XVIII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 3 agosto 2021

TESTO AGGIORNATO AL 4 AGOSTO 2021

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 3 agosto 2021.

      Amitrano, Ascani, Battelli, Bergamini, Enrico Borghi, Boschi, Brescia, Brunetta, Campana, Carfagna, Carinelli, Casa, Castelli, Maurizio Cattoi, Cavandoli, Cirielli, Colletti, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Dadone, De Maria, Delmastro Delle Vedove, Luigi Di Maio, Di Stefano, Dieni, Durigon, Fassino, Gregorio Fontana, Ilaria Fontana, Franceschini, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gebhard, Gelmini, Gerardi, Giachetti, Giacomoni, Giorgetti, Grande, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Iovino, Lapia, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Lupi, Macina, Maggioni, Magi, Mandelli, Marattin, Melilli, Molinari, Molteni, Morelli, Mulè, Mura, Nardi, Nesci, Occhiuto, Orlando, Paita, Palazzotto, Parolo, Pastorino, Patassini, Perantoni, Rampelli, Rizzo, Rosato, Rotta, Ruocco, Sasso, Scalfarotto, Schullian, Scutellà, Serracchiani, Carlo Sibilia, Silli, Sisto, Spadoni, Speranza, Tabacci, Tasso, Testamento, Tripiedi, Vignaroli, Vito, Raffaele Volpi, Zanettin, Zoffili.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

      Amitrano, Ascani, Battelli, Bergamini, Enrico Borghi, Boschi, Brescia, Brunetta, Campana, Carfagna, Carinelli, Casa, Castelli, Maurizio Cattoi, Cavandoli, Cirielli, Colletti, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Dadone, De Maria, Delmastro Delle Vedove, Luigi Di Maio, Di Stefano, Dieni, Durigon, Fassino, Gregorio Fontana, Ilaria Fontana, Franceschini, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gebhard, Gelmini, Gerardi, Giachetti, Giacomoni, Giorgetti, Grande, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Iovino, Lapia, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Lupi, Macina, Maggioni, Magi, Mandelli, Marattin, Melilli, Molinari, Molteni, Morelli, Mulè, Mura, Nardi, Nesci, Occhiuto, Orlando, Paita, Palazzotto, Parolo, Pastorino, Patassini, Perantoni, Rampelli, Rizzo, Rosato, Rotta, Ruocco, Sasso, Scalfarotto, Schullian, Scutellà, Serracchiani, Carlo Sibilia, Silli, Sisto, Spadoni, Speranza, Tabacci, Tasso, Testamento, Tripiedi, Vignaroli, Vito, Raffaele Volpi, Zanettin, Zoffili.

Annunzio di proposte di legge.

      In data 2 agosto 2021 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa dei deputati:
          RIBOLLA ed altri: «Modifica all'articolo 2 della legge 20 dicembre 2012, n. 238, concernente la concessione di un contributo alla Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo per la realizzazione del Festival Donizetti Opera» (3249).

      Sarà stampata e distribuita.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

      A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

          II Commissione (Giustizia)
      DELMASTRO DELLE VEDOVE ed altri: «Modifiche agli articoli 4-bis della legge 26 luglio 1975, n.  354, e 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n.  152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n.  203, in materia di concessione di benefìci penitenziari e di accertamento della pericolosità sociale nei confronti dei detenuti o internati» (3184) Parere delle Commissioni I, V, VI e XII;
      DE LUCA ed altri: «Disposizioni in materia di responsabilità penale e amministrativo-contabile dei sindaci» (3224) Parere delle Commissioni I e V.

          III Commissione (Affari esteri)
      QUARTAPELLE PROCOPIO ed altri: «Disciplina dei Comitati degli italiani all'estero» (3193) Parere delle Commissioni I, V, VII, X, XI e Commissione parlamentare per le questioni regionali.

          IV Commissione (Difesa)
      FERRARI ed altri: «Modifiche al codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66, in materia di istituzione della riserva delle Forze armate e di mobilitazione» (3159) Parere delle Commissioni I, III, V, VIII, XI e XII.

          VII Commissione (Cultura)
      ANGIOLA ed altri: «Disposizioni per la celebrazione del centenario della nascita di Maria Colamonaco» (2799) Parere delle Commissioni I, V e Commissione parlamentare per le questioni regionali;
      MASI: «Dichiarazione di monumento nazionale dell'ex campo di prigionia n.  65 di Altamura» (3162) Parere delle Commissioni I e V.

          XI Commissione (Lavoro)
      GIULIODORI ed altri: «Esclusione degli utili non distribuiti dalla base imponibile per i contributi previdenziali dovuti dai soci lavoratori delle società a responsabilità limitata» (3186) Parere delle Commissioni I, V, VI e X.

Trasmissione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

      La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 2 agosto 2021, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 15 marzo 2012, n.  21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n.  56, concernente l'esercizio di poteri speciali inerenti agli attivi strategici nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, l'estratto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 luglio 2021, recante l'esercizio di poteri speciali, con prescrizioni, in relazione alla notifica della società Marbles Spa avente a oggetto l'acquisizione, mediante un'offerta pubblica di acquisto volontaria, di una partecipazione rappresentante fino al 100 per cento del capitale sociale della società Retelit Spa.

      Questo documento è trasmesso alla IX Commissione (Trasporti).

Annunzio di sentenze della Corte costituzionale.

      La Corte costituzionale, in data 30 luglio 2021, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.  87, copia delle seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:

      Sentenza n.  175 del 24 giugno-30 luglio 2021 (Doc. VII, n.  723),
          con la quale:
              dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, in relazione all'articolo 1-ter, comma 2, della legge 24 marzo 2001, n.  89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), nel testo risultante dalle modifiche apportate dall'articolo 1, comma 777, lettere a) e b), della legge 28 dicembre 2015, n.  208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2016)»:
          alla II Commissione (Giustizia);
      Sentenza n.  176 del 6-30 luglio 2021 (Doc. VII, n.  724),
          con la quale:
              dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 2, lettera d), della legge della regione Veneto 23 giugno 2020, n.  24 (Normativa regionale in materia di polizia locale e politiche di sicurezza), limitatamente alle parole «rafforzare e valorizzare l'azione coordinata della polizia locale secondo i principi della presente legge, con azioni e progetti finalizzati al potenziamento strumentale e operativo e alla condivisione degli strumenti e delle procedure necessarie al coordinamento degli apparati di sicurezza per la gestione di specifici servizi e per obiettivi comuni;»;
              dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 2, lettere e) e g), della legge della regione Veneto n.  24 del 2020;
              dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 2, lettera b), della legge della regione Veneto n.  24 del 2020, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione;
              dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 2, lettera b), della legge della regione Veneto n.  24 del 2020, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione;
              dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9, comma 3, della legge della regione Veneto n.  24 del 2020, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in relazione all'articolo 5 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n.  117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n.  106»;
              dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9, comma 3, della legge della regione Veneto n.  24 del 2020, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in relazione all'articolo 33 del Codice del terzo settore;
              dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 18 della legge della regione Veneto n.  24 del 2020, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli articoli 3, 117, secondo comma, lettera l), e 118, quarto comma, della Costituzione;
              dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 8, commi 1 e 2, della legge della regione Veneto n.  24 del 2020, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli articoli 3, 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione;
              dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 8, comma 3, della legge della regione Veneto n.  24 del 2020, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
              dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 2, lettera i), della legge della regione Veneto n.  24 del 2020, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione:
          alla I Commissione (Affari costituzionali);
      Sentenza n.  177 del 7-30 luglio 2021 (Doc. VII, n.  725),
          con la quale:
              dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, commi 1, 2 e 3, della legge della regione Toscana 7 giugno 2020, n.  82 (Disposizioni relative alle linee guida regionali in materia di economia circolare e all'installazione degli impianti fotovoltaici a terra. Modifiche alla legge regionale 34/2020 e alla legge regionale 11/2011);
              alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive);
      Sentenza n.  178 del 6-30 luglio 2021 (Doc. VII, n.  726),
          con la quale:
              dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 24, comma 1, lettera d), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n.  113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, in legge 1o dicembre 2018, n.  132, che modifica l'articolo 67, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.  159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n.  136), limitatamente alle parole «e all'articolo 640-bis del codice penale»;
              dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n.  87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'articolo 24, comma 1, lettera d), del decreto-legge n.  113 del 2018, come convertito, che modifica l'articolo 67, comma 8, del decreto legislativo n.  159 del 2011, limitatamente alle parole «nonché per i reati di cui all'articolo 640, secondo comma, n.  1), del codice penale, commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico»;
              dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 24, comma 1, lettera d), del decreto-legge n.  113 del 2018, come convertito, che modifica l'articolo 67, comma 8, del decreto legislativo n.  159 del 2011, sollevata, in riferimento all'articolo 38 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia:
      alla II Commissione (Giustizia);
      Sentenza n.  179 del 6-30 luglio 2021 (Doc. VII, n.  727),
          con la quale:
              dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1 della legge della regione Marche 9 luglio 2020, n.  30 (Modifica alla legge regionale 20 giugno 2003, n.  13, «Riorganizzazione del Servizio Sanitario regionale»), limitatamente alla parte in cui sostituisce l'articolo 8, commi 3 e 4, della legge della regione Marche 20 giugno 2003, n.  13 (Riorganizzazione del Servizio Sanitario Regionale):
          alla XII Commissione (Affari sociali).

      La Corte costituzionale ha depositato in cancelleria le seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali):

      Sentenza n.  180 del 23 giugno–30 luglio 2021 (Doc. VII, n.  728),
          con la quale:
              dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 485 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), sollevata, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Roma, sezione lavoro:
          alla XI Commissione (Lavoro);
      Sentenza n.  181 del 7-30 luglio 2021 (Doc. VII, n.  729),
          con la quale:
              dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, lettera b), della legge della regione Lazio 8 novembre 2004, n.  12 (Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi), sollevata, in riferimento agli articoli 103 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda-quater;
              dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, lettera b), della legge della regione Lazio n.  12 del 2004, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 42 e 97 della Costituzione, dal TAR Lazio, sezione seconda-quater:
          alla VIII Commissione (Ambiente);
      Sentenza n.  182 del 7-30 luglio 2021 (Doc. VII, n.  730),
          con la quale:
              dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 578 del codice di procedura penale, sollevate – in riferimento all'articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n.  848, nonché in riferimento allo stesso articolo 117, primo comma, e all'articolo 11 della Costituzione, in relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, e all'articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 – dalla Corte d'appello di Lecce:
          alla II Commissione (Giustizia);
      Sentenza n.  183 del 7-30 luglio 2021 (Doc. VII, n.  731),
          con la quale:
              dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 13, 25, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n.  848, dalla Corte d'appello di Bologna:
          alla II Commissione (Giustizia);

Trasmissione dal Ministro dell'economia e delle finanze.

      Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 30 luglio 2021, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5, comma 16, del decreto-legge 30 settembre 2003, n.  269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n.  326, la relazione sulle attività svolte e sui risultati conseguiti dalla Cassa depositi e prestiti Spa nell'anno 2020 (Doc. LIV, n.  4).

      Questa relazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio) e alla VI Commissione (Finanze).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

      La Commissione europea, in data 2 agosto 2021, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
          Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Corte dei conti – Relazione annuale sulla gestione e il rendimento del bilancio dell'Unione europea – Esercizio finanziario (COM(2021) 301 final), corredato dai relativi allegati (COM(2021) 301 final – Annex 1, part 1/2 e part 2/2, e Annex 2), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio);
          Proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione che dovrà essere assunta, a nome dell'Unione europea, nel Consiglio di associazione istituito dall'accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno hascemita di Giordania, dall'altra, in merito a una modifica del protocollo n.  3 del suddetto accordo relativo alla definizione della nozione di «prodotti originari» e ai metodi di cooperazione amministrativa (COM(2021) 387 final), corredata dal relativo allegato (COM(2021) 387 final – Annex), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
          Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulle obbligazioni verdi europee (COM(2021) 391 final), corredata dai relativi allegati (COM(2021) 391 final – Annexes 1 to 4) e dal relativo documento di lavoro – Sintesi della relazione sulla valutazione d'impatto (SWD(2021) 182 final), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite VI (Finanze) e VIII (Ambiente). Questa proposta è altresì assegnata alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 3 agosto 2021;
          Comunicazione congiunta della Commissione europea e dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza al Parlamento europeo e al Consiglio – Relazione sull'attuazione della strategia dell'Unione europea in materia di cibersicurezza per il decennio digitale (JOIN(2021) 14 final), corredata dal relativo allegato (JOIN(2021) 14 final – Annex), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e IX (Trasporti).

Atti di controllo e di indirizzo.

      Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: DELEGA AL GOVERNO PER L'EFFICIENZA DEL PROCESSO PENALE NONCHÉ IN MATERIA DI GIUSTIZIA RIPARATIVA E DISPOSIZIONI PER LA CELERE DEFINIZIONE DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI (A.C. 2435-A)

A.C. 2435-A – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge n.  2435 conferisce delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale e delle sue norme di attuazione, del codice penale e delle leggi speciali, dell'ordinamento giudiziario per quanto riguarda in particolare i progetti organizzativi delle procure, nonché per riformare il regime sanzionatorio dei reati e per introdurre una disciplina organica della giustizia riparativa;
              le disposizioni del disegno di legge, così come modificato dalla Commissione giustizia, sono riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza di accelerare il processo penale, e che l'articolo 3, detta principi e criteri direttivi volti a riformare alcuni profili della disciplina in materia di indagini preliminari e udienza preliminare;
              rilevato che sono sempre più numerosi reclami e segnalazioni anche all'Autorità Garante della Privacy di numerose persone sottoposte ad indagini che lamentano una violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali a proposito della pubblicazione, anche on line, di articoli contenenti informazioni sensibili; ritenuto utile a tal fine prevedere:
              che il procuratore capo tenga, in via esclusiva, ovvero tramite un suo espresso delegato, i rapporti con gli organi di informazione, stabilendosi che tutte le informazioni sull'attività degli uffici di procura vengano riferite impersonalmente allo stesso ufficio;
              il divieto per i magistrati della Procura della Repubblica di rilasciar dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l'attività giudiziaria dell'ufficio, disciplinate le forme di diffusione mediatica di informazioni che compromettano la credibilità personale, il prestigio e la reputazione dell'indagato o imputato ovvero che lo presentino come colpevole, fino a quando la sua colpevolezza non sia stabilita con sentenza definitiva;
              siano vietate la pubblicazione e la diffusione a mezzo della stampa dei nomi e dell'immagine dei magistrati, inquirenti e giudicanti, relativamente ai procedimenti penali loro affidati, fino alla prima udienza dibattimentale, ove prevista;
              siano vietate la pubblicazione su qualsiasi organo di stampa, la diffusione via etere, la divulgazione sulla rete internet e sui social media, delle generalità, delle immagini o del soprannome e, comunque, di ogni elemento in grado di identificare la persona iscritta nel registro di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 335, anche nelle ipotesi non più coperte del segreto istruttorio di cui all'articolo 329, comma 1, se non previa autorizzazione scritta del diretto interessato,

impegna il Governo

ad individuare specifici interventi normativi volti a regolamentare i rapporti tra magistratura inquirente e la stampa nei termini di cui in parte motiva ed a garantire piena tutela alla reputazione della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato.
9/2435-A/1. Bartolozzi.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge «delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» interviene sulla materia della giustizia riparativa;
              con un emendamento governativo sono stati fissati i principi e i criteri direttivi per l'esercizio della delega al fine di introdurre una disciplina organica della giustizia riparativa;
              l'emendamento governativo ha individuato i principali aspetti caratterizzanti della giustizia riparativa, a partire dalla centralità data alla vittima di reato;
          considerato che l'accesso ai programmi di giustizia riparativa è consentito in ogni stato e grado del procedimento e durante l'esecuzione della pena, senza alcuna preclusione in relazione alle fattispecie di reato o alla sua gravità;
          considerato che l'esito favorevole dei programmi di giustizia può essere valutato sia nel procedimento penale sia in sede esecutiva;
              nell'impianto della riforma, la giustizia riparativa riveste un ruolo fondamentale, perché fornisce, se voluto dalle parti, uno spazio protetto di incontro tra vittima e autore del fatto penalmente rilevante;
              l'articolo 24 della Costituzione sancisce il diritto inviolabile della difesa in ogni stato e grado del procedimento e garantisce a tutti i mezzi per accedere alla giustizia,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, in sede di redazione dei decreti legislativi di attuazione della delega, di indicare esplicitamente che l'accesso e lo svolgimento dei programmi di giustizia riparativa devono essere gratuiti per tutte le parti e che le stesse abbiano il diritto di richiedere l'assistenza di un difensore.
9/2435-A/2. Dori.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame reca la «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello»;
              in particolare il disegno di legge di riforma penale, con l'articolo 2, commi 2-6 introduce nel codice di procedura penale, con previsione immediatamente prescrittiva, l'istituto dell'improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione;
              per effetto di tale riforma si prevedono termini di durata massima dei giudizi di impugnazione individuati rispettivamente in 2 anni per l'appello e un anno per il giudizio di cassazione, con la conseguenza che la mancata definizione del giudizio entro tali termini comporta la declaratoria di improcedibilità dell'azione penale;
              tuttavia, la disposizione in esame per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, di associazione mafiosa e di scambio elettorale politico-mafioso, di violenza sessuale aggravata e di traffico di stupefacenti, prevede che il termine dei 2 anni in appello e di un anno in Cassazione possa essere prorogato, per ragioni inerenti la complessità del giudizio, con successive proroghe, senza limiti di tempo;
              per i delitti aggravati dal metodo mafioso e dall'agevolazione mafiosa, ai sensi dell'articolo 416-bis.1, si prevede che possano essere concesse proroghe fino ad un massimo di 3 anni per l'appello e un anno e 6 mesi per il giudizio di legittimità; in tali casi la durata massima del giudizio in appello è di 5 anni e quella del giudizio in Cassazione è di 2 anni e 6 mesi;
              la volontà di prevedere la proroga del termine di cui al primo punto «solo per ragioni inerenti la complessità del giudizio» inficia alcuni dei principi cardine del processo penale: certezza del diritto ed effettività della pena e non avrà l'effetto di ridurre i tempi della giustizia, ma quello di penalizzare oltremodo il cittadino sul piano della sicurezza, con pesanti ricadute in termini di credibilità del sistema giustizia e con conseguente pregiudizio del diritto dei cittadini di essere giudicati in modo corretto. In particolare l'istituto dell'improcedibilità può comportare la mancata soddisfazione della vittima del reato o dei suoi familiari ledendo un principio fondamentale del processo penale secondo il quale il processo deve accertare la verità e punire il condannato. Infatti la giustizia deve essere amministrata in nome del popolo e lo Stato deve garantire, anche sulla base del principio di effettività della pena, che il condannato sconti la medesima pena e garantire, al contempo, giustizia nei confronti delle vittime dei reati,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui in premessa al fine di adottare ogni iniziativa normativa necessaria affinché per tutti i reati indicati nella disposizione esame venga prevista la proroga del termine del giudizio di impugnazione, senza limiti tempo, indipendentemente dalla complessità del giudizio.
9/2435-A/3. Termini, Sarli, Siragusa.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge n.  2435, depositato alla Camera dei deputati il 13 marzo 2020, recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello», nasce con la finalità di abbattere i tempi del processo penale, assicurando efficienza ed efficacia della risposta giudiziaria nel pieno rispetto delle garanzie difensive;
              le modifiche apportate dal governo in fase emendativa hanno stravolto la formulazione originaria, tra queste, i commi da 2 a 5 dell'articolo inserito dall'emendamento 14.0500 del Governo, che modifica al codice di procedura penale la disciplina relativa alle condizioni di procedibilità, mediante il nuovo articolo 344-bis (Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione);
              l'improcedibilità introduce un termine fisso per i processi decorso inutilmente il quale si giungerà alla declaratoria di improcedibilità dell'azione penale: due anni dalla mancata definizione del ricorso in appello e uno dal ricorso per cassazione, oltre i quali il processo non sarà più procedibile e dunque si estinguerà;
              i termini sono prorogabili rispettivamente di un anno, in appello, e sei mesi, per il ricorso per cassazione, per i reati gravi o processi particolarmente complessi, sempre che ricorrano i motivi tali da giustificare la richiesta di proroga;
              tali limiti, soprattutto per la fase di appello, risultano largamente inferiori a quelli medi registrati negli ultimi anni e che oscillano dai quattro ai cinque anni per cui, la previsione di un termine di durata pari a due anni (uno nel giudizio di Cassazione), prorogabile solo in casi determinati e per tempo breve, finirebbe per non essere allineata neppure con il dato reale;
              drammatiche potrebbero essere le ricadute pratiche della riforma su prescrizione e improcedibilità delineata in ragione della rilevante situazione di criticità di molte delle Corti d'appello italiane dove si registra la presenza di procedimenti legati a reati molto gravi come la mafia ed il terrorismo, nonché altri reati di particolare allarme sociale (truffa, frodi, estorsione, ecc.) che rischiano di vedere arrestato il loro percorso in Appello;
              il famoso processo sulla trattativa stato-mafia, per citarne uno, con le regole del Ministro Cartabia non sarebbe andato avanti (Capo di imputazione era minaccia a corpo politico dello stato articolo 338 codice penale) oppure il processo per la morte di 29 persone all'hotel di Rigopiano in seguito ad una valanga – dove le ipotesi di reato andavano dal disastro colposo all'omicidio e lesioni colpose, all'abuso di ufficio e falso ideologico – si sarebbe estinto;
              la preclusione suddetta, infatti, non scatta esclusivamente quando il reato è punito con la pena dell'ergastolo e che molte condotte aggravate dall'utilizzo del metodo mafioso articolo 416-bis.1 codice penale, non applicando la pena del carcere a vita, rischiano di estinguersi prima della conclusione del secondo grado di giudizio o di non rispondere al criterio della particolare complessiva dell'impugnazione necessario per ottenere la proroga dei termini processuali così come disposto dal cd. regime speciale,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a modificare il disposto di cui al nuovo articolo 344-bis codice procedure penale eliminando il riferimento alla particolare complessità del giudizio di imputazione quale criterio di selezione per disporre della ulteriore proroga dei termini processuali introdotta dal cd. regime speciale.
9/2435-A/4. Sodano, Raduzzi.


      La Camera,
          premesso che:
              la riforma in esame reca delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              il decreto legislativo 7 settembre 2012, n.  155 ha previsto, a partire dall'anno successivo, la soppressione di tutti i «Tribunali minori», per tali intendendosi i Tribunali e le sedi distaccate non aventi sede nei comuni capoluoghi di provincia (con alcune eccezioni dettate da varie esigenze);
              mentre si sta procedendo in modo razionale e spedito verso una riforma complessiva della giustizia – negli ambiti penale e civile e non solo – ciò che nel contesto del Next Generation europeo viene richiesto non è certo una «desertificazione» giudiziaria dei territori ma, appunto, un apparato più efficiente e vicino ai bisogni della popolazione;
              già nell'ottobre del 2019, il dottor Antonio Laronga, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Foggia, aveva espresso forti perplessità e al contempo delineato le criticità causate dalla riforma delle circoscrizioni giudiziarie, con particolare riguardo al territorio del foggiano;
              si tratta, infatti, di un circondario che si estende per circa 7.400 chilometri quadrati – di molto maggiore rispetto ad altri territori i quali, però, vantano la presenza di un numero superiore di tribunali – con un bacino di utenza di circa 700 mila abitanti divisi in 64 comuni;
              la riforma ha cancellato dall'attuale territorio del circondario di Foggia ben sette sedi di uffici giudiziari, con conseguenze nefaste sui procedimenti pendenti davanti al Tribunale di Foggia in composizione monocratica, i quali hanno visto un incremento dell'80 per cento; con l'accentramento dell'intero carico dei dibattimenti penali monocratici presso il Tribunale di Foggia, non si dispone nemmeno più di un numero sufficiente di organico o di aule di udienza, con un incremento delle pendenze, l'inefficienza del sistema giustizia e la crescente disaffezione dei cittadini;
              la conformazione geografica del circondario, unita all'inadeguatezza dei sistemi di trasporto pubblico, rendono dunque estremamente difficile e oneroso godere del diritto all'accesso alla giustizia soprattutto per i residenti nei comuni più distanti da Foggia; tutto ciò senza contare la difficile situazione socio-economica della popolazione e la presenza di una criminalità composita e violenta, nonché l'illegalità diffusa dalle numerose organizzazioni criminali operanti nella zona, peraltro già approfonditamente evidenziate dal Consiglio Superiore della Magistratura con la «Risoluzione in materia di analisi del fenomeno mafioso e criticità per l'amministrazione della giustizia negli uffici giudiziari operanti nella provincia di Foggia nel settore della criminalità organizzata» adottata con delibera della sesta Commissione in data 18 ottobre 2017;
              il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha stanziato oltre 2,3 miliardi di euro per l'innovazione organizzativa del sistema giudiziario,

impegna il Governo

ad assumere ogni utile iniziativa, anche di carattere normativo, volta a contrastare le inefficienze e i problemi organizzativi derivanti dalla riforma della geografia giudiziaria del 2012 e a ripristinare – anche attraverso le risorse previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – alcune sedi periferiche, in particolare nel circondario di Foggia.
9/2435-A/5. Angiola.


      La Camera,
          premesso che:
              nei giorni scorsi Legambiente, WWF, Greenpeace, Libera e Gruppo Abele hanno chiesto al Governo, tramite un appello pubblico, che ai delitti ambientali venga riconosciuta quella gravità e complessità dei fatti da accertare tale da garantire il regime speciale previsto per i reati di terrorismo, mafia, violenza sessuale aggravata e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti;
              è sempre sgradevole fare una «classifica» della maggiore o minore pericolosità di un delitto, soprattutto quando sono in gioco le sensibilità delle vittime. Ma davvero non si comprende secondo quale valutazione di merito si ritengano meritevoli di maggiori tutele i processi istruiti per chi è accusato di traffico di stupefacenti rispetto a quelli che vedono alla sbarra persone e società a cui vengano contestati, ad esempio, i delitti di disastro ambientale e di inquinamento ambientale;
              i fatti che regalano le cronache quotidiane, e i numeri del lavoro svolto dal 2015 ad oggi da forze dell'ordine e magistrature, sarebbe sufficiente a riconoscere ai delitti ambientali quella gravità e complessità che si meritano. Solo nel 2020, secondo i dati del monitoraggio svolto dal ministero della Giustizia, sono stati 883 i procedimenti penali avviati per delitti contro l'ambiente, con 2.314 persone denunciate e 824 ordinanze di custodia cautelare eseguite. Dal 2015 le inchieste sviluppate dalle procure sono state ben 4.636, le persone denunciate 12.733, quelle raggiunte da ordinanze di custodia 3.989. Solo per il delitto di disastro ambientale, i procedimenti che hanno visto impegnati in indagini complesse, anche dal punto di vista scientifico, magistrati, tecnici e ricercatori, ufficiali di polizia giudiziaria e personale delle forze dell'ordine sono stati 249;
              ora che fine faranno tutte queste inchieste e le aspettative di chi chiede verità e giustizia ? Quale sarà il destino di processi come quello per lo sversamento in mare di milioni di dischetti di plastica dopo il «collasso» del depuratore di Capaccio Paestum ? E quali speranze ha di concludersi nei tempi previsti quello frutto delle indagini per disastro ambientale sulle devastazioni causate alle scogliere e alla parte sommersa dei Faraglioni di Capri dalla pesca illegale dei datteri di mare ? E perché chi quei delitti li ha denunciati, come hanno fatto i circoli di Legambiente che hanno raccolto centinaia di migliaia di dischetti finiti lungo le spiagge, deve attendere l'esito dei processi con l'ansia della scadenza dei termini previsti dal nuovo «cronometro giudiziario» ? C’è una qualsiasi ragione di merito comprensibile oppure è solo il frutto del «gioco delle bandierine» in cui le ragioni della tutela dell'ambiente sono state sacrificate, ancora una volta, ad altre «priorità» ?;
              inoltre, le parti civili, in caso di dichiarazione di improcedibilità del processo penale, saranno costrette ad intraprendere un giudizio civile per ottenere il ristoro dei danni subiti: ciò con ulteriore dispendio di tempo e denaro;
              si evidenzia che, con l'approvazione della legge n.  68 del 2015 e successive modifiche, sono stati introdotti nel nostro Codice penale i delitti contro l'ambiente, dall'inquinamento al disastro ambientale fino alle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. Si tratta di delitti di particolare gravità, come denunciato ogni anno da Legambiente con la pubblicazione del Rapporto Ecomafia, per i danni diretti e gravi che causano all'ambiente, i rischi che comportano per la salute dei cittadini e le conseguenze economiche che determinano. L'accertamento dei fatti, sulla base di quanto previsto nel Codice penale, da parte delle forze dell'ordine e dell'autorità giudiziaria richiede quasi sempre indagini complesse, anche dal punto di vista tecnico-scientifico;
              i processi, le sentenze, gli appelli ed i ricorsi riguardanti queste tipologie di reato seguono molto spesso un iter laborioso e dettagliato, con la presenza di numerosi imputati e con la necessità di affrontare una pluralità di temi sia giuridici che tecnici. Ne consegue che anche il tempo per poter esaurire appello e cassazione è superiore al tempo dei normali procedimenti, valendo quindi lo stesso ragionamento fatto per i reati già indicati nell'emendamento proposto dal Governo con l'articolo 14-bis, e la stessa esigenza di prolungamento dei tempi di prescrizione per non vanificare la concreta applicazione delle norme in questione;
              si ricorda, infine, il clima politico quando, il 19 maggio del 2015, si diede il via libera alla legge 68 che introduceva, dopo 21 anni di denunce dell'ecomafia, i delitti contro l'ambiente nel nostro Codice penale,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte a introdurre urgentemente nel Codice Penale una norma che riconosca anche ai delitti ambientali la gravità e la complessità dei fatti da accertare, e quindi lo stesso regime speciale che viene applicato ai reati di terrorismo, mafia, violenza sessuale aggravata e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.
9/2435-A/6. Muroni, Cecconi, Fioramonti, Fusacchia, Lombardo, Colletti, Corda, Leda Volpi, Siragusa, Sodano, Forciniti, Suriano, Paxia, Termini, Sapia, Sarli, Fratoianni, Romaniello, Fassina, Sgarbi, Ehm, Vianello.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame prevede una Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;
              uno degli obiettivi prioritari della riforma è quello di ridurre la durata dei procedimenti penali, anche ai fini dell'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR);
              al riguardo, l'impegno assunto dal Governo con la Commissione europea è di ridurre nei prossimi cinque anni del 25 per cento i tempi del processo penale, nei tre gradi di giudizio. In Italia, infatti il giudizio penale di primo grado ha una durata media tre volte superiore a quella europea, mentre quello di appello, addirittura, è di otto volte superiore;
              riformare la giustizia, riducendone i tempi, è imposto dalla Costituzione all'articolo 111 che stabilisce che la legge deve assicurare la ragionevole durata del processo. Analogo principio è espresso all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
              la riforma in esame, in particolare, sulla durata dei tempi della giustizia, ha introdotto l'improcedibilità processuale per i successivi gradi di giudizio, anche per riparare alle gravi conseguenze della riforma dell'ex Ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, che ha previsto il blocco della prescrizione in primo grado – sia in caso di assoluzione che di condanna – in palese violazione del principio di legalità e ragionevole durata del processo. Violazioni che si desumono anche dalla recente sentenza della Corte costituzionale, n.  140/2021, che si è espressa proprio in materia di sospensione del decorso della prescrizione, censurando la previsione normativa che determina un allungamento del termine entro il quale il reato si estingue;
              tuttavia, per garantire la ragionevole durata dei processi, non è sufficiente intervenire sulle regole e gli istituti del processo, resta essenziale riparare alle perenni inefficienze strutturali che affliggono l'amministrazione della giustizia penale e che determinano gravi ritardi e rallentamenti, soprattutto, da una fase all'altra dei procedimenti giudiziari. Problematiche che richiedono una riorganizzazione del lavoro degli uffici, un aumento del personale, nonché il completamento del processo di digitalizzazione;
              il provvedimento in esame prevede misure per monitorare il raggiungimento degli obiettivi di accelerazione e semplificazione del procedimento penale, con l'istituzione di un Comitato tecnico-scientifico;
              si ritiene che il monitoraggio sull'andamento dei tempi della giustizia penale debba prevedere, altresì, un incisivo controllo dell'attività degli uffici giudiziari volto ad adottare urgenti e conseguenti iniziative qualora si riscontrino inefficienze,

impegna il Governo

ad assumere ogni utile iniziativa strutturale volta a rendere adeguatamente efficiente l'amministrazione della giustizia, ad ogni livello, e a monitorare le relative attività per intervenire, tempestivamente, con provvedimenti che pongano rimedio a forme di improduttività e/o disfunzioni nei comparti della stessa, che sono causa di stalli o ingiustificati rallentamenti dei procedimenti penali.
9/2435-A/7. Rizzetto, Lucaselli, Butti, Albano, Frassinetti, Delmastro Delle Vedove, Ciaburro, Ferro.


      La Camera,
          premesso che:
              la Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello prevede, con l'articolo 2, commi 2-6, d'introdurre nel codice di procedura penale l'istituto dell'improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione;
              tuttavia i termini di durata dei giudizi di impugnazione, che sono sospesi negli stessi casi in cui è prevista la sospensione della prescrizione, possono essere prorogati dal giudice che procede con ordinanza motivata. In particolare:
              per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, di associazione mafiosa e di scambio elettorale politico-mafioso, di violenza sessuale aggravata e di traffico di stupefacenti, il termine dei 2 anni in appello e di un anno in Cassazione può essere prorogato per ragioni inerenti la particolare complessità del giudizio, con successive proroghe;
              la storia del nostro paese è segnata da disastri ambientali, per i quali è stato previsto nel 2015, con l'introduzione nel codice penale, il reato di disastro ambientale, con l'articolo 452-quater;
              con la norma che sanziona il disastro ambientale, si sono svolti in Italia, in questi anni, importanti processi giudiziari, che hanno condannato i soggetti che hanno danneggiato, la salute, l'ambiente e il territorio del nostro paese,

impegna il Governo

a valutare d'intraprendere tutte le iniziative affinché per il reato di disastro ambientale venga prevista la proroga del termine del giudizio di impugnazione senza limiti di tempo.
9/2435-A/8. Sarli, Muroni, Lombardo, Fratoianni.


      La Camera,
          premesso che:
              il testo in esame reca deleghe al Governo per il riordino del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              tale testo costituisce il nerbo della riforma della giustizia penale come preconizzata dal Governo Conte, denominata come «Riforma Bonafede»;
              la formazione del Governo Draghi, ed i cambiamenti di equilibri interni alla maggioranza di Governo hanno portato ad un sostanziale riassetto del testo in esame con la cosiddetta «Riforma Cartabia», la quale ha assunto la guisa di una serie di emendamenti di origine governativa nei confronti del testo in esame medesimo;
              la riforma della giustizia fa parte di quelle riforme strutturali richieste, necessarie ed essenziali per l'erogazione delle risorse di cui al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR);
              in particolar modo è stato evidenziato come, tra le maggiori criticità italiane, vi sia una lunghezza dei tempi processuali particolarmente lunga rispetto alla media europea;
              l'Italia è tra i Paesi dell'Unione Europea con il più alto tasso di detenuti in custodia cautelare;
              nel solo 2020, come emerso da dati del Ministero dell'Economia e delle Finanze, sono stati spesi 46 milioni di euro come risarcimenti per ingiuste detenzioni ed errori giudiziari;
              dal 1991 al 31 dicembre 20201 casi totali, di errori giudiziari, sia di custodia cautelare in carcere che di arresti domiciliari a cui sono seguite assoluzioni sono stati 29659, in media, poco più di 988 l'anno;
              questo fenomeno ha comportato una spesa complessiva tra indennizzi e risarcimenti, pari a 869.754.850 euro e spiccioli, per una media appena superiore ai 28 milioni e 990 mila euro l'anno;
              in tal senso le misure disciplinari nei confronti dei magistrati sono marginali ed inefficaci, a fronte di questa grave tendenza sin qui delineata,

impegna il Governo:

          a prevedere attraverso ulteriori iniziative normative delle conseguenze sanzionatorie sul piano disciplinare rispetto al procedimento e ai tempi dell'azione nei confronti del pubblico ministero nel caso di:
              mancato rispetto delle tempistiche edittali relative allo svolgimento delle indagini preliminari;
              mancata notifica della conclusione delle indagini preliminari, e dell'avviso del deposito della documentazione relativa alle indagini espletate presso la segreteria del pubblico ministero e della facoltà della persona sottoposta alle indagini e del suo difensore nonché della persona offesa dal reato di prenderne visione ed estrarne copia;
              omesso deposito della richiesta di archiviazione o il mancato esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della richiesta del difensore della persona sottoposta alle indagini o della parte offesa.
9/2435-A/9. Caretta, Ciaburro, Rachele Silvestri, Caiata.


      La Camera,
          premesso che:
              il testo in esame reca deleghe al Governo per il riordino del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              tale testo costituisce il nerbo della riforma della giustizia penale come preconizzata dal Governo Conte, denominata come «Riforma Bonafede»;
              il testo in esame ha subito radicali rielaborazioni e ridefinizioni a seguito della nascita del Governo Draghi e della redazione della cosiddetta «Riforma Cartabia», manifestatasi come una serie di proposte emendative al testo in esame;
              la riforma della giustizia è parte delle condizioni essenziali e vincolate all'erogazione delle risorse di cui al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR);
              il reato della violazione di domicilio, nelle sue estreme conseguenze, comporta l'occupazione coattiva degli immobili di proprietà dei cittadini italiani;
              la misura del cosiddetto Blocco degli sfratti disposta dal Governo in conseguenza all'emergenza pandemica da Covid-19 ha finito col favorire coloro i quali, violando la legge vigente, hanno occupato abitazioni di proprietà;
              in seconda battuta la violazione di domicilio costituisce anche il primo tassello dietro furti ed altri delitti che vanno a conculcare la sfera giuridica privata dei cittadini, spesso con conseguenze terribili ai loro danni;
              al netto degli elementi sin qui delineati, tale fattispecie configura una grave violazione dello Stato di diritto e dei principi costituzionali,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere una modifica del codice di procedura penale tale da richiedere d'ufficio, e non in termini di facoltà, l'arresto di chiunque sia colto in flagranza di commettere il delitto di violazione di domicilio, prevedendo altresì la facoltà di eseguire tale arresto a qualsiasi persona, ai sensi dell'articolo 383 del codice di procedura penale.
9/2435-A/10. Ciaburro, Caretta.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame prevede disposizioni finalizzate a rendere il processo penale più veloce ed efficiente, assicurando l'efficacia della risposta giudiziaria nel rispetto delle garanzie difensive;
              in particolare, reca una delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale, nonché per la revisione del regime sanzionatorio delle contravvenzioni;
              tale riforma, tanto attesa, sarebbe finalizzata a snellire e decongestionare il carico giudiziario; tuttavia occorre rilevare che l'idea di un processo celere non può e non deve essere realizzato attraverso politiche deflattive che sviliscono la funzione della sanzione penale, la certezza della pena, mortificando altresì la tutela delle vittime dei reati;
              invero, in sede di esame in II Commissione Giustizia, il provvedimento originario è stato emendato dal Governo con l'introduzione di disposizioni volte, tra l'altro, ad ampliare le possibilità di ricorrere a quei benefici che, di fatto, escludono l'applicazione della pena detentiva ovvero la sua esecuzione;
              in particolare viene ampliato il novero di reati per il quali è possibile escludere la punibilità per particolare tenuità del fatto, delegando il governo a prevedere come limite per l'applicabilità della non punibilità per tenuità del fatto, la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, in luogo della pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni;
              si delega il Governo ad estendere l'ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato ai reati puniti con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, mentre, in base alla normativa vigente, l'istituto de quo si applica per i reati ritenuti di minor allarme sociale e puniti con la reclusione fino a quattro anni;
              inoltre, si prevede che «il giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna o la sentenza di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, quando ritenga di dovere determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, possa sostituire tale pena con quelle della semilibertà o della detenzione domiciliare; quando ritenga di doverla determinare entro il limite di tre anni, possa sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità (...)»;
              tali misure predisposte certamente anche al fine di ovviare al grave problema del sovraffollamento carcerario che, come noto, ha comportato nel 2013 una condanna per l'Italia emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, nell'ambito della sentenza «Torreggiani», per violazione dell'articolo 3 Cedu, di fatto determinano un progressivo arretramento dell'applicazione della sanzione detentiva assicurando non la punizione del reo bensì la sua libertà a discapito della sicurezza e della legalità;
              contrariamente alle politiche sino ad oggi adottate, l'aumento della criminalità richiederebbe la necessità di valorizzare l'efficacia deterrente della sanzione penale; infatti, l'effetto di ammonimento prodotto dalla minaccia della pena viene meno se alla minaccia della sanzione non segue la sua effettiva applicazione;
              una rivisitazione in generale degli strumenti sanzionatori e dell'esecuzione della pena non può essere condizionata da carenze organizzative o dal problema del sovraffollamento carcerario, ma deve necessariamente passare per il potenziamento delle risorse economiche e umane affinché venga garantita la certezza della pena e l'esecuzione penale anche inframuraria, assicurando agli operatori penitenziari ed ai detenuti spazi adeguati per superare realmente il problema del sovraffollamento carcerario;
              inoltre, al fine di tutelare tutte le parti coinvolte dalla commissione di un reato, occorre non svilire e mortificare la figura e i diritti della persona offesa, in quanto quest'ultima non è solo titolare del bene giuridico leso, ma è anche parte del conflitto sociale sotteso al reato che la sanzione penale – attraverso un percorso rieducativo del reo – deve necessariamente sanare;
              conseguentemente l'eventuale accesso ai maggiori benefici per il reo derivante dall'ampliamento delle possibilità di ricorso a misure alternative alla pena detentiva deve essere necessariamente condizionato a condotte ripristinatorie, risarcitorie ed ad ogni modo di sincera ed attiva resipiscenza del reo, al fine di vedere sanati anche e soprattutto i diritti lesi della persona offesa,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di:
              prevedere che l'accesso alle misure alternative alla detenzione e sostitutive della pena detentiva sia condizionato a condotte risarcitorie e/o ripristinatorie e più in generale a condotte di resipiscenza attiva del reo, quali anche quelle collaborative e di elisione delle conseguenze dannose e/o pericolose derivanti dalla condotta illecita;
              prevedere che l'autorità giudiziaria procedente prima di valutare la condotta del reo ai fini della concessione di una misura alternativa ovvero sostitutiva della pena detentiva acquisisca, in ogni caso, il parere favorevole della persona offesa.
9/2435-A/11. Cirielli.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge all'esame reca delega al Governo per l'efficienza del processo penale e in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;
              il provvedimento consta di quattro Capi: il primo in cui sono presenti deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale e per la revisione del regime sanzionatorie delle contravvenzioni; il secondo Capo, con l'articolo 14 e i successivi emendamenti governativi va a modificare su vari punti l'articolo 159 del codice penale, relativo alla sospensione del termine di prescrizione; il Capo III Dispone misure concernenti l'arretrato penale presso le Corti d'appello e la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti, il Capo IV reca le disposizioni finanziarie inerenti tutta la riforma;
              il sistema giudiziario italiano affetto da criticità strutturali non potrà sostenere il peso delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata e a prevedere, come pene sostitutive, la semilibertà e la detenzione domiciliare in sostituzione della pena detentiva entro il limite di 4 anni, rischiando di scaricare sulla società civile e sulle Forze dell'Ordine tutto l'onere dell'esecuzione della sanzione penale;
              il provvedimento prevede l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto e di sospensione del procedimento connessa alla prova dell'imputato, senza tenere conto del complesso e socialmente rischioso continuo legame dei rei con i loro ambienti di delinquenza mediante la reclusione domiciliare;
              sottovalutare il pericolo che le periferie ad alta densità criminale si trasformino in polveriere per mancanza di agenti impegnati nel controllo esponenziale della detenzione domiciliare, non garantisce lo stato di diritto,

impegna il Governo

a reperire le risorse, il personale e i mezzi, proporzionalmente e adeguatamente necessari al controllo di tutti i detenuti in condizione di detenzione domiciliare che scaturiranno dalla legislazione di revisione del regime sanzionatorio.
9/2435-A/12. Silvestroni.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge all'esame reca delega al Governo per l'efficienza del processo penale e in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;
              se si valutano i dati elaborati dalla Direzione centrale per i servizi antidroga del Dipartimento della Pubblica sicurezza, almeno con riferimento agli ultimi cinque anni, si ricava che la stragrande maggioranza dei delitti denunciati dalle forze di polizia all'autorità giudiziaria riguardano la produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, reati di cui all'articolo 73 del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.  309;
              nel contesto criminale del narcotraffico, si ha che su 31.335 persone denunciate all'autorità giudiziaria nel 2020 per delitti collegati agli stupefacenti (di cui 13.586 per cannabis, 2.829 per eroina, 12.973 per cocaina, 333 per droghe sintetiche), il numero più rilevante (28.889) è rappresentato dai reati di traffico e spaccio, di cui al citato articolo 73, e solo 2.441 per il reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, di cui all'articolo 74 del medesimo testo unico;
              un intervento normativo volto a salvare dalla prescrizione, giusto il provvedimento in esame, i processi riferiti al solo articolo 74 del predetto testo unico sugli stupefacenti, che lasci invece aperto il rischio concreto della improcedibilità (scatta dopo 4 anni e dopo 6 per quelli con aggravante mafiosa) apparirebbe contraddittorio e del tutto incurante dei dati sopra citati,

impegna il Governo

a valutare la prospettiva di cui sopra, al fine di scongiurare attraverso ulteriori iniziative normative ogni possibile differenziazione processuale in termini di improcedibilità per i processi riguardanti gli articoli 73 e 74 del Testo Unico sugli stupefacenti.
9/2435-A/13. Foti, Bellucci, Ferro, Galantino.


      La Camera,
          premesso che:
              le disposizioni del disegno di legge in esame recano un sistema di misure finalizzate, preminentemente, alla soddisfazione dell'esigenza di velocizzare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione, nonché misure rivolte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato;
              l'obiettivo di ottenere un abbattimento significativo dei tempi del processo penale va certamente perseguito puntando, e potenziando, al massimo, sulle forme di « diversion», idonee a ridurre la domanda di giustizia: proprio in quest'ottica che il provvedimento in esame, con il comma 22 dell'articolo 1, prevede che i decreti legislativi recanti modifiche al codice penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, siano adottati nel rispetto di princìpi e criteri direttivi che prevedano di estendere l'ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, oltre ai casi previsti dall'articolo 550, comma 2, del codice di procedura penale, a ulteriori specifici reati, puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell'autore, compatibili con l'istituto e che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato possa essere proposta anche dal pubblico ministero,

impegna il Governo

a provvedere, nell'ambito delle sue proprie prerogative, a ridefinire i contenuti del programma di trattamento di messa alla prova, prevedendo specifiche prestazioni risocializzanti e comunque idonee a eliminare l'interesse pubblico alla celebrazione del processo, nonché a prevedere che, per i reati puniti con una pena detentiva non superiore nel massimo a due anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, il programma di trattamento di messa alla prova possa non essere subordinato alla prestazione obbligatoria di lavoro di pubblica utilità, anche ridefinendo la disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari e prevedendo che il giudice per le indagini preliminari, in caso di esito positivo della prova, pronunci archiviazione per estinzione del reato.
9/2435-A/14. Bazoli, Verini, Morani, Bordo, Miceli, Zan.


      La Camera,
          premesso che:
              le disposizioni del disegno di legge in esame recano un sistema di misure finalizzate, preminentemente, alla soddisfazione dell'esigenza di velocizzare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione, nonché misure rivolte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato;
              l'obiettivo di ottenere un abbattimento significativo dei tempi del processo penale va certamente perseguito puntando, e potenziando, al massimo, sulle forme di « diversion», idonee a ridurre la domanda di giustizia: proprio in quest'ottica che il provvedimento in esame, con il comma 22 dell'articolo 1, prevede che i decreti legislativi recanti modifiche al codice penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, siano adottati nel rispetto di princìpi e criteri direttivi che prevedano di estendere l'ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, oltre ai casi previsti dall'articolo 550, comma 2, del codice di procedura penale, a ulteriori specifici reati, puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell'autore, compatibili con l'istituto e che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato possa essere proposta anche dal pubblico ministero,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nell'ambito delle sue proprie prerogative, di ridefinire i contenuti del programma di trattamento di messa alla prova, prevedendo specifiche prestazioni risocializzanti e comunque idonee a eliminare l'interesse pubblico alla celebrazione del processo, nonché a prevedere che, per i reati puniti con una pena detentiva non superiore nel massimo a due anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, il programma di trattamento di messa alla prova possa non essere subordinato alla prestazione obbligatoria di lavoro di pubblica utilità, anche ridefinendo la disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari e prevedendo che il giudice per le indagini preliminari, in caso di esito positivo della prova, pronunci archiviazione per estinzione del reato.
9/2435-A/14.    (Testo modificato nel corso della seduta) Bazoli, Verini, Morani, Bordo, Miceli, Zan.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame reca delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              in particolare all'articolo 1, comma 1, il Governo è delegato ad adottare, nel termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la modifica del codice di procedura penale e per l'introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa;
              la giustizia riparativa è un approccio consistente nel considerare il reato principalmente in termini di danno alle persone. Da ciò consegue l'obbligo, per l'autore del reato, di rimediare alle conseguenze lesive della sua condotta; nessuna indicazione è prevista in maniera più dettagliata sull'argomento e non è possibile, quindi, comprendere quali previsioni si prospettano per le persone offese,

impegna il Governo

a prevedere, nell'ambito dell'introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa, consistenti ed efficaci forme di ristoro per le vittime di reato.
9/2435-A/15. Gemmato, Varchi, Maschio, Vinci, Delmastro Delle Vedove, Zucconi, Galantino, Rachele Silvestri.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca norme riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza di accelerare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione. Misure sono rivolte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato. Una innovativa disciplina concerne la ragionevole durata del giudizio di impugnazione;
              il provvedimento promuove la digitalizzazione del processo penale e, più in generale, l'impiego delle nuove tecnologie con finalità di velocizzazione e risparmio, anche muovendo dall'esperienza fatta nel corso della pandemia con il processo da remoto. A tal fine, l'articolo 1 reca principi e criteri direttivi cui devono ispirarsi i decreti attuativi della delega in tema di processo penale telematico, affermando in generale il principio della obbligatorietà dell'utilizzo di modalità digitali tanto per il deposito di atti e documenti quanto per le comunicazioni e notificazioni. Pur nella previsione di una gradualità nell'implementazione del processo penale telematico, da garantire attraverso una disciplina transitoria, il legislatore delegato dovrà prevedere l'impiego di modalità non telematiche solo in via di eccezione. L'articolo 1, comma 8, detta principi e criteri direttivi per modificare il codice di rito al fine di prevedere la registrazione audiovisiva o l'audioregistrazione per documentare l'interrogatorio o l'assunzione di informazioni, ovvero la testimonianza. Inoltre, la disposizione delega il Governo ad individuare i casi in cui, con il consenso delle parti, la partecipazione all'atto del procedimento o all'udienza può avvenire a distanza o da remoto. A supporto del processo di digitalizzazione, l'articolo 2, comma 18, demanda al Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri per l'innovazione tecnologica e per la pubblica amministrazione, l'approvazione di un piano triennale per la transizione digitale della amministrazione della giustizia. L'articolo 2, comma 20, consente inoltre al Ministro della giustizia di costituire e disciplinare un Comitato tecnico scientifico quale organismo di consulenza e supporto nelle decisioni connesse alla digitalizzazione del processo;
              all'interno della Missione n.  1 del PNRR (digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura), è Individuata la componente «Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA», che – per gli aspetti di interesse del sistema giudiziario – comprende due distinti investimenti;
              anzitutto, in relazione all'obiettivo della digitalizzazione della PA, sono destinati in particolare 140,5 milioni di euro per il potenziamento dei sistemi telematici di gestione delle attività processuali. L'obiettivo è potenziare le infrastrutture digitali con la revisione e diffusione dei sistemi telematici di gestione delle attività processuali e di trasmissione di atti e provvedimenti. In particolare, il PNRR prevede la digitalizzazione del cartaceo residuo per completare il fascicolo telematico (83 mln), progettualità di data-lake (software che funge di unico punto di accesso a tutti i dati grezzi prodotti dal sistema giudiziario, cui sono destinati 50 mln) per migliorare i processi operativi di giustizia ordinaria e Consiglio di Stato (7,5 mln). È prevista inoltre la creazione di una banca dati gratuita e accessibile di tutte le decisioni civili. L'investimento del Ministero della Giustizia avrà avvio a luglio 2021 e si concluderà nel giugno 2026; quello del Consiglio di Stato avrà avvio nel luglio 2021 e terminerà invece nel giugno 2025;
              già nel parere della commissione Giustizia sul PNRR veniva indicata la necessità della, «con riferimento agli interventi in materia di digitalizzazione, la realizzazione di una rete esclusivamente dedicata al sistema giustizia e dotata di elevati standard di sicurezza che preveda un'unica piattaforma di gestione dei processi telematici, che dovrebbero essere estesi a procedimenti attualmente non digitalizzati, quali il processo minorile e la giustizia di prossimità, garantendo al contempo la formazione delle risorse umane e incrementandole dotazioni informatiche, in modo da consentire l'accesso ai registri da remoto»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di privilegiare il coinvolgimento di operatori italiani nei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza sulla digitalizzazione della giustizia.
9/2435-A/16. Mollicone, Delmastro Delle Vedove, Varchi, Maschio, Vinci, Giovanni Russo.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge all'esame reca Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;
              il provvedimento prevede una serie di deleghe al Governo, che dovranno essere esercitate entro un anno dall'entrata in vigore della legge e contiene novelle al codice penale e al codice di procedura penale, immediatamente precettive;
              il testo contiene una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza del potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato;
              l'articolo 1, comma 7, detta principi e criteri direttivi per la riforma della disciplina del processo in assenza dell'imputato, al fine di adeguarla al diritto dell'Unione europea con particolare riferimento alla direttiva UE 2016/343, che tratta, oltre che della presunzione di innocenza, anche del diritto di presenziare al processo. In particolare, la riforma intende riaffermare il principio in base al quale si può procedere in assenza dell'imputato solo se si ha la certezza che la sua mancata partecipazione al processo è volontaria;
              la legge n.  67 del 2014 (artt. 9-15) ha previsto che, a fronte dell'assenza dell'imputato, il giudice debba rinviare l'udienza e disporre che l'avviso sia notificato all'imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria. Quando la notificazione non risulta possibile, e sempre che non debba essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere, il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo nei confronti dell'imputato assente;
              durante la sospensione del processo il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili;
              pertanto, tra i principi e criteri direttivi, cui il citato articolo 1 fa riferimento, vista l'esigenza di poter acquisire, in situazioni eccezionali, delle prove non rinviabili al dibattimento, che siano poi pienamente utilizzabili in giudizio, occorre prevedere l'eventuale ripetizione della prova,

impegna il Governo

a garantire il diritto di difesa e l'assistenza con difesa tecnica assicurando l'eventuale ripetizione della prova.
9/2435-A/17. Bucalo, Varchi, Maschio, Vinci, Delmastro Delle Vedove.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza di accelerare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione;
              la soppressione di tutti i «Tribunali minori», per tali intendendosi i Tribunali e le sedi distaccate non aventi sede nei comuni capoluoghi di provincia (con alcune eccezioni dettate da varie esigenze), è stata prevista dal decreto legislativo n.  155 del 7 settembre 2012; in base all'articolo 11, comma 2 del decreto, le norme che hanno previsto la riforma delle circoscrizioni giudiziarie sono entrate in vigore in data 12 settembre 2013, ovvero dodici mesi dopo la pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale;
          considerato che la riforma della geografia giudiziaria introdotta dal decreto legislativo n.  155 del 2012, dove ha avuto attuazione, ha causato notevoli disagi agli operatori e ai cittadini, senza produrre alcun giovamento all'amministrazione della giustizia né sotto il profilo della celerità dei giudizi né sotto il profilo della qualità delle decisioni e, tanto meno, sotto il profilo della riduzione delle spese, oltre a risultare in netto contrasto con il principio del massimo decentramento dei servizi assicurati dallo Stato, previsto dall'articolo 5 della Costituzione, nonché con il principio di giustizia di prossimità, di cui all'articolo 10 del Trattato sull'Unione europea, come modificato dal Trattato di Lisbona, per il quale anche l'amministrazione della giustizia deve essere esercitata il più vicino possibile ai cittadini;
              l'incidenza della pandemia da «COVID-19» se da un lato ha fatto registrare la chiusura di grandi tribunali per contrastare la trasmissione del virus, ha altresì annotato una efficienza dei tribunali minori, che hanno assicurato ed assicurano tuttora le proprie funzioni; vista la loro evidente importanza a difesa di tutto un tessuto sociale, costituito anche da una economia sommersa, e la necessità di salvaguardare la permanenza di presidi giudiziari e di legalità è necessario che il processo di revisione della geografia giudiziaria sia sottoposto ad una verifica progressiva in virtù dei singoli territori in cui il provvedimento di riforma sta andando ad incidere;
              ad oggi, proprio in virtù ed a motivo della emergenza da contagio, le ragioni a sostegno della riapertura dei tribunali soppressi appaiono ancor più giustificate e, soprattutto, legittime, perché infatti si avverte l'esigenza, che diverrà di certo stabile anche nel lungo periodo, di maggiori spazi ove far esplicare l'amministrazione della giustizia, e quindi le funzioni giurisdizionali, se solo si guarda all'esigenza della eliminazione di assembramenti e dell'attuazione del distanziamento sociale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, per meglio rispondere all'esigenza di accelerazione e di definizione dei processi, di dare corso all'adozione delle iniziative competenti attraverso le quali giungere, in tempi possibilmente brevi, alla riapertura dei tribunali soppressi, prevedendo intanto, a motivo della preventivabile differenziazione delle tempistiche, l'utilizzo dei palazzi di giustizia dei medesimi al servizio dei tribunali accorpanti.
9/2435-A/18. Maggioni, Morrone, Di Muro, Bubisutti.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza di accelerare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione ed ha la finalità di ridefinire il quadro normativo nazionale per semplificare e agevolare la realizzazione dei traguardi e degli obiettivi stabiliti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR);
              occorre, oggi, sbloccare la pubblica amministrazione, alleggerirla da una burocrazia complicata e annodata, e incentivare i pubblici amministratori a uscire dalla palude che sembra essersi estesa negli ultimi anni. Per tanti motivi. Uno è il timore di finire coinvolti in indagini per reati contro la Pubblica amministrazione, fra cui l'abuso d'ufficio, indicato come una delle maggiori cause, forse anche l'alibi, della paralisi burocratica;
              è opinione comune che per quanto riguarda il reato di abuso d'ufficio, è indubbia la necessità di rivedere la responsabilità amministrativa e i confini, i margini, i poteri entro i quali un amministratore o un dirigente pubblico può e deve agire. Il terreno su cui ci si muove è un terreno pieno di cavilli e regolamenti, centinaia e centinaia di disposizioni attuative, un mare sconfinato di normative che nella teoria sembrano utili a regolare i dettagli di tutto ma nella pratica finiscono per regolare quasi nulla. Intervenire sulla responsabilità degli amministratori è uno degli step da percorrere. Ma non il solo. L'abuso d'ufficio è uno dei reati che rientrano nella sfera dei reati contro la pubblica amministrazione, una materia delicatissima su cui ha avuto un peso la discrezionalità lasciata ai magistrati con un conseguente sconfinamento dei pubblici ministeri in settori di appannaggio e discrezionalità della pubblica amministrazione;
              lo ha detto anche il presidente Mario Draghi in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario della Corte dei Conti: «Occorre evitare gli effetti paralizzanti della fuga dalla firma, tenendo conto peraltro che, negli ultimi anni, il quadro legislativo che disciplina l'azione dei funzionari pubblici si è arricchito di norme complesse, incomplete e contraddittorie e di ulteriori responsabilità anche penali». Una fuga dettata dalla paura, perché il rischio di finire sotto indagine per chiunque svolga il ruolo di amministratore pubblico, è sempre dietro l'angolo. Così si finisce per rimanere immobili; meglio rallentare la pubblica amministrazione che finire in un vortice che rischia di sballottare il malcapitato per anni. Specie se, alla fine, come in molti casi, risulta essere innocente;
              la paura della firma affligge ancora maggiormente gli amministratori locali e regionali; il 7 luglio scorso i sindaci hanno manifestato a Roma «per chiedere di intervenire sul reato d'abuso d'ufficio e rivedere la responsabilità amministrativa e i confini entro i quali un amministratore o un dirigente pubblico possono agire, poiché il reato non è ancora abbastanza tipizzato e da ciò discendono i pericoli di un'eccessiva dilatazione dell'intervento penale»; la manifestazione dei sindaci ha rappresentato un grido di dolore di chi quotidianamente si ritrova in prima linea, subendo esposti, quasi sempre infondati, che vengono poi strumentalizzati politicamente;
              inoltre, proprio gli articoli 8 e 11 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n.  235 prevedono finanche la sospensione degli amministratori locali e delle cariche regionali per condanne in primo grado per abuso d'ufficio;
              considerando che, secondo gli ultimi dati disponibili dell'Istat, nel 2017 sono stati 6.500 i procedimenti aperti per abuso d'ufficio, di cui solo 57 le condanne definitive; nel 2018 quelli definiti da Gip e Gup sono stati 7.133 e 6.142 sono stati archiviati si dimostra che i procedimenti aperti per abuso d'ufficio sfociano in condanne definitive in meno di un caso su cento; in taluni casi l'amministratore locale subisce una condanna in primo grado per abuso d'ufficio che, salvo rarissime eccezioni, viene ribaltata nei gradi successivi trasformandosi in proscioglimento; il fatto che la legge faccia discendere dalla condanna di primo grado la sospensione dell'amministratore locale rappresenta un effetto politico-amministrativo irrimediabile in caso di assoluzione definitiva,

impegna il Governo:

          a valutare modifiche normative relative alla disciplina dell'abuso di ufficio e di ogni altra fattispecie di reati contro la PA tali da conferire a dette norme contorni ben definiti e con l'obiettivo di circoscrivere l'area dell'abuso d'ufficio penalmente rilevante;
          a valutare tutte le necessarie modifiche normative della legge 190/2012 cosiddetta «legge Severino» al fine della cancellazione di ogni automatismo in relazione ai presupposti della sospensione degli amministratori locali e delle cariche regionali per condanne di primo grado non definitive per il reato di abuso di ufficio.
9/2435-A/19. Turri.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza di accelerare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione ed ha la finalità di ridefinire il quadro normativo nazionale per semplificare e agevolare la realizzazione dei traguardi e degli obiettivi stabiliti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR);
              negli ultimi mesi i reati commessi da minori sono aumentati considerevolmente sia nelle città che nelle realtà di provincia;
              il fenomeno delle baby gang, per lo più di origine straniera, sta preoccupando in particolare l'area lombarda;
              le risse nei centri città e nei luoghi della movida, i danneggiamenti e i vandalismi sui treni, nei parchi, le aggressioni al personale ferroviario e alle forze dell'ordine, le minacce e i furti a danno di esercizi commerciali, sono in allarmante crescita a dimostrazione dell'arroganza e della strafottenza di queste bande di ragazzini;
              per arginare questo dilagante e preoccupante fenomeno serve un'azione pronta e concreta sia da parte delle forze dell'ordine che degli organi giudiziari;
              la Procura Minorile di Brescia, competente per la Lombardia orientale vede operativi solo tre magistrati e 8 amministrativi nonostante la pianta organica preveda 17 addetti alle funzioni amministrative;
              Constatato che:
              questa pesante carenza di personale amministrativo rischia di far slittare le tempistiche degli adempimenti giudiziari vanificando le azioni di controllo condotte dalle forze dell'ordine nei confronti delle baby gang minorili;
              occorrerebbe un cospicuo intervento strutturale per colmare la grave carenza di personale, che di fatto pregiudica il diritto dei cittadini ad avere una giustizia rapida ed efficiente,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di procedere al potenziamento degli organici in forza alla Procura dei Minori di Brescia al fine di fronteggiare la dilagante criminalità minorile che sta avanzando in modo preoccupante sia nelle città che nei centri più piccoli delle province lombarde e non solo.
9/2435-A/20. Belotti.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza di accelerare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione ed ha la finalità di ridefinire il quadro normativo nazionale per semplificare e agevolare la realizzazione dei traguardi e degli obiettivi stabiliti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR);
              il disegno di legge delega del processo penale ha tra i suoi obiettivi quello di costruire condizioni di rafforzamento della giustizia riparatoria che permetta di condizionare la vicenda processuale in senso favorevole al reo ed alla vittima del reato in ragione della avvenuta resipiscenza del colpevole;
              il Consiglio dell'Unione europea ha adottato il 29 aprile 2004 – con pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'unione europea il 6 agosto dello stesso anno – la Direttiva 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reato. Con essa, gli Stati membri hanno preso l'impegno di mettere in vigore «le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 1 gennaio 2006». La sopra menzionata Direttiva è stata parzialmente recepita in Italia con il decreto legislativo 9 novembre 2007, n.  204; successivamente, a seguito di una pronuncia da parte della Corte di giustizia europea dell'11 ottobre 2016 sull'incompletezza del sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, l'allora Governo era intervenuto mediante la legge europea 2015-2016 con l'estensione dell'indennizzo per tutti i reati dolosi commessi con violenza alla persona;
              l'obiettivo della Direttiva 2004/80/CE è quello di garantire alle vittime il diritto di ottenere un indennizzo statale equo ed adeguato per i danni subiti a prescindere dal luogo dell'Unione in cui il reato è stato commesso. Ad inizio dell'anno corrente sono entrati in vigore i nuovi valori di indennizzo per le vittime di reati intenzionali violenti, ma persistono delle restrizioni per l'accesso al Fondo: in particolare, la normativa italiana ha mantenuto un requisito economico – non menzionato nella direttiva del Consiglio Ue – che esclude i titolari di reddito annuo superiore a quello previsto per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Inoltre, per potervi accedere, la vittima deve aver tentato l'azione risarcitoria nei confronti dell'autore del reato senza averlo ottenuto a meno che questo non sia rimasto ignoto. Tali disposizioni contribuiscono ai ritardi e alle complicazioni nell'ottenimento dei risarcimenti e, non di rado, scoraggiano i familiari ad avviare i procedimenti giudiziari;
              nonostante le modifiche apportate nella Legge di Bilancio pubblicata il 31 dicembre 2018 in Gazzetta Ufficiale, resta al comma 2 dell'articolo 11 della legge 122/2016 la presenza di una previsione che precisa come per i delitti diversi da quelli di omicidio, violenza sessuale o lesione personale gravissima «l'indennizzo è corrisposto per la rifusione delle spese mediche e assistenziali», non senza dubbi di compatibilità con la Direttiva 2004/80/CE. Con decreto del 22 novembre 2019 dei ministeri dell'interno e della Giustizia, in collaborazione con il ministero dell'Economia e delle Finanze pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 23 gennaio 2020, il Governo ha adeguato gli importi dell'indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti e per i delitti diversi da quelli di omicidio, violenza sessuale o lesione personale gravissima è stata previsto un risarcimento «fino ad un massimo di euro 15.000» ma «solo per la rifusione delle spese mediche e assistenziali documentate». Oltre a ciò, occorre ricordare che, mentre nelle strutture penitenziarie di detenzione e di reinserimento sociale sono previsti colloqui psicologici per detenuti anche reo confessi di delitti intenzionali violenti, l'ordinamento italiano non contempla, invece, percorsi volti al sostegno psicologico delle vittime di tali reati. In ultimo, con la pronuncia n.  26757 del 24 novembre 2020 la Cassazione sancisce l'obbligo per lo Stato di risarcire le vittime di reati violenti e intenzionali impossibilitate ad ottenere il risarcimento dei danni dall'autore. Afferma infatti la suprema Corte che nel caso da lei esaminato sussiste la responsabilità civile della Presidenza del Consiglio dei ministri per la mancata e/o non corretta e/o non integrale esecuzione degli obblighi derivanti dalla direttiva 2004/80/CE poiché l'Italia non aveva dato seguito alla sentenza di condanna emessa dalla CGUE il 16 luglio 2020, nella causa Presidenza del Consiglio c. BV, in C-129/2019,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di operare per dare pieno recepimento alla Direttiva 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reato nell'ordinamento italiano e, dunque, all'adeguamento agli obblighi comunitari.
9/2435-A/21. Potenti.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza di accelerare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione ed ha la finalità di ridefinire il quadro normativo nazionale per semplificare e agevolare la realizzazione dei traguardi e degli obiettivi stabiliti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR);
              il disegno di legge delega del processo penale ha tra i suoi obiettivi quello di costruire condizioni di rafforzamento della giustizia riparatoria che permetta di condizionare la vicenda processuale in senso favorevole al reo ed alla vittima del reato in ragione della avvenuta resipiscenza del colpevole;
              il Consiglio dell'Unione europea ha adottato il 29 aprile 2004 – con pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'unione europea il 6 agosto dello stesso anno – la Direttiva 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reato. Con essa, gli Stati membri hanno preso l'impegno di mettere in vigore «le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 1 gennaio 2006». La sopra menzionata Direttiva è stata parzialmente recepita in Italia con il decreto legislativo 9 novembre 2007, n.  204; successivamente, a seguito di una pronuncia da parte della Corte di giustizia europea dell'11 ottobre 2016 sull'incompletezza del sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, l'allora Governo era intervenuto mediante la legge europea 2015-2016 con l'estensione dell'indennizzo per tutti i reati dolosi commessi con violenza alla persona;
              l'obiettivo della Direttiva 2004/80/CE è quello di garantire alle vittime il diritto di ottenere un indennizzo statale equo ed adeguato per i danni subiti a prescindere dal luogo dell'Unione in cui il reato è stato commesso. Ad inizio dell'anno corrente sono entrati in vigore i nuovi valori di indennizzo per le vittime di reati intenzionali violenti, ma persistono delle restrizioni per l'accesso al Fondo: in particolare, la normativa italiana ha mantenuto un requisito economico – non menzionato nella direttiva del Consiglio Ue – che esclude i titolari di reddito annuo superiore a quello previsto per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Inoltre, per potervi accedere, la vittima deve aver tentato l'azione risarcitoria nei confronti dell'autore del reato senza averlo ottenuto a meno che questo non sia rimasto ignoto. Tali disposizioni contribuiscono ai ritardi e alle complicazioni nell'ottenimento dei risarcimenti e, non di rado, scoraggiano i familiari ad avviare i procedimenti giudiziari;
              nonostante le modifiche apportate nella Legge di Bilancio pubblicata il 31 dicembre 2018 in Gazzetta Ufficiale, resta al comma 2 dell'articolo 11 della legge 122/2016 la presenza di una previsione che precisa come per i delitti diversi da quelli di omicidio, violenza sessuale o lesione personale gravissima «l'indennizzo è corrisposto per la rifusione delle spese mediche e assistenziali», non senza dubbi di compatibilità con la Direttiva 2004/80/CE. Con decreto del 22 novembre 2019 dei ministeri dell'interno e della Giustizia, in collaborazione con il ministero dell'Economia e delle Finanze pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 23 gennaio 2020, il Governo ha adeguato gli importi dell'indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti e per i delitti diversi da quelli di omicidio, violenza sessuale o lesione personale gravissima è stata previsto un risarcimento «fino ad un massimo di euro 15.000» ma «solo per la rifusione delle spese mediche e assistenziali documentate». Oltre a ciò, occorre ricordare che, mentre nelle strutture penitenziarie di detenzione e di reinserimento sociale sono previsti colloqui psicologici per detenuti anche reo confessi di delitti intenzionali violenti, l'ordinamento italiano non contempla, invece, percorsi volti al sostegno psicologico delle vittime di tali reati. In ultimo, con la pronuncia n.  26757 del 24 novembre 2020 la Cassazione sancisce l'obbligo per lo Stato di risarcire le vittime di reati violenti e intenzionali impossibilitate ad ottenere il risarcimento dei danni dall'autore. Afferma infatti la suprema Corte che nel caso da lei esaminato sussiste la responsabilità civile della Presidenza del Consiglio dei ministri per la mancata e/o non corretta e/o non integrale esecuzione degli obblighi derivanti dalla direttiva 2004/80/CE poiché l'Italia non aveva dato seguito alla sentenza di condanna emessa dalla CGUE il 16 luglio 2020, nella causa Presidenza del Consiglio c. BV, in C-129/2019,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di effettuare una revisione dei criteri di indennizzo alle vittime di reato nell'ordinamento italiano.
9/2435-A/21.    (Testo modificato nel corso della seduta) Potenti.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una delega al Governo per l'efficienza del processo penale, in materia di giustizia riparativa e per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;
              l'articolo 104 della Costituzione sancisce che «la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere»;
              in base al dettato costituzionale il Consiglio superiore della magistratura (CSM) è l'organo di autogoverno dei magistrati e ne regola la carriera; i suoi componenti sono eletti per due terzi «da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie», e per il rimanente terzo dal Parlamento «tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati»;
              l'efficace funzionamento della magistratura e il pieno rispetto delle garanzie che la Costituzione pone a tutela della sua autonomia costituiscono un presupposto imprescindibile per una giustizia giusta;
              negli ultimi mesi si è assistito a clamorosi scandali relativi al funzionamento del CSM quando è emerso che lo strapotere delle correnti all'interno di tale organismo ne ha pesantemente influenzato le decisioni, favorendo l'assegnazione di incarichi ai suoi componenti, decidendo trasferimenti e nuove destinazioni, in base a una logica spartitoria e consociativa, drammaticamente lontana dalla tutela degli interessi dei cittadini che dovrebbe, invece, ispirarne l'azione, e che hanno dimostrato la necessità di rivederne il funzionamento;
              in base all'articolo 25, comma 3, della legge 24 marzo 1958, n.  195, un magistrato che voglia candidarsi a far parte del CSM deve raccogliere dalle 25 alle 50 firme, e questo dato fa sì che abbiano bisogno del sostegno di una delle correnti,

impegna il Governo

ad assumere le iniziative necessarie volte a prevedere che tutti i magistrati in servizio possano proporre la propria candidatura a membro del CSM singolarmente, senza la necessità di un determinato numero di sottoscrizioni, affinché siano valorizzate esclusivamente le qualità personali e professionali dei singoli candidati e gli stessi possano esercitare il proprio mandato in piena autonomia.
9/2435-A/22. Bignami, Lollobrigida, Delmastro Delle Vedove.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge all'esame teca Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;
              il provvedimento prevede una serie di deleghe al Governo, che dovranno essere esercitate entro un anno dall'entrata in vigore della legge e contiene novelle al codice penale e al codice di procedura penale, immediatamente precettive;
              in generale le finalità che il provvedimento persegue sono riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza di accelerare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione. Sono introdotte misure tese al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela delle vittime di reato. Una innovativa disciplina concerne la ragionevole durata del giudizio di impugnazione, del quale è prevista l'improcedibilità in caso di eccessiva durata;
              la magistratura onoraria gestisce il 70 per cento dei ruoli di Procura e Tribunali e che pertanto la loro opera è fondamentale;
              la Commissione UE ha aperto un'infrazione contro l'Italia proprio sulla questione relativa ai giudici onorari chiedendo che venga applicato il rispetto delle tutele del lavoratore europeo;
              l'istituzione dell'ufficio del processo, prevista da questa riforma, che dovrebbe includere i magistrati onorari, risulterà vana se si riduce e svilisce l'apporto di chi è abilitato da anni ad operare accanto alla magistratura ordinaria;
              tuttavia, permane da tempo per questi magistrati uno stato di precarietà senza le tutele fondamentali di tutti i lavoratori,

impegna il Governo

a stabilizzare i magistrati onorari garantendo loro le tutele previste per i lavoratori europei come indicato dalla commissione UE ivi comprese quelle previdenziali.
9/2435-A/23. Frassinetti, Varchi, Maschio, Vinci, Delmastro Delle Vedove, Albano.


      La Camera,
          premesso che:
              nei giorni scorsi Legambiente, WWF, Greenpeace, Libera e Gruppo Abele hanno chiesto al Governo, tramite un appello pubblico, che ai delitti ambientali venga riconosciuta quella gravità e complessità dei fatti da accertare tale da garantire il regime speciale previsto per i reati di terrorismo, mafia, violenza sessuale aggravata e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti;
              basterebbe guardare cosa sta succedendo in questi giorni a causa degli incendi dolosi: oltre un miliardo di danni solo per la Sardegna. Proprio per far luce su quanto accaduto nel Montiferru la Procura della Repubblica di Oristano ha aperto un fascicolo in cui si indaga per incendio colposo aggravato: le indagini, portate avanti da carabinieri e corpo forestale serviranno per ricostruire la dinamica dei roghi e appurare le responsabilità;
              sono più di 800 gli interventi svolti dalle squadre dei vigili del fuoco nelle ultime ventiquattro ore per gli incendi boschivi e di vegetazione: il numero maggiore in Sicilia, 250, dove il presidente della Regione Nello Musumeci, ha chiesto al capo del governo nazionale, Mario Draghi, la dichiarazione dello stato di mobilitazione del servizio nazionale di Protezione Civile. Dieci squadre a terra sono attualmente impegnate a Catania per diversi incendi di vegetazione che stanno interessando anche oggi il capoluogo etneo. Oltre 100 gli interventi svolti da ieri. Interessate le zone della Piana di Catania, dove sono presenti aree antropizzate con coltivazioni, sulla costa ionica l'oasi del Simeto e Vaccarizzo, dove al momento sono in bonifica e controllo gli incendi dei lidi e dei villaggi coinvolti ieri dalle fiamme. Proseguono le operazioni di spegnimento nell'entroterra catanese, a contrada Passo Martino, Fossa Creta, via Palermo, Belpasso e Castel di ludica;
              a Palermo i vigili del fuoco sono in azione con due Canadair e una squadra schierata a protezione delle abitazioni a Polizzi Generosa; nel siracusano tre squadre stanno spegnendo tre incendi di vegetazione a Buscemi, Priolo e Noto; in provincia di Messina una squadra è in azione a Mandanici; a Enna sono quattro gli incendi attivi: a Piazza Armerina, a Barrafranca, ad Assoro e a Valguarnera, dove sono maggiori le criticità e stanno operando due squadre a terra e un Canadair;
              non sono ancora spenti i roghi in Sicilia e le fiamme, alimentate dal vento africano, travolgono l'Abruzzo, il fuoco ha raggiunto Pescara, devastando anche la pineta dannunziana, ha sfiorato le abitazioni del capoluogo e messo in fuga i turisti lungo le spiagge;
              vigili del fuoco sono dovuti arrivare dalla Toscana per fronteggiare incendi di proporzioni straordinarie. In provincia di Chieti diverse attività commerciali sono state chiuse perché vicine al fronte del fuoco;
              dallo scorso 15 giugno sono stati oltre 37 mila gli interventi, comunica in una nota il Dipartimento dei Vigili del Fuoco; 16 mila interventi in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Tra le regioni più colpite la Sicilia con 8.669 interventi, la Puglia con 8.628 e la Calabria con 3.785;
              si contano 1.156 sortite dei Canadair e degli elicotteri dal 15 giugno: solo nelle ultime 24 ore sono stati 717 gli interventi, con 49 della flotta aerea del Copro;
              anche il Molise, come le altre regioni, si avvia alla richiesta dello stato di emergenza. Basterebbe solo questo per considerare i delitti di disastro ambientale, alla pari di quelli sottoposti ad un regime speciale,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte a valutare l'opportunità di introdurre urgentemente nel Codice Penale e di Procedura Penale una norma che riconosca anche ai delitti ambientali la gravità e la complessità dei fatti da accertare, e quindi lo stesso regime speciale che viene applicato ai reati di terrorismo, mafia, violenza sessuale aggravata e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.
9/2435-A/24. Longo.


      La Camera,
          premesso che:
              nei giorni scorsi Legambiente, WWF, Greenpeace, Libera e Gruppo Abele hanno chiesto al Governo, tramite un appello pubblico, che ai delitti ambientali venga riconosciuta quella gravità e complessità dei fatti da accertare tale da garantire il regime speciale previsto per i reati di terrorismo, mafia, violenza sessuale aggravata e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti;
              basterebbe guardare cosa sta succedendo in questi giorni a causa degli incendi dolosi: oltre un miliardo di danni solo per la Sardegna. Proprio per far luce su quanto accaduto nel Montiferru la Procura della Repubblica di Oristano ha aperto un fascicolo in cui si indaga per incendio colposo aggravato: le indagini, portate avanti da carabinieri e corpo forestale serviranno per ricostruire la dinamica dei roghi e appurare le responsabilità;
              sono più di 800 gli interventi svolti dalle squadre dei vigili del fuoco nelle ultime ventiquattro ore per gli incendi boschivi e di vegetazione: il numero maggiore in Sicilia, 250, dove il presidente della Regione Nello Musumeci, ha chiesto al capo del governo nazionale, Mario Draghi, la dichiarazione dello stato di mobilitazione del servizio nazionale di Protezione Civile. Dieci squadre a terra sono attualmente impegnate a Catania per diversi incendi di vegetazione che stanno interessando anche oggi il capoluogo etneo. Oltre 100 gli interventi svolti da ieri. Interessate le zone della Piana di Catania, dove sono presenti aree antropizzate con coltivazioni, sulla costa ionica l'oasi del Simeto e Vaccarizzo, dove al momento sono in bonifica e controllo gli incendi dei lidi e dei villaggi coinvolti ieri dalle fiamme. Proseguono le operazioni di spegnimento nell'entroterra catanese, a contrada Passo Martino, Fossa Creta, via Palermo, Belpasso e Castel di ludica;
              a Palermo i vigili del fuoco sono in azione con due Canadair e una squadra schierata a protezione delle abitazioni a Polizzi Generosa; nel siracusano tre squadre stanno spegnendo tre incendi di vegetazione a Buscemi, Priolo e Noto; in provincia di Messina una squadra è in azione a Mandanici; a Enna sono quattro gli incendi attivi: a Piazza Armerina, a Barrafranca, ad Assoro e a Valguarnera, dove sono maggiori le criticità e stanno operando due squadre a terra e un Canadair;
              non sono ancora spenti i roghi in Sicilia e le fiamme, alimentate dal vento africano, travolgono l'Abruzzo, il fuoco ha raggiunto Pescara, devastando anche la pineta dannunziana, ha sfiorato le abitazioni del capoluogo e messo in fuga i turisti lungo le spiagge;
              vigili del fuoco sono dovuti arrivare dalla Toscana per fronteggiare incendi di proporzioni straordinarie. In provincia di Chieti diverse attività commerciali sono state chiuse perché vicine al fronte del fuoco;
              dallo scorso 15 giugno sono stati oltre 37 mila gli interventi, comunica in una nota il Dipartimento dei Vigili del Fuoco; 16 mila interventi in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Tra le regioni più colpite la Sicilia con 8.669 interventi, la Puglia con 8.628 e la Calabria con 3.785;
              si contano 1.156 sortite dei Canadair e degli elicotteri dal 15 giugno: solo nelle ultime 24 ore sono stati 717 gli interventi, con 49 della flotta aerea del Copro;
              anche il Molise, come le altre regioni, si avvia alla richiesta dello stato di emergenza. Basterebbe solo questo per considerare i delitti di disastro ambientale, alla pari di quelli sottoposti ad un regime speciale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di individuare soluzioni per la definizione dei procedimenti che abbiano ad oggetto gravi reati ambientali.
9/2435-A/24.    (Testo modificato nel corso della seduta) Longo.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame reca delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              in particolare all'articolo 1, comma 5, prevede che atti e documenti processuali possano essere formati e conservati in formato digitale, in modo che ne siano garantite l'autenticità, l'integrità, la leggibilità, la reperibilità e, ove previsto dalla legge, la segretezza;
              è necessario, in tal frangente, tutelare la sicurezza delle parti e di tutto il procedimento; per tale motivo i dati devono essere conservati rigorosamente in Italia e si devono prediligere soluzioni interne e non esternalizzazioni dei servizi;
              riteniamo, inoltre, che la disciplina definitiva del processo penale telematico debba prevedere il doppio binario, a partire dalla fine dello stato di emergenza dovuto al Covid-19, che auspichiamo non venga ancora prorogato,

impegna il Governo

a prevedere, che i dati, gli atti e i documenti processuali relativi al processo penale telematico, vengano conservati rigorosamente in Italia e gestiti senza esternalizzare il servizio e che, inoltre, venga instaurato il doppio binario (deposito analogico e deposito telematico) senza ulteriori proroghe dello stato di emergenza.
9/2435-A/25. Butti, Varchi, Delmastro Delle Vedove, Maschio, Vinci.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge all'esame reca Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;
              il provvedimento prevede una serie di deleghe al Governo, che dovranno essere esercitate entro un anno dall'entrata in vigore della legge e contiene novelle al codice penale e al codice di procedura penale, immediatamente precettive;
              sono previsti principi e criteri direttivi per la riforma della disciplina del processo in assenza dell'imputato, al fine di adeguarla al diritto dell'Unione europea con particolare riferimento alla direttiva UE 2016/343, che tratta, oltre che della presunzione di innocenza, anche del diritto di presenziare al processo. In particolare, la riforma intende riaffermare il principio in base al quale si può procedere in assenza dell'imputato solo se si ha la certezza che la sua mancata partecipazione al processo è volontaria;
              nello specifico tra i principi e criteri direttivi è disposto che quando non si ha certezza dell'effettiva conoscenza del procedimento penale, si può comunque procedere in assenza se il giudice, valutate le modalità di notificazione e ogni altra circostanza, ritiene provata la conoscenza della pendenza del processo e che l'assenza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole,

impegna il Governo

ad assicurare che il giudice che ritenga provata la conoscenza della pendenza del processo lo faccia con ordinanza motivata e sempre ricorribile.
9/2435-A/26. Rotelli, Varchi, Maschio, Vinci, Delmastro Delle Vedove.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una delega al Governo per l'efficienza del processo penale,
              in materia di giustizia riparativa e per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;
              l'articolo 111 della Costituzione, novellato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n.  2, sancisce che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge» e che «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale»;
              l'ordinamento giudiziario nella sua attuale architettura non distingue tra magistrati che svolgono funzioni giudicanti e requirenti, e nel corso della carriera gli stessi magistrati passano più volte dal ruolo di pubblico ministero a quello di giudice e viceversa, alternandosi nelle diverse funzioni, a volte addirittura nel corso dello stesso processo;
              è evidente quanto tale contiguità tra i due ruoli sia distante dalla necessaria terzietà del giudice, prescritta dall'articolo 111 della Costituzione e che costituisce il presupposto dell'imparzialità della decisione;
              tale terzietà non può che essere perseguita attraverso una separazione degli ambiti ordinamentali, organizzativi e disciplinari cui appartengono il giudice e l'accusatore;
              la separazione delle carriere di giudice e di accusatore non rappresenta, quindi, un fine, ma esclusivamente un mezzo per raggiungere l'indispensabile obiettivo della terzietà del giudice, al fine di rendere il processo penale più equo nella garanzia dell'imparzialità della decisione,

impegna il Governo

ad assumere le opportune iniziative, anche di carattere normativo, volte a introdurre una separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura, distinguendo i relativi ambiti ordinamentali, organizzativi e disciplinari, al fine di realizzare un migliore assetto della giustizia penale e un aumento della qualità della giurisdizione.
9/2435-A/27. Meloni, Lollobrigida, Delmastro Delle Vedove, Varchi, Ferro, Galantino, Zucconi.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge all'esame reca Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              il testo dispone principi e criteri direttivi per modificare il codice di rito al fine di prevedere la registrazione audiovisiva o l'audioregistrazione per documentare l'interrogatorio o l'assunzione di informazioni, ovvero la testimonianza. Inoltre, la disposizione delega il Governo ad individuare i casi in cui, con il consenso delle parti, la partecipazione all'atto del procedimento o all'udienza può avvenire a distanza o da remoto;
              quando si ricorre a registrazione audiovisiva, la parte personalmente o tramite il proprio difensore può fornire il supporto digitale per poter estrarre i dati, tuttavia allo stato attuale per un CD-ROM di intercettazioni vendono richiesti centinaia di euro di diritti di copia,

impegna il Governo

a garantire in sede di esercizio della delega che l'accesso alle copie relative alle prove acquisite su supporto digitale avvenga, tramite la parte personalmente o tramite il proprio difensore, estraendo automaticamente i dati e senza ulteriori oneri aggiuntivi.
9/2435-A/28. Osnato, Varchi, Maschio, Vinci, Delmastro Delle Vedove.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame delega il Governo a una profonda riforma del processo penale, ma non interviene direttamente sulla custodia cautelare;
              secondo i dati dell'ultima Relazione al Parlamento su misure cautelari personali e riparazione per ingiusta detenzione, nel 2020 sono state emesse quasi 25.000 misure di custodia cautelare in carcere; una misura cautelare coercitiva su tre emesse è quella carceraria (32 per cento);
              le misure cautelari custodiali (carcere – arresti domiciliari – luogo cura) costituiscono il 58% circa di tutte le misure emesse; tale percentuale era stata del 64 per cento nel 2018 e del 67 per cento nel 2017; la somma di arresti domiciliari e custodia cautelare in carcere o nei luoghi di cura si è assestata negli ultimi anni attorno ai 50 mila casi annui;
              i dati dei procedimenti penali definiti sempre nel 2020 mostrano che i casi di proscioglimento e di sospensione condizionale costituiscono circa il 19 per cento delle misure totali emesse;
              nel 2020 l'Italia ha speso 46 milioni di euro per le ingiuste detenzioni e per gli errori giudiziari; gli assolti ogni anno sono circa 120.000;
              uno dei quesiti referendari in materia di giustizia chiede la soppressione dell'articolo 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale nella parte in cui prevede la possibilità di disporre misure cautelari quando sussiste pericolo di reiterazione;
              l'esigenza cautelare del pericolo di reiterazione prevede una prognosi complessa sulla quale il legislatore è intervenuto nel 2015: tuttavia la giurisprudenza si è spesso orientata su interpretazioni estensive che hanno giustificato l'applicazione delle misure anche a molta distanza di tempo dai fatti e su pericoli del tutto privi di concretezza; per non parlare di acrobatiche prognosi di recidiva per soggetti incensurati,

impegna il Governo

a modificare la disciplina in materia di custodia cautelare, con particolare riferimento al pericolo di reiterazione del reato di cui all'articolo 274 comma 1, lettera c) codice di procedura penale, affinché vengano scongiurate applicazioni giurisprudenziali estensive e situazioni di abuso della privazione della libertà che determinano casi continui di ingiusta detenzione, senza tuttavia escludere l'applicabilità della norma per i reati di grave allarme sociale.
9/2435-A/29. Costa.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una delega al Governo per l'efficienza del processo penale,
              in materia di giustizia riparativa e per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;
              l'articolo 28 della Costituzione dispone che «i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti»;
              in base alle vigenti normative, tuttavia, i magistrati non sono direttamente responsabili per i danni causati nell'esercizio delle proprie funzioni, posto che per essi opera un meccanismo di responsabilità indiretta, in base alla quale il cittadino che sia stato ingiustamente accusato, o, peggio, detenuto, deve rivolgersi contro lo Stato, che, a sua volta, dovrebbe poi rivalersi sul magistrato che ha commesso l'errore;
              la scarsa efficacia del meccanismo risarcitoria è dimostrata anche dall'esiguo numero di cause – poche centinaia – avviate sinora da cittadini nei confronti dello Stato per responsabilità dei magistrati, e, ancora di più, dal fatto che meno di dieci di queste si sono concluse con l'accertamento della colpevolezza, un dato che stride in confronto al fatto che lo Stato sopporta spese molto ingenti per risarcire le vittime di ingiusta detenzione,

impegna il Governo

ad assumere le opportune iniziative, anche di carattere normativo, volte a modificare il meccanismo in base al quale opera la responsabilità dei magistrati, configurandolo secondo un principio di responsabilità diretta, in ottemperanza al dettato dell'articolo 28 della Costituzione e a garanzia di una maggiore tutela di tutti i cittadini.
9/2435-A/30. Lollobrigida, Delmastro Delle Vedove, Varchi, Maschio, Vinci, Ferro, Galantino, Zucconi, Mollicone, Caiata.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge all'esame reca Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;
              il provvedimento prevede una serie di deleghe al Governo, che dovranno essere esercitate entro un anno dall'entrata in vigore della legge e contiene novelle al codice penale e al codice di procedura penale, immediatamente precettive;
              il testo contiene una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza del potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato;
              la regione Sardegna, anche nel corso della presente stagione estiva, è stata interessata da diversi incendi, tra i quali, in particolare, recentemente, quello che ha colpito un'area di quasi ventimila ettari, su diversi ambiti comunali (Bonarcado, Santulussurgiu, Cuglieri, Scano di Montiferru, Sennariolo, Flussio, Magomadas, Tresnuraghes, Sindia, Modolo, Tinnura, Sagama, Suni, Macomer), procurando gravissime ripercussioni sia al patrimonio naturale che alle attività economiche presenti nella zona interessata;
              ancora più recentemente, la regione Sicilia è stata gravemente interessata dagli incendi unitamente alla regione Abruzzo;
              attualmente, il codice penale punisce, sia, all'articolo 423, il reato di incendio, nel seguente modo: chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni; sia, all'articolo 423-bis, il reato di incendio boschivo come segue: chiunque cagioni un incendio su boschi, selve o foreste ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento, propri o altrui, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. Se l'incendio di cui al primo comma è cagionato per colpa, la pena è della reclusione da uno a cinque anni le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate se dall'incendio deriva pericolo per edifici o danno su aree protette... Le pene previste dal primo e dal secondo comma sono aumentate della metà se dall'incendio deriva un danno grave, esteso e persistente all'ambiente;
              il disegno di legge in esame, al fine di ridefinire gli effetti della riforma della prescrizione dei reati recentemente approvata dal Parlamento, introduce, nel codice di procedura penale, l'articolo 344-bis, recante misure sull'improcedibilità dei giudizi d'impugnazione e di Cassazione, per superamento dei termini di durata massima parimenti ivi previsti e che, in particolare, il medesimo articolo prevede, per alcune tipologie di reati particolarmente gravi, la possibilità di proroga del termine previsto per la conclusione dei giudizi, senza che ricomprendere, però, i reati previsti dagli articoli 423 e 423-bis suindicati;
              in ragione della gravità delle suindicate fattispecie di reato – con particolare riferimento ai danni derivanti dalla medesima attività illecita, la quale, infatti, colpisce l'intera collettività sia per la devastazione del patrimonio naturale, spesso secolare se non millenario, sia per la distruzione di attività economiche private – appare opportuno: a) sia che le medesime siano ricomprese tra quelli suscettibili di ottenere la proroga per la durata dei giudizi d'impugnazione e di Cassazione; b) sia che la pena attualmente individuata, quantomeno per i fatti più gravi, venga rivista in aumento, con l'introduzione, altresì, della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici,

impegna il Governo

ad adottare ogni opportuna iniziativa al fine di prevedere, per i fatti più gravi: a) sia l'aumento della pena prevista per il reato di incendio (articolo 423 del codice penale) e incendio boschivo (articolo 423-bis del codice penale), unitamente all'introduzione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici; sia l'inclusione delle medesime fattispecie tra quelle suscettibili di ottenere la proroga massima prevista dal disegno di legge in esame per la conclusione dei giudizi d'impugnazione e di Cassazione.
9/2435-A/31. Deidda, Varchi, Vinci, Ferro, Maschio, Trancassini, Caiata, Sgarbi.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge governativo in esame reca una delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale, nonché per la revisione del regime sanzionatorio delle contravvenzioni;
              in particolare, l'articolo 1, comma 9, lettera i) delega il Governo a «prevedere che gli uffici del pubblico ministero (...) nell'ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo conto anche del numero degli affari da trattare e dell'utilizzo efficiente delle risorse disponibili», ratificando, di fatto, il potere «normativo» dei Capi delle Procure, ai quali spetterà stabilire quali reati non saranno perseguiti;
              i criteri di priorità sono già previsti dall'articolo 132-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, con una finalità processuale, poiché valgono a regolare l'ordine di trattazione dei processi; nell'applicazione fattane per la fase delle indagini preliminari, la funzione è però radicalmente diversa, con il rischio di disegnare una giustizia penale a geografia variabile, per la quale il confine fra un circondario e un altro può significare guadagnare l'impunità per taluni reati;
              il compito di decidere se una condotta non è più reato spetta esclusivamente al legislatore, perché solo quest'ultimo risponde delle scelte compiute dinanzi ai cittadini, né l'inciso «nell'ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge» può rappresentare un valido correttivo, poiché rischia di concretizzarsi in una delega in bianco, ancor più pericolosa per l'assetto istituzionale e per il principio della separazione dei poteri,

impegna il Governo:

          a parametrare in sede di esercizio della delega i criteri di priorità di cui all'articolo 1, comma 9, lettera i) del disegno di legge in esame alle reali esigenze del territorio, con particolare riguardo alla specifica realtà criminale e territoriale, al numero degli affari da trattare e all'utilizzo efficiente delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili;
          a definire con chiarezza le risorse economiche e umane da destinare alle singole Procure.
9/2435-A/32. Lucaselli, Varchi, Maschio.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge governativo in esame reca una delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale, nonché per la revisione del regime sanzionatorio delle contravvenzioni;
              un passo cruciale nella complessiva economia delle indagini preliminari e per le sorti dell'intera vicenda processuale è rappresentato dall'articolo 1, comma 9, lettera q), che detta principi e criteri direttivi volti a riformare alcuni profili della disciplina in materia di indagini preliminari e udienza preliminare incidendo sull'iscrizione nel registro della notizia di reato della quale si prevede un meccanismo di verifica, su richiesta di parte, che consenta al giudice di accertare la tempestività dell'iscrizione stessa e di retrodatarla nel caso di ingiustificato ed inequivocabile ritardo;
              con l'iscrizione della notitia criminis e del nominativo di uno o più indagati sul registro delle notizie di reato il pubblico ministero fissa la data di inizio delle indagini preliminari, a partire dalla quale decorrono i termini delle investigazioni dell'ufficio inquirente; termini invalicabili perché tutte le acquisizioni investigative successive alla loro scadenza, ed in particolare quelle derivanti da intercettazioni di varia natura, non surrogabili in alcun modo nel corso del dibattimento, risulteranno inutilizzabili ai fini del processo;
              la novella prevista, introducendo una verifica da parte del giudice sulla tempestività e, di conseguenza, anche sulla correttezza e veridicità della data di iscrizione, a seguito della «richiesta motivata» di chi vi abbia interesse, prevede la «retrodatazione» dell'iscrizione tardivamente effettuata dal pubblico ministero, il conseguente ricalcolo dei tempi di durata delle indagini sulla base della nuova data individuata dal giudice e; quindi, l’«inutilizzabilità» di tutte le acquisizioni del pubblico ministero e della polizia giudiziaria che, a seguito e per effetto della retrodatazione, risultino poste in essere «dopo» la scadenza del (ricalcolato) termine di durata massima delle investigazioni;
              tale principio rischia di introdurre un elemento di permanente incertezza e di squilibrio soprattutto nei procedimenti penali più complessi per la natura dei reati, la complessità delle indagini ed il numero degli indagati;
              poiché nella fase iniziale delle indagini l'organo inquirente ignora ancora quale potrà essere la complessità e la durata delle investigazioni sarà indotto, per non dire costretto, a iscrivere «tutto e subito» per scongiurare l'esito catastrofico della parziale inutilizzabilità dei risultati investigativi acquisiti, con buona pace della ratio generale dell'impianto del disegno di legge di snellire, semplificare e accelerare i tempi del processo penale,

impegna il Governo

          a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte:
              a garantire che l'iscrizione sia sempre verificabile e abbia data certa;
              a disciplinare compitamente l'ipotesi che vi siano richieste plurime e di segno discordante in ordine alla nuova datazione sia da parte degli stessi imputati sia delle parti civili e dei responsabili civili.
9/2435-A/33. Prisco, Maschio, Varchi.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in oggetto reca disposizioni anche in tema di efficienza dei procedimenti penali, con riferimento al deposito degli atti e dei documenti, nonché in materia di notificazioni in ogni ordine e grado;
              si tratta di disposizioni dirette a snellire gli adempimenti degli organi e degli uffici deputati alle notificazioni giudiziarie. Le norme in esame non sono suscettibili di determinare oneri a carico della finanza pubblica ma, al contrario, come riporta la relazione tecnica al provvedimento, sono idonee a realizzare possibili risparmi di spesa;
              al fine di poter rendere operative tali norme, è indispensabile un raccordo con le amministrazioni competenti per sviluppare gli strumenti di innovazione tecnologica in materia informatica e telematica per l'erogazione dei servizi di giustizia;
              l'innovazione telematica per l'erogazione dei servizi di giustizia è doverosa non solo per la piena efficienza dei procedimenti penali, ma anche per permettere al cittadino di assolvere altre incombenze legate alle attività degli uffici giudiziari. Tra queste ricordiamo che, a seguito dell'approvazione del decreto-legge n.  77 del 2021 (cosiddetto Semplificazioni), ex articolo 38-bis, recante «semplificazioni in materia di procedimenti elettorali attraverso la diffusione di comunicazioni digitali con le pubbliche amministrazioni» saranno numerose le comunicazioni digitali intercorrenti tra gli uffici elettorali, giudiziari e di casellario, ed i partiti, i movimenti politici ed i comitati promotori di referendum;
              a titolo esemplificativo, per le prossime elezioni amministrative di ottobre 2021, secondo una stima riportata anche nell'Ordine del Giorno 9/3146-AR/96 a firma del sottoscritto ed approvato in sede di conversione del decreto-legge n.  77 del 2021, i circa 4.500 candidati per i partiti nazionali più un numero prossimo ad alcune decine di migliaia di candidati per le liste civiche, potrebbero richiedere ed ottenere via PEC il proprio certificato giudiziale, in adempimento a quanto previsto dall'articolo 1, comma 14 della legge 9 gennaio 2019, n.  3;
              tuttavia, gli uffici dei casellari giudiziali di molte procure della Repubblica sul territorio nazionale non sono ancora dotati di indirizzi di Posta Elettronica Certificata e non è estesa ad essi la possibilità di poter permettere il pagamento telematico per assolvere gli obblighi di liquidazione delle imposte di bollo e ogni altra spesa, imposta o diritto di cancelleria, anche da remoto o mediante apposite piattaforme digitali quali per esempio «Pago PA»,

impegna il Governo

ad aggiornare e rendere disponibili anche per i singoli cittadini, oltre che per gli operatori di giustizia, gli indirizzi di Posta elettronica Certificata associati agli uffici dei casellari giudiziali presso le procure della Repubblica e a sviluppare celermente un servizio telematico che permetta la liquidazione delle imposte di bollo e di ogni altra spesa, imposta o diritto di cancelleria anche mediante piattaforme digitali da remoto, in tempo anche per l'adempimento delle pratiche elettorali già vigenti per le prossime elezioni amministrative di ottobre 2021.
9/2435-A/34. Gregorio Fontana, Pittalis, Cristina, Cassinelli, Rossello.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in oggetto reca disposizioni anche in tema di efficienza dei procedimenti penali, con riferimento al deposito degli atti e dei documenti, nonché in materia di notificazioni in ogni ordine e grado;
              si tratta di disposizioni dirette a snellire gli adempimenti degli organi e degli uffici deputati alle notificazioni giudiziarie. Le norme in esame non sono suscettibili di determinare oneri a carico della finanza pubblica ma, al contrario, come riporta la relazione tecnica al provvedimento, sono idonee a realizzare possibili risparmi di spesa;
              al fine di poter rendere operative tali norme, è indispensabile un raccordo con le amministrazioni competenti per sviluppare gli strumenti di innovazione tecnologica in materia informatica e telematica per l'erogazione dei servizi di giustizia;
              l'innovazione telematica per l'erogazione dei servizi di giustizia è doverosa non solo per la piena efficienza dei procedimenti penali, ma anche per permettere al cittadino di assolvere altre incombenze legate alle attività degli uffici giudiziari. Tra queste ricordiamo che, a seguito dell'approvazione del decreto-legge n.  77 del 2021 (cosiddetto Semplificazioni), ex articolo 38-bis, recante «semplificazioni in materia di procedimenti elettorali attraverso la diffusione di comunicazioni digitali con le pubbliche amministrazioni» saranno numerose le comunicazioni digitali intercorrenti tra gli uffici elettorali, giudiziari e di casellario, ed i partiti, i movimenti politici ed i comitati promotori di referendum;
              a titolo esemplificativo, per le prossime elezioni amministrative di ottobre 2021, secondo una stima riportata anche nell'Ordine del Giorno 9/3146-AR/96 a firma del sottoscritto ed approvato in sede di conversione del decreto-legge n.  77 del 2021, i circa 4.500 candidati per i partiti nazionali più un numero prossimo ad alcune decine di migliaia di candidati per le liste civiche, potrebbero richiedere ed ottenere via PEC il proprio certificato giudiziale, in adempimento a quanto previsto dall'articolo 1, comma 14 della legge 9 gennaio 2019, n.  3;
              tuttavia, gli uffici dei casellari giudiziali di molte procure della Repubblica sul territorio nazionale non sono ancora dotati di indirizzi di Posta Elettronica Certificata e non è estesa ad essi la possibilità di poter permettere il pagamento telematico per assolvere gli obblighi di liquidazione delle imposte di bollo e ogni altra spesa, imposta o diritto di cancelleria, anche da remoto o mediante apposite piattaforme digitali quali per esempio «Pago PA»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di sviluppare un servizio telematico che permetta la liquidazione delle imposte di bollo e di ogni altra spesa, imposta o diritto di cancelleria anche mediante piattaforme digitali da remoto, in considerazione anche delle pratiche elettorali.
9/2435-A/34.    (Testo modificato nel corso della seduta) Gregorio Fontana, Pittalis, Cristina, Cassinelli, Rossello.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in oggetto reca disposizioni riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza di accelerare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione. Ulteriori principi di delega possono essere ricondotti alla finalità di bilanciare le esigenze di velocizzazione del procedimento con quelle di mantenere elevate garanzie difensive;
              attualmente, l'articolo 270 del codice di procedura penale prevede che, fermo restando quanto previsto
              dal comma 1 – «I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza e dei reati di cui all'articolo 266, comma 1.»;
              i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzate anche per la prova dei reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, a condizione che tali reati siano ricompresi tra quelli previsti dal comma 2-bis dell'articolo 266 del codice di procedura penale;
              tale previsione evidenzia un palese e insanabile contrasto, per i profili sostanziali, con l'articolo 15 della Costituzione e con l'articolo 8 della Cedu, e sotto l'aspetto procedurale – che qui interessa – è chiaramente e ripetutamente lesiva del diritto di difesa e della parità delle parti in evidente violazione degli articoli 24 e 111 della Carta Costituzionale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere che i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile non possano essere utilizzate anche per la prova dei reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il relativo decreto di autorizzazione.
9/2435-A/35. Siracusano, Pittalis, Cristina, Cassinelli, Rossello.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in oggetto reca disposizioni riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza di accelerare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione. Ulteriori principi di delega possono essere ricondotti alla finalità di bilanciare le esigenze di velocizzazione del procedimento con quelle di mantenere elevate garanzie difensive;
              in particolare, l'articolo 2, comma 25 prevede la deindicizzazione dalla rete internet dei contenuti relativi al procedimento penale a seguito del decreto di archiviazione o della sentenza di assoluzione, garantendo il diritto all'oblio degli indagati o imputati nel rispetto della direttiva UE n.  343 del 9 marzo 2016 che contiene disposizioni sul tema della presunzione di non colpevolezza;
              in attuazione della direttiva testé menzionata e dell'articolo 27, secondo comma della Costituzione, è necessario garantire il divieto di pubblicazione e di diffusione dei nominativi e dell'immagine dei magistrati relativamente ai procedimenti e processi penali loro affidati e prevedere, altresì, il divieto per l'Autorità Giudiziaria di rilasciare, in qualsiasi forma, dichiarazioni pubbliche che lasciano presumere la colpevolezza dell'indagato o dell'imputato, fino alla sentenza definitiva di condanna;
              del pari imprescindibile è vietare ai magistrati e agli operatori di polizia giudiziaria di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione, anche attraverso la diffusione di video, foto e contenuti multimediali che riproducano l'immagine dell'indagato o dell'imputato, fatti salvi i casi in cui ciò non sia strettamente necessario nell'interesse pubblico o per significative esigenze legate allo svolgimento del procedimento penale;
              a tal proposito si ritiene indispensabile un intervento da parte del legislatore volto a evitare, nel rispetto dei pilastri costituzionali, che la vita di chi si trova coinvolto in un procedimento giudiziario venga colpita, con ripercussioni spesso drammatiche a livello personale, professionale e familiare, non già da sentenze processuali ma dai riti «abbreviatissimi» e senza rimedio del circuito «politico-mediatico»,

impegna il Governo

a dare concreta attuazione ai principi costituzionali e alla direttiva UE 323/2016 in materia di presunzione d'innocenza, anche attraverso gli opportuni interventi normativi, al fine di escludere la colpevolezza degli indagati o imputati fino alla sentenza definitiva di condanna.
9/2435-A/36. Zanettin, Pittalis, Siracusano, Cristina, Cassinelli, Rossello.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge governativo in esame reca una delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale, nonché per la revisione del regime sanzionatorio delle contravvenzioni;
              in particolare, la lettera d) del comma 11 dell'articolo 1, dispone che, nell'ipotesi di mutamento del giudice o di uno o più componenti del collegio, il giudice disponga, a richiesta di parte, la riassunzione della prova dichiarativa già assunta e che, quando la prova dichiarativa è stata verbalizzata tramite videoregistrazione, nel dibattimento svolto innanzi al giudice diverso o al collegio diversamente composto, nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, il giudice disponga la riassunzione della prova solo quando lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze;
              la possibilità di videoregistrare l'assunzione della prova è un'attività che richiede dotazioni tecnologiche ad oggi non adeguatamente disponibili negli uffici giudiziari di tutta Italia;
              tale disposizione di legge, in assenza di una previsione di una norma transitoria che ne preveda la piena entrata in vigore solo dopo l'installazione degli apparati tecnologici necessari, lungi dall'alleggerire i processi e lo svolgimento dell'attività giurisdizionale, determinerebbe un ingolfamento degli uffici e un ulteriore rallentamento del processo penale;
              la proposta non appare di fattuale applicazione senza la dotazione degli uffici degli strumenti necessari per la videoregistrazione,

impegna il Governo

a prevedere, nell'esercizio della delega, una disciplina transitoria per l'entrata in vigore delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 11, lettera d) del disegno di legge in esame.
9/2435-A/37. Ferro.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame reca una delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale, nonché per la revisione del regime sanzionatorio delle contravvenzioni;
              nell'ambito di una riforma organica del processo penale, un'attenzione particolare deve essere destinata alla tutela dei soggetti di minore età e del principio ispiratore di ogni norma del superiore interesse del minore;
              in Italia, infatti, nelle aule giudiziarie l'ascolto di una persona di minore età è previsto solo in caso di soggetti di età pari o superiore a dodici anni ed è lasciato, nella migliore delle ipotesi, all'opinione degli esperti, come se le parole dei bambini non bastassero da sole a spiegarne i drammi; nel prevedere l'ascolto il legislatore non ha, peraltro, dettagliatamente disciplinato le modalità per una corretta messa in opera della procedura, nonostante l'esigenza di assicurare al minore la possibilità di esprimere le proprie idee e di far sentire la propria voce;
              inoltre, i tribunali per i minorenni sono stati istituiti nel 1934 e si occupano specificamente di minori per quanto concerne gli ambiti civile e penale. Tale impostazione è, ad oggi, obsoleta e inaccettabile poiché la tutela proposta per la risoluzione delle molte questioni che attengono al delicato contesto familiare appare quanto mai inadatta e frammentaria. In sostanza, non esiste, come invece sarebbe opportuno e doveroso, una sede deputata alla risoluzione di qualsiasi problematica che coinvolga la famiglia – che è il nucleo principale su cui si fonda la società – e a tale lacuna consegue un'inadeguata tutela dei soggetti coinvolti che sono non solo gli adulti, ma anche e soprattutto i minori;
              è necessario dare attuazione al principio cardine della legislazione in materia di tutela dei minori, il principio del superiore interesse del minore, spostando l'asticella dell'intervento legislativo dal minore come esclusivo oggetto di tutele al minore come centro di interesse,

impegna il Governo:

          a prevedere l'istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e per i minori nei tribunali e le corri di appello, favorendo la specializzazione del sistema;
          a introdurre l'obbligo di ascolto del minore nei procedimenti che lo riguardano, valutando l'opportunità di abbassare l'età di ascolto a otto anni qualora capace di discernimento.
9/2435-A/38. Bellucci, Mantovani.


      La Camera,
          premesso che:
              dall'emanazione della legge 23 marzo 2001, n.  93 («disposizioni in campo ambientale») con la quale è stato introdotto nel nostro ordinamento il primo delitto contro l'ambiente, sono state progressivamente previste sempre nuove fattispecie di aggressione all'ambiente costituite sotto forma di delitto;
              da ultimo con la legge n.  68 del 2015 all'articolo 1 si è provveduto a riformare il codice penale, prevedendo un titolo VI-bis (Dei delitti contro l'ambiente), nel quale sono previsti reati quali: l'inquinamento ambientale (452-bis c.p.); disastro ambientale (452-quater); traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (452-sexies); impedimento del controllo (452-septies); omessa bonifica (452-terdecies), nonché tutta una serie di circostanze aggravati per tali delitti;
              le attività che danneggiano l'ambiente provocano o possono provocare il deterioramento della qualità dell'aria, del suolo, dell'acqua, della fauna e della flora, compresa la conservazione delle specie ed esigono sanzioni penali dotate di maggiore dissuasività;
              la storia del nostro paese è segnata da disastri ambientali che soltanto proprio grazie alla modifica del codice penale sono stati oggetto di procedimenti e processi; i reati ambientali sono tra i più gravi e investono la comunità sul piano della salute oltre che su quello economico e sociale, si tratta di reati per i quali l'accertamento delle responsabilità è spesso molto complesso e le indagini necessitano di risorse e professionalità tecniche di rilievo;
              stante la delicatezza della materia affrontata e l'ampiezza degli interessi meritevoli di tutela appare di difficile comprensione che si sia mantenuta la possibilità che per I reati di disastro ambientale possa essere dichiarata l'improcedibilità si tratta di reati tra i più gravi, devastanti per l'ambiente e per la salute delle persone, reati per i quali, nel passato anche recente, ha suscitato non poco turbamento la circostanza che alcuni procedimenti siano stati dichiarati estinti per intervenuta prescrizione,

impegna il Governo:

          a prevedere che nei decreti legislativi di attuazione del disegno di legge 2435-A, nell'ambito dell'ordinamento giudiziario e in materia di progetti organizzativi delle procure della Repubblica, si prevedano tutti gli interventi e gli strumenti necessari affinché gli Uffici Giudiziari siano nella condizione di perseguire efficacemente i reati di carattere ambientale;
          a individuare le soluzioni normative più adeguate affinché i procedimenti per reati di carattere ambientale, in ragione della loro complessità, non corrano il rischio di essere automaticamente definiti con l'istituto dell'improcedibilità.
9/2435-A/39. Fornaro, Timbro, Muroni, Lombardo, Bazoli, Braga.


      La Camera,
          premesso che:
              dall'emanazione della legge 23 marzo 2001, n.  93 («disposizioni in campo ambientale») con la quale è stato introdotto nel nostro ordinamento il primo delitto contro l'ambiente, sono state progressivamente previste sempre nuove fattispecie di aggressione all'ambiente costituite sotto forma di delitto;
              da ultimo con la legge n.  68 del 2015 all'articolo 1 si è provveduto a riformare il codice penale, prevedendo un titolo VI-bis (Dei delitti contro l'ambiente), nel quale sono previsti reati quali: l'inquinamento ambientale (452-bis c.p.); disastro ambientale (452-quater); traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (452-sexies); impedimento del controllo (452-septies); omessa bonifica (452-terdecies), nonché tutta una serie di circostanze aggravati per tali delitti;
              le attività che danneggiano l'ambiente provocano o possono provocare il deterioramento della qualità dell'aria, del suolo, dell'acqua, della fauna e della flora, compresa la conservazione delle specie ed esigono sanzioni penali dotate di maggiore dissuasività;
              la storia del nostro paese è segnata da disastri ambientali che soltanto proprio grazie alla modifica del codice penale sono stati oggetto di procedimenti e processi; i reati ambientali sono tra i più gravi e investono la comunità sul piano della salute oltre che su quello economico e sociale, si tratta di reati per i quali l'accertamento delle responsabilità è spesso molto complesso e le indagini necessitano di risorse e professionalità tecniche di rilievo;
              stante la delicatezza della materia affrontata e l'ampiezza degli interessi meritevoli di tutela appare di difficile comprensione che si sia mantenuta la possibilità che per I reati di disastro ambientale possa essere dichiarata l'improcedibilità si tratta di reati tra i più gravi, devastanti per l'ambiente e per la salute delle persone, reati per i quali, nel passato anche recente, ha suscitato non poco turbamento la circostanza che alcuni procedimenti siano stati dichiarati estinti per intervenuta prescrizione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di individuare soluzioni per la definizione dei procedimenti che abbiano ad oggetto gravi reati ambientali.
9/2435-A/39.    (Testo modificato nel corso della seduta) Fornaro, Timbro, Muroni, Lombardo, Bazoli, Braga.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge governativo in esame reca una delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale, nonché per la revisione del regime sanzionatorio delle contravvenzioni;
              l'articolo 2, comma 1, ha confermato la sospensione del termine di prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia essa di condanna che di assoluzione, introducendo, l'improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, individuati rispettivamente in 2 anni per l'appello e un anno per il giudizio di cassazione: la mancata definizione del giudizio entro tali termini comporta la declaratoria di improcedibilità dell'azione penale (commi 2-6);
              per alcune fattispecie di reati di particolare allarme sociale, il termine dei 2 anni in appello e di un anno in Cassazione può essere prorogato, per ragioni inerenti la complessità del giudizio, con successive proroghe, senza limiti di tempo; non è dunque fissato un limite di durata per tali giudizi;
              come denunciato dalle principali associazioni ambientaliste, l'esclusione dal novero di tale categoria di fattispecie delittuose dei reati ambientali, come riformati dalla legge 22 maggio 2015, n.  68, potrebbe comportare la cancellazione di migliaia di procedimenti penali già in corso e «l'Italia rischia di fare un clamoroso passo indietro nella tutela dell'ambiente», ricordando come «Ci sono voluti ventuno anni, da quando pubblicammo il primo Rapporto Ecomafia, per vedere inseriti nel Codice penale i delitti contro l'ambiente, dall'inquinamento al disastro ambientale fino al traffico di rifiuti. Oggi sono possibili inchieste di grande importanza, come quelle sulle 150.000 tonnellate di fanghi contaminati sparsi sui terreni agricoli del Nord Italia o sulle devastazioni causate dalla pesca illegale dei datteri di mare. Ma anche i roghi della Sardegna, se dovesse emergere un'origine dolosa, hanno le dimensioni di un vero e proprio disastro ambientale. Sono tutti reati gravi che richiedono indagini complesse e tempi adeguati»;
              i dati, raccolti ed elaborati dal Ministero della giustizia e pubblicati ogni anno nel Rapporto Ecomafia di Legambiente, per il periodo 2015-2020, indicano 4.636 procedimenti penali avviati dalle procure italiane (di cui 623 archiviati), con 12.733 persone denunciate e 3.989 ordinanze di custodia cautelare emesse,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte a inserire i reati ambientali tra quelli di particolare complessità, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare, di cui al nuovo articolo 344-bis, comma 4, codice di procedura penale;
          a potenziare le strutture tecnico scientifiche delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, che affiancano le forze dell'ordine e la magistratura.
9/2435-A/40. Rampelli, Varchi, Maschio, Mollicone.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame reca una delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale, nonché per la revisione del regime sanzionatorio delle contravvenzioni;
              uno dei passaggi più delicati del sistema penale, additato come il problema dei problemi e, per questo, oggetto da tempo delle ambizioni di riforma della politica, è l'istituto della prescrizione del reato;
              costituisce certamente una obiettiva sconfitta per lo Stato arrivare a sentenza definitiva a molti anni di distanza dalla consumazione di reati che possono aver provocato danni ingenti alle persone offese, il cui accertamento ha richiesto fatica ed energie a causa di indagini complicate e più gradi di giudizio, e vedere tutto azzerato a causa dello scorrere del tempo. Sull'altro piatto della bilancia vi è l'esigenza di ogni accusato di concludere in tempi accettabili la propria posizione processuale, soprattutto se innocente;
              la disciplina della prescrizione e stata notevolmente modificata con la legge n.  3/2019, cosiddetto «spazza-corrotti», entrata in vigore il 1o gennaio 2020, che ha sancito, fra l'altro, la sospensione del termine di prescrizione «dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o della irrevocabilità del decreto di condanna»;
              le risente su una tale inaccettabile riforma, sono state sollevate sulla scorta di considerazioni obiettive e dati statistici; il 70 per cento dei procedimenti penali che si definiscono in Italia con la prescrizione sono ancora nella fase delle indagini preliminari e poiché la citata legge non incide in tale fase, essa si mostra inutile in più dei 2/3 dei casi di prescrizione; nel restante 30 per cento dei casi, i termini di prescrizione maturano fra la decisione di primo grado e quella di appello, mentre in percentuale irrilevante (poco più dell'1 per cento) in Cassazione;
              secondo i dati (riferiti dal periodo 1/07/2018-30/06/2019) riportati dalla Relazione sull'amministrazione della Giustizia in Italia del Primo Presidente della Cassazione, la durata media dei processi in appello in Italia è di 2 anni, 3 mesi e 20 giorni, e in questo grado si prescrive il 25 per cento dei processi;
              tutto ciò avrebbe imposto di cancellare il regime della legge n.  3/2019, prima ancora che sia pienamente operativo; invece, si è deciso di «salvare» la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia essa di condanna che di assoluzione (articolo 2, comma 1), introducendo, però, un correttivo, ovvero l'improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, individuati rispettivamente in 2 anni per l'appello e un anno per il giudizio di cassazione: la mancata definizione del giudizio entro tali termini comporta la declaratoria di improcedibilità dell'azione penale (articolo 2, commi 2-6);
              i termini di durata dei giudizi di impugnazione possono essere prorogati per alcune fattispecie di reati di particolare allarme sociale, per ragioni inerenti la complessità del giudizio, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;
              secondo quanto denunciato da noti giuristi ed esperti del settore, i primi effetti di questa nuova disciplina saranno che tutti proporranno appello, poiché si confiderà sul decorso del termine biennale, travolgendo un enorme numero di sentenze di condanna e, poiché il nuovo regime di improcedibilità del processo vale per i fatti successivi al 1/01/2020, le corti presumibilmente tratteranno con priorità questi processi, nello sforzo di mantenersi nel biennio, e abbandoneranno, se non tutti, larga parte degli altri giudizi al loro destino;
              in sostanza, l'improcedibilità per le ipotesi di superamento dei termini di due anni ed un anno, avrà l'effetto di vanificare le risorse umane ed economiche investite fino a questo momento, oltreché a frustrare le legittime aspettative di giustizia dei cittadini, con pesanti ricadute in termini di credibilità del sistema-giustizia e di diffusa impunità, responsabilità che non derivano dalla improduttività del personale giudiziario amministrativo e delle forze dell'ordine, nonostante le ormai note carenze di organico;
              la Corte Costituzionale, nell'interpretare il combinato disposto degli articoli 101 e 104 della Costituzione, ha ritenuto, fin dagli albori della propria giurisprudenza, che l'articolo 101, enunciando il principio della indipendenza del singolo giudice, ha inteso indicare che il magistrato nell'esercizio della sua funzione non ha altro vincolo che quello della legge; mentre l'articolo 104 fissa il principio della indipendenza della organizzazione giudiziaria nel suo complesso (Sentenza n.  22/1959),

impegna il Governo:

          a riferire annualmente al Parlamento sull'andamento dei processi alla luce delle disposizioni di cui all'articolo 2, commi 1-6, del disegno di legge in esame, con particolare riguardo:
              a) alle Corti di Appello che riescono a mantenere i tempi di celebrazione dei processi negli standard imposti dalla riforma;
              b) alla quantità di proroghe dei termini di durata massima dei giudizi di impugnazione disposte;
              c) al numero di ricorsi per Cassazione;
          al fine di valutare l'impatto della novella sul processo penale;
          ad adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere una specifica disciplina in materia di rimozione dei capi degli uffici giudiziari che non garantiscono l'efficiente organizzazione degli affari giudiziari negli uffici da loro diretti.
9/2435-A/41. Varchi, Maschio.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame dell'A.C. 2435-A «Delega al Governo per l'efficienza del procedimento penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le Corti di Appello»;
              all'articolo 1, con l'approvazione degli emendamenti del Governo, è stato esplicitato meglio il contenuto del provvedimento; la delega al Governo, è concessa, a norma dell'articolo 76 Cost. per la modifica del codice di procedura penale; delle norme di attuazione del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale nonché delle disposizioni dell'ordinamento giudiziario in materia di progetti organizzativi delle procure della Repubblica; per l'introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa; per l'introduzione di una disciplina organica dell'ufficio per il processo penale; per la revisione del regime sanzionatorio dei reati;
              appare necessario intervenire per modificare la disciplina sanzionatoria relativa ai reati ambientali, alla luce dei gravissimi incendi, di natura dolosa, che hanno colpito vaste estensioni di territorio nel nostro paese;
              negli ultimi quarant'anni, gli incendi boschivi hanno distrutto, in media, 107 mila ettari all'anno; tra il 2000 e il 2017, nel bacino del Mediterraneo, gli incendi hanno colpito 8,5 milioni di ettari, una superficie pari a circa tre volte e mezzo la Sardegna; secondo le stime di Coldiretti su dati del Dipartimento della Protezione civile oltre il 60 per cento degli incendi è di natura dolosa;
              i danni all'ambiente, all'agricoltura, al lavoro e al turismo sono incalcolabili,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di provvedere, in sede di attuazione di esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, in riferimento alla revisione del regime sanzionatorio dei reati, affinché siano inasprite le pene per i reati in materia di disastro ambientale, con particolare riguardo ai reati di incendio boschivo, anche alla luce dei preoccupanti cambiamenti climatici;
          a valutare altresì l'opportunità di potenziare, mediante successivi e ulteriori provvedimenti di natura legislativa o regolamentare, durante i periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi dichiarati dalle regioni, misure rafforzate su tutto il territorio nazionale per le attività di controllo e prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi che procurano danni irreversibili all'ambiente, alle persone e alle attività economiche.
9/2435-A/42. Biancofiore.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame dell'A.C. 2435-A «Delega al Governo per l'efficienza del procedimento penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le Corti di Appello»;
              all'articolo 1, con l'approvazione degli emendamenti del Governo, è stato esplicitato meglio il contenuto del provvedimento; la delega al Governo, è concessa, a norma dell'articolo 76 Cost. per la modifica del codice di procedura penale; delle norme di attuazione del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale nonché delle disposizioni dell'ordinamento giudiziario in materia di progetti organizzativi delle procure della Repubblica; per l'introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa; per l'introduzione di una disciplina organica dell'ufficio per il processo penale; per la revisione del regime sanzionatorio dei reati;
              appare necessario intervenire per modificare la disciplina sanzionatoria relativa ai reati ambientali, alla luce dei gravissimi incendi, di natura dolosa, che hanno colpito vaste estensioni di territorio nel nostro paese;
              negli ultimi quarant'anni, gli incendi boschivi hanno distrutto, in media, 107 mila ettari all'anno; tra il 2000 e il 2017, nel bacino del Mediterraneo, gli incendi hanno colpito 8,5 milioni di ettari, una superficie pari a circa tre volte e mezzo la Sardegna; secondo le stime di Coldiretti su dati del Dipartimento della Protezione civile oltre il 60 per cento degli incendi è di natura dolosa;
              i danni all'ambiente, all'agricoltura, al lavoro e al turismo sono incalcolabili,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di individuare soluzioni per la definizione dei procedimenti che abbiano ad oggetto gravi reati ambientali.
9/2435-A/42.    (Testo modificato nel corso della seduta) Biancofiore.


      La Camera,
          premesso che:
              con la legge 67/14 veniva inserito, all'interno delle disposizioni del codice penale disciplinanti le modalità di estinzione del reato, l'articolo 168-bis, che prevede la sospensione del reato con messa alla prova dell'imputato;
              tale procedura consente all'imputato che intenda avvalersene di definire alternativamente il procedimento penale, di fatto elidendo le conseguenze negative con la prestazione di un servizio a favore della collettività;
              la procedura ha trovato vasta applicazione e portato alla definizione alternativa di numerosi procedimenti, tanto che il Governo ha proposto una modifica finalizzata ad una maggiore possibilità di accesso, con una proposta emendativa al disegno di legge al nostro esame;
              nel corso dell'esame in Commissione, è stato aggiunto l'articolo 1, comma 22, per il quale «...i decreti legislativi recanti modifiche al codice penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) estendere l'ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato... ad ulteriori specifici reati, puniti con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell'autore, compatibili con l'istituto...»;
              a seguito della modifica, verrebbe così ammesso alla procedura di messa alla prova anche l'imputato per un delitto punito con pena massima sino a 6 anni. Questo ampliamento comporta che, tra i reati astrattamente ricompresi nella nuova formulazione, rientrerebbero anche, per pena edittale, diversi gravi delitti di cui al Libro II, Titolo XI del codice penale, che disciplina i delitti contro la famiglia;
              a mero titolo di esempio, rientrerebbe tra i beneficiari della procedura il genitore autore di maltrattamenti in famiglia ex articolo 572 codice penale. Pare evidente che, nell'ambito dei delitti in ambito familiare, assumono rilievo penale comportamenti di rilevante gravità e disvalore sociale, che non possono essere estinti tramite una procedura che non comporti una sanzione dell'ordinamento nei confronti dell'autore,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nell'esercizio della delega di cui al comma richiamato in premessa, di non includere i delitti di cui al Libro II, Titolo XI del Codice Penale, classificati come reati contro la famiglia, tra gli «ulteriori specifici reati, puniti con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni» che possano essere estinti tramite la sospensione del procedimento ex articolo 168-bis codice penale.
9/2435-A/43. Gagliardi.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» «introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione»;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia; reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti con grave danno per la sicurezza dei cittadini. Si pensi ai reati finanziari, sia quelli disciplinati ai sensi del titolo VIII del Libro II del codice penale quali ad esempio: i reati riguardanti l'usura (articolo 644), il Riciclaggio (articolo 648-bis), l'impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (articolo 648-ter), sia il reato di Aggiotaggio (articolo 2637) contenuto nel libro V del codice civile, nonché i reati di: abusivismo (articolo 166), gestione infedele (articolo 167), confusione di patrimoni (articolo 168), gestione accentrata di strumenti finanziari (articolo 170), ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Consob (articolo 170-bis), irregolare acquisto di azioni (articolo 172) e di falso in prospetto (articolo 173-bis) previsti dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.  58 e successive modificazioni denominato «Testo Unico della Finanza» per il quale si registrano numeri elevati di denunce in tutta la penisola e che con tale previsione di improcedibilità gli autori del reato resterebbero avulsi da qualsivoglia punizione,

impegna il Governo

ad adottare attraverso ulteriori iniziative normative un'integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche i reati precedentemente enunciati e rispettivamente contenuti: nel titolo VIII del Libro II del codice penale, nel Libro V del codice civile e all'interno del Testo Unico della Finanza introdotto dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.  58.
9/2435-A/44. Raduzzi.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame del disegno di legge di delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, A.C. 2435;
              le disposizioni del disegno di legge in esame recano un sistema di misure finalizzate, preminentemente, alla soddisfazione dell'esigenza di velocizzare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione, nonché misure rivolte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato;
              durante l'esame in commissione la riforma in esame ha introdotto anche disposizioni volte all'introduzione di una disciplina organica sulla giustizia riparativa, anche in attuazione di direttive dell'Unione europea;
              l'obiettivo di ottenere un abbattimento significativo dei tempi del processo penale va certamente perseguito potenziando, al massimo, le forme di «diversion», idonee a ridurre la domanda di giustizia: proprio in quest'ottica che il provvedimento in esame, con il comma 22 dell'articolo 1, prevede che i decreti legislativi recanti modifiche al codice penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato: appare però, vieppiù necessario assicurarsi che per reati gravi e particolarmente caratterizzati quali quelli sessuali, tale istituto non possa trovare applicazione;
              Con l'inserimento dell'articolo 344-bis si prevedono inoltre termini di durata massima dei giudizi di impugnazione individuati rispettivamente in 2 anni per l'appello e un anno per il giudizio di Cassazione: la mancata definizione del giudizio entro tali termini comporta la declaratoria di improcedibilità dell'azione penale;
              tuttavia i termini di durata dei giudizi di impugnazione, che sono sospesi negli stessi casi in cui è prevista la sospensione della prescrizione, possono essere prorogati dal giudice che procede per alcune tipologie di reato, tra cui i reati di violenza sessuale ma limitatamente alle fattispecie aggravate di cui agli articoli 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale;
              l'Italia ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul con la legge del 27 giugno 2013, n.  77, che, come hanno opportunamente ricordato le Sezioni Unite delle Cassazione, «è entrata in vigore il 1o agosto 2014, dopo aver raggiunto il numero minimo di Paesi firmatari, è vincolante per il nostro Paese» (cfr. Cass., S.U., 29 gennaio 2016, n.  10959), e infatti l'adeguamento del nostro ordinamento alle disposizioni della Convenzione di Istanbul è iniziato sin da subito, attraverso il decreto-legge n.  93 del 2013, convertito nella legge n.  119 del 2013;
              come si legge nel Rapporto del GREVIO sullo stato di attuazione della Convenzione nel nostro Paese, pubblicato nel gennaio 2020, è oggi quanto mai necessario che si correggano tutte quelle prassi applicative che vittimizzano ulteriormente la donna che denuncia gli abusi subiti e che si proceda all'introduzione di una norma volta a sanzionare le molestie sessuali,

impegna il Governo

a prevedere, nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 22 ad escludere dall'ambito di applicabilità dell'istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell'imputato per tutti i reati a sfondo sessuale, nonché, nell'ambito delle proprie prerogative, a verificare la effettiva e totale esclusione per i medesimi reati dell'estensione della portata applicativa del concordato con rinuncia a motivi di appello dei procedimenti di cui al comma 2 dell'articolo 599-bis del codice di procedura penale, nonché ad ampliare l'ambito applicativo delle norme di cui al nuovo articolo 344-bis del codice penale, prevedendo che i termini di durata dei giudizi di impugnazione possano essere prorogati dal giudice per tutti i reati di violenza sessuale, non solo per le fattispecie aggravate di cui agli articoli 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale.
9/2435-A/45. Boldrini, D'Arrando, Elisa Tripodi, Sarli, Muroni, Lombardo, Ianaro, Spadoni, Bruno Bossio, Ascari, Papiro, Nappi, Villani.


      La Camera,
          premesso che:
              in sede di esame del disegno di legge di delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, A.C. 2435;
              le disposizioni del disegno di legge in esame recano un sistema di misure finalizzate, preminentemente, alla soddisfazione dell'esigenza di velocizzare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione, nonché misure rivolte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato;
              durante l'esame in commissione la riforma in esame ha introdotto anche disposizioni volte all'introduzione di una disciplina organica sulla giustizia riparativa, anche in attuazione di direttive dell'Unione europea;
              l'obiettivo di ottenere un abbattimento significativo dei tempi del processo penale va certamente perseguito potenziando, al massimo, le forme di «diversion», idonee a ridurre la domanda di giustizia: proprio in quest'ottica che il provvedimento in esame, con il comma 22 dell'articolo 1, prevede che i decreti legislativi recanti modifiche al codice penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato: appare però, vieppiù necessario assicurarsi che per reati gravi e particolarmente caratterizzati quali quelli sessuali, tale istituto non possa trovare applicazione;
              Con l'inserimento dell'articolo 344-bis si prevedono inoltre termini di durata massima dei giudizi di impugnazione individuati rispettivamente in 2 anni per l'appello e un anno per il giudizio di Cassazione: la mancata definizione del giudizio entro tali termini comporta la declaratoria di improcedibilità dell'azione penale;
              tuttavia i termini di durata dei giudizi di impugnazione, che sono sospesi negli stessi casi in cui è prevista la sospensione della prescrizione, possono essere prorogati dal giudice che procede per alcune tipologie di reato, tra cui i reati di violenza sessuale ma limitatamente alle fattispecie aggravate di cui agli articoli 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale;
              l'Italia ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul con la legge del 27 giugno 2013, n.  77, che, come hanno opportunamente ricordato le Sezioni Unite delle Cassazione, «è entrata in vigore il 1o agosto 2014, dopo aver raggiunto il numero minimo di Paesi firmatari, è vincolante per il nostro Paese» (cfr. Cass., S.U., 29 gennaio 2016, n.  10959), e infatti l'adeguamento del nostro ordinamento alle disposizioni della Convenzione di Istanbul è iniziato sin da subito, attraverso il decreto-legge n.  93 del 2013, convertito nella legge n.  119 del 2013;
              come si legge nel Rapporto del GREVIO sullo stato di attuazione della Convenzione nel nostro Paese, pubblicato nel gennaio 2020, è oggi quanto mai necessario che si correggano tutte quelle prassi applicative che vittimizzano ulteriormente la donna che denuncia gli abusi subiti e che si proceda all'introduzione di una norma volta a sanzionare le molestie sessuali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di escludere dall'ambito di applicabilità dell'istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell'imputato per tutti i reati a sfondo sessuale.
9/2435-A/45.    (Testo modificato nel corso della seduta) Boldrini, D'Arrando, Elisa Tripodi, Sarli, Muroni, Lombardo, Ianaro, Spadoni, Bruno Bossio, Ascari, Papiro, Nappi, Villani.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame dell'Assemblea prevede disposizioni per riformare e rendere più celere il processo penale. È comunque fondamentale anche tutelare e garantire la persona indagata che potrebbe, alla definizione del processo, risultare non colpevole. Ciò costituisce uno dei principi cardine del processo penale di cui il provvedimento all'esame dell'Assemblea prevede una importante riforma;
              la Costituzione all'articolo 27 prevede la presunzione di non colpevolezza della persona fino a quando non diviene esecutiva la sentenza della Corte di Cassazione. La pubblicazione su tutti gli organi di stampa e di informazione del cosiddetto avviso di garanzia può comportare per la persona indagata gravi ripercussioni sulla sua attività o professione e inevitabili gravi danni sulla sua vita di relazione;
              è fondamentale pertanto, in attuazione dell'articolo 27 della Costituzione, evitare da parte degli organi di stampa e di informazione di «colpevolizzare» la persona che riceve l'avviso di garanzia che, come detto, non costituisce una condanna definitiva, ma al contrario, è uno strumento «informativo» previsto dal codice di procedura penale anche per tutelare il diritto di difesa di cui all'articolo 24 della Costituzione;
              è fondamentale pertanto un intervento normativo del Governo che possa attuare l'articolo 27 della Costituzione impedendo quella che viene definita «giustizia spettacolo» ed esponendo, come detto, l'indagato a gravi ripercussioni sulla sua vita personale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, con un successivo provvedimento legislativo, a dare attuazione all'articolo 27 della Costituzione, per tutelare la persona dell'indagato che riceve un avviso di garanzia e per permettere alla medesima persona di non essere esposta a gravi ripercussioni come evidenziato in premessa.
9/2435-A/46. Tondo.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame reca una serie di deleghe legislative volte, in particolare, anche a riformare le regole processuali del giudizio di appello;
              il nostro sistema delle fonti riconosce rilevanza, anche costituzionale, al doppio grado di giurisdizione di merito, anche in ossequio all'articolo 14, paragrafo 5, della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, trattato cui l'Italia ha dato esecuzione con la legge 25 ottobre 19977, n.  881, e che quindi trova, in forza dell'articolo 117, comma 1, Cost. specifica copertura costituzionale;
              in tal senso andrebbe evitata l'introduzione di ostacoli processuali alla proponibilità dell'appello, al fine di evitare che esigenze – pur meritorie – di accelerazione ed efficienza possano finire con l'inficiare un diritto costituzionalmente garantito all'imputato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare in sede di delega le opportune iniziative legislative necessarie a evitare che l'ammissibilità dell'appello possa dirsi escluda in ragione di una stretta indicazione degli specifici rilievi critici sulle ragioni di fatto e di diritto espresse nel provvedimento e che si ritiene necessario porre all'esame del giudice d'appello, al fine di scongiurare il rischio che il tentativo di assicurare tempi brevi e certi al processo possa arrivare a compromettere la posizione dell'imputato.
9/2435-A/47. Annibali, Vitiello, Giachetti.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge oggetto di esame reca delega al governo per la definizione di misure per l'efficienza del procedimento penale e per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le Corti di Appello;
              tra gli emendamenti approvati del Governo al testo originario, risulta di particolare interesse il nuovo articolo 9-bis, recante norme in materia di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi;
              tali norme sono strettamente connesse al problema del sovraffollamento delle carceri, che da molti anni attanaglia il nostro Paese, tanto da essere altresì oggetto di attenzione da parte delle corti sovranazionali;
              con sentenza 8 gennaio 2013, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha dichiarato incompatibile la situazione carceraria italiana con l'articolo 3 della Convenzione Europea sui diritti dell'uomo (proibizione della tortura e di trattamenti inumani o degradanti), con espresso riferimento al sovraffollamento nelle carceri ed ai disagi che ne derivano;
              la Corte ha considerato il sovraffollamento delle carceri italiane un «problema strutturale e sistemico» ed ha altresì riconosciuto la risarcibilità del danno morale patito dai detenuti in conseguenza di trattamenti carcerari inumani e degradanti;
              dal 2013, anno dalla citata sentenza, il problema non si è certo risolto e, in taluni casi, risulta addirittura aggravato;
              le condizioni delle carceri italiane richiedono un tempestivo ed incisivo intervento di riforma dell'ordinamento penitenziario, accompagnato dall'attuazione di un serio piano di investimenti per il miglioramento e l'ampliamento delle strutture esistenti, nonché per consentire l'utilizzo di istituti penitenziari già ultimati ma non ancora operativi;
              il PNRR prevede del resto uno specifico intervento, al quale sono destinati 80 milioni di euro, finalizzato alla costruzione di nuovi padiglioni di detenzione comprensivi di camere e spazi di riabilitazione ed al miglioramento degli spazi e della qualità della vita carceraria nelle strutture penitenziarie per adulti e minori;
              la necessità di affrontare il tema delle carceri è peraltro tornata in auge in seguito ai gravi fatti registrati presso la casa circondariale di Santa Maria Vetere;
              è pertanto opportuno che il Governo metta il tema delle carceri al vertice della propria agenda,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di considerare il tema delle carceri e della riforma dell'ordinamento penitenziario e della esecuzione penale una priorità della propria azione, provvedendo altresì a dare tempestiva attuazione ai piani di investimento previsti dal PNRR per il miglioramento degli spazi e della qualità della vita carceraria nelle strutture penitenziarie e a consentire l'utilizzo degli istituti penitenziari già ultimati ma non ancora operativi.
9/2435-A/48. Ruffino.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame, concernente «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari», costituisce la prima tappa di un percorso riformatore atteso da anni da cittadini e imprese, che muove dalla necessità di attuare i principi costituzionali e rispettare gli impegni europei in tema di giustizia e di ragionevole durata del processo;
              tra le finalità principali della riforma in oggetto rileva la preminente esigenza di accelerare il processo penale, attraverso una sua deflazione e digitalizzazione, introducendo misure volte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato, potenziando, al contempo, il sistema delle pene alternative al carcere che, in aderenza al principio costituzionale della rieducazione del condannato, può contribuire al calo delle recidive;
              in tale quadro vengono contemperate le diverse esigenze di tutela mediante un'innovativa disciplina sulla prescrizione e l'improcedibilità, volta al superamento dei termini di durata massima dei giudizi di impugnazione, per una sua ragionevole durata – in considerazione del fatto che i processi che non finiscono mai o che impiegano troppo tempo per sentenziare rappresentano anch'essi una forma di impunità e di denegata giustizia;
              il presente testo di riforma mira a stabilire tempi rapidi e certi per giungere a sentenze definitive, garantendo il pieno accertamento dei fatti, superando l'incostituzionale «fine pena mai», introducendo una norma sull'improcedibilità riguardante solo i reati commessi dopo il 1o gennaio 2020, escludendo l'improcedibilità per i reati puniti con l'ergastolo e la previsione di un regime speciale per reati di particolare gravità (associazione di stampo mafioso, terrorismo, violenza sessuale e associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti) per i quali le proroghe possono essere reiterate, e termini più ampi per l'aggravante del metodo mafioso; è previsto per i reati più gravi un'entrata in vigore graduale, con norma transitoria fino al 2024, per dare modo agli uffici di organizzarsi con le nuove regole; per questi reati non c’è un limite al numero di proroghe, il cui rinnovo però va sempre motivato dal giudice sulla base della complessità concreta del processo;
              i tempi di attesa della giustizia in Italia restano ancora tra i più lunghi in Europa, come confermato dal recente rapporto annuale della Commissione Ue sulla giustizia nei paesi membri, uno degli strumenti per monitorare il rispetto dello stato di diritto nell'Unione. Secondo tale report in Italia sono necessari 400 giorni per la soluzione di cause civili, commerciali, amministrative, in primo grado, oltre 500 giorni per l'appello e oltre 1300 giorni per completare il terzo grado; la relazione del Cepej (organo di vigilanza della commissione Ue per l'efficienza della giustizia) mette in evidenza il gap italiano: processi lentissimi (7 anni in media in Italia, 3 anni in Francia), scarsa indipendenza, scarso numero dei giudici, risorse umane insufficienti;
              la riforma della giustizia è dunque premessa indispensabile e imprescindibile per l'utilizzo dei fondi europei, nell'ambito del piano di ripresa e resilienza, con oltre 200 miliardi di fondi in gran parte provenienti dal Next Generation Eu. A tal fine, l'Italia dovrà ridurre la durata delle cause civili del 40 per cento e di quelle penali del 25 per cento, aumentare il numero dei giudici nei tribunali e continuare a lavorare sulle risorse umane, in quanto il nostro Paese ha meno giudici di tutti gli altri paesi membri Ue;
              la lunga durata dei processi, con conseguente incertezza del diritto, ha un impatto diretto e rilevante sull'economia, scoraggiando gli investimenti sia di imprese nazionali che straniere. Nella classifica Doing Business della Banca Mondiale l'Italia si trova al 122esimo posto su 190 paesi, con Germania tredicesima e Francia sedicesima e in questo piazzamento così basso incidono proprio i tempi dei processi, sia civili che penali, e i costi delle controversie;
              in tale direzione il PNRR stima che «una riduzione della durata dei procedimenti civili del 50 per cento e una riduzione dei tempi di definizione delle procedure fallimentari possa accrescere la dimensione media delle imprese manifatturiere italiane di circa il 10 per cento», con conseguenti ricadute positive su aumento del Pil, investimenti e produttività;
              la riforma per l'efficienza del processo penale è accompagnata da alcuni importanti interventi di carattere strutturale in favore degli operatori di giustizia;
              affinché gli obiettivi indicati dalla riforma vengano effettivamente raggiunti, occorre predisporre, anche in sede di esercizio della delega legislativa, talune misure attuative, in parte già individuate nel PNRR, relativamente a concreti investimenti su strutture, risorse umane e misure organizzative, anche con termini perentori di natura organizzativa,

impegna il Governo:

          a prevedere, in sede di attuazione dell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, comma 1, nonché mediante successivi interventi legislativi di natura economico-finanziaria, in aderenza con le finalità e le misure contenute nel presente testo di riforma per l'efficienza del processo penale e i target indicati nel PNRR in tema di giustizia, misure aggiuntive con particolare riguardo a: adeguamento dell'edilizia giudiziaria per sopperire alla mancanza di spazi adeguati; ampliamento delle piante organiche, anche con ulteriori bandi concorso per aumentare il numero di magistrati; proseguire con lo sblocco delle assunzioni per sopperire al sottodimensionamento del personale amministrativo; snellimento di passaggi burocratici che rendono patologici i tempi dei processi, come il trasporto dei fascicoli e il potenziamento del processo telematico;
          a presentare al Parlamento le ulteriori riforme sulla giustizia che, correlate alla riforma del processo penale e del processo civile, sono particolarmente rilevanti per gli operatori economici, con particolare riguardo alla riforma della crisi di imprese.
9/2435-A/49. Pettarin.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame, concernente «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari», costituisce la prima tappa di un percorso riformatore atteso da anni da cittadini e imprese, che muove dalla necessità di attuare i principi costituzionali e rispettare gli impegni europei in tema di giustizia e di ragionevole durata del processo;
              tra le finalità principali della riforma in oggetto rileva la preminente esigenza di accelerare il processo penale, attraverso una sua deflazione e digitalizzazione, introducendo misure volte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato, potenziando, al contempo, il sistema delle pene alternative al carcere che, in aderenza al principio costituzionale della rieducazione del condannato, può contribuire al calo delle recidive;
              in tale quadro vengono contemperate le diverse esigenze di tutela mediante un'innovativa disciplina sulla prescrizione e l'improcedibilità, volta al superamento dei termini di durata massima dei giudizi di impugnazione, per una sua ragionevole durata – in considerazione del fatto che i processi che non finiscono mai o che impiegano troppo tempo per sentenziare rappresentano anch'essi una forma di impunità e di denegata giustizia;
              il presente testo di riforma mira a stabilire tempi rapidi e certi per giungere a sentenze definitive, garantendo il pieno accertamento dei fatti, superando l'incostituzionale «fine pena mai», introducendo una norma sull'improcedibilità riguardante solo i reati commessi dopo il 1o gennaio 2020, escludendo l'improcedibilità per i reati puniti con l'ergastolo e la previsione di un regime speciale per reati di particolare gravità (associazione di stampo mafioso, terrorismo, violenza sessuale e associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti) per i quali le proroghe possono essere reiterate, e termini più ampi per l'aggravante del metodo mafioso; è previsto per i reati più gravi un'entrata in vigore graduale, con norma transitoria fino al 2024, per dare modo agli uffici di organizzarsi con le nuove regole; per questi reati non c’è un limite al numero di proroghe, il cui rinnovo però va sempre motivato dal giudice sulla base della complessità concreta del processo;
              i tempi di attesa della giustizia in Italia restano ancora tra i più lunghi in Europa, come confermato dal recente rapporto annuale della Commissione Ue sulla giustizia nei paesi membri, uno degli strumenti per monitorare il rispetto dello stato di diritto nell'Unione. Secondo tale report in Italia sono necessari 400 giorni per la soluzione di cause civili, commerciali, amministrative, in primo grado, oltre 500 giorni per l'appello e oltre 1300 giorni per completare il terzo grado; la relazione del Cepej (organo di vigilanza della commissione Ue per l'efficienza della giustizia) mette in evidenza il gap italiano: processi lentissimi (7 anni in media in Italia, 3 anni in Francia), scarsa indipendenza, scarso numero dei giudici, risorse umane insufficienti;
              la riforma della giustizia è dunque premessa indispensabile e imprescindibile per l'utilizzo dei fondi europei, nell'ambito del piano di ripresa e resilienza, con oltre 200 miliardi di fondi in gran parte provenienti dal Next Generation Eu. A tal fine, l'Italia dovrà ridurre la durata delle cause civili del 40 per cento e di quelle penali del 25 per cento, aumentare il numero dei giudici nei tribunali e continuare a lavorare sulle risorse umane, in quanto il nostro Paese ha meno giudici di tutti gli altri paesi membri Ue;
              la lunga durata dei processi, con conseguente incertezza del diritto, ha un impatto diretto e rilevante sull'economia, scoraggiando gli investimenti sia di imprese nazionali che straniere. Nella classifica Doing Business della Banca Mondiale l'Italia si trova al 122esimo posto su 190 paesi, con Germania tredicesima e Francia sedicesima e in questo piazzamento così basso incidono proprio i tempi dei processi, sia civili che penali, e i costi delle controversie;
              in tale direzione il PNRR stima che «una riduzione della durata dei procedimenti civili del 50 per cento e una riduzione dei tempi di definizione delle procedure fallimentari possa accrescere la dimensione media delle imprese manifatturiere italiane di circa il 10 per cento», con conseguenti ricadute positive su aumento del Pil, investimenti e produttività;
              la riforma per l'efficienza del processo penale è accompagnata da alcuni importanti interventi di carattere strutturale in favore degli operatori di giustizia;
              affinché gli obiettivi indicati dalla riforma vengano effettivamente raggiunti, occorre predisporre, anche in sede di esercizio della delega legislativa, talune misure attuative, in parte già individuate nel PNRR, relativamente a concreti investimenti su strutture, risorse umane e misure organizzative, anche con termini perentori di natura organizzativa,

impegna il Governo

a valutare nell'ambito dei successivi interventi di natura economico-finanziaria, in aderenza con le finalità e le misure contenute nel presente testo di riforma per l'efficienza del processo penale e i target indicati nel PNRR in tema di giustizia, misure aggiuntive con particolare riguardo a: adeguamento dell'edilizia giudiziaria per sopperire alla mancanza di spazi adeguati; ampliamento delle piante organiche, anche con ulteriori bandi concorso per aumentare il numero di magistrati; proseguire con lo sblocco delle assunzioni per sopperire al sottodimensionamento del personale amministrativo; snellimento di passaggi burocratici che rendono patologici i tempi dei processi, come il trasporto dei fascicoli e il potenziamento del processo telematico.
9/2435-A/49.    (Testo modificato nel corso della seduta) Pettarin.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 9, stabilisce che nell'esercizio della delega di cui al comma 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di indagini preliminari e di udienza preliminare e alle disposizioni dell'ordinamento giudiziario in materia di progetti organizzativi delle procure della Repubblica, sono adottati nel rispetto di determinati principi e criteri direttivi;
              in particolare, la lettera t) dispone che vengano previsti criteri più stringenti ai fini dell'adozione del decreto di riapertura delle indagini di cui all'articolo 414 del codice di procedura penale, che allo stato prevede che il giudice autorizzi la riapertura delle indagini con decreto motivato;
              la giurisprudenza ha chiarito che l'articolo 414 codice di procedure penale non richiede quale condizione necessaria per l'autorizzazione alla riapertura delle indagini che siano già emerse nuove fonti di prova o che siano acquisiti nuovi elementi probatori, essendo invece sufficiente l'esigenza di nuove investigazioni, circostanza quest'ultima che è configurabile anche nel caso in cui si prospetti la rivalutazione, in un'ottica diversa e in base ad un nuovo progetto investigativo, delle precedenti acquisizioni (Cass. pen.  Sez. V Sent., 17/02/2020, n.  13802);
              sulla scorta di tale consolidata e condivisibile giurisprudenza, ermeneuticamente, è evidente come tali criteri più stringenti debbano essere riferiti, da una parte, ai termini di emissione del decreto rispetto alla richiesta formulata dal pubblico ministero e, dall'altra, alla costruzione dell'iter argomentativo della motivazione del decreto stesso,

impegna il Governo

qualora ritenesse di esercitare la delega di cui in premessa, a prevedere termini puntuali per l'adozione del decreto di cui all'articolo 414 del codice di procedura penale, nonché a precisare che la costruzione dell'iter argomentativo della motivazione del medesimo decreto debba avere un adeguato supporto logico-giuridico, anche al fine PREMINENTE di evitare ingiustificate preclusioni all'esercizio dell'azione penale che rischiano di non tutelare adeguatamente le vittime del reato.
9/2435-A/50. Saitta, Sarti, Giuliano, D'Orso.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 9, stabilisce che nell'esercizio della delega di cui al comma 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di indagini preliminari e di udienza preliminare e alle disposizioni dell'ordinamento giudiziario in materia di progetti organizzativi delle procure della Repubblica, sono adottati nel rispetto di determinati principi e criteri direttivi;
              in particolare, la lettera t) dispone che vengano previsti criteri più stringenti ai fini dell'adozione del decreto di riapertura delle indagini di cui all'articolo 414 del codice di procedura penale, che allo stato prevede che il giudice autorizzi la riapertura delle indagini con decreto motivato;
              la giurisprudenza ha chiarito che l'articolo 414 codice di procedure penale non richiede quale condizione necessaria per l'autorizzazione alla riapertura delle indagini che siano già emerse nuove fonti di prova o che siano acquisiti nuovi elementi probatori, essendo invece sufficiente l'esigenza di nuove investigazioni, circostanza quest'ultima che è configurabile anche nel caso in cui si prospetti la rivalutazione, in un'ottica diversa e in base ad un nuovo progetto investigativo, delle precedenti acquisizioni (Cass. pen.  Sez. V Sent., 17/02/2020, n.  13802);
              sulla scorta di tale consolidata e condivisibile giurisprudenza, ermeneuticamente, è evidente come tali criteri più stringenti debbano essere riferiti, da una parte, ai termini di emissione del decreto rispetto alla richiesta formulata dal pubblico ministero e, dall'altra, alla costruzione dell'iter argomentativo della motivazione del decreto stesso,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere termini puntuali per l'adozione del decreto di cui all'articolo 414 del codice di procedura penale precisando che la costruzione dell'iter argomentativo della motivazione del medesimo decreto debba avere un adeguato supporto logico-giuridico.
9/2435-A/50.    (Testo modificato nel corso della seduta) Saitta, Sarti, Giuliano, D'Orso.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame conferisce delega al Governo per l'efficienza del processo penale e per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              in particolare, l'articolo 2, comma 2, introduce l'articolo 344-bis codice di procedura penale, il quale prevede dei termini massimi di durata sia del giudizio di appello sia del giudizio di cassazione, il cui superamento comporta l'improcedibilità dell'azione penale. La medesima disposizione prevede, altresì, che quando il giudizio di impugnazione è particolarmente complesso, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto e di diritto da trattare, i termini di durata sono prorogati, con ordinanza motivata del giudice che procede, per un periodo non superiore a un anno nel giudizio di appello e a sei mesi nel giudizio di cassazione e che ulteriori proroghe, successive alla prima, possano essere disposte, per le medesime ragioni e per la medesima durata, quando si procede per una serie di gravi reati specificatamente individuati dalla norma. Il nuovo articolo 344-bis codice di procedura penale prevede, infine, che contro l'ordinanza che dispone la proroga del termine di durata del giudizio di appello, l'imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione, a pena di inammissibilità, entro cinque giorni dalla lettura dell'ordinanza o dalla sua notificazione, e la Corte di cassazione decide, con rito camerale, entro trenta giorni dalla ricezione degli atti;
              il nuovo meccanismo delineato dalle norme richiamate, aventi peraltro natura immediatamente precettiva, produrrà una prevedibile proliferazione esponenziale dei ricorsi innanzi alla Corte di Cassazione avverso le ordinanze di proroga dei termini nonché avverso le sentenze che definiscono il giudizio di appello che sia stato oggetto di proroga;
              risulta, pertanto, imprescindibile, onde evitare di creare un effetto «collo di bottiglia» presso la Corte di Cassazione che rischierebbe di divenire il vero «anello debole della catena» in cui si consumerebbe la morte di migliaia di processi per improcedibilità dell'azione penale a causa dello sforamento dei termini massimi di durata, l'immediato potenziamento sia dell'organico della magistratura sia del personale amministrativo a supporto dell'attività giurisdizionale con specifico riferimento alla Corte di Cassazione,

impegna il Governo

a prevedere, nel primo provvedimento utile o al più tardi nella prossima legge di bilancio, l'ampliamento della pianta organica dei magistrati da assegnare alla Corte di Cassazione, nonché a verificare la congruità delle unità di personale amministrativo in dotazione alla medesima Corte, al fine di fronteggiare il prevedibile aumento del carico di lavoro che si abbatterà sulla Corte di cassazione a seguito delle nuove disposizioni richiamate in premessa.
9/2435-A/51. D'Orso, Sarti, Saitta, Giuliano.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame conferisce delega al Governo per l'efficienza del processo penale e per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              in particolare, l'articolo 2, comma 2, introduce l'articolo 344-bis codice di procedura penale, il quale prevede dei termini massimi di durata sia del giudizio di appello sia del giudizio di cassazione, il cui superamento comporta l'improcedibilità dell'azione penale. La medesima disposizione prevede, altresì, che quando il giudizio di impugnazione è particolarmente complesso, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto e di diritto da trattare, i termini di durata sono prorogati, con ordinanza motivata del giudice che procede, per un periodo non superiore a un anno nel giudizio di appello e a sei mesi nel giudizio di cassazione e che ulteriori proroghe, successive alla prima, possano essere disposte, per le medesime ragioni e per la medesima durata, quando si procede per una serie di gravi reati specificatamente individuati dalla norma. Il nuovo articolo 344-bis codice di procedura penale prevede, infine, che contro l'ordinanza che dispone la proroga del termine di durata del giudizio di appello, l'imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione, a pena di inammissibilità, entro cinque giorni dalla lettura dell'ordinanza o dalla sua notificazione, e la Corte di cassazione decide, con rito camerale, entro trenta giorni dalla ricezione degli atti;
              il nuovo meccanismo delineato dalle norme richiamate, aventi peraltro natura immediatamente precettiva, produrrà una prevedibile proliferazione esponenziale dei ricorsi innanzi alla Corte di Cassazione avverso le ordinanze di proroga dei termini nonché avverso le sentenze che definiscono il giudizio di appello che sia stato oggetto di proroga;
              risulta, pertanto, imprescindibile, onde evitare di creare un effetto «collo di bottiglia» presso la Corte di Cassazione che rischierebbe di divenire il vero «anello debole della catena» in cui si consumerebbe la morte di migliaia di processi per improcedibilità dell'azione penale a causa dello sforamento dei termini massimi di durata, l'immediato potenziamento sia dell'organico della magistratura sia del personale amministrativo a supporto dell'attività giurisdizionale con specifico riferimento alla Corte di Cassazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di un ampliamento della pianta organica dei magistrati da assegnare alla Corte di Cassazione, nonché a verificare la congruità delle unità di personale amministrativo in dotazione alla medesima Corte, al fine di fronteggiare il prevedibile aumento del carico di lavoro che si abbatterà sulla Corte di cassazione a seguito delle nuove disposizioni richiamate in premessa.
9/2435-A/51.    (Testo modificato nel corso della seduta) D'Orso, Sarti, Saitta, Giuliano.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame conferisce delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale e delle sue norme di attuazione, del codice penale e delle leggi speciali, dell'ordinamento giudiziario per quanto riguarda in particolare i progetti organizzativi delle procure, nonché per riformare il regime sanzionatorio dei reati e per introdurre una disciplina organica della giustizia riparativa, nel testo risultante dalle proposte emendative approvate durante l'esame in sede referente;
              ciò in un'ottica di semplificazione e ai fini dell'efficienza del processo penale e della celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR) inserisce tra gli obiettivi prioritari, nel settore della giustizia, al fine di ridurre la durata dei giudizi, quello di portare a piena attuazione l'Ufficio del processo, stanziando allo scopo 2.342,1 milioni di euro. L'obiettivo principale dell'intervento è offrire un concreto ausilio alla giurisdizione, così da poter determinare un rapido miglioramento della performance degli uffici giudiziari per sostenere il sistema nell'obiettivo dell'abbattimento dell'arretrato e ridurre la durata dei procedimenti civili e penali;
              il Governo, nel PNRR, prevede di realizzare l'obiettivo, in primo luogo, attraverso il potenziamento dello staff del magistrato con professionalità in grado di collaborare in tutte le attività collaterali al giudicare (ricerca, studio, monitoraggio, gestione del ruolo);
              a tal fine, per quanto riguarda la giustizia ordinaria, viene finanziato con 2.300 milioni di euro (Investimento M1-C1-l.3.1) un piano straordinario di assunzioni a tempo determinato per supportare i giudici nell'evasione delle pratiche procedurali pendenti e garantire le necessarie competenze tecniche richieste per affrontare la trasformazione tecnologica e digitale;
              la ratio dell’«Ufficio per il processo», è quella di prevedere una struttura che attribuisca agli addetti specifici compiti di supporto e contributo ai magistrati, coadiuvando uno o più magistrati non solo per quanto riguarda gli atti utili all'esercizio della funzione giudiziaria (studio di fascicoli, giurisprudenza e dottrina; raccolta di precedenti), ma anche con riguardo all'accelerazione dei processi di innovazione tecnologica e per incrementare la capacità produttiva dell'ufficio;
              il decreto-legge n.  80 del 2021, in corso di conversione (AC. 3243) contiene diverse disposizioni volte a realizzare la piena operatività delle strutture organizzative dell'ufficio del processo, secondo quanto previsto nel PNRR e a tal fine:
              autorizza l'assunzione di addetti all'ufficio per il processo: 16.500 unità nell'ambito della giustizia ordinaria, e 326 unità, nell'ambito della giustizia amministrativa (entrambi i contingenti saranno assunti in due scaglioni, con contratto di lavoro a tempo determinato); con riferimento alle procedure assunzionali, nell'ambito della giustizia ordinaria, specifica i titoli richiesti per l'accesso, i profili professionali il trattamento economico; individua altresì i profili professionali per le assunzioni da parte della Giustizia amministrativa; specifica che il servizio prestato con merito al termine del rapporto di lavoro presso l'ufficio del processo costituisce titolo per l'accesso a concorsi e attività professionali (articolo 11);
              una delega per l'istituzione dell'ufficio del processo penale è stata auspicata anche dalla Commissione Lattanzi, che ha sottolineato come «pur a fronte della indicata produzione normativa, questa preziosa struttura organizzativa non ha mai avuto una reale, piena operatività, specialmente in ambito penale, anche in ragione di una confusa delimitazione dei suoi compiti e una farraginosa definizione della sua articolazione soggettiva»;
              per questa ragione si è ritenuto necessario articolare uno specifico punto di delega, allo scopo di incaricare il legislatore delegato di introdurre una compiuta disciplina della struttura organizzativa denominata «ufficio per il processo penale», da istituire presso gli uffici giudiziari; di definire le professionalità che vi debbono essere addette e, soprattutto, di declinarne i compiti;
              in particolare, in materia di ufficio del processo, l'articolo 1, comma 26, stabilisce che nell'esercizio della delega, di cui al comma 1, il decreto o i decreti legislativi recanti disposizioni in materia di ufficio per il processo, istituito presso i tribunali e le corti di appello, siano adottati nel rispetto di alcuni principi e criteri direttivi, tra cui la previsione che all'ufficio per il processo penale negli uffici giudiziari di merito, previa adeguata formazione di carattere teorico-pratico degli addetti alla struttura, siano attribuiti specifici compiti;
              tra le varie funzioni indicate, viene indicata quella di «coadiuvare uno o più magistrati e, sotto la direzione e il coordinamento degli stessi, compiere tutti gli atti preparatori utili per l'esercizio della funzione giudiziaria da parte del magistrato, provvedendo, in particolare, allo studio dei fascicoli e alla preparazione dell'udienza, all'approfondimento giurisprudenziale e dottrinale e alla predisposizione delle minute dei provvedimenti»;
              orbene, si evidenzia che la predisposizione da parte degli addetti all'ufficio del processo delle minute dei provvedimenti si rivela poco opportuna in ordine alle sentenze che definiscono i giudizi, potendo accrescere, in queste ipotesi, il rischio di errori data la delicatezza e complessità di tali sentenze, con conseguente vanificazione del ruolo acceleratorio conferito alla struttura «ufficio del processo», snaturando, altresì, la delicata funzione decisoria attribuita al giudice in ordine alla predisposizione delle sentenze che definiscono i giudizi, in cui si estrinseca la più delicata e complessa attività giurisdizionale e decisoria del giudice che, all'esito del giudizio, deve esprimere il proprio convincimento,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di circoscrivere in sede di esercizio delle deleghe di cui in premessa la portata del richiamo alla «predisposizione delle minute dei provvedimenti», escludendo le sentenze che definiscono i giudizi.
9/2435-A/52. Giuliano, D'Orso, Sarti, Saitta.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 2, commi 2-6, introduce nel codice di procedura penale l'istituto dell'improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione;
              con l'inserimento dell'articolo 344-bis si prevedono termini di durata massima dei giudizi di impugnazione individuati rispettivamente in 2 anni per l'appello e un anno per il giudizio di Cassazione; la mancata definizione del giudizio entro tali termini comporta la declaratoria di improcedibilità dell'azione penale;
              viene altresì previsto che i termini di durata dei giudizi di impugnazione, che sono sospesi negli stessi casi in cui è prevista la sospensione della prescrizione, possono essere prorogati per determinate tipologie di reati;
              in tema di decisione sugli effetti civili nel caso di improcedibilità dell'azione, la lettera b) del comma 2 del citato articolo 2 modifica l'articolo 578 del codice di procedura penale, relativo alla decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione,
              la disposizione prevede che, quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili;
              in particolare, è ampliata la rubrica dell'articolo per inserirvi anche l'ipotesi di decisione sugli effetti civili in caso di improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione;
              viene inserito un nuovo comma 1-bis in base al quale, in caso di condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno in favore della parte civile, seguita da una declaratoria di improcedibilità, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, nel dichiarare improcedibile l'azione penale per il superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione, rinviano per la prosecuzione al giudice civile competente per valore in grado d'appello, che decide valutando le prove acquisite nel processo penale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di coordinare, in sede di attuazione della delega, il nuovo istituto dell'improcedibilità, con l'articolo 578-bis del codice di procedura penale, facendo salvo l'istituto della confisca.
9/2435-A/53. Ferraresi, Sarti, Saitta, Giuliano.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame conferisce delega al Governo per l'efficienza del processo penale e per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              in particolare, in tema di indagini preliminari e udienza preliminare la delega prevede all'articolo 1, comma 9, lettera i), così come riformulata, che gli uffici del pubblico ministero, per garantire l'efficace e uniforme esercizio dell'azione penale, nell'ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo conto anche del numero degli affari da trattare e dell'utilizzo efficiente delle risorse disponibili;
              oltre a ciò, la delega prevede che la procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure della Repubblica debba essere allineata a quella delle tabelle degli uffici giudicanti;
              orbene, a tal riguardo, e in particolare sotto il profilo della semplicità, chiarezza e proprietà della formulazione, si evidenzia come lo stesso Comitato per la legislazione nel formulare il relativo parere, abbia rilevato che andrebbe valutata l'opportunità di specificare meglio la definizione dei criteri di priorità trasparenti e predeterminati da parte degli uffici del pubblico ministero per garantire l'efficace e uniforme esercizio dell'azione penale: tutto ciò, in considerazione dell'estrema delicatezza della materia;
              si ritiene, dunque, opportuno che il Governo nell'esercizio della delega – laddove ritenesse di esercitarla – intervenisse puntualmente per specificare che I criteri di priorità trasparenti e predeterminati al fine di selezionare le notizie di reato sono meri criteri di indirizzo generale, non cogenti, che quindi non possono in alcun modo limitare l'obbligo dell'esercizio dell'azione penale per tutti i reati di qualsiasi natura,

impegna il Governo

qualora ritenesse di esercitare la delega di cui alla lettera i) dell'articolo 3, e in sede di esercizio della medesima a specificare meglio la definizione dei criteri di priorità trasparenti e predeterminati da parte degli uffici del pubblico ministero, al fine di garantire l'efficace e uniforme esercizio dell'azione penale, esplicitando che tali criteri sono meri criteri di indirizzo generale, in quando tali non cogenti, che non possono in alcun modo limitare l'obbligo dell'esercizio dell'azione penale per tutti i reati di qualsiasi natura.
9/2435-A/54. Palmisano, Sarti, Saitta, Giuliano, D'Orso, Alberto Manca.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame conferisce delega al Governo per l'efficienza del processo penale e per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              in particolare, in tema di indagini preliminari e udienza preliminare la delega prevede all'articolo 1, comma 9, lettera i), così come riformulata, che gli uffici del pubblico ministero, per garantire l'efficace e uniforme esercizio dell'azione penale, nell'ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo conto anche del numero degli affari da trattare e dell'utilizzo efficiente delle risorse disponibili;
              oltre a ciò, la delega prevede che la procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure della Repubblica debba essere allineata a quella delle tabelle degli uffici giudicanti;
              orbene, a tal riguardo, e in particolare sotto il profilo della semplicità, chiarezza e proprietà della formulazione, si evidenzia come lo stesso Comitato per la legislazione nel formulare il relativo parere, abbia rilevato che andrebbe valutata l'opportunità di specificare meglio la definizione dei criteri di priorità trasparenti e predeterminati da parte degli uffici del pubblico ministero per garantire l'efficace e uniforme esercizio dell'azione penale: tutto ciò, in considerazione dell'estrema delicatezza della materia;
              si ritiene, dunque, opportuno che il Governo nell'esercizio della delega – laddove ritenesse di esercitarla – intervenisse puntualmente per specificare che I criteri di priorità trasparenti e predeterminati al fine di selezionare le notizie di reato sono meri criteri di indirizzo generale, non cogenti, che quindi non possono in alcun modo limitare l'obbligo dell'esercizio dell'azione penale per tutti i reati di qualsiasi natura,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di specificare la definizione dei criteri di priorità trasparenti e predeterminati da parte degli uffici del pubblico ministero, al fine di garantire l'efficace e uniforme esercizio dell'azione penale.
9/2435-A/54.    (Testo modificato nel corso della seduta) Palmisano, Sarti, Saitta, Giuliano, D'Orso, Alberto Manca.


      La Camera,
          premesso che:
              i reati contro l'ambiente di cui al titolo VI-bis del codice penale, spesso sono collegati a reati «minori» o contravvenzioni funzionali ai reati principali, si veda in proposito il recente caso della WTE: delle quindici persone coinvolte, sei hanno evitato l'arresto in carcere e altri due i domiciliari come avrebbe voluto la Procura bresciana che si è invece vista rigettare la richiesta da parte del GIP, il quale non ha ravvisato la necessità di applicare misure cautelari perché da agosto 2019, l'attività di traffico illecito di rifiuti della azienda bresciana si sarebbe fermata, o quantomeno rallentata, dopo una prima perquisizione dei carabinieri forestali;
              «Dalle tabelle emergono dati impressionanti» scrive il gip nella sua ordinanza che ha portato al sequestro degli impianti. «Nei campioni dei gessi in uscita dall'azienda e in spargimento le sostanze inquinanti (fluoruri, solfati, cloruri, nichel, rame, selenio, arsenico, idrocarburi, zinco, fenolo, metilfenolo e altri) erano decine, se non addirittura centinaia di volte superiori ai parametri di legge». Se effettivamente sarà dimostrato in giudizio che sono state spante 150.000 tonnellate di fanghi tossici su circa 3.000 ettari (e si rammenta che, sempre in Lombardia vi sono stati altri casi del tutto simili nell'anno 2016), viene da domandarsi come sia potuto accadere, senza il corollario di tutta una serie di altri illeciti è omissioni, anche da parte delle autorità preposte ai controlli. Da quanto si legge, vi è stata una ingente movimentazione, su strade e campagne, di oltre 5000 camion carichi di fanghi «tossici» (ed ovviamente altrettanti ritorni vuoti), e già da tempo vi erano state segnalazioni frequentissime di molestie olfattive, da parte di cittadini;
              sono attualmente in corso indagini amministrative per capire quali siano stati i suoli di spandimento (i gessi non erano tracciati in base al decreto legislativo 75/2010) per impedire il consumo umano dei prodotti coltivati in quei terreni;
              la legge 22 maggio 2015 n.  68 ha apportato modifiche significative al codice penale, includendo in esso condotte penalmente rilevanti punite, fino a quella data, solo da leggi speciali. Con l'introduzione nel codice penale di un autonomo titolo (VI-bis) dedicato ai delitti contro l'ambiente, quest'ultimo è assurto al rango di bene giuridico primario, meritevole di tutela autonoma. Di conseguenza è stato modificato il T.U. in materia ambientale ove sono rimaste solo quelle ipotesi che, per la minore intensità dell'offesa, sono state integrate solo come fattispecie contravvenzionali, e tuttavia spesso tali fattispecie sono strettamente funzionali alla commissione di reati ambientali gravi;
              nello specifico, rileva anzitutto il reato di inquinamento ambientale, previsto dall'articolo 452-bis c.p., punito con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da 10.000 a 100.000 euro;
              l'introduzione del reato di disastro ambientale (articolo 452-quater c.p.), che ha codificato la nozione di disastro ambientale frutto di elaborazione giurisprudenziale, è punito con la pena della reclusione da 5 a 15 anni, mentre l'articolo 452-septies c.p. prevede la fattispecie delittuosa dell'impedimento del controllo, ed è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni;
              è stato introdotto anche il reato di omessa bonifica (articolo 452-terdecies c.p.) punito con la pena della reclusione da 1 a 4 anni e della multa da 20.000 a 80.000 euro;
              contestualmente, la citata legge 22 maggio 2015, n.  68, introducendo una modifica al comma 6 dell'articolo 157 c.p., ha determinato il raddoppio dei termini di prescrizione (sia ordinaria sia nel massimo) per tutti i reati di cui al citato capo VI-bis c.p. in sostanza, ne deriva che per tutti i reati introdotti con tale legge, il termine di prescrizione è pari ad anni 12 e fa eccezione il solo disastro ambientale per il quale il termine è pari ad anni 30;
              il decreto legislativo 1 marzo 2018, n.  21 ha introdotto nel corpo dei codice penale l'articolo 452-quaterdecies, recante la previsione del reato di «Attività organizzate illecite per il traffico illecito di rifiuti», punito con la reclusione da 1 a 6 anni, già previsto dall'articolo 260 del Codice dell'ambiente. Tale introduzione è di particolare rilievo, in quanto consente anche al reato in oggetto di fruire del raddoppio dei termini di prescrizione;
              con riferimento al decreto legislativo 3 aprile 2006,152, residuano ai suo interno tutti reati di matrice contravvenzionale, il cui termine prescrizionale è, pertanto, pari ad anni 4 – max anni 5. Rileva, infine, il reato contravvenzionale di cui all'articolo 181 della legge 22 gennaio 2004, n.  42, che punisce il cd. abuso paesaggistico con la pena. Il termine di prescrizione è pertanto pari ad anni 4 – max anni 5;
              i termini di prescrizione sono calcolati sulla base dell'articolo 157 c.p., in base al quale «La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria». Tale articolo va letto in combinato con l'articolo 161, comma 2, in base al quale «Salvo che si proceda per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l'interruzione della prescrizione può comportare l'aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere»;
              la modifica introdotta con legge 3 del 2019 prevedeva l'applicabilità della nuova disciplina ai reati commessi a partire dal 1o gennaio 2020: in armonia con tale disposizione, anche le norme sulla procedibilità in appello e in Cassazione sono applicabili ai reati commessi a partire da tale data;
              ne consegue che, per i reati commessi precedentemente, l'intero sistema processuale (e sostanziale, guardando alla prescrizione) rimane inalterato: con la probabile conseguenza che i delitti ambientali – specialmente per quelli il cui termine di prescrizione è raddoppiato – proseguiranno secondo un percorso il cui termine rimane congruo rispetto ad una conclusione nel merito del processo, mentre i reati contravvenzionali – ed il delitto di cui all'articolo 635, comma 2, c.p. – continueranno a soffrire del forte rischio di prescrizione, non potendosi giovare della normativa di favore in oggetto;
              i reati ambientali perseguiti secondo la legge n.  68/2015 vedono ora oltre 4.000 indagini in corso in Italia, in molti casi con istruttorie complesse in corso e in altri casi si è assistito alla conciliazione viste le possibilità offerte dal codice. Non è ancora chiaro quel che succede durante la fase di appello in termini temporali e tecnici, molte cause possono essere definite «pilota» e non si può escludere il ricorso a supplementi di istruttoria anche in fase di appello;
              in linea teorica la possibilità di giungere all'improcedibilità in appello potrebbe costituire una strategia difensiva e disincentivare anche le attuali conciliazioni;
              l'attuale riforma prevede un monitoraggio dell'andamento dei processi e il relativo rendiconto, così come l'interruzione dei termini in caso di supplementi istruttori prevede una fase transitoria fino a fine 2024;
              la stragrande maggioranza degli ecoreati non è compiuta in un contesto mafioso,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di estendere attraverso ulteriori iniziative normative i termini per arrivare all'improcedibilità anche ai reati ambientali di cui alla 22 maggio 2015, n.  68 e ai reati accessori ai delitti contro l'ambiente in un quadro complessivo, considerandoli come gravi, quando siano funzionali a fatti più gravi;
          a valutare l'opportunità di eseguire uno specifico monitoraggio dell'andamento processuale degli ecoreati (legge 68/2015) con rendiconto puntuale alle Commissioni parlamentari permanenti e d'inchiesta competenti anche in relazione alla valutazione di eventuali modifiche dei termini di improcedibilità.
9/2435-A/55. Zolezzi, Maraia, Daga, D'Ippolito, Deiana, Di Lauro, Licatini, Terzoni, Varrica, Vianello, Traversi, Sarti, Saitta, Giuliano, D'Orso, Spadoni, Gallo, Muroni, Lombardo, Villani, Nappi.


      La Camera,
          premesso che:
              i reati contro l'ambiente di cui al titolo VI-bis del codice penale, spesso sono collegati a reati «minori» o contravvenzioni funzionali ai reati principali, si veda in proposito il recente caso della WTE: delle quindici persone coinvolte, sei hanno evitato l'arresto in carcere e altri due i domiciliari come avrebbe voluto la Procura bresciana che si è invece vista rigettare la richiesta da parte del GIP, il quale non ha ravvisato la necessità di applicare misure cautelari perché da agosto 2019, l'attività di traffico illecito di rifiuti della azienda bresciana si sarebbe fermata, o quantomeno rallentata, dopo una prima perquisizione dei carabinieri forestali;
              «Dalle tabelle emergono dati impressionanti» scrive il gip nella sua ordinanza che ha portato al sequestro degli impianti. «Nei campioni dei gessi in uscita dall'azienda e in spargimento le sostanze inquinanti (fluoruri, solfati, cloruri, nichel, rame, selenio, arsenico, idrocarburi, zinco, fenolo, metilfenolo e altri) erano decine, se non addirittura centinaia di volte superiori ai parametri di legge». Se effettivamente sarà dimostrato in giudizio che sono state spante 150.000 tonnellate di fanghi tossici su circa 3.000 ettari (e si rammenta che, sempre in Lombardia vi sono stati altri casi del tutto simili nell'anno 2016), viene da domandarsi come sia potuto accadere, senza il corollario di tutta una serie di altri illeciti è omissioni, anche da parte delle autorità preposte ai controlli. Da quanto si legge, vi è stata una ingente movimentazione, su strade e campagne, di oltre 5000 camion carichi di fanghi «tossici» (ed ovviamente altrettanti ritorni vuoti), e già da tempo vi erano state segnalazioni frequentissime di molestie olfattive, da parte di cittadini;
              sono attualmente in corso indagini amministrative per capire quali siano stati i suoli di spandimento (i gessi non erano tracciati in base al decreto legislativo 75/2010) per impedire il consumo umano dei prodotti coltivati in quei terreni;
              la legge 22 maggio 2015 n.  68 ha apportato modifiche significative al codice penale, includendo in esso condotte penalmente rilevanti punite, fino a quella data, solo da leggi speciali. Con l'introduzione nel codice penale di un autonomo titolo (VI-bis) dedicato ai delitti contro l'ambiente, quest'ultimo è assurto al rango di bene giuridico primario, meritevole di tutela autonoma. Di conseguenza è stato modificato il T.U. in materia ambientale ove sono rimaste solo quelle ipotesi che, per la minore intensità dell'offesa, sono state integrate solo come fattispecie contravvenzionali, e tuttavia spesso tali fattispecie sono strettamente funzionali alla commissione di reati ambientali gravi;
              nello specifico, rileva anzitutto il reato di inquinamento ambientale, previsto dall'articolo 452-bis c.p., punito con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da 10.000 a 100.000 euro;
              l'introduzione del reato di disastro ambientale (articolo 452-quater c.p.), che ha codificato la nozione di disastro ambientale frutto di elaborazione giurisprudenziale, è punito con la pena della reclusione da 5 a 15 anni, mentre l'articolo 452-septies c.p. prevede la fattispecie delittuosa dell'impedimento del controllo, ed è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni;
              è stato introdotto anche il reato di omessa bonifica (articolo 452-terdecies c.p.) punito con la pena della reclusione da 1 a 4 anni e della multa da 20.000 a 80.000 euro;
              contestualmente, la citata legge 22 maggio 2015, n.  68, introducendo una modifica al comma 6 dell'articolo 157 c.p., ha determinato il raddoppio dei termini di prescrizione (sia ordinaria sia nel massimo) per tutti i reati di cui al citato capo VI-bis c.p. in sostanza, ne deriva che per tutti i reati introdotti con tale legge, il termine di prescrizione è pari ad anni 12 e fa eccezione il solo disastro ambientale per il quale il termine è pari ad anni 30;
              il decreto legislativo 1 marzo 2018, n.  21 ha introdotto nel corpo dei codice penale l'articolo 452-quaterdecies, recante la previsione del reato di «Attività organizzate illecite per il traffico illecito di rifiuti», punito con la reclusione da 1 a 6 anni, già previsto dall'articolo 260 del Codice dell'ambiente. Tale introduzione è di particolare rilievo, in quanto consente anche al reato in oggetto di fruire del raddoppio dei termini di prescrizione;
              con riferimento al decreto legislativo 3 aprile 2006,152, residuano ai suo interno tutti reati di matrice contravvenzionale, il cui termine prescrizionale è, pertanto, pari ad anni 4 – max anni 5. Rileva, infine, il reato contravvenzionale di cui all'articolo 181 della legge 22 gennaio 2004, n.  42, che punisce il cd. abuso paesaggistico con la pena. Il termine di prescrizione è pertanto pari ad anni 4 – max anni 5;
              i termini di prescrizione sono calcolati sulla base dell'articolo 157 c.p., in base al quale «La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria». Tale articolo va letto in combinato con l'articolo 161, comma 2, in base al quale «Salvo che si proceda per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l'interruzione della prescrizione può comportare l'aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere»;
              la modifica introdotta con legge 3 del 2019 prevedeva l'applicabilità della nuova disciplina ai reati commessi a partire dal 1o gennaio 2020: in armonia con tale disposizione, anche le norme sulla procedibilità in appello e in Cassazione sono applicabili ai reati commessi a partire da tale data;
              ne consegue che, per i reati commessi precedentemente, l'intero sistema processuale (e sostanziale, guardando alla prescrizione) rimane inalterato: con la probabile conseguenza che i delitti ambientali – specialmente per quelli il cui termine di prescrizione è raddoppiato – proseguiranno secondo un percorso il cui termine rimane congruo rispetto ad una conclusione nel merito del processo, mentre i reati contravvenzionali – ed il delitto di cui all'articolo 635, comma 2, c.p. – continueranno a soffrire del forte rischio di prescrizione, non potendosi giovare della normativa di favore in oggetto;
              i reati ambientali perseguiti secondo la legge n.  68/2015 vedono ora oltre 4.000 indagini in corso in Italia, in molti casi con istruttorie complesse in corso e in altri casi si è assistito alla conciliazione viste le possibilità offerte dal codice. Non è ancora chiaro quel che succede durante la fase di appello in termini temporali e tecnici, molte cause possono essere definite «pilota» e non si può escludere il ricorso a supplementi di istruttoria anche in fase di appello;
              in linea teorica la possibilità di giungere all'improcedibilità in appello potrebbe costituire una strategia difensiva e disincentivare anche le attuali conciliazioni;
              l'attuale riforma prevede un monitoraggio dell'andamento dei processi e il relativo rendiconto, così come l'interruzione dei termini in caso di supplementi istruttori prevede una fase transitoria fino a fine 2024;
              la stragrande maggioranza degli ecoreati non è compiuta in un contesto mafioso,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di individuare soluzioni per la definizione dei procedimenti che abbiano ad oggetto gravi reati ambientali.
9/2435-A/55.    (Testo modificato nel corso della seduta) Zolezzi, Maraia, Daga, D'Ippolito, Deiana, Di Lauro, Licatini, Terzoni, Varrica, Vianello, Traversi, Sarti, Saitta, Giuliano, D'Orso, Spadoni, Gallo, Muroni, Lombardo, Villani, Nappi.


      La Camera,
          premesso che:
              la disposizione di cui all'articolo 1, comma 13, lettera o), introdotta in sede referente, è volta a disciplinare l'esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo;
              a tal fine il Governo dovrà: introdurre un mezzo di impugnazione straordinario davanti alla Corte di Cassazione, al fine di dare esecuzione alle sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell'uomo, proponibile dal soggetto che abbia presentato il ricorso, entro un termine perentorio; attribuire alla Corte il potere di adottare i provvedimenti necessari e disciplinare l'eventuale procedimento successivo; coordinare il rimedio con quello della rescissione del giudicato, e con l'incidente di esecuzione di cui all'articolo 670 del codice di procedura penale;
              la norma suddetta manifesta profili di criticità, in considerazione dell'orientamento recente della Corte di cassazione, che ha evidenziato nella pronuncia del 6 luglio 2017, in merito al caso Contrada, il rischio connesso alla introduzione di meccanismi che vadano a scardinare i giudicati definitivi della nostra giurisdizione;
              ai sensi dell'articolo 46, paragrafo 1 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu), gli Stati aderenti alla Convenzione si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte, nelle controversie nelle quali siano parti. La giurisprudenza più moderna della Corte Edu è consolidata nell'affermare che non è più sufficiente garantire un'equa soddisfazione pecuniaria alla parte lesa, ai sensi dell'articolo 41 Cedu, ma è necessario che lo Stato elimini, per quanto possibile, le conseguenze pregiudizievoli della violazione riscontrata;
              ne consegue che la Corte europea sempre più spesso si spinge fino ad indicare allo Stato convenuto le misure che essa ritiene necessarie per eliminare la violazione; ciò implica, secondo l'impostazione prevalente in dottrina e giurisprudenza, l'insorgenza in testa al giudice nazionale dell'obbligo di dare esecuzione alla sentenza europea;
              il rispetto del meccanismo di integrazione nel nostro ordinamento delle disposizioni convenzionali, così come interpretate dalla Corte EDU, rileva nel recente caso Contrada, avente ad oggetto la violazione dell'articolo 7 Cedu, sotto il profilo della non prevedibilità della fattispecie del concorso esterno in associazione;
              in tale occasione, la prima sezione della Suprema Corte Cassazione del 6 luglio 2017, ha accolto il ricorso proposto dal difensore di Bruno Contrada, annullando senza rinvio, la precedente ordinanza con cui la Corte di appello di Palermo aveva dichiarato inammissibile la richiesta di revoca, ex articolo 673 del codice di procedura penale, della condanna contro di lui pronunciata per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa;
              con orientamento contrario, il 21 gennaio 2021, la quarta sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato, con rinvio, l'ordinanza della Corte d'appello di Palermo che aveva riconosciuto a Bruno Contrada la riparazione per ingiusta detenzione, quantificandola in 667 mila euro. Il risarcimento per ingiusta detenzione era stato disposto dalla Corte d'appello di Palermo, alla luce della richiamata sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che aveva riconosciuto l'ineseguibilità della sua condanna a 10 anni per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che all'epoca dei fatti non era sufficientemente definito con chiarezza dalla giurisprudenza;
              i giudici della Cassazione hanno dunque accolto il ricorso del sostituto procuratore generale di Palermo Carlo Marzella il quale aveva sostenuto che a Contrada non spettasse il risarcimento perché il carcere non sarebbe stato «ingiusto»;
              nell'ambito del sistema penale, i rapporti intercorrenti tra l'ordinamento nazionale e il diritto dell'Unione assumono caratteri peculiari in ragione della assenza, a norma dei Trattati, di competenza legislativa diretta in materia penale da parte dell'Unione europea e della mancanza di armonizzazione delle norme penali tra gli Stati membri. In via di principio, la legislazione penale e le norme di procedura penale restano di competenza degli Stati membri, in virtù del principio costituzionale della riserva assoluta di legge dettato di cui all'articolo 25 della Costituzione, che si pone come finalità primaria quella di tutelare la garanzia democratica nel processo di formazione delle norme penali riservando al Parlamento, quale organo rappresentativo della volontà dei cittadini, la scelta dei fatti costituenti reato;
              con l'introduzione della citata disposizione, si farebbe una concessione a tanti pregiudicati per mafia e per concorso esterno che potrebbero, come accaduto più volte in passato, aggirare accertamenti compiuti nell'ambito di giudizi celebrati in Italia, nel doveroso rispetto delle procedure stabilite dall'ordinamento italiano;
              lo Stato italiano è obbligato ad indennizzare, nonché a dare attuazione al dispositivo delle sentenze Cedu, in base ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato;
              questo nuovo mezzo di impugnazione di fronte alla Cassazione non può assolutamente servire per mettere in discussione le motivazioni delle sentenze passate in giudicato in Italia,

impegna il Governo

a considerare, in sede di esercizio della delega di cui in premessa, come finalità di questo mezzo di impugnazione straordinario l'esclusiva attuazione del dispositivo delle sentenze Cedu, nel pieno rispetto delle motivazioni delle pronunce passate in giudicato nell'ordinamento italiano.
9/2435-A/56. Sarti, Saitta, Giuliano, D'Orso.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame conferisce delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale e delle sue norme di attuazione, del codice penale e delle leggi speciali, dell'ordinamento giudiziario per quanto riguarda in particolare i progetti organizzativi delle procure, nonché per riformare il regime sanzionatorio dei reati e per introdurre una disciplina organica della giustizia riparativa, nel testo risultante dalle proposte emendative approvate durante l'esame in sede referente;
              ciò in un'ottica di semplificazione e ai fini dell'efficienza del processo penale e della celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              in particolare, in tema di indagini preliminari e udienza preliminare la delega prevede alla lettera q) del comma 9 dell'articolo 1 che il giudice, su richiesta motivata dell'interessato, accerti la tempestività dell'iscrizione nel
              registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale della notizia di reato e del norme della persona alla quale lo stesso è attribuito e la retrodati nel caso di ingiustificato e inequivocabile ritardo;
              nell'esercizio della delega, inoltre, il Governo dovrà prevedere un termine a pena di inammissibilità per la proposizione della richiesta, a decorrere dalla data in cui l'interessato ha facoltà di prendere visione degli atti che imporrebbero l'anticipazione dell'Iscrizione della notizia a suo carico, nonché prevedere che, a pena di inammissibilità dell'istanza, l'interessato che chiede la retrodatazione dell'iscrizione della notizia di reato abbia l'onere di indicare le ragioni che sorreggono la richiesta;
              orbene, al riguardo si rileva che già in sede di audizione è emerso il rischio che tale sistema – così come declinato – ben potrebbe essere utilizzato strumentalmente per paralizzare l'attività processuale, soprattutto in caso di processi particolarmente complessi;
              anche il Comitato per la legislazione, nell'esprimere il parere sul provvedimento, ha rilevato che andrebbero meglio precisate le modalità di accertamento della data di effettiva acquisizione della notizia di reato;
              si ritiene, dunque, opportuno che il Governo nell'esercizio della delega – laddove ritenesse di esercitarla – intervenisse puntualmente per evitare un uso strumentale di tale sistema al sol fine di paralizzare l'attività processuale,

impegna il Governo

qualora ritenesse di esercitare la delega di cui alla lettera q) del comma 9 dell'articolo 1, a prevedere strumenti utili ad impedire un uso strumentale dei meccanismi suddetti al mero fine di paralizzare l'attività processuale, nonché ad evitare che le previsioni della delega confliggano con le esigenze di celerità del processo penale e, quindi, con la ratio stessa della norma.
9/2435-A/57. Perantoni, Sarti, Saitta, Giuliano, D'Orso.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame conferisce delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale e delle sue norme di attuazione, del codice penale e delle leggi speciali, dell'ordinamento giudiziario per quanto riguarda in particolare i progetti organizzativi delle procure, nonché per riformare il regime sanzionatorio dei reati e per introdurre una disciplina organica della giustizia riparativa, nel testo risultante dalle proposte emendative approvate durante l'esame in sede referente;
              ciò in un'ottica di semplificazione e ai fini dell'efficienza del processo penale e della celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              in particolare, in tema di indagini preliminari e udienza preliminare la delega prevede alla lettera q) del comma 9 dell'articolo 1 che il giudice, su richiesta motivata dell'interessato, accerti la tempestività dell'iscrizione nel
              registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale della notizia di reato e del norme della persona alla quale lo stesso è attribuito e la retrodati nel caso di ingiustificato e inequivocabile ritardo;
              nell'esercizio della delega, inoltre, il Governo dovrà prevedere un termine a pena di inammissibilità per la proposizione della richiesta, a decorrere dalla data in cui l'interessato ha facoltà di prendere visione degli atti che imporrebbero l'anticipazione dell'Iscrizione della notizia a suo carico, nonché prevedere che, a pena di inammissibilità dell'istanza, l'interessato che chiede la retrodatazione dell'iscrizione della notizia di reato abbia l'onere di indicare le ragioni che sorreggono la richiesta;
              orbene, al riguardo si rileva che già in sede di audizione è emerso il rischio che tale sistema – così come declinato – ben potrebbe essere utilizzato strumentalmente per paralizzare l'attività processuale, soprattutto in caso di processi particolarmente complessi;
              anche il Comitato per la legislazione, nell'esprimere il parere sul provvedimento, ha rilevato che andrebbero meglio precisate le modalità di accertamento della data di effettiva acquisizione della notizia di reato;
              si ritiene, dunque, opportuno che il Governo nell'esercizio della delega – laddove ritenesse di esercitarla – intervenisse puntualmente per evitare un uso strumentale di tale sistema al sol fine di paralizzare l'attività processuale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere strumenti utili ad evitare che le previsioni della delega confliggano con le esigenze di celerità del processo penale.
9/2435-A/57.    (Testo modificato nel corso della seduta) Perantoni, Sarti, Saitta, Giuliano, D'Orso.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge, all'esame dell'assemblea, reca la delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              in generale, le disposizioni del disegno di legge, così come modificato dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati, sono riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza di accelerare il processo penale, anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione. Tra le misure, alcune sono rivolte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato;
              ebbene, queste misure abbisognano di alcune modifiche finalizzate alla tutela della vittima del reato di pornografia minorile prevedendo l'applicazione della disciplina delle intercettazioni anche per le condotte delittuose commesse da chi si procura o detiene immagini realizzate sfruttando i minori nell'ambito del reato di pornografia minorile, visto che ad oggi si può ricorrere allo strumento, delle intercettazioni solo nel caso della condotta delittuosa di chi produce materiale pedopornografico, nonostante entrambe le condotte siano ugualmente offensive del bene giuridico dell'integrità fisica e psichica del minore. Il bene giuridico tutelato è da rintracciare nell'importante diritto fondamentale a una crescita, a un'educazione e a uno sviluppo armoniosi, che sostanzialmente si identifica nel diritto a un libero e naturale sviluppo della persona che il Legislatore deve saper tutelare pienamente;
              tali modifiche si appalesano necessarie per potenziare gli strumenti ad oggi previsti dal nostro ordinamento giuridico contro la strumentalizzazione dei minorenni a fini sessuali, e consentire una lotta più efficace al fenomeno degli abusi sui minori perpetuati Online, fenomeno che solo in Italia, durante l'emergenza Covid-19, ha visto crescere i reati a danno dei minori del 70 per cento l'anno e aumentare del 213 per cento in cinque anni i denunciati, come segnalato recentemente dai vertici della Polizia Postale. Tra questi, proprio ragazzi sempre più giovani, accusati di reati sempre più gravi come il far circolare scatti sessuali di ex-partner, file pornografici e immagini di abusi sessuali su minorenni,

impegna il Governo

a valutare, attraverso gli uffici tecnici del Governo e dei competenti Ministeri, l'opportunità di provvedere – per quanto di propria competenza, con idonee iniziative, ove necessario anche legislative – ad apportare delle modifiche alla normativa vigente prevedendo l'estensione del campo di applicazione della disciplina delle intercettazioni anche per le condotte delittuose commesse da chi si procura o detiene immagini realizzate sfruttando i minori nell'ambito del reato di pornografia minorile, al fine di contrastare in maniera più efficace il grave e preoccupante fenomeno della pornografia minorile a tutela dell'integrità fisica e psichica di ogni soggetto minorenne.
9/2435-A/58. Ascari, Sarti, Saitta, Giuliano, Spadoni, D'Arrando, Elisa Tripodi, Sarli, Villani, Nappi, Papiro.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 25, introduce uno specifico criterio di delega, in base al quale il Governo dovrà prevedere che il decreto di archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione costituiscano titolo per l'emissione di un provvedimento di deindicizzazione che, nel rispetto della normativa europea in materia di dati personali, garantisca in modo effettivo il diritto all'oblio degli indagati o imputati;
              sul «diritto alla deindicizzazione» la giurisprudenza ha recentemente precisato che il diritto di ogni persona all'oblio, strettamente collegato ai diritti alla riservatezza e all'identità personale, deve essere bilanciato con il diritto della collettività all'informazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nell'esercizio della delega suddetta, di individuare dei punti di equilibrio che consentano sempre una valutazione, anche in sede giudiziaria, a tutela della libertà di informazione e di ricerca, costituzionalmente tutelate, nonché a tutela del diritto/dovere dello Stato di conoscere la propria storia.
9/2435-A/59. Salafia, Sarti, Saitta, Giuliano.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 25, introduce uno specifico criterio di delega, in base al quale il Governo dovrà prevedere che il decreto di archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione costituiscano titolo per l'emissione di un provvedimento di deindicizzazione che, nel rispetto della normativa europea in materia di dati personali, garantisca in modo effettivo il diritto all'oblio degli indagati o imputati;
              sul «diritto alla deindicizzazione» la giurisprudenza ha recentemente precisato che il diritto di ogni persona all'oblio, strettamente collegato ai diritti alla riservatezza e all'identità personale, deve essere bilanciato con il diritto della collettività all'informazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nell'esercizio della delega suddetta, di individuare dei punti di equilibrio che consentano sempre una valutazione a tutela della libertà di informazione.
9/2435-A/59.    (Testo modificato nel corso della seduta) Salafia, Sarti, Saitta, Giuliano.


      La Camera,
          premesso che:
              la proposta di riforma in discussione introduce una definizione di «vittima» di reato particolarmente stringente, limitata a una figura soggettiva legata alla individualità della «persona fisica» colpita dal reato;
              di dubbia interpretazione appare, invece, la conseguente circostanza che dalla ridefinizione della «vittima» del reato risulterebbero escluse le «persone giuridiche»;
              non si può non ricordare infatti che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, è sempre stata riconosciuta la legittimazione alla costituzione di parte civile per tutti quegli Enti e le Associazioni che dal reato abbiano ricevuto un danno a un interesse proprio, sempre che l'interesse leso coincida con un diritto reale o comunque con un diritto soggettivo del sodalizio, e quindi anche se offeso sia l'interesse perseguito in, riferimento a una situazione storicamente circostanziata, da esso sodalizio preso a cuore e assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione;
              a tali persone giuridiche è stata riconosciuta è attribuita la qualifica danneggiati dal reato, proprio per distinguerla da quella di soggetto offeso dal reato, tipicamente attribuita alla persona fisica titolare del bene giuridico leso dal reato;
              sul solco di consolidati principi giurisprudenziali, dunque, nel tempo enti locali come regioni, province e comuni, nonché associazioni impegnate nella lotta alla mafia, al racket e all'usura, hanno assunto la buona pratica di costituirsi parte civile nei processi contro la criminalità organizzata, specie di stampo mafioso, assumendo in tali contesti processuali ruoli attivi che, sovente, sono risultati di grande ausilio, e talvolta d'impulso, per l'azione del Pubblico Ministero e per l'accertamento della verità;
              non di rado è accaduto che le costituzioni di parte civili delle associazioni siano state fatte in luogo e con l'accordo della persona fisica-vittima del reato, così da evitare a quest'ultimo la sovraesposizione della costituzione processuale in udienza;
              non c’è dubbio, poi, che la costrizione di parte civile di regioni, provincie e comuni nel cui territorio hanno operato le associazioni mafiose e sono stati commessi i reati fine propri delle stesse, ha assunto nel tempo un altissimo valore simbolico alla comunità dell'Ente stesso, anche nel senso di estraneità e avversione del soggetto che rappresenta tutta la collettività al fenomeno mafioso;
              ove le persone giuridiche – come sopra richiamate – risultassero effettivamente escluse dal novero delle «vittime» del reato è da ciò ne discendesse una impossibilità alla costituzione di parte civile, la riforma finirebbe per relegare al ruolo di spettatori del processo soggetti che fino ad oggi si sono fatti carico della lotta alla criminalità organizzata, cancellando con un colpo di spugna decenni di incontestabili risultati positivi nella lotta alle mafie e ai reati ad essa collegati,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie competenze, a garantire che il diritto alla costituzione di parte civile nel processo penale sia mantenuto non solo per la persona fisica offesa o danneggiata dal reato, ma anche alle persone giuridiche che siano state danneggiate dal reato, intendendosi espressamente per quest'ultime espressamente anche gli Enti e le associazioni che dal reato abbiano ricevuto un danno a un interesse proprio, qualora l'interesse leso coincida con un diritto reale o comunque con un diritto soggettivo del sodalizio.
9/2435-A/60. Miceli, Morani.


      La Camera,
          premesso che:
              la proposta di riforma in discussione introduce una definizione di «vittima» di reato particolarmente stringente, limitata a una figura soggettiva legata alla individualità della «persona fisica» colpita dal reato;
              di dubbia interpretazione appare, invece, la conseguente circostanza che dalla ridefinizione della «vittima» del reato risulterebbero escluse le «persone giuridiche»;
              non si può non ricordare infatti che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, è sempre stata riconosciuta la legittimazione alla costituzione di parte civile per tutti quegli Enti e le Associazioni che dal reato abbiano ricevuto un danno a un interesse proprio, sempre che l'interesse leso coincida con un diritto reale o comunque con un diritto soggettivo del sodalizio, e quindi anche se offeso sia l'interesse perseguito in, riferimento a una situazione storicamente circostanziata, da esso sodalizio preso a cuore e assunto nello statuto a ragione stessa della propria esistenza e azione;
              a tali persone giuridiche è stata riconosciuta è attribuita la qualifica danneggiati dal reato, proprio per distinguerla da quella di soggetto offeso dal reato, tipicamente attribuita alla persona fisica titolare del bene giuridico leso dal reato;
              sul solco di consolidati principi giurisprudenziali, dunque, nel tempo enti locali come regioni, province e comuni, nonché associazioni impegnate nella lotta alla mafia, al racket e all'usura, hanno assunto la buona pratica di costituirsi parte civile nei processi contro la criminalità organizzata, specie di stampo mafioso, assumendo in tali contesti processuali ruoli attivi che, sovente, sono risultati di grande ausilio, e talvolta d'impulso, per l'azione del Pubblico Ministero e per l'accertamento della verità;
              non di rado è accaduto che le costituzioni di parte civili delle associazioni siano state fatte in luogo e con l'accordo della persona fisica-vittima del reato, così da evitare a quest'ultimo la sovraesposizione della costituzione processuale in udienza;
              non c’è dubbio, poi, che la costrizione di parte civile di regioni, provincie e comuni nel cui territorio hanno operato le associazioni mafiose e sono stati commessi i reati fine propri delle stesse, ha assunto nel tempo un altissimo valore simbolico alla comunità dell'Ente stesso, anche nel senso di estraneità e avversione del soggetto che rappresenta tutta la collettività al fenomeno mafioso;
              ove le persone giuridiche – come sopra richiamate – risultassero effettivamente escluse dal novero delle «vittime» del reato è da ciò ne discendesse una impossibilità alla costituzione di parte civile, la riforma finirebbe per relegare al ruolo di spettatori del processo soggetti che fino ad oggi si sono fatti carico della lotta alla criminalità organizzata, cancellando con un colpo di spugna decenni di incontestabili risultati positivi nella lotta alle mafie e ai reati ad essa collegati,

impegna il Governo

nell'ambito delle proprie competenze, a valutare l'opportunità che il diritto alla costituzione di parte civile nel processo penale sia mantenuto non solo per la persona fisica offesa o danneggiata dal reato, ma anche alle persone giuridiche che siano state danneggiate dal reato, intendendosi espressamente per quest'ultime espressamente anche gli Enti e le associazioni che dal reato abbiano ricevuto un danno a un interesse proprio, qualora l'interesse leso coincida con un diritto reale o comunque con un diritto soggettivo del sodalizio.
9/2435-A/60.    (Testo modificato nel corso della seduta) Miceli, Morani.


      La Camera,
          premesso che:
              le disposizioni del disegno di legge sono riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza di accelerare il processo penale dettando principi e criteri direttivi volti a riformare alcuni profili della disciplina in materia di indagini preliminari e udienza preliminare;
              il provvedimento in esame presenta anche l'obiettivo di rafforzare le garanzie dell'indagato e della persona offesa riducendo i momenti di stasi del processo incidendo anche sia sulla durata ordinaria delle indagini che su quella massima;
              nel rapporto fra giustizia e media è necessario trovare un punto di equilibrio tra le necessità investigative e le esigenze di pubblica informazione in occasione di vicende giudiziarie di pubblico interesse, da un lato, e il diritto dei cittadini alla tutela della loro riservatezza, soprattutto quando risultano estranei al procedimento;
              il diritto al rispetto della vita privata e familiare e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee costituiscono, infatti, valori tutelati, oltre che dalla Carta costituzionale (articoli 13 e 15), anche dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (articoli 8 e 10) e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n.  848;
              il diritto di cronaca giudiziaria finalizzato a un controllo democratico sull'amministrazione della giustizia risulta sempre di più destinato a prevalere sugli interessi pubblici e privati coinvolti nelle dinamiche delle indagini processuali;
              un bilanciamento tra il diritto di cronaca giudiziaria e la reputazione può essere raggiunto solo in concreto, ma il vero nodo problematico è la rivelazione dei segreti d'ufficio da parte dei loro autentici custodi, il cui contrasto può essere rafforzato non solo incrementando la repressione penale (autori delle violazioni sono coloro che poi dovrebbero perseguirle) ma, più efficacemente, rompendo i rapporti opachi che si instaurano tra la magistratura e la stampa;
              quando la ricostruzione del fatto è ancora parziale e ipotetica, perché si basa su elementi raccolti unilateralmente dall'accusa e non sottoposti alla verifica dibattimentale o comunque al vaglio di un giudice, tutte le notizie pubblicate che vertono su tale ipotesi sono prive del requisito della verità della notizia, che si può avere soltanto nel momento in cui tali notizie sono sottoposte alla verifica dibattimentale attraverso il contraddittorio delle parti;
              è fondamentale porre limiti alla diffusione da parte dell'autorità giudiziaria, a fini di comunicazione, di filmati contenenti riprese di atti dell'indagine preliminare, quali intercettazioni, videoregistrazioni, fotogrammi, esecuzione di perquisizioni o di misure cautelari, e diffusione di audio di intercettazioni, vietando, altresì, l'attribuzione di una denominazione alle inchieste;
              in materia di segreto investigativo, di divieto di rivelazione e pubblicazione di conversazioni e immagini intercettate, di protezione dei dati personali, di tutela della riservatezza e della libertà e segretezza delle comunicazioni, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, anche in successivi provvedimenti, misure dirette a incentivare la garanzia della segretezza delle indagini tutelando l'indagato.
9/2435-A/61. Vitiello, Annibali, Giachetti.


      La Camera,
          premesso che:
              le disposizioni del disegno di legge sono riconducibili a una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l'esigenza di accelerare il processo penale dettando principi e criteri direttivi volti a riformare alcuni profili della disciplina in materia di indagini preliminari e udienza preliminare;
              il provvedimento in esame presenta anche l'obiettivo di rafforzare le garanzie dell'indagato e della persona offesa riducendo i momenti di stasi del processo incidendo anche sia sulla durata ordinaria delle indagini che su quella massima;
              nel rapporto fra giustizia e media è necessario trovare un punto di equilibrio tra le necessità investigative e le esigenze di pubblica informazione in occasione di vicende giudiziarie di pubblico interesse, da un lato, e il diritto dei cittadini alla tutela della loro riservatezza, soprattutto quando risultano estranei al procedimento;
              il diritto al rispetto della vita privata e familiare e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee costituiscono, infatti, valori tutelati, oltre che dalla Carta costituzionale (articoli 13 e 15), anche dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (articoli 8 e 10) e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n.  848;
              il diritto di cronaca giudiziaria finalizzato a un controllo democratico sull'amministrazione della giustizia risulta sempre di più destinato a prevalere sugli interessi pubblici e privati coinvolti nelle dinamiche delle indagini processuali;
              un bilanciamento tra il diritto di cronaca giudiziaria e la reputazione può essere raggiunto solo in concreto, ma il vero nodo problematico è la rivelazione dei segreti d'ufficio da parte dei loro autentici custodi, il cui contrasto può essere rafforzato non solo incrementando la repressione penale (autori delle violazioni sono coloro che poi dovrebbero perseguirle) ma, più efficacemente, rompendo i rapporti opachi che si instaurano tra la magistratura e la stampa;
              quando la ricostruzione del fatto è ancora parziale e ipotetica, perché si basa su elementi raccolti unilateralmente dall'accusa e non sottoposti alla verifica dibattimentale o comunque al vaglio di un giudice, tutte le notizie pubblicate che vertono su tale ipotesi sono prive del requisito della verità della notizia, che si può avere soltanto nel momento in cui tali notizie sono sottoposte alla verifica dibattimentale attraverso il contraddittorio delle parti;
              è fondamentale porre limiti alla diffusione da parte dell'autorità giudiziaria, a fini di comunicazione, di filmati contenenti riprese di atti dell'indagine preliminare, quali intercettazioni, videoregistrazioni, fotogrammi, esecuzione di perquisizioni o di misure cautelari, e diffusione di audio di intercettazioni, vietando, altresì, l'attribuzione di una denominazione alle inchieste;
              in materia di segreto investigativo, di divieto di rivelazione e pubblicazione di conversazioni e immagini intercettate, di protezione dei dati personali, di tutela della riservatezza e della libertà e segretezza delle comunicazioni, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, anche in successivi provvedimenti, misure dirette a incentivare la garanzia della segretezza delle indagini tutelando l'indagato in attuazione della direttiva 2016/343.
9/2435-A/61.    (Testo modificato nel corso della seduta) Vitiello, Annibali, Giachetti.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce modifiche in materia di prescrizione del reato;
              le previsioni di modifica appaiono monche nella parte in cui, all'articolo 159 del codice penale, non prevedono la sospensione del corso della prescrizione nel momento in cui il soggetto attivo assume la qualità di imputato ai sensi dell'articolo 60 del codice di procedura penale;
              l'esercizio dell'azione penale e il rinvio a giudizio estrinsecano la volontà punitiva dello Stato in ordine ai fatti di reato per i quali si procede, pertanto, non appare logico far decorrere la prescrizione in corso di processo se la pretesa punitiva non è affievolita ovvero venuta meno;
              esperienze di ordinamenti europei dimostrano e confortano il predetto assunto: si pensi alla Francia e alla Spagna dove il termine di prescrizione è interrotto dal compimento di qualsiasi atto di istruzione ovvero accusa;
              non di meno una sospensione così pensata consentirebbe di evitare l'impunità di soggetti dediti alla commissione di reati di maggiore allarme sociale, come quelli finanziari, ambientali, contro la pubblica amministrazione,

impegna il Governo

a prevedere, con un ulteriore provvedimento normativo, l'inserimento della ulteriore causa di sospensione della prescrizione del reato come indicata in premessa.
9/2435-A/62. Corda, Forciniti, Colletti, Cabras, Paolo Nicolò Romano, Trano, Maniero, Testamento, Leda Volpi, Spessotto, Giuliodori, Vallascas, Costanzo, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Suriano, Romaniello, Ehm.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudici di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti favorendo le mafie;
              si pensi ai reati ambientali, in particolare il delitto di inquinamento ambientale che cagiona morte e lesioni, oggetto di molteplici giudizi che vedono un nutrito numero di imputati spesso affiliati a clan, con tale previsione di improcedibilità sarebbero avulsi da qualsivoglia punizione,

impegna il Governo

ad adottare attraverso un ulteriore provvedimento normativo una integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 452-ter del codice penale (morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale).
9/2435-A/63. Romaniello, Sapia, Massimo Enrico Baroni, Costanzo, Vallascas, Giuliodori, Spessotto, Testamento, Maniero, Trano, Corda, Paolo Nicolò Romano, Cabras, Colletti, Forciniti, Suriano, Leda Volpi, Ehm, Siragusa, Muroni, Raduzzi.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudici di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti favorendo le mafie;
              si pensi ai reati ambientali, in particolare il delitto attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti oggetto di molteplici giudizi che vedono un nutrito numero di imputati spesso affiliati a clan, con tale previsione di improcedibilità sarebbero avulsi da qualsivoglia punizione,

impegna il Governo

ad adottare attraverso un ulteriore provvedimento normativo, un'integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 452-quaterdecies del codice penale (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti).
9/2435-A/64. Vallascas, Leda Volpi, Forciniti, Colletti, Cabras, Corda, Paolo Nicolò Romano, Trano, Maniero, Testamento, Spessotto, Giuliodori, Costanzo, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Romaniello, Suriano, Ehm.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti con grave danno per la sicurezza dei cittadini;
              si pensi al reato di furto in abitazione, per il quale si registrano numeri elevati di denunce in tutta la penisola e che con tale previsione di improcedibilità gli autori del reato resterebbero avulsi da qualsivoglia punizione,

impegna il Governo

a introdurre, con un ulteriore provvedimento normativo, un'integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 624-bis del codice penale (furto in abitazione).
9/2435-A/65. Testamento, Vallascas, Leda Volpi, Forciniti, Colletti, Cabras, Corda, Paolo Nicolò Romano, Trano, Maniero, Spessotto, Giuliodori, Costanzo, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Romaniello, Suriano, Ehm.


      La Camera,
          considerato che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudici di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti con grave danno per la sicurezza dei cittadini;
              si pensi al reato di estorsione, soprattutto in forma aggravata, di cui al comma 2 dell'articolo 629 per la quale è prevista la reclusione da sette a venti anni. È chiaro che se il legislatore ha pensato una pena così elevata non può certo dirsi un delitto «bagatellare», anzi, è pacifico ritenere che tale fattispecie di reato sia un c.d. reato spia, delle organizzazioni criminali,

impegna il Governo

a introdurre, con un ulteriore provvedimento normativo, una integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 629, comma 2, del codice penale (estorsione aggravata).
9/2435-A/66. Trano, Vallascas, Leda Volpi, Forciniti, Colletti, Cabras, Corda, Paolo Nicolò Romano, Maniero, Testamento, Spessotto, Giuliodori, Costanzo, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Romaniello, Suriano, Ehm.


      La Camera,
          considerato che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudici di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti con grave danno per la sicurezza dei cittadini;
              si pensi al reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, reato che, peraltro, sovente concorre con i reati fiscali. Ebbene, gli sforzi legislativi atti ad arginare il fenomeno, decisamente usuale, dell'abusiva captazione di finanziamenti ed erogazioni pubbliche verrebbe vanificato dalla dichiarazione di improcedibilità,

impegna il Governo

a introdurre, con un ulteriore provvedimento normativo, una integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 640-bis del codice penale.
9/2435-A/67. Cabras, Forciniti, Colletti, Corda, Paolo Nicolò Romano, Trano, Maniero, Testamento, Leda Volpi, Spessotto, Giuliodori, Vallascas, Costanzo, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Suriano, Romaniello, Ehm.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge all'esame reca Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              il provvedimento, in generale delinea una vasta riforma di settore, sarebbe auspicabile che, anche nell'ambito dell'attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza, si faccia ricorso, per le riforme di settore che si renderanno necessarie in materia di giustizia, a disposizioni puntuali in grado di rifinanziare adeguatamente i settori che ne necessitano;
              tra i tanti ambiti che il Piano nazionale di ripresa e resilienza si propone di rilanciare c’è anche l'edilizia carceraria;
              il fondo complementare del Pnrr prevede risorse per l'edilizia carceraria, in particolare per la costruzione e il miglioramento delle strutture e nello specifico prevede 132,9 milioni di euro, dal 2022 al 2026, per la costruzione e il miglioramento di padiglioni e spazi per le strutture penitenziarie per adulti e minori;
              l'aumento del sovraffollamento dei penitenziari italiani, è stato recentemente segnalato in Parlamento dal Garante dei detenuti Mauro Palma, che ha presentato, alla presenza della ministra Marta Cartabia, la Relazione annuale sulle carceri;
              il problema dell'eccessivo affollamento dei detenuti, così come da più parti evidenziato e anche dalla Guardasigilli è una questione «da affrontare su una pluralità di fronti»,

impegna il Governo

a garantire che la riforma della giustizia passi anche attraverso il potenziamento massivo del sistema di edilizia carcerario, ricorrendo per le riforme di settore che si renderanno necessarie all'attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza.
9/2435-A/68. Galantino, Varchi, Maschio, Vinci, Delmastro Delle Vedove, Lucaselli, Ferro.


      La Camera,
          considerato che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudici di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti mandando in fumo quelle esigenze di presidio nei confronti di fenomeni particolarmente diffusi;
              si pensi al reato di scambio elettorale politico-mafioso e alla sua genesi determinata dal contrastare quelle azioni lesive dell'ordine pubblico o che minano il libero esercizio di partecipazione alle consultazioni elettorali e, di conseguenza, compromettono il corretto funzionamento delle istituzioni;
              accettare il rischio che processi aventi ad oggetto tale delitto possano chiudersi con la dichiarazione di improcedibilità vuol dire accettare la persistenza nel territorio di una forma di contiguità tra mafia e politica,

impegna il Governo

a introdurre, con un ulteriore provvedimento normativo, una integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 416-ter del codice penale (scambio elettorale politico-mafioso).
9/2435-A/69. Colletti, Forciniti, Cabras, Corda, Paolo Nicolò Romano, Trano, Maniero, Testamento, Leda Volpi, Spessotto, Giuliodori, Vallascas, Costanzo, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Suriano, Romaniello, Ehm.


      La Camera,
          considerato che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudici di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti mandando in fumo quelle esigenze di presidio nei confronti di fenomeni particolarmente diffusi;
              si pensi al reato di associazione per delinquere, di cui ne abbiamo una così vivida memoria per i fatti di «Mafia Capitale». Un processo così strutturato, con molteplici posizioni processuali e un compendio probatorio monumentale che se postumo rispetto alla previsione della improcedibilità, con elevata probabilità sarebbe finito al macero. È lecito dubitare della genuinità di questa modifica, la quale se non muove da sentimenti di favoritismo verso soggetti dediti a sodalizi necessita di correttivi,

impegna il Governo

a introdurre, con un ulteriore provvedimento normativo, una integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 416 del codice penale (associazione per delinquere).
9/2435-A/70. Paolo Nicolò Romano, Leda Volpi, Forciniti, Colletti, Cabras, Corda, Trano, Maniero, Testamento, Spessotto, Giuliodori, Vallascas, Costanzo, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Romaniello, Suriano, Ehm.


      La Camera,
          considerato che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di Cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti mandando in fumo quelle esigenze di presidio nei confronti di fenomeni particolarmente diffusi;
              si pensi al reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, previsto dall'articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.  309, cosiddetto Testo Unico in materia di stupefacenti;
              la previsione di un'autonoma fattispecie di reato evidenzia tutta la preoccupazione dell'ordinamento nel voler reprimere tali strutture associative, le quali minano l'ordine pubblico e la salute pubblica, a punto da prevedere un trattamento sanzionatorio più severo rispetto ad altre fattispecie associative. Il disvalore di tali condotte non può essere eclissato dalla paventata dichiarazione di improcedibilità,

impegna il Governo

a introdurre, con un ulteriore provvedimento normativo, una integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.  309 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope).
9/2435-A/71. Maniero, Colletti, Forciniti, Cabras, Corda, Paolo Nicolò Romano, Trano, Testamento, Leda Volpi, Spessotto, Giuliodori, Vallascas, Costanzo, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Suriano, Romaniello, Ehm.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame reca deleghe legislative diffusamente preordinate a garantire l'efficienza e la rapidità dei processi penali, salvaguardando il rispetto del principio del giusto processo, della presunzione di innocenza e del contraddittorio;
              in relazione all'udienza preliminare, in particolare, si prevedono una serie di modifiche al codice di procedura penale che ambiscono ad anticipare, già a quella fase, una valutazione sul merito del procedimento, chiaramente in un'ottica di funzionalizzazione e di accelerazione del relativo processo;
              un possibile contemperamento fra queste e altre esigenze di natura processuale è quello di introdurre nella richiesta di rinvio a giudizio di cui all'articolo 417 il requisito dell'enunciazione, chiara e precisa, della condotta e di ogni elemento di fatto che venga specificamente ricollegato alla fattispecie di reato contestata, al fine di garantire che, le valutazioni di merito che verranno operate nella fase processuale, possano risultare maggiormente coerenti rispetto al principio del giusto processo e del rispetto del contraddittorio;
              in quest'ottica, la necessità di prevedere che il decreto che dispone il giudizio di cui all'articolo 429 del codice di procedura penale contenga la chiara esposizione dell'autonoma valutazione dei motivi di fatto e di diritto che si pongono alla base dello stesso rappresenterebbe, poi, diretto corollario dei principi costituzionali in materia giurisdizionale, quali il principio del giusto processo e del contraddittorio;
              tali specificazioni sarebbero altresì necessarie per evitare che, in caso di applicazione di misure cautelari, l'esito del relativo giudizio possa in qualche modo inficiare la valutazione circa l'opportunità di avviare il dibattimento e procedere con il giudizio, portando all'ingiusta conseguenza di far pesare sull'imputato una valutazione che muove da elementi di fatto e di diritto diversi da quelli sulla cui base è possibile adottare il decreto di cui all'articolo 429;
              la nuova disciplina dell'udienza preliminare, infatti, potrebbe avere un effetto distorsivo della bifasicità che contraddistingue il nostro sistema processuale penale e, pertanto, andrebbe scongiurato alla base il pericolo che il processo cautelare – e quindi una fase del tutto incidentale – possa influenzare la fase di merito,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le iniziative legislative necessarie a prevedere quale requisito di legittimità del decreto di cui all'articolo 429 del codice di procedura penale la specifica indicazione dell'autonoma valutazione degli elementi di fatto e di diritto che hanno portato a disporre il giudizio, escludendo motivazioni per relationem che rinviino all'esito del giudizio cautelare.
9/2435-A/72. Ungaro, Vitiello, Giachetti.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame reca numerose deleghe legislative che fanno riferimento all'introduzione di nuove fattispecie di improcedibilità in riferimento al superamento dei termini di durata massima delle varie fasi processuali;
              in particolare, l'introduzione nell'ordinamento della nuova causa di improcedibilità dell'azione penale ai sensi dell'articolo 344-bis del codice di procedura penale richiama la necessità di integrare la disciplina contenuta nell'articolo 129, comma 2, del codice di procedura penale, laddove quest'ultimo fa riferimento all'ipotesi in cui ricorre una causa di estinzione del reato e dagli atti risulta, altresì, evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato;
              il giudice, infatti, in tale ipotesi viene chiamato a pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice procedura penale, dunque una sentenza di merito che prevale sulla sentenza di rito per intervenuta estinzione del reato a causa del decorso del tempo;
              la fattispecie appena delineata risulta essere residuale ed eccezionale, in quanto limitata ai casi in cui risulti sufficiente la mera constatazione di circostanze – emergenti ictu oculi dagli atti – idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la sua commissione da parte dell'imputato ovvero la sua rilevanza penale, appare comunque necessario coordinare il nuovo impianto normativo delineato dal disegno di legge in esame in materia improcedibilità per superamento del termine di durata massima del processo con il disposto di cui al predetto articolo 129, comma 2,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le iniziative legislative necessarie a modificare l'articolo 129, comma 2, al fine di consentire al giudice, in presenza della causa di improcedibilità dell'azione, di pronunciarsi per l'assoluzione ai sensi dell'articolo 530 laddove risulti evidente che ne sussistano le condizioni, secondo i medesimi criteri che avrebbe valutato in presenza di una causa di estinzione del processo.
9/2435-A/73. Occhionero, Vitiello, Giachetti.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame reca numerose deleghe legislative che fanno riferimento all'introduzione di nuove fattispecie di improcedibilità in riferimento al superamento dei termini di durata massima delle varie fasi processuali;
              in particolare, l'introduzione nell'ordinamento della nuova causa di improcedibilità dell'azione penale ai sensi dell'articolo 344-bis del codice di procedura penale richiama la necessità di integrare la disciplina contenuta nell'articolo 129, comma 2, del codice di procedura penale, laddove quest'ultimo fa riferimento all'ipotesi in cui ricorre una causa di estinzione del reato e dagli atti risulta, altresì, evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato;
              il giudice, infatti, in tale ipotesi viene chiamato a pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice procedura penale, dunque una sentenza di merito che prevale sulla sentenza di rito per intervenuta estinzione del reato a causa del decorso del tempo;
              la fattispecie appena delineata risulta essere residuale ed eccezionale, in quanto limitata ai casi in cui risulti sufficiente la mera constatazione di circostanze – emergenti ictu oculi dagli atti – idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la sua commissione da parte dell'imputato ovvero la sua rilevanza penale, appare comunque necessario coordinare il nuovo impianto normativo delineato dal disegno di legge in esame in materia improcedibilità per superamento del termine di durata massima del processo con il disposto di cui al predetto articolo 129, comma 2,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le iniziative legislative necessarie a modificare l'articolo 129, comma 2, al fine di consentire al giudice, in presenza della causa di improcedibilità dell'azione, di pronunciarsi per l'assoluzione ai sensi dell'articolo 530 laddove risulti evidente che ne sussistano le condizioni.
9/2435-A/73.    (Testo modificato nel corso della seduta) Occhionero, Vitiello, Giachetti.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame reca deleghe legislative volte a garantire la segretezza degli atti e documenti processuali;
              lo strumento delle intercettazioni è notoriamente uno dei più invasivi atti di indagine, capace di incidere non solo sull'estrinsecazione della libertà personale, ma anche sul principio di inviolabilità della libertà e segretezza della corrispondenza di cui all'articolo 15 della nostra Costituzione;
              come sottolineato dalla stessa Corte di cassazione già con la sentenza n.  1972 del 16 maggio 1997, la formale unità dei procedimenti sotto un unico numero di registro generale non può fungere da schermo per l'indiscriminata utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti di natura diversa da quelli in cui le intercettazioni sono state disposte;
              lo stesso articolo 270 del codice di procedura penale, anche in relazione ai procedimenti penali, esclude l'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in procedimenti penali diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo essi risultino rilevanti e indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza di reato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le iniziative legislative necessarie a prevedere che i risultati delle intercettazioni raccolte ai sensi delle disposizioni del codice di procedura penale non possano essere utilizzati in procedimenti civili, tributari, amministrativi e disciplinari.
9/2435-A/74. Migliore, Vitiello, Annibali, Giachetti.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una delega al Governo per l'efficienza del processo penale, in materia di giustizia riparativa e per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;
              l'ordinanza della Corte costituzionale n.  97 dell'11 maggio 2021 ha segnato un «punto di non ritorno» in merito alla compatibilità della disciplina relativa all'ergastolo cosiddetto «ostativo» con gli articoli 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione. In particolare, la Corte è intervenuta sugli articoli 4-bis, comma 1, e 58-ter della legge 26 luglio 1975, n.  354, e sull'articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n.  152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n.  203, «nella parte in cui escludono che possa essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato all'ergastolo per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'articolo 416-bis del codice penale, ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia»;
              tale pronuncia si pone al culmine di un processo di lenta, ma inarrestabile erosione della normativa speciale per contrastare la criminalità organizzata fondato sulla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi sulla disciplina ostativa, per oltre venticinque anni, a partire dalla sentenza della Corte costituzionale n.  306 dell'8 luglio 1993 fino alla sentenza della stessa Corte n.  253 del 4 dicembre 2019;
              a prescindere dalle singole sensibilità, è urgente e improcrastinabile un intervento del legislatore, peraltro sollecitato dalla stessa Corte costituzionale, al fine di intervenire sulla normativa introdotta nel periodo più difficile della lotta allo sciagurato fenomeno mafioso;
              attualmente, per le condanne inflitte a seguito dei delitti elencati al citato comma 1 dell'articolo 4-bis della legge n.  354 del 1975, i benefici della liberazione condizionale e della retrocessione dell'ergastolo sono ammessi solo nei casi di collaborazione con la giustizia o di accertata impossibilità o inesigibilità della collaborazione medesima;
              tra tali delitti, oltre a quelli riconducibili all'associazionismo mafioso e alla criminalità organizzata, figurano anche i reati di pedopornografia, prostituzione minorile, tratta di persone, riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, terrorismo, violenza sessuale di gruppo e sequestro di persona a scopo di estorsione e alcuni reati in materia di droga e traffico di migranti;
              la Consulta, con l'ordinanza n.  97 del 2021, ha invitato il legislatore a intervenire sul tema dell'ergastolo ostativo fino al 10 maggio 2022,

impegna il Governo

ad assumere le necessarie iniziative, anche di carattere normativo, volte a garantire, con riferimento a quanto esposto in premessa, l'equilibrio tra la finalità rieducativa della pena e le esigenze social-preventive e di difesa sociale nei confronti della criminalità organizzata e degli autori di reati di particolare allarme sociale, anche attraverso l'introduzione di criteri che permettano di valutare se il criminale che acceda ai benefici abbia rescisso ogni legame con la criminalità organizzata.
9/2435-A/75. Delmastro Delle Vedove, Meloni, Lollobrigida, Varchi, Maschio, Vinci.


      La Camera,
          premesso che:
              con il provvedimento in esame si intende delegare il Governo a modificare il codice di procedura penale e il codice di procedura penale stabilendo, tra i princìpi e criteri direttivi per l'esercizio di tale delega, che il decreto o i decreti legislativi recanti disposizioni dirette a rendere il procedimento penale più celere ed efficiente nonché a modificare il codice di procedura penale in materia di processo in assenza siano adottati ampliando la possibilità di rimedi successivi a favore dell'imputato e del condannato giudicato in assenza senza avere avuto effettiva conoscenza della celebrazione del processo, armonizzando la normativa processuale nazionale a quanto previsto dall'articolo 9 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016;
              con la legge 22 aprile 2021, n.  53 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – legge di delegazione europea 2019-2020), il legislatore nazionale ha delegato il Governo al recepimento nell'ordinamento italiano direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali,

impegna il Governo

a procedere al tempestivo recepimento della direttiva in premessa per il rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.
9/2435-A/76. De Luca.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti con grave compromissione delle esigenze di sicurezza;
              si pensi al reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, soprattutto nelle forme aggravate previste dai commi 2 e 3;
              soprattutto durante la pandemia, il numero delle violenze all'interno delle mura domestiche è aumentato in maniera esponenziale. La questione è stata ampiamente dibattuta in apertura dell'anno giudiziario 2021, dove i Procuratori generali hanno quantificato una crescita del 20 per cento in più rispetto al precedente anno di procedimenti penali afferenti tale tipologia di reato;
              la delicatezza e la difficoltà di questi giudizi non può rientrare nel vortice della improcedibilità,

impegna il Governo

a introdurre, con un ulteriore provvedimento normativo, una integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 572 del codice penale.
9/2435-A/77. Massimo Enrico Baroni, Forciniti, Colletti, Cabras, Corda, Paolo Nicolò Romano, Trano, Maniero, Testamento, Leda Volpi, Spessotto, Giuliodori, Vallascas, Costanzo, Sapia, Suriano, Romaniello, Ehm.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una delega al Governo per l'efficienza del processo penale, in materia di giustizia riparativa e per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;
              in tale ambito assumono particolare rilievo anche la professionalità e la competenza dei magistrati, la cui valutazione è operata dal Consiglio superiore della magistratura sulla base di valutazioni fatte anche dai Consigli giudiziari;
              questi ultimi sono organismi territoriali composti da magistrati e da membri non togati quali avvocati e professori universitari in materie giuridiche, al cui interno, tuttavia, le decisioni sono affidate esclusivamente ai magistrati, con una inopportuna sovrapposizione del ruolo del controllore con quello del controllato;
              nonostante gli avvocati e professori rappresentino un terzo dei componenti dell'organismo, infatti, questi sono esclusi dalle discussioni e dalle votazioni relative all'operato dei magistrati,

impegna il Governo

ad assumere le necessarie iniziative, anche di carattere normativo, volte a estendere anche ai rappresentanti dell'Università e dell'Avvocatura nei Consigli giudiziari la possibilità di partecipare alla valutazione dell'operato dei magistrati.
9/2435-A/78. Trancassini, Lollobrigida, Varchi, Maschio, Vinci, Montaruli, Ferro, Galantino, Zucconi.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti con grave compromissione delle esigenze di sicurezza;
              si pensi al reato di atti persecutori e al dato emerso dal rapporto annuale rilasciato dal Viminale di oltre 10 mila donne, l'anno, presentano denunce per stalking. Ebbene, quel 75 per cento di vittime di sesso femminile rischiano di non vedersi riconosciuta alcuna forma di giustizia con l'applicazione dell'improcedibilità,

impegna il Governo

ad adottare attraverso un ulteriore provvedimento normativo una integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 612-bis del codice penale.
9/2435-A/79. Spessotto, Vallascas, Leda Volpi, Forciniti, Colletti, Cabras, Corda, Paolo Nicolò Romano, Trano, Maniero, Testamento, Giuliodori, Costanzo, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Romaniello, Suriano, Ehm.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti con grave compromissione delle esigenze di sicurezza;
              si pensi al reato di pornografia minorile, soprattutto nelle forme aggravate, lì dove la diffusione delle immagini è agevolata da internet. È una involuzione quella di poter anche solo immaginare che processi aventi ad oggetto la tutela del minore nella sua integrità psicofisica e nel suo sviluppo morale possano definirsi per mera procedura e non nel merito,

impegna il Governo

ad adottare attraverso un ulteriore provvedimento normativo una integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 600-ter del codice penale.
9/2435-A/80. Giuliodori, Forciniti, Colletti, Corda, Cabras, Paolo Nicolò Romano, Trano, Maniero, Testamento, Leda Volpi, Spessotto, Vallascas, Costanzo, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Suriano, Romaniello, Ehm.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di Cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti con grave compromissione delle esigenze di sicurezza;
              si pensi al reato di violenza sessuale. Un reato che ha interessato ben due riforme (nel 2017 e nel 2019) entrambe sull'assunto che dopo l'instaurazione del giudizio, è proprio la fase di appello quella maggiormente a rischio di prescrizione. La previsione che la mancata definizione del giudizio di appello entro il termine di due anni costituisca causa di improcedibilità rappresenta un passo indietro che non tiene minimamente conto delle esigenze di tutela, così sacrificate da una parvenza di efficienza,

impegna il Governo

ad adottare attraverso un ulteriore intervento normativo un'integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 609-bis del codice penale.
9/2435-A/81. Suriano, Sapia, Massimo Enrico Baroni, Costanzo, Vallascas, Giuliodori, Spessotto, Testamento, Maniero, Trano, Corda, Paolo Nicolò Romano, Cabras, Colletti, Forciniti, Romaniello, Ehm, Siragusa, Muroni, Paxia, Leda Volpi, Raduzzi, Termini, Sarli, Sodano.


      La Camera,
          premesso che:
              la riforma in esame contiene un sistema di misure volte a riformare il processo penale al fine di offrire una soluzione al tema della durata dei processi e all'efficienza del sistema giustizia in termini di celerità e di garanzie delle vittime e dell'imputato;
              il decreto-legge n.  13 del 17 febbraio 2017, convertito con la legge n.  47 del 2017 ha previsto l'istituzione di Sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e di libera circolazione dei cittadini dell'Unione Europea: allo stato nei 26 tribunali distrettuali pare giacciano circa centomila processi, poiché a fronte di un flusso di circa 50 mila procedimenti l'anno, si registra una capacità di definizione delle sezioni di poco superiore alle 30 mila decisioni, il che ha determinato l'attuale pendenza di circa centomila casi presso le sezioni specializzate distrettuali; il portato di tale stato di cose si traduce in tempi medi prospettici della durata di un processo lunghissimi, che arrivano a superare i 1.200 giorni, a fronte di una durata massima di 120 giorni fissata dalla legge in attuazione delle previsioni contenute nel sistema comune europeo dell'asilo, il cosiddetto Ceas, che impone a tutti Paesi europei una risposta celere, adeguata e completa;
              con delibera del 27 luglio 2018 è stato avviato un monitoraggio relativo alle modalità organizzative delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, con l'intento di rispondere innanzitutto alla fondamentale esigenza di fornire un quadro completo delle diverse modalità nelle quali è stato declinato il principio di flessibilità, sancito con la delibera del 1 giugno 2017, nell'organizzazione delle sezioni, in tal modo favorendo lo scambio di conoscenza di modelli virtuosi;
              al diritto di asilo e alla protezione internazionale e alla sua effettiva e piena tutela sono legati importanti diritti, fondamentali, che nel PNRR non possono che trovare piena cittadinanza,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative, ad individuare modelli organizzativi, anche nell'ambito del medesimo ufficio del processo, nonché a provvedere ad adeguati innesti di personale e dotazione di risorse strumentali, necessari nell'immediatezza a garantire lo svolgimento dei processi e ad affrontare lo smaltimento dell'arretrato.
9/2435-A/82. Raciti, Boldrini.


      La Camera,
          premesso che:
              la Riforma del processo penale tocca molteplici ambiti dell'attuale disciplina processuale e comporterà in alcuni casi risultati sicuramente prevedibili mentre in altri l'esito della modifica potrà avere risvolti oggi non previsti;
              compito dello Stato è in ogni caso tutelare non solo gli indagati e imputati ma anche le vittime del reato che oggi possono costituirsi parte civile o agire con un autonomo processo in sede civile giovandosi degli esiti favorevoli delle sentenze penali;
              assistiamo oggi ad un cambio di rotta rispetto al passato, l'indirizzo normativo prevede che il Governo possa; «ridurre gli effetti extra-penali della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, prevedendo anche che questa non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi»;
              vi è chiaramente una volontà di incentivare un rito alternativo come è quello del patteggiamento, riducendo gli effetti negativi extra-penali, questo rito prevede già oggi un forte beneficio, una riduzione fino ad un terzo della pena, legato all'alleggerimento dell'attività processuale, e già oggi non prevede la costituzione di parte civile nel processo definitosi con patteggiamento, vi è però per la vittima la possibilità di utilizzare la sentenza penale nella causa civile per il risarcimento del danno, questa possibilità è oltremodo necessaria in tutti quei casi nei quali la vittima è l'unica testimone dei fatti di reato subito, pensiamo ad esempio, uno fra tutti, ai reati di violenza sessuale, in questi casi, la testimonianza è utilizzabile nel processo penale ma in nessun modo in una causa civile, trattandosi di controparte in giudizio;
              una eccessiva limitazione dell'utilizzo della sentenza di patteggiamento ai fini extra-penali, porterebbe ad una totale impunità in sede civile di chi ha commesso gravi reati nel caso in cui acceda al rito alternativo del patteggiamento;
              le conseguenze non sono chiaramente accettabili in uno stato di diritto;
              ciò premesso,

impegna il Governo

nell'esercizio della propria potestà legislativa anche delegata, a verificare con attenzione le conseguenze concrete della limitazione degli effetti extra-penali delle sentenze di patteggiamento, evitando conseguenze negative per le vittime dei reati.
9/2435-A/83. Vinci.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti con grave compromissione delle esigenze di sicurezza;
              si pensi al reato di usura. Gli effetti del Covid-19 sulle imprese sono stati devastanti e le forme di sostegno erogate assolutamente inefficaci a fronteggiare le perdite di fatturato. A ciò si aggiungano la mancanza di liquidità e l'accesso al credito. Tali problematiche fanno gola a fenomeni illegali quali l'usura specialmente per le aziende del Mezzogiorno tanto è vero che il reato di usura si inserisce nei cosiddetti reati spia ossia tra quei reati sintomatici di organizzazioni criminali,
              contrastare fenomeni criminali passa anche dal sostegno della vittima che, nel denunciare, deve avere l'appoggio dello Stato e della Magistratura,

impegna il Governo

ad adottare attraverso un ulteriore procedimento normativo un'integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 644 del codice penale.
9/2435-A/84. Forciniti, Colletti, Cabras, Corda, Paolo Nicolò Romano, Trano, Maniero, Testamento, Leda Volpi, Vallascas, Spessotto, Giuliodori, Costanzo, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Suriano, Romaniello, Ehm.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di Cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti;
              si pensi al reato previsto dall'articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n.  195: l'unica fattispecie di reato in materia di cosiddetto finanziamento illecito ai partiti e sulla quale sono intervenuti correttivi al fine di scongiurare ipotesi di corruzione;
              la riforma si atteggia come se questo reato non avesse un fondamento reale, al punto da disinteressarsi circa la possibilità che il tutto si risolva con l'improcedibilità permettendo l'impunità degli autori,

impegna il Governo

ad adottare attraverso un ulteriore intervento normativo un'integrazione alla materia alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n.  195.
9/2435-A/85. Ehm, Spessotto, Vallascas, Leda Volpi, Forciniti, Colletti, Cabras, Corda, Paolo Nicolò Romano, Trano, Maniero, Testamento, Giuliodori, Costanzo, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Romaniello, Suriano.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di Cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti e stessa sorte anche per tutte quelle fattispecie poste a presidio dell'integrità patrimoniale della Pubblica amministrazione;
              reati come la concussione, la corruzione in tutte le sue forme e l'induzione indebita, sono stati buttati in pasto all'improcedibilità, con grande salvezza per tutti i corrotti,

impegna il Governo

a introdurre, attraverso un ulteriore provvedimento normativo, una integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto i reati previsti e puniti dagli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis del codice penale.
9/2435-A/86. Sapia, Massimo Enrico Baroni, Costanzo, Vallascas, Giuliodori, Spessotto, Testamento, Maniero, Trano, Corda, Paolo Nicolò Romano, Cabras, Colletti, Forciniti, Romaniello, Suriano, Ehm.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di Cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti;
              si pensi ai reati ambientali, in particolare al delitto di disastro ambientale. Con la previsione di improcedibilità non avremmo mai assistito alla sentenza, storica, di condanna emessa nei confronti dei proprietari e amministratori dell'ex Ilva di Taranto o non avremmo il processo per la discarica Resit in Campania,

impegna il Governo

a introdurre, attraverso un ulteriore provvedimento normativo, una integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 452-quater del codice penale (disastro ambientale).
9/2435-A/87. Leda Volpi, Forciniti, Colletti, Cabras, Corda, Paolo Nicolò Romano, Trano, Maniero, Testamento, Spessotto, Giuliodori, Vallascas, Costanzo, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Romaniello, Suriano, Ehm, Sarli.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello» introduce disposizioni in materia di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione;
              tali disposizioni prevedono che se il giudizio di appello non trova definizione entro il termine di due anni e quello di Cassazione entro il termine di un anno, il superamento di tali termini costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale;
              dunque, tale previsione si abbatte come una scure sul processo penale annullando uno ma anche due gradi di giudizio senza tener conto del tipo di reato per il quale si procede, del dispendio di risorse pubbliche, della frustrazione della parte civile, beffata dello Stato;
              l'improcedibilità diventa sinonimo di amnistia: reati di maggiore allarme sociale resterebbero impuniti;
              si pensi al reato previsto dall'articolo 216 del regio decreto 16 marzo 1942, n.  267 (Legge Fallimentare) che importa la pena della reclusione da tre a dieci anni ! Gli imprenditori saranno liberi di fallire, distrarre il loro patrimonio, e non temere conseguenze, peccato solo che tra i creditori ci sono lavoratori, fornitori, persone che neppure in Tribunale troverebbero giustizia nel caso in cui il processo dovesse essere dichiarato improcedibile,

impegna il Governo

a introdurre, attraverso una ulteriore iniziativa normativa, una integrazione alla materia dell'improcedibilità, indicando tra i procedimenti per i quali non trova applicazione anche quelli aventi ad oggetto il reato previsto e punito dall'articolo 216 del regio decreto 16 marzo 1942, n.  267.
9/2435-A/88. Costanzo, Forciniti, Colletti, Cabras, Paolo Nicolò Romano, Corda, Trano, Maniero, Testamento, Leda Volpi, Spessotto, Giuliodori, Vallascas, Massimo Enrico Baroni, Sapia, Romaniello, Suriano, Ehm.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge n.  2435, ad oggetto la Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, conferisca delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale e delle sue norme di attuazione, del codice penale e delle leggi speciali, dell'ordinamento giudiziario per quanto riguarda in particolare i progetti organizzativi delle procure, nonché per riformare il regime sanzionatorio dei reati e per introdurre una disciplina organica della giustizia riparativa;
          considerato il tema della velocizzazione dei processi, elemento essenziale nella revisione organizzativa dei processi e delle procedure nelle procure al fine perseguire il dettato costituzionale della ragionevole durata del processo e del processo giusto, e valutato che il raggiungimento di tale obiettivo va certamente affrontato non solo attraverso il processo di digitalizzazione, necessario strumento di ottimizzazione delle procedure, ma soprattutto con l'assunzione di nuove ed ulteriori professionalità e risorse umane;
          considerato che l'organico della magistratura italiana risulta gravemente sottostimato rispetto alle esigenze della popolazione, come dimostrano i dati comparati: la Commissione per l'efficienza della giustizia presso il Consiglio d'Europa-Cepej, nel rapporto European judicial systems. Efficiency and quality of justice, n.  26, 2018, pagina 106, rileva (con dati riferiti all'anno 2016) che in Italia sono presenti circa 10,6 giudici ogni 100.000 abitanti, cioè meno della metà della media europea (21,5) e grandemente inferiore rispetto alla mediana (17,8), comprensiva dei Paesi non membri dell'Unione europea;
          considerato quindi il tema della riduzione dei tempi della giustizia unito alla descritta carenza di organico, che a quanto pare si propone di risolvere attraverso assunzioni a tempo determinato, per due anni, senza prevedere spazi fisici per inserirli e senza chiarire il ruolo in cui verrebbero inseriti;
          considerato inoltre l'annoso e complessa questione della stabilizzazione della magistratura onoraria, che anche in questo momento di crisi sanitaria sta continuando a lavorare senza alcuna effettiva tutela, economica e sociale, esercitando la funzione giurisdizionale in estrema difficoltà, senza riconoscimenti e tutele, nonostante sia tenuta alla reperibilità ed alle attività indifferibili come per i magistrati di carriera,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di affrontare con immediatezza, per il principio del buon andamento dell'azione amministrativa, il tema della riduzione dei tempi della giustizia attraverso la previsione di un aumento in pianta organica dei giudici togati e dei cancellieri, unitamente alla stabilizzazione della magistratura onoraria, oltre che all'introduzione di moderne e funzionali procedure di digitalizzazione del processo.
9/2435-A/89. Albano, Varchi, Maschio, Vinci, Delmastro Delle Vedove, Lucaselli, Ferro.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge n.  2435, ad oggetto la Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, conferisca delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale e delle sue norme di attuazione, del codice penale e delle leggi speciali, dell'ordinamento giudiziario per quanto riguarda in particolare i progetti organizzativi delle procure, nonché per riformare il regime sanzionatorio dei reati e per introdurre una disciplina organica della giustizia riparativa;
          considerato il tema della velocizzazione dei processi, elemento essenziale nella revisione organizzativa dei processi e delle procedure nelle procure al fine perseguire il dettato costituzionale della ragionevole durata del processo e del processo giusto, e valutato che il raggiungimento di tale obiettivo va certamente affrontato non solo attraverso il processo di digitalizzazione, necessario strumento di ottimizzazione delle procedure, ma soprattutto con l'assunzione di nuove ed ulteriori professionalità e risorse umane;
          considerato che l'organico della magistratura italiana risulta gravemente sottostimato rispetto alle esigenze della popolazione, come dimostrano i dati comparati: la Commissione per l'efficienza della giustizia presso il Consiglio d'Europa-Cepej, nel rapporto European judicial systems. Efficiency and quality of justice, n.  26, 2018, pagina 106, rileva (con dati riferiti all'anno 2016) che in Italia sono presenti circa 10,6 giudici ogni 100.000 abitanti, cioè meno della metà della media europea (21,5) e grandemente inferiore rispetto alla mediana (17,8), comprensiva dei Paesi non membri dell'Unione europea;
          considerato quindi il tema della riduzione dei tempi della giustizia unito alla descritta carenza di organico, che a quanto pare si propone di risolvere attraverso assunzioni a tempo determinato, per due anni, senza prevedere spazi fisici per inserirli e senza chiarire il ruolo in cui verrebbero inseriti;
          considerato inoltre l'annoso e complessa questione della stabilizzazione della magistratura onoraria, che anche in questo momento di crisi sanitaria sta continuando a lavorare senza alcuna effettiva tutela, economica e sociale, esercitando la funzione giurisdizionale in estrema difficoltà, senza riconoscimenti e tutele, nonostante sia tenuta alla reperibilità ed alle attività indifferibili come per i magistrati di carriera,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di affrontare con immediatezza, per il principio del buon andamento dell'azione amministrativa, il tema della riduzione dei tempi della giustizia attraverso la previsione di un aumento in pianta organica dei giudici togati e dei cancellieri, oltre che all'introduzione di moderne e funzionali procedure di digitalizzazione del processo.
9/2435-A/89.    (Testo modificato nel corso della seduta) Albano, Varchi, Maschio, Vinci, Delmastro Delle Vedove, Lucaselli, Ferro.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame reca delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              in particolare all'articolo 1, comma 9, sono contenuti i principi di delega in materia di indagini preliminari e di udienza preliminare;
              alcune proroghe dei termini previste per tali indagini, vanno a ledere i diritti di molti cittadini necessitanti, invece, che il loro procedimento venga velocemente risolto;
              tra questi i padri separati, spesso alle prese con denunce penali pretestuose, le cui indagini ai sensi dell'articolo 570 del codice penale, con le nuove norme, rischierebbero di protrarsi per troppo tempo, non garantendo il loro diritto a una celere risoluzione di una controversia molto dolorosa;
              è necessario assicurare che in tali casi l'udienza preliminare si svolga entro i termini, senza ulteriori proroghe, affinché si possa subito comprendere quali denunce siano veritiere e quali no, senza ulteriori strascichi,

impegna il Governo

a prevedere, attraverso ulteriori iniziative normative, che le indagini e le udienze preliminari relative ai reati ex articolo 570 del codice penale, di cui in premessa, non siano prorogabili.
9/2435-A/90. Montaruli, Varchi, Delmastro Delle Vedove, Maschio, Vinci, Zucconi, Foti, Ferro, Galantino.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge all'esame reca Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              la Riforma del processo penale tocca molteplici ambiti dell'attuale disciplina processuale e comporterà in alcuni casi risultati sicuramente prevedibili mentre in altri l'esito della modifica potrà avere risvolti oggi non previsti;
              compito dello Stato è in ogni caso tutelare non solo gli indagati e imputati ma anche le vittime del reato che vogliono veder punito chi ha leso la propria incolumità o il proprio patrimonio anche al fine di non veder ripresentarsi la stessa situazione, sottolineando il disvalore del fatto;
              assistiamo oggi ad un cambio di rotta rispetto al passato, l'indirizzo normativo prevede che il Governo possa: «dare rilievo alla condotta susseguente al reato ai fini della valutazione del carattere di particolare tenuità dell'offesa»;
              valutare successivamente ai fatti la condotta dell'imputato ai fini della tenuità del fatto, oltre che ermeneuticamente illogico, in quanto per logica si dovrebbero valutare le conseguenze del fatto di reato e non la condotta successiva del reo che nulla ha a che vedere con il fatto, e finirebbe per portare ad una sorta di «messa alla prova» dando una discrezionalità di valutazione al Giudice che non ha precedenti nel nostro ordinamento;
              vi è chiaramente una volontà di depenalizzazione o minor punizione delle fattispecie più lievi o di fatti bagatellari, ma non si ritiene che una messa «in castigo» sia utile per la tutela dei cittadini i quali invece dovrebbero avere certezza delle conseguenze della commissione dei reati, siano questi onesti o disonesti, senza lasciare a valutazioni legate alla condotta successiva la liceità delle stesse o meno e le concrete conseguenze, questo sistema si chiama «stato di diritto»,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative affinché, ai fini della disciplina della particolare tenuità dell'offesa, si dia rilievo solo a fatti antecedenti al fatto di reato e alle conseguenze del fatto, e non all'indole palesata successivamente dal reo.
9/2435-A/91. De Toma, Vinci, Varchi, Maschio, Delmastro Delle Vedove, Lucaselli, Ferro.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame reca delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello;
              in particolare all'articolo 1, comma 8, lettera c), reca dei principi direttivi nel rispetto dei quali andranno adottati i decreti legislativi di modifica del codice di procedura penale;
              tra questi, uno è quello di «individuare i casi in cui, con il consenso delle parti, la partecipazione all'atto del procedimento o all'udienza possa avvenire a distanza»;
              riteniamo che, per la sua importanza, l'istruttoria dibattimentale, non possa essere mai svolta a distanza; l'insieme delle attività attraverso le quali vengono acquisiti al processo gli elementi conoscitivi necessari al giudice per valutare la fondatezza dell'ipotesi d'accusa e trarne le corrette conseguenze sul piano decisorio, deve essere svolto sempre in presenza, per non inficiare il giusto svolgimento del processo,

impegna il Governo

a prevedere, nell'esercizio della delega, che non vengano mai previste istruttorie dibattimentali dei processi penali a distanza, ma che le stesse siano sempre svolte in presenza.
9/2435-A/92. Donzelli, Varchi, Delmastro Delle Vedove, Maschio, Vinci, Zucconi, Ferro, Galantino.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in oggetto modifica in maniera profonda l'organizzazione della giustizia italiana, in particolar modo sulle conseguenze dei reati;
              al fine di velocizzare lo svolgimento dei processi occorre circostanziare in maniera più efficace alcune nozioni come quella di pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio e di persona esercenti un servizio di pubblica necessità nonché di efficientare alcuni aspetti in materia di pubblica amministrazione;
              sarebbe, pertanto, opportuno intervenire sull'articolo 323 del Codice, aggiungendo la previsione dell'attenuante del fatto di particolare tenuità punibile con la pena edittale dell'arresto fino a sei mesi o dell'ammenda fino a diecimila euro e coordinare tale previsione escludendo tale fattispecie di reato dall'articolo 323-bis;
              occorrerebbe definire pubblici ufficiali coloro che esercitano specifici poteri conferiti dalla legge, svolgendo una funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa mediante specifiche disposizioni di diritto pubblico, e determinando la volontà della pubblica amministrazione;
              occorrerebbe definire persona incaricata di pubblico servizio la persona, priva dei poteri del pubblico ufficiale, che in forza di specifica norma di legge, in determinati casi presta un pubblico servizio con spendita di specifici poteri;
              occorrerebbe definire persone esercenti un servizio di pubblica necessità, i privati che adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante atti amministrativi,

impegna il Governo

ad adottare uno o più provvedimenti al fine di adeguare l'ordinamento penale a quanto indicato in premessa.
9/2435-A/93. Maschio.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame reca la Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, conferisca delega al Governo per la modifica del codice di procedura penale e delle sue norme di attuazione, del codice penale e delle leggi speciali, dell'ordinamento giudiziario per quanto riguarda in particolare i progetti organizzativi delle procure, nonché per riformare il regime sanzionatorio dei reati e per introdurre una disciplina organica della giustizia riparativa;
          considerato che elemento importante della riforma in esame è costituito dalla velocizzazione dei procedimenti attraverso la digitalizzazione del processo penale;
          considerato inoltre che processo riorganizzativo basato sulla digitalizzazione, quale necessario strumento di ottimizzazione delle procedure, è di per sé fortemente positivo e condivisibile, pur ricordando che la velocizzazione dei processi penali non si attua tramite la digitalizzazione, ma tramite investimenti nelle piante organiche delle cancellerie e dei magistrati;
              valutato altresì che dietro alla digitalizzazione anche del processo può celarsi un preoccupante elemento di «smaterializzazione del processo penale», con udienze a distanza e videoregistrate non consone alla delicatezza ed alla natura delle tematiche trattate,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di monitorare adeguatamente che il processo di digitalizzazione non si trasformi in estrema smaterializzazione del processo penale, con utilizzo non adeguato e congruo di udienze a distanza e videoregistrate che mortificano i principi costituzionali di oralità, immediatezza, contraddittorio che devono informare il «giusto processo».
9/2435-A/94. Rachele Silvestri, Albano, Varchi, Maschio, Vinci, Delmastro Delle Vedove, Lucaselli, Ferro.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in discussione ha l'intento di riformare il processo penale rendendolo più celere ed efficiente e ciò, attraverso una attività giudiziaria che sia efficace e spedito nella risposta ed al contempo ne assicuri le garanzie difensive;
              come noto, il processo penale ha seguito storicamente un percorso di civilizzazione: dall'età intermedia in cui erano possibili accuse segrete, strumenti di ricerca della prova che vedevano troneggiare la tortura come principale mezzo di raccolta della prova, procedure e testimonianze eseguite in segreto dal giudice, fino al passaggio verso la presunzione di innocenza, come regola di giudizio ma ancor prima come regola di trattamento, e al diritto di difendersi provando nel contraddittorio delle parti;
              l'intento «riformista» dovrebbe essere l'abbandono di un modo di legiferare, ancora oggi in parte esistente, mediante interventi estemporanei slegati dal contesto complessivo della disciplina processuale penale, e l'adozione invece di una iniziativa di visione sistematica della struttura normativa del processo penale, ergo l'obiettivo del legislatore deve essere ispirato ad un nuovo modello culturale di sistema processuale, in cui poteri delle parti e comportamenti processuali sono tendenzialmente modificati avendo quale obiettivo quello del decongestionamento del carico giudiziario, puntando sull'accelerazione dei processi ed un margine di «discrezionalità» con spazi sempre più ridotti ed ispirati al principio del «giusto processo» ex articolo 111 della Costituzione ed in particolare quello secondo cui la legge deve assicurare «la ragionevole durata del processo» et ex articolo 47, comma 2 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea «ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge»;
              delega il Governo alla modifica del codice di procedura penale, del codice penale e della collegata legislazione speciale, nonché per la revisione del regime sanzionatorio delle contravvenzioni;
              tale riforma, tanto attesa, ha quale obiettivo anche quello di proporre politiche deflattive della sanzione penale attraverso un processo di depenalizzazione, anche quando il sistema giudiziario – nella sua fase interpretativa – è palesemente incapace di esprimere una tipologia criminogena sufficientemente determinata;
              il nuovo articolo 344-bis c.p.p. prevede, in particolare, che le mancate definizioni del giudizio di appello e del giudizio di cassazione entro il termine, rispettivamente, di due anni e di un anno, costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale (commi 1 e 2) e, che quando il giudizio di impugnazione è particolarmente complesso viene previsto che i suddetti termini siano prorogati, con ordinanza motivata del giudice che procede, per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio d'appello e a sei mesi nel giudizio di cassazione ovvero ulteriori proroghe possono essere disposte, per le medesime suesposte ragioni e per la medesima durata, quando si procede per specifici delitti indicati dalla disposizione (comma 4);
              nell'ambito della delega al Governo della Riforma del codice penale e della collegata legislazione speciale, nonché per la revisione del regime sanzionatorio delle contravvenzioni,

impegna il Governo:

          a considerare l'opportunità di:
              prevedere che l'inderogabile necessità della Riforma della Giustizia prevista dal Piano nazionale ripresa e resilienza sia, al tempo stesso, coniugata con una corretta regolamentazione dell'applicazione dell'istituto della «proroga» la cui disposizione non sia lasciata al «mero arbitrio» del giudice le cui ragioni dell'ordinanza devono prevedere giuste motivazioni e ciò, anche pensando ai reati contro la Pubblica Amministrazione.
9/2435-A/95. Caiata, Zucconi, Varchi.