Camera dei deputati

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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (I Camera e 1a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Martedì 24 luglio 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 

Seguito dell'audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta, Riccardo Fraccaro, sulle linee programmatiche (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati) :
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 
Ceccanti Stefano (PD)  ... 3 
Zanda Luigi  ... 4 
Fraccaro Riccardo (M5S) , Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta ... 5 
Zanda Luigi  ... 5 
Magi Riccardo (Misto-+E-CD)  ... 5 
Pollastrini Barbara (PD)  ... 6 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 7 
Fraccaro Riccardo (M5S) , Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta ... 7 
Pollastrini Barbara (PD)  ... 10 
Fraccaro Riccardo (M5S) , Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta ... 11 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 11 
Mantovani Maria Laura  ... 11 
Parrini Dario  ... 12 
Giorgis Andrea (PD)  ... 13 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 14 
Di Maio Marco (PD)  ... 14 
Sisto Francesco Paolo (FI)  ... 15 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 16 
Iezzi Igor Giancarlo (LEGA)  ... 16 
Berti Francesco (M5S)  ... 17 
Silli Giorgio (FI)  ... 18 
Prisco Emanuele (FDI)  ... 19 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 19 
Fraccaro Riccardo (M5S) , Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta ... 19 
Sisto Francesco Paolo (FI)  ... 22 
Fraccaro Riccardo (M5S) , Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta ... 22 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 22

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA I COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
GIUSEPPE BRESCIA

La seduta comincia alle 15.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta, Riccardo Fraccaro, sulle linee programmatiche.

  PRESIDENTE. Riprendiamo l'audizione del Ministro Fraccaro.
  Ricordo che nella precedente seduta si è svolta la relazione del Ministro Fraccaro nonché gli interventi di alcuni parlamentari, ai quali il Ministro ha replicato.
  Hanno chiesto di intervenire i seguenti parlamentari: Ceccanti, Zanda, Magi, Pollastrini e Mantovani. Sono state inoltre preannunciate ulteriori richieste di intervento.
  Ricordo che per impegni istituzionali il Ministro non potrà trattenersi oltre le ore 17.
  Do quindi la parola agli onorevoli colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  STEFANO CECCANTI. Faccio una breve premessa e poi formulerò tre domande.
  Rispetto a quello che ha detto il Ministro nella precedente seduta su una sedicente Terza Repubblica, noi riteniamo che le elezioni abbiano portato a un accordo post-elettorale di Governo, poi si è aperto un dibattito su legittime riforme costituzionali che si possono sempre fare, ovviamente nel rispetto dei princìpi fondamentali della Costituzione stessa, che per esempio non possono comportare il transito da una democrazia rappresentativa con elementi correttivi di democrazia diretta al suo opposto. Noi ragioniamo, quindi, su modifiche incrementali alla Costituzione vigente, nel rispetto dei princìpi fondamentali.
  La prima questione che intendo porre è relativa al fatto che in questo caso il Ministro, che in altri casi ha insistito sui trattati internazionali, non ci ha detto qual è la sua visione sui referendum relativi ai trattati internazionali. In altri casi, il Ministro, come ieri peraltro Davide Casaleggio, si è espresso per una sorta di automatismo per il referendum sulle leggi sui trattati, cosa che mi sembra un po’ problematica, visto che il Parlamento sforna ogni anno 170 leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali. Con una norma che introducesse un automatismo sulle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati faremmo, quindi, 170 referendum a legislatura, che mi sembrano francamente un po’ troppi, anche per chi ama questo strumento. Chiedo, quindi, se il Ministro sia fermo su un'ipotesi di automatismo sulle leggi relative ai trattati internazionali.
  Chiedo, inoltre, se pensi solo a referendum che intervengano prima dell'entrata in vigore della legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, o se pensi di poter consentire, in via permanente o in via transitoria, anche referendum retroattivi su leggi già vigenti, per esempio un referendum sulla fuoriuscita dalla zona euro. Vorrei sapere se la proposta che ha in Pag. 4mente porti o meno fino alla possibilità di svolgere un referendum per uscire dalla zona euro. Questo è un elemento politico di chiarificazione che ritengo di estrema importanza.
  Il secondo punto è sullo strumento del referendum propositivo. Ho capito la proposta del referendum propositivo, ma vorrei capire quali sono i suoi limiti, cioè se il Ministro immagini, in particolar modo, che il referendum propositivo possa incidere anche sulla Costituzione, quindi se con un'iniziativa popolare, cui poi il Parlamento risponde con una proposta alternativa, si possa modificare unilateralmente la Costituzione, sia nella prima sia nella seconda parte; inoltre, se ritiene che per il referendum propositivo vadano o meno soppressi i limiti che l'articolo 75 della Costituzione prevede per quello abrogativo, se per esempio per le leggi di bilancio si possa fare un referendum propositivo. Vorrei dunque capire i limiti entro cui pensa di istituire il referendum propositivo.
  Terzo punto, sul referendum abrogativo vorrei replicare controbattendo alcune argomentazioni del Ministro. Mi sembra che spostarsi da una zona in cui c'è un quorum molto elevato, immaginato quando votava alle elezioni il 90 per cento degli elettori (che quindi ovviamente appare troppo elevato e consente un uso tattico dell'astensionismo, su questo concordo), e passare addirittura all'estremo per cui non si prevede più nessun quorum, con il rischio che limitate minoranze possano determinare un esito, sia un po’ eccessivo.
  Ho capito le obiezioni a un quorum mobile, che però parte dal presupposto di tenere conto della partecipazione elettorale all'ultima tornata per avere una visione precisa dell'astensionismo in quel periodo. Il quorum mobile inserisce una soglia di decenza, abbassa significativamente il quorum, ma tiene fermo un principio. Se non piace il quorum mobile e si vuole assumere una partecipazione prevista alle elezioni politiche intorno al 70 per cento, si può decidere di fissare un quorum fisso di un terzo degli elettori. Inviterei però alla prudenza, a non passare da un estremo all'altro, cioè da un quorum molto alto a uno del tutto inesistente. Accogliere tale invito mi sembrerebbe una misura di ragionevolezza.

  LUIGI ZANDA. Signor Ministro, ho apprezzato nella sua relazione l'intento del Governo di procedere nel campo delle riforme costituzionali un passo per volta, se posso usare questa espressione. È una presa d'atto che riforme costituzionali complesse nel nostro Paese difficilmente arrivano al termine del percorso. È difficile trovare la maggioranza dei due terzi, è ancora più difficile avere un positivo responso referendario. Dobbiamo aspettarci in questa legislatura, quindi, da parte del Governo e della sua maggioranza, riforme mirate, su singole questioni.
  Svolgo su questo argomento una considerazione. La delega che le è stata affidata è molto ampia, e per di più è stata anche politicamente definita, nel corso del tempo, in modo sempre più ampio, e quindi mi sembra sempre più necessario, per chi vuole procedere con riforme mirate, che venga preliminarmente indicato il quadro generale nel quale le singole riforme andranno a iscriversi, quale sia cioè l'obiettivo finale.
  Le chiedo, quindi, come prima cosa, se anche lei consideri che il superamento della democrazia rappresentativa sia ormai inevitabile, e se quindi tra qualche lustro dovremo concludere che il Parlamento non è più necessario. Questa è la prima questione su cui vorrei conoscere la sua opinione.
  Su altre due questioni puntuali richiamo la sua attenzione. Il Governo intende promuovere, o comunque accompagnare, eventuali iniziative parlamentari in materia di conflitto di interessi, oppure no? In questo caso, debbo dire che sono molto interessato a conoscere quale sarebbe l'ampiezza di una tale iniziativa da parte del Governo. Siamo abituati a discutere di conflitti di interessi nel settore dell'informazione, perché Berlusconi ci ha abituato a questo tipo di conflitto. In realtà, sappiamo che i conflitti sono anche molto diversi e lo stesso movimento di cui lei è espressione viene spesso tacciato di conflitto di interessi con la società «Casaleggio Associati», quindi mi interessa conoscere il perimetro del Pag. 5conflitto al quale il Governo guarda, sempre nell'eventualità che sia interessato a questa norma.
  Alla terza questione è possibile che lei abbia fatto un cenno nella sua relazione, ma debbo dirle che non ne ho ben compreso i limiti. Mi riferisco alla famosa questione della libertà di mandato: il Governo e la sua maggioranza hanno intenzione di porvi mano, così come da alcune parti durante la campagna elettorale è stato detto, oppure no, era una pura questione di propaganda elettorale?
  Su queste tre questioni che le ho posto, le chiederei, signor Ministro, se fosse possibile, delle risposte: «sì» o «no».

  RICCARDO FRACCARO, Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta. Come per un referendum!

  LUIGI ZANDA. Io sono più vecchio di lei, ho forse anche qualche anno in Parlamento più di lei, e sono quindi abituato a sentire da parte del Governo delle risposte da cui non si capisce mai che cosa vogliono in realtà fare. Se lei avesse la possibilità di dirmi «sì, libertà di mandato» oppure «no», le sarei molto grato.

  RICCARDO MAGI. Nella mia esperienza politica e di militanza politica ho conosciuto e praticato molto gli strumenti di partecipazione popolare, a livello nazionale, regionale e locale, quindi non sono tra coloro che nei giorni scorsi hanno sminuito la sua richiesta di chiarimento interpretativo all'Agenzia delle entrate sulla questione dell'occupazione di suolo pubblico per chi raccoglie le firme.
  Devo dire che nella maggior parte delle città in realtà già non si pagava, perché l'attività di raccolta delle firme non era equiparata alle attività a scopo di lucro. Devo anche dire che, però, i maggiori ostacoli che vengono all'attivazione degli strumenti di iniziativa popolare sono altri, e sono quelli che oggi rendono possibile, nei fatti, una raccolta di firme solamente a grandi organizzazioni di partiti o di sindacati. Basti vedere che negli ultimi dieci anni i soggetti che sono riusciti a promuovere con successo delle raccolte di firme e dei referendum sono solo grandi partiti o grandi sindacati.
  Gli ostacoli principali, quindi, sono quelli contenuti nella legge n. 352 del 1970, in particolare nelle disposizioni relative alle modalità della raccolta delle firme e all'obbligo, in capo al comitato promotore, di compiere tutta una serie di adempimenti che sono onerosi, come l'autentica delle firme.
  Rispetto a questo, intendete intervenire? Questo si può fare. Evidentemente, lo deve fare il Parlamento, ma è importante capire qual è l'orientamento del Governo. Ci sono varie possibilità: si può togliere l'obbligo di autentica delle firme dandone la responsabilità, come già avviene in alcuni casi, al comitato promotore, senza la presenza di un autenticatore; si possono introdurre strumenti di raccolta di firme digitali (oggi i cittadini già vi fanno ricorso per atti molto importanti, di natura fiscale o di natura giudiziaria, non si capisce perché non vi si possa fare ricorso anche in questo caso).
  Ho apprezzato, nella precedente seduta di audizione, il modo in cui lei si è riferito a quella che a me non piace proprio chiamare democrazia diretta. Sono strumenti di iniziativa popolare complementari al sistema costituzionalmente previsto dalla nostra legge fondamentale di democrazia rappresentativa, e lei all'interno di questo quadro li ha inseriti.
  Purtroppo, o per certi versi per fortuna, oggi teniamo quest'audizione dopo che negli ultimi giorni, a seguito di un'intervista al dottor Casaleggio e di alcune interpretazioni, sembrerebbe invece che questa democrazia diretta, come la chiamate voi, dovrebbe a un certo punto travolgere la democrazia rappresentativa, e in quel caso significherebbe prevedere un sistema che a mio avviso è di tipo plebiscitario.
  Allora, alla domanda se volete intervenire puntualmente sulle questioni che ho citato in precedenza, rimuovendo gli ostacoli alla raccolta delle firme, con la facoltà di autentica in capo al comitato promotore e con la firma digitale, ne aggiungo un'altra. Pag. 6
  Le è stata attribuita una dichiarazione a mezzo stampa in cui lei avrebbe detto, interpretando forse l'intervista di Casaleggio, che la piattaforma Rousseau potrebbe funzionare come rafforzamento dell'Istituzione parlamentare. Io non so se questo sia un virgolettato che le è stato attribuito e corrisponda a qualcosa che lei ha effettivamente detto. Nel caso, siccome mi preoccupa e penso di non essere l'unico a essere preoccupato, vorrei capire in che modo questo dovrebbe o potrebbe avvenire.
  Un'altra questione che mi sta a cuore è la stessa che poneva il senatore Zanda, vale a dire l'ipotetica introduzione di un mandato imperativo, che però lei la volta scorsa ha presentato come qualcosa da affrontare invece a livello regolamentare, e quindi magari in analogia con quanto già avvenuto con la riforma del Regolamento del Senato, tutt'altra cosa rispetto a un intervento di riforma costituzionale.

  BARBARA POLLASTRINI. Signor Ministro, anch'io vorrei rivolgerle alcune domande, ma prima non sarei sincera se non dicessi che mi interessa molto la risposta «sì» o «no» al quesito posto dal senatore Zanda.
  Lei ha avanzato una serie di proposte. Il punto di fondo, a mio avviso, è se pensa che si debba o si possa contrapporre un primato della democrazia diretta su quella rappresentativa. Per noi, almeno per me, la democrazia diretta è uno strumento, come dirò, da allargare, aggiornare e valorizzare, ma non può essere uno strumento o un'idea di democrazia contrapponibile a quella rappresentativa.
  Per stare alla richiesta del senatore Zanda – sarò forse anche un po’ meno elegante e mi scuso, ma abbiamo tempi rapidissimi – lei se la sente di prendere con nettezza le distanze dall'intervista del dottor Casaleggio? Non è una piccola cosa, dal mio punto di vista, anche per cogliere fino in fondo il segno che lei vorrà dare alle proposte che ci ha presentato, su molte delle quali – lo dico subito – invece è nostro, è mio interesse poter discutere e dialogare.
  Mi riferisco, ad esempio, a questioni di non piccolo conto, come l'intenzione di non procedere più, anche dopo il fallimento delle stagioni alle nostre spalle, con le cosiddette grandi riforme, ma di procedere con riforme mirate. Questo davvero vedrebbe un nostro interesse.
  Le chiedo, inoltre, quale raccordo lei intende avere con il Ministro per gli affari regionali. Un'idea di riforme, pur mirate, prevede infatti, inevitabilmente, un accordo e una condivisione, ad esempio, con un'idea di regionalismo. Siamo reduci, anche in Lombardia, da un referendum, così come nel Veneto. Lei sa meglio di me che la regione Emilia-Romagna ha una disponibilità a prendere in considerazione un'interlocuzione col Governo, e aveva già iniziato a farlo.
  Le dico di più: in quest'idea di riforme mirate, mi domando se non sia il caso di avere il coraggio di prendere in considerazione il superamento di alcune regioni a statuto speciale e l'accorpamento di altre regioni, cioè di rivedere fino in fondo un disegno di riforma autonomistica.
  Sul tema, invece, della democrazia diretta, se inserito, con quelle precisazioni alle quali faceva riferimento l'onorevole Ceccanti, in un quadro che deve esserci molto chiaro, mi piacerebbe dialogare, perché sull'istituto dei referendum, su come abbassare il quorum e su altre forme di democrazia diretta, siamo interessatissimi a trovare una posizione che faccia avanzare la possibilità dei cittadini di esprimersi.
  Infine, lei è anche il Ministro per i rapporti con il Parlamento. Quello che le sto per dire le sembrerà forse non immediatamente parte delle sue funzioni. Io ritengo che, invece, sia funzione di tutto il Governo, così come del Parlamento. La mia domanda è questa, e mi rivolgo a lei proprio come Ministro per i rapporti con il Parlamento, ponendole un tema oggi rilanciato autorevolmente dal Presidente della Repubblica: come vigilare sulla corretta e costante applicazione dell'articolo 51 della Costituzione nelle nomine e in tutti i casi in cui è previsto, in virtù di tale norma costituzionale, l'equilibrio di rappresentanza di genere? So bene che non è solo di sua competenza, ma dal Ministro per i rapporti Pag. 7con il Parlamento credo che un'attenzione sia molto utile e direi doverosa.

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro per replicare agli interventi svoltisi finora.

  RICCARDO FRACCARO, Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta. Vi ringrazio dell'invito, delle osservazioni, degli spunti, delle domande, e ringrazio ancora il Presidente per aver velocemente convocato il seguito della mia audizione.
  È chiaro il senso di molti interventi. Si chiede una rassicurazione sull'idea della democrazia rappresentativa e sulla centralità del Parlamento. Posso sicuramente rassicurarvi in questo, senza nessun timore. Ovviamente, non ho doti divinatorie, che mi consentano di dirvi cosa a mio avviso succederà tra qualche lustro e non è nemmeno il mio compito; vi posso raccontare qual è la volontà del Governo e della maggioranza in tema di riforme costituzionali e istituzionali e qual è il programma del Governo in questa legislatura.
  In questa legislatura vogliamo porre al centro della democrazia italiana il Parlamento. Il Parlamento rimane per noi il fulcro, altrimenti non ci saremmo nemmeno candidati in Parlamento. Lo dico come esponente di una parte politica, in questo caso: dove non abbiamo visto un adeguato luogo di rappresentanza, storicamente il Movimento 5 Stelle non si è nemmeno presentato alle elezioni. Per noi, il Parlamento è e rimane oggi, e spero anche in futuro, un pilastro della democrazia; è il centro della democrazia italiana. Tuttavia, la democrazia è un sistema complesso, coinvolge tanti aspetti, tanti elementi ed è spesso anche procedura.
  All'interno di questo sistema complesso vogliamo -come è stato sottolineato tra l'altro dall'intervento del deputato Ceccanti- con modifiche incrementali dare una mano a migliorare la democrazia e cercare di dare nuovi input per un miglioramento del sistema democratico, dando più voce alla volontà del popolo italiano.
  Credo che un sistema rappresentativo funzioni bene quando i rappresentanti hanno il giusto ruolo e una possibilità di manovra e di azione, ma nei limiti di un'indicazione e di un orientamento che deve provenire dai rappresentati. E la possibilità di indicare questi limiti o quest'orientamento, i rappresentati in questi anni non l'hanno potuta avere. Questo è stato un elemento di criticità dell'intero sistema. Con modifiche incrementali vogliamo realizzare quello che avete ben detto, cioè introdurre in maniera progressiva degli strumenti di maggior partecipazione alla vita decisionale pubblica da parte dei cittadini italiani.
  Tra l'altro, non si tratta di nulla di rivoluzionario, perché stiamo guardando ai modelli di altre nazioni occidentali. Spesso ho fatto riferimento ad alcuni modelli, tra cui molti degli Stati Uniti d'America e anche Paesi europei. Spero, quindi, di rassicurarvi su questo.
  Quanto ai referendum sui trattati internazionali, nella mia intervista avevo in mente alcuni modelli europei, perché i trattati internazionali, soprattutto quelli europei, sono stati oggetto di referendum consultivo prima della loro entrata in vigore in alcuni Stati europei (Olanda, Danimarca, Francia). Guardiamo, quindi, con interesse a questo tema, ma non è oggetto del contratto di Governo. Spero che vi sia una volontà politica condivisa dal Parlamento per un'eventuale introduzione di un referendum confermativo sui futuri trattati che dovessero riguardare significative cessioni di sovranità da parte del nostro Paese, ma questo spetterà al Parlamento deciderlo.
  Con il nostro contratto di Governo ci siamo presi l'impegno, come maggioranza di Governo, di introdurre, invece, il referendum propositivo, ma, al di là dei limiti di materia, non si prevederà la possibilità di proporre referendum in materia di trattati internazionali, anche perché pensiamo al referendum quale strumento che equivale sostanzialmente alla proposta di una legge, come quella che viene presentata in Parlamento. Il trattato internazionale non è, appunto, una legge.
  Anche su questo sono molto chiaro. La nostra intenzione è di non inserire i trattati internazionali tra le materie che possono costituire oggetto di referendum propositivo; Pag. 8 non ci sarà, quindi, nemmeno la possibilità di effetti o di referendum retroattivi, ad esempio, per l'uscita dall'euro. Al riguardo, ribadisco peraltro che il Governo non è minimamente intenzionato a uscire dall'euro.
  Quanto al referendum propositivo costituzionale, sono personalmente favorevole alla possibilità di prevedere referendum propositivi anche in materia costituzionale, ma non è intenzione di questa maggioranza di Governo proporlo. Quella che proponiamo è la possibilità di promuovere referendum sulle materie di competenza della legislazione ordinaria.
  Sui limiti di materia mi permetto di fare un'altra osservazione. Quello che ritengo possibile, e anzi auspico, è che venga data la possibilità di proporre referendum, con proposte unitarie – questo è estremamente importante perché il referendum possa avvenire nel migliore dei modi – che comportino anche oneri finanziari. Non mi preoccuperei molto di questo aspetto: quindi non escluderei l'iniziativa da parte dei cittadini su materie o su progetti di legge che hanno anche oneri finanziari. L'importante, come avviene anche per il Parlamento, è che abbiano le dovute coperture. Potremmo studiare insieme, valorizzare e analizzare i metodi più efficaci affinché le proposte di legge vengano analizzate anche sotto il profilo delle loro coperture. Mi sembra che, se una proposta di legge ha le dovute coperture, questo non infici il sistema democratico nazionale.
  Sul «quorum zero» mi trovo in disaccordo con le osservazioni che sono state svolte. In Italia il «quorum zero» viene visto spesso come una proposta eccessiva. Se, però, usciamo dalla storia italiana, dal dibattito in materia interno al nostro Paese, e guardiamo un po’ oltre i nostri confini, si tratta dell'assetto ordinario. È anomala, invece, la previsione di un quorum, anche basso. Le esperienze internazionali dimostrano che questo non è un elemento negativo, anzi favorisce la partecipazione, la incrementa, a differenza dei casi in cui è previsto un qualsiasi tipo di quorum.
  Non c'è mai stata nella storia dei Paesi occidentali una dinamica negativa nell'introdurre il «quorum zero», anzi, non si è mai dibattuto di introdurre in Occidente un quorum in altri Paesi (tranne che nei Paesi dell'est Europa, i quali, a differenza dei Paesi occidentali, hanno una storia di quorum simile alla nostra).
  Del resto, anche il Consiglio d'Europa, nel Codice di buona condotta sui referendum, suggerisce appunto l'introduzione del quorum zero, perché l'esperienza internazionale ci dice questo. Non vedo perché porsi questo problema in materia referendaria mentre nessuno solleva la questione in materia di elezioni politiche. Non c'è una ragione in sé per non andare in quella direzione, una ragione forte. C'è una preoccupazione del tutto infondata legata a delle paure, tipiche di chi è al potere e non di chi dal basso vorrebbe poter incidere sempre di più nelle dinamiche di potere.
  Passo alle altre domande del senatore Zanda. La ringrazio per gli apprezzamenti, relativi soprattutto alla procedura, alla volontà di procedere senza una riforma omnicomprensiva straripante, eccessiva, ma con modifiche puntuali della Costituzione. Tale volontà è anche rivolta all'eventualità che queste modifiche possano poi essere sottoposte a referendum, in ordine al quale è opportuno che i cittadini decidano su materie unitarie, sulla singola proposta, senza dover accettare il «pacchetto» completo.
  Mi ha chiesto anche lei la mia posizione sulle ultime dichiarazioni: credo di aver già risposto, spero in modo soddisfacente.
  Sul conflitto di interessi non è intenzione del Governo presentare una proposta. Mi auguro, come Governo, che ci sia una proposta parlamentare in materia, che venga discussa dal Parlamento e che copra il più ampio spettro possibile della materia, perché il conflitto di interessi non è solo l'informazione, non riguarda solamente gli organi rappresentativi o amministrativi. Il conflitto di interessi è diffuso in tutto il Paese e in tutti i settori. Ben venga qualsiasi discussione o proposta parlamentare in materia. Il Governo lo auspica e spera che ci sia un'iniziativa parlamentare.
  Sul vincolo di mandato mi chiedeva un «sì» o un «no». Cercherò di essere coerente Pag. 9 con quanto detto anche nell'esposizione delle linee programmatiche. Non abbiamo nessuna intenzione di presentare una proposta costituzionale per introdurre un vincolo di mandato, quindi su questo la risposta è «no». L'orientamento politico di questa maggioranza non è quello di limitare la libertà del parlamentare, facendo in modo che sia soggetto al capo politico o al «capobastone», anzi ben venga sempre una maggiore libertà dalle imposizioni dall'alto. Noi vogliamo favorire una maggiore rappresentazione della volontà dal basso da parte di chi dovrebbe rappresentare quella volontà.
  L'obiettivo, in concreto, non è quello di comprimere la libertà di espressione e di voto dei parlamentari, ma è quello di evitare che ci siano quei fenomeni totalmente inaccettabili di continui cambi di casacca, che sono un elemento distorsivo del nostro sistema rappresentativo. Nell'ultima legislatura abbiamo avuto più di 500 cambi di casacca: è una distorsione del sistema rappresentativo.
  Abbiamo ritenuto, analizzando il contesto, che quest'obiettivo si possa tranquillamente raggiungere senza una modifica costituzionale – la Costituzione a nostro avviso deve essere toccata con la massima parsimonia e la massima attenzione – ricorrendo piuttosto a modifiche regolamentari. È stato fatto al Senato nella scorsa legislatura. Ne siamo estremamente contenti e vorremmo anche verificare, in questi mesi, l'efficacia delle modifiche (è infatti importante, quando si introducono delle modifiche, normative e regolamentari, verificarne ex post le conseguenze).
  Le norme regolamentari, introdotte dal Senato, costituiscono un esempio virtuoso in questo momento. Si potrebbero introdurre ulteriori elementi per contrastare questo fenomeno distorsivo, ma i regolamenti di Camera e Senato sono, per antonomasia, oggetto di intervento non governativo, ma parlamentare. Anche in tal caso, quindi, vi è l'auspicio che le forze politiche lavorino su questo. Sicuramente lo farà la maggioranza che sostiene questo Governo.
  Onorevole Magi, mi fanno molto piacere le sue dichiarazioni. Chi ha organizzato banchetti per la raccolta di firme sa che cosa significhi dover pagare per allestire un banchetto. Non è una questione solamente economica, ma anche di vera democrazia. Pagare per poter partecipare alla vita pubblica l'ho sempre ritenuto inaccettabile e sono orgoglioso di aver tolto questo fardello a chi, magari la domenica, sottrae tempo alla propria famiglia per raccogliere firme per una petizione per migliorare la sua città, il suo quartiere, la sua comunità.
  È stato un primo atto, per me anche semplice da realizzare, nell'ottica di una soft law, cioè di utilizzare lo strumento sempre meno invasivo e meno burocratico per ottenere il risultato. Lo abbiamo fatto con una semplice interpretazione contenuta in una risoluzione dell'Agenzia delle Entrate. Ovviamente, come ho detto anche nella precedente seduta, c'è la volontà politica di semplificare tutto l’iter della raccolta delle firme.
  Possiamo anche introdurre il «quorum zero» e abbassare addirittura il numero delle firme (ma non è l'obiettivo di questo Governo abbassare il numero delle firme), se, però, poi la procedura è estremamente burocratica da un lato diciamo al cittadino che ha la possibilità di intervenire concretamente, partecipare alla vita pubblica del Paese e orientare le decisioni della sua comunità, ma dall'altro creiamo un apparato di adempimenti burocratici talmente complessi che solo organizzazioni già articolate nel Paese a livello nazionale (come sindacati o partiti) possono affrontare: in questo modo, non abbiamo fatto il nostro dovere. Tendenzialmente, infatti, il referendum è uno strumento a disposizione dei cittadini, non di chi dovrebbe già rappresentarli. Ovviamente, non si può escludere che questo avvenga, ma se diventa appannaggio solo di organizzazioni strutturate, è uno strumento che non ha raggiunto le sue finalità.
  Il prossimo obiettivo è, quindi, quello di eliminare l'obbligo di autenticare le firme attraverso soggetti non indicati dai promotori, vale a dire soggetti terzi che devono essere retribuiti (come i notai) o i soggetti politici (come i membri di organi elettivi), che possono non condividere la proposta, Pag. 10spesso presentata proprio perché chi è all'interno della pubblica amministrazione o del consiglio comunale o provinciale non vuole farla propria. La raccolta delle firme viene promossa per cambiare l'orientamento di chi ha il potere in quel momento. Se devo chiedere a chi ha il potere di autenticare le firme, spesso ciò diventa una sorta di richiesta di un favore oppure il soggetto interpellato non è a disposizione o non ha tempo.
  Anche questa è una previsione da eliminare. Non c'è in quasi tutti gli Stati occidentali, c'è in Italia perché abbiamo questa mania della burocrazia. Spero di poterla eliminare eventualmente in sede di legge di bilancio visto che non dovrebbe comportare oneri finanziari, ma su questo sarebbe opportuno un confronto. Non vedo alcuna problematicità, tanto la responsabilità penale e civile è in capo alla persona designata; l'importante è che venga designata dai promotori e non da chi dovrebbe osteggiare magari quella proposta.
  Quanto alla piattaforma Rousseau, non c'è la volontà di applicare tale piattaforma al Parlamento. Intendo tranquillizzare chi nutre questa preoccupazione: Rousseau è un sistema operativo di una forza politica e rimane il sistema operativo di una forza politica, all'interno della sua organizzazione. Mi permetto una digressione sul tema del digitale e delle nuove tecnologie. Si parlava di firma elettronica: anche l'Unione europea con l'ICE (Iniziativa dei cittadini europei) sta sperimentando e sta utilizzando questi strumenti. Dell'ICE dovremmo parlare, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, magari nelle Commissioni per le Politiche dell'Unione europea. Nella scorsa legislatura, abbiamo approvato all'unanimità un atto di indirizzo al Governo per modificare l'ICE, che non funziona, ha dei limiti molto forti. Anche nei confronti dell'Unione europea sarebbe opportuno tutti insieme chiedere una maggiore flessibilità, una maggiore efficacia degli strumenti partecipativi, ma ricordo che la firma digitale in quel caso viene utilizzata per un sistema che non è vincolante.
  Come dicevo nella precedente seduta di audizione, siamo tutti tenuti anche a considerare i nuovi strumenti informatici come strumenti che magari in un futuro potranno essere utili a facilitare la democrazia e la partecipazione (già adesso possono esserlo): non abbiamo, però, ancora riscontri completi sulle conseguenze che questi strumenti possono avere su tanti elementi, anche solo sul numero delle firme necessarie da raccogliere. È chiaro che, se si semplifica con gli strumenti digitali la raccolta delle firme rispetto alla raccolta con i banchetti tradizionali, probabilmente il numero delle firme tradizionali diventa inadeguato e non ci sono ancora dei modelli internazionali in questo senso da prendere come punti di riferimento. Come dicevo, quando si tocca la democrazia, bisogna operare con i guanti bianchi, con molta attenzione.
  Il Governo vuole affrontare il tema della digitalizzazione dei procedimenti con estrema attenzione, ma in via sperimentale, partendo da quegli strumenti di partecipazione che non hanno effetti vincolanti. Le petizioni sono gli strumenti da cui partire. Se l'introduzione di questi strumenti è progressiva, dovremo progressivamente anche eliminare quel digital divide, che comunque, se non fosse considerato, escluderebbe gran parte della popolazione dai processi.
  Sul mandato imperativo e sul primato della democrazia diretta credo di aver già risposto.
  Sono contento, collega Pollastrini, che ci sia una volontà di collaborare sui temi della democrazia diretta e sull'introduzione di questi nuovi strumenti. Credo che dovremmo auspicare tutti una collaborazione massima e il coinvolgimento di tutte le forze politiche nell'elaborare il testo finale che andrà in votazione.
  È interessante la domanda sul regionalismo differenziato e sulla collaborazione col Ministro per gli affari regionali e le autonomie. Questa collaborazione è già iniziata e c'è anche una particolare sintonia sul tema. Le dico subito che non c'è nessuna intenzione di eliminare le regioni a statuto speciale...

  BARBARA POLLASTRINI. Io sono per eliminarle, almeno alcune...

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  RICCARDO FRACCARO, Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta. Lo avevo compreso, non possiamo essere d'accordo su tutto!
  C'è, invece, l'intenzione di andare avanti, anche per dare una risposta all'esito referendario. Tra l'altro, credo che nove regioni stiano valutando la richiesta di maggiori competenze. Questo è un Paese al quale credo ben si confaccia un sistema di decentramento, anche differenziato, in base alla natura del territorio e alla sua evoluzione storica. Andremo avanti insieme. Stiamo ragionando insieme per portare a compimento questa richiesta di maggior decentramento sulla base dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Certo, è una procedura particolarmente complessa. L'attribuzione di nuove competenze alle regioni che la stanno chiedendo non dovrà mai essere un elemento a danno delle rimanenti regioni che invece non la richiedono; quindi tale decentramento va fatto con particolare accuratezza, ma una risposta va data, concreta, e anche in tempi ragionevoli.
  Comunque, su questo il Parlamento ha una competenza primaria, perché è necessaria una legge. Il Governo dovrà stipulare un'intesa, che poi dovrà essere tradotta in una legge approvata a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera. In tale sede avremo la possibilità di ribadire ancora una volta la centralità della Camera e del Senato.
  Sulla centralità del Parlamento, voglio aggiungere una cosa. Spesso si chiede al Governo di garantire la centralità del Parlamento, ma il Parlamento ha tutti i poteri per imporre il rispetto della propria centralità. Spetta -credo- a voi non farvi «mettere i piedi in testa», se mi posso permettere questa espressione poco formale. Credo che sia il Parlamento a dover rivendicare la propria centralità sempre e comunque. Ovviamente, da parte mia l'impegno è massimo perché questo avvenga.
  Quella sull'equilibrio di genere è una sollecitazione che prendo con estremo impegno.

  PRESIDENTE. La ringrazio, passiamo ora agli interventi degli altri colleghi che hanno chiesto di parlare.

  MARIA LAURA MANTOVANI. La mia domanda riguarda la proposta di introdurre un sistema di consultazione pubblica che si potrà svolgere anche attraverso sistemi telematici.
  Sono molto contenta di questa proposta, perché vengo da questo settore, quello dell'innovazione tecnologica, e vedo anch'io che l'uso di questi sistemi potrebbe veramente avvicinare i cittadini alle istituzioni, informarli meglio e coinvolgerli nel sistema di regolazione. E il Ministro ha parlato, appunto, di iniziare una sperimentazione in questo senso.
  C'è il punto da tenere presente, come è già stato sottolineato, del digital divide a cui è sottoposto il nostro Paese. Sappiamo che siamo monitorati a livello europeo. Purtroppo, ci troviamo come Italia al venticinquesimo posto su ventotto Paesi europei per il livello di divario digitale, che è misurato attraverso tanti fattori – ne potremmo elencare 25-30 presi in considerazione in quest'indice – che riguardano in modo trasversale tantissimi ambiti, non ultimo il problema delle competenze digitali, cioè cosa insegna la scuola e come anche il cittadino comune, nella sua vita di tutti i giorni, utilizza gli strumenti digitali.
  Per considerare soltanto uno degli indicatori, che è appunto l'utilizzo da parte del cittadino europeo di strumenti messi a disposizione dalla pubblica amministrazione, l'Italia si trova all'ultimo posto. L'italiano normalmente non utilizza i servizi on line messi a disposizione dalla pubblica amministrazione, e questo nonostante i servizi ci siano, in quanto l'Italia si trova intorno al decimo posto quanto ai servizi offerti. A mio avviso, il divario risulta anche dalla qualità di questi servizi, da come vengono realizzati e da quello che viene definito user-friendliness, vale a dire la capacità dell'applicazione di essere amichevole nei confronti del cittadino che vi si avvicina.
  La proposta di un portale di questo tipo, di una consultazione pubblica che avvicini i cittadini alle istituzioni, deve vedere per forza, se vuole avere successo, un sistema Pag. 12user-friendly. La mia preoccupazione iniziale è quella di provare ad affrontare il problema del digital divide anche con una strategia nazionale.
  Per quello che riguarda, comunque, la proposta di realizzazione di questo portale unico, come ho detto, sono favorevole, però chiedo una precisazione su come debba avvenire l'inizio di questo processo, ossia se il Ministro ritiene necessario un disegno di legge, quindi un'iniziativa del Parlamento, per far partire questa sperimentazione, una delega al Governo o, come terza possibilità, un'iniziativa autonoma del Ministro con i propri strumenti esecutivi.

  DARIO PARRINI. Ministro, la ringrazio per la sua presenza e per gli spunti che ha offerto nell'intervento introduttivo e anche nelle successive repliche.
  Io ho alcune domande.
  Lei è Ministro per i rapporti con il Parlamento, quindi per definizione deve occuparsi di costruire buoni rapporti con il Parlamento. La prima domanda riguarda l'atteggiamento che pensa di tenere e le condotte che pensa di favorire o meno sulla posizione della questione di fiducia e sul ricorso alla decretazione.
  Io ero presente in Parlamento nella scorsa legislatura alla Camera, come lei – lo ricorderà – e so da quale tradizione di pensiero lei provenga: vorrei capire come intenda agire su questo fronte, dato che l'attività legislativa sta entrando nel vivo dopo un'iniziale partenza lenta, come è forse inevitabile dopo un grande cambiamento quale quello che c'è stato.
  La seconda questione per me decisiva riguarda l'articolo 49 della Costituzione. Vorrei sapere che cosa il Governo pensi della necessità di attuare quest'articolo della Costituzione e di fare in modo che ci si occupi di democrazia all'interno dei partiti.
  Credo fermamente, da sempre, che il modo in cui i partiti organizzano la propria vita interna e la libertà al proprio interno sia il riflesso della concezione che hanno all'esterno della democrazia, delle istituzioni democratiche e del rispetto della libertà. Ho elementi di preoccupazione che avrei piacere fossero fugati.
  Credo che una legge attuativa di quest'articolo della Costituzione sia ormai imprescindibile. Sono curioso di conoscere le sue opinioni in proposito. Per correttezza, le dico che ho scritto al Senato – credo in parallelo al collega Magi e al collega Ceccanti che hanno assunto iniziative al riguardo alla Camera – una lettera alla Presidente Casellati, a cui finora non ho avuto risposta, nella quale facevo presente che secondo me non è problema di cui la Presidenza può evitare di occuparsi il fatto che ci siano nel Senato gruppi parlamentari i quali si sono dati regolamenti palesemente in contrasto con la Costituzione italiana. Ecco, questo tema ha a che vedere anche con l'articolo 49 della Costituzione.
  Terzo punto, proprio perché, come detto, il Ministro per i rapporti con il Parlamento è anche il Ministro che deve cercare di costruire buoni rapporti con il Parlamento, le chiederei un'opinione in merito alle iniziative che può assumere per far sì che ci sia una forma di rispetto elementare per gli atti di sindacato ispettivo che i parlamentari dell'opposizione presentano.
  Da questo punto di vista, mi pare che siamo partiti per niente bene. Interrogazioni delicatissime sono state rivolte ormai da molto tempo a membri del Governo, a cui non solo non è stata data risposta, ma rispetto alle quali non si riesce a capire nemmeno se sarà data e in quali tempi. Ovviamente, questo rappresenta a mio avviso una lesione delle prerogative del Parlamento. Proprio per averla conosciuta nella scorsa legislatura, so che lei è molto attento a questi temi.
  Anch'io svolgo un'ultima osservazione – sul tema del vincolo di mandato.
  Penso che tale questione sia molto diversa dal fare un regolamento che scoraggia o impedisce, a certe condizioni, la formazione di nuovi gruppi parlamentari. Credo che a una norma del genere, se venisse proposta, tutti daremmo il nostro consenso. Mi riferisco allo scoraggiamento della formazione di nuovi gruppi. È un tema che è stato esaminato per molto tempo anche in passato. Il discrimine potrebbe essere la presenza o meno del simbolo della Pag. 13denominazione alle elezioni o altre forme di dissuasione.
  Altro è mettere in questione, come avviene nel regolamento palesemente incostituzionale oggetto della mia lettera alla Casellati, la libertà del parlamentare, nel senso di decretarne la decadenza dalla carica di parlamentare. Il divieto di mandato imperativo – bisogna essere molto precisi – lo impedisce.
  Le chiederei, quindi, oltre che di rassicurarci sul fatto che intende agire per via regolamentare, anche di darci una rassicurazione esplicita sul fatto che il divieto di mandato imperativo, previsto nell'articolo 67 della Costituzione, non è in questione.
  Ho ascoltato quello che ha detto sulla necessità che il Parlamento non attenda la centralità come un dono dall'alto. Non esiste la centralità octroyée o altro, come le Costituzioni dell'Ottocento. Mi fa piacere che lei ci sfidi, però, alla luce anche delle questioni che ho posto prima, il Parlamento, in particolare l'opposizione, farà la sua battaglia affinché la centralità del Parlamento sia affermata. Mi permetto di dirle che l'atteggiamento del Governo rispetto alle possibilità e allo spazio di manovra delle forze politiche, in un sistema basato sul circuito Governo-Parlamento, non sono affatto indifferenti.

  ANDREA GIORGIS. Mi lasci esordire con una battuta. L'invito che fa al Parlamento a non farsi mettere i piedi in testa è riferito alla sua maggioranza, credo. Va inteso come un invito a non convertire il decreto-legge Di Maio in materia di misure urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese e a rivendicare il diritto del Parlamento a tempi ragionevoli e adeguati di discussione? Intendo così il suo invito, che è un buon invito, se raggiunge le orecchie giuste.
  Le chiedo la cortesia di approfondire due aspetti, che lei ha già in parte toccato. Lei ha insistito, sia nella sua prima relazione sia oggi, rispondendo ad alcune domande, circa l'intenzione da parte sua e del Governo di cui fa parte di valorizzare il ruolo del Parlamento. Lei dice che il Parlamento, nella nostra idea di Stato e di istituzioni, deve continuare a essere e deve essere anche sostanzialmente l'architrave dell'impianto istituzionale.
  Allora, le chiederei, un po’ come ha fatto il senatore Zanda, se possibile di rispondere a questa semplice domanda: lei, quindi, ritiene, o no, che si debba rimanere rigorosamente nel solco della forma di Governo parlamentare? Ritiene che qualsiasi modifica verrà puntualmente proposta debba comunque essere riconducibile e confermare, o al massimo razionalizzare, la forma di Governo parlamentare? Questo è un aspetto che ci consente di avere un'indicazione molto importante sulla prospettiva che lei e il suo Governo intendete intraprendere.
  Se la risposta fosse positiva, io non lo so, ma se lei, come immagino, intenda ribadire l'opzione per la forma di Governo parlamentare, allora la seconda domanda che le pongo è: come pensa – l'ha chiesto adesso anche il senatore Parrini – che sia ragionevole intervenire per fare in modo che i protagonisti della forma di Governo parlamentare, cioè i corpi intermedi, i partiti, riescano a svolgere bene quella funzione di motore della forma di Governo parlamentare?
  Se si sta nella forma di Governo parlamentare, penso che non sia possibile eludere il problema del ruolo dei corpi intermedi, dei partiti, o, se vogliamo usare un'espressione più astratta, dei soggetti che organizzano la partecipazione e rendono possibile la sintesi politica. L'insuperabilità della democrazia rappresentativa rispetto a quella diretta sta proprio in questo, nel rendere possibile ciò che la decisione sì/no non consente, e cioè una sintesi, e alla fine una decisione a somma positiva, mentre il referendum e la democrazia diretta sono decisioni a somma zero, o si vince tutto o si perde tutto. La democrazia rappresentativa rende possibile, invece, la sintesi e una decisione a somma positiva, tutti guadagnano qualcosa.
  Da questo punto di vista, mi permetto di insistere su quest'aspetto. Dietro alla valorizzazione del Parlamento, se è una valorizzazione coerente con le premesse storiche della funzione rappresentativa del Parlamento, c'è la valorizzazione del pluralismo, Pag. 14 che invece la decisione diretta tende a mortificare. Dietro all'opzione della forma di Governo c'è, quindi, un'opzione culturale profonda, e cioè quanto si ritiene che sia desiderabile valorizzare il pluralismo e trovare istituti che ne consentano l'integrazione in unità in forme esplicite, partecipate, o quanto invece si guarda come una minaccia al pluralismo e lo si considera qualcosa che sarebbe desiderabile superare in nome di un organicismo democratico, se vogliamo utilizzare uno ossimoro, che però talvolta purtroppo ho sentito spesso richiamare.
  Concludo con un'ultima domanda. Ha molto insistito, anche quest'oggi, sul come riconsiderare il rapporto Parlamento/cittadini. Manca un pezzo. Per mettere al centro il Parlamento, bisogna anche ridefinire il rapporto Parlamento/Governo. Non basta soltanto ripensare il rapporto Parlamento/cittadini. Quella del Parlamento è una centralità che si dispiega su due fronti: verso il basso e verso l'alto. Se, infatti, non si trova il modo anche di garantire la centralità del Parlamento verso l'alto, tutta la prima parte rischia di essere funzionale soltanto a un'ulteriore accelerazione nella strada della disintermediazione, e cioè della verticalizzazione e della legittimazione diretta: via sondaggio, via voto o via Web, non importa, ma sempre disintermediazione, sempre legittimazione immediata della decisione. Questo, considerato quanto da lei detto, credo sia qualcosa che lei non intende realizzare, fortunatamente; e, dal mio punto di vista, ciò sarebbe condivisibile.

  PRESIDENTE. Abbiamo ancora sei interventi. Vi chiedo di contenere i vostri interventi in un lasso di tempo tra i tre e i quattro minuti per dare la possibilità al Ministro di replicare.

  MARCO DI MAIO. Grazie, presidente, anche per aver in tempi brevi riconvocato le Commissioni in vista del completamento di quest'audizione molto importante.
  Ministro, vorrei sottoporle alcune questioni in maniera schematica, in maniera da favorire anche una sua risposta e lasciare poi la parola ai colleghi.
  Lei ha parlato di referendum propositivi, ma nel corso della precedente seduta di audizione aveva citato anche la volontà di intervenire sulla disciplina dei referendum abrogativi. La mia domanda è se sia intenzione del Governo intervenire anche in riferimento alle materie escluse dai referendum abrogativi. Prima, ha risposto in relazione ai referendum propositivi: le chiedo se, nell'intervenire sulla disciplina dei referendum abrogativi, intenda modificare anche, eventualmente, le materie escluse dai referendum abrogativi, che attualmente sono quelle inerenti alle leggi tributarie e di bilancio, di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali e alle leggi di amnistia e indulto.
  Le voglio poi anche sottoporre un quesito relativamente all'intenzione di favorire tutte le richieste di maggiore autonomia che dovessero provenire dalle regioni, a partire da quelle già in essere, ma eventualmente anche da quelle future. Mi rendo conto che non è di sua stretta competenza, ma inevitabilmente vi rientra, anche se indirettamente.
  Le chiedo se il Governo non ritenga di accompagnare questi processi anche con elementi che prevedano una valutazione di merito sulla gestione dei bilanci e sulla virtuosità dell'amministrazione delle singole regioni, al fine di evitare che ci si ritrovi con venti richieste di maggiore autonomia provenienti da venti regioni, che renderebbero il Paese difficile da governare, anche dal punto di vista del Governo centrale, nonché, in prospettiva, delle esigenze dei cittadini.
  Vorrei poi sottoporle un altro quesito, a proposito delle regioni, sulla sua posizione e sulla posizione del Governo in relazione a proposte di istituzione di nuove regioni.
  In Emilia-Romagna è aperta una discussione da molto tempo, con una proposta di istituzione di una regione Romagna, che personalmente mi vede contrario. Nel caso in cui quest'ipotesi dovesse andare avanti, in generale, al di là del singolo caso della regione Romagna, vorrei conoscere la vostra posizione in merito all'eventualità di istituzione di nuove regioni nel nostro Paese. Pag. 15
  Vorrei poi conoscere la vostra posizione in merito al tema province, visto che comunque è un tema costituzionale e si parla appunto di intervenire, benché con tutte le cautele che anche lei ha ricordato, sul testo costituzionale: qual è la posizione del Governo su tale tema? Si intende mantenerle o no? Se si intende mantenerle, come eventualmente agire alla luce di quest'intenzione?
  Ultima considerazione. Alcuni miei colleghi hanno fatto riferimento alla forma di Governo. Nella scorsa seduta di audizione che abbiamo svolto, lei ha parlato della volontà di ridurre il numero dei parlamentari e quindi di agire sia sulla Camera sia sul Senato. Le chiedo se dal vostro punto di vista c'è l'intenzione di intervenire sulla differenziazione delle funzioni di Camera e Senato, quindi di superare il regime di bicameralismo paritario, andando verso una differenziazione dei poteri delle due Camere, punti tra l'altro ricompresi in una nota riforma costituzionale, sottoposta al giudizio degli italiani nella scorsa legislatura. Abbiamo trovato, però, nelle sue parole anche alcuni punti di contatto con quel testo: vorrei capire se nelle intenzioni del Governo ci sia anche quella di intervenire sulla modifica del bicameralismo paritario.

  FRANCESCO PAOLO SISTO. Forza Italia è un partito innamorato della Costituzione, si sa, e di quella che io non esito a definire la mediazione parlamentare, intendendo per mediazione parlamentare il processo cognitivo che il Parlamento svolge nell'ambito delle leggi per mediare tra le varie posizioni e giungere a un risultato che qualche volta può essere più tecnologico e forse più proprio anche delle forme di democrazia diretta.
  Io sono abituato a pensare che ciascuno – ce n'era uno in particolare – faccia le cose a propria immagine e somiglianza. Allora, credo che non mi stuzzichi, dopo aver letto attentamente l'intervento del ministro, l'idea che qualcuno possa pensare di modificare il Parlamento a immagine e somiglianza del proprio partito.
  Quando ascolto che la piattaforma Rousseau è il sistema operativo di una forza politica e vi sono persone che controllano questo sistema operativo, la mia idea è che qualcuno pensi che il Parlamento possa essere avvicinabile al sistema operativo di una forza politica. Qualche segnale nell'intervento del Ministro l'ho avuto, e voglio rappresentare queste mie perplessità perché poi il Ministro possa – mi auguro – fugarle con pari vigore; e mi riferisco anche agli amici della Lega, perché prendano abbondantemente appunti su questi passaggi, che io trovo davvero delicati.
  È evidente, e chiedo al Ministro, che la democrazia diretta, se esasperata – ne abbiamo avuto una prova col recente referendum – con domande nocive, può portare a conclusioni aberranti. Il sistema referendario della democrazia diretta si fonda su domande, su quesiti. La formulazione dei quesiti è decisiva.
  Allora, dare alla democrazia diretta, senza – diceva bene Andrea Giorgis – il lavoro di mediazione del Parlamento, una maggiore rilevanza rispetto al lavoro parlamentare, non è pericoloso, è pericolosissimo. Significa lasciare a un sistema operativo diverso, che pretende di controllare la democrazia, quello che invece è un lavoro di altissimo livello, che soltanto la mediazione parlamentare può garantire. Attenzione, quindi, a non scambiare questo new deal della democrazia diretta per un dato assolutamente innovativo e – direbbe un bridgista – di linguaggio naturale nell'ambito del gioco della democrazia stessa.
  Credo che quegli aspetti di cui parlava il Ministro – io sono innamorato di problemi di metodo, e ripeto, chiedo che espressamente fughi queste mie perplessità – mirino a «fare fuori» il Parlamento. Sostanzialmente, la democrazia diretta esasperata, una piattaforma informatica controllata, che diventa il luogo vero della democrazia in sostituzione del Parlamento, ha come obiettivo – o può avere, ma mi auguro di no – quello di eliminare progressivamente e inesorabilmente la rilevanza del Parlamento.
  La sensazione che questa possa essere una preoccupazione reale – che, ripeto, Pag. 16richiede di essere fugata – la si ha proprio in alcuni passaggi del suo intervento.
  Ha detto, il Ministro, e cito espressamente i suoi punti, che bisogna riacquistare la fiducia dei cittadini e che questo è un compito che spetterebbe al Governo nei rapporti con il Parlamento.
  Mi chiedo: in questa legislatura, quindi, non assisteremo a ipotesi di fiducia su decreti-legge? Il rispetto del Parlamento da parte del Governo – lei ha detto che il Parlamento deve guadagnarsi il rispetto del Governo e non deve farsi «mettere i piedi in testa», usando un'espressione che ho molto apprezzato per la franchezza – significherà che nei programmi del Governo non c'è quello di porre la fiducia su decreti-legge o di porla «a manetta» per evitare che il Parlamento possa ragionare sui provvedimenti?
  Questo significa dare concretezza alle proprie parole, al di là dei paragoni con la Svizzera e con gli Stati Uniti, che non c'entrano niente col nostro Paese, come la migliore dottrina ha chiarito più di una volta.
  Faccio un'ultima osservazione che mi sembra necessaria.
  Il Ministro ha fatto riferimento alla necessità di leggi migliori e di maggiore qualità.
  Io sono una persona di fatti e, se dobbiamo partire da quello che accade con questo Governo, con un giustizialismo sfrenato, che non farà altro che allontanare le nostre imprese da qualsivoglia ipotesi di possibilità di crescita, mi sembra che voi stiate dando un pessimo esempio di leggi, almeno all'inizio, considerato che il concetto di leggi migliori non deve rimanere vacuamente legato a sforzi astratti di migliorare il linguaggio, visto che non è un'opera di drafting linguistico, sintattico e morfologico. Siamo ancora, come si dice dalle mie parti, alla «sciacquatura di damigiana», cioè all'inizio, alle leggi gratis che non significano niente. Io e il presidente abbiamo genesi comune, comprendiamo bene tale espressione. Già da quest'inizio, assistiamo a pessime leggi che tentano di portare il Paese verso una deriva non condivisibile.
  Intendo, da ultimo, porre al Ministro anche alcuni quesiti in ordine all'autodichia della Camera.
  La Costituzione è chiarissima nella ripartizione dei poteri tra magistratura e politica. Ora, pensare che l'autodichia della Camera non sia una conquista che ancora oggi va mantenuta su certi frangenti, per non lasciare alla magistratura la selezione della classe politica, a me sembra un azzardo. Sono profondamente convinto che lo spirito liberale non vada confuso con l'estensione delle garanzie giurisdizionali senza limiti.
  Allora, vorrei essere – ripeto – tranquillizzato su questi punti al fine di evitare che – come accade in un film che citerò soltanto perché, secondo me, è un cult movie, The Circle – sostanzialmente la rete diventi l'unico luogo in cui ci si riconosca. Penso che la parola e la carta, presidente, il cartaceo, qualche volta, possano rappresentare una forma di democrazia almeno parimenti accettabile. Chiedo che il Ministro ci dia questa rassicurazione.

  PRESIDENTE. Abbiamo ancora quattro interventi. Chiederei ai colleghi di essere veramente celeri nell'esposizione.

  IGOR GIANCARLO IEZZI. Ringrazio il Ministro per la relazione, che tra l'altro è stata puntuale e precisa.
  Noi siamo molto d'accordo sull'idea di affrontare il tema delle riforme istituzionali per punti, non facendo delle grandi riforme omnicomprensive, ma andando a ragionare sulle singole questioni. Siamo d'accordo perché lo riteniamo uno strumento migliore, più semplice, più lineare, che soprattutto non costringe i cittadini a esprimersi su questioni omnicomprensive, imponendo di pronunciarsi in maniera contraria su questioni su cui si è favorevoli e viceversa.
  L'ultimo esempio, quello più clamoroso, è rappresentato dall'ultima riforma costituzionale, varata nella precedente legislatura, che ha obbligato i cittadini a esprimersi con un secco sì o no su questioni molto varie. Credo che ognuno di noi quel giorno avesse, nonostante il voto che ha Pag. 17espresso, un'opinione contraria su qualche singolo punto di quella riforma, però purtroppo non è potuto venire fuori perché, appunto, si trattava di una riforma omnicomprensiva, che toccava tutto, dalla forma di Governo, ai poteri delle Camere, alla soppressione di alcuni organismi. Questo ha portato, purtroppo, a doversi esprimere in maniera un po’ frettolosa. È per questo che condivido molto l'ipotesi di esprimersi sui singoli punti e di fare un lavoro di questo tipo, che sicuramente risulterà più approfondito.
  Sono solito prendere appunti – lo dico all'onorevole Sisto – quando parla qualcuno, però sinceramente non ho una visione così catastrofista su quello che vogliamo fare. Mi sembra che la maggior parte dei punti espressi sia assolutamente condivisibile, da una riflessione sul vincolo di mandato al «taglio» dei parlamentari, alla questione – che noi giudichiamo importantissima – della prevalenza del diritto costituzionale rispetto al diritto comunitario, da sottolineare nella Costituzione. Sono tutti temi che, secondo me, rivestono una particolare importanza. Tra l'altro, ho apprezzato molto anche la concordia che lei ha sottolineato con la Ministra per gli affari regionali e le autonomie, Erika Stefani; come può immaginare, per noi si tratta di un tema qualificante di questo Governo.
  Svolgo due riflessioni velocissime, la prima riguarda la questione delle nuove tecnologie durante le consultazioni.
  Credo sia una questione importante sulla quale bisogna svolgere un approfondimento serio, magari partendo anche da alcune esperienze, come quella maturata dalla regione Lombardia quando c'è stato il referendum sull'autonomia, che ha provato un nuovo sistema di votazione elettronica che, pur con qualche criticità, ha presentato anche molti aspetti positivi. Partire da questo tipo di esperienza, al fine di importare l'uso di nuove tecnologie, di nuove forme di votazione durante le consultazioni, può essere importante.
  Allo stesso modo, secondo me è importante rivedere alcuni meccanismi degli strumenti referendari. Mi sembra evidente che negli ultimi anni il referendum sia entrato in crisi. Rispetto a decenni fa, quando il referendum serviva ai cittadini per esprimersi sulle grandi questioni morali, è diventato di decennio in decennio sempre più uno strumento tecnico, per cui i cittadini venivano chiamati a esprimersi su questioni sempre più tecniche – anche se assolutamente legittime – poste magari da associazioni di categoria, da sindacati. Questo ha portato, secondo me, alla disaffezione verso uno strumento che è stato usato male.
  Questo è dimostrato anche, per esempio, dall'alta affluenza al referendum costituzionale, un referendum importante che riguardava la vita di tutti noi e che ha avuto tanta partecipazione. Secondo me, concentrare l'attenzione su tali aspetti è fondamentale, stando attenti, da un lato, ad operare in modo da evitare che l'astensionismo diventi uno strumento per boicottare il referendum, dall'altro, a fare in modo che il referendum rimanga uno strumento di popolo, a uso dei cittadini e non, delle associazioni di categoria, nonostante queste operino legittimamente.
  Secondo me, e concludo, è giusto partire anche – mi permetto quest'annotazione politica, meno istituzionale – dal contratto di Governo, che appunto prevede l'abolizione del quorum strutturale, rappresentato dalla maggioranza degli aventi diritto al voto. Partendo da quell'elemento, secondo me si può lavorare per ridare dignità a uno strumento che oggi è l'unico che permette – insieme a pochissimi altri, come i disegni di legge di iniziativa popolare (anche se il referendum è quello più importante) – ai cittadini di entrare in questi palazzi realmente, dicendo la loro e non solo durante il giorno delle votazioni. Noi siamo pronti a lavorare su questi temi senza paura di rovinare il Paese. Non credo che rovineremo il Paese con queste riforme.

  FRANCESCO BERTI. Vorrei chiedere più informazioni circa una piattaforma che appunto lei ha chiamato il portale unico per le consultazioni del Governo, che dovrebbe avvicinare i cittadini, cercare di includerli nel processo decisionale a tutti i livelli. Questo è molto importante. La partecipazione Pag. 18 non serve soltanto a condizionare il risultato, ma anche a cercare di fare emergere a livello di opinione pubblica una serie di temi, che altrimenti rimarrebbero rinchiusi nelle istituzioni.
  Io ho collezionato dei dati, che sono chiarissimi, della Commissione europea.
  Il senso di sfiducia nelle istituzioni, ormai – lo dico anche ai colleghi presenti – è assodato. Dal 2007 al 2018, la fiducia nei Governi e nei Parlamenti nazionali è calata dal 43 al 34 per cento. Cito lo studio Standard Eurobarometer 89 della Commissione europea. Se si parla dell'Italia, nello specifico, secondo il sondaggio Public Opinion del novembre 2017, in Italia, alla domanda «Quanto sei soddisfatto del funzionamento della democrazia nel tuo Paese», soltanto il 37 per cento ha risposto di essere soddisfatto, il 61 di non esserlo, di cui un 20 per cento per niente. In Danimarca, il livello di soddisfazione raggiunge, invece, il 93 per cento, di cui il 40 è molto soddisfatto. In Italia, molto soddisfatto è il 2 per cento. Questi sono dati della Commissione europea.
  Faccio un augurio di buon lavoro al Ministro, perché c'è sicuramente molto da fare per recuperare la fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini.

  GIORGIO SILLI. Sarò brevissimo, perché il mio Capogruppo, Sisto, meglio conosciuto come «il maestro», ha fatto un intervento assolutamente esaustivo.
  Io intervengo semplicemente per un piccolo appunto, per il quale mi ricollego a quanto detto dal collega del PD, Parrini, riguardo ai tempi inerenti alle interrogazioni.
  Ministro, se vogliamo davvero ricostruire una sorta di cinghia di trasmissione tra il potere esecutivo e i cittadini, più che la democrazia diretta o la partecipazione, bisognerebbe dare le risposte che chi è eletto per fare delle domande chiede in tempi abbastanza celeri.
  Poi faccio un piccolo inciso riguardo alla democrazia diretta o alla partecipazione dei cittadini in generale.
  Me ne sono occupato quando ero amministratore locale. Pur essendo un amministratore di centrodestra, non convintissimo dell'importanza della partecipazione e della democrazia diretta, mi fu affidata questa delega e cercai di svilupparla al meglio. Ahimè, ci sono stati tantissimi intoppi. Lo dico perché sulla mia pelle di amministratore di una grande città ho tentato in tutto e per tutto di far partecipare i cittadini alla vita delle istituzioni, cercando di incardinare i desideri, le volontà, le richieste, l'ambizione di partecipare dei cittadini alle istituzioni.
  Dico: attenzione, attenzione, per l'amor di Dio! In vent'anni di politica, una cosa ho capito: è bellissimo coinvolgere i cittadini il più possibile, ma se la nostra è una democrazia rappresentativa da diverso tempo e la democrazia rappresentativa va per la maggiore in quasi tutto il mondo, sicuramente un motivo c'è.
  La mediazione parlamentare, la politica, che a mio avviso è una cosa veramente seria, non dico che bisogna saperla fare, perché è una frase che sa troppo di Prima Repubblica, ma sicuramente una sorta di esperienza all'interno delle istituzioni è fondamentale, anche solamente per cliccare sulla casella «sì» o «no». È molto difficile che un cittadino da casa sia avvezzo al nostro modo di dialogare all'interno delle Commissioni o del Parlamento, o addirittura avvezzo a prendere delle decisioni. Nessuno di noi credo sia un tuttologo, anzi anche all'interno dei grandi consessi rappresentativi – non parlo di istituzioni, ma di partiti – laddove si debbono prendere delle decisioni su come votare su alcuni provvedimenti, c'è chi si intende più di una materia che di un'altra.
  Lungi da me dire che il cittadino non è preparato, ma sicuramente non ha l'esperienza per muoversi e barcamenarsi all'interno del mondo della politica e del governo di un Paese, neppure cliccando un sì o no.
  Aggiungo che, forse, per riavvicinare realmente i cittadini alla democrazia rappresentativa, si potrebbe pensare, tra le cose da fare, nelle leggi elettorali, quando si parla di collegi uninominali, di legare strettamente il candidato al collegio, non permettendo di ricorrere a candidati «paracadutati» che vengono veramente da lontano. Pag. 19 Potrebbe essere assolutamente interessante. Lo dico contro il mio interesse.
  Detto questo, spero veramente che questo Governo vada nella direzione giusta della partecipazione dei cittadini, anche se devo dire che, come forza politica, siamo da sempre convinti che la democrazia sia rappresentativa e che rappresentativa debba rimanere. Questo non significa che la democrazia diretta vada a snaturare la democrazia rappresentativa. Non voglio neanche immaginare quello che ho sentito prima, ovvero una sorta di messa al bando del Parlamento o idee di questo tipo, ma sicuramente mi interrogo sull'effettiva capacità del cittadino semplice di affrontare e approfondire i problemi senza avere preparazione ed esperienza.

  EMANUELE PRISCO. Cercherò di stare nel minuto.
  In relazione a un punto della relazione del Ministro, che saluto, quando parlava di necessità di una svolta, anche in collaborazione con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, in chiave autonomistica, mi chiedo, anche alla luce dei molti ragionamenti svolti sulla partecipazione e sulla forza di scelta diretta dei cittadini, se questa non sia anche, come auspichiamo, l'apertura di uno spazio verso l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, che può, di contro, controbilanciare in chiave unitaria e di difesa dell'unitarietà nazionale, scelta direttamente dal basso, e quindi dai cittadini, anche ipotesi di maggiori autonomie.

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Fraccaro per la replica.

  RICCARDO FRACCARO, Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta. Risponderò velocissimamente, anche considerati i vostri imminenti impegni d'Aula. Cerco di raggruppare i temi.
  Quanto alla consultazione pubblica, si è parlato di digital divide, della necessità anche di un'educazione al digitale, di favorire la partecipazione.
  Sicuramente, c'è l'intenzione del Governo di portare avanti una strategia complessiva in materia digitale, che prevede anche una maggiore educazione e un accesso diretto alla pubblica amministrazione attraverso gli strumenti informatici. Ciò tuttavia rientra in un quadro generale che coinvolge tutto il Governo e, in particolar modo, il Ministro per la pubblica amministrazione; la digitalizzazione, quindi, non è particolarmente attinente alle mie deleghe, che invece comprendono il tema della consultazione digitale. Al riguardo, è stato chiesto, con una domanda molto secca, quale sia lo strumento normativo per conferire o autoconferirsi i poteri, al fine di creare questa consultazione.
  Penso che la parsimonia legislativa sia sempre auspicabile, e quindi propendo per una procedura amministrativa semplice. Non credo ci sia bisogno di una legge, di una legge delega o di un provvedimento particolare. Dal punto di vista semplicemente amministrativo è possibile portare avanti questo strumento. Esiste già, tra l'altro, un dominio, che è www.partecipa.gov.it, che potrebbe essere semplicemente implementato.
  L'obiettivo è quello di avere un unico spazio digitale in cui creare questo sistema di partecipazione, anche perché spesso ho visto, nel recente passato, che i vari Ministeri hanno portato avanti delle consultazioni, spesso, però, collocate ai margini del sito Internet dei Ministeri, con un link non proprio visibile. L'ideale sarebbe creare un unico portale a cui poter accedere e iscriversi, da cui ricevere anche notifiche; in questo modo chiunque sia interessato, a seconda dei livelli amministrativi, potrà verificare se in quel momento c'è una consultazione ad hoc.
  Ovviamente, la consultazione è qualcosa di non vincolante, attiene più alla democrazia partecipativa che alla democrazia diretta; quindi lì veramente ci si può spingere con i migliori strumenti digitali.
  Il primo step sarà quello di creare delle linee guida che tengano conto delle migliori esperienze internazionali e che possano essere uno strumento, un modello, un'ispirazione anche per le amministrazioni locali, senza necessariamente imporre l'utilizzo Pag. 20 della consultazione, ma facendo sì che sia di esempio e di guida.
  Io ho già individuato dei punti per la progettazione di questo strumento. Tra l'altro, credo non ci sia bisogno nemmeno di sostenere grandi costi, di fare grandi ricerche o analisi. Ci sono già. Anche a livello europeo sono stati portati avanti dei progetti che hanno partorito strumenti di consultazione pubblica amministrativa, che sono già in corso di esercizio – penso all'esperienza di alcune capitali europee, come Madrid, Barcellona, Parigi – i quali potranno essere implementati anche a livello nazionale. Anche lì c'è la possibilità di cogliere il meglio dell'esperienza europea.
  Immagino un portale che permetta di: visualizzare attraverso appositi elenchi le consultazioni del Governo aggiornate in tempo reale; accedere alle iniziative selezionandole per tema, data di apertura, destinatari, status; essere informati delle novità; ricevere avvisi sull'apertura di nuove consultazioni, per chi lo desidera, con sistemi di notifica automatica. Un portale che permetta, in fase successiva, di realizzare: un software open source per la consultazione o per la conduzione di consultazioni pubbliche on line per tutte le pubbliche amministrazioni; un help desk dedicato all'assistenza metodologica delle consultazioni; un sistema di registrazione degli utenti e attività di informazione diffusa rivolta al personale.
  L'obiettivo è di permettere, nella fase propedeutica, l'elaborazione di un testo normativo da parte degli organi rappresentativi, ad esempio consultando tutti gli operatori o gli interessati di quella materia, in modo da avere già a disposizione le migliori esperienze pratiche su quella materia e avere già la possibilità – senza necessariamente ricorrere ad audizioni in Commissione, che ovviamente non vengono meno – di sentire in maniera informatica i cosiddetti stakeholders, ovviamente senza escludere la cittadinanza. Questo per quanto riguarda la consultazione.
  Quanto ai rapporti con il Parlamento, non credo che l'utilizzo del decreto-legge o la posizione della fiducia siano un abominio, anzi sono strumenti legittimi, che possono essere legittimamente utilizzati. Il problema è quando si trasformano in un abuso.
  Devo essere sincero in questo. Non è la mia prima legislatura, vengo da cinque anni in cui da parlamentare ne ho percepito l'abuso, anche da parte di forze politiche i cui esponenti oggi auspicano di non abusare della decretazione d'urgenza e del ricorso alla fiducia. L'impegno del Governo è che questo non avvenga più.
  Qual è il mio problema? Nel corso degli anni, ho sentito tanti Governi dire di non voler abusare di questi strumenti, ma poi tradizionalmente questa parola non è stata mantenuta, quest'impegno non è stato assolto. È inutile che io diventi l'ennesimo Ministro per i rapporti con il Parlamento che si impegna a non abusare della decretazione d'urgenza. Se lo dico, non conta nulla. Mi auguro di dimostrarlo con i fatti.
  Quanto alla centralità del Parlamento e allo svolgimento di interrogazioni e interpellanze, sì, è vero, c'è la necessità di dare maggiori risposte, in maniera più celere. Da questo punto di vista, c'è il mio impegno a sollecitare i vari Ministeri nel portare avanti le risposte. È chiaro che questo richiede una sinergia tra Parlamento e Governo. Ovviamente, maggiore è il numero di atti di sindacato ispettivo, più lunghi sono i tempi di risposta, e il rischio di intasare la macchina amministrativa è facile che si concretizzi. Ci deve essere un impegno del Governo e anche il buon senso da parte delle forze politiche.
  Non c'è nessuna volontà di modificare la forma di Governo e tutte le riforme che abbiamo prospettato rientrano nel quadro della forma di governo parlamentare. Non c'è l'intenzione del Governo di modificarla, prevedendo l'elezione diretta del Presidente della Repubblica o passando a una forma di governo che possa essere presidenziale o altro.
  Non condivido minimamente alcune affermazioni secondo cui la democrazia diretta sarebbe un esercizio a somma zero. Dagli interventi di alcuni parlamentari è emersa l'idea di una democrazia diretta intesa come una limitazione della decisione, «un sì o un no». E questo verrebbe indicato come negativo. Pag. 21
  Non è così. Anche la democrazia rappresentativa alla fine si traduce in una votazione tra sì e no, e non sono mai una somma zero nemmeno gli strumenti di partecipazione diretta, anzi. Si parlava addirittura di limitazione del pluralismo: è assolutamente il contrario! Spesso, la pura democrazia rappresentativa impedisce alle minoranze di portare alla discussione pubblica e all'attenzione pubblica un tema su cui invece c'è la volontà e la necessità di dibattere. Spesso, sono i partiti o i movimenti – nessuno si deve tirar fuori – a non voler affrontare in Parlamento alcuni temi perché sono divisivi per la propria forza politica; magari c'è una maggioranza diversa a livello nazionale, ma quel tema non viene dibattuto.
  Possiamo ricordare per quanti anni non abbiamo voluto affrontare in Parlamento il tema del conflitto di interessi perché eccessivamente divisivo per le forze politiche? C'era, invece, una volontà popolare di affrontare quel tema, ma questo vale anche per i diritti delle minoranze.
  Nelle esperienze nazionali in cui esiste oggi lo strumento del referendum propositivo, questo è uno strumento portato avanti da chi sa già di perdere la battaglia perché non c'è un consenso, ma il solo fatto di dibattere pubblicamente, con una procedura che richiede tempo e una procedimentalizzazione, permette di influenzare l'altro, di influenzare una maggioranza, che magari può ritornare per alcuni aspetti sui suoi passi. È il dibattito, come dite voi, che porta a un miglioramento della democrazia, è il confronto: gli strumenti di partecipazione sono, appunto, un ulteriore mezzo per potersi confrontare su alcune tematiche.
  Perché abbiamo messo all'interno della proposta l'idea del controprogetto? Proprio per non escludere anche il dibattito parlamentare su quelle tematiche. Il controprogetto è proprio questo: è la possibilità, per il Parlamento, di affrontare quel tema con un suo progetto di legge, che quindi viene messo a confronto con quello elaborato dalla base dei cittadini o da un gruppo di cittadini, che ha la volontà di portarlo al dibattito pubblico o al centro del confronto nazionale.
  Il Parlamento, quindi, non è mai escluso dal procedimento, anzi. Se il Parlamento ha affrontato quel tema in maniera soddisfacente, non c'è nessun motivo per cui i cittadini si debbano mettere gratuitamente a raccogliere le firme, a raccogliere 500.000 firme, che non è facile. Non è che la gente lo faccia per spirito di dispetto o, comunque, di contrasto nei confronti del potere. Lo fa quando sente una necessità impellente ed è compito della democrazia rappresentativa avvertire quel sentimento, quell'urgenza, altrimenti non sta svolgendo il suo compito. Gli strumenti di democrazia diretta servono proprio quando la democrazia rappresentativa non è in grado di cogliere tale sentimento.
  Anche i corpi intermedi già esistono. La loro crisi sta nel fatto che non sono più in grado di percepire le esigenze che arrivano dalla base o non vogliono farlo. Diamo gli strumenti per costringerli a dibattere su alcuni temi o iniziare a occuparsi di quei temi – per cui oggi sono entrati in crisi – che non hanno voluto affrontare.
  Mi dispiace per l'intervento del presidente Sisto, con cui abbiamo condiviso tante riunioni proprio in quest'Aula. Mi dispiace perché o non ha ascoltato quello che ho detto o io non mi sono spiegato.
  Non ho mai parlato di rete, non ho mai parlato di Rousseau, non ho mai parlato di strumenti informatici fantomatici, non ho mai parlato di digitale. Ho parlato di cartaceo e ho parlato di sperimentazione del digitale, perché il digitale è già entrato nella vita politica. Se non l'affrontiamo e non iniziamo a occuparcene, verremo travolti. Pensate solo a che cosa sono i social oggi per la costruzione dell'informazione pubblica. Molto passa anche da lì. E come oggi vogliamo regolare, ad esempio, o garantire il pluralismo sui canali tradizionali di informazione (giornali, televisioni), così forse dovremmo anche iniziare a garantirlo sui nuovi canali di comunicazione, come i social. Sono temi che sono al centro del dibattito internazionale, non solo nazionale. Pag. 22
  Denigrare gli strumenti digitali significa magari accantonarli e non affrontarli e questa sarebbe una colpa, perché poi tornerebbero in maniera preponderante e ci troverebbero impreparati. Io direi di valutarne gli effetti positivi, di valorizzarli, di iniziare a considerarli e di implementarli.
  Non esistono domande nocive dei cittadini. Ripeto, non esistono domande nocive dei cittadini! È come se il Governo dicesse che le interrogazioni di alcuni parlamentari sono nocive. Sono domande in relazione alle quali, evidentemente, qualcuno ha bisogno di avere una risposta. Possono esserci risposte nocive per la collettività?

  FRANCESCO PAOLO SISTO. Abbiamo fatto le battaglie insieme sulle «domande nocive» del referendum.

  RICCARDO FRACCARO, Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta. Ma quelle erano fatte dal Governo, non dai cittadini!
  Per quanto riguarda l'esperienza locale di coinvolgimento dei cittadini, non lo so, bisognerebbe confrontarsi, capire come è stata fatta.
  Generalmente, dalla mia esperienza, quando la partecipazione è oggetto di una concessione dall'alto, non funziona. Deve essere un diritto dal basso.
  Quanto alle regioni, non abbiamo nessuna preclusione per la creazione o il mutamento del contesto e dei confini regionali. Questo, però, deve seguire l’iter, previsto dall'articolo 132, primo comma, della Costituzione, che prevede anche un referendum e quindi la partecipazione popolare. Credo che non ci siano ostacoli in questo senso.
  È chiaro che più regioni chiedono più materie, più i tempi si dilatano, e quindi probabilmente non riusciremo a completare in una sola legislatura questo processo, ma è doveroso iniziarlo.
  Quanto all'articolo 49 della Costituzione, credo che sia totalmente inopportuno e indelicato che il Governo si esprima sulla democrazia interna dei partiti. Ho un'idea diversa dalla sua – glielo dico subito – ma lungi da me, come rappresentante del Governo, parlare del sistema organizzativo interno dei partiti.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta, Riccardo Fraccaro.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.45.