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CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 14 maggio 2019
188.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
Pag. 17

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

      Martedì 14 maggio 2019. — Presidenza del presidente Alberto STEFANI. – Interviene il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta Simone Valente.

      La seduta comincia alle 14.50.

Modifiche all'articolo 5 della legge 1o dicembre 1970, n.  898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile.
C.  506-A.
(Parere all'Assemblea).
(Esame emendamenti e conclusione – Parere).

      Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

      Alberto STEFANI, presidente, in sostituzione della relatrice, Macina, impossibilitata Pag. 18a partecipare alla seduta, rileva come il Comitato permanente per i pareri sia chiamato a esaminare, ai fini del parere all'Assemblea, il fascicolo n.  1 degli emendamenti presentati alla proposta di legge C. 506-A, recante Modifiche all'articolo 5 della legge 1o dicembre 1970, n.  898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile.
      Segnala come gli emendamenti trasmessi non presentino profili problematici per quanto riguarda il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione: propone pertanto di esprimere su di essi nulla osta.

      Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere.

Norme sull'esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e dei corpi di polizia ad ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo.
Nuovo testo C. 875 e abb.
(Parere alla IV Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

      Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

      Roberta ALAIMO (M5S), relatrice, rileva come il Comitato permanente per i pareri sia chiamato a esaminare, ai fini del parere alla IV Commissione Difesa, il nuovo testo della proposta di legge C. 875 Corda, adottata come testo base, cui sono abbinate le proposte di legge C. 1060 Maria Tripodi e C. 1702 Pagani, recante norme sull'esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e dei corpi di polizia ad ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo, come risultante dalle proposte emendative approvate nel corso dell'esame in sede referente presso la IV Commissione.
      In linea generale segnala come il testo trasmesso definisca i principi generali del diritto di associazione sindacale del personale militare e le caratteristiche essenziali delle nuove organizzazioni sindacali e il relativo ambito di operatività. Il testo reca, inoltre, norme sulla giurisdizione, in relazione alle controversie relative a comportamenti antisindacali nell'ambito disciplinato dalla legge.
      Passando a sintetizzare il contenuto del provvedimento, l'articolo 1, al comma 1, modifica il comma 2 dell'articolo 1475 del Codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66, al fine di stabilire il principio generale in forza del quale «I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale per singola Forza armata o Corpo di polizia ad ordinamento militare alle condizioni e con i limiti stabiliti dalla legge».
      Al riguardo, ricorda che la Corte Costituzionale, con la sentenza n.  120 del 2018, innovando il proprio precedente orientamento giurisprudenziale su questo tema, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1475, comma 2, del predetto Codice dell'ordinamento militare, in quanto esso prevede che «I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali», invece di prevedere che «I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali».
      Nella richiamata sentenza la Corte, nel riconoscere la legittimità di associazioni professionali a carattere sindacale, ha sottolineato la necessità di una puntuale regolamentazione della materia, in considerazione della specificità dell'ordinamento militare e della sussistenza di peculiari esigenze di «coesione interna e neutralità», che distinguono le Forze armate dalle altre strutture statali. In tale settore, sottolinea la Corte, non è concepibile alcun vuoto normativo, «vuoto che sarebbe di impedimento allo stesso riconoscimento del diritto di associazione sindacale».
      Segnala quindi come il nuovo orientamento della Corte costituzionale in materia sia legato anche all'indirizzo assunto Pag. 19dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale, il 2 ottobre 2014, ha emesso le sentenze «Matelly vs Francia» (ricorso n.  10609/10) e «ADEFDROMIL vs Francia» (ricorso n.  32191/09), relative al divieto assoluto di costituire sindacati all'interno delle forze armate francesi. In particolare, in tali provvedimenti la Corte EDU definisce la libertà di associazione sindacale come una forma o un aspetto speciale della libertà di associazione (paragrafo 55 della sentenza Matelly; paragrafo 41 della sentenza ADefDroMil); la Corte prosegue, quindi, ricordando come il successivo paragrafo 2 dello stesso articolo non escluda alcuna categoria professionale dal proprio ambito di applicazione e che, rispetto ai membri delle Forze armate, della polizia o dell'amministrazione dello Stato, gli Stati possono, al più, introdurre «restrizioni legittime», ma senza mettere in discussione il diritto alla libertà di associazione dei loro membri, né possono imporre restrizioni che riguardano gli elementi essenziali della libertà di associazione (l'essence même du droit), senza i quali verrebbe meno il contenuto di tale libertà, quale è il diritto di costituire un sindacato e di aderirvi, dato che le «droit de former un syndicat et de s'y affilier fait partie de ces éléments essentiels».
      In adempimento delle sentenze Matelly ed ADefDroMil il legislatore francese, con la legge n.  2015-917 del 28 luglio 2015, ha modificato la previsione incompatibile con la CEDU, riconoscendo il diritto di associazione professionale secondo quanto stabilito con una specifica disciplina.
      Evidenzia quindi come, in attesa di un intervento legislativo in materia, al fine di non ledere o comprimere l'esercizio del diritto di associazione sindacale tra i militari, il Ministero della difesa, con circolare del 21 settembre 2018, ha provveduto a integrare le disposizioni interne in materia di associazionismo tra militari, indicando specifiche condizioni per consentire l'avvio delle procedure di costituzione delle associazioni professionali a carattere sindacale.
      Ai sensi dei commi 2 e 5 dell'articolo 1 non possono aderire alle richiamate associazioni professionali a carattere sindacale il personale della riserva e in congedo, nonché gli allievi delle scuole militari e delle accademie militari.
      Oltre a precisare, al comma 4, che l'adesione alle associazioni professionali a carattere sindacale tra i militari è libera, volontaria e individuale, l'articolo, al comma 3, pone il divieto agli appartenenti alle Forze armate e ai corpi di polizia ad ordinamento di aderire ad associazioni professionali a carattere sindacale diverse da quelle costituite ai sensi del provvedimento.
      L'articolo 2 definisce i princìpi generali in materia di associazioni professionali a carattere sindacale tra i militari stabilendo che le associazioni devono operare nel rispetto dei princìpi di democraticità, trasparenza e partecipazione e che gli statuti devono essere improntati al principio di democraticità dell'organizzazione sindacale ed elettività delle relative cariche; di neutralità, estraneità alle competizioni politiche e ai partiti e movimenti politici; assenza di finalità contrarie ai doveri derivanti dal giuramento prestato dai militari; assenza di scopo di lucro.
      L'articolo 3 definisce il procedimento relativo alla costituzione delle associazioni professionali a carattere sindacale tra i militari.
      Al riguardo viene stabilito il principio generale in forza del quale le associazioni professionali a carattere sindacale tra i militari, ai fini della loro costituzione, devono ottenere il preventivo assenso del Ministro competente (Ministro della difesa/Ministro dell'economia e delle finanze) che entro novanta giorni dalla data della richiesta di assenso preventivo accerta la sussistenza dei requisiti.
      Si specifica che l'efficacia di ogni successiva modifica statutaria è, anch'essa subordinata al preventivo assenso del Ministro competente.
      È inoltre contemplata la revoca dell'assenso nel caso di perdita di anche uno solo dei requisiti o di violazione delle prescrizioni contenute nella legge. Il potere di revoca spetta al Ministro competente, che Pag. 20ne informa il Ministro per la pubblica amministrazione per i conseguenti provvedimenti di sua competenza.
      L'articolo 4 specifica le attività che non possono essere svolte dalle organizzazioni sindacali (limitazioni) ponendo, in particolare, il divieto di:
          assumere la rappresentanza di lavoratori non appartenenti alle Forze armate o ai corpi di polizia ad ordinamento militare;
          proclamare lo sciopero o parteciparvi anche se proclamato da organizzazioni sindacali estranee al personale militare e agli appartenenti ai corpi di polizia ad ordinamento militare;
          promuovere manifestazioni pubbliche in uniforme o con armi di servizio o sollecitare o invitare gli appartenenti alle Forze armate o ai corpi di polizia ad ordinamento militare a parteciparvi;
          assumere la rappresentanza in via esclusiva di una o più categorie di personale;
          assumere una denominazione che richiami, anche in modo indiretto quella di una o più categorie di personale che non sia la singola Forza armata o Corpo di polizia di appartenenza;
          assumere una denominazione che richiami, anche in modo indiretto, quella di organizzazioni sindacali, per cui sussiste il divieto di adesione ai sensi della presente legge, o di organizzazioni politiche;
          promuovere iniziative di organizzazioni politiche, di supportare a qualsiasi titolo campagne elettorali afferenti alla vita politica del Paese;
          stabilire domicilio sociale presso unità o strutture del Ministero della difesa o dell'economia e delle finanze;
          assumere rappresentanza a carattere interforze.

      L'articolo 5 stabilisce, con riferimento alla competenza per materia delle associazioni professionali a carattere sindacale tra i militari, che queste rappresentano e tutelano i propri iscritti sulle materie di interesse del personale rappresentato ad eccezione delle materie concernenti l'ordinamento, l'addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale, l'impiego del personale. Tali limitazioni sono giustificate in quanto le richiamate materie risultano connesse all'efficienza e all'operatività dello strumento militare nazionale.
      L'articolo 6 reca disposizioni in merito alla possibilità che gli statuti prevedano la costituzione di articolazioni periferiche delle associazioni professionali a carattere sindacale definendone l'ambito territoriale di operatività.
      L'articolo 7 dispone che le associazioni professionali di carattere sindacale tra militari siano finanziate esclusivamente con i contributi sindacali degli iscritti, corrisposti nelle forme previste dall'articolo, prevedendo altresì che le associazioni non possono ricevere eredità o legati, donazioni o sovvenzioni in qualsiasi forma.
      L'articolo 8 stabilisce che le cariche nelle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari sono esclusivamente elettive e possono essere ricoperte solo da militari in servizio effettivo, che abbiano compiuto almeno cinque anni di servizio nelle Forze armate o nei corpi di polizia ad ordinamento militare e da militari in ausiliaria iscritti all'associazione stessa.
      Oltre a stabilire i requisiti di eleggibilità, si prevede che la durata delle cariche elettive è di quattro anni e non può essere frazionata.
      Non è inoltre consentita la rielezione per più di due mandati consecutivi e si stabilisce che coloro i quali hanno ricoperto per due mandati consecutivi le cariche elettive sono nuovamente rieleggibili trascorsi tre anni dalla scadenza del secondo mandato; si precisa altresì che nessun militare può essere posto in distacco sindacale per più di cinque volte.
      L'articolo 9 stabilisce i princìpi generali concernenti lo svolgimento dell'attività sindacale, prevedendo al comma 1 che i rappresentanti delle associazioni sindacali svolgano la loro attività sindacale fuori Pag. 21dell'orario di servizio, salvi incontri autorizzati e le riunioni di cui all'articolo 10.
      Il comma 2 indica le attività che possono svolgere le associazioni a carattere sindacale tra militari:
          presentare osservazioni e proposte ai ministeri competenti;
          essere ascoltate dalle Commissioni parlamentari;
          chiedere di essere ricevute dai ministeri competenti, dagli organi delle forze armate o delle forze di polizia a ordinamento militare e dai rappresentanti di regioni ed enti locali.

      In tale contesto, ai sensi del comma 3, il Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, un decreto legislativo per disciplinare l'esercizio dei diritti sindacali da parte del personale impiegato in luogo di operazioni in attività operativa, addestrativa ed esercitativa o, comunque, fuori del territorio nazionale inquadrato in contingenti o a bordo di unità navali ovvero distaccato individualmente, secondo il principio e criterio direttivo di conciliare la tutela dei diritti sindacali del personale militare con le esigenze di funzionalità, sicurezza e prontezza operativa correlate alle specifiche operazioni militari.
      Si prevede altresì che lo schema di decreto legislativo è sottoposto, sentite le associazioni professionali a carattere sindacale riconosciute ai sensi dell'articolo 13, al parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si esprimono entro trenta giorni dalla trasmissione.
      L'articolo 10 disciplina il diritto di assemblea delle associazioni sindacali.
      Si prevede, in particolare, al comma 1, che i militari fuori dall'orario di servizio, possono:
          tenere riunioni anche in uniforme, in locali dell'amministrazione, messi a disposizione dalla stessa, che concorda le modalità d'uso;
          in luoghi aperti al pubblico, senza l'uso dell'uniforme.

      Il comma 2 autorizza, durante l'orario di servizio nel limite di dieci ore annue individuali, riunioni che abbiano all'ordine del giorno materie di competenza delle associazioni sindacali, secondo le disposizioni che regolano l'assenza dal servizio, previa comunicazione ai comandanti delle unità o dei reparti interessati da parte dell'associazione professionale a carattere sindacale tra militari richiedente.
      In base al comma 3 le modalità di tempo e di luogo per lo svolgimento delle riunioni devono essere concordate con i comandanti al fine di renderle compatibili con le esigenze di servizio.
      Il comma 4 stabilisce che le controversie in materia sono regolate ai sensi dell'articolo 17-bis.
      L'articolo 11 disciplina le procedure della contrattazione, attribuendo alle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari, riconosciute a livello nazionale, i poteri negoziali al fine della contrattazione nazionale di settore. Mediante rinvio agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo n.  195 del 1995, sono oggetto di contrattazione le seguenti materie:
          il trattamento economico fondamentale e accessorio;
          il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari;
          la durata massima dell'orario di lavoro settimanale;
          le licenze;
          l'aspettativa per motivi privati e per infermità;
          i permessi brevi per esigenze personali;
          il trattamento economico di missione, di trasferimento e di lavoro straordinario;
          i criteri per l'istituzione di organi di verifica della qualità e salubrità dei servizi di mensa e degli spacci, per lo sviluppo delle attività di protezione sociale e di benessere del personale, compresi l'elevazione e l'aggiornamento culturale del medesimo, nonché per la gestione degli enti di assistenza del personale; Pag. 22
          l'istituzione dei fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo n.  502 del 1992.

      Ai sensi dell'articolo 12 le amministrazioni del Ministero della difesa e del Ministero dell'economia e delle finanze comunicano, anche attraverso la pubblicazione sui portali istituzionali, alle associazioni professionali a carattere sindacale tra i militari ogni iniziativa volta a modificare il rapporto d'impiego con il personale militare, con particolare riferimento alle direttive interne della Forza armata o del Corpo di polizia ad ordinamento militare di appartenenza o alle direttive di carattere generale che direttamente o indirettamente riguardano la condizione lavorativa del personale militare.
      L'articolo 13 stabilisce i requisiti per il riconoscimento del carattere rappresentativo delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari.
      In particolare, queste sono considerate rappresentative a livello nazionale quando raggiungono un numero di iscritti almeno pari al cinque per cento della forza effettiva complessiva della Forza armata o Corpo di polizia ad ordinamento militare e al tre per cento della forza effettiva di ogni categoria.
      In tale ambito si prevede che con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione, sentiti, per quanto di rispettiva competenza, i Ministri della difesa e dell'economia e delle finanze, sono riconosciute le associazioni professionali a carattere sindacale tra militari rappresentative a livello nazionale.
      L'articolo 14, riguardante la propaganda elettorale, è stato soppresso nel corso dell'esame in sede referente.
      Gli articoli 15 e 16 recano, rispettivamente, norme in materia di tutela e diritti del personale militare che ricopre cariche elettive e di pubblicità dell'attività sindacale svolta dalle associazioni.
      In particolare, il comma 2-bis dell'articolo 16 prevede che i dirigenti dei sindacati militari nazionali possano avere rapporti con gli organi di stampa e rilasciare dichiarazioni esclusivamente in merito alle materie di competenza dell'associazione professionale a carattere sindacale e oggetto di contrattazione nazionale di settore, mentre il comma 3 del medesimo articolo stabilisce che negli ordinamenti didattici delle scuole di formazione, di base e delle accademie militari sia inserita la materia «elementi di diritto del lavoro e di diritto sindacale in ambito militare».
      L'articolo 17, comma 1, delega il Governo ad adottare, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per il coordinamento normativo delle disposizioni del decreto legislativo 12 maggio 1995, n.  195, e del Codice dell'ordinamento militare.
      Ricorda in merito che il citato decreto legislativo n.  195 del 1995 ha attuato l'articolo 2 della legge n.  216 del 1992, in materia di procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate. Con l'articolo 2 del decreto legislativo n.  195 del 1995 è stato sancito il principio della partecipazione degli organismi di rappresentanza militare alla fase di concertazione che precede l'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica – previsti dall'articolo 1 – con i quali vengono regolamentati i rapporti relativi alle due richiamate categorie di personale delle Forze di polizia anche ad ordinamento militare e delle Forze armate.
      In relazione alla delega prevista dal comma 1 sono stabiliti i seguenti princìpi e criteri direttivi:
          abrogazione delle disposizioni normative e regolamentari che disciplinano gli istituti della rappresentanza militare;
          novella del decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66, al fine di inserirvi le disposizioni della legge;
          modificazioni e integrazioni normative per il necessario coordinamento con le disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti.

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      Ai sensi del comma 2 dell'articolo 17 sugli schemi di decreto legislativo è prevista l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si esprimono entro trenta giorni dalla trasmissione.
      Il comma 2-bis stabilisce che con un decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze è adottato il regolamento di attuazione della legge.
      Il comma 3 attribuisce ad un apposito decreto, adottato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge dal Ministro per la pubblica amministrazione, sentiti i Ministri della difesa e dell'economia e delle finanze, il compito di determinare il contingente dei distacchi e dei permessi sindacali per ciascuna Forza armata e Forza di polizia a ordinamento militare, da ripartire tra le associazioni professionali a carattere sindacale, sulla base della rappresentatività calcolata secondo quanto previsto dal richiamato articolo 13.
      L'articolo 17-bis stabilisce, al comma 1, che le controversie relative a comportamenti antisindacali nell'ambito disciplinato dalla legge, possono essere introdotte con ricorso proposto da una associazione professionale di carattere sindacale tra militari o individualmente da ciascun appartenente alle Forze armate e di polizia ad ordinamento militare.
      Il comma 2 stabilisce altresì che le controversie relative alle procedure di contrattazione nazionale di settore, disciplinate dalla legge, possono essere introdotte con ricorso proposto dall'amministrazione competente o da una associazione professionale di carattere sindacale tra militari.
      Il comma 3 prevede che le predette controversie siano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in deroga all'articolo 63 del decreto legislativo n.  165 del 2001, e all'articolo 28 della legge n.  300 del 1970.
      Ricorda in merito che il predetto articolo 63 del decreto legislativo n.  165 del 2001 devolve al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (comprese le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni), ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro in regime di diritto pubblico (principalmente si tratta dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili, degli avvocati e procuratori dello Stato, del personale militare e delle Forze di polizia di Stato, del personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia) e delle controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
      Il richiamato articolo 28 della legge n.  300 riguarda la disciplina dei ricorsi al giudice ordinario, da parte degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, contro i comportamenti del datore di lavoro diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero.
      La norma del comma 3 dell'articolo 17-bis specifica che a tali giudizi si applica il rito ordinario previsto dal codice del processo amministrativo, con le relative norme di attuazione, di cui agli allegati 1 e 2 al decreto legislativo n.  104 del 2010.
      L'articolo 18 reca norme transitorie e le abrogazioni necessarie a seguito dell'approvazione della nuova disciplina.
      In particolare, sono abrogati gli articoli da 1476 a 1482 del codice dell'ordinamento militare che disciplinano i vigenti istituti della rappresentanza militare (COCER, COIR, COBAR) e si stabilisce che fino alla data di entrata in vigore del decreto ministeriale che disciplina i distacchi e i permessi restano in carica, esclusivamente per le attività di ordinaria amministrazione, i delegati della rappresentanza militare il cui mandato è in corso alla data di entrata in vigore della legge.
      Per quanto attiene al rispetto delle competenze costituzionalmente definite rileva come il provvedimento riguardi fattispecie riconducibili alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione.
      In particolare, rilevano le lettere d) ed l) del comma 2 del predetto articolo 117, Pag. 24che attribuiscono, tra l'altro, allo Stato la potestà legislativa esclusiva nelle materie «difesa e Forze armate» e «giurisdizione e norme processuali».
      Formula quindi una proposta di parere favorevole (vedi allegato 1).

      Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere della relatrice.

Disposizioni per la promozione e il sostegno della lettura.
C. 478 e abb.
(Parere alla VII Commissione).
(Rinvio dell'esame).

      Alberto STEFANI, presidente, per quanto riguarda l'esame delle proposte di legge C. 478 e abbinate, recanti disposizioni per la promozione e il sostegno della lettura, attualmente all'ordine del giorno del Comitato pareri di oggi, fa presente che la VII Commissione Cultura chiederà un posticipo dell'avvio della discussione in Assemblea sul provvedimento, al momento previsto per lunedì 27 maggio prossimo: pertanto il provvedimento sarà nuovamente inserito all'ordine del giorno del Comitato pareri nella settimana compresa tra il 27 e il 30 maggio prossimo, alla luce dell'andamento dell'esame in sede referente presso la VII Commissione.

DL 35/2019: Misure emergenziali per il servizio sanitario della regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria.
C. 1816 Governo.
(Parere alla XII Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

      Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

      Francesco FORCINITI (M5S), relatore, rileva come il Comitato permanente per i pareri sia chiamato a esaminare, ai fini del parere alla XII Commissione Affari sociali, il disegno di legge C. 1816, di conversione del decreto-legge n.  35 del 2019, recante misure emergenziali per il servizio sanitario della regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria.
      Il decreto-legge si compone di 16 articoli, suddivisi in III Capi; il Capo I, che contiene gli articoli da 1 a 10, è interamente dedicato a disposizioni speciali per la regione Calabria volte, come specificato dall'articolo 1, a ripristinare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, nonché ad assicurare il raggiungimento degli obiettivi del Piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale secondo i relativi programmi operativi. Tutti gli interventi proposti pertanto si configurano come provvedimenti normativi straordinari, assunti per un periodo temporale limitato a 18 mesi (ai sensi dell'articolo 15, comma 1, del decreto – legge), con i quali si intende traghettare la sanità calabrese verso situazioni amministrative «normali».
      A tale fine, l'articolo 2 disciplina e rafforza le procedure di verifica dei direttori generali degli enti del Servizio sanitario regionale (attualmente regolamentate dall'articolo 2 del decreto legislativo n.  171 del 2016 e di pertinenza delle regioni), prevedendo procedure di verifica straordinaria sui direttori generali, effettuate direttamente dal Commissario ad acta per l'attuazione dei piani di rientro dai disavanzi del servizio sanitario nella regione Calabria.
      In particolare si prevede che la verifica è effettuata entro trenta giorni dall'entrata in vigore del provvedimento, e, successivamente, ogni sei mesi ed è diretta ad accertare se le azioni poste in essere dal direttore generale siano coerenti con gli obiettivi di attuazione del piano di rientro. Il Commissario ad acta, nel caso di valutazione negativa del direttore generale, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, provvede motivatamente, a dichiararne l'immediata decadenza dall'incarico, nonché a risolverne il relativo contratto.
      L'articolo 3 disciplina la nomina del Commissario straordinario – da parte del Pag. 25Commissario ad acta, previa intesa con la Regione – nel caso di valutazione negativa dell'operato del direttore generale di enti del Servizio sanitario regionale a seguito di verifica straordinaria dell'attività del direttore medesimo secondo quanto disposto dall'articolo 2 del decreto-legge.
      Il comma 1 prevede che, in presenza di valutazione negativa, qualora l'intesa sulla nomina non sia raggiunta nel termine perentorio di dieci giorni, la nomina è effettuata con decreto del Ministro della salute, su proposta del Commissario ad acta, previa delibera del Consiglio dei ministri, a cui è invitato a partecipare il Presidente della Giunta regionale con preavviso di almeno tre giorni. La disposizione specifica che, qualora in luogo del direttore generale sia stato nominato dalla regione Calabria un commissario che, a qualsiasi titolo, ne svolge le funzioni, questi decade in ogni caso dalla data di entrata in vigore del decreto-legge e si applicano le disposizioni dell'articolo.
      Ai sensi del comma 2 il Commissario straordinario è scelto tra soggetti, anche in quiescenza, di comprovata competenza ed esperienza, in particolare in materia di organizzazione sanitaria o di gestione aziendale, «anche» nell'ambito dell'elenco nazionale dei soggetti idonei a ricoprire l'incarico di direttore generale di cui all'articolo 1 del decreto legislativo n.  171 del 2016.
      In proposito, ai fini di una valutazione della disposizione, ricorda che, da un lato, la giurisprudenza costituzionale in materia intende tutelare, per l'attivazione del potere sostitutivo, il principio della leale collaborazione tra i diversi livelli di governo, richiamando la procedura prevista dall'articolo 8 della legge n.  131 del 2003.
      Dall'altro lato, la medesima giurisprudenza appare volta a garantire che, nel caso di esercizio del potere sostitutivo ai sensi dell'articolo 120, l'azione del Commissario ad acta si possa svolgere al riparo di ogni interferenza da parte di organismi regionali.
      Con riferimento al primo aspetto richiama la sentenza n.  165 del 2011, che ha censurato l'articolo 4, comma 2, del decreto-legge n.  78 del 2009, il quale prevedeva un'attivazione del potere sostitutivo ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione non conforme a quanto previsto dall'articolo 8 della legge n.  131 del 2003. Tale disposizione prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, assegni all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari e che, solo decorso inutilmente detto termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, assuma i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomini un apposito commissario. Nei casi di assoluta urgenza, il Consiglio dei ministri adotta i provvedimenti necessari, i quali sono immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza unificata, che possono chiederne il riesame.
      Con riferimento al secondo aspetto della disposizione richiama, da ultimo, la sentenza n.  117 del 2018, la quale ha affermato che «le funzioni del Commissario devono restare, fino all'esaurimento dei compiti commissariali, al riparo da ogni interferenza degli organi regionali – anche qualora questi agissero per via legislativa – pena la violazione dell'articolo 120, secondo comma, Cost.». Inoltre, la Corte ha ricordato che «il ruolo della Regione non può consistere in una sovrapposizione legislativa e amministrativa alle funzioni commissariali, ma deve limitarsi a compiti di impulso e vigilanza per la garanzia dei LEA e a una trasparente e corretta trasposizione delle entrate e degli oneri finanziari per la sanità nel bilancio regionale».
      L'articolo 4 disciplina la verifica periodica, da parte del Commissario straordinario, sull'attività dei direttori amministrativi e sanitari delle rispettive aziende, sulla base dei criteri stabiliti dalla normativa vigente, con conseguente eventuale pronuncia di decadenza dall'incarico dei soggetti verificati e nomina dei sostituti.
      L'articolo 5 estende alle aziende sanitarie della regione Calabria la disciplina prevista per gli enti locali in tema di dissesto. Pag. 26
      In merito la disposizione attribuisce al Commissario straordinario il compito di effettuare una verifica, anche avvalendosi dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e del Corpo della Guardia di Finanza, della gestione dell'ente a cui è preposto, alla quale consegue, qualora emergano irregolarità gestionali gravi e reiterate, la previsione della gestione straordinaria dell'ente verificato.
      A tale gestione provvede un commissario straordinario di liquidazione, del quale viene la norma disciplina la nomina, le condizioni giuridiche del rapporto ed il compenso. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del titolo VIII del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL) di cui al decreto legislativo n.  267 del 2000, con l'espressa menzione di quelle riguardanti il blocco delle procedure esecutive. Si prevede altresì che, entro trenta giorni dalla nomina, il Commissario straordinario di liquidazione presenta al Commissario ad acta, che l'approva, il piano di rientro aziendale.
      L'articolo 6 detta specifiche disposizioni in tema di appalti, servizi e forniture degli enti del servizio sanitario della regione Calabria.
      In particolare, i commi 1 e 2 concernono le procedure per gli enti e le aziende del Servizio sanitario della regione Calabria relativamente all'acquisizione di beni e servizi e all'affidamento di lavori di manutenzione.
      I commi 3 e 4 riguardano gli interventi in materia di edilizia sanitaria e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario nella regione Calabria.
      Il comma 5 reca una destinazione specifica di risorse finanziarie per il 2019, in favore del suddetto ammodernamento tecnologico nella medesima regione, nell'ambito delle risorse previste in materia a livello nazionale.
      L'articolo 7 modifica la procedura per l'adozione di una misura straordinaria di gestione, con riferimento alle imprese esercenti attività sanitaria per conto del Servizio sanitario della regione Calabria.
      Le misure si applicano per diciotto mesi dall'entrata in vigore del decreto e concernono, nell'ambito delle varie fattispecie contemplate dalla disciplina vigente, l'ipotesi in cui l'autorità giudiziaria proceda per determinati delitti, ovvero riscontri situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali, nei confronti di un'impresa che eserciti, in base ad accordi contrattuali, attività sanitaria per conto del Servizio sanitario nazionale.
      L'articolo 8 prevede lo svolgimento di un'attività di supporto tecnico e operativo da parte dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) in favore del Commissario ad acta della regione Calabria, nonché degli eventuali Commissari straordinari nominati (ai sensi dei precedenti articoli del decreto – legge) per i singoli enti o aziende del Servizio sanitario della medesima regione. Anche in questo caso le norme si applicano per diciotto mesi dall'entrata in vigore del decreto.
      L'articolo 9 prevede una collaborazione da parte del Corpo della Guardia di Finanza in favore del Commissario ad acta della regione Calabria, nonché degli eventuali Commissari straordinari e Commissari straordinari di liquidazione nominati (ai sensi dei precedenti articoli), rispettivamente, per i singoli enti o aziende del Servizio sanitario della stessa regione e per l'eventuale gestione straordinaria del medesimo ente o azienda (gestione relativa alla definizione di entrate ed obbligazioni pregresse).
      L'articolo 10 concerne l'eventuale scioglimento di singoli enti o aziende del Servizio sanitario della regione Calabria, ai sensi degli articoli 143, 144, 145 e 146 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, e reca norme di coordinamento tra i suddetti articoli e le disposizioni di articoli precedenti del decreto-legge.
      Il Capo II, che si compone degli articoli da 11 a 13, reca misure urgenti su specifiche tematiche del settore sanitario.
      L'articolo 11 intende arginare la ormai cronica carenza di personale del servizio sanitario regionale nazionale (SNN), determinatasi a seguito di diversi fattori, fra Pag. 27i quali il limite di spesa per il personale (riferito alla spesa 2004 diminuita dell'1,4 per cento) previsto a legislazione vigente.
      A tale proposito la disposizione stabilisce che, a decorrere dal 2019, la spesa per il personale degli enti del SSN di ciascuna regione e Provincia autonoma non potrà superare il valore della spesa sostenuta nell'anno 2018, o, se superiore, il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1,4 per cento. I predetti valori potranno essere incrementati annualmente, a livello regionale, di un importo pari al 5 per cento dell'incremento, rispetto all'esercizio precedente, del Fondo sanitario regionale. Dal 2021, l'incremento di spesa del 5 per cento è subordinato all'adozione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli enti del SSN.
      In tale ambito il comma 5, con una norma derogatoria temporanea, intende invece superare le criticità emerse nel procedimento di nomina dei direttori generali degli istituti zooprofilattici sperimentali a seguito dell'istituzione dell'elenco nazionale degli idonei alla nomina di direttore generale degli enti del Servizio sanitario nazionale. I requisiti di ammissione all'elenco non sono stati infatti ritenuti del tutto congrui con la specificità dei compiti e delle funzioni attribuiti dall'ordinamento a tali istituti. Pertanto, in deroga alla disciplina dettata dal decreto legislativo n.  171 del 2016, che ha istituito l'elenco nazionale degli idonei alla nomina di direttore generale degli enti del Servizio sanitario nazionale, e nelle more di una revisione dei requisiti per l'iscrizione in tale elenco, per un periodo limitato a 18 mesi, il comma 5 permette che le nomine dei direttori generali degli Istituti zooprofilattici sperimentali siano effettuate con le modalità previste dall'articolo 11, comma 5, del decreto legislativo n.  106 del 2012, riguardante la riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero della salute.
      L'articolo 12 proroga al 2021 l'entrata in vigore del nuovo esame di abilitazione per l'esercizio della professione medica disposto dal decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 9 maggio 2018, n.  58, al fine di consentire agli atenei una migliore organizzazione degli esami di Stato.
      Per i medici veterinari viene estesa la specifica disciplina già prevista a legislazione vigente ai fini dell'accesso alla dirigenza del ruolo sanitario.
      Inoltre, per sopperire alla contingente carenza di medici di medicina generale, si dispone che, fino al 31 dicembre 2021, ai laureati in medicina e chirurgia idonei all'ammissione al corso triennale di formazione specifica in medicina generale, che risultino già incaricati, per almeno 24 mesi anche non continuativi negli ultimi 10 anni a far data dall'entrata in vigore del presente decreto, è consentito l'accesso al corso stesso tramite graduatoria riservata, senza borsa di studio e nei limiti di spesa previsti.
      L'articolo 13 al comma 1 interviene in tema di carenza di medicinali, estendendo da due a quattro mesi il termine temporale entro il quale le aziende farmaceutiche sono tenute a informare l'Agenzia italiana del farmaco dell'interruzione, momentanea o parziale, della commercializzazione di un medicinale di cui sono titolari dell'autorizzazione all'immissione in commercio. Inoltre, viene introdotta una sanzione amministrativa pecuniaria per i casi di interruzione, temporanea o definitiva, della commercializzazione del medicinale nel territorio nazionale.
      Il comma 2 estende al 2019, in via transitoria ed eccezionale, la possibilità di ripartire le risorse finanziarie (a valere sul Fondo sanitario nazionale) accantonate per le quote premiali da destinare alle regioni virtuose, tenendo anche conto dei criteri di riequilibrio indicati dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome. L'urgenza dell'intervento, peraltro richiesto dalle regioni come già avvenuto per gli anni precedenti, risiede nella necessità di garantire il riparto delle predette risorse in modo da evitare l'insorgere di criticità di ordine finanziario in merito agli equilibri di bilancio regionali.
      Il Capo III, che comprende gli articoli da 14 a 16, reca le disposizioni finanziarie, transitorie e finali. Pag. 28
      L'articolo 14 reca la copertura degli oneri finanziari.
      L'articolo 15 stabilisce una durata di 18 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto per l'applicazione delle disposizioni di cui al Capo I, in relazione alla specifica disciplina prevista per il Servizio sanitario della regione Calabria, disponendo comunque la cessazione delle funzioni dei direttori generali degli enti del medesimo Servizio sanitario regionale, eventualmente nominati nei 30 giorni precedenti alla predetta data.
      Sono inoltre revocate, in ogni caso, le procedure selettive dei direttori generali eventualmente in corso alla medesima data.
      L'articolo 16 disciplina l'entrata in vigore del decreto-legge.
      Per quanto riguarda il rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, rileva come il provvedimento, in particolare al Capo I, intervenga sulla materia «tutela della salute», di competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione con la finalità di assicurare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario la cui determinazione è rimessa alla competenza legislativa statale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
      Per quanto attiene poi alle disposizioni dei Capi II e III, vengono in rilievo (all'articolo 13) le materie «professioni», «tutela della salute», di competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni e per taluni aspetti, la materia «formazione professionale», di competenza legislativa regionale, nonché (agli articoli 11 e 12) la materia «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», di competenza esclusiva statale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
      Al riguardo segnala come la giurisprudenza costituzionale abbia in proposito evidenziato, in più occasioni, come il necessario intreccio e sovrapposizione di materie, quali la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, la tutela della salute ed il coordinamento della finanza pubblica (sentenze n.  187 del 2012, n.  330 del 2011 e n.  200 del 2009) fa sì che la disciplina della materia sia interamente improntata al principio di leale cooperazione.
      Su tale tematica occorre anche richiamare l'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il quale consente al Governo di sostituirsi a organi della regione nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa europea oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.
      La disposizione costituzionale richiamata prevede che la legge definisca le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.
      Formula quindi una proposta di parere favorevole (vedi allegato 2).

      Emanuele PRISCO (FdI) esprime alcuni dubbi circa il contenuto del provvedimento in esame, in particolare per quanto riguarda la compatibilità con le previsioni costituzionali delle norme circa le modalità di nomina dei vertici degli enti del servizio sanitario regionale nonché circa il coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni e il rispetto delle autonomie regionali.

      Andrea CECCONI (Misto-MAIE), nell'esprimere condivisione per un intervento teso a riportare alla normalità i livelli di assistenza sanitaria in Calabria, rilevando piuttosto una certa debolezza delle disposizioni del Capo I del provvedimento, che, a suo avviso, avrebbero potuto essere più incisive, si dichiara tuttavia sorpreso che la relatrice nella sua proposta di parere non faccia alcuna menzione in ordine al Pag. 29rispetto delle competenze regionali in materia, in considerazione di quanto previsto dall'articolo 117 della Costituzione. Nel ricordare che vi sono già ricorsi pendenti presso la Corte costituzionale per quanto concerne la nomina del Commissario ad acta, fa notare, infatti, che il provvedimento entra proprio nel merito della gestione sanitaria commissariale.
      Non ritiene dignitoso, dunque, che la Commissione non si esprima sugli aspetti del provvedimento che riguardano il riparto di tali competenze legislative, in relazione ai quali è presumibile aspettarsi anche la presentazione di un ricorso alla Corte costituzionale da parte della regione Calabria.

      Francesco FORCINITI (M5S), relatore, conferma la sua proposta di parere, rilevando come, rispetto alle tematiche affrontate dal decreto – legge, il vero profilo di incostituzionalità sia costituito dalla pessima gestione della sanità calabrese, che l'ha trasformata in una sorta di vero e proprio «bancomat», perpetrando giganteschi sprechi e violando il diritto dei cittadini residenti in quell'area di godere dei livelli essenziali di assistenza loro spettanti.

      Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

      La seduta termina alle 15.

SEDE REFERENTE

      Martedì 14 maggio 2019. — Presidenza del presidente Giuseppe BRESCIA. – Intervengono il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta Simone Valente e il sottosegretario di Stato per l'interno Nicola Molteni.

      La seduta comincia alle 15.

Variazioni nella composizione della Commissione.

      Giuseppe BRESCIA, presidente, comunica che, per il gruppo Misto, cessa di fare parte della Commissione il deputato Giorgio Silli.

Modifica all'articolo 58 della Costituzione in materia di elettorato per l'elezione del Senato della Repubblica.
C. 1511 cost. Bruno Bossio, C. 1647 cost. Ceccanti e C. 1826 cost. Brescia.
(Esame e rinvio).

      La Commissione inizia l'esame dei provvedimenti in oggetto.

      Valentina CORNELI (M5S), relatrice, fa presente che la Commissione è chiamata ad avviare l'esame, in sede referente, delle abbinate proposte di legge costituzionale C. 1511 Bruno Bossio, C. 1647 Ceccanti e C. 1826 Brescia, recanti modifiche all'articolo 58 della Costituzione, in materia di elettorato per l'elezione del Senato della Repubblica.
      Le proposte di legge costituzionale in esame intervengono in materia di elettorato del Senato, con la finalità di ridurre i limiti di età previsti dalla Carta costituzionale; in particolare, le proposte di legge C. 1511 e C. 1647 intervengono sia sull'elettorato attivo sia su quello passivo, mentre la proposta di legge C. 1826 interviene solo sull'elettorato attivo.
      Al riguardo ricorda, in via preliminare, che la disciplina attualmente vigente, in relazione all'elettorato attivo, prevede che votino per l'elezione delle due Camere i cittadini italiani che siano in possesso del diritto di elettorato attivo e che abbiano raggiunto i seguenti requisiti anagrafici:
          la maggiore età (18 anni) per l'elezione dei deputati, secondo quanto previsto dall'articolo 48, primo comma, della Costituzione e dall'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n.  223 del 1967;
          il compimento del 25o anno di età per l'elezione dei senatori, secondo quanto previsto dall'articolo 58, primo comma, della Costituzione e dall'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n.  533 del 1993.Pag. 30
      Ai sensi dell'articolo 48, quarto comma, della Costituzione il diritto di elettorato attivo può essere limitato soltanto per incapacità civile o per effetto di una sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge. In base a quanto previsto dall'articolo 2 del Decreto del Presidente n.  223 del 1967, la legge elenca tassativamente le cause di perdita dell'elettorato attivo.
      Per quanto concerne invece l'elettorato passivo, rammenta che, ai sensi dell'articolo 56, terzo comma, e dell'articolo 58, secondo comma, della Costituzione, possono essere eletti alla carica di deputato e senatore (elettorato passivo) i cittadini italiani che siano titolari del diritto di elettorato attivo e abbiano compiuto rispettivamente il 25o e il 40o anno di età.
      La perdita della capacità elettorale attiva produce come diretta conseguenza l'estinzione del diritto di elettorato passivo.
      Passando al contenuto dei provvedimenti, rileva come tutte le proposte di legge costituzionali (C. 1511, C. 1647 e C. 1826) – attraverso la modifica dell'articolo 58, primo comma della Costituzione – intervengano sull'elettorato attivo del Senato, abbassando il limite di età per eleggere i componenti di tale organo da 25 a 18 anni.
      A tale fine, la proposta di legge C. 1511 interviene sull'articolo 58, primo comma, sostituendo le parole «che hanno superato il venticinquesimo anno di età», con le parole «che hanno compiuto la maggiore età», mentre le proposte di legge C. 1647 e C. 1826 si limitano a sopprimere le parole «dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età», proponendo una formulazione peraltro già contenuta nell'articolo 56, primo comma, per la Camera dei deputati.
      Le proposte di legge costituzionali C. 1511 e C. 1647 modificano altresì le previsioni sull'elettorato passivo del Senato, di cui all'articolo 58, secondo comma, della Costituzione, riducendo l'età per essere eletti alla carica di senatore da 40 a 25 anni, realizzando in tal modo una piena uniformità dei requisiti di elettorato attivo e passivo per il Senato della Repubblica a quelli già previsti per la Camera dei deputati.
      In tale contesto segnala come negli anni passati l'abbassamento del limite di età per l'elettorato attivo e passivo è stata spesso incluso nelle diverse ipotesi di riforma costituzionale discusse in Parlamento. Nel corso della XVI legislatura è stata presentata e discussa una proposta di riforma ad hoc.
      In particolare, nel corso della XVII legislatura il testo di riforma costituzionale approvato dal Parlamento, sul quale l'esito del referendum svolto ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione non è stato favorevole, prevedeva una Camera inalterata nella sua composizione di 630 deputati e un Senato di 95 senatori elettivi di secondo grado.
      Per quanto riguarda l'elettorato attivo e passivo dei senatori, il testo prevedeva che i senatori fossero eletti dai Consigli regionali e dai Consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano fra i loro componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori. Veniva al contempo disposta la soppressione dell'articolo 58 della Costituzione. Di conseguenza non era più previsto il requisito, per diventare senatori, del compimento di quaranta anni di età, né quello di venticinque anni per esercitare il diritto di voto divenendo il requisito di età, sia per l'elettorato attivo che per quello passivo, corrispondente a quello delle suddette cariche territoriali, quindi pari a 18 anni.
      Per la Camera, invece, l'età anagrafica per essere eletti restava fissata a 25 anni (ai sensi dell'articolo 56 della Costituzione).
      Ricorda altresì che nel corso della XVI Legislatura la Commissione Affari costituzionali del Senato ha esaminato numerosi disegni di riforma costituzionale, prospettanti tra l'altro modifiche dell'elettorato attivo e passivo delle Camere. Il testo approvato dal Senato fu trasmesso alla Camera (A.C. n.  5386) dove, dopo la seduta iniziale svolta dalla I Commissione il Pag. 317 agosto 2012, l’iter del disegno di legge si concluse, con la cessazione della legislatura.
      In quella proposta, era previsto un Senato di 250 senatori (più i senatori a vita e quelli di diritto a vita) con l'abbassamento del requisito di elettorato attivo alla maggiore età e di quello di elettorato passivo a trentacinque anni. Alla Camera, composta di 508 deputati, il requisito di età per l'elettorato passivo era ridotto da 25 a 21 anni, mentre quello dell'elettorato attivo coincideva con la maggiore età.
      Nel corso della stessa Legislatura, inoltre, la Camera ha approvato un progetto di legge finalizzato a promuovere la partecipazione dei giovani alla vita politica, economica e sociale ed a equiparare l'elettorato attivo a quello passivo (A.S. 2921). Il Senato non ha concluso l'esame del testo prima della conclusione della legislatura.
      Il disegno di legge interveniva esclusivamente sull'eleggibilità dei membri del Parlamento (e non anche sul diritto di voto attivo), equiparando completamente il limite di età tra elettorato attivo e passivo, attraverso l'adeguamento del secondo al primo. In tal modo, si prevedeva che fossero eleggibili alla Camera i maggiori di 18 anni (in corrispondenza con l'elettorato attivo) e al Senato di 25 anni (in corrispondenza, anche in questo caso, con l'elettorato attivo).
      Auspica, in conclusione, che sia possibile sviluppare un lavoro costruttivo tra i gruppi in vista di una rapida conclusione dell’iter dei provvedimenti. Al riguardo, fa notare che, mentre sulla questione dell'elettorato attivo per l'elezione del Senato è possibile immaginare un'ampia condivisione, in piena intesa con il relatore Ceccanti, sul tema dell'elettorato passivo per l'elezione di quel ramo del Parlamento tra i relatori si registrano alcune differenze di orientamento, in relazione alle quali sarà opportuno svolgere i necessari approfondimenti di merito. Ritiene, dunque, che sarà importante conoscere la posizione dei gruppi, in particolare su tale secondo aspetto, al fine di avviare una discussione proficua che possa condurre, quanto prima, a definire un punto di incontro e a un risultato efficace.

      Stefano CECCANTI (PD), relatore, richiamando l'attenzione su alcuni aspetti evidenziati nella documentazione predisposta dagli uffici, ricorda, in primo luogo, come già nella IX Legislatura, nella relazione presentata dalla cosiddetta «Commissione Bozzi», fosse stata auspicata la fissazione dell'elettorato attivo per il Senato al conseguimento della maggiore età, in quanto la limitazione prevista dall'articolo 58 della Costituzione era evidentemente già allora considerata un'anomalia sotto il profilo della rappresentanza democratica.
      Segnala, inoltre, come anche la comparazione con gli ordinamenti degli altri Paesi europei vada nella direzione del riconoscimento dell'elettorato attivo per entrambe le Camere al compimento della maggiore età.
      Rileva, infine, come sia opportuna una riflessione anche sul tema dell'elettorato passivo, segnalando al riguardo come il progetto originario redatto dalla Commissione per la Costituzione dell'Assemblea costituente prevedesse la fissazione dell'elettorato passivo per il Senato a 35 anni, elevati a 40 nel corso dell'esame del testo da parte dell'Assemblea.

      Emanuele PRISCO (FdI) chiede l'abbinamento della proposta di legge costituzionale C. 295 Meloni, la quale interviene anch'essa sulla tematica dell'elettorato passivo del Senato, oltre che su altre questioni connesse.

      Giuseppe BRESCIA, presidente, con riferimento alla richiesta avanzata dal deputato Prisco, segnala come la proposta di legge costituzionale C. 295 Meloni non possa essere abbinata d'ufficio ai provvedimenti in esame, in quanto riguarda, oltre all'elettorato passivo del Senato, anche altre materie diverse dall'elettorato. In proposito rileva peraltro come la Commissione possa certamente deliberare di procedere a tale abbinamento.

Pag. 32

      Emanuele PRISCO (FdI) ribadisce la richiesta di abbinamento della proposta di legge costituzionale C. 295.

      Giuseppe BRESCIA, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni per il coordinamento in materia di politiche integrate per la sicurezza e di polizia locale.
C. 242 Fiano, C. 255 Guidesi, C. 318 Rampelli, C. 451 Bordonali, C. 705 Polverini, C. 837 Sandra Savino e C. 1121 Vito.

(Seguito esame e rinvio).

      La Commissione prosegue l'esame dei provvedimenti in oggetto, rinviato, da ultimo, nella seduta dell'8 maggio scorso.

      Giuseppe BRESCIA, presidente, ricorda che nella precedente seduta, nella quale si sono svolti alcuni interventi di carattere generale, alcuni deputati si erano riservati di intervenire nel prosieguo dell'esame.

      Emanuele FIANO (PD) ritiene sia preliminarmente necessario comprendere se l'orientamento della relatrice sia quello di limitare la discussione alla riforma della polizia locale in senso stretto ovvero affrontare anche le altre questioni, quali quella delle politiche di sicurezza integrate, trattate da alcune delle proposte di legge in esame e richiamate dalla medesima relatrice nella seduta dell'8 maggio scorso, dichiarando, a nome del proprio gruppo, di ritenere preferibile la seconda opzione, vale a dire quella di un intervento legislativo dallo spettro più ampio.

      Simona BORDONALI (Lega), relatrice, ribadisce l'opportunità di svolgere un esame di ampio respiro, in modo da prevedere, oltre ad una specifica riforma della polizia locale, un intervento organico sul tema delle politiche integrate della sicurezza, come peraltro previsto dalla maggior parte delle proposte in titolo, tenuto conto che anche recenti provvedimenti del Governo in carica, quali in particolare il «decreto sicurezza», sono andati in quella direzione. Giudica dunque opportuno che i gruppi si pronuncino su tale aspetto e che si definisca un perimetro di esame adeguato.

      Francesco Paolo SISTO (FI) esprime la preoccupazione che l'eventuale ampliamento dell'ambito dell'intervento normativo possa comportare un rallentamento dei tempi, che, al contrario, potrebbero essere più rapidi se ci si limitasse ad affrontare soltanto le questioni concernenti la riforma dell'ordinamento della polizia locale, anche in considerazione dell'urgenza di tale riforma e delle aspettative al riguardo dei lavoratori del settore.

      Emanuele PRISCO (FdI) ritiene anzitutto necessario comprendere se il Governo intenda apportare il suo contributo in tale sede, nell'ambito dell'esame dei provvedimenti in titolo, di iniziativa parlamentare, o se abbia in realtà intenzione di portare all'attenzione del Parlamento una sua iniziativa. Entrando nel merito dei provvedimenti in oggetto, fa presente di non avere alcuna preclusione a sviluppare l'oggetto dell'esame alle politiche integrate di sicurezza, purché sia assicurate modalità di discussione adeguate, che, anche attraverso il confronto con i rappresentanti tecnici e politici del Ministero dell'interno, permettano di sciogliere le principali questioni in gioco. Si chiede, ad esempio, se si voglia andare nella direzione di un modello di polizia locale di impronta americana come quello che opera in alcune regioni del Nord, tra cui richiama la Lombardia, o se si intenda preferire un modello di polizia dal carattere più municipale, che definisce «impiegatizio».
      Auspica, infine, che le relatrici possano elaborare un testo unificato efficace, il quale possa costituire una buona base di partenza per la discussione, sussistendo, a suo avviso, tutte le condizioni per elaborare un intervento organico ed efficace.

      Il Sottosegretario Nicola MOLTENI esprime apprezzamento per l'ampiezza del Pag. 33dibattito e assicura la massima attenzione da parte del Governo sul tema della riforma dell'ordinamento della polizia locale, rilevando come essa sia ineludibile, anche perché la disciplina attualmente vigente risale al 1986.
      Ricorda quindi come negli ultimi anni la polizia locale, ferma restando la distinzione rispetto alle forze di polizia dello Stato, abbia assunto un ruolo sempre più rilevante, anche nell'ambito delle politiche perseguite dai ministri Maroni e Minniti e, da ultimo, dal ministro Salvini. Osserva, in particolare, come la polizia locale rivesta un ruolo essenziale nei patti per la sicurezza sottoscritti a livello territoriale e come essa sia chiamata ad agire, in particolare per quanto concerne la sicurezza urbana, in sinergia con le forze di polizia dello Stato, da un lato, e con le associazioni di cittadini che, nel rispetto della legge, concorrono alla tutela della sicurezza urbana segnalando situazioni di pericolo o di degrado, dall'altro.
      Assicura da parte del Governo un atteggiamento di rispetto e attenzione nei confronti del dibattito parlamentare, che tuttavia non potrà comportare la rinuncia all'assunzione, laddove ritenuto necessario, di un'iniziativa autonoma, attraverso gli strumenti legislativi a disposizione dell'Esecutivo, anche in considerazione dell'urgenza dell'intervento normativo in esame.

      Giuseppe BRESCIA, presidente, fa notare che la Commissione sarà chiamata a svolgere un lavoro importante, anche attraverso lo svolgimento di un'attività conoscitiva che sarà definita in sede di Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, con la quale, dando voce alle sensibilità degli operatori del settore, sarà certamente possibile acquisire elementi di conoscenza che saranno utili, a suo avviso, anche al Governo.

      Emanuele FIANO (PD) rileva alcuni dei provvedimenti in esame, tra cui richiama la proposta C. 242, a sua prima firma, e la proposta C. 705, a prima firma della deputata Polverini, intervengano in materia di potere di ordinanza dei sindaci, prevedendolo, oltre che per i provvedimenti urgenti e contingibili, anche per altre circostanze, tra cui richiama le situazioni urbane di degrado o di isolamento che favoriscono l'insorgere di fenomeni criminosi, l'incuria, il degrado e l'occupazione abusiva di immobili, le situazioni che costituiscono intralcio alla pubblica mobilità o che alterano il decoro urbano.
      Fa notare che le previsioni di ampliamento del potere dei sindaci in materia di «Daspo urbano» vadano nella medesima direzione intrapresa dal precedente Governo di centrosinistra, in particolare dall'ex Ministro dell'interno Minniti, ripresa anche dal Governo in carica, con il cosiddetto «decreto sicurezza». Sottolinea, infatti, come sia stato proprio il precedente Governo di centrosinistra ad ampliare il potere dei sindaci in materia di riqualificazione urbana, contemplando la possibilità di intervenire non solo in presenza di situazioni di urgenza ma anche attraverso interventi di pianificazione strategica.
      Manifesta preoccupazione, dunque, per il fatto che una recente circolare ministeriale, adottata lo scorso 17 aprile, sembra andare nella direzione opposta, depotenziando il potere dei sindaci e introducendo la possibilità di adottare in materia anche ordinanze prefettizie. Al riguardo si dichiara stupito che sia proprio un Ministro della Lega, e comunque questo Governo, ad adottare iniziative di stampo centralista, le quali sono suscettibili di creare un conflitto tra potere centrale e potere locale, facendo presente che il suo gruppo si dichiara contrario a questa impostazione, ritenendo fondamentale, ai fini della sicurezza urbana, che il predetto potere di ordinanza rimanga in capo ai sindaci, anche in considerazione della loro legittimazione elettiva. Evidenzia pertanto l'esigenza di correggere tale provvedimento, che giudica profondamente sbagliato e contraddittorio.

      Giuseppe BRESCIA, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Pag. 34

Conferimento del titolo di «città già capitale d'Italia» alla città di Brindisi.
C. 954 Elvira Savino e C. 1831 Macina.

(Esame e rinvio – Abbinamento della proposta di legge C. 1831).

      La Commissione inizia l'esame dei provvedimenti in oggetto.

      Giuseppe BRESCIA, presidente, avverte che la proposta C. 1831 Macina, assegnata oggi alla Commissione in sede referente, è abbinata alla proposta di legge C. 954 Elvira Savino, in quanto vertente sulla medesima materia.

      Anna MACINA (M5S), relatrice, fa presente che la Commissione è chiamata ad avviare l'esame, in sede referente, delle proposte di legge abbinate C. 954 Elvira Savino e C. 1831 Macina, in materia di conferimento del titolo di «città già capitale d'Italia» alla città di Brindisi.
      Le proposte di legge, che si compongono entrambe di un articolo unico, costituito da un solo comma, e che hanno contenuto identico, autorizzano l'emanazione di un decreto del Presidente della Repubblica con il quale conferire alla città di Brindisi il titolo di «città già capitale d'Italia», specificando che di tale titolo la città di Brindisi potrà fregiare il proprio gonfalone.
      Le relazioni illustrative delle proposte di legge affermano al riguardo che si intende in tal modo riconoscere il ruolo svolto dalla città di Brindisi nella storia d'Italia, con riferimento particolare ai fatti verificatisi nel periodo storico che va dal 10 settembre 1943 sino al febbraio dell'anno successivo, quando a Brindisi ebbe sede il Governo guidato da Pietro Badoglio per cinque mesi, fino all'11 febbraio 1944.
      Le relazioni sottolineano che la permanenza delle istituzioni dello Stato a Brindisi in quel periodo segnarono l'avvio del processo che portò alla costituzione della Repubblica italiana, ricordando altresì che il 13 gennaio 1960, l'allora Presidente della Repubblica italiana, Giovanni Gronchi, con decreto a sua firma, riconobbe a Brindisi «la medaglia d'argento al valore civile», con la seguente motivazione:
          «Sopportava con intrepido coraggio e fiero comportamento numerosi bombardamenti sacrificando la vita di molti suoi figli all'ideale patriottico». E ancora: «In virtù della sua posizione geografica, partecipò con l'intera popolazione attivamente alle operazioni belliche. Fu sede del primo governo democratico della nuova Italia».

      Per quanto riguarda il contenuto dei provvedimenti in esame, essi specificano che il predetto decreto presidenziale è emanato, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera dd), della legge 12 gennaio 1991, n.  13, recante «Determinazione degli atti amministrativi da adottarsi nella forma del decreto del Presidente della Repubblica».
      La richiamata disposizione della legge n.  13 del 1991 stabilisce gli atti che devono essere adottati con la forma del decreto presidenziale, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro competente, includendovi, nel caso di specie, anche il conferimento di ricompense al valore e al merito civile e militare e concessione di bandiere, stemmi, gonfaloni e insegne, «nei casi in cui la forma del decreto del Presidente della Repubblica sia prevista dalla legge».
      Per quanto concerne il titolo di capitale d'Italia, ricorda che è la Costituzione, dopo la riforma del 2001, all'articolo 114, terzo comma, a riconoscere tale ruolo in capo alla città di Roma e a riservare alla legge dello Stato il compito di definire l'ordinamento della città di Roma in relazione al ruolo di capitale della Repubblica.
      Rammenta, inoltre, che la prima capitale del Regno d'Italia è stata Torino, a partire dall'entrata in vigore della legge 17 marzo 1861, n.  4761, che ha proclamato Vittorio Emanuele II Re d'Italia. Successivamente, tale titolo è stato riconosciuto in capo alla città di Firenze dal 1865 al Pag. 351871, in virtù della legge 11 dicembre 1864, n.  2032, che deliberò il trasferimento della capitale del Regno da Torino a Firenze, a garanzia degli accordi recati dalla Convenzione di Settembre, stipulata lo stesso anno con la Francia di Napoleone III (il trasferimento ebbe luogo nel febbraio del 1865).
      In via generale segnala come nell'ordinamento vigente il Testo unico degli enti locali di cui al decreto legislativo n.  267 del 2000 (TUEL), recependo una disciplina contenuta in un regio decreto (il R.D. 7 giugno 1943, recante l’«Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano») disegna un procedimento finalizzato solo all'acquisizione del titolo di città, il quale è concesso, su iniziativa (proposta) del Ministro dell'interno, con decreto del Presidente della Repubblica. Vi possono aspirare, ai sensi dell'articolo 18 del TUEL, i comuni insigni per ricordi, monumenti storici e per l'attuale importanza. Il provvedimento finale rientra nella categoria degli atti concessori di titoli onorifici.
      Per quanto attiene al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite rileva come, pur non potendosi riscontrare un esplicito riferimento costituzionale, l'istituzione del titolo onorifico di «città già capitale di Italia», che richiede, per sua natura, una disciplina unitaria a livello nazionale, sia riconducibile nell'ambito della materia «ordinamento civile», che l'articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

      Francesco Paolo SISTO (FI) propone di avviare la procedura per chiedere il trasferimento alla sede legislativa dell'esame dei provvedimenti, sollecitando a tutti i gruppi a sottoscrivere tale richiesta.

      Anna MACINA (M5S), relatrice, concorda con l'opportunità di chiedere il trasferimento alla sede legislativa dell'esame delle proposte di legge, rilevando peraltro l'opportunità di ampliare l'ambito dell'intervento legislativo a tutte le altre città, quali Salerno e Torino, che abbiamo rivestito il ruolo di Capitale d'Italia.

      Stefano CECCANTI (PD) segnala a sua volta l'esigenza di tenere conto anche della città di Salerno, ai fini della definizione dell'ambito dell'intervento legislativo.

      Francesco Paolo SISTO (FI) concorda con l'esigenza di considerare tutte le città che siano state capitali d'Italia, ribadendo la sua proposta di chiedere il trasferimento dei provvedimenti alla sede legislativa.

      Giuseppe BRESCIA, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

      La seduta termina alle 15.25.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

      L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 15.25 alle 15.35.

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