XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 314 di martedì 3 marzo 2020

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI

La seduta comincia alle 14,05.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

LUCA PASTORINO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 25 febbraio 2020.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Azzolina, Battelli, Benvenuto, Berlinghieri, Boccia, Bonafede, Claudio Borghi, Boschi, Brescia, Buffagni, Businarolo, Cancelleri, Castelli, Cirielli, Colletti, Colucci, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Dadone, Daga, De Maria, De Micheli, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Ferraresi, Gregorio Fontana, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gallinella, Gallo, Gebhard, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgis, Grande, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Iovino, L'Abbate, Liuni, Liuzzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Lupi, Maggioni, Mammì, Maniero, Mauri, Molinari, Morani, Morassut, Morelli, Orrico, Parolo, Rizzo, Rosato, Ruocco, Paolo Russo, Saltamartini, Scalfarotto, Schullian, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Spadoni, Speranza, Tasso, Tofalo, Traversi, Vignaroli, Villarosa, Raffaele Volpi e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del disegno di legge: S. 1664 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 gennaio 2020, n. 1, recante disposizioni urgenti per l'istituzione del Ministero dell'istruzione e del Ministero dell'università e della ricerca (Approvato dal Senato) (A.C. 2407).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 2407: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 gennaio 2020, n. 1, recante disposizioni urgenti per l'istituzione del Ministero dell'istruzione e del Ministero dell'università e della ricerca.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2407)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, presidente della Commissione affari costituzionali, deputato Giuseppe Brescia.

GIUSEPPE BRESCIA, Relatore. Presidente, l'Assemblea oggi è chiamata quindi a discutere la conversione di questo decreto-legge, che appunto, come lei ha detto, prevede la soppressione del vecchio Dicastero MIUR con la riorganizzazione delle attribuzioni attraverso l'istituzione di due nuovi Ministeri, rispettivamente dedicati agli ambiti delle istituzioni scolastiche il primo e universitarie il secondo; e dunque specificamente finalizzato ad operare una più efficace razionalizzazione in materia di istruzione, università e ricerca, anche in conformità ai principi di autonomia riconosciuti dall'articolo 33 della Costituzione. Il carattere di urgenza si riferisce ed è da attribuirsi in particolare all'esigenza di potenziamento della ricerca scientifica e tecnologica, a un sempre più necessario e auspicato sviluppo del sistema universitario e di istruzione superiore e al significato che tale sviluppo assume nell'ambito del prossimo Programma quadro di ricerca e innovazione dell'Unione Europea 2021-2027 Horizon Europe.

Passando ai contenuti del decreto, il testo del decreto-legge in esame si compone di 6 articoli. L'articolo 1, al comma 1, prevede l'istituzione del Ministero dell'istruzione e del Ministero dell'università e della ricerca, mentre il successivo comma 2, lettera a), modifica l'elencazione dei Ministeri appunto secondo questa nuova denominazione.

L'articolo 2 novella il Capo XI del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, affinché siano attribuiti all'istituendo Ministero dell'istruzione le funzioni e i compiti concernenti il sistema educativo di istruzione e di formazione, che si articola nella scuola dell'infanzia e in un primo ciclo, che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado e in un secondo ciclo, che comprende il sistema dei licei e il sistema dell'istruzione e della formazione professionale. Con il Capo XI-bis è istituito il Ministero dell'università e della ricerca, cui, fatta salva la piena autonomia delle istituzioni universitarie e degli enti di ricerca, sono attribuite le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di istruzione universitaria e di ricerca scientifica e tecnologica.

L'articolo 3 definisce la ripartizione delle strutture e degli uffici. Il comma 1 prevede l'assegnazione al Ministero dell'università e della ricerca delle strutture e delle risorse strumentali e finanziarie, compresa la gestione residui del Dipartimento della formazione superiore e per la ricerca, nonché del personale che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge, vi presta servizio a qualunque titolo.

Il comma 2 stabilisce l'assegnazione al Ministero dell'istruzione delle risorse strumentali e finanziarie, compresa la gestione dei residui del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, nonché degli uffici scolastici regionali e del corpo ispettivo, unitamente al personale che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge, vi presta servizio a qualunque titolo.

I commi 3, 4 e 5 dettano disposizioni circa ricognizione, impiego ed eventuali modalità di trasferimento del personale e delle risorse umane, finanziarie e strumentali impiegate. I commi 3-bis e 3-ter disciplinano le dotazioni organiche dei due Ministeri e l'autorizzazione a bandire apposite procedure concorsuali pubbliche, a valere sulle facoltà assunzionali pregresse. Il comma 5 stabilisce la conferma delle posizioni di comando, distacco e fuori ruolo del personale già appartenente ai ruoli del soppresso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in essere alla data di entrata in vigore del decreto-legge. Il comma 6 reca disposizioni per l'adozione dei regolamenti di organizzazione dei due Ministeri. I commi 7 e 8 sono soppressi.

Il comma 9 prevede le occorrenti modificazioni al previsto controllo esercitato a norma di legge dal soppresso MIUR sul consorzio interuniversitario Cineca. Il comma 9-bis consente anche al Ministero dell'istruzione di avvalersi della Società generale di informatica Spa (Sogei) per la gestione e lo sviluppo del proprio sistema informativo. Il comma 9-ter innalza per il Ministero dell'università e della ricerca al 20 per cento i limiti percentuali previsti per il conferimento di incarichi dirigenziali a dirigenti non appartenenti al relativo al ruolo del Ministero, purché dipendenti delle amministrazioni pubbliche, e tale innalzamento opera solo in sede di prima applicazione delle disposizioni del decreto-legge, e comunque non oltre il 31 dicembre 2022.

L'articolo 3-bis riguarda la funzione dirigenziale tecnica del Ministero dell'istruzione e la delegificazione del concorso per i ruoli attraverso un regolamento che ne disciplina funzioni, compiti, modalità e procedure di reclutamento.

L'articolo 3-ter reca una specifica disciplina per gli enti pubblici di ricerca ai fini dell'applicazione della disciplina transitoria di carattere generale, che consente l'assunzione a tempo indeterminato di dipendenti che abbiano rapporti a termine con pubbliche amministrazioni. La novella in esame stabilisce, per la stabilizzazione presso i suddetti enti, il termine temporale entro cui si deve conseguire il requisito relativo all'anzianità di servizio. Inoltre, si introduce un nuovo principio del reclutamento: la possibilità di richiedere tra i requisiti previsti per specifici profili o livelli di inquadramento il possesso del titolo di dottore di ricerca, che deve comunque essere valutato, ove pertinente, tra i titoli rilevanti ai fini del concorso.

L'articolo 3-quater posticipa dall'anno accademico 2020-2021 all'anno accademico 2021-2022 l'avvio dell'applicazione del regolamento recante le procedure e le modalità per la programmazione del reclutamento del personale docente e del personale amministrativo e tecnico del comparto AFAM.

L'articolo 4 reca la disciplina transitoria applicabile nelle more dell'entrata in vigore dei regolamenti dell'organizzazione del Ministero dell'istruzione e del Ministero dell'università e della ricerca, tale da consentire l'immediata operatività dei nuovi Ministeri. Il comma 1 prevede che continuino ad applicarsi i regolamenti concernenti l'organizzazione dei relativi Ministeri. Il comma 2 stabilisce che, in via transitoria, ciascun Ministero può provvedere alla costituzione degli uffici di diretta collaborazione e procedere alla nomina dei responsabili di tali uffici, nei limiti di contingente di personale assegnato agli uffici stessi. Il comma 3 prevede che, nelle more dell'entrata in vigore dei regolamenti di organizzazione, i due Ministeri assicurino tempestivamente la nomina dei due capi Dipartimento e del Segretario generale, nonché il successivo conferimento degli incarichi per le posizioni dirigenziali delle amministrazioni centrali. Il comma 3-bis disciplina le funzioni pro tempore del Segretario generale.

Il comma 4 dispone norme in merito alla permanenza del ruolo del personale dirigenziale e alle eventuali procedure di interpello per l'attribuzione degli incarichi dirigenziali, sia di prima che di seconda fascia, in materia di conferimento di incarichi dirigenziali ai dirigenti di altre amministrazioni e ai soggetti estranei all'amministrazione.

Il comma 5 prevede che, nelle more dell'entrata in vigore dei regolamenti di organizzazione, l'organismo indipendente di valutazione operi sia per il Ministero dell'istruzione che per quello dell'università e della ricerca.

In base al comma 6, la Direzione generale per le risorse umane e finanziarie e i contratti continuano ad operare come struttura di servizio per il Ministero dell'università e della ricerca.

Il comma 7 dispone che, nelle more della conversione del decreto da emanare per apportare le necessarie variazioni di bilancio, le risorse finanziarie vengano assegnate ai responsabili della gestione con decreto interministeriale del Ministero dell'Istruzione e del Ministero dell'Università e della ricerca.

Il comma 7-bis dispone che il Ministero dell'economia e delle finanze, su proposta dei Ministri competenti e sentite le Commissioni parlamentari, regoli i residui dei Ministeri e apporti le dovute modifiche ai bilanci delle amministrazioni interessate.

I commi 8 e 9 intervengono sulle rispettive denominazioni formali dei nuovi Ministeri.

Il comma 10 dispone l'abrogazione di alcune norme.

Il comma 11 dispone la successione del Ministero dell'Istruzione e del Ministero dell'Università e della ricerca in tutti i rapporti attivi e passivi in capo al soppresso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in essere alla data del trasferimento delle funzioni, nonché il loro subentro nei rapporti processuali, ai sensi dell'articolo 111 del codice di procedura civile.

L'articolo 5 quantifica gli oneri derivanti dal decreto-legge e ne individua la copertura finanziaria.

Infine, l'articolo 6 disciplina l'entrata in vigore del decreto-legge il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, sottosegretaria Ascani: prendo atto che si riserva di farlo in un secondo momento.

È iscritto a parlare il deputato D'Alessandro. Ne ha facoltà.

CAMILLO D'ALESSANDRO (IV). Grazie, Presidente. In realtà, noi dovremmo ragionare non tanto sullo spacchettamento delle competenze tra due Ministeri, ma, a mio giudizio, sulla valenza politica e anche sull'opportunità che sta dietro alla valutazione che ha determinato la nascita di Ministeri, di due Ministeri, che, anche in passato, hanno avuto la stessa organizzazione - ed è molto utile, da questo punto di vista, ricostruire l'evoluzione legislativa che ha riguardato sia il Ministero unificato sia i Ministeri divisi - e si dovrebbe, quantomeno, almeno cercare di rileggere, anche in termini di risultati, di performance attese da parte dell'istruzione, della ricerca e dell'università, come e se i Ministeri e la risposta dell'offerta siano stati all'altezza delle prerogative.

Io sono partito da questa valutazione per esprimere una valutazione molto positiva: dobbiamo essere realisti e dobbiamo cercare di entrare nel merito delle questioni, senza farci trascinare dalla semplificazione dei problemi e, soprattutto, quando si parla di istruzione, università e ricerca la semplificazione dei problemi rischia, poi, di portarci altrove; noi dobbiamo rimettere la palla al centro del ragionamento. Il nostro sistema formativo, universitario e della ricerca deve porsi delle domande molto banali: funziona? Come funziona? Come viene misurato? E gli indici di misura del sistema, per esempio, quello scolastico attraverso le prove INVALSI, bastano a fare una fotografia o si deve partire da lì per poter ulteriormente programmare le attività necessarie non solo a garantire una equilibrata, unitaria, nazionale offerta formativa e dell'istruzione, ma anche ad entrare nel merito delle aree di criticità, anche territoriali, che ci sono nel nostro Paese.

Quindi, limitare la nostra discussione tra di noi sul semplice spacchettamento, da un lato, del Ministero dell'istruzione e, dall'altro, dell'università e della ricerca, rischia di non condurci all'obiettivo per il quale siamo chiamati anche a fare una discussione generale, in cui è chiaro che, in questo tempo, in questo periodo, tutto è secondario rispetto ai problemi che stiamo attraversando nel Paese, che attraversano i nostri comuni, che attraverso le nostre regioni rispetto alle emergenze, però è anche vero che noi dobbiamo attrezzare il Paese ad essere all'altezza sia sul fronte dell'istruzione, sia sul fronte universitario e, soprattutto, sul fronte della ricerca, dove i nostri ricercatori stanno dando il meglio di sé anche in queste ore, anche in questi giorni, dando delle risposte straordinarie; poi, è tutta un'altra questione quella delle risorse che sono necessarie a fare funzionare gli strumenti.

Oggi noi definiamo gli strumenti, da un lato, il Ministero dell'Istruzione, dall'altro, quello dell'Università e della ricerca. Poi, c'è tutta una partita che deve partire e che sono convinto faccia, di fatto, l'unità di tutte le forze politiche nel ritenere che maggiori risorse destinate all'istruzione, all'università e alla ricerca siano le migliori risorse utilizzate e investite, non spese, per il Paese. Dobbiamo partire da qui.

L'organizzazione del Ministero dell'Istruzione, a mio giudizio, è molto importante, perché coglie alcuni aspetti - parlo del Ministero dell'Istruzione - che, secondo me, rappresentano degli elementi di criticità e il fatto che venga riorganizzato con aree funzionali che tengano conto di alcune specificità, che sono delle criticità nel sistema Paese, credo che sia molto importante. Ne voglio citare alcune. Innanzitutto, io credo che sia importante che tra le nuove aree funzionali del Ministero dell'istruzione, per esempio, ci sia una definizione di interventi a sostegno di aree depresse per il riequilibrio territoriale della qualità del servizio scolastico ed educativo, che è una delle grandi questioni che attraversano il nostro Paese.

Ritengo che, allo stesso modo, il fatto che il Ministero, congiuntamente con il Ministero dell'Università e della ricerca, svolga funzioni di indirizzo e di vigilanza dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione - per essere chiari, le prove INVALSI - sia fondamentale perché si abbia quel collegamento funzionale tra istruzione e università. Il fatto che siano divisi non significa che non ci sia un collegamento funzionale, fisiologico, positivo, perché dovremmo porci, nel caso ci fossero dubbi su questo, la domanda contraria: cioè, oggi, che era un Ministero unico, quali sono state l'osmosi tematica o le problematicità che sono passate tra il livello dell'istruzione e il successivo livello dell'università e della ricerca? Dobbiamo andare a misurare i risultati e, probabilmente, ci accorgeremo che aver unificato nel tempo, anche in assoluta buonafede, il Ministero, non sempre ha risposto alle attese che erano alla base delle ragioni dell'unificazione.

Ecco, la riorganizzazione per aree funzionali tra i due Ministeri consente, secondo me, di creare dei collegamenti virtuosi e consente, anche sulla base dell'autonomia che è riconosciuta alle università, di programmare, e co-programmare, le proprie attività universitarie e, soprattutto, di ricerca. Sottolineo ancora questa parola, perché tutto il dibattito che, da anni, si svolge nel nostro Paese non riguarda solo come, purtroppo, vengono pagati i nostri ricercatori. Sappiamo tutti che sicuramente non eccelliamo da questo punto di vista, non solo per quanto riguarda la parte della dotazione finanziaria che il sistema Paese mette a disposizione della ricerca, ma anche e, soprattutto, perché le migliori performance da questo punto di vista derivano da università che sono state capaci di portare avanti delle programmazioni avanzate e che, anche in questo periodo, sono riuscite a dare delle risposte favorevoli.

Noi esprimiamo, in discussione generale - poi, lo faremo nei momenti successivi, nel merito, come dichiarazioni di voto - un giudizio positivo, perché è una scommessa e, come ogni scommessa, vale la pena di giocarla, se il tema che affrontiamo non è uno spacchettamento di funzioni burocratiche, ma una strategia complessiva per il Paese. La prima strategia del Paese dovrebbe passare proprio attraverso la scuola, da un lato, e l'università e la ricerca, dall'altro.

Vorrei ulteriormente segnalare all'Aula un altro aspetto che io considero positivo e che, casomai andrebbe ulteriormente rafforzato: può essere considerato un dato fisiologico, quasi irrilevante, però è una tendenza importante, cioè quella dell'incremento delle unità per la dotazione organica dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca.

Si può discutere tra di noi se sia una dotazione organica, quella attuale e quella successivamente incrementata, adeguata alla sfida che ha l'Agenzia. Tuttavia, ritengo sia importante, per qualunque politica di qualunque Governo si metta in campo, la capacità di misurare i risultati e i risultati passano attraverso le due Agenzie, una per l'istruzione e una per la ricerca.

Quindi, io ringrazio la rappresentante del Governo, che è in Aula e che ha seguito e segue questo provvedimento. Dalle espressioni anche programmatiche di inizio del nuovo Governo si è puntato molto, sia nella parte dell'accordo politico alla base della maggioranza, sia nelle determinazioni successive e, consentitemi di dire, sia soprattutto in questo momento dove la ricerca è diventata, per fortuna in alcuni casi e per altri meno, la protagonista del dibattito rispetto a ciò che sta accadendo nel Paese… ecco, io credo che questo sia anche un pezzo di risposta che il Governo, che questo Parlamento può dare alle emergenze diffuse e anche all'emergenza attuale (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucia Ciampi. Ne ha facoltà.

LUCIA CIAMPI (PD). Grazie, Presidente. Il Ministero per l'Istruzione, l'università e la ricerca torna a separare le sue due competenze. La scelta è dettata dalla consapevolezza che il Ministero dell'Istruzione rappresenta un carico di lavoro notevolissimo e che è necessario occuparsi specificamente di università e ricerca per dare un vero segnale di svolta al Paese.

L'Accademia dei Lincei, per bocca del suo presidente, e numerosi ricercatori italiani di fama internazionale, che nel settembre 2019 avevano rivolto al Governo l'appello a ricostituire il Ministero dell'Università e della ricerca scorporandolo da quello dell'istruzione, sono convinti, come noi, che la ricerca possa contribuire al benessere dell'Italia e con l'università diventare un mezzo di primaria importanza per attrarre investimenti e creare occasioni di lavoro qualificate.

La ricerca, infatti, promuove l'innovazione, oltre a benefici in vari settori come quello esplicito nel settore della medicina. Un ministero dedicato rende più semplice e, soprattutto, più efficace occuparsi del settore in un'ottica culturale ed economica globale. Si tratta di un'azione amministrativa di grande complessità, per la quale occorre un periodo di tempo per la messa a punto.

Il Ministro Manfredi, che guiderà il Dicastero dell'Università e della ricerca, separato dall'istruzione, dopo un periodo di vent'anni, interrotto solo da una pausa tra il 2006 e il 2008, ha dichiarato che l'università e la ricerca devono diventare fattori di sviluppo e crescita, ma devono anche essere elementi unificanti per aiutare i giovani ad avere le stesse opportunità in qualsiasi parte d'Italia. Finanziare università e ricerca rende esplicita la volontà di investire sui giovani con lo scopo di utilizzare le nostre migliori energie perché operino nei nostri enti di ricerca e nei nostri atenei.

Quindi, signor Presidente, questo provvedimento istituisce questi due nuovi ministeri autonomi. Ci tengo a ribadire che questa è una scelta fortemente politica, oltre che culturale; è l'unica battaglia strategica per mettere la conoscenza al centro dell'azione governativa, con le sue specificità per ogni settore, con il peso specifico di ciascun settore, secondo quanto merita, senza che una parte, un settore, sovrasti l'altro, in particolare la scuola, che è un settore molto complesso, che, nel caso dell'unificazione dei due dicasteri, come è stato, tende a fagocitare gli altri settori.

Quindi, questi due ministeri servono per dare più forza e grande energia a quella che noi riteniamo la battaglia delle battaglie: il diritto allo studio, per poter essere assolutamente competitivi con tutto il nostro sistema di formazione nel mondo.

Nel mondo, infatti, i grandi Paesi, quelli che hanno dei ruoli da leader, investono moltissimo in formazione e ricerca, investono grandi risorse pubbliche, a differenza del nostro Paese, che, come sappiamo, investe il 3,6 per cento del PIL, a fronte di un 5 per cento dei Paesi dell'area OCSE. Quindi, è vitale, è determinante per noi risalire la china e superare questo gap: questo per contrastare le disuguaglianze, ma anche per dare forza alla nostra democrazia.

In una fase di transizione, da un punto di vista economico, fortemente fluida, in cui tutto cambia, l'economia è in grande movimento, i nuovi lavori richiedono nuove competenze, richiedono innovazione, richiedono ricerca. Quindi, a queste necessità bisogna rispondere con un sistema formativo che sia aperto, che sia capace di includere, che sappia aggredire la dispersione, sia scolastica, sia universitaria.

Il nostro Paese, se non vuole arretrare fino al declino, deve investire in formazione, deve quindi invertire la rotta e noi, con questo provvedimento, siamo qui per questo. Questo provvedimento serve a questo, serve a mettere, a dare le condizioni, a fornire le condizioni ai due ministeri di operare con funzionalità. Le aspettative sono molte, per questo io voglio fare anche un augurio al Ministro Manfredi e alla Ministra Azzolina, e mi soffermerò, in particolare, su alcuni aspetti di merito di questo provvedimento, a partire dall'università.

L'università è un po' una questione, la quaestio aperta, da tanti anni ormai, dell'università. L'università non riguarda solamente gli studenti e i docenti dell'università, riguarda l'Italia, riguarda il futuro dell'Italia, la crescita, il benessere dell'Italia, le pari opportunità, riguarda il problema anche dei giovani, riguarda il fatto che la mobilità sociale è ferma, è bloccata, perché i giovani si vedono chiuse le porte perché non vengono riconosciute le professionalità, non vengono alimentate le ambizioni lavorative, che sono una grande energia per la crescita del Paese; e naturalmente queste esclusioni, questi muri, alimentano un sfiducia nelle istituzioni, una sfiducia nella democrazia. Tutto ciò va a discapito di quel diritto allo studio, che, secondo noi, deve invece prendere una dimensione di sistema organico e realizzato.

Noi abbiamo introdotto la no-tax area per chi ha difficoltà economiche. È uno strumento efficace, dobbiamo allargarlo anche ai redditi medi per dare a tutti l'opportunità di studiare puntando sul merito e a prescindere dalle condizioni di partenza. Per questo credo che serva una legge, anzi sia necessaria una legge sul diritto allo studio, perché il welfare studentesco sia allargato e, soprattutto, sia reso omogeneo in tutte le regioni, e quindi che non penalizzi gli studenti del Sud.

L'altra questione è quella della precarietà. La precarietà è in contraddizione con tutto quanto ho espresso prima; è insostenibile ma, in primis, è ossimorica addirittura per quanto riguarda la ricerca, perché porta uno spreco di energie, uno spreco di capitale umano che, pur acquistando competenze, poi viene lasciato da parte. Quindi, è fondamentale il piano di reclutamento che abbiamo previsto con il provvedimento, seppur è stato previsto in cinque anni, ma che è senz'altro volto al superamento, pur graduale, del problema della precarietà. Servono risposte per il pre-ruolo; servono risposte ai ricercatori di base e ai dottorandi. Credo che il Ministro Manfredi si sia impegnato su questo versante e guardate, signor Presidente, non parlo e non penso solamente alla fuga dei cervelli ma penso che il tema sia quello sempre del benessere del nostro Paese e il fatto che si debba superare quel corto circuito che fa sì che i nostri giovani vadano all'estero senza poter ritornare, perché andare all'estero per ampliare le conoscenze e per fare esperienze è un bene; è però un bene ancora più grande la libertà di poter tornare nel nostro Paese come pure anche che scienziati di altre nazionalità trovino attrattivo il nostro sistema universitario e trovino attrattivo anche il nostro sistema di ricerca. Per questo mi soffermo un attimo sull'Agenzia nazionale per la ricerca che, credo, sia un importante strumento per una governance larga, inclusiva, tesa però a rafforzare l'autonomia, l'autogoverno della ricerca, che sia strumento per coordinare risorse e progetti. Questo è anche il senso del provvedimento.

Un altro elemento su cui mi voglio soffermare, un'altra nota, a mio avviso, importante è relativa all'AFAM e, quindi, relativa cioè al settore dell'alta formazione artistica e musicale. Molte novità attese e significative sono state introdotte dal provvedimento, sulle quali mi voglio soffermare. A parte i tecnicismi, ricordo soprattutto la riapertura delle graduatorie nazionali ad esaurimento dei docenti precari e, quindi, il problema del superamento della precarietà, come dicevo prima. Un'altra importante novità è la presenza nel provvedimento di riferimenti alla ricerca in campo artistico. In particolare al Ministero dell'Università e della ricerca sono attribuite le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di ricerca scientifica, tecnologica e artistica. Inoltre tra le aree funzionali di competenza del Ministero vi è la valorizzazione e il sostegno della ricerca libera nelle università e negli enti di ricerca e nelle istituzioni dell'alta formazione artistica musicale e coreutica. Tutto ciò esplicita un cambio di passo rispetto alla situazione di incertezza che da molto tempo, da troppo tempo vive il settore dell'alta formazione artistica e musicale. Occorrerà un significativo investimento in termini di personale dedicato e di competenze specifiche; sarà anche necessario dare forte unitarietà al sistema a livello nazionale.

Credo che l'AFAM debba essere un punto di forza, un fiore all'occhiello del sistema formativo italiano capace di attirare giovani studenti ma anche docenti da tutto il mondo; sostegno dell'attività teatrale e cinematografica; in sintesi, veicolo di ricchezza non solo culturale per il nostro Paese, culla dell'arte e della musica nel mondo. Naturalmente non possiamo pensare di esaurire così con questo provvedimento l'impegno nella scuola, nell'università, nella ricerca, nell'AFAM. Siamo impegnati tutti a trovare le opportune risorse nella legge di bilancio e questo Governo, a nostro parere, sta andando nella direzione giusta. Il Fondo per il finanziamento ordinario dell'università è stato incrementato come pure l'organico del personale docente; è stato incrementato un impegno di spesa non indifferente; tutti gli incrementi anche della legge di bilancio sono stati finalizzati a migliorare la qualificazione dei servizi scolastici, a ridurre il sovraffollamento delle classi, a favorire l'inclusione degli alunni e delle alunne con gravi disabilità. I temi dell'istruzione, dell'università e della ricerca risultano strategici perché interessano dieci milioni di studenti e le loro famiglie ed un milione e 200 mila lavoratori e lavoratrici. Abbiamo davanti un grande compito; ben venga, e ce lo auguriamo, l'incremento dei fondi ordinari, degli enti di ricerca delle università ma, oltre a ciò, dobbiamo costruire un sistema nazionale del diritto allo studio, come dicevo prima, che freni l'emigrazione dei cervelli e la costruzione, ribadisco, di una no tax area con più risorse e, infine, un riordino normativo di tutto il comparto AFAM. Faccio rilevare che il decreto-legge risolve questioni annose sulla vicenda AFAM, anche se ne lascia aperte alcune per quanto riguarda alcune categorie specifiche di precari per i quali dobbiamo impegnarci a risolverle attraverso altri provvedimenti. Dunque, desidero concludere il mio intervento con un ringraziamento, anzi vorrei dedicare l'intervento a tutti i medici, gli infermieri, i ricercatori che in questo momento e in questi giorni sono sul fronte dell'emergenza sanitaria e lo fanno per salvaguardare tutti noi (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, MoVimento 5 Stelle e Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Frassinetti. Ne ha facoltà.

PAOLA FRASSINETTI (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il mio intervento inizia con una domanda che potrebbe sembrare retorica ma nella concretezza non lo è: come mai la scelta di dividere il Ministero dell'Istruzione? È una domanda a cui non ci sono, secondo me, risposte se non quella di una spartizione di potere all'interno della maggioranza. Lo dico non tanto con foga demagogica ma evidenziando che ormai da anni - mi pare dal 2008, quando il Ministro dell'Istruzione era l'onorevole Fioroni e quello dell'Università l'onorevole Mussi - si era ricostituito il MIUR, si era ricostituito il Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca e penso che quella fosse stata una decisione ponderata.

D'altronde, in un settore così delicato come quello dell'istruzione - che è sempre delicato ma in questo momento specifico lo è ancor di più - abbiamo visto che il Ministro Azzolina è già il terzo Ministro in questa legislatura dopo le dimissioni del Ministro Fioramonti; e poi, come regalo natalizio, arriva, oltre alle dimissioni di Fioramonti, anche la notizia relativa a questa divisione dal Ministero dell'Università e della ricerca, che comprende anche l'AFAM, del Ministero dell'Istruzione, dall'altra parte. Fratelli d'Italia evidenzia delle criticità di questa decisione; la prima, scontata, è di tipo economico: è evidente che la divisione del Ministero abbia dei costi e lo si evince anche dal decreto, è evidente che ci saranno due sedi, che ci sarà un trasferimento di personale, che bisognerà anche da un punto di vista burocratico rifare tutta la documentazione per inserire la denominazione esatta, ma questi sono solo degli esempi, quindi, oltre ai costi, che ovviamente raddoppiano, abbiamo anche una questione di opportunità e mi chiedo se sia opportuno, in un momento in cui la visione di insieme nel campo educativo è fondamentale, che ci sia invece questa decisione di dividere l'università dall'istruzione, proprio ora che ci sono progetti anche di creare un anno di collegamento tra l'ultimo anno di istituti superiori e il primo dell'università, così per cercare anche di superare, come nei corsi di medicina, la criticità dovuta all'affollamento del primo anno. Quindi questa è comunque un'idea che sta maturando in molti progetti e questo naturalmente rende più difficile con due Ministri, la fattibilità di questo percorso, che sarebbe stato più semplice se ci fosse stato un Ministero solo. Dopodiché, qui ho sentito tante parole di elogio, ma io non ho ancora visto, non ho ancora avuto il piacere di conoscere il nuovo Ministro Manfredi, che so essere un rettore autorevole e presidente della Crui, però qui, nelle aule parlamentari, non l'abbiamo ancora visto, non si è visto al Senato, non si è visto alla Camera, non si è visto nel question time, non ha effettuato le audizioni in Commissione, così come i neo Ministri, tutti, hanno fatto, rapportandosi con le proprie Commissioni di competenza e questo già mi sembra comunque un problema, né abbiamo visto il sottosegretario, tant'è vero che le opposizioni - Fratelli d'Italia, ma anche altri gruppi - avevano presentato delle interrogazioni in Commissione e c'è voluto l'impegno del qui presente Viceministro Ascani per poterci dare delle risposte, perché dal Ministero dell'Università silenzio assoluto. E non posso non menzionare la questione tanto comunque conclamata del decreto firmato da Fioramonti l'antivigilia di Natale e poi cassato dalla Corte dei conti sulle Università telematiche e sull'inibizione all'iscrizione dei corsi di psicologia alle telematiche, perché in questa occasione il Ministero competente si è reso completamente latitante, quindi abbiamo avuto una concreta dimostrazione di come ci siano purtroppo delle difficoltà a coordinarsi, a cercare di essere nel merito delle questioni in maniera puntuale. Questa situazione comunque è insostenibile, perché se il buongiorno si vede dal mattino, qui non abbiamo ancora avuto riscontro di questo nuovo Ministero ed è un Ministero che ha la competenza nientemeno dell'università, che è uno dei settori più trascurati nella nostra nazione, dove esistono i problemi noti a tutti come la fuga dei cervelli e la ricerca in difficoltà. Noi sappiamo che la ricerca, alla quale vengono tagliati spesso i fondi, ha anche avuto comunque delle battute d'arresto. Noi sappiamo che c'è stata la costituzione dell'Agenzia nazionale della ricerca non presso il MIUR o il MUR, come si chiama adesso, ma presso la Presidenza del Consiglio, con una decisione che comunque ha scontentato anche molti all'interno della maggioranza.

Quindi, ci chiediamo quali strumenti possa avere, quale incisività possa avere un Ministero così sguarnito, per affrontare questi problemi fondamentali di ricerca, di università, dell'AFAM, che riguarda comunque un settore tradizionalmente importante in Italia come quello delle accademie e dei conservatori. Abbiamo ricevuto tanti appelli, anche da parte dei docenti di questo settore, un settore trascurato da anni, che andrebbe riordinato e quindi ci chiediamo, insieme a questi docenti che giustamente si preoccupano, chi adesso si occuperà in maniera puntuale di loro, che hanno prestato servizio negli ultimi dieci anni nei corsi preaccademici, con un contratto di collaborazione e degli stipendi minimi: chi si occuperà di questo settore dell'AFAM? Quindi Fratelli d'Italia non è assolutamente soddisfatta di questa decisione di dividere i Ministeri e quindi noi, che difendiamo sempre il principio della continuità didattica per gli studenti, vorremmo anche un po' di continuità ministeriale in questi settori così importanti. Sarebbe stato molto più utile utilizzare quei fondi per aumentare le risorse negli stanziamenti per la ricerca, per aumentare gli stipendi ai docenti italiani, che sono il fanalino di coda in questo senso in Europa o per risolvere il problema del precariato. Certo, bisogna essere obiettivi: non sarebbero certo bastati i fondi destinati al Ministero dell'Università per risolvere i problemi seri che ha l'educazione, ma sarebbe stato sicuramente un bel segnale. Quindi, in un momento in cui si parla tanto di effettuare tagli, noi invece anzi vediamo purtroppo che la maggioranza va controcorrente e, invece di sostenere con risorse puntuali nei settori nevralgici e importanti dell'istruzione e della ricerca, potenziando con dei progetti che abbiano un senso e che abbiano finalità concrete, vediamo soltanto un aumento di posti e questo per noi è sicuramente molto grave e ci indurrà - e lo diremo domani, quando sarà il momento - a dare un voto contrario a questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. La ringrazio deputata Frassinetti. È iscritto a parlare il deputato Marco Bella. Ne ha facoltà.

MARCO BELLA (M5S). Grazie Presidente, siamo qui per discutere il decreto che istituisce il Ministero dell'Istruzione e il Ministero dell'Università e della ricerca. Ringrazio i colleghi fino a qui intervenuti perché hanno posto delle questioni interessanti, alle quali io spero di poter dare alcune risposte. Nel passato abbiamo avuto una divisione tra i due Ministeri e anche un'unificazione. Sicuramente quello che abbiamo visto, quello che ci dice l'esperienza passata, è stato che è veramente difficile trovare una persona che abbia delle competenze alte sia nel campo della legislazione scolastica e sia nel campo del settore università e ricerca. Proprio perché non c'è mai stata una persona veramente capace di dare la giusta attenzione a questi due ambiti fondamentali, la soluzione naturale è stata quella di istituire due Ministeri. Ora, il nostro, Presidente, è il Paese della conoscenza: nel nostro Paese c'è il 50 per cento di tutti i beni culturali del mondo e sicuramente avere tre figure, in un Consiglio dei ministri, che si occupano di scuola, di università e ricerca e di cultura può dare la giusta voce a quello che è questo fondamentale settore. Ricordiamo anche che la conoscenza è la nostra ricchezza: il nostro Paese non ha risorse minerarie significative, noi dobbiamo puntare su questo, sulla conoscenza, sulla cultura, quella sarà la nostra ricchezza e, anche in un momento difficile come quello che stiamo affrontando adesso, per una crisi macroeconomica che sicuramente sarà acuita dalla questione Coronavirus, dobbiamo continuare a investire nella cultura e nella scuola, questo è il nostro futuro.

Sicuramente i due Ministeri potranno dare la stessa attenzione a un numero incredibile di persone. Ricordiamo che la nostra scuola ha qualcosa come oltre 8 milioni di studenti ed è il più grande datore di lavoro che abbiamo nel Paese perché impiega oltre 800 mila insegnanti, senza parlare del personale tecnico-amministrativo. È veramente complesso immaginare che una persona possa occuparsi di questo che è un impegno veramente gravoso ma, soprattutto, occuparsi anche del settore università e ricerca che, ricordiamolo, non è piccolo, perché comunque abbiamo nel nostro Paese oltre un milione e mezzo di studenti universitari e oltre 50 mila docenti e anche qui una parte consistente di personale tecnico-amministrativo che ogni giorno lavora per formare i nostri giovani, per portare in alto il nome del nostro Paese, come alcune ricerche scientifiche ci hanno fatto vedere e hanno avuto una risonanza mondiale.

Per questo il nostro MoVimento 5 Stelle ha sempre dato veramente grande, grandissima attenzione al settore cultura e, in particolare, al settore dell'università, che sarà quello che maggiormente beneficerà di questa divisione. Ricordiamo che oggi l'FFO, il Fondo di finanziamento ordinario per l'università, ha raggiunto 7 miliardi 620 milioni. Questo è il massimo storico. È vero che dovremmo tenere conto di una rivalutazione, però almeno numericamente abbiamo raggiunto un massimo storico e lo abbiamo raggiunto anche nel FOE, il Fondo di finanziamento per gli enti di ricerca, e infatti siamo arrivati a stanziare ben un miliardo 812 milioni. Anche le borse di studio sono aumentate in questa legge di bilancio di 30 milioni che, se magari potranno sembrare pochi in termini assoluti, in realtà rappresentano un incremento di oltre il 30 per cento e con l'aiuto delle regioni spero si possa finalmente eliminare quella vergogna che sono gli idonei che non ricevono la borsa di studio, persone che avrebbero diritto alla borsa ma non la possono ricevere per la scarsità di fondi.

Questo è sicuramente un momento complesso, come ho detto, però qui dobbiamo fare degli investimenti: è importante investire nell'istruzione. Investire nella scuola e nella ricerca vuol dire investire nel motore del nostro Paese e se qualcuno pensa che lì si possono fare dei tagli sarebbe come dire che quando un aereo sta perdendo quota qualcuno pensa di alleggerirlo buttando giù il motore. Ebbene, non funziona così, Presidente. Lì, qualsiasi sia l'entità della crisi, dobbiamo investire e dobbiamo anche cercare di dare ai nostri studenti delle forme di didattica innovativa. Il MoVimento 5 Stelle è stato sempre attento alla riduzione dei costi della politica, tuttavia siamo convinti che ridurre i costi della politica non vuol dire che la politica possa essere fatta senza alcun costo. Infatti, precedentemente è stato sollevato il problema che questa divisione ha dei costi. Sì, ma questa divisione ha un costo che è lo 0,01 per cento del bilancio complessivo dei due Ministeri. Quindi, stiamo parlando di cifre veramente piccole che, però, con due Ministeri diversi quello che deriverà sarà un efficientamento, una giusta attenzione sia al comparto scuola, sia al comparto università e ricerca. Io spero questa divisione possa essere tenuta anche nel futuro. Sappiamo che nessun Governo è eterno e non lo sarà neppure il nostro ma mi auguro che, qualsiasi sia il prossimo Governo, possiamo avere una giusta attenzione sia al settore della scuola sia al settore università, che questa divisione rimanga, che chiunque venga dopo di noi capisca l'importanza di avere due Ministeri diversi e due voci nel Consiglio dei Ministri. Io non vorrei citare i precedenti Ministri. Vorrei, invece, fare i miei auguri di buon lavoro sia alla collega Lucia Azzolina, di cui tutti conosciamo le elevatissime competenze nel campo della legislazione universitaria, e anche al professor Manfredi, che se da alcuni ambienti è stato criticato perché appartiene alla CRUI, la Conferenza dei rettori delle università italiane, che è un'associazione privata, nessuno potrà mai mettere in dubbio le sue elevatissime competenze e conoscenze nel campo dell'università e nel campo della ricerca. Infine, Presidente, voglio mostrare la nostra vicinanza sia agli insegnanti, che ogni giorno fanno un lavoro veramente difficile per il bene dei nostri figli, sia ai docenti universitari, che tra mille difficoltà cercano di mandare avanti la ricerca in questo Paese e un insegnamento di altissima qualità, ma soprattutto agli studenti. In questo periodo, purtroppo, abbiamo sospeso le visite degli studenti nella nostra Aula e, Presidente, spero che lei concorderà con me: quando ci sono gli studenti lì sopra quest'Aula risplende di una luce diversa. Sono importanti gli studenti e gli studenti, Presidente, sono la stella che guida il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Simona Bordonali. Ne ha facoltà.

SIMONA BORDONALI (LEGA). Grazie, Presidente. Con questo provvedimento si sancisce la divisione del Ministero dell'Istruzione da quello dell'Università e della ricerca. La prima domanda che sorge spontanea - e ascoltando anche chi mi ha preceduto - è: ma questa scelta è dettata da una strategia organizzativa di migliore funzionamento della scuola, dell'università e della ricerca? Infatti, anche da alcuni interventi che ho sentito, a partire da quello del relatore, che ha parlato di migliore razionalizzazione, e poco fa si è sentito della necessità di trovare degli strumenti idonei per la scuola, di didattica innovativa, di risolvere i problemi degli idonei, e, quindi, si pensa che all'interno di questo provvedimento probabilmente ci sia tutto questo. E invece no! Non c'è questo. All'interno di questo provvedimento si parla solo ed esclusivamente della separazione dei due Ministeri e di fatto questa separazione, anziché risolvere questi problemi come qualcuno ha sottolineato, almeno e sicuramente nel primo periodo, li renderà ancora più forti. Di fatto, nel momento in cui si arriva alla separazione dei due Dicasteri e, quindi, all'organizzazione, c'è la necessità sicuramente di più tempo per arrivare al pieno funzionamento, c'è bisogno di più risorse e, sebbene si sia parlato di costi esigui, io ritengo, però, che comunque l'investimento di 6 milioni, che è presente all'interno di questo decreto ma anche tutte le risorse che verranno destinate anche con i futuri decreti per attuare questa separazione, è un costo che poteva benissimo essere evitato o essere investito là dove ci sono le necessità di cui molti hanno parlato, però per queste necessità le risorse in questo decreto non ci sono. Quindi, ci aspetta, almeno per i prossimi mesi, che sono anche mesi abbastanza critici, paralisi e caos, caos che non avete causato e state causando solo con questo decreto, qui stiamo arrivando all'apice. Voglio ricordare le scelte che sono state fatte da questo Governo soprattutto su una tematica della quale si sta dibattendo - e ne ha parlato anche chi mi ha preceduto -, ovvero la necessità di investimenti per la ricerca. Allora, vediamo quello che ha fatto questo Governo, che ha fatto, disfatto, detto e contraddetto. Nella legge di bilancio ha creato l'Agenzia nazionale per la ricerca.

Si tratta dell'Agenzia presso Palazzo Chigi, un ente che, di fatto, è uscito dal parametro dell'università con pesanti conseguenze sulla libertà della ricerca.

Ecco, voi vi siete incaponiti, vi siete intestarditi e avete voluto a tutti i costi creare quest'agenzia nazionale fuori dall'ambito del MIUR. Cosa succede? Passano alcuni mesi, accade quello che abbiamo visto, ovvero che una grande ricercatrice italiana riesce a isolare il Coronavirus, tutti si accorgono dell'importanza dei ricercatori, finalmente. Diversamente da quello che non avevate fatto in legge di bilancio, ve ne accorgete anche voi, sulla spunta dell'onda emotiva, ma probabilmente anche incalzati dall'opposizione e dalla Lega, quindi nel “Milleproroghe” cosa inserite? Inserite finalmente quello che dovevate fare in legge di bilancio: l'assunzione per i precari. Però, attenzione: dove trovate le risorse per l'assunzione dei precari? Dimezzando le risorse a disposizione dell'Agenzia nazionale della ricerca, quindi siete stati la contraddizione di voi stessi. Noi siamo anche d'accordo che siano state trovate queste risorse, però ci dovete ancora spiegare dove troverete le risorse per il 2021, che ammontano a 96 milioni e mezzo, e per il 2022, che ammontano a 111 milioni e mezzo.

Quindi, abbiamo determinato che la scelta che avete fatto non è per risolvere i problemi che voi stessi state anzi causando, allora perché questa scelta? Per arrivare alla scelta che stiamo facendo - anzi, che avete fatto e state continuando a fare voi -, ritengo che bisogna guardare la storia di questo Governo; Governo che, come sappiamo, è nato a settembre dall'unione di partiti che, fino al giorno prima, se ne dicevano dietro di tutti i colori e, poi, sono andati a pranzare tutti insieme al bel tavolone, cioè 5 Stelle, PD e LeU. Dico giustamente 5 Stelle, PD e LeU, perché la prima compagine di Governo è stata questa. Poco dopo, subito dopo la nomina dei Ministri, prima scissione all'interno del PD: si stacca una parte del PD e Renzi fonda Italia Viva. E, dopo che erano già stati nominati i Ministri, Renzi si ritrova con Ministri, in particolare la Bellanova, con delle deleghe molto importanti, ed ecco la necessità di porre subito ai ripari e cercare di riequilibrare le forze all'interno del Governo e della maggioranza. Primo riequilibrio a settembre, ovvero la prima revisione dei Ministeri e le modifiche delle deleghe: al Ministro Bellanova, di Italia Viva, viene tolto il turismo, e a chi viene affidato? Ovviamente a quel partito che in un certo senso era stato penalizzato, quindi al PD, a Franceschini. Contestualmente, però, ricordiamo, sempre all'interno dello stesso decreto viene riconosciuto all'ex leader dei 5 Stelle, Di Maio, la compensazione, e gli viene appunto riconosciuto il commercio internazionale, sottraendolo al MiSE. Questo è stato già il primo passaggio per cercare di riequilibrare questo Governo che continua a zoppicare. Si arriva alla legge di bilancio, e durante l'esame della legge di bilancio abbiamo sentito tutti i malumori del Ministro Fioramonti, che continuava a chiedere maggiori risorse per il proprio Ministero, per la ricerca, per tutto quello che ho sentito ribadire oggi, soprattutto anche dal collega dei 5 Stelle precedentemente; ritengo che sia, quindi, sulla stessa onda del suo ex Ministro Fioramonti, rispetto a quello che sosteneva solo a dicembre. Fioramonti non ottiene quello che vuole nella legge di bilancio, e si dimette; si dimette e viene dimezzato con questo decreto, che viene appunto approvato subito dal Consiglio dei Ministri e vengono nominati due ministri: uno in quota PD, perché ovviamente la scelta fatta dal Ministro dei 5 Stelle ha compromesso anche i rapporti di maggioranza, quindi Gaetano Manfredi, in quota PD, e Lucia Azzolina, in quota 5 Stelle, per riequilibrare - ribadisco - gli equilibri di maggioranza.

Peccato che lo stesso Manfredi, il Ministro che non si è ancora visto - fa anche rima - all'università e alla ricerca, tra l'altro una figura di spicco nel mondo dell'università, perché dal 2015 è presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane, già al 20 dicembre, quindi prima di essere nominato Ministro, parlando a nome di tutti i rettori diceva: “Siamo molto delusi. I finanziamenti che aspettavamo servivano in primis per i giovani. Un piano straordinario per i ricercatori e risorse a copertura delle esenzioni delle tasse universitarie. Tenendo conto che siamo già il Paese europeo con il minor numero di laureati e che notoriamente la crescita economica nella società della conoscenza non può che basarsi sulla conoscenza, non credo che questa legge” - si riferiva alla legge di bilancio fatta da voi – “renda un servizio al futuro prossimo dei nostri cittadini”.

Diciamo che non è stata una buona partenza nominare un Ministro che aveva già criticato le scelte politiche di questo Governo. Non vorremmo che fra qualche tempo si arrivasse alla spartizione di altri due Ministeri, uno dell'università e uno della ricerca.

Quindi, questo spacchettamento dei Ministeri ha fatto un miracolo. O meglio, il Premier Conte, che sembra ormai consacrato come entità semidivina, quale salvatore della patria, in questo caso non ha moltiplicato i pesci e i pani ma ha moltiplicato i Ministeri, i funzionari, gli assistenti degli staff e le risorse, che non andranno alla scuola, come qualcuno intervenuto prima di me ha detto, non andranno agli studenti, non andranno ai ricercatori, andranno solo ed esclusivamente nella spartizione dei ministeri che oggi è stata fatta.

Quindi, soprattutto per i colleghi dei 5 Stelle: sventolate tanto il taglio dei parlamentari, ma alla fine qua è stata fatta la moltiplicazione dei ministeri. Penso che il semidio Conte è riuscito veramente in un'opera straordinaria (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Alessandro Fusacchia. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO FUSACCHIA (MISTO-CD-RI-+E). Presidente, anzitutto anch'io volevo associarmi a quanto hanno detto alcuni colleghi rispetto al fatto che stiamo discutendo di spacchettamento di Ministeri, che ovviamente si porta dietro divisioni di un'amministrazione, competenze, riorganizzazione, e dietro tutto questo, come sappiamo, c'è poi il lavoro di tante persone dentro i Ministeri e nelle loro articolazioni periferiche, in particolare della scuola e dell'università, e stiamo in delle giornate già molto complicate evidentemente, con scuole chiuse in una parte del Paese e - come ricordava prima anche la collega Ciampi - con tanti ricercatori, con tanti professori universitari e medici impegnati per sostenere lo sforzo di tutto il Paese rispetto all'emergenza del Coronavirus.

Detto questo, volevo fare un paio di commenti sulla ratio di questo provvedimento, e lo faccio non solo nel mio ruolo attuale di parlamentare, ma anche per un po' di esperienza pregressa da capo di Gabinetto del MIUR.

C'è un argomento a mio avviso molto forte, che è più forte di quello che probabilmente ricordava il collega Bella sulle competenze e sulla difficoltà di recuperare poi delle persone che abbiano una forte esperienza sul lato scuola e sul lato università, che ha a che fare con l'urgenza e l'emergenza.

Chiunque abbia messo mai piede per più di un giorno in quel Ministero, in quell'ex Ministero, il MIUR, sa benissimo che, in realtà, la criticità è che il tema ricerca e università è sempre sacrificato nei confronti della scuola, perché la scuola, quella parte del Ministero, per numeri, è un po' il front office del Paese, che per numeri di studenti coinvolti e di criticità che si riscontrano ogni giorno porta la sua urgenza e la sua emergenza.

Questo ha fatto sì che storicamente i temi dell'università e della ricerca non che siano stati necessariamente trascurati - questo lo dico anche quando ci sono stati ex rettori a capo del MIUR, perché inevitabilmente anche gli ex rettori diventati Ministri si sono occupati principalmente di scuola -, ma certamente sarà stato più difficile fare un ragionamento proprio al vertice politico, di indirizzo politico e di ripensamento strutturale di alcune questioni fondamentali sull'università e la ricerca.

Ultimamente quello che è successo è che qualche riflessione è stata fatta, e quindi il pensiero che volevo condividere, la riflessione che volevo condividere sul cuore di questo provvedimento, che poi è la separazione in due del MIUR, si porta dietro un ragionamento su cui richiamo l'attenzione di tutti i colleghi - credo che il Ministero, i due Ministeri, a questo punto, debbano vigilare molto - ed è che questo spacchettamento per dare più attenzione ad un comparto, l'università e ricerca, mentre si mantiene l'attenzione sulla scuola, ha senso a condizione che poi i Ministeri siano messi in grado di lavorare e che questa riorganizzazione non porti a mesi e mesi in cui, per recuperare l'operatività, tutto è paralizzato perché bisogna procedere di nuovo ai decreti di riorganizzazione, con le nomine dei vertici apicali, dei direttori generali e dirigenti generali del Ministero, sapendo bene che non è solo una questione di rapporti interni all'ex MIUR, e quindi fra i due Ministeri, ma che ci sono interazioni con altri pezzi dell'amministrazione centrale.

Il primo, ovviamente, è il MEF, e quindi tutto quello che ha a che fare con i capitoli di bilancio del vecchio MIUR che devono poter essere resi nuovamente operativi immediatamente, per evitare che i due nuovi Ministri e i due nuovi Ministeri si ritrovino poi fermi e incapaci di poter effettuare finanziamenti. Un'altra questione centrale ha a che fare, ad esempio, con tutto il finanziamento europeo e la capacità di mantenere una forza di sinergia fra i due blocchi. E poi, ovviamente, come ricordava qualche collega, c'è la questione dell'Agenzia nazionale della ricerca, che è stata portata a Palazzo Chigi: la norma che l'ha istituita è stata oggetto di ampio dibattito, mi permetto di limitarmi a questa espressione. Ovviamente adesso, con il fatto che c'è un Ministro, anche particolarmente competente, come Gaetano Manfredi, che si occupa di università e ricerca, e, allo stesso tempo, ci diamo un'Agenzia nazionale della ricerca, vorrei scongiurare che il Ministro Manfredi, ex presidente della CRUI, quindi capo delle università italiane, si ritrovi a fare il Ministro dell'università, punto. Deve fare il Ministro dell'università e il Ministro della ricerca, e quindi è importante che si apra una riflessione su come, alla luce della norma istitutiva dell'Agenzia nazionale della ricerca e alla luce della figura di Manfredi e, in generale, dello spacchettamento previsto da questo Ministero, si possa lavorare serenamente per assicurare che gli obiettivi sani di quella norma non vengano inficiati da una – come dire? – cacofonia complessiva di questa riorganizzazione, che non è stata fatta in maniera organica in un solo momento, ma ha previsto più momenti.

Nel merito di alcune questioni, Presidente, ne voglio citare velocemente tre o quattro. Allora, la prima, ci sono delle buone misure sul potenziamento dell'ANVUR e c'è anche una misura di delegificazione rispetto a come verranno reclutati i dirigenti ispettivi. Questo tema della valutazione sul fronte della ricerca e sul fronte della scuola è fondamentale; sono cose abbastanza diverse fra di loro, ma credo che sia un buon segnale che questo Paese e queste istituzioni centrali, Governo e Parlamento, tornino a riparlare di valutazione senza grandi tabù, perché è stata un'altra questione che negli ultimi mesi, negli ultimi anni probabilmente, ho vissuto con un po' di sconcerto, perché questo è un Paese che tende a confondere la valutazione e chi fa la valutazione con il responsabile di quello che risulta fuori dalla valutazione, cioè come se noi malati andassimo dal medico, il medico ci dice che qualcosa non va e ce la prendessimo con il medico, invece che di starlo ad ascoltare per capire come rimediare.

Quindi, il fatto che ci sia questo momento di attenzione e questo sostegno anche di stanziamento di risorse e di possibilità di rafforzare in particolare l'ANVUR l'ho trovata e la trovo una cosa positiva. Un tema che mi sta particolarmente a cuore è che, in quest'ottica dello spacchettamento, Presidente, noi dobbiamo fare molta attenzione a evitare di ritrovarci con degli orfani o delle orfane, nel senso che è chiaro che il decreto prevede delle forme di raccordo su alcune questioni fra i due nuovi Ministeri, ma ci sono delle politiche che o sono sinergiche o non sono. Ne cito una su tutte: l'orientamento. L'orientamento non è che lo può fare la Ministra Azzolina, perché se ne occupa dal lato scuola da sola, o lo può fare il Ministro Manfredi, perché se ne occupa dal lato università solamente; è evidente che il tema dell'orientamento – ma ci posso aggiungere il tema dell'alternanza scuola-lavoro? – sono questioni centrali, su cui ci giochiamo il futuro di questo Paese molto più che su tante altre questioni che fanno la cronaca scolastica o la cronaca universitaria, su cui dobbiamo assolutamente evitare che, per non occuparsene tutti e due, alla fine non se ne occupi nessuno rispetto ai nuovi Ministeri.

Questo è un tema centrale perché noi abbiamo un tasso di “errore” - mi permetto di dire con tante virgolette prima e dopo la parola “errore” - di scelte sul futuro, e quindi sulla propria vita da parte dei ragazzi e delle ragazze in Italia, che ha dei livelli drammatici. E quindi questa capacità di aiutare i nostri giovani non a capire, o non solo a capire, che università fare o che percorso dopo la scuola fare, ma proprio chi essere, quindi in termini di esperienze, è fondamentale.

Due ultime questioni, Presidente, e chiudo. La prima, sono felice che ci sia un passaggio in questo decreto importante sulla valorizzazione del dottorato di ricerca rispetto non alla carriera universitaria, ma al pubblico impiego. Questo è un tema su cui stiamo cominciando a fare delle cose, ma dobbiamo fare molto di più. Avevamo già, in un decreto alla fine dello scorso anno, previsto per norma un riconoscimento di un punteggio importante per i dottorati di ricerca nei concorsi per entrare nella scuola a insegnare, ma questa chiaramente è una questione che ha a che fare con la cultura di tutto un Paese. Quindi, il fatto che si cominci a parlare di valorizzazione del dottorato nel pubblico impiego è centrale e credo che debba diventare sempre più centrale perché ci dobbiamo ricordare che affrontare le sfide e i problemi di oggi è complesso, e quindi l'ultimo livello di formazione, il terzo livello della formazione, deve diventare qualche cosa non solo per fare carriera accademica, ma per fare tutto il resto. Con alcuni colleghi - voglio citare una cosa a cui tengo e teniamo particolarmente - abbiamo fatto una proposta di dottorati comunali, vale a dire che, in questo momento in cui dobbiamo collettivamente affrontare la sfida dei cambiamenti climatici e della transizione ecologica, ma anche della transizione digitale, che è una transizione infinita per un Paese come il nostro, l'idea di mettere e di creare dei nuclei di ricerca che nascono da un gemellaggio, da un accordo fra università e comuni, magari comuni fra 15 mila e 150 mila abitanti, quei comuni che fanno più fatica in termini di capacità amministrativa e che certamente non si possono dotare di nuclei di ricerca per capire come si declinano a livello locale quelle sfide, è una questione centrale. Credo che il Ministro Manfredi in primis, ma anche altri componenti di questo Governo, penso ad esempio al Ministro Provenzano, possano essere particolarmente interessati a ragionare su questa proposta e su proposte simili, dove noi vediamo non solo la valorizzazione del dottorato, ma, ovviamente e contestualmente, il rafforzamento delle capacità del sistema Paese poi di intervenire per affrontare le sfide centrali che abbiamo.

Ultima questione, e chiudo, brevemente, Presidente: ne approfitto per ricordare al MI… non so come si chiami adesso, al Ministero dell'istruzione - vedo che la collega Ascani conferma e fa cenno, quindi la ringrazio per l'acronimo - so che lo sta affrontando, so che non dipende solo dal Ministero, però la questione dei docenti nelle scuole italiane all'estero è una questione che va presa di petto e su cui dobbiamo intervenire. Siamo praticamente a marzo e c'è metà dei personale scolastico delle scuole italiane all'estero che non ha ancora preso servizio legato all'attuazione di una normativa complessa che è stata fatta nel corso del tempo, di questioni che ovviamente afferiscono non solo al Ministero dell'istruzione, ma anche al Ministero degli affari esteri; però, vista dal punto di vista del cittadino italiano e non italiano che si trova nel mondo, non stiamo facendo una grande figura come Italia e, soprattutto, non stiamo offrendo un servizio. Poi qui dentro quest'Aula ci ricordiamo tutti di dire quanto è importante la promozione della cultura italiana, quanto è importante la promozione della lingua italiana, quanto sono importanti le scuole italiane all'estero, però, se poi non riusciamo a sbloccare dei processi che dovrebbero essere relativamente semplici, restano solo parole sospese (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Aprea. Ne ha facoltà.

VALENTINA APREA (FI). Grazie, Presidente. Saluto la Vice Ministra Ascani. Colleghe e colleghi, nella storia dell'Italia repubblicana questo non è il primo tentativo di dividere il dicastero dell'istruzione dall'università e di definire due ministeri diversi. Tralasciando il tentativo del Governo Fanfani del 1962, che istituì il Ministero senza portafoglio per il coordinamento delle iniziative per la ricerca scientifica e tecnologica, il primo Ministero dell'Università, MURST, è stato istituito con legge n. 168 del 1989. Con il decreto legislativo n. 99 i due Ministeri sono stati nuovamente unificati, MIUR. Mi piace ricordare che questa era la legge e la riforma Bassanini, ricordiamo tutti ancora questo nome e quanto abbia inciso nella pubblica amministrazione.

Successivamente, nel 2006 (XV legislatura), si assiste a una nuova divisione e, con il decreto legislativo n. 85 del 2008, vengono riaccorpati.

A quale logica risponde l'istituzione di due diversi Ministeri? Sin dall'inizio del dibattito uno degli argomenti considerati è stato se questa differenziazione non rispondesse a un mero trasferimento di funzioni, piuttosto che rappresentare il frutto di una scelta politica ben maturata e motivata, e alla scelta di ridisegnare le funzioni del Governo in rapporto alla rilevanza delle istituzioni di alta cultura, delle università ed Afam. La separazione delle funzioni relative all'istruzione da quelle riguardanti l'università e la ricerca sembra contraddire il principio che la formazione dell'individuo non si esaurisce nell'ambito scolastico ma prosegue per tutto l'arco della vita, tanto più oggi; appare dunque necessaria la massima integrazione fra le politiche pubbliche scolastiche e quelle formative, strettamente legate all'ambito universitario e della ricerca. La riorganizzazione delle competenze di istruzione e università in due Ministeri determina, inoltre, un aumento dei costi sul bilancio pubblico, non finalizzato a migliorare - attenzione - il servizio erogato, a un maggiore investimento pubblico in istruzione e formazione, quanto piuttosto al rafforzamento delle burocrazie. Eppure l'Italia è un Paese che sembra non voler investire in istruzione: investiamo una percentuale del PIL decisamente inferiore alla media europea, spendiamo il 7,9 per cento della spesa pubblica in istruzione a fronte di una media europea dell'11,2 per cento, le strutture scolastiche italiane mostrano problemi strutturali organizzativi e sono carenti dal punto di vista della disponibilità di materiali e di uso delle tecnologie più avanzate. Per tutto questo si paga il prezzo di una riduzione della fiducia dei giovani nel sistema scolastico e nel ruolo che può assumere come strumento di riscatto sociale e di crescita personale e professionale.

A tal proposito, si rammentano gli ultimi dati in materia di mobilità sociale, che in Italia risulta fortemente cristallizzata: l'Italia è in coda rispetto agli altri Paesi industrializzati. Nel primo Rapporto annuale sulla mobilità sociale del World Economic Forum si fa esplicito riferimento all'importanza di permettere a ciascuno di sviluppare il proprio potenziale a prescindere dalle condizioni socio-economiche di provenienza. La mobilità sociale determina crescita economica e produce effetti positivi sul PIL. Sulla mobilità sociale si è espressa anche la Banca d'Italia, che in uno studio ha evidenziato come stia tornando a crescere la tendenza a ereditare dai genitori anche il livello di istruzione. A questo quadro possiamo aggiungere i dati sull'abbandono scolastico e aggiungiamo anche il ricorso al precariato, sia nelle scuole che nelle università.

Le risorse destinate all'istruzione, dunque, più che andare a finanziare due apparati come i Ministeri dovrebbero essere destinate a potenziare il sistema, a favorire maggiormente l'inclusione, a potenziare e innovare il sistema e gli ambienti didattici (questo sia a livello di istruzione scolastica che universitaria), strutture, formazione e docenti. La posizione di Forza Italia è sempre stata contraria alla previsione di due Ministeri e favorevole all'unione dei due Ministeri quando, in passato, i Governi di centrosinistra hanno voluto prevedere due Dicasteri separati. L'idea di fondo è che la continuità della formazione non possa non corrispondere alla continuità della gestione, nel senso di accorpare in un unico centro decisionale l'adozione delle misure di organizzazione e della formazione, determinando così una maggiore efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa. Del resto, la differenziazione tra i due ambiti è già determinata dal riconoscimento dell'autonomia, sia delle istituzioni scolastiche che delle università, entrambe fortemente riconosciute e mai messe in discussione, anzi, semmai, potenziate. In questo modo si potrebbero evitare le evidenti duplicazioni di costi che ne derivano. Inoltre, non fa certamente bene al funzionamento del sistema intervenire con continue modifiche che rendono incerti gli operatori e non permettono l'assestamento delle norme e la loro andata a regime. Questo concetto andrebbe utilizzato per qualsiasi settore e ambito d'intervento dell'azione pubblica, ma pare quanto mai fondamentale affermarlo per un settore quale quello della scuola e dell'università, che presentano forti complessità di organizzazione e gestione su tutto il territorio nazionale, ma rispondono anche a un diritto fondamentale: il diritto allo studio, diventato quanto più rilevante e importante oggi nell'era della società della conoscenza, dove appunto il concetto di lifelong learning è un'esperienza riconosciuta.

Per queste ragioni esprimiamo riserve sulla scelta di ritornare a prevedere ora due distinti Ministeri per i settori dell'istruzione e dell'università e della ricerca. Siamo convinti, infatti, che più che un'opportunità si corre il rischio dell'accentuazione dell'autoreferenzialità dei sistemi formativi, da sempre un problema della filiera formativa italiana. Senza contare, poi, che tale sdoppiamento interviene a legislatura già iniziata ed è sembrato rispondere più a logiche esclusivamente spartitorie delle due principali nuove forze di maggioranza, che non a una scelta determinata da un'esigenza reale, e men che meno da una visione coraggiosa a beneficio del sistema nazionale di istruzione. Risulterà assai difficile garantire con due centri di potere e differenziati l'unitarietà dell'azione di Governo. L'esigenza da affermare, al contrario, è quella di una forte integrazione della filiera del sapere. Il problema, più che dividere i due Dicasteri, cari colleghi, sta nel farne funzionare bene uno (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente), prevedendo contestualmente pari capacità di intervento su entrambi i settori, seppur coordinati e unificati in un unico soggetto istituzionale di Governo, altrimenti si perderà la visione d'insieme, che rimanda alla più ampia società della conoscenza.

Certo, il Ministro Manfredi ha appena lasciato la presidenza della CRUI e ha sicuramente una visione e una competenza in materia di università e ricerca, ma non è questo che si chiede - non è soltanto questo che si chiede - ad un Ministro nel 2020. Come non è soltanto questo che si chiede al Ministro dell'Istruzione, ancorché provenga dalla scuola italiana.

Risulta ancor meno realistico aver pensato di poter realizzare tale cambiamento, peraltro, assicurando l'invarianza della spesa. Le modifiche introdotte al Senato prevedono infatti un aumento della spesa - e non poteva essere diversamente - non solo dovuta a un incremento del numero dei dipendenti, tra cui con funzioni dirigenziali, ma anche alla necessità di prevedere lo sdoppiamento degli uffici di diretta collaborazione con il Ministro. Insomma, che dire, Presidente? Noi facciamo gli auguri - perché tifiamo Italia - ai Ministri della Repubblica - gli auguri di buon lavoro, naturalmente - al Ministro Azzolina e al Ministro Manfredi, alla Viceministro Ascani e al sottosegretario, ma, da forza di opposizione, vigileremo sul loro operato e guai se dovessimo far fare passi indietro all'integrazione dei sistemi, alla possibilità di investire di più e meglio per i settori della formazione scolastica, universitaria, della formazione professionale e della ricerca. Rappresentano il futuro del nostro Paese e oggi una scuola e un'università che non sono al passo con i tempi possono creare problemi, non solo all'immediata mobilità sociale, ma allo sviluppo dell'intero Paese da qui a 10-20 anni. Quindi, noi che ci troviamo in questo momento in Parlamento come forze di opposizione non faremo sconti ai due Ministri (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gianluca Rospi. Ne ha facoltà.

GIANLUCA ROSPI (MISTO). Signor Presidente, visto che parliamo di ricerca, permettetemi di ringraziare in quest'Aula le ricercatrici dell'Ospedale Sacco di Milano che, nei giorni scorsi, grazie al loro encomiabile lavoro, sono riuscite ad isolare il ceppo italiano del Coronavirus. Il loro contributo, insieme anche a quello delle ricercatrici dell'Istituto Spallanzani di Roma, ha sicuramente ha aggiunto un altro importante tassello per la ricerca di un vaccino che possa proteggerci da questo nuovo virus.

Però purtroppo, come la maggior parte dei ricercatori in Italia, anche il gruppo di ricerca del Sacco e dello Spallanzani è composto da giovani brillanti legati tra loro dalla passione verso la ricerca, dalla gioia di aiutare il prossimo e dallo spirito di servire il proprio Paese, ma, purtroppo, anche in questo caso, si parla di ricercatori precari, con contratti annuali spesso anche al limite della dignità umana.

Signor Presidente, da qui voglio partire, proprio dalla ricerca che emerge dall'ottava indagine sul dottorato e post-dottorato fatta dall'ADI, Associazione dottorandi e dottori di ricerca. Da questa indagine dell'ADI risulta, dai dati a disposizione, che, all'interno delle università, il personale precario ha superato di molto quello stabile: sono circa 68 mila i lavoratori a tempo determinato, rispetto ai circa 47 mila di quelli a tempo indeterminato. Dalla stessa indagine risulta che soltanto il 10 per cento di questi precari avrà la possibilità di accedere a un posto da professore associato, mentre il restante 90 per cento non potrà proseguire la carriera universitaria.

Questa, colleghi, è la fotografia del nostro Paese. Riusciamo a garantire a malapena, signor Presidente, un'aspettativa di lavoro, nel comparto accademico, soltanto a una piccola percentuale dei nostri giovani; la gran parte dei nostri brillanti giovani che ha conseguito un titolo di dottore di ricerca e ha avuto incarichi di ricercatore non ha un futuro, da questi dati, qui da noi.

Signor Presidente, un Paese che non investe nei giovani non potrà cambiare né crescere; un Paese in cui i giovani non hanno un'opportunità lavorativa si sta negando il futuro da solo.

A mio avviso, bisogna investire sui giovani: i veri cambiamenti si fanno quando i destinatari dei provvedimenti vengono coinvolti in prima persona. Guardiamo alcuni numeri: per la formazione di uno studente, lo Stato italiano spende, in media, 150 mila euro; se consideriamo che, nel solo anno 2018, hanno lasciato il Paese circa 30 mila laureati, il calcolo è presto fatto: lo Stato ha investito e perso 4,5 miliardi.

Di fronte a questi dati, onorevoli colleghi, occorre, a mio avviso, un salto culturale. Le nuove generazioni non sono un bene privato dei genitori, ma un bene su cui il Paese deve investire. Guardando fuori dai confini nazionali, riscontriamo una situazione molto diversa rispetto a quella italiana: infatti, negli altri Paesi europei, lo Stato investe molto di più nelle politiche giovanili e nelle politiche della famiglia e della natalità.

In Francia, ad esempio, tutti i Governi hanno investito nelle politiche della famiglia e dei giovani, con il risultato che le nuove generazioni hanno una consistenza demografica simile a quella dei loro genitori e, quindi, anche un peso politico ed elettorale significativo. Le faccio un esempio, signor Presidente, banale, quello di una casa: se il futuro è una casa, Parigi la sta costruendo con molti mattoni. Anche la Germania ha investito nelle politiche della famiglia, ma le stesse politiche non hanno prodotto gli stessi effetti che hanno avuto in Francia. Allora, che cosa ha fatto il Governo tedesco? Ha compensato avviando una serie di investimenti pubblici sui giovani. Risultato: i giovani sono pochi, ma pesano, vengono formati bene nelle università e collocati nel mondo del lavoro con conoscenze adeguate. Allora, la casa di Berlino ha pochi mattoni, ma li ha posizionati nei posti giusti. L'Italia, invece, cosa fa? L'Italia ha pochi giovani, li forma male, non li aiuta a trovare lavoro e non investe sulle loro capacità. La casa di Roma ha pochi mattoni e posizionati in ordine sparso. Una situazione questa che, spesso, diventa alibi per i giovani e che fa comodo, invece, a gran parte della classe dirigente, che può scegliere il ricambio generazionale che preferisce, spesso, pescandolo tra i propri figli.

Le nuove generazioni sono gli alleati più credibili del cambiamento e a loro vanno dati strumenti e chiavi interpretative nuove per saper cogliere le opportunità e spetta, poi, alla classe politica fornire gli strumenti necessari.

A tal proposito, mi vorrei soffermare sulla valorizzazione del titolo di dottore di ricerca all'interno delle pubbliche amministrazioni. Il decreto che stiamo discutendo sembrerebbe andare nella giusta direzione, ma, purtroppo, demanda la regolamentazione ad altri decreti e regolamenti, procrastinando ancora questo fondamentale passaggio per migliaia di ricercatori italiani. Spero che la Presidenza del Consiglio dei ministri e i Ministeri competenti proseguano questa strada intrapresa e che si avviino quanto prima tutte le misure necessarie e concrete per la valorizzazione del titolo di dottore di ricerca all'interno delle pubbliche amministrazioni.

Signor Presidente, se, poi, osserviamo gli investimenti in ricerca e innovazione, anche in questo settore, purtroppo, e mio malgrado, devo constatare che non brilliamo nelle classifiche mondiali ed europee. Infatti, l'Italia continua a spendere troppo poco e male in ricerca e innovazione: i 23,8 miliardi di euro che spende l'Italia sono, infatti, una quota pari all'1,38 del PIL, percentuale ancora bassa rispetto alla media della zona euro, che si attesta attorno al 2,15 per cento del PIL, ma percentuale ancora più bassa se la confrontiamo con le grandi economie industriali d'Europa: la Germania spende in ricerca e sviluppo il 3 per cento del PIL, la Francia il 2,2.

Allora, per un'economia a vocazione industriale ed esportatrice, quale è quella italiana, che vuole essere e mantenersi competitiva a livello internazionale, l'innovazione è e diventa cruciale, gli investimenti in ricerca sono motore fondamentale della crescita economica di un Paese sviluppato.

La stessa Banca d'Italia, nella sua relazione annuale, afferma che: “Un'economia sana e con buone prospettive di crescita deve saper cogliere i frutti del progresso tecnico, che solo adeguati investimenti in ricerca possono garantire”. Nella relazione della Banca d'Italia ci sono diversi passaggi in cui la stessa Banca sollecita il Governo e il Paese ad investire di più in ricerca e innovazione: “La ricerca scientifica è il volano di sviluppo socio-economico oltre che scientifico e culturale. Il suo finanziamento, quindi, non va inteso come una spesa, ma come un investimento che genera ricchezza per il Paese”.

Nel caos di oggi delle dottrine politiche che sgomitano per proporre differenti modelli di sviluppo, ci è ben chiaro un unico concetto a fare la differenza tra disuguaglianza, miseria e benessere, più che mai nel nuovo secolo ed è un livello di istruzione e culturale che sia in grado di dominare l'avanzata del progresso tecnico-scientifico globale. Il mondo in cui viviamo è spesso il prodotto della scienza e della tecnologia, come ampiamente dimostrato dall'avvento dell'età moderna, quando è cominciata ad emergere la separazione della pseudo-scienza dalla scienza. La storia ci ha comunicato, e continua a farlo ancora oggi, un messaggio che è ben chiaro e, cioè, che il futuro si costruisce attraverso la conoscenza e una politica che non ne tenga conto è fuori dalla storia, quindi fuori dal tempo.

Signor Presidente, mi avvio alla conclusione, facendo notare a quest'Aula che, all'interno della parola cultura, ne è contenuta un'altra che rappresenta una delle più importanti funzioni della nostra società, la parola “cura”.

Bisogna davvero prendersi cura, in questo periodo, dell'Italia. Per farlo è necessario porre al centro dell'azione di Governo l'istruzione e la cultura, non solo quale sintesi di antichi valori e significati tradizionali, ma come investimento per il futuro dell'Italia, vero volano economico e creatore di ricchezza e lavoro. Ecco perché è da qui che bisogna ripartire.

E guardate - e concludo veramente -, non servono, per fare questo, effetti speciali, spacchettamenti di ministeri, ministri superstar, irrealizzabili piani Marshall: basta metterci un po' di testa o un po' di materia grigia, come dice qualcuno, e sostenere con più risorse e più attenzione la scuola, l'educazione e la cultura, che devono essere in cima alle priorità di questo Esecutivo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Carmela Bucalo, che non c'è. Si intende che vi abbia rinunziato.

È iscritto a parlare il deputato Michele Nitti. Ne ha facoltà.

MICHELE NITTI (MISTO). Grazie, Presidente. Colleghi, desidero approfittare di questa discussione generale per illustrare una parte non irrilevante di aspetti contenuti nel decreto che oggi approda in quest'Aula, in particolar modo quella relativa all'alta formazione, di cui, come sapete, mi occupo con particolare attenzione e riguardo.

Mi sembra che in questo decreto si pongano le basi per un nuovo approccio alla questione, per una progettualità condivisa, per una metodologia di lavoro che non vuole più solo limitarsi ad arginare sperequazioni ed emergenze che si trascinano rovinosamente dal passato, ma che suggerisce una precisa volontà di uscita dal pantano e dall'immobilismo degli ultimi tempi.

Nel decreto vengono introdotte significative novità per il settore: è un cambio di passo decisivo rispetto alla precedente situazione di stallo e incertezza. L'alta formazione, come sappiamo, è collocata all'interno del mondo della formazione terziaria, ma è afflitta da tutta una serie di malattie oramai cronicizzate, che non si è ancora riusciti del tutto ad eradicare, nonostante un lunghissimo iter di provvedimenti, che vanno dalla legge n. 508 del 1999 in poi, penso alla legge n. 268 del 2002, o al DPR n. 132 del 2003, o ancora al DPR n. 212 del 2005 sui nuovi ordinamenti didattici e sull'offerta formativa, che si ispira poi all'articolazione del processo di Bologna, dei tre cicli della dichiarazione di Bologna, o alla legge di stabilità del 2013.

Ecco, nonostante ciò, permane un sostanziale vuoto legislativo sui reali problemi strutturali delle istituzioni e non si sono fatti concreti passi in avanti - né indietro, a dire il vero - rispetto ad una compiuta equiparazione tra AFAM e università.

Si è fatta, in realtà, una non scelta, a cui si aggiunge una precaria situazione di tutta la filiera, che credo sia arrivato il momento anche semplicemente di valutare con onestà e schiettezza. Non abbiamo constatato né un ritorno nostalgico al vecchio ordinamento, pure invocato e non da pochi, né una terza via, né, in mancanza di numerosi decreti attuativi della legge n. 508 del 1999, un completo e concreto traghettamento verso il sistema universitario. In realtà, si è semplicemente deciso di non decidere, per restare nelle sabbie mobili in una dimensione aleatoria.

Così resta ancora insoluta tutta una serie di questioni: governance, disciplina di accreditamento sedi, disciplina di contabilità e finanza e mobilità, il blocco degli organici da 25 anni e a fronte di un aumento esponenziale delle iscrizioni e di una crescita delle percentuali di studenti stranieri superiore perfino alla media universitaria.

Qualcosa si è mosso, invece, sul fronte dell'edilizia: lo scorso anno sono partiti i contributi con il DM MEF-MIUR del 6 aprile 2018, sebbene con qualche criterio discutibile, specie quello che lega la premialità al numero di studenti, creando una penalizzazione per le istituzioni medio-piccole, come se quello alla sicurezza non fosse un diritto di cui tutti gli studenti dovrebbero poter godere. Ma restano ancora in sospeso le questioni sull'abilitazione artistica nazionale, eventualmente tutta da normare e costruire alla luce anche delle specifiche peculiarità del sistema, o quella sullo status giuridico della docenza, tanto importante, se vogliamo, ma a patto che non diventi l'orizzonte ultimo ed assoluto del dibattito sul comparto. Perché, come sappiamo, se questo tema è centrale ai fini della collocazione nel sistema universitario, non incide invece sulle sorti della tenuta complessiva del comparto AFAM, né sulla vita degli studenti. La recente ordinanza della Cassazione del 10 gennaio 2020 ha chiarito non che non esista un'ingiusta disparità di trattamento tra l'impiego contrattualizzato dei docenti AFAM e quello decontrattualizzato dei docenti universitari in regime di natura pubblicistica, come sappiamo, ma che questa disparità non può essere riconosciuta sulla base della vigente normativa e che è necessaria, pertanto, una norma - la via legislativa - per risolvere questa vexata quaestio, sempre che si decida di farlo senza continuare a tenere imbrigliato il sistema per chissà quanti anni.

Capisco che non sia affatto semplice dipanare il bandolo della matassa e risalire ad una possibile verità risolutiva, perché è difficile percorrere questo processo di diuresi in un simile comparto attraverso un groviglio di situazioni e di parvenze che mi ricorda il celebre romanzo di Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Il diffuso disinteresse endogeno all'ambito politico e la frammentazione esogena, quella del comparto, dove si sono costituite tante piccole cellule amebe in rappresentanza di altrettante situazioni critiche ed emergenziali, segmenti che raramente hanno alimentato un dibattito costruttivo all'interno dei palazzi che non fosse specificamente finalizzato a risolvere taluna o talaltra situazione particolare, senza alcuna coscienza organica e complessiva: ecco, queste due situazioni sono alla base dell'attuale sfiancamento del comparto, dove si stenta a far emergere una visione unitaria che parta dall'interno del comparto stesso e che abbia una declinazione futuribile.

Nel decreto in oggetto troviamo - e lo cito per primo, data la sua rilevanza - il rinvio di un anno del DPR sul reclutamento dei docenti all'anno accademico 2021-2022. Avevo seguito da relatore in Commissione questo DPR, emanato con inconcepibile ritardo e purtroppo dopo una sostanziale sopraggiunta ulteriore mutazione fisionomica del comparto, evidenziandone le diverse criticità, le molteplici ragioni di inapplicabilità e sostenibilità. Riuscii ad ottenere l'inserimento dell'unica condizione al parere, richiesta anche dal Partito Democratico, condizione che, mi rincresce dire, al Senato non vollero recepire se non come osservazione, e alludo proprio alla tutela del precariato storico delle graduatorie nazionali.

Nel decreto viene, inoltre, riaperta la graduatoria nazionale per i docenti precari che abbiano superato un concorso selettivo ai fini dell'inclusione in graduatoria d'istituto e abbiano maturato, entro l'anno accademico 2020-2021, incluso, almeno tre anni di insegnamento negli ultimi otto. Non viene chiarito se questi nuovi aspiranti saranno inseriti a pettine o piuttosto in coda all'attuale graduatoria nazionale e su questo credo che saranno necessari ulteriori chiarimenti a livello ministeriale. A titolo personale, ritengo sia meno impervia l'ipotesi della creazione di una graduatoria in subordine alla legge n. 205 del 2017, che, ricordo, è già in fase di assorbimento in ruolo. Differentemente, con l'inserimento a pettine temo si potranno verificare ipotesi di contenzioso. Sull'aggiornamento di questa graduatoria, dopo aver verificato la piena volontà politica di sostenerne il percorso, avevamo già cercato qui alla Camera, nel “Milleproroghe”, di risolvere la situazione, sia con emendamento, che con subemendamento. Poi abbiamo trasmesso al Senato la nostra istanza, che finalmente, in questo primo decreto utile, è stata recepita.

Su questi primi due punti - la proroga del DPR e la riapertura delle graduatorie nazionali -, ribadisco, ci eravamo già spesi e impegnati con grande profusione di energie qui alla Camera, con gli onorevoli Nardelli, Carbonaro, Fratoianni, Pellegrino; abbiamo seguito ogni dettaglio per mesi; abbiamo lavorato insieme tenacemente per sistemare e rendere tecnicamente ammissibile il testo. Vedete, lo sappiamo bene, caldeggiare una situazione dall'esterno, sui social, magari ampiamente suffragati da coloro che sono direttamente coinvolti nella problematica, è cosa ben diversa dal sostenerla politicamente come maggioranza, andando oltre il semplice auspicio o la semplice promessa, facendo i conti con varie questioni di compatibilità, ammissibilità, sostenibilità.

Purtroppo, unico rammarico, devo dire non senza una grande sorpresa, è la questione del riconoscimento dell'anno accademico in corso per coloro che hanno dovuto prendere servizio dopo il 31 gennaio su cattedra vacante, certamente non per ragioni imputabili a loro, quanto piuttosto per i ritardi, gli adempimenti e le vicissitudini che si sono verificati a seguito delle dimissioni del Ministro Fioramonti. Non riesco bene a comprendere però come mai la minoranza, quando ha fatto suo l'emendamento della relatrice, abbia espunto questa parte che invece avevamo inserito nell'emendamento al “Milleproroghe” alla Camera. Nemmeno l'emendamento Giro faceva riferimento a questa situazione, lasciando intuire che non ci fosse una reale volontà di risolverla in modo trasversale. Altro aspetto assai rilevante: gli emendamenti introdotti fanno diverse volte riferimento al riconoscimento dell'attività di ricerca in ambito artistico - lo diceva la collega Ciampi -, questa è una grande novità importante, che spinge il comparto in una direzione ben precisa dopo anni di tergiversazioni e ambiguità. Tra le aree funzionali di competenza del MUR compare la valorizzazione e il sostegno della ricerca nelle università, negli enti di ricerca e nelle istituzioni dell'alta formazione. È stato lamentato da tanti nel corso di questi anni il fatto che agli studenti AFAM non fosse data la possibilità di seguire i corsi di formazione alla ricerca o di ricevere assegni di ricerca o che le stesse istituzioni non potessero istituire assegni di ricerca, non potessero accedere a progetti di ricerca di interesse nazionale perché gli stessi bandi non lo prevedevano. Viene quindi aperta la strada, tutta da definire, per l'accesso ai fondi per la ricerca e per l'attivazione dei dottorati di ricerca. Non si è ancora riusciti purtroppo a risolvere in via definitiva la questione della seconda fascia che certamente non rappresenta il principale problema del comparto ma che, per la sua storicità e per l'assoluta insussistenza delle ragioni ostative alla sua risoluzione, meriterebbe di essere definita una volta per tutte, non fosse altro che per rispetto verso i tanti, non tantissimi in verità, docenti toccati da questa vicenda e che nel corso degli ultimi mesi hanno cercato interlocuzioni con quasi tutte le forze politiche. Il che non ho ben compreso se abbia contribuito a migliorare o peggiorare la loro situazione. Nonostante non ci fosse alcun nuovo aggravio di spesa e fosse già disponibile un accantonamento di risorse, il rinvio del decreto del Presidente della Repubblica ha comportato un ulteriore rinvio dei meccanismi di passaggio alla prima fascia definiti nel DPR stesso. Ora si devono subito sbloccare le carriere di questi docenti e ricordo che già di per sé l'accantonamento di una quota del budget assunzionale non è del tutto risolutivo del problema, ma è il minimo sindacale da garantire. Dalle diverse interlocuzioni che stiamo avendo in questi giorni con diversi parlamentari e con il Ministro ci sembra di capire che ci sia la volontà di risolvere una volta per tutte questa annosa questione e, proprio perché abbiamo questa determinazione assoluta, abbiamo anche sottoscritto e presentato diversi ordini del giorno per ciascuna delle diverse problematiche non ancora risolte: la seconda fascia, il riconoscimento dell'anno accademico in corso, i docenti degli ex-istituti pareggiati coinvolti nel processo di statizzazione cui non sono stati valutati i titoli di servizio ai fini dell'inserimento nella succitata graduatoria nazionale. Ecco sono felice che si sia trovata unità di intenti circa la volontà di ridare slancio al comparto e qualificarlo; un comparto che non si può strumentalizzare politicamente, come qualcuno del comparto stesso, ahimè, tenta talvolta di fare per crearsi spazio, per accreditarsi fra i colleghi, per appagare bramosie di notorietà, per avocare a sé meriti primaziali su questo o quell'altro provvedimento. Credo che si dovrebbe riacquisire un'igiene dell'interlocuzione con la politica che per la prima volta si rende seriamente disponibile non solo a sanare situazioni che in passato si è voluto risolvere solo per superato limite di ogni ragionevole decenza, ma, altresì, ad operare una sintesi delle diverse prospettive che si intendessero proporre per mettere in sicurezza il comparto e rilanciarlo. Il comparto è troppo prezioso per il Paese perché lo si possa lasciare in pasto a logiche di consenso elettorale o, peggio, di egolatria. Merita un impegno trasversale da parte di tutti i soggetti coinvolti; merita che chiunque lo abbia realmente a cuore sappia interloquire seriamente con i politici, sappia promuovere non se stesso o il proprio specifico caso o la propria specifica problematica ma un'operazione di sistema. Un comparto così piccolo ha assoluta necessità di uscire dalla logica dei compartimenti stagni per la quale ognuno crede che la propria situazione sia più urgente di qualunque altra. Ne va della credibilità e finanche dell'esistenza stessa del comparto. Non si perda questa preziosa occasione che il Parlamento e il Ministro, che ha subito compreso, grazie alla sua competenza, la difficile situazione, sembra vogliano finalmente mettere in campo. Siamo probabilmente solo all'inizio e non voglio alimentare l'ennesima più che legittima aspettativa perché, come diceva Petrarca: se non vincesti non cantar trionfo: spesso in porto la nave si sommerge. Quindi, non cantiamo vittoria ma permettetemi di condividere con voi la speranza che davvero questa volta si possa addivenire ad una situazione di reale svolta.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Patelli. Ne ha facoltà.

CRISTINA PATELLI (LEGA). Grazie, Presidente. Rappresentanti del Governo e onorevoli colleghi, con la discussione di oggi ci accingiamo a sancire la divisione del Ministero dell'Istruzione da quello dell'Università e della ricerca. Questa storia è un eterno ping-pong. Oggi con legge n. 1 del 2020 torniamo indietro di oltre vent'anni per dare una nuova puntata dell'eterna lotta tra unità e divisione dell'università e della scuola.

Colleghi, bisogna tornare indietro al 1989 per trovare la prima divisione formale del MIUR. Siamo in pieno Governo De Mita sul finire della Prima Repubblica, di conseguenza non un grande auspicio per questo Governo, occorre farvelo notare (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). La riunificazione tornò nel 1999 in attuazione della riforma Bassanini del 1997, quindi con il principio di semplificare e rendere la pubblica amministrazione un po' più snella. Anche se durò poco, perché, nel 2006, il secondo Governo Prodi spacchettò nuovamente il MIUR, che nel 2008 fu nuovamente riunito. E oggi un nuovo capitolo. Ad aggravio di questo eterno ping-pong, oggi non c'è neppure una motivazione ideale: è solo pura tattica politica perché - dobbiamo dircelo chiaramente - a chi veramente giova questa divisione? Certamente non agli italiani e sicuramente non agli insegnanti; certamente non al personale della scuola. Chi in tempi nei quali la responsabilità del Governo dovrebbe essere quella di contenere i costi, razionalizzare le spese e far ripartire il Paese può invece permettersi di sopprimere un unico Ministero per crearne due e vantarsene: chi, mi chiedo? Raddoppiando i costi, incarichi, lavoro organizzazione e sedi. Non certo chi ha a cuore le sorti del nostro Paese.

E oggi siamo chiamati a discutere la scissione del MIUR: un ennesimo giochetto di palazzo per garantire un pochino di ossigeno ad un Governo che annaspa sulle sue stesse alleanze; un colpo al cerchio ed uno alla botte, recita un famoso adagio. Ebbene convertire in legge il decreto-legge che istituisce i Ministeri dell'Istruzione e quello dell'Università e della ricerca potrebbe anche sembrare una scelta politicamente sensata perché le politiche della scuola, come sappiamo, sono diverse da quelle dell'università. Ma in realtà questa operazione è di pura facciata e a un superficiale osservatore suona come una razionalizzazione, ma cela invece un elenco enciclopedico di svantaggi. Intanto due Dicasteri richiederanno per essere pienamente funzionanti tutta una serie di atti successivi al decreto-legge che rallenteranno enormemente il pieno funzionamento delle strutture, sia per la ricognizione del personale sia per la vera e propria riorganizzazione. E poi ci sarà un ulteriore ingente aumento della spesa per il bilancio: è un atto totalmente irrazionale con i tempi che corrono. E perché tutto questo? Ci chiediamo: perché tutto questo? Onorevoli colleghi, se ci fosse anche solo un vantaggio per il mondo della scuola, allora si potrebbe anche immaginare un dialogo ma non c'è e ve lo abbiamo detto in Senato, vi abbiamo spiegato perché, soprattutto in questo momento storico, lo spacchettamento è del tutto inutile e intempestivo.

E siete saliti in corsa a legislatura iniziata con un colpo di mano che verrà ricordato negli anni e, dopo pochi mesi, sotto le feste natalizie - parlo qui ai miei colleghi Cinque Stelle che non vedo - il vostro Ministro dell'Istruzione e dell'Università si dimette per una chiara polemica sulla gestione di questo comparto così importante per il nostro Paese e, dopo pochi mesi, cosa succede? Ci inchiodate qui, a discutere un testo che costerà più soldi ai cittadini, un testo che, fatalità, ha di fianco alla data 2020 il numero 1, probabilmente un caso, ma insisto su questo punto perché è altamente simbolico che ci sia scritto “numero 1” di fianco a questo disegno di legge. Ma ve li immaginate i nostri pronipoti, intenti a studiare questo periodo storico? Mentre al di fuori si sta scatenando il finimondo, mentre l'Italia è accerchiata da emergenze nazionali ed internazionali, nel mezzo di una fortissima mobilitazione degli studenti e dei ricercatori degli atenei, da nord a sud, da Torino a Lecce, da Pisa a Roma, una mobilitazione per reclamare più fondi per il mondo universitario, mentre là fuori accade tutto questo, qui dentro il Governo cosa fa? Si appresta a sdoppiare il Ministero dell'Istruzione tra la scuola, affidata al mezzo Ministro Azzolina - e tra l'altro ricordo al collega dei Cinque Stelle, Bella, che è intervenuto poco fa e che parlava appunto delle elevatissime competenze nel campo della legislazione universitaria del neo mezzo Ministro Azzolina - che, mi consenta se lo correggo, ma se di competenze vogliamo parlare, si tratta di competenze in campo della legislazione scolastica, non universitaria, dovrebbe saperlo (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier) - quindi dicevamo mezzo Ministro Azzolina per la scuola e Gaetano Manfredi per l'università e la ricerca. Quindi, quando i nostri pronipoti leggeranno di questi tempi, incapaci di capirne il senso, avranno almeno il conforto di vedere che una forza politica che stava dalla parte giusta c'era e siamo noi della Lega, dalla parte dei cittadini e dalla parte del mondo della scuola. Perché vede Presidente, il punto irrazionale di questa scellerata decisione è che, mentre i ricercatori chiedono più fondi, perché sono mal pagati e miseramente considerati, specie se comparati ai loro colleghi stranieri, i lavoratori del mondo della scuola, i dottorandi e gli studenti protestano in tutta Italia con assemblee e flashmob contro il crollo dell'investimento pubblico nelle università, qui la politica che cosa fa? Come risponde? Risponde mettendo in sicurezza alleanze forzate, sdoppiando Ministeri e ritornando al passato, perché se nel 2008 riducemmo i Ministeri è stato per evidenti e contingenti ragioni, mentre oggi, che la nostra situazione non è certo migliorata, torniamo a spendere e a raddoppiare gli uffici e le poltrone (ripeto: le poltrone). Quindi, onorevoli colleghi, ci possiamo fermare un attimo e pensare a questa incongruenza? Possiamo almeno provare a fare uno sforzo di coerenza ed ammettere che dilatare costi e duplicare dipartimenti non è ciò di cui questo Paese ha bisogno, ma anzi è l'esatto opposto? Possiamo pensare non ai giochi di palazzo, che servono a tenere appiccicato con lo scotch ancora un po' questo Governo, distribuendo prebende e accordicchi e pensare invece ai nostri cittadini? È così tanto, chiedere questo? E mi rivolgo soprattutto ai colleghi del MoVimento 5 Stelle: dopo che l'ex ministro Fioramonti si è dimesso, perché nella legge di bilancio mancavano le risorse necessarie al funzionamento degli atenei, oggi il problema resta il medesimo, ma stiamo per votare il via libera affinché di questo problema se ne occupino due nuovi Ministri. E mi viene da dire, anche un po' sorridendo: nuovi Ministri, vecchi problemi. E pensiamo bene al passaggio di coerenza, perché dopo che si dimette un Ministro per mancanza di fondi, la soluzione qual è, quella individuata dal Governo? Lo spacchettamento del Ministero e l'accumulo dei costi. Quindi mi viene da pensare a quale sia la verità. La verità, io temo, è che il Governo si sia dimostrato incapace di cogliere i problemi dell'università e della scuola e che stia semplicemente dando una tinteggiata esterna ad un palazzo che sta crollando, ma è una tinteggiata molto costosa. E potrei leggere tutta una serie di numeri che il decreto che si sta per convertire in legge spiega nel dettaglio molto chiaramente, ma non serve estrapolare nulla: sono tutte spese aggiuntive, costi in più senza valore e parliamo di milioni di euro, scritti lì, nero su bianco, all'articolo 5 del vostro provvedimento.

E non serve spulciare bilanci, perché è davanti a tutti il fallimento del vostro piano di contenimento delle spese di palazzo: è scritto chiaramente il vostro distacco dal mondo reale e non servirà fare grandi sforzi per mostrare ai cittadini la vostra incoerenza. Perché 4 milioni iscritti in legge saranno forse fondi che andranno alla scuola e all'università? Assolutamente no: sono fondi che alimenteranno la macchina statale e i Ministeri, quindi da un dirigente a due, da un impiegato a due, da una scrivania a due, ma soprattutto da una poltrona a due, quindi avete forse preso troppo sul serio quel famoso film che si vede di solito a Natale, “Una poltrona per due”, io credo (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier), solo che in quel caso erano due attori, due persone che si contendono una poltrona, qui invece siete stati ancora più magnanimi con i vostri Ministri: gliene avete data una a ciascuno, tanto pagano i cittadini e via. Quindi è talmente semplice che lo capirebbe anche un bambino e mentre l'università chiede cifre che superano il miliardo per compensare anni di tagli perpetrati dai Governi di centrosinistra, che cosa fa il Governo? Finanzia i Ministeri per affamare del tutto il comparto istruzione e oggi mette la ciliegina sulla torta - e concludo - lo sdoppiamento funzionale semplicemente per tenere vicino Cinque Stelle e PD, nella speranza che questo ennesimo puntello serva a garantire qualche mese in più di vita a questo Governo, ma ad un prezzo che sarà pagato da studenti e da lavoratori. Quindi io ci tengo ad avvertire i colleghi del MoVimento 5 Stelle che sarete ricordati, quando si dovrà - e lo faremo - riparare a questo vostro errore, insieme a quello che stanno facendo i vostri alleati di Governo, alla stregua di un De Mita o di un Prodi e ve lo dico in amicizia. Molti di noi immaginano un diverso finale per la vostra parabola politica: voi che siete nati sull'antipolitica, siete ormai soggiogati al PD e proni ai loro ideali. Quindi con chiarezza ve lo diciamo: la scelta di creare un Ministero per l'università e uno per l'istruzione non giova a nessuno, al di fuori del Governo. Per questo motivo, è una scelta che non solo non può essere condivisa, ma di cui siamo fieramente oppositori, grazie (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier e di deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Grazie a lei deputata Patelli.

È iscritto a parlare il deputato Federico Mollicone, a cui facciamo richiesta di effettuare un intervento breve. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Grazie Presidente. Onorevoli colleghi, signor Presidente e membri del Governo, sulla separazione fra Ministero della pubblica istruzione e quello dell'università e ricerca dobbiamo dirci la verità, dobbiamo dirla a quest'Aula e alla nazione. Possiamo parlare delle esigenze diverse dei dicasteri, della necessità di migliorare la qualità delle politiche, ma diciamola tutta: si è messo in campo un provvedimento solo per le vostre divisioni interne, le divisioni interne alla maggioranza. Il Governo che come primo atto ha tagliato il numero dei parlamentari, ha di fatto aumentato il numero dei Ministri, nel pieno stile della prima Repubblica, un'applicazione plastica e completa del famigerato manuale Cencelli, che si sa ormai il MoVimento 5 Stelle adotta in maniera pedissequa e si è perso nei corridoi dei Ministeri piuttosto che nelle piazze, con i cittadini. Solo il Prodi II adottò la distinzione fra scuola e università e sappiamo come andò a finire. Le dimissioni dell'ex Ministro Fioramonti, a cui va dato atto di aver avuto il coraggio civile di far conseguire agli impegni i fatti, dovute appunto alle mancate risposte per i finanziamenti a scuola, università e ricerca, hanno lasciato irrisolte le grandi questioni e cioè quelle di fornire soluzioni con un decreto per mettere in sicurezza ad esempio i nostri istituti scolastici, per far fronte al precariato di scuola, università, ricerca e dell'alta formazione artistica e musicale, per investire sulle nostre migliori menti e diminuire le asincronie educative tra nord e sud dell'Italia (se ci chiamiamo Fratelli d'Italia è anche per questo, per cercare di dare una scuola con la stessa dignità, dal Piemonte alla Sicilia). In parole povere, la politica scolastica e universitaria del Governo si sviluppa nella riproduzione per mitosi dei posti e sottoposti di Governo. Tra i problemi davvero importanti che l'Italia dovrà affrontare nel prossimo decennio vi è senz'altro l'adeguamento del patrimonio di edilizia scolastica alle esigenze del sistema educativo. Vedete, il nuovo rapporto sull'edilizia scolastica della Fondazione Agnelli offre una fotografia dei 40.000 edifici che oggi ospitano le scuole italiane dall'infanzia alle superiori e ne segnala numerosi limiti e inadeguatezze, collega Ascani.

L'anagrafe dell'edilizia scolastica, dopo quasi un ventennio di ritardi e problemi giurisdizionali, pubblica oggi regolarmente sul portale unico dei dati sulla scuola del Ministero dell'Istruzione università e ricerca i dati del 98 per cento della copertura nazionale delle scuole, 150 milioni di metri quadrati. La maggioranza degli edifici è stata costruita dal 1958 al 1983, durante gli anni del baby boom e del rapido aumento della scolarità. L'età media degli edifici è piuttosto elevata: oltre 52 anni, con punte di 75 anni in Liguria e 64 in Piemonte, le regioni dove è più diffusa la presenza di costruzioni che risalgono a prima dell'Unità d'Italia (e qui forse una riflessione andrebbe fatta). Le criticità sono molte. Infatti, sul piano della didattica le scuole sono state progettate e realizzate con la centralità dell'aula e la dominanza di un'unica strategia didattica, quella trasmissiva (docente-discente). Poco hanno a che fare, quindi, con la diffusione dell'innovazione didattica e organizzativa.

Poi c'è la sicurezza. L'anagrafe dell'edilizia scolastica denuncia problemi strutturali di una certa gravità. L'8 per cento circa degli edifici, colleghi, non superava al 2016 le verifiche sulle strutture portanti verticali, sui solai e sulle coperture. Il 40 per cento degli edifici non dispone di accessi dall'esterno con rampe di pendenza inferiore all'8 per cento. Il 45 per cento non rispetta la larghezza minima delle porte di 90 centimetri. Nella maggioranza dei casi, le scale e i percorsi interni non sono a norma e questi sono gli istituti e le scuole dove vanno ogni giorno i nostri figli. Non prevedono, quindi, l'inclusione di chi soffre di disabilità, ad esempio. Dunque, potete immaginare lo stato in cui si trovano i nostri ragazzi e, purtroppo, l'attualità tristemente spesso ce lo ricorda.

Il decreto perde anche l'occasione per affrontare i casi di precarietà nella scuola italiana, nell'università e nell'alta formazione artistica e musicale. La mancanza di azioni mirate contro la precarizzazione dell'insegnamento, battaglia in cui si è caratterizzata Fratelli d'Italia, segna già di per sé il fallimento anticipato delle politiche scolastiche del Governo. È una lunga battaglia quella che abbiamo condotto per il rispetto del lavoro dei precari della scuola italiana affianco alle categorie e ai sindacati. In un sistema scolastico denso di spinte contrastanti tra riforme, deleghe, competenze imposte dall'Europa e mancanza cronica di fondi destinati all'istruzione i contenziosi abbondano e tutti in favore dei ricorrenti, che vincono cause per reiterazione di contratti a termine per anni. Siamo in piena emergenza cattedre e lo sappiamo. Nell'università e nell'AFAM il tasso di intermittenza dei rapporti di lavoro è superiore persino a quello di molti altri settori. Urge, quindi, una nuova riforma del sistema di reclutamento per non incorrere nelle sentenze della Corte di giustizia europea dopo il “caso Sciotto” delle fondazioni lirico-sinfoniche e in vista di quella sui ricercatori a tempo determinato italiani.

La legge di bilancio del 2017 ha escluso ingiustamente una grossa parte di chi nel 2013 è rientrato nelle graduatorie AFAM. Tra questi, in particolare, tutti i docenti che avevano prestato servizio nei cosiddetti “corsi preaccademici”. Tali corsi preaccademici rientrano nell'offerta formativa dei conservatori statali e degli istituti musicali pareggiati e costituiscono, pertanto, a pieno titolo attività di insegnamento svolta presso le istituzioni, come da sentenza del Consiglio di Stato del 19 maggio 2016. Sulla base della facoltà di attivare fino alla data di entrata in vigore specifiche norme di riordino del settore come da legge del 1999, i conservatori e gli istituti musicali pareggiati hanno organizzato in piena autonomia la propria offerta formativa, istituendo appositi corsi di base o preaccademici. Nessuna indicazione precisa fu data, però, sui tempi di tale disposizione transitoria né sulla natura di questi corsi e sulla loro organizzazione. Dunque, nei primi anni successivi alla “riforma AFAM” i conservatori continuarono a iscrivere studenti nei corsi del vecchio ordinamento. Con l'adozione del regolamento recante disciplina per la definizione degli ordinamenti didattici delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, a norma dell'articolo 2 della legge n. 508 del 1999 e del DPR n. 212 del 2005, la questione emerse con sempre maggiore forza, giacché fu chiaro che i corsi del vecchio ordinamento sarebbero andati prima o poi ad esaurimento.

In assenza, pertanto, di fonti normative che regolamentavano i corsi preaccademici, sono state adottate dalla conferenza dei direttori dei conservatori di musica le linee guida per la redazione del regolamento dei corsi di fascia preaccademica.

Queste linee guida, sebbene prive di valore vincolante, hanno avuto il merito di offrire almeno indicazioni utili per uniformare l'offerta formativa dei conservatori e degli istituti musicali pareggiati presenti in tutta Italia. Le centinaia di docenti precari, che, con diverse tipologie contrattuali (prevalentemente Cococo) insegnano in tali corsi e che, ad oggi, hanno accumulato anche fino a 8,10 anni di servizio, sono stati selezionati e ritenuti idonei all'insegnamento a seguito di procedure selettive pubbliche. Avevamo di fronte l'opportunità per risolvere il problema del precariato del settore AFAM e per restituire dignità ai tanti docenti precari dei preaccademici che, senza alcuna tutela, da anni, svolgono il loro lavoro nelle istituzioni AFAM alla pari dei colleghi con contratto a tempo determinato e indeterminato e che insegnano nei corsi accademici di primo e secondo livello, evitando discriminazioni.

Tuttavia, la semplice proroga della legge n. 205 del 2017 avrebbe il disastroso effetto di mantenere in vigore quei criteri discriminatori che avevano creato ingiustamente precari di serie A e precari di serie B. Resterebbero nuovamente esclusi, quindi, senza alcuna giustificazione, tutti i docenti precari degli istituti musicali pareggiati con servizio nei corsi accademici e preaccademici e dei conservatori con servizio nei corsi preaccademici già inseriti in graduatoria nel 2013. È necessario, pertanto, riaprire la graduatoria nazionale utile per l'attribuzione di incarichi a tempo indeterminato e determinato ricomprendendo chi ha maturato almeno tre anni di servizio, come richiesto dalle categorie, attraverso una riformulazione della legge del 2017.

Si è aperto, poi, un altro fronte di precarietà nei lavoratori della scuola: l'internalizzazione degli addetti alle pulizie nelle scuole voluta dal Governo. Si tratta di una procedura ancora poco chiara, nonostante manchino poche settimane all'avvio. La prima conseguenza sarà l'attivazione delle procedure di licenziamento per 16 mila addetti, come denunciato anche dalla collega Bucalo. Infine, la sincronia tra Nord e Sud. Da ormai vent'anni il Mezzogiorno registra punteggi nettamente inferiori a quelli del resto del Paese nei test volti a stabilire le conoscenze linguistiche, matematiche e scientifiche acquisite nel ciclo di studi. I test PISA e i risultati delle prove INVALSI sia del passato sia dell'ultimo anno condotti in presenza degli ispettori nelle classi casualmente selezionate convergono tutti nel segnalare un ritardo, che arriva fino a circa 20-25 punti percentuali, fra il Sud e il Nord-ovest o il Nord-est del Paese. Il risultato per l'anno scolastico 2018/19, colleghi, è ancora più significativo, perché comprende per la prima volta gli studenti dell'ultimo anno di scuola secondaria superiore. Eppure il Sud ha tanto da dare e la nazione va per questo riunita. L'alto tasso di disoccupazione intellettuale al Sud e il grande numero di giovani altamente istruiti che da lì fuggono sono per noi e per tutti una tragedia nazionale. Fratelli d'Italia riconosce questo provvedimento come l'ennesimo fallimento delle politiche scolastiche e universitarie del Governo che ora, per effetto della divisione, rimarrà perfino impantanato sul piano amministrativo e regolamentare.

Colleghi, in conclusione noi riteniamo che, piuttosto che occuparvi di separare i Ministeri per raddoppiare le poltrone, dovreste raddoppiare i fondi per risanare l'edilizia scolastica, per garantire l'innovazione nella didattica, per garantire il diritto allo studio in maniera equanime tra Nord e Sud, in una sola parola per garantire, difendere e contrastare la precarietà nella scuola perché la scuola è veramente il simbolo e il cuore dell'identità nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2407)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, il presidente della Commissione Affari costituzionali, deputato Giuseppe Brescia, che rinuncia.

Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo, la sottosegretaria Ascani.

ANNA ASCANI, Sottosegretaria di Stato per l'Istruzione. Grazie, Presidente. Semplicemente per ringraziare tutti gli intervenuti, al netto del dissenso rispetto ad alcune delle opinioni che sono state espresse. Credo che le preoccupazioni che tutti gli onorevoli hanno qui elencato per il comparto scuola, università e ricerca siano preoccupazioni sincere e assolutamente legittime. Prima di tutto, ci tengo a dire che questo spacchettamento non comporterà una divisione in compartimenti stagni e molti di voi sono giustamente preoccupati del fatto che tra scuola e università si conservi un ponte. Per questo siamo già al lavoro col Ministro Manfredi per fare in modo che i percorsi di orientamento nelle scuole, i cosiddetti PCTO, coinvolgano di più di quanto è accaduto in passato il mondo dell'università e che, quindi, l'università possa entrare a scuola e la scuola nell'università più di quanto è successo quando il Ministero era uno solo, perché di fatto in questo avere due ministeri è tutt'altro che un ostacolo e in questo senso si sta lavorando.

D'altra parte, da membra del Parlamento, che, per oltre sei anni, ha fatto parte della Commissione VII della Camera, posso dire che il problema della tensione totalizzante nei confronti della scuola, che spesso veniva da quel Ministero denominato Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, è un problema che più volte è stato sollevato da tutti i commissari, di tutte le parti politiche, ed io credo che oggi avere invece due Ministeri, con due persone autorevoli e competenti alla guida, possa essere un buon segnale e di buon auspicio per tutti coloro che, con competenze diverse, in Parlamento si occupano di istruzione, di università e di ricerca. Competerà a noi dare a questi differenti aspetti della vita del Paese la centralità che si meritano, ed io credo che i Ministri competenti sapranno fare al meglio il proprio lavoro di valorizzazione di questi settori. Mi limito a dire che in queste settimane, da quando abbiamo avviato questo percorso, in realtà sono stati fatti dei passi in avanti: qualcuno di voi citava la valorizzazione del dottorato, che è già contenuto all'interno di questo decreto, così come l'attenzione alla valutazione e all'internazionalizzazione.

D'altra parte, nel “Milleproroghe” è stata data come priorità l'assunzione di 1.600 ricercatori, e il Ministro Manfredi ha annunciato un piano per arrivare alla stabilizzazione di 10 mila ricercatori di tipo B, quindi in tenure track. Anche qui c'è un'attenzione particolare ai precari, d'altra parte, sull'edilizia stiamo provvedendo all'erogazione diretta di risorse importanti: 510 milioni nel mese di gennaio, ora ne arriveranno altri 230; 850 destinati all'edilizia scolastica delle province. Non è abbastanza, ma sicuramente è qualcosa, così come qualcosa è la stabilizzazione di 70 mila docenti, con tutte le criticità che sappiamo far parte di questo percorso di stabilizzazione. Così come dovremo avviare, con attenzione al dialogo con le parti sociali, il tavolo del contratto.

Insomma, i due Ministeri sono pienamente al lavoro e già pienamente operativi, tenendo presente che il faro per noi è lo sviluppo del Paese, quindi l'attenzione al mondo della ricerca e dell'università, ma sono soprattutto i nostri bambini e i nostri ragazzi che hanno bisogno dell'attenzione piena di un Ministero competente, e il Ministero dell'Istruzione si farà carico principalmente e soprattutto di questo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

(Annunzio di questioni pregiudiziali – A.C. 2407)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate, a norma dell'articolo 96-bis, comma 3, del Regolamento, le questioni pregiudiziali Lollobrigida ed altri n. 1, Iezzi ed altri n. 2, Sisto ed altri n. 3 (Vedi l'allegato A), che sono in distribuzione e saranno esaminate e poste in votazione domani, 4 marzo, prima di passare al seguito dell'esame del provvedimento.

Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di domani.

Discussione della mozione Boldrini, Ascari, Boschi, Muroni, Giannone ed altri n. 1-00334 concernente iniziative volte a promuovere la parità di genere e a prevenire e contrastare la violenza contro le donne (ore 16,32).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Boldrini, Ascari, Boschi, Muroni, Giannone ed altri n. 1-00334 concernente iniziative volte a promuovere la parità di genere e a prevenire e contrastare la violenza contro le donne (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto della seduta del 27 febbraio 2020 (Vedi l'allegato A della seduta del 27 febbraio 2020).

Avverto che è stata presentata la mozione Gelmini, Locatelli, Meloni ed altri n. 1-00335, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritta a parlare la deputata Alessia Rotta, che illustrerà anche la mozione n. 1-00334, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

ALESSIA ROTTA (PD). Grazie, Presidente, buongiorno Ministra. Come ogni 8 marzo, ci troviamo qui, nelle Aule parlamentari e nel Paese, a raccontare delle rivendicazioni delle donne nel nostro Paese e dei passi che ancora dobbiamo compiere per raggiungere la parità. Un elenco che purtroppo è ancora molto lungo, nonostante gli interventi e i progressi fatti nella nostra legislazione. Penso, infatti, ai numerosi provvedimenti legislativi intervenuti sia sugli aspetti culturali, come l'inserimento dell'educazione alla parità tra i sessi nelle scuole, o il congedo obbligatorio per i padri, o sugli aspetti civili, come il divorzio breve, oppure alle misure adottate per il sostegno alla maternità, penso al bonus bebè, al voucher per baby sitter o asili nido, alle dimissioni in bianco; importanti passi fatti appunto nel nostro Paese.

Penso a quello che abbiamo fatto in termini di violenza, a quanto è stato fatto rispetto al femminicidio, al sostegno alle vittime delle violenze, così pure per la parità di genere nella rappresentanza. In questo senso, esprimiamo piena soddisfazione per la proroga della “legge Golfo-Mosca”, un successo per le donne del Paese con cui abbiamo portato da tre a sei mandati consecutivi l'obbligo di applicare il criterio di riparto previsto in materia di parità di genere nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate di controllo pubblico, rafforzando così la nostra economia in termini sia di competitività che di sostenibilità ed equità.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO (ore 16,35)

ALESSIA ROTTA (PD). Però, anche in questo caso, se la presenza femminile nelle società è passata dal 36 al 39 per cento come si trova oggi, dobbiamo ricordare oggi, proprio oggi, che solo in quindici delle società quotate in Borsa a capo c'è una donna, cioè il 2,5 per cento delle società che stanno sul mercato, quindi ancora troppo poco. È ancora troppo poco per creare un effettivo cambiamento, perché se è vero che per il cambiamento ci vuole tempo, è vero anche che ci vuole una grande determinazione. Fino a quando, infatti, il mutamento non sarà consolidato, duraturo ed intrinseco, le previsioni normative avranno il compito di favorire ad accompagnare la formazione di una nuova cultura per una maggiore, ma soprattutto una migliore inclusività nel nostro Paese. E noi non siamo stanche di ricordare l'8 marzo, non siamo stanche soprattutto di ricordare i passi che ancora devono essere fatti, e fatti assieme - lo ricordiamo qui ogni anno -, non solo da una parte del Parlamento, ma da tutti insieme, e non lo saremo mai stanche finché non riusciremo a raggiungere tutti i risultati.

Che serva ancora molto da lavorare, lo dicono i fatti, lo dicono i numeri, che ricordiamo anche in questa mozione, se è vero come è vero che, secondo il Global Gender Gap Report del 2020 e il World Economic Forum, la parità tra uomini e donne a livello globale, in assenza di radicali cambiamenti, non sarà raggiunta per i prossimi cento anni. Ecco, noi non vogliamo aspettare cento anni. Il nostro Paese, sulla base dell'ultimo report, si colloca ancora nella classifica a livello troppo basso, al 76° posto su 153 Paesi per scarsa rappresentanza femminile nei ruoli emergenti, per sottorappresentazione nelle posizioni apicali, per la differenza salariale tra uomini e donne (anche nelle mansioni), per la scarsissima inclusione nell'economia, per la bassa partecipazione al mondo del lavoro e per gli alti tassi di disoccupazione. Tutte situazioni che peggiorano - non vale qui appunto la pena di nuovo di ricordarlo - quando sopraggiungono impegni familiari, quando arrivano i figli, a causa dell'enorme difficoltà di conciliare i tempi, la vita, per la scarsa propensione alla divisione dei ruoli, che soprattutto permane nella nostra società come uno degli stereotipi da abbattere. Per molte donne, lavorare e formare una famiglia rimangono oggi due percorsi paralleli e spesso incompatibili, ancora una volta ce lo dicono i dati. Eppure, ogni studio ci dimostra una sola cosa, che la parità di genere non è una questione solo dei diritti - tanto basterebbe, naturalmente -, ma è una questione di crescita e di benessere complessivo del Paese, perché i benefici per una maggiore presenza e una più piena valorizzazione delle donne nell'economia e nella società sono evidenti. Anche i dati sulla violenza domestica rimangono impressionanti, così come i femminicidi. La violenza sulle donne rimane una drammatica realtà, e così, anche nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, il 12 novembre scorso, abbiamo approvato in Parlamento una mozione che dà pieno mandato al Parlamento e al Governo di agire in tal senso, di impegnarsi fattivamente per ulteriori, necessarie iniziative, oltre a tutto quello che è già stato fatto.

Il punto chiave, a nostro avviso, è che bisogna inserire i provvedimenti in un'agenda politica nazionale, e non solo in un'agenda di genere. Deve diventare, questa, l'agenda di questo Parlamento, l'agenda di questo Governo, perciò questa mozione non ha per noi solo un valore simbolico, perché discuterne qui, dove si rappresentano gli interessi di tutti gli italiani, segna la volontà di continuare sulla strada giusta, incrementando, rafforzando, credendo tutti assieme alle nostre azioni. L'attualità, d'altra parte, di questi giorni non fa che fornirci ulteriori conferme dell'urgenza, dell'urgenza di agire.

In questi giorni in cui stiamo affrontando una grave emergenza sanitaria ed economica legata alla progressiva diffusione del Coronavirus – e perdonerete se colgo questa occasione per ringraziare una volta di più, in quest'Aula, gli operatori medico-sanitari, i dirigenti, ma anche gli amministratori che sono in prima linea in questa difficile battaglia, a cui dovremmo dare sostegno, tutti uniti -, la crisi fa venire a galla la questione di cui parlavamo in modo prepotente: il termometro dell'urgenza, anche di questa emergenza del Coronavirus, lascia emergere questioni che fanno parte, in realtà, della nostra normale quotidianità.

E ciò, se pensiamo, infatti, al valore delle donne e alla disparità che subiscono ogni giorno. Pensiamo alle donne che sono state impegnate in questa circostanza del Coronavirus e che sono impegnate tutti i giorni per garantire la nostra salute. Penso, naturalmente, alle ricercatrici dello Spallanzani e del Sacco che hanno dato un grandissimo contributo e lo stanno dando alla ricerca. Le prime hanno isolato, tra le prime in Europa, il ceppo del Coronavirus, mentre le ricercatrici del Sacco hanno isolato il virus italiano che ha infettato i pazienti della zona rossa. Molte di loro, ce lo hanno raccontato, sono precarie da anni, passano da un assegno di ricerca ad una borsa, faticano a fare carriera, con la difficoltà di affrontare la carriera universitaria e di avere delle reali opportunità. D'altra parte i dati del MIUR ce lo dicono: nel campo della ricerca i professori donna sono poco più del 21 per cento, e la situazione non solo non migliora, ma peggiora durante la loro vita lavorativa, se è vero come è vero che i ricercatori, o meglio le ricercatrici, sono al 45 per cento all'inizio della loro carriera e poi diminuiscono. Naturalmente su questo ci sono delle ragioni ed è qui che dobbiamo impegnarci. I team di scienziate certificano come le donne siano straordinarie scienziate al pari dei colleghi, nonostante gli stereotipi di genere che considerano la scienza, la tecnologia, l'ingegneria e la matematica roba da maschi, così, e purtroppo sono spesso anche le famiglie a non essere capaci di rompere questi tabù. Perciò l'impegno nostro, oltre che legislativo, deve essere quello culturale, nelle scuole, con un'azione diffusa, in particolare sulle cosiddette materie STEM. So che parlo ad una Ministra che di questo sa, perché fa parte della sua vita.

Le ragazze che riescono a rompere il soffitto di cristallo sono ancora troppo poche, solo il 28 per cento dei ricercatori in tutto il mondo è donna: un numero impressionante se pensiamo che il 65 per cento delle bambine e dei bambini che cominciano oggi a frequentare la scuola primaria farà un lavoro di oggi che non esiste, e quindi quanto è importante agire oggi perché domani queste bambine, queste donne, possano essere delle donne libere e autonome. Tanto ancora avremmo da dire, Presidente, penso anche ai congedi parentali: ancora oggi la situazione di emergenza del Coronavirus ci dice quanto le prime chiamate in causa a dover gestire situazioni in cui i bambini nelle zone rosse, non solo nelle regioni del Nord in particolare, sono a casa, e di questa incombenza di gestione dei figli, in assenza di una rete familiare, in particolare dei nonni, sono le donne le prime a doversene occupare. Perciò abbiamo chiesto che in questo senso venga previsto uno strumento. Penso ugualmente allo strumento, che in questi giorni ricorre molto nelle nostre parole, dello smart working: le prime a farne esperienza nel Paese sono state e sono le donne. Anche qui potremmo lavorare per sviluppare ulteriormente questo strumento. E ancora, dall'attualità: l'ultima storia di violenza è quella che è accaduta a Napoli, dove il pronto soccorso dell'Ospedale Pellegrini è stato devastato in seguito ai fatti accaduti laddove un ragazzo è stato ucciso da un carabiniere per difesa. Rimanendo in ambito sanitario, vogliamo ricordare che nei 4 mila casi di violenza sul luogo di lavoro registrati in un anno in Italia più di 1.200 riguardano operatori della sanità e, all'interno di questi, il 70 per cento sono professioniste donne. Ma - e qui chiudo, Presidente - anche in questo intervento c'è una persona che è rimasta nell'ombra: in quelle ore, in quell'ospedale devastato, c'era una vittima che è stata doppiamente dimenticata. È Irina, che è stata massacrata di botte dal suo compagno; è a lei che vogliamo anche dedicare questo momento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Marrocco, che illustrerà anche la mozione n. 1-00335. Ne ha facoltà.

PATRIZIA MARROCCO (FI). Grazie, Presidente. La scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro costituisce ancora oggi un freno al pieno sviluppo sociale del Paese, persistendo ancora diversi ostacoli che impediscono a moltissime donne la completa realizzazione di se stesse nella società. Secondo gli ultimi dati resi noti dal Censis, l'Italia è l'ultimo Paese in Europa per quanto riguarda l'occupazione femminile con 9.768 lavoratrici che rappresentano il 42,1 per cento degli occupati complessivi e un tasso di attività femminile al 56,2 per cento, lontanissimo dall'81,2 per cento della Svezia, prima tra gli Stati europei. In Italia il numero delle donne occupate è lontanissimo da quello relativo agli uomini, che registrano un tasso di attività pari al 75,1 per cento. Il tasso di occupazione nella fascia di età 15-64 anni è del 49,5 per cento per le donne e del 67,6 per cento per gli uomini. Nel confronto europeo riferito alla fascia di età 20-64 anni il tasso di disoccupazione in Italia è pari all'11,8 per cento per le donne e al 9,7 per cento per gli uomini. Tra le giovani dai 15 ai 24 anni si arriva al 34,8 per cento, mentre per i maschi della stessa età si ferma al 30,4 per cento, con una distanza abissale con l'Europa, dove il tasso medio di disoccupazione giovanile per le donne è pari a 14,5 per cento.

Anche tra le donne in attività i numeri sono preoccupanti: in Italia le donne manager sono solo il 27 per cento dei dirigenti, valore molto al di sotto di quello medio europeo, che è al 33 per cento. Ancora oggi, purtroppo, per molte donne lavorare e formare una famiglia rimangono due percorsi paralleli e spesso incompatibili. Per questo una donna occupata su tre ha un impiego part time che molto spesso viene scelto per mancanza di alternative da circa due milioni di lavoratrici ed è involontario per il 60,2 per cento delle donne che invece lo richiede. Sono quasi 6 milioni le donne italiane che hanno figli minori e che, allo stesso tempo, lavorano, e tra quelle occupate, con almeno tre figli, quasi 1,3 milioni lavora a tempo pieno e 171 mila sono dirigenti, quadri o imprenditrici.

La condizione di diseguaglianza tra donne e uomini comporta anche una differenza nei redditi da pensione: nel 2017 le donne che percepivano una pensione da lavoro erano più di 5 milioni, con un importo medio lordo di 17.560 euro, mentre per i quasi 3 milioni di pensionati uomini l'importo medio era di 23.975 euro l'anno. In Commissione lavoro alla Camera sono giacenti una serie di proposte sul tema delle parità salariali, dell'occupazione e dell'imprenditoria femminile, degli incentivi per l'assunzione di donne, nonché su una maggiore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; proposte presentate da esponenti delle opposizioni che meritano maggiore attenzione e condivisione da parte della maggioranza per un rapido iter e approvazione.

Una misura fortemente apprezzata, ad esempio, è l'istituto sperimentale per il pensionamento anticipato delle donne, introdotto nel nostro ordinamento dal centrodestra al Governo e da ultimo prorogato dall'attuale maggioranza governativa con l'ultima legge di bilancio, estendendone la possibilità di fruizione alle lavoratrici che abbiano maturato determinati requisiti entro il 31 dicembre 2019. Purtroppo, però, le misure introdotte dal legislatore negli ultimi anni sono sempre state caratterizzate da transitorietà e temporaneità. Invero, è necessario insistere con l'adozione di misure strutturali volte a favorire la creazione di un quadro certo su cui le donne possano fare affidamento per la costruzione del loro progetto di vita. In questa prospettiva, due sembrano le criticità sulle quali è davvero doveroso operare in maniera strutturale e di lungo periodo: il problema dei carichi familiari e la scarsa copertura dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia, attuando politiche della famiglia indirizzate alla piena possibilità di poter armonizzare la vita familiare con la vita sociale, lavorativa e relazionale, affinché l'indispensabile sostegno al contrasto della denatalità possa svilupparsi anche attraverso l'implementazione di politiche di conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia e di strategie family friendly.

Secondo l'Istat, infatti, le donne presentano una maggiore quota di sovraccarico tra impegni lavorativi e familiari. Più della metà delle donne occupate, il 54,1 per cento, svolge oltre 60 ore settimanali di lavoro retribuito e familiare, il 46,6 per cento nel caso degli uomini. La presenza di forti carichi familiari si riverbera in modo decisivo sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro in ogni suo segmento, dall'ingresso alla progressione di carriera. Un altro dato assolutamente degno di nota è quello che riguarda la copertura territoriale dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia e le relazioni che intercorrono fra questo aspetto e l'occupazione femminile. La copertura dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia nel nostro Paese è scarsa; la media nazionale dei bambini che ne fruiscono è del 20 per cento, con riduzioni drastiche se scendiamo giù al Meridione pari al 7 per cento circa dei bambini, a fronte di una media europea del 40 per cento circa. Come rilevato dall'OSCE, esiste un nesso causale immediato e diretto fra la scarsa disponibilità di servizi pubblici per l'infanzia e la disoccupazione femminile. È di tutta evidenza, infatti, che le madri che non possono affidare il bambino ad altri componenti del nucleo familiare o sostenere costi per le babysitter non abbiano altra scelta che rinunciare in tutto o in parte al proprio lavoro.

Dati statistici dimostrano, in modo incontrovertibile, che i Paesi con il tasso di disoccupazione femminile più basso - Francia, Danimarca e Paesi scandinavi - sono quelli con la più alta copertura di servizi per l'infanzia.

Il principio della parità di genere, nonostante il significato riconosciuto con la cosiddetta legge Golfo-Mosca, la n. 120 del 2011, ed il recente aumento, per le società quotate in borsa, della quota da riservare al genere meno rappresentato da un terzo a due quinti, è ancora ben lontano dalla sua piena attuazione.

La mancata occupazione o una retribuzione inadeguata costituiscono per la donna anche una forma di violenza di genere di tipo economico che, drammaticamente, si affianca a quella di tipo fisico e psicologico, impedendo alla donna stessa che subisce violenza in ambito domestico il coraggio di denunciare.

Purtroppo, la violenza sulle donne è una piaga che non accenna a fermarsi: quasi 7 milioni di donne italiane dai 16 ai 70 anni hanno subito almeno una volta nella vita una forma di violenza. Su un totale di 3 milioni di donne, la violenza è stata perpetrata nel 5,2 per cento dei casi dall'attuale partner, nel 18,9 per cento da un ex partner; oltre a partner ed ex partner, si rilevano violenze da parte di colleghi di lavoro nel 2,5 per cento dei casi, da parenti nel 2,6 per cento, da amici nel 3 per cento e da conoscenti nel 6,3 per cento dei casi.

Lo scorso 12 novembre 2019 è stata approvata dalla Camera dei deputati una mozione volta a riconoscere i passi in avanti compiuti nel contrasto della violenza sulle donne e, allo stesso tempo, ad impegnare il Governo ad aumentare le misure volte a contrastare e prevenire tale fenomeno. Dal punto di vista legislativo, in passato sono state poste in essere diverse iniziative positive e meritorie nella direzione del rafforzamento delle misure di tutela contro la violenza sulle donne.

Non ci si può esimere, a tal riguardo, dal dare atto di quanto realizzato durante i Governi di centrodestra, quando, per la prima volta, è stato posto in essere un piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, reato introdotto nell'ordinamento dal 2009, finanziato con oltre 18 milioni di euro e teso a realizzare una strategia di contrasto su scala nazionale, con l'obiettivo di ottenere una positiva collaborazione tra i centri antiviolenza delle regioni, il numero verde “1522” e le diverse professionalità esistenti nella fila delle forze dell'ordine.

Oggigiorno, non si parla soltanto di violenza fisica e psicologica, ma anche di quella economica, prevista dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall'Italia nel 2013.

Tra le vittime ci sono donne di ogni età e di ogni ceto sociale; la spirale in cui cadono le porta a indebitarsi, a non avere liquidità, fino ad arrivare a vivere di stenti, a non poter mandare i figli all'università e a non poter acquistare loro da mangiare o da vestire. I comportamenti degli uomini che perpetuano la violenza economica non solo generano una forma di controllo che impedisce l'indipendenza della donna, ma creano anche uno stato di soggezione.

Un fenomeno in crescita è quello delle donne che ricevono molestie o minacce sul luogo di lavoro. I dati, basati sulla rilevazione effettuata negli ultimi anni 2015-2016, danno atto che le donne che hanno subito un ricatto sessuale nel corso della loro vita lavorativa sono un milione e 400 mila, rappresentano la quota dell'8,9 delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. Rilevano altresì che, quando una donna subisce violenza, nell'80 per cento dei casi, non ne parla con nessuno e che solo la quota dello 0,7 per cento si rivolge alle forze di polizia. I ricatti sessuali si verificano nel momento in cui le donne si trovano in difficoltà e subiscono la situazione asimmetrica presente soprattutto nei settori professionali tradizionalmente maschili.

Il sessismo non risparmia neanche le donne con disabilità, anzi, le rende doppiamente vittime. Se la donna è spesso vista come un oggetto, il fatto di essere disabile la rende ancora più indifesa e bersaglio di atteggiamenti discriminatori e violenti.

Per raggiungere la parità effettiva tra uomini e donne occorre il superamento di stereotipi e pregiudizi di genere, accompagnato da misure, anche a carattere normativo, tese a sostenere le reali necessità delle donne, madri e lavoratrici.

Il Governo si impegna ad adottare le opportune iniziative volte a sostenere e valorizzare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, nonché misure strutturali di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per le lavoratrici; a colmare il divario retributivo tra donne e uomini, prevedendo sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, al fine di introdurre, attraverso accordi tra datori di lavoro e lavoratori, misure ad hoc di monitoraggio e di valutazione delle condizioni di lavoro e di retribuzione dei due sessi; ad introdurre strumenti di welfare, volti a supportare le donne che rientrano nel lavoro dopo il parto e nella gestione dei figli, con particolare riguardo per le mamme single o che abbiano subito violenza; a prevedere le opportune misure volte a superare le condizioni di organizzazione e distribuzione del lavoro che siano, di fatto, pregiudizievoli per l'avanzamento professionale di carica ed economico della donna; ad avviare programmi di controllo interno ai luoghi di lavoro, al fine di rilevare eventuali condizioni di discriminazione, individuata ai sensi del codice delle pari opportunità ed al contempo individuare apposite misure che incentivino i datori di lavoro ad assumere le donne lavoratrici con il profilo adeguato alla mansione da svolgere, senza penalizzarne, come spesso accade, la professionalità e la competenza; a riconoscere specifiche agevolazioni fiscali per le lavoratrici residenti nei territori con minore capacità fiscale per sostenere il lavoro femminile anche nelle realtà più svantaggiate dal punto di vista economico e sociale, dove il divario occupazionale tra i sessi è ancora maggiore; a promuovere misure organiche e permanenti per il potenziamento e la riqualificazione di strutture destinate agli asili nido e alle scuole dell'infanzia e a reperire le occorrenti risorse finanziarie per conseguire l'obiettivo di copertura, in tutto il territorio nazionale, dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, anche valutando orari prolungati corrispondenti alla chiusura di uffici e negozi e coperture nel periodo estivo per le madri lavoratrici; a sostenere il potenziamento dell'offerta pubblica o privata degli asili nido, anche attraverso l'incentivazione dei nidi condominiali sui luoghi di lavoro e in case private secondo il modello tedesco della Tagesmutter, nell'ambito delle politiche per la famiglia e a sostegno delle madri lavoratrici; a promuovere il rilancio dell'occupazione femminile, facilitando l'accesso al lavoro part-time e al telelavoro, previsto dalla legge n. 81 del 2017, con l'obiettivo di garantire una più ampia flessibilità nella scelta dell'orario di lavoro e permettere alle madri di scegliere di trascorrere più tempo a casa con il proprio figlio; a prevedere incentivi in favore delle imprese che assumono neomamme e donne fertili, nonché donne vittime di violenza; a promuovere la parità tra i sessi e la prevenzione della violenza di genere nelle scuole; a prevedere gli opportuni interventi legislativi al fine di recepire il contenuto dell'articolo 40 della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall'Italia nel 2013, per quanto attiene alle molestie perpetrate in ambito lavorativo, al fine di prevedere forme di responsabilità anche del datore di lavoro, quale garante della correttezza del comportamento dei propri dipendenti; a prevedere ogni misura atta a far emergere il fenomeno delle molestie in ambito lavorativo e favorire al più presto l'adozione di accordi specifici nel settore privato; a promuovere la parità di genere nell'ambito delle cariche istituzionali e dell'attività politica, delle società pubbliche o prevalentemente a partecipazione pubblica, per le società quotate in borsa; a intraprendere le opportune iniziative al fine di adottare misure di prevenzione e di sensibilizzazione contro il sessismo, la misoginia in generale e l'utilizzo di stereotipi che alimentano la vittimizzazione secondaria a tutti i livelli; ad adottare iniziative volte ad incrementare l'occupazione femminile come elemento fondamentale di emancipazione e liberazione da ogni tipo di violenza, intesa soprattutto quale strumento di inclusione sociale; ad assumere le opportune iniziative al fine di stanziare risorse adeguate destinate alla formazione del personale impegnato nelle strutture di pubblica sicurezza chiamato a interagire con le donne che hanno subito maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, per incentivare una cultura sociale e giudiziaria orientata alla tutela della vittima.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rostan. Ne ha facoltà.

MICHELA ROSTAN (IV). Grazie, Presidente. Quando parliamo di parità di genere, non parliamo soltanto di una questione delle donne, ma parliamo di una questione che riguarda la società tutta, la qualità della nostra democrazia, il funzionamento delle istituzioni, l'equilibrio della comunità. Non è una rivendicazione di parte, è un bisogno di tutti o almeno tutti dovrebbero sentirlo come un bisogno.

Negli anni, la democrazia paritaria è stata considerata una battaglia delle donne, perché dalle donne è nata l'esigenza, la necessità di fare spazio al tema di azioni, ma se non diventa una lotta di tutti, se non si afferma come un sentimento collettivo, resterà sempre una battaglia di minoranza, di una schiera marginale che chiede un po' di spazio. Allora, bisognerebbe comprendere che le donne non chiedono quote per sé, ma equilibrio della comunità, perché una società in equilibrio garantisce, a sua volta, equilibrio, una società giusta garantisce giustizia.

Ecco perché la parità di genere è un bisogno di tutti, perché afferma innanzitutto un principio, che è quello dell'uguaglianza, un principio costituzionale che oggi riguarda le donne, ma che domani può riguardare chiunque.

La mozione in discussione pone delle questioni specifiche e impegna il Governo ad azioni precise. Il punto di partenza del nostro ragionamento è ancora una volta il Global gender gap report, che da qualche anno ci segnala, come documento ufficiale del World economic forum, la situazione mondiale sul tema della parità fra uomini e donne a livello globale. Per l'Italia, purtroppo, il risultato è impietoso ancora una volta: lo scorso anno il nostro Paese era risalito al settantesimo posto, quest'anno si scivola al settantaseiesimo su 153 Paesi; significa che metà dei Paesi esaminati sta meglio di noi. Perché? Perché restiamo indietro su molti indicatori evidentemente, quelli economici innanzitutto: in Italia lavora ancora meno di una donna su due; secondo gli ultimi dati Istat, il divario fra tasso di occupazione delle donne e quello degli uomini è del 18,9 per cento, in Europa dietro di noi c'è soltanto Malta. Il rapporto fra l'occupazione e le donne risente, poi, ancora in modo drammatico della questione figli: l'11,1 per cento delle madri con almeno un figlio non ha mai lavorato; la media dell'Unione europea è pari al 3,7 per cento; il tasso di occupazione delle madri fra i 25 e i 54 anni che si occupano di figli piccoli o parenti non autosufficienti è del 57 per cento, a fronte dell'89,3 dei padri. Secondo il Censis, in Italia le donne che lavorano sono il 42,1 per cento degli occupati complessivi: con un tasso di attività femminile del 56,2 per cento, rispetto al 75,1 di quella maschile, siamo ultimi tra i Paesi europei. Nell'ultimo anno il tasso di disoccupazione in Italia è pari all'11,8 per cento per le donne, al 9,7 per cento per gli uomini, ma tra le giovani di 15-24 anni si arriva al 34,8, mentre per i maschi della stessa età si ferma al 30,4.

E poi, ancora, c'è tutto il tema cruciale del salario: non solo quante donne lavorano, ma anche quanto guadagnano rispetto agli uomini. Tornando al Global gender gap report, sull'Italia pesa anche la differenza salariale fra uomini e donne a parità di livello e di mansioni: il 7,4 per cento in meno per una donna rispetto ad un uomo. Eppure, quando le donne sono chiamate a lavori di responsabilità, come abbiamo visto anche in queste settimane con le ricercatrici sull'emergenza COVID-19, sebbene precarie e sottopagate, non si fanno mai trovare impreparate. Le donne studiano di più, hanno voti più alti, si laureano di più e meglio, ma faticano di più a fare carriera, occupano poche posizioni di vertice e guadagnano meno degli uomini a parità di livello e di mansioni: questa è la vera discriminazione di genere.

Qualche passo avanti lo facciamo sul fronte dell'accesso ai servizi scolastici ed educativi e alla politica, ma siamo ancora indietro rispetto ai Paesi del nord Europa, non così indietro rispetto al mondo; in cima alla classifica della parità ci sono paesi come Islanda, Norvegia, Finlandia e Svezia, e molto prima di noi ci sono Spagna, Irlanda, Nicaragua e Ruanda. È evidente che ci sia ancora molto da lavorare.

In Italia fa ancora molta differenza - e può sembrare paradossale - essere uomo o donna in termini di lavoro, possibilità economiche e di carriera politica o dirigenziale. Evidentemente è una questione di giustizia sociale, ma anche di competitività di un Paese. Le donne costituiscono un talento potenziale che in questo modo viene sprecato: un Paese con più donne nei ruoli dirigenziali e di comando è un Paese che funziona meglio, lavora meglio, che è più competitivo e dunque più giusto.

E allora cosa possiamo e dobbiamo fare per invertire questa tendenza? Ci vogliono azioni innanzitutto, strumenti legislativi sì, ma poi azioni concrete. Qualcosa in questi anni è stata fatta: la legge n. 120 del 12 luglio 2011 ha introdotto misure per il riequilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società pubbliche e private; la legge 23 novembre 2012, n. 215, ha introdotto nelle elezioni dei consigli comunali dei comuni con più di 5 mila abitanti sia la doppia preferenza di genere, sia una quota di lista; la legge n. 65 del 22 aprile 2014 ha promosso l'equilibrio di genere nella rappresentanza politica alle elezioni per il Parlamento europeo. Tutto questo ha inciso anche, ovviamente, per la rappresentanza istituzionale, ma gli stessi interventi poi vanno garantiti anche sui tempi del lavoro, sulla cura familiare, sui servizi alla famiglia e all'infanzia. Questo Governo già sta lavorando in tal senso: tra le misure opportunamente in questa sede ricordiamo il Family Act, che a breve vedrà la sua luce, con un sistema di politiche familiari che agiranno su più fronti. E dunque, i punti salienti della battaglia da condurre sono essenzialmente, devono essere essenzialmente tre: accesso paritario al mercato del lavoro, parità salariale fra donne e uomini, sistemi di innovazione dei tempi e dei modi per includere le donne e non per escluderle; ecco perché non si tratta soltanto di strumenti normativi.

I temi che si connettono al protagonismo delle donne affondano le loro radici anche in ragioni di natura culturale: arretratezza, sessismo, radici di pensiero che si stanno scardinando troppo lentamente e che vogliono ancora nel maschio il centro del mondo e nella donna il ruolo di ancella che sta un passo indietro, che va misurata sull'ambito domestico, sottomissione, ovviamente sull'estetica, sull'ambizione riproduttiva, sul mettere su famiglia, piuttosto che realizzare se stesse in tutti gli ambiti, da quello professionale a quello personale.

C'è un lavoro profondo sulle questioni di genere da fare, i risultati raggiunti in questi anni non sono sufficienti e c'è ancora ad agire. Abbiamo mille spie di un pensiero, di un modo di trattare la donna, di una modalità di approccio che sottende una cultura precisa. Sulle radici culturali il lavoro non è certamente agevole, né tanto meno veloce: dobbiamo scardinare gli stereotipi e riformulare una cultura della parità che va dall'immagine alla sostanza, questo è il punto.

Passi avanti sono stati fatti in questi anni, se consideriamo che lo stesso diritto di voto alle donne in Italia è relativamente giovane e risale alla Costituente, ma tanto altro resta da fare: una battaglia quotidiana di contenuti e cultura, che deve vederci tutti uniti, perché quella della parità non è soltanto una battaglia femminile, ma una lotta di civiltà, è una grande questione di qualità della nostra democrazia e, dunque, della nostra vita comune.

Tra l'altro, proprio la questione culturale parla ad un'altra grande questione di genere, che è quella della violenza sulle donne: intanto perché la questione del lavoro e della parità salariale uomo-donna rende anche quest'ultima più libera e più tutelata nelle sue scelte. Una delle ragioni per cui le donne faticano a denunciare violenze subite nello stesso ambito familiare sono proprio le difficoltà economiche: spesso il partner detiene il potere economico e il controllo completo sulle finanze, e molte donne, se denunciano il partner violento e lasciano la relazione, possono non avere più una casa, con la paura che le difficoltà economiche possano anche incidere nel rapporto con i figli. Questa è la violenza economica: atti di controllo e monitoraggio del comportamento di una donna in termini di uso e di distribuzione del denaro, con la costante minaccia di negare le risorse economiche. Le difficoltà che le donne incontrano nella fuoriuscita dalla violenza sono spesso legate alla mancanza di un lavoro o a livelli retributivi troppo bassi per garantirne l'autonomia. Sono pochi e insufficienti gli strumenti di welfare a sostegno dei loro percorsi di libertà e di autonomia.

Questa mozione impegna il Governo ad interventi precisi e mirati, ma non può essere, però, questo, solo il tempo delle parole e delle enunciazioni di principio. Troppe volte in quest'Aula abbiamo approvato mozioni e risoluzioni, ordini del giorno e documenti programmatici, pieni di buone intenzioni, ma le azioni sono lente, occasionali e non sistematiche. Bisogna fare di più e fare meglio, soprattutto sul versante finanziario. Le iniziative per rafforzare la parità fra i sessi, per i diritti delle donne e per favorire l'accesso e la permanenza delle donne nel mondo del lavoro hanno bisogno di investimenti e, soprattutto, di impegni economici, come finanziare la necessità di adottare strumenti di welfare per sostenere economicamente le donne nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza. C'è da lavorare sulla prevenzione, con l'educazione, con la scuola, con lo scardinamento degli stereotipi e con la costruzione di una parità vera di contenuti ed obiettivi.

La parità di genere - e concludo, Presidente - non è, o almeno non deve essere un obiettivo delle donne. È un obiettivo di giustizia sociale e di equilibrio a cui tende, dentro una comunità, chiunque capisca che i diritti di tutti sono i mattoni della civiltà. Soltanto una società paritaria può definirsi una società veramente civile (Applausi dei deputati dei gruppi Italia Viva, Partito Democratico e Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Baldini. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA BALDINI (FDI). Grazie, Presidente. Malgrado il principio della parità di genere e della tutela inderogabile dei diritti delle donne, unitamente all'urgenza di garantire pari opportunità nei molteplici comparti dell'agire sociale ed economico siano identificate tra le priorità e tra gli obiettivi strategici delle politiche pubbliche nazionali e internazionali, i dati confermano un trend diametralmente opposto, che colloca ancora l'immagine e il ruolo della donna in posizione di subordine, evidenziando in tal modo la sussistenza di un limite culturale prima ancora che politico-sociale, su cui appare inderogabile agire con iniziative e interventi multilivello, certi e condivisi. Nel venticinquesimo anniversario dell'ultima Conferenza mondiale delle donne, che si svolse a Pechino nel 1995, i progressi delle politiche di genere appaiono piuttosto irrisori, malgrado l'istituzione di una piattaforma di azione vincolante attraverso cui veniva ufficializzato un maggiore impegno degli Stati per raggiungere gli obiettivi di uguaglianza, sviluppo e pace per ogni donna, e l'impegno dei Governi nella dichiarazione finale: far progredire gli obiettivi di uguaglianza, sviluppo e pace per tutte le donne, in qualsiasi luogo dell'intera umanità. Nei fatti, i dati in materia di parità di genere registrati negli ultimi anni risultano davvero impietosi. Non possiamo trascurare che il ruolo della donna risente anche di una palese subordinazione culturale che, negli anni, ha condizionato l'immagine della stessa, come contaminata da una coltre di colpa correlata ad ambito afferente la gestione familiare. Basti pensare che in passato le cosiddette madri frigo, le madri frigorifero, siano state individuate come causa dei figli con spettro autistico. Questa detenzione di colpa in capo all'immagine femminile si è evoluta nel tempo, in una forma di asimmetria culturalmente e socialmente radicata in Italia, nella ripartizione degli oneri familiari, segnatamente sbilanciata a favore della donna. Secondo i dati Istat la percentuale del carico di lavoro familiare svolto dalla donna nella fascia di età 25-44 anni sul totale del carico di lavoro familiare della coppia in cui entrambi i componenti sono occupati, sebbene abbia subito un decremento rispetto ai valori di dieci anni fa, si attesta al 67 per cento nel biennio 2013-2014, evidenziando un palese sovraccarico di lavoro, sia esso sul versante professionale che familiare. Nello specifico, il 54 per cento delle donne occupate svolge oltre 60 ore settimanali di lavoro retribuito oppure familiare. Appare prioritario evidenziare che le politiche di sostegno alla famiglia risultano essere carenti, soprattutto per quanto attiene l'offerta di asili nido intesi come principale e determinante riferimento per il sostegno della genitorialità in età prescolare, e condizione indispensabile, in assenza di altri supporti familiari, per l'inserimento e il proseguimento lavorativo della donna madre. Molte sono le madri con figli minori che dichiarano di non utilizzare i servizi di sostegno come nido e baby sitter, soprattutto per l'insostenibilità dei costi qualora si faccia riferimento a strutture private, oppure in assenza di quelle pubbliche, oppure per la carenza di posti nelle strutture.

Parlare di parità di genere non vuol dire ignorare la fisiologia, omettendo che, nel corso della loro vita, le donne siano anche madri o comunque siano sottoposte a uno stress fisico diverso in ragione della loro natura e delle incombenze che questa determina. Per questo motivo non si può parlare di promozione dell'inclusione lavorativa femminile omettendo adeguate e inderogabili politiche di sostegno e di agevolazione, soprattutto in quelle stagioni della vita come la maternità, che merita sostegno da parte dello Stato. Siamo in pieno inverno demografico ed è importante ripensare a tutto ciò di cui la donna e in definitiva la coppia e le generazioni future hanno bisogno. Le donne sono assistite molto bene in gravidanza ma è il dopo che manca, sia alle madri che ai padri: manca tutta l'assistenza, appunto, post-nascita. Parliamo di diminuzione delle nascite, ma occorre pensare bene perché molti modelli svedesi e francesi aiutano molto la donna e in generale tutta la famiglia: noi perché non l'aiutiamo?

Da ex-sportiva a livello agonistico penso anche come la donna sia più limitata rispetto agli uomini sul versante sportivo. La mancanza di parità di genere per le strutture, fin da quando si inizia la pratica sportiva, sta diventando sempre più chiara ed evidente: mancano strutture adeguate e sufficienti a far continuare lo sport alle ragazze in base alle loro esigenze fisiche. I temi della donna sono davvero tanti e quello della violenza è un tema molto, molto complesso, che meriterebbe credo discussioni molto più approfondite, molto più lunghe come tempistica, perché di fatto coinvolge la giustizia, la cultura, l'istruzione, anche quella scolastica. La violenza sulle donne non è mai, nella maggior parte dei casi, un evento improvviso ma è l'arrivo di situazioni in crescendo che spesso iniziano con forme di violenza verbale o comportamentale, fino ad arrivare alla violenza fisica. Purtroppo, sempre più spesso, la violenza si svolge in ambiti familiari e in rapporti affettivi strutturati. Occorre intervenire sull'uomo e soprattutto sui giovani affinché possano prendere coscienza che, di fatto, la violenza sulle donne è una violenza su una parte di se stessi, alla propria maturità. La violenza dilaga senza freni, colpendo sempre più spesso donne anche medico nello svolgimento delle proprie attività sanitarie. Ciò è davvero vergognoso, perché si ledono due cardini della società: da una parte si lede il cardine professionale e, dall'altra, il rispetto personale della donna. La terapia, Presidente, è sistemica: non si tratta solo di curare il sintomo, cioè l'individuo violento, ma tutto il sistema che ha generato tutto questo. Credo che siamo ancora lontani dalla parità di genere: è una strada in salita e da percorrere con estrema determinazione (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole D'Arrando. Ne ha facoltà.

CELESTE D'ARRANDO (M5S). Colleghi, colleghe: hai intenzione di avere dei bambini? Come fai a conciliare lavoro e famiglia? Continuerai a lavorare dopo la maternità? Che si aspettava? Va in giro vestita in quel modo. Sei bravo con i bambini: un perfetto mammo.

Quante volte le abbiamo sentite pronunciare queste frasi, magari anche con il sorriso sulle labbra. Eppure sono il sintomo preoccupante di un fenomeno, cioè la discriminazione nei confronti delle donne, che ha radici antiche, frutto di una società che nei secoli ha messo al centro la figura maschile riducendo le donne a soggetti funzionali, se non a veri e propri oggetti. Il patriarcato è la forma più antica di stratificazione sociale, fondato sul primato riconosciuto dalla legge al pater familias e veniva esercitato sugli altri membri della propria famiglia e della comunità; esso assumeva in particolare la forma di dominazione maschile sulle donne attraverso le istituzioni sociali e le pratiche culturali, come, in casi estremi, il matrimonio combinato. Con la società moderna il piano formale delle leggi ha acquisito il principio dell'uguaglianza tra tutti gli esseri umani. L'impostazione patriarcale della nostra società, però, ancora lì, non si poteva di certo cancellare per decreto. Si manifesta, allora, a livello informale nella vita culturale, politica ed economica. Il tetto di cristallo, la disparità salariale, il gender gap sono tutti indici e dati che ci confermano quanto già sappiamo. Se l'uguaglianza formale è un dato assodato, quella sostanziale è un obiettivo ancora tutto da raggiungere ed è lo Stato a dover rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana. Lo Stato, in questo caso, sono certamente le istituzioni, che ci onoriamo di rappresentare: il Parlamento, il Governo e tutti gli organi costituzionali, ma quello della parità di genere è un tema che deve essere affrontato a diversi livelli e non è solo una priorità italiana bensì un obiettivo da raggiungere globalmente. Questo vuol dire che tutte e tutti dobbiamo sentirci coinvolti in questa operazione di rimozione degli ostacoli: tra le pareti domestiche, nelle aule di scuole e università, sui luoghi di lavoro e nelle istituzioni. Mai come in questo caso vale il principio per cui lo Stato siamo tutti noi.

Molti passi in avanti sono stati fatti, come dicevamo, soprattutto a livello normativo intervenendo con misure di sostegno alla maternità, sul congedo di paternità, sulla parità di genere nella rappresentanza, la cosiddetta legge Golfo-Mosca, nel contrasto alla violenza di genere e al femminicidio, una piaga sociale e culturale dal momento che, secondo l'ultimo report diffuso dalla polizia di Stato, “…Questo non è amore”, nel 2019 ci sono state 88 vittime ogni giorno, una donna ogni 15 minuti.

Il 36 per cento subisce maltrattamenti, il 27 per cento stalking, il 9 per cento violenza sessuale, il 16 per cento percosse e nella maggioranza dei casi l'autore della violenza non bussa, ma ha le chiavi di casa; è spesso colui che detiene il controllo sulle finanze e sulle risorse familiari. È drammatico dirlo, ma purtroppo questi numeri sono soltanto la punta dell'iceberg: la tragica realtà dei fatti, che emerge nelle sue forme più brutali, ma dietro la quale c'è un mondo sommerso fatto di silenzi, paura, non consapevolezza. Ancora troppe poi sono le donne vittime di violenza anche sul luogo di lavoro, con molestie e discriminazioni spesso nemmeno percepite come tali dagli uomini che le mettono in atto. Abbiamo fatto un passo avanti importante in questa legislatura, approvando le norme sul codice rosso, che ha introdotto una corsia veloce preferenziale per le denunce da parte delle vittime di violenza domestica e di genere. I dati del primo periodo di applicazione ci dicono che si tratta di uno strumento concreto ed efficace, messo a disposizione delle donne in difficoltà nella fase della denuncia.

Dobbiamo però focalizzare la nostra attenzione sulla prevenzione e agire soprattutto su questo fronte. Sempre i dati sono particolarmente eloquenti anche per quanto riguarda l'aspetto occupazionale e di divario di genere: secondo il Censis, le donne che lavorano sono il 42,1 per cento degli occupati complessivi, con un tasso di attività femminile del 56,2 per cento rispetto al 75,1 di quella maschile: siamo all'ultimo posto tra i Paesi europei. Per le giovani donne la situazione è drammatica: nell'ultimo anno, il tasso di disoccupazione in Italia è pari all'11,8 per cento per le donne e al 9,7 per cento per gli uomini, ma tra le giovani di 15-24 anni si arriva al 34,8 per cento, mentre per i maschi della stessa età si ferma al 30,4 per cento. Anche in questo caso, una distanza abissale con l'Europa, dove il tasso medio di disoccupazione giovanile femminile è del 14,5 per cento. Anche lavorare e formare una famiglia, per le donne, più che un diritto appare una faticosa conquista, messa quotidianamente in pericolo da fattori esterni: un'anomalia, vorrei sottolinearlo, che diventa un concreto e urgente problema collettivo, se consideriamo che il nostro Paese è in piena crisi demografica, destinata ad aggravarsi nei prossimi anni, se non agiamo, con un crollo delle nascite che nel 2018 ha registrato l'iscrizione all'anagrafe di soli 439.747 bambini, circa la metà di quelli nati nel 1974.

La difficoltà di conciliare famiglia e lavoro, infatti, emerge dalla predominanza dell'impiego femminile in lavori part time, scelti da una donna occupata su tre, cioè più di 3 milioni di lavoratrici, a fronte di un esiguo 8,5 per cento degli uomini, un lavoro a tempo parziale che per circa due milioni di donne non è una libera scelta, ma una costrizione, per mancanza di alternative da parte di una società che, secondo il Censis, per il 63,5 per cento degli italiani è del parere che può essere necessario e opportuno che una donna sacrifichi parte del suo tempo libero e della sua carriera per dedicarsi alla famiglia. Ciò vuol dire che spesso le donne sono poste davanti alla scelta forzata tra famiglia e carriera, senza avere la possibilità di integrare in modo equilibrato i due percorsi. E poi ci sono anche altre donne che subiscono più discriminazioni e sono le donne con disabilità: spesso sono le persone più vulnerabili nel mondo del lavoro, nella famiglia e nell'ambito sociale e sanitario, soprattutto quando la loro disabilità è mentale. Un altro aspetto fondamentale, che si aggiunge a questo quadro, è l'importanza di tutelare la salute sessuale e riproduttiva delle donne, che deve continuare ad essere salvaguardata per garantire il principio di autodeterminazione. Abbiamo messo in campo misure importanti, anche nell'ottica della rimozione degli ostacoli alla libertà di autodeterminarsi: più fondi per gli asili nido, la regolamentazione dei permessi per paternità, l'estensione del tempo pieno a scuola, tutte misure che liberano il tempo delle famiglie e in particolare delle donne. Piccoli segnali, ma importanti, dicevamo, importanti se agganciamo a queste azioni una mobilitazione permanente, un dibattito pubblico aperto, che vada dall'educazione dei più piccoli alla retribuzione, passando per una riflessione profonda sulle famiglie e sulla precarietà di questo tempo. Serve una rivoluzione culturale e a farla deve essere la società tutta, e il Parlamento, la politica, le istituzioni nazionali e locali devono incentivare, sostenere e spingere questo processo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI (ore 17,25)

CELESTE D'ARRANDO (M5S). Occorre cambiare il paradigma all'interno del mondo del lavoro, delle organizzazioni sociali e delle istituzioni, affinché le valutazioni non siano basate sull'identità di genere o personale, bensì su considerazioni basate sulle capacità e sulle competenze, a prescindere dal genere di appartenenza.

La mozione all'esame di quest'Aula rappresenta un impegno affinché tutte le donne ottengano pari opportunità sia a livello sociale che a livello economico e sarebbe un bel segnale, signor Presidente, se anche i colleghi deputati aggiungessero le loro firme, un segnale di maturità e consapevolezza che l'obiettivo è comune e condiviso, dunque un segnale di forza della politica tutta, che farebbe ben sperare rispetto al raggiungimento degli obiettivi della mozione stessa. Il mio auspicio e quello del MoVimento 5 Stelle, dunque, è che questa mozione sia uno strumento vivo nelle mani della politica e nelle mani della società italiana, indipendentemente dal genere. Dobbiamo ribaltare i dati negativi che ho sinteticamente citato e che ci raccontano di un Paese in cui le donne sono ancora discriminate, in termini di accesso alle professioni e ai ruoli dirigenziali, nelle istituzioni come nel management e spesso costrette a scegliere tra carriera e famiglia. Dobbiamo debellare ogni forma di violenza fisica, economica, sessuale, sia domestica che nei luoghi di lavoro. Dobbiamo insegnare nelle scuole alle future generazioni il rispetto di genere e che la violenza non è amore, ma un atto criminale. Dobbiamo, Presidente, colleghe e colleghi, praticare ogni giorno, nel nostro agire quotidiano e in quest'Aula, il cambiamento di paradigma che vogliamo vedere nella società: solo così saremo capaci di rimuovere ogni ostacolo alle pari dignità dei generi e vivere finalmente in un Paese dove l'uguaglianza non è solo formale, ma anche e soprattutto sostanziale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati dei gruppi Partito Democratico, Forza Italia-Berlusconi Presidente, Fratelli d'Italia e Italia Viva).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Sara Foscolo. Ne ha facoltà.

SARA FOSCOLO (LEGA). Grazie Presidente, onorevoli colleghi e colleghe e Governo, più volte in quest'Aula ci siamo trovati a discutere della cosiddetta questione femminile, della condizione della donna in Italia, anche soffermandoci su casi drammatici e di particolare gravità. In occasione dell'ormai imminente appuntamento dell'8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna, affinché non sia solo una ricorrenza segnata sul calendario, è necessario e opportuno approfondire ulteriormente queste tematiche. Molti passi in avanti sono stati fatti - è già stato detto precedentemente dalle colleghe che hanno parlato prima di me - in Italia, in Europa e nel mondo, ma la strada da percorrere per arrivare alla piena valorizzazione del ruolo delle donne purtroppo è ancora lunga, una parità nei fatti e non solamente nelle parole, una reale e concreta partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Non solo: è una battaglia di civiltà, che non può e non deve riguardare soltanto noi donne, ma tutto il Paese, perché il problema è nazionale. È un impegno collettivo, che deve prevedere trasformazioni nel mondo del lavoro, nelle politiche della natalità e della famiglia, nonché un differente approccio culturale per quanto concerne la condizione femminile, affinché la parità di genere diventi effettiva e reale. Il ritratto dipinto dai dati in merito all'occupazione femminile è preoccupante: l'Italia è l'ultimo Paese d'Europa. Cifre impietose, che ci obbligano a un cambio di passo. Come dicevo poc'anzi, i passi in avanti sono stati molti. Un tempo, la stragrande maggioranza delle donne era di fatto priva di diritti politici e in parte anche di diritti civili: nel nostro Paese, le donne non potevano prendere decisioni neppure all'interno della stessa famiglia, anzi erano spesso sottomesse all'uomo di casa, non ricevevano un'istruzione, dato che veniva considerato inutile investire sui loro studi, dal momento che si sarebbero sposate e avrebbero dovuto dedicarsi alla famiglia. Anche dopo l'ingresso nel mondo lavorativo, tuttavia, l'esperienza della donna è sempre stata diversa da quella dell'uomo: le donne per anni sono state escluse da settori chiave dello sviluppo e delle finanze, le donne che lavoravano non arrivavano a ricoprire posizioni elevate. Questo purtroppo si registra tuttora. È quanto mai necessario e urgente, dunque, adottare iniziative non solo per promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, ma anche misure per eliminare gli ostacoli all'avanzamento professionale e di carriera delle donne, questo tuttavia con meccanismi di inclusione e non punitivi nei confronti delle aziende e delle imprese, valorizzando sia la figura della donna quanto il valore imprescindibile e fondamentale del merito.

L'articolo 37 della nostra Costituzione ha finalmente affermato la non discriminazione per età o sesso tra uomini e donne: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”. Questo è spesso vero sulla carta, talvolta non nella realtà.

Passi in avanti sono stati fatti in passato ma ancora oggi i dati registrano una disoccupazione femminile superiore a quella maschile e i numeri dell'occupazione femminile in Italia sono di gran lunga inferiori a quelli degli altri Paesi europei, soprattutto quando si parla di ruoli dirigenziali. In Italia le donne manager sono solo il 27 per cento dei dirigenti mentre la media europea è del 33 per cento. Quindi, bisogna fare di più, così come bisogna fare di più per contrastare il tasso di disoccupazione che colpisce molto più le donne e - da non sottovalutare - le giovani, al 30,4 per cento in Italia a fronte di un 14,5 per cento in Europa.

Non va assolutamente sottovalutato, inoltre, il ruolo essenziale di gestione della famiglia svolto dalla donna che spesso, quando si trova nel non semplice ruolo di mamma, moglie e lavoratrice, incontra ulteriori difficoltà che spingono molte a esercitare lavori part-time per dedicarsi alla famiglia nella restante parte della giornata.

Se mi è consentita una battuta, sono state le donne a inventare il multitasking. È bene che questo sia trasformato da impedimento in opportunità, abbattendo gli steccati che rendono ancora più difficile il percorso femminile nel mondo lavorativo, accademico e professionale.

Servono strategie di tipo family friendly aziendale, politiche della famiglia che permettano alla donna di conciliare la vita familiare con la vita lavorativa e sociale, anche per rompere il cosiddetto “soffitto di cristallo” nelle imprese. È su queste misure che si sta lavorando in Commissione lavoro, con proposte sul tema della parità salariale, dell'occupazione, dell'imprenditoria femminile, degli incentivi per l'assunzione di donne nonché di una maggiore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Proposte di buonsenso su cui, seppur presentate da esponenti dell'opposizione, auspichiamo di trovare massima condivisione da parte della maggioranza, senza steccati ideologici o barricate di partito.

In materia di famiglia è d'obbligo, come noi della Lega andiamo ripetendo da anni, puntare su politiche in favore della natalità. Nel nostro Paese non si fanno più figli, si registra un record negativo di nascite e un Paese che non fa figli non ha futuro. Non è un'opinione politica; è un ragionamento logico. Questo avviene a causa dell'assenza di adeguate politiche di sostegno familiare e occupazionale, del perdurare della crisi economica che genera una mancanza di stabilità per le giovani coppie ma, anche e soprattutto, di un mercato del lavoro che nei fatti si rivela ostile alla maternità.

Fare figli non dev'essere una colpa ma, anzi, va premiato e incentivato da parte delle istituzioni con politiche attive di sostegno e non è un caso che la Lega nella precedente esperienza di Governo abbia insistito così tanto per avere un Ministero della famiglia con politiche proprio indirizzate in questo senso. Vanno ricordati i punti da noi voluti nella manovra 2019-2020, con importanti misure di sostegno alla natalità e alla genitorialità: 100 milioni per il Fondo delle politiche per la famiglia destinati all'assegno per la natalità, all'incremento dell'assegno destinato al pagamento delle rette per gli asili, all'assistenza presso il domicilio dei bambini affetti da gravi malattie croniche. Inoltre, la copertura dei servizi di asilo nido e di scuola dell'infanzia nel nostro Paese è ancora scarsa, quasi la metà rispetto al resto dell'Europa.

Parallelamente all'impegno per facilitare l'accesso delle donne al mondo del lavoro, va portata avanti una battaglia per l'emancipazione e la liberazione da ogni forma di violenza. Purtroppo, la violenza sulle donne è una piaga che non accenna a fermarsi. Il lavoro è un modo per aiutare le donne vittime di violenza domestica a essere indipendenti, a liberarsi dai partner violenti.

La violenza domestica non si esercita solo con violenze fisiche: spesso la donna subisce quotidianamente violenze psicologiche e ricatti economici. Dunque, il lavoro è uno strumento di riscatto e di fuga dalle continue umiliazioni. Avere un lavoro è fondamentale per uscire dalla spirale della violenza. Per questo è importante sostenere l'occupazione femminile, per permettere alle donne di essere economicamente indipendenti, indipendenti sotto ogni punto di vista e anche nei confronti di certe interpretazioni estremiste e fondamentaliste di alcune religioni che vedono le donne sottomesse e che giustificano l'inferiorità della donna. Questo in Italia non deve proprio esistere (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier e di deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

E tutto questo senza tenere conto di fenomeni gravi da combattere senza se e senza ma: il mobbing, le molestie, il sessismo. È una triste realtà, purtroppo, tanto vera quanto attuale che ancora tante donne subiscono, un fenomeno che non risparmia neppure le donne con disabilità e, anzi, spesso sul posto di lavoro sono costrette a subire soprusi e atti di vessazione da parte di un collega o talvolta da parte di un superiore e questo è inaccettabile. Una forma subdola che non può essere tollerata ad alcun livello.

Spesso il mobbing sconfina in altri reati quando, per esempio, i soprusi si manifestano attraverso molestie fino ad arrivare a vere e proprie lesioni personali o a violenze sessuali, come viene riportato dalle cronache. Quante volte abbiamo sentito di superiori che utilizzano il ricatto a sfondo sessuale per proporre avanzamenti di carriera o magari minacciano il licenziamento? Ripeto: questo accade in tutti i livelli e in tutti gli ambienti (anche in politica e, purtroppo, abbiamo avuto anche degli episodi di cronaca anche qui). Queste cose non devono accadere. Bisogna dire: “Mai più!”.

Così come dobbiamo dire “mai più” al mobbing esercitato da un collega quando l'attacco avviene prevalentemente attraverso insulti che mortificano e tendono a isolare la donna. E mai più va sottovalutato il mobbing psicologico che si compie con una continua svalutazione dell'attività della vittima, richiami, sanzioni disciplinari, demansionamento spesso come ritorsione a seguito di un'assenza per malattia o per maternità. Quest'ultimo caso è frequente e, purtroppo, è sommerso. La donna, rientrando al lavoro dopo una maternità, trova i suoi compiti precedenti assegnati ad altri o si trova retrocessa ad altre attività. Quindi, bisogna alzare la testa, bisogna prevenire, denunciare e porre fine a questi fenomeni.

Mi avvio a concludere ricordando come il lavoro delle donne rappresenti una componente essenziale per l'equilibrio economico familiare e misure in questo senso favorirebbero anche la ripresa demografica.

Come ho detto in apertura di intervento, l'8 marzo non deve essere solo una data sul calendario in cui festeggiare la donna; dev'essere un'occasione per promuovere, una volta per tutte, risposte concrete per migliorare la condizione della donna, per favorire il suo accesso al mondo del lavoro affinché la parità di genere diventi effettiva, reale e per sempre e non solo uno slogan da utilizzare in questa settimana dell'anno (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Rossella Muroni. Ne ha facoltà.

ROSSELLA MURONI (LEU). Grazie, Presidente. Faranno prima a sciogliersi tutti i ghiacciai del globo e le 33 zone delle coste italiane identificate a rischio dall'ENEA ad andare sott'acqua per effetto dei mutamenti climatici che le donne a raggiungere la parità di genere. Non lo diciamo noi donne ma il World economic forum che nell'ultimo Global gender gap report stima in un centinaio di anni il tempo necessario alle donne a livello globale per ottenere la tanto agognata parità.

Nel 2020 cade il XXV anniversario della Dichiarazione di Pechino, l'accordo quadro adottato da 189 Paesi e basato su una nuova partnership tra uomo e donna che vede nell'uguaglianza la condizione necessaria per la giustizia sociale e lo sviluppo sostenibile. Ma in questi cinque lustri nessun Paese si è mostrato all'altezza degli impegni presi e sono in aumento le reazioni negative e gli attacchi ai diritti delle donne.

Nel nostro Paese c'è ancora molta strada da fare per realizzare la parità di genere e la parità di opportunità. Sempre il Global gender gap report del World economic forum mette l'Italia al settantaseiesimo posto sui 153 Paesi della classifica mondiale. Proprio come la media globale, anche nel nostro Paese viviamo in un periodo di regresso in cui diritti, che pensavamo acquisiti, vengono messi in discussione da più parti e in cui i luoghi che hanno fatto la storia del movimento femminista e che aiutano le donne in difficili percorsi di autonomia sono a rischio di chiusura, come se a tenerli aperti non fosse sufficiente il servizio che hanno fatto alle donne e alla società tutta ma servisse solo un pareggio di ottusa contabilità.

Tuttora, se va bene, noi donne veniamo retribuite meno dei nostri colleghi uomini; se va male, siamo costrette a scegliere tra il lavoro e la famiglia, visto che la cura e l'assistenza sono tuttora demandate a noi.

E, ancora, quando cerchiamo di esercitare un diritto sancito dalla legge, come il diritto d'interrompere una gravidanza, lo facciamo con sempre maggiori difficoltà perché anche negli ospedali pubblici si fatica a trovare medici non obiettori. Peraltro, siamo in assoluto ritardo sul metodo farmacologico che sarebbe da preferire rispetto al metodo chirurgico, ma si sa che le donne devono partorire con dolore e figuriamoci se poi si sceglie di abortire. Anche questa scelta deve passare sul corpo delle donne con un dolore punitivo.

Se il sintomo più evidente di questa disparità tra generi è la violenza sulle donne e la sua declinazione più drammatica i femminicidi, la diseguaglianza di opportunità tra donne e uomini passa anche dalla disparità salariale e dalla disoccupazione, che nel nostro Paese è soprattutto giovanile e femminile.

Ma proprio questa discriminazione nel lavoro e nei salari crea una pericolosa dipendenza economica e spesso costringe le donne che subiscono violenza domestica, anche se lavorano, a ritardare o a ritirare le denunce. Oltre a tutto questo c'è anche una questione di convenienza dietro la ricerca di parità di genere: se continueremo ad essere un Paese incapace di sfruttare e valorizzare l'intelligenza, le competenze e le capacità delle donne, il futuro sarà più nero per il nostro Paese, un Paese ancora troppo difficile per le donne. Un quadro dettagliato della situazione lo ha fornito Linda Laura Sabbadini, direttrice della Direzione centrale per gli studi e la valorizzazione tematica nell'area delle statistiche sociali e demografiche dell'Istat, in audizione davanti alla Commissione lavoro proprio di questa Camera. Precarietà, minore accesso alle figure apicali, crescita del part time involontario e della sovra-istruzione sono le caratteristiche del lavoro femminile in Italia. E conciliare lavoro e famiglia è una missione ai limiti dell'impossibile: l'11,1 per cento delle donne che hanno avuto almeno un figlio nella vita non ha mai lavorato per prendersi cura della prole; il 17 per cento nel caso ne abbia avuto due; e il 19 per cento nel caso ne abbia avuto tre o più. Troppe, se si considera che la media europea si ferma al 3,7 per cento; ma al Sud la percentuale schizza al 20 per cento, dove una donna su cinque rinuncia per la maternità ad entrare nel mercato del lavoro, rinuncia insomma alla propria libertà. Se la disoccupazione nell'ultimo anno è stata del 9,7 per cento per gli uomini, per le donne è stata oltre 2 punti superiori, e nelle giovani è arrivata addirittura al 34,8 per cento. Neanche a dirlo, per tasso di occupazione femminile siamo il fanalino di coda dell'Europa, e anche qui pesa il tradizionale divario tra Nord e Sud del Paese: nel 2018, nel Mezzogiorno lavorava solo il 32,2 per cento delle donne, per esempio, contro il 59,7 per cento del Nord. In generale, il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti d'Europa, circa 18 punti su una media europea di 10. Le donne che lavorano in part time sono ormai il 32,8 per cento, contro l'8,7 per cento degli uomini, una quota ancora più elevata tra le donne più giovani; nel 60 per cento dei casi si tratta di una componente involontaria.

L'inserimento nel mondo del lavoro rimane più difficile per le donne rispetto agli uomini, nonostante le donne vantino livelli di istruzione più elevati. Non solo: a parità di ruolo persiste anche il divario salariale. Se è molto basso nel settore pubblico, nel settore privato il gender pay gap è di molto maggiore (20,7 per cento), e questa disparità aumenta paradossalmente al crescere del livello di istruzione. Guardando al reddito, nel 2017, quello delle donne è in media del 25 per cento inferiore a quello degli uomini. Siamo più povere, siamo più fragili, siamo più esposte alla violenza. Persiste anche la sottorappresentazione delle donne in posizioni apicali: la presenza femminile negli organi decisionali è in media solo del 16,8 per cento; penso alla Corte costituzionale, al CSM, alle ambasciate. Nel privato, invece, nei consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa, le donne sono circa il 36,4 per cento del totale, ma c'è voluta una legge, Presidente, per arrivare a questo risultato, che comunque non ha portato una maggiore presenza delle donne tra i top manager e nelle posizioni dirigenziali. Insomma, l'accesso al potere è ancora sbarrato. La discriminazione delle donne e la loro sotto rappresentazione è così pervasiva che investe tutti i settori della nostra società. Faccio due esempi: come denunciato da Manuela Di Centa in occasione delle Universiadi di Napoli del 2019, nel CONI ci sono 44 federazioni sportive e non c'è una presidente donna; non va troppo meglio nel mondo universitario, dove, stando ai dati della Conferenza dei rettori delle università italiane, su 82 rettori solo sette sono donne. Come è possibile, se noi siamo più istruite? Piccoli miglioramenti che fanno intravedere la luce in fondo al tunnel ci sono, per esempio in politica, dove, dopo le elezioni del Parlamento europeo, la rappresentanza italiana di donne è salita al 41 per cento, mentre in quello italiano dal 30,7 per cento della scorsa legislatura siamo passati al 35,4 per cento dell'attuale. Ma è troppo poco, e ancora troppo difficile. Le donne in politica, quando vengono attaccate, difficilmente vengono attaccate per le loro idee, vengono sottoposte a un fuoco di fila che ha una matrice sessista, che non conosce diversità politiche e che ci mette al centro di una violenza verbale che davvero rende ancora più complicato esporsi in politica e fare il proprio ruolo. Non dobbiamo nasconderci quanto gli stereotipi sui ruoli di genere siano diffusi, quanto sia normale per gli italiani, per ben il 63,5 per cento di loro, considerare le donne come quelle che è necessario o persino opportuno che si sacrifichino sul sacro altare del focolare domestico. Di stereotipi sui ruoli di genere sono tragicamente pieni anche i libri di testo su cui le bambine e i bambini imparano a leggere e a esercitare la memoria; altro che lezione di parità. Ho voluto mettere in fila alcuni dati e delle tendenze involutive che ritengo più preoccupanti per i diritti delle donne e quindi per la nostra democrazia, senza dimenticare però la crescente attenzione che anche questo Parlamento sta dando al contrasto della violenza di genere con leggi, mozioni e misure specifiche, come il lavoro che la Ministra Bonetti facendo sul Family Act, che aspettiamo con grande attenzione, perché là dentro ci sono delle misure davvero importanti. Penso sia davvero urgente rimettere al centro i diritti delle persone e la giusta richiesta di parità; converrebbe non solo a noi donne ma a tutto il sistema Italia, alla nostra comunità nazionale. Serve realizzare una piena uguaglianza di genere, così da garantire, insieme al diritto al lavoro e al tempo, per cogliere quel protagonismo femminile di cui il Paese ha grande bisogno. Il “fattore D”, Ministra, ossia la presenza delle donne nelle posizioni apicali, fa bene alla società, alla politica, all'economia, perché il Paese ha bisogno delle competenze e delle capacità di noi donne. Per tutti questi motivi ho sottoscritto convintamente la mozione a prima firma Laura Boldrini, che ringrazio per il consueto impegno, che sollecita il Governo all'azione con impegni puntuali e concreti di cui abbiamo grande bisogno (Applausi dei deputati dei gruppi Liberi e Uguali e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fusacchia. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO FUSACCHIA (MISTO-CD-RI-+E). Presidente, non ho molto tempo a disposizione, però ci tenevo anch'io a ringraziare le colleghe che hanno proposto questa mozione, a partire dalla prima firmataria, Laura Boldrini. Mi ricollego a quello che ho appena sentito dire dalla collega Muroni per sottolineare tre punti che ci sono in questa mozione e che secondo me devono diventare l'oggetto non di mozioni ma di leggi vere e proprie, perché a forza di mozioni finiamo altrimenti con un tasso di frustrazione che cresce, perché ci impegniamo come Parlamento collettivamente e impegniamo il Governo su delle azioni, però poi dobbiamo a un certo punto essere molto ambiziosi, e per essere ambiziosi servono delle leggi. Il primo punto, quello che mi sta più a cuore, riguarda il congedo di paternità obbligatorio. So che il Governo ci sta lavorando, ma noi dobbiamo essere veramente ambiziosi su questo, e con altri colleghi e altre colleghe stiamo cominciando a proporre anche pubblicamente un congedo di tre mesi, perché questa è la maniera per far vivere a tutti i neo papà la genitorialità fino in fondo - quindi lo dico nell'interesse dei maschi, degli uomini, non solo delle donne -, e ovviamente perché tre mesi di congedo obbligatorio riducono, se non abbattono del tutto, ogni potenziale discriminazione sul mondo del lavoro, perché a quel punto le aziende ovviamente sanno che, a prescindere dal fatto che la cosa investe direttamente l'uomo o la donna, quando arriva un nuovo bambino o una nuova bambina in famiglia o nella coppia, le implicazioni sull'azienda sono le stesse, quindi riduciamo qualsiasi tipo di incentivo a monte.

La seconda questione ha a che fare con la parità salariale. C'è un lavoro incardinato in Commissione lavoro, ci sono delle colleghe molto valide che ci stanno lavorando, è un lavoro che va sostenuto, ma ancora una volta non è una questione va lasciata solo alle donne - lo dico con grande affetto -, è una questione che deve interessare tutti, uomini e donne. Ci sono degli strumenti che si possono utilizzare, a partire dall'INPS, ci sono tutti i dati per sapere - e si possono mettere a disposizione, ad esempio, delle consigliere di parità -, in maniera anonimizzata, quali sono le aziende dove il trattamento salariale per la stessa tipologia di lavoro o la stessa tipologia di mansione non sono le stesse. Cominciamo a costruire delle misure normative vere e forti su questo. Ultimo - e chiudo, Presidente -, c'è un passaggio che a me piace molto, anche perché sto in Commissione istruzione e me ne sto occupando, che è il punto 8 dell'impegno, che riguarda gli stereotipi di genere nei libri scolastici. Anche su questo, ottima la raccomandazione fatta al Governo, ma sappiamo che, se vogliamo veramente contrastare questo, serve, tra le altre cose, una misura di sostegno alla formazione degli editor che fanno poi i libri in collaborazione con le case editrici.

Per fare questo tipo di azioni e di formazione servono un pochino di risorse. Allora, o il Ministero e il Governo sono in grado di stanziarle da soli, oppure alla prima possibilità di veicolo normativo facciamo una battaglia culturale su questo. È fondamentale perché ho una bambina di tre anni e mi rifiuto di pensare che fra un po' comincerà ad andare alla scuola primaria e troverà dei libri dove deve mettere le crocette e scoprire che il papà lavora e la mamma stira (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico e Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Incerti. Ne ha facoltà.

ANTONELLA INCERTI (PD). Signor Presidente, signora Ministra, colleghe e colleghi, non è solo per l'avvicinarsi dell'8 marzo, che pure è una data simbolica e anche i simboli hanno la loro importanza, ma perché con questa mozione semplicemente proseguiamo un cammino, un impegno, iniziato molti anni fa in quest'Aula grazie al lavoro di tante donne, di tante parlamentari; e anche perché, come ricordavano molte colleghe, passi avanti sono stati fatti anche in termini di avvicinamento alla parità di genere, sulla questione dei generi, sul divario tra uomini e donne, con diversi provvedimenti, sia a livello europeo che all'interno di questo stesso Parlamento in termini di parità di genere, sulla violenza di genere, che non ripeterò, sul tema delle norme di rappresentanza, in tema di maternità e di conciliazione.

Questo, lo voglio sottolineare, grazie al lavoro corale delle donne, all'opera collettiva che sanno mettere in campo quando è tempo, alla capacità di superare anche divergenze di opinione per poter rappresentare al meglio le donne che stanno fuori e che vivono la vita quotidiana, la capacità di connettersi anche con loro. Tuttavia - lo avete ricordato tutte - ci sono molti passi ancora da fare, molti nodi da sciogliere. Non voglio citare molti dati, perché li avete ricordati, sono molto preziosi, sono nella stessa mozione. Uno è che certamente noi siamo un Paese che in tema di gap gender si trova in una posizione piuttosto scomoda; siamo settantaseiesimi su 153 Paesi e forse basta questo. Le ragioni per cui siamo qui - lo avete ricordato - vanno dalla scarsa rappresentanza femminile nei ruoli emergenti, soprattutto alla disparità lavorativa e, dunque, retributiva. Cito questo perché, al di là dei dati che avete ricordato in termini di occupazione femminile, del fatto che sono soprattutto le giovani a subire la disoccupazione, del fatto che la situazione peggiora quando si fanno i figli e quindi si devono conciliare i tempi; al di là di come quanto questo sia difficile - avete ricordato che una donna su tre è impiegata nel part time sicuramente perché non ha altre alternative -, questa mozione è anche un'occasione per soffermarsi su alcune questioni e ragionare per costruire una proposta anche complessiva.

Il tema della questione della parità salariale, del divario, dei livelli di occupazione e di attuazione di questo divario, diventa - lo voglio anche ricordare - un divario pensionistico e deriva dal fatto che è frutto della disparità che le donne accumulano sul lavoro durante la loro carriera. Sappiamo il perché: esse hanno lunghi periodi lontano dal mercato del lavoro. Forse val la pena anche ripensare quando si parla di differenziali retributivi, perché - è vero - rimane fortissimo il divario, ma spesso questo divario sta nel sistema di classificazione e di inquadramento del personale, quindi occorrerebbero delle strategie mirate a superare quella che potremmo definire una segregazione orizzontale e verticale delle mansioni nei settori tipicamente femminili, così come nella progressione di carriera.

Quindi bisogna forse lavorare su una definizione più innovativa di differenziale retributivo, così come una valutazione professionale non discriminatoria deve basarsi su nuovi sistemi di classificazione e di inquadramento del personale, di organizzazione diversa del lavoro, di diversa idea di produttività, intesa piuttosto come qualità, che quindi determina la retribuzione. Per questo, è importante e sarebbe importante - ma questa è una questione che abbiamo anche affrontato - sostenere in modo più importante e incisivo gli organismi di parità, che dovrebbero essere proprio i formatori di quelle parti sociali che poi vanno alla contrattazione nel caso della retribuzione (ma è così per gli avvocati, i difensori civici), perché ci sono delle condizioni di lavoro che non sono primarie ma secondarie. Penso al regime dei congedi in caso di maternità - ma non solo -, anche pensionistici, al tema della maternità e della conciliazione. Qui ritorno a questa questione della conciliazione, perché è difficile separare per le donne il tempo del lavoro dal tempo del non lavoro, perché per le donne il tempo del non lavoro in realtà è dedicato al lavoro di cura e al lavoro domestico, per cui la stessa nozione di lavoro di cura è quasi sconosciuta nel nostro Paese; non è riconosciuta perché da noi conta moltissimo il lavoro non pagato e non retribuito; se dovessimo considerarlo, forse dovremmo cambiare molte pratiche e molte politiche.

Quindi direi che, più che di conciliazione, forse dovremmo cominciare a parlare di condivisione e di redistribuzione dei ruoli tra i generi; per ottenere dei veri cambiamenti, per far questo o solo una parte di quello che ho ricordato, è necessario riequilibrare la presenza nei luoghi decisionali, nelle amministrazioni locali, nei consigli di amministrazione o nel Parlamento. Insomma, si tratta di pensare ad una rappresentanza davvero paritaria.

PRESIDENTE. Concluda.

ANTONELLA INCERTI (PD). Vengo velocemente - sto concludendo - all'ultimo punto. In realtà avrei molte cose da dire sul tema della violenza di genere, ma voglio ricordare che, soprattutto nella scorsa legislatura, il lavoro delle donne ha portato a dei passaggi fondamentali. Ne cito uno, la Convenzione di Istanbul, da cui ne sono discesi molti altri e che il nostro Paese è stato tra i primi a ratificare; così anche per i successivi provvedimenti, che non cito, ma ricordo l'ultimo con cui abbiamo chiuso la XVII legislatura, cioè la legge n. 4 del 2018 a favore degli orfani dei femminicidi.

PRESIDENTE. Concluda.

ANTONELLA INCERTI (PD). Quindi le norme ci sono. Si tratta di fare un'operazione che è culturale, perché le norme ci sono, ma, tuttavia, continuano le vittime di femminicidio. Allora si tratta di cambiare una cultura che si alimenta; si vive in una cultura discriminante nei confronti delle donne, fondata su stereotipi, ruoli di genere, valori, credenze che sostengono le gerarchie di potere tra uomini e donne e mettono le donne in posizione subordinata. È un lungo lavoro da fare e questa mozione è anche un'occasione per ritornarci (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Elisa Tripodi. Ne ha facoltà.

ELISA TRIPODI (M5S). Grazie, Presidente. Con questo intervento voglio ripercorrere alcune significative tappe del passato, eventi che hanno ridisegnato la concezione e l'immagine della donna, perché il passato costituisce le fondamenta del futuro di una società ed è da lì che si deve partire per andare avanti, avere il coraggio di cambiare e di evolversi. Il 1800 segna un periodo storico di svolta, di nascita e di presa di coscienza delle donne. Se ripercorriamo passo dopo passo questo periodo storico, troviamo donne coraggiose, donne pronte a far sentire la loro voce e pronte a combattere, a dare la vita per veder realizzati i loro diritti. In Francia, al grido di égalité, durante la Rivoluzione francese, le riflessioni di Olympe de Gouges sui diritti della donna e della cittadina, in cui dichiarava con fermento l'uguaglianza politica e sociale tra uomo e donna, il suo attivismo per restituire alla donna i diritti naturali che le erano stati sottratti dalla società e dal pregiudizio, la condannarono ad una morte violenta e prematura.

In Inghilterra nasce il movimento delle suffragette e, con loro, la convinzione che anche le donne dovevano avere il diritto di partecipare alla vita politica del loro Paese, esattamente come gli uomini. Ecco che, insieme alla richiesta del diritto di voto, si rende necessaria anche quella per la piena uguaglianza, al pari dei loro mariti, dei loro padri e dei loro fratelli; si chiede di essere come gli uomini politicamente, di avere uguali diritti, uguali doveri, di avere accesso ai vari e diversi impieghi che fino ad allora erano preclusi ai soli uomini e di avere l'indipendenza economica; di acquistare la dignità come esseri umani e di non essere schiave della società e dei loro mariti.

La guerra mondiale scacciò via ogni dubbio riguardo alle illazioni di inabilità, inidoneità o inettitudine delle donne a ricoprire ruoli o posizioni che prima di allora erano riservati ai soli uomini e, in Italia, il diritto al voto arrivò circa nove mesi dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il 2 giugno del 1946, con il referendum istituzionale che permise agli italiani di scegliere tra monarchia e repubblica. Da allora, le conquiste furono molte e tutte importantissime: dal divieto di licenziamento a causa del matrimonio nel 1963, dalla legge sul divorzio nel 1970 che, con il risultato del referendum abrogativo del 1974, mostrò un Paese pronto ai cambiamenti e rivelò un'Italia avviata sul cammino delle conquiste dei diritti civili e della parità di genere.

Nel 1975, con la riforma del diritto di famiglia, muta profondamente la condizione delle donne che, all'interno della famiglia, acquistano gli stessi diritti e doveri degli uomini. Ecco che il cambiamento vero e proprio arriva, dunque, con la trasformazione dei ruoli proprio all'interno del primo e più importante nucleo della società, la famiglia, appunto. La donna non è più solo moglie e madre, l'uomo non ha più il dominio su di essa e il suo potere di capo di famiglia assoluto diventa più limitato, almeno sulla carta. Sì, perché se le disposizioni normative sono al riguardo chiare, nella realtà dei fatti troviamo ancora una donna costretta a subire preconcetti, pregiudizi e restrizioni sia in società, che all'interno del proprio nucleo familiare. E gli ostacoli per la piena partecipazione alla vita politica, sociale ed economica risultano essere ancora presenti e sono le donne a pagare il tributo più grande, costrette a scegliere tra il lavoro, la carriera e la vita familiare e umiliate anche nella loro retribuzione, ancora inferiore a quella dei colleghi uomini che ricoprono il loro stesso ruolo.

Vediamo quindi che, nonostante i numerosi provvedimenti legislativi adottati che intervengono sugli aspetti culturali, sugli aspetti civili e le misure per il sostegno alla maternità, il sostegno delle vittime di violenza, le misure per il contrasto al femminicidio, il cammino per l'affermazione della parità di genere è ancora lungo, è tortuoso e, purtroppo, è complicato. Dico questo con rammarico, perché l'impegno per la conquista di una vera e propria parità di genere in ogni campo e in ogni ambiente è sempre più ostacolato o ritardato dal contrapposto impegno a fare in modo che i diritti acquisiti non vengano cancellati e che le conquiste di settant'anni di leggi e provvedimenti per riconoscimenti legittimi di diritti e non di privilegi siano protetti e tutelati. Come la legge n. 194 del 1978, che disciplina l'accesso all'aborto e lo rende legale e continua ad essere sotto attacco assieme ai temi della salute sessuale e riproduttiva. Una conquista di civiltà, un passo fondamentale per i diritti civili della donna, che non deve in alcun modo essere messa in discussione. E nel 2020, le donne devono ancora preoccuparsi, devono ancora difendersi da concezioni retrograde e maciste che vedono nell'emancipazione della donna la causa del crollo demografico del Paese e del declino morale della società. Una visione inaccettabile, come inaccettabili sono le dichiarazioni e le prese di posizione di forze politiche che accolgono le istanze estreme di alcune associazioni che sconfessano le conquiste raggiunte, confinando la donna ai margini della famiglia e della società.

Nel 1981, si riesce ad ottenere un grande risultato attraverso due grandi conquiste, che hanno ampliato il grado di civiltà in Italia: l'abolizione del delitto d'onore e del matrimonio riparatore. In entrambi i casi, l'elemento da difendere era l'onore, ma non quello della donna vittima di violenze, quello dell'uomo carnefice; lavare l'onta con il sangue oppure far sposare la svergognata, si diceva. E il coraggio di una donna fece la differenza ed è grazie a Franca Viola, che, nonostante la gogna e la derisione continua, riuscì a far condannare il proprio violentatore e a far cambiare il volto dell'Italia intera.

E da qui, ecco il primo tassello che sancì il passaggio della violenza sessuale dalla sezione dei reati contro la morale pubblica a quella dei reati contro la persona. Sebbene nel corso degli anni si siano fatti numerosi passi in avanti da un punto di vista anche legislativo, con il riconoscimento del reato di stalking, che spesso è l'anticamera, il preludio della violenza e, nei casi peggiori, può trasformarsi in femminicidio, oppure con il “codice rosso”, con il reato di revenge porn, la violenza sulle donne rimane ancora un'emergenza. Sono ancora troppe le donne che subiscono, all'interno delle mura domestiche, umiliazioni, schiaffi e abusi; sono ancora troppi gli aguzzini che si nascondono dietro la nomea di marito e padre di famiglia. Le conquiste delle donne vanno difese e sembra che debbano essere conquistate ancora e ancora, passo dopo passo, giorno dopo giorno.

Per ogni donna che è stata vittima di violenza in casa, al lavoro, sui social e in qualsiasi altro luogo e contesto, è per queste donne e per le future generazioni che le istituzioni devono agire e impegnarsi, affinché la parità di genere tra i sessi sia vera e reale sempre, comunque e dovunque. Ecco perché gli impegni che chiediamo al Governo sono necessari al cambiamento culturale, che deve esserci anche in Italia perché le donne non sono cittadine di serie “B”, non sono meno competenti degli uomini e i diritti non sono dei privilegi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Gribaudo. Ne ha facoltà.

CHIARA GRIBAUDO (PD). Grazie, Presidente. Grazie, Ministra, per essere in Aula durante la discussione di una mozione che per noi è importante, a prima firma Boldrini e richiesta dalla maggioranza, perché riteniamo sia importante, sia molto importante continuare a mantenere alta l'attenzione su un tema che è fondamentale nella nostra epoca e che non possiamo più rimandare, lei, Ministra, lo sa bene, che è quello della parità di genere. Si tratta di una questione che attraversa i campi più importanti dell'attività legislativa e dell'azione dello Stato, dai diritti civili all'educazione, dai diritti del lavoro al sostegno alla maternità, fino alla rappresentanza, al diritto penale. In tutti questi campi, la mozione che stiamo discutendo pone dei problemi concreti e una richiesta di impegno per le donne italiane. Proprio alle donne, però, anch'io, come ha già fatto - e bene ha fatto -, la collega Rotta, vorrei innanzitutto che da quest'Aula ringraziassimo le tante donne che, in questi giorni, ancora una volta, in modo esemplare stanno affrontando, soprattutto nella parte nord del Paese, il Coronavirus, sia in ambito sanitario che socio-sanitario, perché le persone si sentono sole. Abbiamo il personale medico, infermieristico, le OSS, ma voglio dire anche, sinceramente, un ringraziamento alle ricercatrici, a tutti coloro che stanno lavorando, ma anche alle insegnanti che, in questo momento, si stanno anche confrontando con quei metodi nuovi che ci auguriamo possano presto diventare non una pratica sporadica, ma una pratica costituente di un percorso nuovo da rigenerare a riaccompagnare ai grandi cambiamenti che intercorreranno non solo nell'insegnamento, ma anche nell'economia e, cioè, un ripensamento anche dell'uso delle tecnologie nella nostra vita. Ovviamente, l'insegnamento e le professioni sanitarie sono fra i primi comparti di occupazione per le donne italiane: non dobbiamo dimenticare o dare per scontato il ruolo fondamentale che queste svolgono per il Paese, specie, appunto, in giornate come queste e, quindi, va a loro, ancora, il nostro più grande e sentito grazie. Purtroppo, però, accade spesso e accade ancora oggi, nel 2020, che l'impegno e il lavoro delle donne siano trascurati, sottovalutati, sviliti da pregiudizi e da convenzioni sociali.

Nel Novecento, il lavoro è stato il primo grande mezzo di emancipazione delle donne, eppure, oggi, quel grado di emancipazione sembra essersi fermato, in qualche modo, quel famoso tetto di cristallo sembra che non riusciamo a distruggerlo, non riusciamo ad abbatterlo. Però i passi - sono stati ricordati prima dalla mia collega -, anche in queste Aule parlamentari, sono stati molti e sono stati importantissimi: io penso, innanzitutto, alla prima Ministra del lavoro che, con la legge del 1977, la “Tina Anselmi”, riuscì per la prima volta a inserire nel nostro Paese, nell'ordinamento giuridico del nostro Paese, quell'abbattimento salariale tra uomini e donne e, quindi, una prima efficace norma contro le discriminazioni delle donne sul lavoro.

Ovviamente, è cambiato tanto, è cambiato il mondo e, ancora oggi, sono stati ricordati da tutti - io non li voglio più citare, perché sono drammatici, l'hanno ricordato tutti - i dati, che ci dicono che quel tetto di cristallo e quel differenziale salariale è un elemento di cui il nostro Parlamento non può più non occuparsi. Ci sono delle norme, è vero, ma quelle norme vanno aggiornate ed è anche in questa direzione che io - ma anche altri colleghe - ho presentato una proposta per parlare della parità salariale, una proposta che in questo momento stiamo discutendo. Abbiamo concluso la scorsa settimana il ciclo di audizioni molto importanti e molto significative - poi ci ritornerò su - che, in qualche modo, ci confortano e ci dicono che dobbiamo andare avanti su questo tema, perché è uno dei primi tasselli fondamentali per superare quel mancato riconoscimento del ruolo delle donne in alcune professioni, soprattutto.

Oggi sappiamo che le donne studiano di più e si laureano prima, ma nonostante questo si trovano spesso e volentieri a salire nel grado di carriera e a vedere la propria busta paga scendere, e anche questo di nuovo è ingiustificato. Non può essere che si studia di più, si ottengono i risultati migliori, eppure, ancora una volta, il divario salariale aumenta e, ancora una volta, le ragazze e le donne italiane sono costrette a scegliere tra vita e lavoro. Questo è ovviamente inaccettabile.

Con il lavoro che stiamo costruendo in queste settimane - e lo dico perché, come relatrice anche della proposta di legge, sto cercando di costruire con tutte le forze politiche di maggioranza e anche di opposizione un testo che possa essere effettivamente di tutto il Parlamento - dobbiamo essere testimoni di una storia importante: quando le donne in Parlamento e fuori dal Parlamento si sono unite, hanno fatto delle battaglie importanti e quelle battaglie non sono state solo a vantaggio delle donne, ma sono andate a vantaggio del miglioramento di tutta la società, perché le donne quando parlano e quando lavorano insieme fanno un percorso di inclusione e realmente lavorano per la pace e per il rispetto dei diritti umani. E io penso che questo sia un elemento da sottolineare anche oggi, anche nella discussione di questa mozione, che, più che in altre situazioni, mette al centro il tema del lavoro.

Nelle audizioni che abbiamo concluso la scorsa settimana sul divario retributivo, la professoressa Linda Laura Sabbadini ci ha ricordato come le lavoratrici italiane - che sono già penalizzate da un bassissimo tasso di occupazione: stiamo al 56 per cento, mentre gli uomini sono al 75 per cento - soffrono di una piaga che è il part-time involontario. Il part-time involontario è uno strumento che non rappresenta più la possibilità di conciliare vita-lavoro - e anche qua dobbiamo dirlo con chiarezza - ma in realtà spesso e volentieri diventa un altro strumento di flessibilità e - voglio dirlo con chiarezza - di precarietà.

E allora io credo, signora Ministra, che forse dovremmo riuscire, oltre a migliorare le norme, a rendere strutturali i bonus che si sono inseriti, anche a ribaltare un concetto, che credo sia davvero fondamentale, è già stato in parte detto e lo riprendo: il tema, innanzitutto, della conciliazione. Non dovremo più parlare di conciliazione, ma dovremo parlare di condivisione, dovremo dire ai nostri mariti e compagni che il tema della condivisione dei tempi di vita-lavoro è fondamentale, altrimenti quello che non si dice non è solo il lavoro non espresso, come il lavoro di cura, ma il carico mentale del lavoro che hanno le donne, che è sempre maggiore, che si faccia la manager o che si facciano le pulizie. Questo per dire che abbatte ogni classe sociale quel carico mentale ed è sempre e solo in carico alle donne.

Su questo tema io credo che, innanzitutto, serva un grande percorso culturale nel Paese e poi, naturalmente, delle norme che non vadano a curare la patologia, ma che siano fisiologiche, che costruiscano un percorso davvero positivo, inclusivo e migliorativo dei diritti di tutti. Le donne italiane stanno aspettando, il Parlamento spero che potrà, con l'aiuto di tutti, rinforzare la proposta di legge che ho presentato sulla parità salariale con degli strumenti anche di inclusione, con altre proposte: vedo la collega Boldrini, vedo altri colleghi che hanno presentato o che stanno per depositare altre proposte. Il Parlamento c'è e ovviamente ci aspettiamo non solo il sostegno, ma anche qualcosa di più da parte del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Rosa Maria Di Giorgi. Ne ha facoltà.

ROSA MARIA DI GIORGI (PD). Grazie, Presidente. Ringrazio anch'io la collega Boldrini e tutte le colleghe che hanno voluto ricordare in questa occasione, ancora una volta, l'8 marzo.

La nostra mozione si inquadra in un contesto abbastanza consolidato, tragicamente: quello di una situazione di sofferenza delle donne italiane, ma non solo; una situazione di sofferenza e di ineguaglianza che interessa le donne in ogni parte del mondo, con picchi di violenze e di oscurantismo culturale ancora assolutamente intollerabili.

La celebrazione di questa giornata dell'8 marzo, naturalmente, continua ad avere senso, molto senso, in questi anni in cui si possono individuare, senza poter essere smentiti, elementi di un certo regresso nella cultura e nella modalità di affrontare la questione femminile. Parlo di questione femminile perché proprio di una questione ancora si tratta, una questione spinosa, perché è drammatica, grave, ancora e ancora, anche nel nostro Paese.

Parlerò di quote rosa, senza temere il giudizio di coloro che non le vogliono e che parlano ancora di movimento dei panda, che noia, soprattutto quando lo sentiamo dalle stesse donne che si sentono emancipate. Anche per loro, che non si rendono conto, continueremo la nostra battaglia sulle quote rosa: sì, le quote rosa, necessarie, sempre più necessarie via via che cresce la competenza delle donne.

In questo senso, apprezzo il Presidente del Consiglio Conte, che si è impegnato con noi donne dell'intergruppo della Camera a tenere in considerazione le candidature femminili per le prossime importanti nomine. La stessa cosa dovremo fare all'interno dei nostri partiti e gruppi parlamentari, perché finalmente ci sia equità e cambi il trend consolidato di eleggere o nominare sempre e quasi sempre soltanto uomini.

Si alza ancora forte, in Italia e nel mondo, il grido delle donne, che, a tutt'oggi, nel 2020, sono violentate in senso fisico e in senso culturale.

Signor Presidente, da oltre trent'anni, purtroppo, per certi versi, ma comunque da oltre trent'anni intervengo su queste questioni nei vari ambiti di riferimento - mi è capitato di fare l'amministratore nel movimento delle donne, eccetera - perché ho sempre seguito fin dalla mia giovane età la condizione della donna nel nostro Paese e non solo. Sono tra coloro che hanno combattuto tutte le battaglie delle donne - ne hanno parlato le colleghe in questo pomeriggio - dell'ultimo trentennio. Io l'ho fatto con convinzione e l'ho fatto perché era giusto farlo, certe volte con rabbia, l'ho fatto con la voglia di lasciare un mondo diverso a mia figlia, l'ho fatto con l'idea che fosse necessario che tutti si impegnassero contro la cultura dominante, una cultura che ci voleva ancora relegare in ruoli che non sono più sopportabili, soprattutto per una donna moderna e per tutte le ragazze che siedono qui in questo Parlamento.

Le donne, più sono consapevoli, più si attrezzano per opporsi alle palesi diseguaglianze di cui sono vittima, nonostante un apparato normativo ormai abbastanza evoluto nel nostro Paese, perché questo, signor Ministro, insomma, lo dobbiamo ammettere: abbiamo delle leggi, sono state tutte citate e non sto a ripercorrerle. E, quindi, noi abbiamo un compito forte, che è quello un po' di leader, sediamo in questo Parlamento anche per questo; quindi, leader che devono essere le donne che hanno avuto opportunità, anche perché in un contesto sociale e familiare favorevole; quindi, persone che non esito a definire fortunate per certi versi rispetto a tante altre, persone che hanno potuto studiare, lavorare, e che hanno l'opportunità di essere considerate ed ascoltate.

Quindi, per questo abbiamo un compito forte, noi, ed è per questo che è giustissimo parlare di queste cose oggi, in occasione dell'8 marzo, ma non solo, perché tutte le leggi che facciamo dobbiamo pensarle e impostarle in una logica che dia spazio e che sia pensata a misura di donna. È un po' questa la sfida che ci viene posta oggi.

Abbiamo creato da sempre movimenti, abbiamo riempito le piazze, abbiamo fatto le battaglie epocali, però io mi chiedo: a questo punto della mia vita, della vita di tante come me, quanto tutto questo è servito? Noi abbiamo fatto di tutto e abbiamo portato ad avere queste leggi, che esistono e sono delle realtà nel nostro Paese, ma, se questo è ciò che è successo - abbiamo leggi che proteggono le donne, leggi che riconoscono i loro diritti su tutti i fronti, abbiamo fatto passi da gigante sulle questioni relative ai diritti civili, e a livello nazionale e a livello locale (regioni, comuni), abbiamo sviluppato, ancora con troppe differenze a livello territoriale, purtroppo, ma comunque servizi necessari che possono essere di supporto alla famiglia e che possono garantire alle donne la libertà -, ma questa libertà è davvero garantita? Non direi, non direi proprio.

La libertà è la libertà di poter lavorare: una condizione essenziale e non negoziabile mai. Ce l'hanno le donne? Non credo. Libertà nella relazione matura con il compagno, libertà che vuole essere, comunque, qualcosa che non trasformi queste donne in altro, questo è un altro punto importante, secondo me. La libertà significa anche mantenersi donne, come vogliamo. Dobbiamo essere donne fino in fondo, donne con le proprie caratteristiche, donne in carriera -certamente, sì, la vogliamo la carriera - che hanno diritto di avere un mondo del lavoro più a loro misura, proprio perché le loro carriere siano possibili. Quanto abbiamo combattuto, tante di noi, per questo? Non vogliamo essere fotocopie sbiadite e infelici di maschi in carriera, loro sì, perché se lo possono consentire.

Allora, è proprio questo che, secondo me, ancora manca, ma manca nella nostra testa, nella cultura diffusa nel nostro Paese, nella cultura diffusa dell'Italia, un approccio culturale: è mancata la convinzione in molti e forse anche in tante donne, nelle nostre donne, che la società debba essere costruita a misura di uomini e donne diversi, ambedue davvero con funzioni simili, fuori e dentro casa. Così non sarà più la donna a doversi adattare a meccanismi costruiti per uomini disinteressati a famiglia e figli. Si può avere un'organizzazione diversa, basta esserne convinti e, quindi, costruirla e costruirla sempre in tutti i nostri provvedimenti.

Quindi, è necessario promuovere la conciliazione dei tempi di lavoro e dei tempi di cura non solo per le donne e allora avere pari opportunità significa essere messi nella condizione di poter avere ed esercitare tutti i diritti, anche quello di essere madre o padre e di stare ambedue vicino ai propri figli quando ce n'è bisogno. Basta con il senso di colpa vissuto solo dalle madri perché lo stereotipo a noi consegna questo ruolo; costruire un mondo diverso significa costruire un mondo in cui ci sia spazio - concludo, Presidente - per il sentimento materno e paterno per i figli che non deve essere qualcosa da nascondere ma un valore forte, un elemento fondante per l'equilibrio della società ma mai posto in alternativa all'affermazione della donna nel mondo del lavoro. Se però esaminiamo mestieri e professioni - le chiedo un attimo di pazienza - ecco che vediamo quanti insormontabili ostacoli soffocano le donne e quali e quanti siano i problemi che dovranno ancora essere superati. Certo io posso fare qualsiasi lavoro se sono una donna, non c'è dubbio…

PRESIDENTE. Concluda, per favore.

ROSA MARIA DI GIORGI (PD). …ma solo sulla carta. Se si pone il caso di dover andare all'estero naturalmente non siamo disponibili; se c'è bisogno di scegliere un direttore generale, si sceglierà un uomo probabilmente perché è molto più libero nel senso di libertà che dicevo prima. Allora questa trasformazione del mondo intorno alla donna, del mondo che noi vogliamo è una trasformazione che dobbiamo creare noi, che dobbiamo sicuramente portare avanti. Concludo, rispetto a questo credo che tutte le nostre battaglie siano assolutamente da portare avanti e da sostenere: anche l'impegno che il Governo attraverso la Ministra sta portando avanti con il nostro sostegno proprio perché è necessario che ci sia un cambio di cultura che poi non può che partire e avviarsi dalle scuole. I nostri ragazzi devono crescere in altro modo; i giovani di domani, i padri di domani, gli uomini, i mariti di domani dovranno essere persone diverse perché la libertà è la libertà di tutti e, se questo non succede, è evidente che non potremmo pensare ad un mondo come lo immaginiamo, come tanti di noi l'hanno immaginato negli anni e come voi più giovani meritate di avere, grazie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Italia Viva).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente?

ELENA BONETTI, Ministra per le Pari opportunità e la famiglia. Grazie, mi riservo di intervenire domani. Vorrei però, a nome di tutto il Governo, ringraziare per questo interessante, importante e significativo dibattito che oggi si è già svolto e credo che la giornata di domani potrà concludersi al meglio con la votazione e i seguenti nostri commenti.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato alla seduta di domani.

Modifica nella composizione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione.

PRESIDENTE. Comunico che in data odierna il Presidente della Camera ha chiamato a far parte del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, il deputato Vito De Filippo, in sostituzione del deputato Ivan Scalfarotto, già entrato a far parte del Governo.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Mantovani. Ne ha facoltà.

LUCREZIA MARIA BENEDETTA MANTOVANI (FDI). Grazie, Presidente. Ci tenevo a prendere la parola quest'oggi anche solo per pochi istanti perché ritengo un mio dovere portare a conoscenza di quest'Aula la prematura scomparsa del dottor Ivo Cilesi, uno dei massimi esperti impegnati nella lotta contro la malattia di Alzheimer. Ivo Cilesi, pedagogista, psicopedagogista, musicoterapeuta, specializzato in musicoterapia clinica presso il Royal Hospital di Londra. Genovese di origine ma bergamasco di adozione, il dottor Cilesi ha dedicato la sua esistenza al servizio della cura dei malati di Alzheimer e demenza, divenendo un importante riferimento nel campo delle terapie non farmacologiche. In questi anni ha attivato numerosi progetti e percorsi anche di formazione per avvicinare e coinvolgere, proprio nell'ambito delle terapie non farmacologiche, diversi centri specializzati nella cura dell'Alzheimer. A lui si deve la doll therapy o “terapia della bambola” nonché la terapia del viaggio: due tra le migliori tecniche attualmente in essere per contenere i disturbi del comportamento di tanti soggetti alle prese con le demenze. Ivo era una persona buona e generosa. Le notizie diffuse oggi ci dicono che è mancato a causa del Coronavirus: un fatto drammatico perché lui certamente trascorreva intere giornate a contatto con i più fragili, i soggetti più facilmente aggredibili da questo terribile virus. La nostra società avrebbe bisogno di tante persone così. Lo piango io che ho avuto l'onore di collaborare con lui; lo piangono molti suoi allievi. Un pensiero a Ivo e alla sua famiglia (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Acunzo. Ne ha facoltà.

NICOLA ACUNZO (M5S). Grazie, Presidente. Il 3 marzo 1944 e quindi settantasei anni fa, il treno merci 8017 partito da Napoli e diretto a Potenza entrò nella Galleria delle Armi, poco dopo la stazione di Balvano-Ricigliano, in Basilicata, affollato da centinaia di persone provenienti dalla Campania nella speranza di acquistare con il baratto i viveri per sé e per i propri familiari. A quel treno si aggiunsero 24 convogli nella stazione di Battipaglia ed era trainato da due locomotive a vapore che utilizzavano del carbone scadente che purtroppo proveniva da un altro paese, i cui fumi avvelenarono quella galleria in cui ristagnavano già dei gas prodotti da un treno precedente. A causa della mancanza di vento e dell'umidità che faceva slittare le ruote sui binari, i macchinisti furono costretti ad intensificare la forza delle locomotive con imponenti masse di carbone che purtroppo finirono per rendere l'aria del tutto irrespirabile, facendo perdere quasi subito i sensi al macchinista di testa che, in un ultimo barlume di lucidità, spinse a terra il fuochista che si salvò grazie al suo gesto. Il macchinista della seconda carrozza tentò disperatamente e inutilmente un'inversione di marcia: quel treno si fermò in galleria con due soli convogli che restavano fuori. Fu una strage: oltre 500 i morti, anche se le ricerche storiche poi successive parlano di circa 600 morti. Fu una tragedia che in qualche modo dobbiamo ricordare, che riporto per il suo tramite a tutta l'Aula, che purtroppo non ebbe responsabili e che credo che il Parlamento italiano debba ricordare ogni anno. Fu un disastro sul quale credo sia doveroso fare piena luce; ristabilire almeno per la storia la verità per onorare questi nostri connazionali e tutti i morti dei tanti disastri ferroviari accaduti in Italia e nel mondo. Questa era la sciagura del treno 8017: il più grande incidente ferroviario italiano (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Alberto Manca. Ne ha facoltà.

ALBERTO MANCA (M5S). Grazie, Presidente. Il Corpo forestale e di vigilanza ambientale è un corpo tecnico con funzione di polizia della regione Sardegna. Gli uomini e le donne del Corpo forestale svolgono un importante compito di sorveglianza del territorio e sono ogni giorno in prima linea per la tutela dell'ambiente naturale sia terrestre sia marittimo. Nello specifico il Corpo, oltre a svolgere l'attività di tutela e salvaguardia delle risorse naturalistiche e ambientali della regione, ha anche compiti di polizia giudiziaria e svolge attività di contrasto e repressione degli illeciti legati a settori fondamentali per l'economia locale. Il Corpo forestale è una componente fondamentale dell'unità di progetto per la peste suina africana, istituita dalla regione Sardegna per contrastare e debellare la diffusione di questa malattia all'interno degli allevamenti suinicoli regionali. L'unità di progetto collabora con gli allevatori locali portando avanti progetti di sensibilizzazione ed informazione. Nonostante i tentativi di alcuni componenti dell'attuale amministrazione regionale tesi ad ostacolare le attività di eradicazione della malattia, l'unità di progetto è riuscita a debellare quasi totalmente la peste suina africana della regione e per questo voglio complimentarmi con tutti i componenti dell'unità operativa per l'eccellente lavoro svolto, un lavoro che potrebbe presto aprire la strada per l'eliminazione del divieto di export imposto dall'Unione europea ai prodotti suinicoli sardi e noi daremo il nostro contributo. Spesso nell'esercizio delle loro funzioni i forestali vanno ad intaccare interessi personali da cui scaturiscono tensioni che a volte sfociano in veri e propri atti intimidatori nei loro confronti. Gli ultimi in ordine di tempo risalgono allo scorso fine settimana e hanno interessato le stazioni forestali di Seui e Benetutti: due attentati in meno di tre giorni.

Colgo l'occasione per sottolineare in questa sede la necessità di garantire maggiori tutele e garanzie per gli uomini e le donne dei corpi forestali delle regioni a statuto speciale che tutti i giorni lavorano nel territorio per proteggere e salvaguardare beni che sono patrimonio di tutti e in questo senso va la mia proposta di legge sull'equiparazione del loro trattamento previdenziale a quello delle altre Forze di polizia. Vorrei quindi esprimere la mia solidarietà ai colleghi del Corpo forestale per i vili attentati consumati ai loro danni. Il MoVimento 5 Stelle sarà sempre a fianco di chi si batte per la tutela della legalità, grazie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Maria Soave Alemanno. Ne ha facoltà.

MARIA SOAVE ALEMANNO (M5S). Signor Presidente, vorrei dedicare questi brevi momenti a mia disposizione per affrontare un tema che mi indigna veramente molto, non solo come parlamentare, ma anche come cittadina, come cittadina italiana. I sindaci, gli assessori, le Forze dell'ordine sono travolti in questo periodo da una esponenziale e preoccupante escalation di fenomeni legati ad atti intimidatori. Mi riferisco a quanto accaduto sicuramente nella mia terra, la provincia di Lecce, ma questo fenomeno la cronaca ci spiega anche che si ripercuote su tutto il territorio nazionale ogni giorno. Ebbene, posso citarvi semplicemente l'ultimo atto intimidatorio, la minaccia che è avvenuta proprio oggi ai danni del sindaco del comune di Campi Salentina. Tutto questo chiaramente si ripercuote su quanto gli amministratori sono chiamati ad esercitare nei propri comuni, quando hanno a disposizione chiaramente dei cittadini che spesso si trovano anche in condizioni di vita diciamo non facili e purtroppo la disperazione li porta anche a compiere dei gesti magari illegali, nell'illegalità. Ecco, noi abbiamo l'obbligo morale come cittadini sicuramente di vigilare, ma lo Stato deve dimostrare in ogni parte d'Italia la sua forza, deve esercitare la sua presenza in maniera indiscutibile. Bene, in questa sede voglio semplicemente esprimere quindi la mia solidarietà non solo al sindaco, ma a tutti quanti gli altri amministratori che hanno subìto delle minacce e che ciò nonostante tutti i giorni, con la schiena dritta, si recano puntualmente sul posto di lavoro per cercare di svolgere il ruolo che gli è stato assegnato e ritengo anche che in questa occasione il plauso e il sostegno incondizionato di quest'Aula possa semplicemente dar loro la nostra vicinanza, grazie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Valentina Barzotti. Ne ha facoltà, per un minuto.

VALENTINA BARZOTTI (M5S). Grazie Presidente, diario della quarantena: si parla di riapertura di qualche azienda. Mi auguro che imprese, esercizi commerciali e partite IVA possano gradualmente ripartire e soprattutto ricevere gli aiuti di cui avranno bisogno nei prossimi difficili mesi. La tensione di chi è in difficoltà sta comprensibilmente salendo e spiace vedere chi la alimenta facendo propaganda. Bisogna tenere alta l'attenzione sul territorio, marciare uniti con un obiettivo comune, non accusare senza criterio per cavalcare il malumore e ottenere consenso. Oggi pioggia e le previsioni non sono belle. Domani comincerà la seconda settimana di quarantena e so che sarà più difficile della prima, esaurito una sorta di effetto novità, più forte il senso di essere in gabbia e senza bel tempo. Mi consolo preparando muffin. Presidente, ecco uno tra i molti racconti di vita quotidiana dalla zona rossa e più in generale dal Lodigiano. Io vorrei che queste voci riecheggiassero qui, all'interno di quest'Aula, per mio tramite, in modo da poter sensibilizzare quanto più possibile rispetto all'emergenza che stiamo vivendo in questi giorni, grazie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Laura Boldrini. Ne ha facoltà.

LAURA BOLDRINI (PD). Sì grazie signor Presidente, vorrei parlare di un tema che penso sia di grandissima attualità e dovrebbe appunto riceve l'attenzione di quest'Aula. Ora, le immagini che ci giungono dal confine tra la Grecia e la Turchia suscitano sgomento, ma anche grande preoccupazione, Presidente: sono immagini di disperazione, ma anche di violenza veramente inaudita. Ecco, la Siria è un Paese devastato da nove anni di guerra civile e ora è in atto uno scontro durissimo nella zona di Idlib, che vede impegnate forze armate di diversi Paesi, intanto del regime di Assad, ma anche della Turchia e anche della Russia (con la sua aviazione, sta bombardando). Ecco, uno scontro che chiaramente sta causando moltissimi morti, ma anche un esodo di dimensioni impressionanti.

Ora il Presidente Erdogan esercita in questo frangente tutto il suo cinismo e fa un ricatto, un ricatto verso l'Unione Europea. Che cosa fa? Praticamente lui consente, apre le frontiere, causando però un afflusso non governato, tutto insieme, di decine di migliaia di persone, che si accalcano dunque, perché stanno fuggendo da quel contesto. Ecco, io penso che vada detto che Erdogan può permettersi questo, perché in qualche modo l'Unione europea gliel'ha permesso, glielo ha permesso nel 2015, quando c'è stato quell'accordo tra la Turchia e l'Unione europea che a mio avviso è stato sbagliato, perché l'Unione europea ha deciso di esternalizzare il diritto d'asilo, che è uno dei diritti più antichi e anche identitario della nostra comunità, ecco, e dunque ha dato il coltello dalla parte del manico al Presidente Erdogan. Ora io comprendo, perché ho lavorato in Grecia, negli anni precedenti la mia esperienza istituzionale e politica, ho lavorato nella regione di Evros, nelle isole dell'Egeo e dunque comprendo il disagio delle popolazioni che si trovano a vivere questa emergenza e apprezzo anche che oggi ci sia stata questa visita delle massime autorità dell'Unione europea, delle massime istituzioni, ma quello che non possiamo, Presidente, non possiamo assolutamente accettare, è che dei civili in fuga da un bombardamento vengano respinti indietro. Questo è in violazione del principio del non-refoulement, che è un principio fondamentale della Convenzione di Ginevra e non posso accettare, non possiamo accettare che vengano respinti con una brutalità senza precedenti: gas lacrimogeni contro i bambini, bastonate, armi da fuoco, tentativi di affondamento di gommoni. Ecco, allora l'Unione europea non può e non deve condividere questi metodi, non lo può fare, invece deve avviare un programma di evacuazione umanitaria, un'azione che sì può e si deve fare e che dovrebbe fare proprio quanto prima, perché a livello politico vediamo che in Siria l'Unione europea non è riuscita molto a, come dire, fare delle proposte che si sono poi tradotte in azioni concrete, ma almeno dal punto di vista umanitario, questo sì, dovrebbe farlo. Ecco, allora io chiedo al Governo italiano che si faccia promotore - qui vedo che c'è la Ministra Bonetti in Aula, dunque tramite lei, Ministra - che si faccia promotore di un'iniziativa umanitaria che restituisca all'intera Unione Europea quell'umanità che negli ultimi tempi sembra veramente essere svanita. Grazie signor Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Giuseppina Occhionero. Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA OCCHIONERO (IV). Grazie Presidente, credo che non si possa tacere di fronte a quello che sta accadendo al confine tra la Grecia e la Turchia: è inaccettabile l'atteggiamento della Turchia ed è raccapricciante l'immagine di un bimbo morto mentre un gommone cerca di attraccare all'isola di Lesbo. E proprio le cronache di Lesbo ci raccontano la storia di un atteggiamento ormai fuori controllo e privo di ogni umanità. Ecco, io sono certa che il Presidente del Consiglio Conte e il Ministro Di Maio sappiano far sentire forte la voce dell'Italia, che dovrà ricordare all'Europa che non si può tacere di fronte a questo scempio. Noi non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo far finta di nulla, grazie (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva e di deputati dei gruppi Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Mercoledì 4 marzo 2020 - Ore 10,30:

(ore 10,30 e ore 16)

1. Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali presentate):

S. 1664 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 gennaio 2020, n. 1, recante disposizioni urgenti per l'istituzione del Ministero dell'istruzione e del Ministero dell'università e della ricerca (Approvato dal Senato). (C. 2407)

Relatore: BRESCIA.

2. Seguito della discussione delle mozioni Boldrini, Ascari, Boschi, Muroni, Giannone ed altri n. 1-00334 e Gelmini, Locatelli, Meloni, Gagliardi ed altri n. 1-00335 concernenti iniziative volte a promuovere la parità di genere e a prevenire e contrastare la violenza contro le donne .

(ore 15)

3. Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata .

La seduta termina alle 18,40.