successivamente. Che cosa fa poi la Banca Popolare di Bari? Tra il 2014 e il 2015 realizza un'operazione di rafforzamento patrimoniale per complessivi 550 milioni, tra emissioni di nuove azioni (330 milioni) e collocamento di obbligazioni subordinate (220 milioni). E ovviamente presso chi vengono collocate sia le azioni che le obbligazioni? Presso le piccole e medie imprese, presso i piccoli risparmiatori.

Scopriamo però successivamente che questo aumento di capitale e la raccolta obbligazionaria sono stati caratterizzati, secondo la Consob, da violazioni delle regole di trasparenza dei comportamenti nella prestazione dei servizi di investimento verso i clienti della banca; e, sulla base di tali presupposti, la Consob sanziona la Banca Popolare di Bari per circa 2 milioni di euro. Ovviamente è peggiorata la situazione dal fatto che la Banca Popolare di Bari non si sia trasformata in Spa; nel frattempo, c'è stato un peggioramento del portafoglio creditizio, c'è stata una perdita consolidata di 430 milioni di euro, all'inizio del 2019 sono emerse delle conflittualità.

Noi ci troviamo quindi oggi di fronte ad una situazione di cui nessuno era all'oscuro, ma è anche una situazione molto complessa. Infatti, sempre dalla relazione della Banca d'Italia, della Consob, dalle audizioni svolte in Commissione finanze, si comprende che questo decreto-legge è un decreto-legge monco: perché, dopo aver attuato la conversione di questo decreto-legge, poi dovremo trasformare, non abbiamo ancora capito cosa; trasformeremo una banca in società per azioni, e poi successivamente predisporremo un piano di rilancio. Tutto questo non è scritto in questo decreto-legge. Sarebbe stato invece opportuno inserire già il meccanismo di trasformazione delle attività per imposte anticipate, le cosiddette di DTA, in crediti d'imposta: norma prevista nel cosiddetto decreto-legge crescita, voluta all'epoca con un emendamento dalla Lega, richiesta oggi addirittura da Banca d'Italia; infatti, nell'audizione ha riferito che questa misura avrebbe forti sinergie con le norme del decreto-legge, ma non c'è perché non è stata voluta da questa maggioranza, non è stata voluta da questo Governo e non è stata voluta direttamente dal Ministro Gualtieri.

Mi dispiace anche dire al collega di Italia Viva, che ha parlato di trasparenza nelle operazioni, nel vendere i prodotti ai risparmiatori, che c'era la possibilità di inserire già tutto questo nel decreto-legge. Vi è stato infatti un emendamento, sempre firmato dalla Lega e respinto sia dalla maggioranza che dal Governo, nel quale erano comprese delle norme che potevano disciplinare l'obbligo di predisposizione dei criteri di merito creditizio, e di conseguenza il sistema sanzionatorio, ma non c'è stata la volontà. Io auspico quindi che realmente in questo decreto-legge rientri anche una tutela nei confronti dei dipendenti, rientri una tutela nei confronti dei piccoli azionisti, nei confronti dei piccoli risparmiatori, nei confronti delle piccole e medie imprese. Tutto questo manca in questo decreto-legge, e spero che in Aula vengano accettati i nostri emendamenti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Raffele Topo. Ne ha facoltà.

RAFFAELE TOPO (PD). Grazie, Presidente. Come è stato ricordato, questo decreto-legge poteva limitarsi a disporre misure per il salvataggio di una banca, della Banca Popolare di Bari, come è accaduto a più riprese in questi anni, e da ultimo con l'approvazione del decreto-legge della Banca Carige. Il Governo invece ha compiuto una scelta diversa: ha introdotto un complesso di disposizioni che sono finalizzate a costituire strumenti per ridurre il differenziale anche nel mondo del ricorso al credito per il Mezzogiorno d'Italia. È una scelta che il Governo compie e lo fa con uno strumento che in qualche maniera sarà uno strumento monitorato dal Parlamento, dalla Commissione, da tutti quanti dovranno seguire l'attuazione delle misure che nel decreto-legge sono contenute. Gli articoli 1 e 2 del decreto-legge non parlano del salvataggio: il salvataggio è compreso in queste disposizioni, ma si occupano di credito e di Mezzogiorno.

Quali sono i dati di contesto? Sono state ricordate alcune cose; io mi permetto di aggiungere qualche argomento. Che cosa è accaduto in questi anni e perché il Governo ha dovuto occuparsi principalmente di questo? È accaduto che il prodotto interno lordo del Nord in questi 18 anni è cresciuto del 9,7 per cento, mentre nel Sud si è ridotto del 13,3 per cento; in 18 anni la capacità produttiva del Mezzogiorno si è ridotta di un quarto.

Ed ancora: tra i principali ostacoli che si frappongono in questo scenario, ci sono quelli che in qualche modo riguardano l'accesso al credito e il costo che le imprese e le famiglie sostengono per l'accesso al credito. Basti ricordare (dati del 2019) che, a fronte del 28,2 per cento del totale dei depositi dell'Italia meridionale, in termini di erogazioni, siamo alla metà, 14,2 per cento; ed inoltre il costo medio di interessi, il tasso d'interesse medio per le aziende medio-grandi del Nord più o meno è di 3,3 punti, mentre questo stesso tasso per le imprese del Mezzogiorno, sempre medio-grandi, è del 4,9 per cento, quindi il 50 per cento in più. Ed inoltre c'è una dipendenza dal mondo bancario per le imprese del Mezzogiorno molto più alta, del 70 per cento contro il 50 per cento invece delle aziende del Nord. Ovviamente questo si aggiunge alle dimensioni delle aziende del Sud, che sono normalmente di un terzo più piccole, con un livello di produttività del 20 per cento in meno.

Se questo contesto, ciò che è accaduto nei 20 anni alle nostre spalle, sembra passare così inosservato, ecco, io penso che la scelta politica che sottolineiamo, e che ovviamente sosteniamo, di introdurre questo compendio di disposizioni, certamente non basterà a risolvere il problema del Mezzogiorno - ci mancherebbe altro! - ma è un punto di attenzione alto, che dovrà in qualche modo occupare Parlamento e partiti nei prossimi anni.

Ricordo, a proposito di banche e del salvataggio della più grande banca del Mezzogiorno, che è la Banca Popolare di Bari, che questo Parlamento si è occupato del Sud; è una novità anche salvare una banca del Sud, permettetemi la battuta, perché questo Parlamento si è occupato nel lontano 1996 della vera banca più grande del Sud, che era il Banco di Napoli, e ovviamente sapete il Banco di Napoli che cosa ha fatto.

Noi avevamo Cassa del Mezzogiorno, Banco di Napoli, Isveimer, tutti strumenti che, in quegli anni, hanno permesso al Mezzogiorno di avere performance molto, molto superiori a quello che è accaduto in questi anni.

Il Banco di Napoli è una banca nata nel 1500, una delle più antiche banche del mondo; alcuni esperti, addirittura, dicono che sia nata anche prima. È una banca che emetteva valuta, è una banca che, in qualche maniera, ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo del Mezzogiorno. Solo per memoria, ricordo che è stata venduta per 61 miliardi di lire al gruppo INA-Banca nazionale del lavoro nel lontano 1993-1994. A pochi anni di distanza, è stata valutata in 1.500 miliardi di vecchie lire ed è stata, poi, venduta per 6 mila miliardi qualche mese dopo. Questo è. Ed inoltre, in quell'epoca - noi adesso ci occupiamo di crediti deteriorati -, i crediti del Banco di Napoli furono affidati ad una società che si chiama SGA, che ha avuto 12 mila miliardi di crediti affidati; lo dico per memoria, pure per ricordare che cosa dobbiamo fare, anzi non dobbiamo fare, nei prossimi anni. Questi 12 mila miliardi sono stati affidati alla SGA, la SGA ha realizzato il 94 per cento di questi crediti, tra virgolette, deteriorati, cioè erano deteriorati i crediti che si sono realizzati per il 94 per cento, oggi sono i migliori crediti che le banche hanno in portafoglio.

Questa è la storia alle nostre spalle, questo è quello che è accaduto in questi anni. Il Banco di Napoli ha resistito all'Unità d'Italia - e ci voleva forza -, ha resistito alla Prima e alla Seconda guerra mondiale - e anche lì ci voleva forza -, ha resistito alla nascita della Repubblica, non ha resistito alla Seconda Repubblica italiana.

Ora, poniamo che siamo nella Terza Repubblica: io penso che con questo decreto si apra uno spaccato nuovo, diverso; noi avremmo un'altra attenzione, non avremo fatto passare in silenzio quello che è accaduto in questo ventennio. Ma è accaduto quello che stiamo registrando, questo divario difficile da colmare e che si colma se il Parlamento e se la politica fanno delle scelte. Questa sarà una scelta minimale, la prima, una di quelle necessarie, però mi pare una scelta giusta, che va sostenuta; è una delle ragioni per cui noi non votiamo, su questo decreto, solo per appartenenza, ma con grande convinzione.

Aggiungo ancora: basterà? Intanto - è stato ricordato - il Governo precedente ha approvato una norma importante, l'articolo 44-bis del “decreto crescita”, oggi all'esame della Commissione. Non è stato aggiunto nulla in questo decreto, perché occorre stabilire se quelle attività sono attività che configurano aiuti di Stato, perché, se c'è un investimento in più è possibile agire con aiuti nelle aree depresse; se, invece, si tratta solo di fusioni - questa è l'obiezione che ci ha ricordato in Commissione il Ministro Gualtieri -, è più complicato ricondurre quegli interventi ad interventi coerenti con il quadro normativo comunitario.

Detto questo, io credo che il Governo dovrà farsi carico di trovare una soluzione in questa direzione, perché questa norma sarà necessaria per poter far funzionare meglio questo decreto e per svolgere un'operazione di aggregazione, di costruzione di un soggetto di investimento in grado di dare una mano, non di sostituirsi al privato o al sistema bancario, ma di aiutare, stimolare, così come hanno fatto, a volte bene, a volte male - ma c'erano - gli istituti che si sono occupati di Sud e di credito negli anni alle nostre spalle. Non li hanno inventati i repubblicani, non li hanno inventati la Democrazia Cristiana: c'erano da secoli, sono stati distrutti dalla politica di questi venti anni alle nostre spalle; quindi, altro che liberali e progressisti.

Concludo. È un intervento che, per questa parte, per la verità, enuncia dei principi, che dovrà essere dettagliato perché, mentre per la Banca popolare di Bari si capisce cosa si farà e, cioè, un accordo quadro già c'è, si dovrà fare, quindi, a stretto giro una due diligence, si dovrà fare un accordo di cofinanziamento tra fondo e Banca del Mezzogiorno, si dovrà trasformare l'azienda in società per azioni e, quindi, al netto degli accertamenti che dovranno, in qualche modo, definire anche il quadro della ricapitalizzazione, c'è una traccia precisa; sull'altro versante, invece, ci sono delle buone idee.

Quindi, occorrerà che questo Parlamento, che le forze politiche che sostengono questo provvedimento abbiano l'attenzione a che anche questa parte importante del provvedimento trovi attuazione.

Per la verità, l'aver affidato a Invitalia questa opzione io credo sia una scelta giusta, perché è un soggetto qualificato. Ricordo che Invitalia, molti anni fa, aveva 362 società, oggi ne ha solo 4: ha fatto un'operazione di razionalizzazione onestamente efficiente; gestisce strumenti importanti, alcuni, pochi strumenti per il Sud molto importanti, che hanno permesso - mi fermo, resto al Sud - a 29 mila ragazzi di avviare un'attività e di mettersi in discussione, di mettersi in proprio. Io credo che sia un soggetto qualificato per fare un'operazione di questo tipo. Ovviamente, non basterà, occorrerà la collaborazione di tutti gli attori istituzionali, degli enti territoriali, ma, insomma, almeno c'è una possibilità, almeno c'è una traccia.

In questi venti anni non c'è stata una parola spesa per queste cose ed è stata costituita una società, che si chiama Banca del Mezzogiorno, che con il Mezzogiorno non c'entra nulla, ha solo il nome. Io propongo di toglierlo: questa nuova società dovrà avere - lo suggerisco al sottosegretario Baretta - un nome che sia meno ridicolo. Una banca che si occupa dell'Italia meridionale, che metta risorse, competenze e, soprattutto, tanta volontà, perché noi sappiamo benissimo - io sono, come si capisce dalla foga e un po' dall'accento, di quelle parti - che servirà tanta responsabilità e tanto lavoro, che noi ci impegniamo a fare, perché non vogliamo regali, ma vogliamo avere la possibilità di misurarci in questo Paese.

Concludo, ovviamente, dicendo che votiamo per appartenenza certamente, ma perché siamo convinti che questo è uno strumento che può dare delle possibilità. È una partita che ci giochiamo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Vedete, colleghi, l'antologia della crisi degli istituti di credito può riassumersi in una lunghissima serie di scelte sbagliate, che hanno avuto ripercussioni su tutti i settori produttivi, sull'anima viva dell'economia dei nostri territori. E la visione che contempla la funzione bancaria non in funzione di chi produce la ricchezza e il lavoro ma soltanto come strumento di gestione del potere ha, ovviamente, soverchiato la vera missione bancaria.

Sullo sfondo, vi è tutta una serie di criticità nell'attività degli organismi di vigilanza ed è proprio in questo modo che ci pare di poter riassumere e anche fotografare quello che è successo nella crisi della Banca popolare di Bari. Un caso, tra l'altro, in cui emerge l'elemento lampante di criticità lungamente ignorate, considerando che, già nel 2010, i primi accertamenti della Banca d'Italia sull'istituto di credito davano, come esito, valutazioni parzialmente sfavorevoli. A ciò si aggiunga, poi, una lunga serie di punti nebulosi, tra cui l'acquisizione di Banca Tercas, avvenuta nel 2014, che pare abbia peggiorato ulteriormente la situazione della Banca popolare di Bari.

Oggi iniziamo, dunque, la discussione, un dibattito su un decreto che, di fatto, chiede agli italiani un ulteriore sacrificio, perché non dobbiamo dimenticare che vengono richiesti 900 milioni per rafforzare il patrimonio del Mediocredito centrale, destinati al rafforzamento delle attività di investimento nel Mezzogiorno, di cui 500 milioni sarebbe la quota destinata alla Banca popolare di Bari.

Ebbene, le priorità di Fratelli d'Italia sono state, su questi temi, assolutamente chiare. Noi vogliamo che vengano salvaguardati, prima di tutto, i risparmiatori. Ovviamente, aspettiamo, con la nostra solita coerenza, di vedere come si evolverà il dibattito in Aula, perché non possiamo dimenticare che le vere vittime di questo sistema, che sembra aver perso la propria missione, sono proprio i risparmiatori, non soltanto le piccole e medie imprese: parliamo degli anziani, parliamo dei giovani che, magari, hanno investito le loro piccole somme e i loro piccoli risparmi, parliamo di persone che non hanno avuto la possibilità di capire quello che succedeva all'interno del sistema bancario.

Ovviamente, non possiamo non evidenziare come, secondo noi, l'intero sistema bancario necessiti di iniziative profonde e organiche per una vera ristrutturazione. Fratelli d'Italia ha, da tempo, formulato quelle che ritiene delle proposte decisive: l'abolizione, per esempio, del segreto d'ufficio sulle ispezioni condotte dalla vigilanza di Banca d'Italia e Consob, perché, ovviamente, attraverso la corretta informazione, si può raggiungere il risultato migliore, e la corretta informazione non può essere mai considerata destabilizzante.

Abbiamo chiesto, per esempio, la condivisione in un unico database di tutte le informazioni in possesso dei vari organi di vigilanza italiani, come già avviene ed è stato sperimentato in moltissimi altri Paesi europei. Il ridisegno del ruolo del Ministero dell'Economia la cui funzione ci pare, rispetto a questi temi, troppo debole e poco incisiva laddove, invece, si crea una parte dell'economia della nostra nazione. La massima trasparenza sui grandi debitori insolventi e l'inasprimento delle sanzioni nei confronti di coloro che compiono operazioni di prestito non corrette.

Il gruppo di Fratelli d'Italia ha presentato, proprio alla fine della discussione in Aula, che inizieremo domani, una serie di emendamenti il cui scopo principale è quello di riportare l'attenzione non soltanto sui massimi sistemi e, quindi, non su quello che in Italia siamo abituati a fare, cioè la soluzione del problema nell'immediato senza avere però una visione globale che comprenda le vere vittime di tutto questo processo che, per Fratelli d'Italia, sono sicuramente le piccole imprese, ma sono altrettanto sicuramente i piccoli risparmiatori. Piccoli risparmiatori che, ovviamente, rispetto alla conoscenza dei fatti e rispetto anche ai temi e a quello che andavano sottoscrivendo, probabilmente sono stati deliberatamente presi in giro. Lo diciamo con assoluta convinzione e con il senso di chi ha letto le carte della vicenda di Banca Popolare di Bari perché, vedete, le crisi bancarie non possono sistematicamente dispiegare il proprio effetto in una tassa occulta per gli italiani, che è quello che sostanzialmente stiamo facendo in questo momento. Non è un segreto che questa svolta nel solco di responsabilità si rende ancora più necessaria a fronte di quanto starebbe emergendo nelle more proprio dell'inchiesta sulla Popolare di Bari: la presunta concessione di crediti a decine di società nella consapevolezza della loro inesigibilità; crediti iscritti nei bilanci come sicuri quando invece non lo erano. Iscrizione e prestiti di crediti a società che erano già in dissesto e questo riporta un grandissimo tema, cioè riporta il tema della consapevolezza e della dignità di chi governa gli istituti bancari perché è chiaro che l'istituto bancario rappresenta, soprattutto in territori piccoli, in territori piccolissimi all'interno dei quali operava Banca Popolare di Bari, un rapporto diretto fra il cittadino e l'attività d'impresa. Fratelli d'Italia su questo si è battuto fortemente perché vorremmo la chiarezza, la limpidezza del comportamento e vorremmo anche la punizione forte e ferma di chi sbaglia e di chi amministra quello che dovrebbe essere un punto di riferimento per i piccoli territori: chi li amministra consapevolmente in danno proprio dei risparmiatori secondo noi dovrebbe essere punito fortemente e non dovrebbe ricevere alcun trattamento di favore. Fratelli d'Italia per l'onestà intellettuale, che l'ha contraddistinto in tutto questo percorso all'interno della legislatura, aspetterà il dibattito d'Aula; aspetterà di capire se i temi affrontati dal decreto-legge possano ampliarsi a quello che, come dicevo, per noi è assolutamente fondamentale, cioè i risparmiatori e le piccole imprese. Indubbiamente, il decreto presenta un quadro che in questo momento non incoraggia questo tipo di lettura, ci auguriamo, però, che il dibattito d'Aula possa portare a migliorare il testo proprio in questo senso, proprio verso i nostri risparmiatori. Affinché il decreto sia efficace deve parlare del sistema impresa del Mezzogiorno e deve parlare a quel sistema, deve parlare a quei risparmiatori che hanno riposto la loro fiducia e che oggi invece vedono tradita quella fiducia. L'obiettivo dell'intera classe parlamentare, soprattutto in fatti come questi, dovrebbe essere quello che il sistema bancario diventi ossigeno e non un cappio dello strato economico-produttivo. Su questo Fratelli d'Italia vigilerà puntualmente. Siamo pronti a partecipare in maniera attiva al dibattito politico perché vorremmo che gli istituti di credito e, in particolare, Banca Popolare di Bari non diventi un altro motivo di distacco fra i poteri forti e i cittadini che, in quelli, invece, credono fortemente (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Fregolent. Ne ha facoltà.

SILVIA FREGOLENT (IV). Grazie gentile Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, mi verrebbe da dire, usando una frase del giornalista Enzo Tortora, dove eravamo rimasti? Dove eravamo rimasti in tema di banche? Una piccola cronistoria sul tema banche popolari occorre farla. Dal 1998 persone del calibro di Mario Draghi e il Ministro di allora, Carlo Azeglio Ciampi, cercarono di modificare il sistema delle banche popolari non riuscendoci. Da allora nessun Governo ci ha mai riprovato. È vero, onorevole Zanettin, che dal 2001 dovevamo fare quelle riforme: non venite a dircelo a noi, troppi interessi particolari da tutelare. Fino al 2015 con la riforma banche popolari voluta dal Governo Renzi. Certo che le opposizioni anche questa volta sono state tolleranti con un mondo, quelle delle banche popolari, che mal hanno digerito la riforma. Il mondo politico, invece, di appoggiare il cambiamento si è appiattito nelle critiche, nella tutela degli interessi particolari, nelle quali saremmo arrivati ad essere descritti come coloro che hanno tentato di promuovere la riforma come amici dei banchieri, amici degli amici, amici dei potenti: il mondo reale contro il mondo delle banche e noi a supportare quello delle banche. Quante volte abbiamo sentito raccontare come quella delle banche popolari fosse una realtà virtuosa, rivolta al territorio nell'interesse delle imprese e delle persone a differenza delle banche commerciali. Eppure in questi anni abbiamo visto, di volta in volta, venir meno questa narrazione ogni volta che si è dovuto porre mano ad un salvataggio. In questi anni ne abbiamo fatti tanti di salvataggi. Mi permetto di dirlo io che, nella passata legislatura, ho fatto quasi tutte le dichiarazioni di voto sui decreti in materia di banche. Eppure nemmeno questo ha fatto modificare la narrazione. La sussistenza del voto capitario secondo il quale ogni socio delle banche popolari poteva esprimere nell'assemblea degli azionisti un solo voto - ogni testa un voto - indipendentemente dal numero di quote posseduto, è stato il sistema che ha di fatto blindato le banche popolari a qualsiasi scalata, perché nessun soggetto ha mai potuto acquisire da solo il controllo diretto dei voti dell'assemblea. La nomina degli amministratori in queste realtà è sempre avvenuta con ampio consenso degli azionisti, con i vari portatori di interessi locali a spartirsi il potere senza alcuna remora. Durante le audizioni di Mediocredito qualche collega dell'opposizione - mi ricordo il collega Centemero della Lega, ma non vorrei sbagliare - aveva sottolineato come non fosse stata data particolare enfasi alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea nei confronti della decisione di respingere l'interpretazione della Commissione di considerare intervento del Fondo interbancario nei confronti di Tercas e della Banca Popolare di Bari come aiuto di Stato. Benissimo, giudizio errato della Commissione che deve essere rimarcato e che ha sicuramente condizionato gli interventi sulle banche fino al 2019, quando appunto è arrivata la sentenza della Corte di giustizia. Probabilmente la storia sarebbe stata scritta in altro modo se da subito avessimo avuto la contezza che quell'intervento non era da considerare aiuto di Stato. Con la stessa franchezza però mi piacerebbe che venisse riconosciuta da tutte le forze politiche la sentenza della Corte costituzionale del marzo 2018 che ha dichiarato legittima la riforma di Renzi delle banche popolari del 2015. È stata fatta giustizia di una narrazione contro di noi su una riforma incostituzionale che aveva danneggiato i risparmiatori e tutelato i banchieri: niente di più falso.

Con questo decreto, come ha ricordato brillantemente il mio collega Ungaro, salviamo la Banca Popolare di Bari; una delle due banche popolari, sulle dieci che erano soggette alla riforma, che hanno chiesto e ottenuto un rinvio nell'attuazione della riforma del 2015; e oggi, guarda caso, siamo chiamati a salvare - pardon, a rilanciare - proprio una delle banche che non ha provveduto alla trasformazione. Quante volte abbiamo sentito parlare della connessione territoriale tra banche popolari e territorio? E oggi viene ammesso che è stata una finzione. In questo caso parliamo di 350 filiali sparse in Italia, in particolare nelle regioni di Puglia, Basilicata e Abruzzo, in comuni dove, se fallisse questa banca, non ci sarebbero più sportelli bancari. Pertanto, dopo anni di menzogne su un tema delicato come questo e sensibile, finalmente abbiamo visto due forze politiche, come Lega e 5 Stelle, una volta andate al potere con due Governi diversi - gialloverde e giallorosso - provvedere allo stesso modo di quanto fatto dai Governi Renzi e Gentiloni, prima con il “decreto Carige” e poi anche con il “decreto Bari”. È la dimostrazione che, quando le banche sono in difficoltà, per evitare l'effetto domino, per evitare che si percorra una crisi ancora più profonda e per evitare uno sconforto da parte degli azionisti e da parte dei risparmiatori, si interviene urgentemente, con un decreto, per salvaguardare il sistema nella sua interezza. Ecco dove eravamo rimasti: a cinque anni di menzogne e forse solo oggi riusciamo a vedere un po' di luce. Per questo, con estrema responsabilità, come ha già preannunciato il mio collega Massimo Ungaro e come sicuramente poi farà in dichiarazione di voto il collega Del Barba, noi convintamente diremo “sì” a questo decreto, non perché pensiamo di essere amici dei banchieri ma perché pensiamo di essere amici dei risparmiatori, e quando fallisce una banca, in primo luogo falliscono i risparmiatori, in secondo luogo i lavoratori che ci lavorano e poi un intero sistema creditizio.

Oggi il nostro sistema, che serve a investire nelle imprese, è ancora troppo banco-centrico; magari un domani non sarà più così. Oggi salvare una banca, anche con soldi pubblici, è un dovere morale (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia Viva).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Raffaele Baratto. Ne ha facoltà.

RAFFAELE BARATTO (FI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, signor sottosegretario, siamo costretti nuovamente a portare all'attenzione di quest'Aula quello che nessuno oggi può permettersi di evitare di definire ‘una vera e propria operazione di salvataggio', benché ci sia qualcuno in quest'Aula ed altrove che voglia negare, compiendo spergiuro, quello di cui discutiamo oggi. Io credo, invece, che sia necessario affermarlo con chiarezza fin dall'inizio: è giunto, dopo cinque anni di stabilità finanziaria e crac bancari costati miliardi, il momento di mettere da parte, in quest'Aula, ipocrisie, isterie ed inutili polemiche; le stesse che hanno attraversato l'intero arco costituzionale, riguardato leader politici e manager di ogni estrazione. Mentre il Parlamento e il Governo, i partiti ed i leader dei principali partiti italiani si scambiavano accuse - nell'ordine, Monte dei Paschi di Siena, Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara e Banca Marche, Monte dei Paschi, Popolare di Vicenza, Veneto Banca -, istituti con una solida storia alle spalle ed una radicata presenza sul territorio venivano letteralmente spazzate via dall'incompetenza di manager, fondata su vassallaggio e convenienze, da potentati locali ingordi e da una politica inerte ed incapace di assumere decisioni radicali, più impegnata a scambiarsi accuse che a salvare i risparmi degli italiani.

Non esistono ancora - e forse non esisteranno mai - dati certi sul risultato di questa assurda crociata dei puri, giocata sulla pelle di interi territori, delle imprese e dei risparmiatori tutti, ma l'incapacità dimostrata dai Governi che si sono susseguiti negli ultimi anni e del sistema politico tutto è costata forse più di ogni altra variabile ai contribuenti italiani: miliardi di euro e soprattutto le speranze di futuro e lo sviluppo di interi territori. Penso al mio Veneto, dove, in poco più di un anno, è stato azzerato il risparmio di centinaia di migliaia di famiglie, imprese e piccoli artigiani, un risparmio accumulato con il duro lavoro di generazioni, da gente caparbia e indefessa che non si è piegata alle grandi crisi e mai si è persa d'animo; generazioni, quelle passate, che lavoravano assecondando il motto che ogni soldo risparmiato è un soldo guadagnato per garantire un futuro a figli e nipoti, per consegnare loro una casa e guidarli a quella autonomia che padri e nonni avevano più duramente conquistato.

In poco più di un anno sono andati in fumo per moltissimi di loro decenni di sacrifici nel totale assordante e incredibile silenzio della politica locale e nazionale. Istituti con oltre cinquant'anni di storia sono stati lasciati al loro destino, acquisiti da una banca a vocazione internazionale che mal comprende la storia e l'identità dell'impresa veneta. Faccio questo esempio, non a caso, per significare una volta per tutte che, anche se troppo tardi, per migliaia di risparmiatori è l'ora di una svolta, una svolta che deve partire dalla constatazione del ruolo della politica nel governo del sistema bancario, che, o è governato o governa.

Non voglio oggi addentrarmi nelle complesse vicende che hanno attraversato le singole crisi che hanno portato al salvataggio o alla messa in liquidazione degli istituti che ho già citato, ma il solo fatto di constatare che per ciascuno di essi si sia trovata una soluzione differente, offre chiaramente l'immagine di una politica totalmente in balia degli eventi, disorientata, assorbita da se stessa e incapace di governare un fenomeno emergenziale che non ha saputo cogliere.

Un Governo serio avrebbe dovuto anticipare queste crisi, le avrebbe dovute gestire con mano ferma ed una soluzione univoca e replicabile: non saremmo, forse, oggi qui a discutere dell'ennesimo salvataggio, che pensano di venderci con squilli di trombe come un'operazione di rilancio. La realtà è ben diversa: 1,5 miliardi di euro di risparmio bruciati, 70 mila soci con valore delle azioni azzerate e, al momento, non si conosce il destino di 213 milioni di euro investiti dai piccoli risparmiatori in obbligazioni della banca.

Questi sono alcuni dei numeri impietosi che offre il caso di Banca Popolare di Bari, una banca con un management del tutto singolare: al vertice il padre e alla direzione generale i due figli. Un tuffo nel passato ci potrebbe dire che sembrerà riportarci alla Firenze delle grandi famiglie di banchieri, salvo poi però constatare che la misura degli uomini forse è ben diversa: lo dimostra il fatto che, alla prima aria di crisi, gli stessi vertici abbiano dato il via al “fuggi fuggi” generale degli stessi asset detenuti presso la banca. Una storia di ordinaria incapacità, tutta italiana, dalla quale gemma la discussione di oggi. Una storia - permettetemi, colleghi - che deve oggi, lo sottolineo con vigore, interrogarci sull'efficacia e sull'imparzialità del nostro sistema di vigilanza. Una questione su cui ormai molte forze politiche incontrano consenso e sulla quale, credo, si debba fare tutti insieme un passo in avanti, una volta tanto per prevenire e non, come sempre finora, solo curare, che alle volte è troppo tardi.

Ma come è possibile, infatti, che situazioni che oggi con gli occhi appaiono quantomeno grottesche eticamente siano passate intonse ai controlli incrociati di almeno due Autorità (e non parlo solo di Popolare di Bari)?

Siamo di fronte, onorevoli colleghi, a un'emergenza che non è conclusa. Purtroppo, il sistema bancario italiano è oggi affetto da problematiche delle quali forse ancora non ci rendiamo del tutto conto. Il profondo radicamento al territorio sul quale si è fondato il successo della piccola e media impresa italiana è anche da attribuirsi a un sistema bancario che ne ha compreso le ragioni di esistenza e le esigenze di sviluppo. Si tratta di un modello che non può essere lasciato al suo destino, fagocitato da agglomerati bancari spersonalizzati che ragionano per algoritmi, tagli di spesa e che in futuro parleranno sempre meno italiano.

C'è uno sforzo titanico da fare per traghettare il sistema dei piccoli e medi istituti di credito verso un sistema di gestione più trasparente, facendo conservare quel legame con il territorio che è la radice di uno dei pochi successi economici che ancora possiamo attribuirci e soprattutto vantarci. Occorre, allora, un impegno collettivo che dobbiamo assumerci tutti quanti e per questo, cari colleghi, Forza Italia voterà a favore (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Francesca Anna Ruggiero. Ne ha facoltà.

FRANCESCA ANNA RUGGIERO (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, rappresentante del Governo, oggi ci apprestiamo a discutere un provvedimento fondamentale per la tenuta del sistema economico-finanziario del Mezzogiorno, nonché per la tutela dei cittadini e dei risparmiatori italiani. L'intervento si iscrive nel quadro, ormai annoso, del ritardo dello sviluppo del Mezzogiorno rispetto al resto d'Italia. Lo strutturale gap economico fra Nord e Sud Italia si è acuito recentemente a causa della doppia recessione che ha colpito questi territori. Nel 2018 il prodotto interno lordo del Meridione era all'incirca di 10 punti percentuali inferiore rispetto a quello del 2007, mentre nell'Italia settentrionale la differenza era pari a 3 punti, a dimostrazione di come i due territori abbiano reagito con diverse velocità ai gravi danni subiti dalla crisi. I tassi di crescita hanno continuato a registrare differenze significative fra le diverse parti d'Italia.

Ancora più interessanti sono gli indicatori che correlano la crescita economica con il benessere e i servizi offerti ai cittadini, ovvero con la qualità della vita nelle sue diverse declinazioni. Secondo l'ultimo rapporto, il BES 2019, nonostante alcuni segnali di miglioramento per il Sud permangono ancora importanti criticità legate all'intensità della ripresa economica, con variazioni negative degli indicatori sul benessere economico e sul lavoro e alle caratteristiche della struttura produttiva, dove sono in peggioramento gli indicatori di innovazione, ricerca e creatività. A queste problematiche, che evidenziano come la cosiddetta “questione meridionale” sin dall'Unità d'Italia continua a manifestarsi ancora oggi, si aggiunge il dramma dell'immigrazione, l'emorragia demografica che sta colpendo il Sud disperdendo energie e risorse vitali su cui l'Italia ha investito per molti anni, che costituisce un'altra nota critica di un quadro estremamente delicato su cui è richiesta l'attenzione continua del Governo e del Parlamento.

In relazione all'accesso al credito delle aziende, secondo l'audizione della vicedirettrice generale della Banca d'Italia, Alessandra Perrazzelli, la quota di quelle che dichiarano di non ottenere il credito desiderato continua a essere più alta nelle regioni del Mezzogiorno.

Il decreto-legge che andiamo a convertire prevede l'assegnazione di uno o più contributi in conto capitale a Invitalia, fino al limite massimo di 900 milioni di euro nel 2020 al fine di realizzare il rafforzamento patrimoniale della società Banca del Mezzogiorno-Mediocredito Centrale per promuovere iniziative finanziarie di investimento anche mediante acquisizioni di partecipazioni al capitale di banche e società finanziarie, di norma società per azioni, e nella prospettiva di ulteriori operazioni di razionalizzazione di tali partecipazioni secondo logiche, criteri e condizioni di mercato.

Con il provvedimento che oggi discutiamo andiamo anche a porre in essere delle azioni di tutela per i risparmiatori della Banca Popolare di Bari, senza le quali l'istituto di credito pugliese sarebbe andato in liquidazione, una circostanza pericolosa che, secondo le stime di Bankitalia, avrebbe comportato un costo di 4,5 miliardi per il sistema bancario, con ricadute nefaste per il tessuto economico imprenditoriale locale. Allo stesso modo, grazie al nostro intervento si eviterà la revoca di 6 miliardi di euro di affidamenti concessi dalla Banca Popolare di Bari a circa 100 mila aziende, molte delle quali meridionali, impedendo la chiusura di gran parte di esse oltre che l'aumento del numero dei disoccupati.

La situazione della Banca Popolare di Bari, uno degli istituti di credito più importanti del Mezzogiorno, aggiunge un ulteriore tassello a un quadro socio-economico delicato qual è quello del Sud Italia. I problemi manifestati dalla Popolare di Bari non sono certamente sorti dall'oggi al domani, e il MoVimento 5 Stelle si era già occupato della questione. Il 31 ottobre 2018 presentai un'interrogazione a risposta immediata all'ex Ministro dell'Economia Giovanni Tria. Il fermo rifiuto posto dalla Banca Popolare di Bari alle richieste dei soci in liquidazione delle quote di conoscere il valore effettivo del loro investimento al momento dell'eventuale realizzo aveva portato ad azioni legali di singoli gruppi o per tramite di associazioni di consumatori. Le iniziative, promosse presso l'arbitro per le controversie finanziarie presso Consob, avevano determinato delle decisioni orientate al risarcimento degli azionisti, i quali non erano in grado di percepire l'alta rischiosità dell'investimento. Le notizie di stampa, apparse su Il Sole 24 Ore del 5 ottobre 2018, avevano segnalato provvedimenti della Consob approvati a metà settembre, con sanzioni pecuniarie e amministrative a carico dei vertici della banca, per violazioni relative a eventi tra il 2014 e il 2016, in quel momento, però, sospesi dalla corte d'appello, per un ammontare totale di 1,95 milioni di euro. Alla luce di questo, chiedevo quali urgenti iniziative il Governo intendesse assumere in relazione ai casi di Banca Carige e Popolare di Bari e l'allora Ministro Tria, ovviamente alla luce dell'attività di vigilanza svolta da Bankitalia, dichiarò che lo stato di dissesto o di rischio di dissesto erano presupposti che non ricorrevano per le banche in questione. Col senno di poi questo episodio ha sollevato ancora più dubbi sull'attività di vigilanza svolta da Banca d'Italia, nonché sulla sua efficacia. Nello stesso periodo forti erano le preoccupazioni in merito alla situazione dell'istituto di credito pugliese, con il crollo del prezzo delle azioni che erano passate da un valore di 9,53 euro di inizio 2016 a 2,38 per azione, registrando un calo del 75 per cento in meno di tre anni. Intanto, nel 2018 la Popolare di Bari chiudeva il primo semestre in rosso e migliaia di soci non riuscivano a vendere le proprie azioni. Il 18 giugno 2019 Banca d'Italia inviava gli ispettori per una nuova ispezione sui crediti. Il 21 luglio 2019, dopo numerosi rinvii, l'assemblea dei soci approvava, in una seduta per la prima volta a porte chiuse, il bilancio 2018 e il piano di conservazione del capitale sociale, che si era ridotto, a causa delle perdite, da 1.073 a 493 milioni. Il risultato consolidato del primo semestre 2019 evidenziava una perdita di 58,6 milioni, 73,3 milioni considerando l'effetto delle imposte, con costi operativi pari a 169,4 milioni e rettifiche sui crediti in forte riduzione che si attestavano a 44,2 milioni. Gli indici patrimoniali erano al di sotto dei minimi regolamentari, aggravati anche dalla diminuzione del capitale. Nella relazione semestrale, la banca affermava che “la situazione patrimoniale fa emergere dubbi significativi sulla capacità del gruppo di continuare la propria attività operativa in un'ottica di funzionamento in un futuro prevedibile”.

Il 5 dicembre 2019 il consiglio d'amministrazione della Banca Popolare di Bari inviava ufficialmente una richiesta di aiuto comunicandola al Fondo interbancario attraverso un'informativa, all'interno della quale erano illustrate le problematiche e la necessità di un intervento. Il 10 dicembre 2019 l'amministratore delegato, De Bustis, dichiarava che era necessario un aumento di capitale fra gli 800 milioni e un miliardo, aggiungendo che “la banca ha crediti deteriorati per il 25-26 per cento del portafoglio e il costo del credito ha superato ogni misura accettabile”. Il 13 dicembre Banca d'Italia commissaria Banca Popolare di Bari, disponendo lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo e avviando la procedura di amministrazione straordinaria, alla luce delle perdite patrimoniali. La lunga nota di Bankitalia ha sottolineato che chi ha gestito la Popolare di Bari si è rivelato incapace di adottare con sufficiente celerità ed efficacia le misure correttive per superare la situazione di difficoltà dell'istituto di credito. Il 15 dicembre il Consiglio dei ministri approva il decreto n. 142 del 2019, con il quale stanzia una somma fino a un importo complessivo di 900 milioni per il 2020 alla Banca del Mezzogiorno affinché possa acquisire le quote della Popolare di Bari. Per l'ennesima volta lo Stato ha dovuto agire per mettere in sicurezza il sistema economico-creditizio locale.

Da tempo la Banca Popolare di Bari navigava in brutte acque e la sua posizione è peggiorata, con il passare degli anni, a causa di una cattiva gestione finita nel mirino di procura, Consob e Bankitalia. Per la Banca Popolare di Bari qualcuno ha parlato di capitalismo degli amici, in riferimento alla leggerezza con cui veniva elargito denaro agli amici degli amici senza valutare il merito di credito, forse con la connivenza delle classi dirigenti locali. Su questo, è notizia proprio degli ultimi giorni l'apertura di un ulteriore filone d'inchiesta. La gestione da parte degli Jacobini si è rivelata totalmente inadeguata ed è sacrosanto che la giustizia faccia il suo corso per acclarare eventuali responsabilità nella vicenda. Ci sono innumerevoli inchieste che ipotizzano dalla falsificazione dei bilanci alla vendita di strumenti finanziari a persone incapaci di comprendere cosa stavano acquistando. Abbiamo conosciuto le storie di una signora di 84 anni a cui sono stati venduti prodotti pari a 130 mila euro; o ancora, di persone che, dopo la scoperta dell'illiquidità delle proprie azioni, si sono ammalate gravemente dovendo assumere psicofarmaci. Anche su questo fronte sono in corso numerose indagini, per l'ipotesi di truffa a danno dei piccoli azionisti. Fa rabbia leggere che questi piccoli azionisti erano stati distolti dall'investimento in Buoni del Tesoro dai dirigenti dell'istituto, i quali assicuravano che le azioni della Banca Popolare di Bari erano prive di rischio. Nell'audizione dell'associazione Vittime del Salva-banche sono state portate le testimonianze di chi denunciava le politiche scorrette messe in atto dalla banca, che avrebbe accordato garanzie sulla liquidità del titolo e sull'affidabilità dell'investimento. Nella stessa circostanza è stato denunciato anche il puntuale trasferimento di dipendenti al fine di non esporli ai reclami dei soci che si sentivano raggirati. È inaccettabile che le conseguenze di una crisi di questo tipo, in cui la mala gestione ha giocato un ruolo importante, debbano sempre scaricarsi sulla povera gente, circuita solo in nome della massimizzazione dei profitti; così come è inaccettabile scoprire che i compensi dei vertici dell'istituto erano indipendenti rispetto all'andamento dei conti, a differenza di quanto avveniva per dipendenti e risparmiatori. Nel 2018, il consiglio d'amministrazione, come riportato da La Repubblica - Bari, dopo aver votato un bilancio in perdita per 420 milioni di euro, aveva deciso l'aumento dei compensi per tutti i membri di consiglio e dirigenza; erano raddoppiati i gettoni di presenza da 40 mila 70 mila euro e, con la nascita di cinque nuovi interni al consiglio, si creava di fatto un'altra occasione di guadagno per tutti i consiglieri. In aggiunta, lo stesso De Bustis, in quel famoso audio della riunione del 10 dicembre acquisito poi dalla procura, diceva che i conti della Banca Popolare di Bari erano tutti truccati, compresi quelli della filiale: questa banca è un esempio di scuola di cattivo management, irresponsabile ed esaltato, aveva detto De Bustis. Nella vicenda della Popolare di Bari, come abbiamo già detto, sono sorti dubbi anche in relazione all'operato di Bankitalia, tanto che i rapporti tra i vertici della Popolare di Bari è la vigilanza di Bankitalia sono entrati formalmente nell'inchiesta penale sul crack dell'istituto. Il caso della Popolare di Bari è solamente l'ennesima difficoltà del nostro sistema creditizio, che evidentemente necessita di riforme strutturali. Secondo i calcoli degli analisti di Equita SIM, la ristrutturazione del sistema bancario italiano, a partire dal 2015, ha richiesto interventi complessivi pari a 33 miliardi di euro; di questa cifra, 21 miliardi sono arrivati dallo Stato, dei quali 11 miliardi per il salvataggio delle banche venete, 4 miliardi per Monte Paschi di Siena e 11 miliardi dal sistema bancario stesso. Questi numeri rendono ancora più impellente l'istituzione della Commissione d'inchiesta sulle banche, che potrà mettere in luce cosa non ha funzionato nelle varie crisi bancarie degli ultimi anni. Vogliamo sottolineare la differenza di approccio del nostro intervento rispetto al passato: abbiamo adottato in tempo tutte le precauzioni perché la banca non finisse in liquidazione. Questo avrebbe comportato un danno enorme, sia sul sistema bancario che sui cittadini, nuocendo gravemente al tessuto socio-economico del Sud Italia. Allo stesso tempo, con le operazioni di MedioCredito Centrale-Banca del Mezzogiorno, costruiamo un'opportunità per rafforzare gli investimenti nel Sud Italia, a beneficio di cittadini e risparmiatori, puntando altresì alla salvaguardia dei livelli occupazionali. Con il MoVimento 5 Stelle non ci sarà più spazio ad oscure connivenze con i poteri forti, perché saremo sempre dalla parte dei più deboli e degli indifesi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2302-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Claudio Mancini, se vuole replicare; non è obbligatorio; prendo atto che rinuncia.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, sottosegretario Baretta.

PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze. Grazie, Presidente, alcune rapide considerazioni. La prima è che c'è una domanda alla quale i critici di questo intervento, come degli altri interventi bancari, evitano di rispondere, cioè cosa sarebbe successo se i Governi in questi anni non fossero intervenuti e avessero lasciato andare le crisi bancarie al loro destino. Non è difficile rispondere: è evidente che le conseguenze economiche sui territori interessati sarebbero state ben più gravi e ben più disastrose. Soprattutto, coloro che criticano la vigilanza, dovrebbero ulteriormente aver presente quanto sia stato necessario l'intervento del Governo, tant'è che, non potendo avere una risposta adeguata a questo quesito, normalmente ci si rifugia sul fatto che gli interventi dei Governi sono stati tardivi: beh, non si può dire che questo intervento sia tardivo. Ci sono stati nel corso degli anni diversi interventi caratterizzati dalle diverse situazioni; le crisi bancarie sono tutte diverse tra loro, sia le venete dalle quattro precedenti, dal Montepaschi e da questa; hanno caratteristiche specifiche e, in questo caso, sicuramente si è trattato e si tratta di un intervento non soltanto preventivo ma di rilancio della banca. Partiamo dal presupposto che questa non è ancora, fortunatamente, una banca fallita e questo intervento ha il tentativo esplicito di evitare che avvengano situazioni peggiori.

Ricordo che in nessuna crisi bancaria i Governi, qualsiasi Governo, ha mai adottato il bail-in: c'è una scelta esplicita dell'Italia che, pur avendo aderito alla regola europea, considera quella soluzione non adeguata alla tutela dei risparmiatori, che sono il punto di fondo e di partenza di una politica del Governo. Lo sviluppo del Mezzogiorno, come ricordava il relatore Mancini, rappresenta l'asse conclusivo di questo intervento, che è fatto di un mosaico, come avete visto anche dalla distribuzione degli interventi legislativi. Allora, per questa ragione - faccio la terza ed ultima considerazione - questo percorso (finanziamento di Invitalia, salvataggio della Popolare di Bari, avvio di un percorso di crescita e di credibilità del sistema creditizio meridionale) ha bisogno di essere costantemente seguito e monitorato, non solo dal Governo ma anche dal Parlamento; per questo abbiamo accolto le proposte emendative che sono venute da alcune forze politiche e abbiamo inserito nel testo del decreto un rigorosi e puntuale monitoraggio dell'itinerario, sia da parte di chi amministrerà sia da parte del Ministero dell'economia. Questo consente al Parlamento di avere la costante conoscenza di ciò che avviene e anche, come veniva ricordato anche dalle opposizioni - tema però che non ci divide, ma anzi ci unisce – di avere come punto di partenza la tutela integrale, il più possibile, dei risparmiatori, sapendo che i risparmiatori si dividono tra correntisti, obbligazionisti e azionisti. Sono tre figure diverse, ma l'intenzione del Governo in questa situazione è che, nelle forme e nei modi che saranno compatibili con queste diverse fisionomie, la tutela del risparmiatore sia al centro dell'interesse politico del Governo, della maggioranza e - mi pare evidente - non può che esserlo anche per il Paese.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). Presidente, il 19 gennaio di venti anni fa moriva ad Hammamet Bettino Craxi, deputato per sette legislature, deputato europeo per due, segretario del Partito Socialista Italiano, esponente di spicco dell'Internazionale socialista, primo socialista in Italia a ricoprire l'incarico di Presidente del Consiglio dei ministri. Quando si pensa a Craxi si pensa a un'Italia grande, che faceva parte delle prime cinque potenze mondiali, e si pensa a una politica con la P maiuscola.

Ai Governi Craxi dobbiamo il nuovo Concordato, quello che stabilisce la fine della religione di Stato in questo Paese e la libertà di insegnamento della religione cattolica, la sua facoltatività; dobbiamo il “decreto di San Valentino”, il referendum che Craxi stravinse nel 1985, dobbiamo l'abbattimento dell'inflazione dal 12,5 al 5 per cento, dobbiamo anche cose più spicciole come l'introduzione del registratore di cassa e dello scontrino fiscale. Al politico Craxi dobbiamo l'avvio del dibattito sulle riforme: fu il primo a parlare di presidenzialismo; fu il primo anche, alla faccia di qualcuno, a parlare di riduzione del numero dei parlamentari, non così: in un quadro di insieme, di riforma dello Stato, della forma di Governo. In politica estera fu determinante nel quadro del posizionamento dell'Italia sugli euromissili, fu protagonista della nota vicenda di Sigonella, ebbe una visione dell'Europa, della propria costituzione, della propria integrazione e anche dei limiti, tuttora ancora molto, molto attuale, svolse un lavoro importante all'interno delle Nazioni Unite e tanto altro ancora possiamo dire sulla figura di Craxi. C'è un giudizio storico ancora tutto da definire, un capitolo aperto nella vicenda politica di questo Paese, in particolare all'interno della sinistra italiana, un capitolo che non possiamo liquidare con il giudizio ipocrita, spesso ignorante o in malafede, di chi vuole ridurre il personaggio di Bettino Craxi alle condanne giudiziarie, alla sua vicenda giudiziaria.

Io, che sono uno che ha sempre voluto pensare con la sua testa, ha sempre avuto il vizio di volersi rendere conto personalmente delle cose, oltre ventidue anni fa andai a trovare e a conoscere Bettino Craxi ad Hammamet: era un potente senza più potere, era un uomo a cui molti di quelli che gli dovevano tutto avevano voltato le spalle, era un uomo che soffriva della malattia e di quello che lui giudicava un esilio lontano dal suo Paese, era un uomo che amava la politica, lo Stato, la visione della politica, era un uomo che aveva stretto le mani di Ronald Reagan, di Gorbaciov, della Thatcher, eppure era un uomo che trovava due mezze giornate da dedicare a un ragazzetto di 25 anni appassionato di politica per spiegargli che cos'era la politica, qual era la sua visione. Ventidue anni dopo, esattamente ieri, sono tornato ad Hammamet a poggiare un garofano rosso sulla tomba di Bettino Craxi. L'ho fatto perché ho creduto che fosse bello e giusto nei confronti suoi, della sua famiglia e anche della nostra storia, grazie (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 21 gennaio 2020 - Ore 10:

1. Seguito della discussione del disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 16 dicembre 2019, n. 142, recante misure urgenti per il sostegno al sistema creditizio del Mezzogiorno e per la realizzazione di una banca di investimento. (C. 2302-A)

Relatore: MANCINI.

La seduta termina alle 16,15.