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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (VII Camera e 7a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 24 luglio 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gallo Luigi , Presidente ... 3 

Seguito dell'audizione del Ministro per i beni e le attività culturali, Alberto Bonisoli, sulle linee programmatiche del Dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati) :
Gallo Luigi , Presidente ... 3 
Pittoni Mario , Presidente ... 3 
Sgarbi Vittorio (FI)  ... 3 
Montevecchi Michela  ... 4 
Mollicone Federico (FDI)  ... 5 
Patelli Cristina (LEGA)  ... 5 
Carbonaro Alessandra (M5S)  ... 6 
Saccani Jotti Gloria (FI)  ... 7 
Marcucci Andrea  ... 7 
Acunzo Nicola (M5S)  ... 8 
Anzaldi Michele (PD)  ... 8 
Rossini Emanuela (Misto-Min.Ling.)  ... 9 
Fusacchia Alessandro (Misto-+E-CD)  ... 9 
Casciello Luigi (FI)  ... 10 
Pittoni Mario , Presidente ... 10 
Bonisoli Alberto , Ministro per i beni e le attività culturali ... 10 
Pittoni Mario , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA VII COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
LUIGI GALLO

  La seduta comincia alle 10.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Ministro per i beni e le attività culturali, Alberto Bonisoli, sulle linee programmatiche del Dicastero.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno della seduta odierna reca il seguito dell'audizione del Ministro per i beni e le attività culturali sulle linee programmatiche del suo Dicastero, avviata lo scorso 10 luglio.
  Saluto il Ministro Bonisoli e lo ringrazio di essersi reso disponibile a tornare oggi per proseguire e concludere quest'audizione. Ricordo che nella precedente seduta il Ministro ha svolto una relazione introduttiva cui sono seguiti numerosi interventi. Sono iscritti a parlare ancora diversi colleghi. Dopo i loro interventi ascolteremo le risposte del Ministro. Considerato il tempo disponibile, avverto che anche oggi la Presidenza chiederà a tutti di contenere gli interventi. Abbiamo valutato, sulla base del numero degli iscritti a parlare comunicati dai Gruppi, che tre minuti per singolo intervento possono essere un tempo congruo e tale da lasciare al Ministro l'agio di rispondere a tutte le sollecitazioni.
  Preciso che sarò ora costretto ad allontanarmi per partecipare alla prima riunione della Conferenza dei presidenti delle Commissioni, che, per iniziativa del Presidente della Camera, è stata fissata alle ore 10 di oggi. Me ne scuso con il Ministro, con i colleghi e con il presidente. Mi sostituirà alla Presidenza il presidente Pittoni. La vicepresidente Latini è già qui al banco della Presidenza.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO PITTONI

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Sgarbi, a cui do la parola.

  VITTORIO SGARBI. Ho letto con particolare attenzione le linee programmatiche proposte dal Ministro e ho manifestato anche una parte di disappunto per la presentazione e il lessico con cui queste linee programmatiche sono presentate, ma superando quella che è una notazione di ordine formale, avrei tre punti di ordine sostanziale su cui richiamare l'attenzione del Ministro e degli onorevoli deputati, che purtroppo non sono nel plenum di questa assemblea delle due Camere.
  Il tema è importante e cruciale, totalmente sottovalutato dall'inizio del millennio dai ministri che si sono succeduti, ma qui approfitto di una formula nella quale si parla di città, comunità e territori, richiamando sul piano lessicale la differenza tra i tre concetti, legandomi al terzo per dire che assolutamente primaria per l'attività del Ministero dei beni culturali, avendo già interpellato per questo il Ministero dell'ambiente, è la difesa Pag. 4radicale del paesaggio. Quello del paesaggio è un tema affrontato sul piano estetico in modo impeccabile da Cesare Brandi e Rosario Assunto. Noi abbiamo nel Meridione un paesaggio sfregiato, umiliato, aggredito dalla mafia, con un proliferare di fotovoltaico e pale eoliche su cui non c'è nessun freno che venga posto per impedire che luoghi sublimi vengano cancellati per sempre dalla nostra memoria. La Sicilia ne è ostaggio in modo radicale, ma Puglia, Calabria, Campania e Molise sono sopraffatti da questa falsificata violenza della green economy, che vuol dire sostanzialmente trionfo della mafia, con uno Stato complice. Il vero patto Stato-mafia è questo, lo Stato dà incentivi perché la mafia distrugga il paesaggio. Se non si pone all'inizio di una legislatura questo problema fondamentale, sarà inutile tutelare il patrimonio artistico, perché mai si era visto uno sconvolgimento così radicale nei luoghi più alti della bellezza del paesaggio. Richiamo, quindi, al paesaggio rispetto al territorio.
  Ho dovuto sintetizzare questo tema, di una gravità che può essere dimostrata per ogni episodio in ogni territorio, a partire – ne evoco uno – da Sepino, dove da anni, in questo luogo sublime del paesaggio e della civiltà artistica e archeologica molisana, c'è la minaccia di un coro di eolico. Per questo rivolgo al Ministro una mia richiesta di appuntamento attraverso il Vicepresidente del Consiglio Di Maio, per farlo incontrare col presidente di Italia Nostra, che ha condotto fin qui la battaglia più radicale contro questo scempio selvaggio della mafia.
  Il secondo punto è la volontà di molti di risarcire le sovrintendenze per settore, evitando che vi sia un archeologo a sovrintendere su un territorio in cui architettura e beni culturali stanno insieme dopo la riforma Franceschini, che invece di accorpare soltanto i beni monumentali o architettonici e quelli artistici, ha aggregato anche l'archeologia. L'archeologia è un altro mondo, è il mondo dei morti, è un mondo in cui occorre un'autonomia totale di amministrazione da parte di una sovrintendenza, tenendo pure, come le sovrintendenze miste, il collegamento tra monumenti e beni artistici. La riforma di Franceschini, quindi, che per la parte del collegamento tra monumenti e beni artistici fu sollecitata anche da me, e lui utilizzò una parte delle mie segnalazioni in materia, si è poi allargata ai beni archeologici, creando un pasticcio da cui non si esce.
  Il terzo punto è il richiamo, non nazionalistico, ma di rispetto dell'amministrazione e dei suoi sovrintendenti, alle direzioni italiane. Non ha senso perseguire su un piano provinciale il richiamo a spesso molto modesti direttori stranieri, i quali danno un segnale di sé molto debole e povero. È stata sfregiata la Galleria degli Uffizi con un allestimento intollerabile e privo di ogni rispetto per i capolavori che sono stati riallestiti con molto vanto da parte del direttore, che pure è persona pregevole. Per inciso, non c'è nessun direttore straniero per il quale non esista un italiano altrettanto meritevole. Nonostante il Consiglio di Stato abbia voluto perseguire quest'inutile riforma di Franceschini, richiamo il Ministro alla volontà di dare, almeno nella funzione apicale, come in Francia, Germania, America, alle sovrintendenze e ai musei, soprattutto dei venti sciolti dal vincolo delle sovrintendenze, una direzione italiana. La richiamo come una necessità di rispetto per i nostri funzionari.

  MICHELA MONTEVECCHI. Ringrazio anch'io il Ministro per essere con noi anche oggi e per averci dato la possibilità di formulare ulteriori domande. Ho solo due questioni. Anzitutto, vorrei chiedergli un approfondimento sulle norme e i criteri di riparto del Fondo unico per lo spettacolo. Come ben sa il Ministro, in questi giorni sono arrivate numerose segnalazioni da parte di associazioni teatrali, musicali e altro, molto preoccupate. La revisione dei criteri di ripartizione del Fondo unico per lo spettacolo è nelle nostre linee programmatiche e anche nel nostro contratto di Governo, quindi chiederei una riflessione su quest'aspetto.
  Un altro ambito sul quale chiederei un approfondimento è quello riguardante le fondazioni lirico-sinfoniche. Nel codice dello spettacolo dal vivo, licenziato nella scorsa legislatura, erano state approvate norme tese a mettere un po’ di ordine rispetto alla governance, tema per il quale c'è ancora molto da fare. Vorrei sapere di più, in generale, sui decreti attuativi del codice dello spettacolo Pag. 5dal vivo e, in particolare, su quelli riguardanti le fondazioni lirico-sinfoniche.

  FEDERICO MOLLICONE. Salve, Ministro. Buongiorno, colleghi. Vorrei porre alcune domande veloci, per trattare più temi. La prima riguarda ancora la discontinuità tra il suo Governo e quello precedente. In particolare, Lei rappresenta un tecnico. Stimiamo questa sua professionalità, in un Governo di rottura e discontinuità con quello del suo predecessore Franceschini e del PD. Tuttavia, alcune scelte appaiono già, poi magari Lei ci smentirà, in aperta continuità. Abbiamo citato il FUS la scorsa volta, che di fatto ipoteca per tre anni la scena culturale italiana. Ha confermato la nomina del curatore della Biennale, già scelto dal precedente Governo; mentre alcune indiscrezioni del Collegio romano darebbero per certo il ritorno di Nastasi, superdirigente MiBACT dei Governi passati PD e PdL. Tra l'altro, sappiamo che Ferrante e Cutaia, della direzione dello spettacolo, stanno andando in pensione. Vorremmo sapere come intende applicare la legge sullo spoil system, una legge che esiste, non un'attività discriminatoria. Ci chiediamo se il Governo del cambiamento intenda applicarla.
  L'altra domanda riguarda l'Opera di Roma. È stato appena citato il tema delle fondazioni lirico-sinfoniche. Lei ha partecipato, insieme al sindaco Raggi, alla presentazione dell'esito del bilancio da parte del sovrintendente Fuortes. Conosce, ad esempio, la relazione alla Corte dei conti, del commissario Sole, che attesta che, nonostante la proroga ricevuta, la Fondazione del teatro Costanzi rischia di uscire dalla legge Bray per un aumento di 8,5 milioni in un solo anno, per mancato versamento dell'IRPEF dei lavoratori? Riguardo proprio al 2017, nel corso della gestione Fuortes, tanto magnificata – noi l'abbiamo definita oro che non brilla –, leggendo la relazione di bilancio si scopre che si è verificata una riduzione del 65 per cento dei contributi privati e la diminuzione di quasi 700.000 biglietti in un anno. Anche qui, in un'ottica di discontinuità, forse una riflessione andrebbe fatta, insieme agli altri soci, al sindaco di Roma e alla regione. In generale, vorremmo sapere di più sugli enti lirici. In particolare, venendo incontro anche alla domanda della collega, che cosa intenda fare per gli enti lirici italiani? Una riforma della legge Bray? E per i corpi di ballo? Una tradizione, un'eccellenza italiana come quella della danza, completamente smantellata dai Governi della sinistra: chiediamo discontinuità anche in questo caso.
  L'ultima domanda è sull’«Art Bonus». Anche dall'opposizione, nella passata legislatura, dicemmo che l’«Art Bonus» era uno strumento intelligente, ma applicato solo a un club di ricchi annoiati. Il concetto della sussidiarietà funzionava. Lei, che viene da una formazione privata, ha rapporti con privati, quindi ha vissuto di sussidiarietà nelle sue iniziative, che cosa intende fare nello specifico? Intende riformare l’«Art Bonus»? Come?
  Fratelli d'Italia ritiene che l’«Art Bonus» debba essere riformulato e applicato in maniera orizzontale a ogni livello, in modo che nel piccolo centro, nella piccola città d'arte, la piccola società possa finanziare la locale scuola di ballo, il restauro del museo civico locale e così via. Non più soltanto per grandi privati o per gli amici degli amici.

  CRISTINA PATELLI. Signor Ministro, tra le linee programmatiche per i beni e le attività culturali che ha esposto, vi è un punto che mi sta particolarmente a cuore. Sul tema dello spettacolo dal vivo apprendo con favore l'aumento del Fondo unico per lo spettacolo. In particolare, nella relazione si parla di revisione degli attuali criteri di assegnazione, citando in modo estremamente condivisibile l'incentivazione fiscale, ma soprattutto introducendo meccanismi premianti per la creazione di occupazione, inclusione sociale e recupero delle periferie. Recentemente, ho avuto modo di verificare che proprio sul finire della passata Legislatura, la Commissione ha deciso di penalizzare alcune rappresentazioni di spettacoli dal vivo che racchiudono, guarda caso, le caratteristiche da Lei citate; maggiore attenzione, invece, è stata rivolta in favore di altre realtà più d'avanguardia, ma senza un concreto riscontro in termini di ricaduta territoriale. Sono stati esclusi dal FUS festival che permettono di dare lavoro a tantissime compagnie Pag. 6 che si collegano in modo perfetto con il turismo del luogo, in una sinergia che da anni unisce e lega cultura, storicità e turismo, tenendo conto proprio della specificità. Cito, ad esempio, il Festival «Acqui in palcoscenico», in Piemonte, nel mio territorio, l'alessandrino, che tra città e provincia è stato penalizzato economicamente e messo a rischio di sopravvivenza.
  In riferimento alla recente conferenza stampa del 10 luglio del Movimento dello spettacolo dal vivo, Le chiedo, signor Ministro, in autotutela, di riesaminare le domande degli esclusi in maniera secca, esaminate in modo frettoloso, in pochi secondi, dalle commissioni. Sono 140 imprese sane, di innegabile valore storico che danno lavoro a tanti giovani e che rischiano la chiusura. Questa decisione colpisce solo in apparenza i soli operatori dello spettacolo; in realtà, interessa anche qualificati datori di lavoro, radicati da anni nei rispettivi territori, che sono in grado di garantire certezza e qualità di lavoro proprio in conseguenza della loro storicità e che vengono messi in fortissima difficoltà. Chiedo, quindi, di voler concretizzare senza indugio il potenziamento della disponibilità dei FUS, ma, soprattutto, di riporre l'attenzione necessaria agli elementi di premialità affinché non siano penalizzati storici eventi che si fondono con la cultura di un luogo e che, oltre al consenso, sono collegati alla tradizione dei territori.

  ALESSANDRA CARBONARO. Grazie, Ministro, innanzitutto per l'attenta esposizione delle linee programmatiche della scorsa volta. Tanti sono i punti che ha toccato. Il tempo a disposizione non è sufficiente per analizzarli e approfondirli adeguatamente, poiché credo che ogni concetto e idea meriterebbero una corretta analisi.
  Mi vorrei soffermare in particolare su un tema molto importante: quello dell'occupazione nel mondo dello spettacolo dal vivo. L'azione politica dei Governi che ci hanno preceduto non ha condotto a risultati efficaci in questo settore, poiché il dato che oggi abbiamo è a dir poco allarmante: il 51,4 per cento dei lavoratori del settore percepisce un reddito annuo di euro 5.000, a conferma del fatto che le condizioni socioeconomiche della categoria non sono tutelate. Se il nostro Paese è una Repubblica fondata sul lavoro, credo che lo debba essere ancor più sul lavoro culturale. Altrimenti, verrebbe meno il rispetto dell'articolo 9 della Costituzione; ma, cosa ancora più grave, a mio avviso, verrebbe meno il rispetto dell'articolo 3, centro radiante della Costituzione. Uno Stato che permette condizioni di questo tipo, con conseguente abbandono della vocazione artistica dei suoi cittadini – sono tanti i musicisti, gli attori che non continuano l'attività – è uno Stato che fallisce. Non possiamo permetterlo. È di assoluta importanza, quindi, Ministro, quello che ha proposto a proposito di un maggiore dialogo tra MiBAC e MIUR. Credo, però, che oggi la sfida si giochi anche su un altro piano: il rapporto tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e il Ministero del lavoro. Dobbiamo arrivare alla costituzione di un tavolo in cui i Ministeri si possano confrontare e iniziare a costruire politiche condivise per il settore, che mirino, da una parte, alla tutela dei lavoratori e, dall'altra, a realizzare strategie, e qui voglio essere ottimista, per la piena occupazione. Quest'ultima è possibile, a mio avviso, se la legge n. 163 del 1985, istitutiva del FUS, giungesse al suo reale compimento con la realizzazione di quel coordinamento nazionale su base regionale costituito dagli osservatori dello spettacolo, oggi attivi solo in Piemonte e in Emilia-Romagna, mentre l'Osservatorio nazionale non è nel pieno delle sue funzioni. In questa concertazione tra più Ministeri e con un rapporto annuale di monitoraggio e raccolta dati, che ci riferisca lo stato dell'arte in merito al mercato del lavoro nello spettacolo, credo che noi legislatori avremmo maggiori strumenti per realizzare politiche che rispondano alle reali esigenze del settore.
  Infine, un accenno ai pubblici. Sono consumatori finali o attori profondamente coinvolti in un processo artistico di cui sono parte in causa, perché è su questo piano che ancora una volta giochiamo una sfida importante: capire di fronte a quale tipo di pubblico ci troveremo tra venti-trent'anni e come ci avvicineremo alle nuove forme d'arte. Le platee di Traviata, di Brecht, della sinfonica, della danza saranno le stesse Pag. 7o muteranno in maniera irreversibile? Allora, ecco che quel raccordo con il MIUR di cui Lei parla diventa fondamentale affinché le arti possano rientrare a pieno titolo nel bagaglio di conoscenza del cittadino, al fine di renderlo spettatore attivo, assecondando anche l'evoluzione dei tempi. Cito, e qui concludo, una lettera di Silvio D'Amico, che nel 1953 scriveva all'onorevole Giulio Andreotti dicendo che il teatro appartiene al pubblico, non nel senso che esso debba sollecitare un tal pubblico nelle predilezioni più facili o negli istinti più bassi, ma nel senso che deve proporre al suo interesse, al suo consenso, alla sua comunione i più degni e alti messaggi.
  Sono convinta, Ministro, che le Commissioni di Camera e Senato, attraverso le linee da Lei espresse, possano condurre un dialogo costruttivo in cui sia le maggioranze sia le opposizioni si pongano l'obiettivo di una Repubblica veramente fondata sulla cultura.

  GLORIA SACCANI JOTTI. Grazie, signor Ministro, per la disponibilità. Rispetto alla Sua esposizione sui programmi del suo Ministero, mi soffermerò, dato il tempo limitato a disposizione, sulla necessità di un'incisiva azione a supporto del settore di alta formazione in moda e design. Da quando queste discipline, di cui l'Italia è stata assolutamente protagonista, si sono affermate come fattore cruciale per il successo di un prodotto su scala mondiale, contribuendo ad affermare il made in Italy nel mondo, molti Paesi nostri concorrenti, con l'aiuto dei maestri italiani, il cui contributo è stato spesso sottovalutato o ignorato, hanno investito cospicue risorse. Ho recentemente scritto un articolo in merito anche sul Sole 24 Ore.
  Ritengo essenziale e prioritario che il suo Ministero, nell'ambito del piano strategico «Grandi progetti Beni culturali», preveda lo sviluppo di un progetto a valenza nazionale per supportare il complesso delle scuole e delle accademie dedicate al settore.
  Duole segnalare che nessun seguito è stato dato dall'attuale giunta del comune di Milano al progetto «Milan network for design» promosso dal sindaco Moratti nel periodo del Governo Berlusconi per lo sviluppo e il potenziamento delle scuole italiane del settore, progetto a cui lo stesso NABA ha partecipato: un'altra conferma del principio del not invented here, un atteggiamento culturale assai diffuso che ignora quanto di buono e positivo si è fatto precedentemente.
  A supporto dell'opportunità di avviare uno specifico progetto in questo settore, ricordo che il programma «Creative Europe Programme», che la Commissione cultura della Camera ha recentemente discusso, prevede nel prossimo programma quadro europeo 2021-2027, per la prima volta, specifici interventi in questo settore. Di qui la necessità di un'incisiva azione italiana per consentirci di competere in un settore che l'Italia ha creato e portato al successo in tutto il mondo.

  ANDREA MARCUCCI. Rivolgo un saluto al Ministro. Ho letto con attenzione, signor Ministro, la sua relazione programmatica, e ho apprezzato l'analisi che porta alla definizione del suo Ministero nel modo nel quale noi l'abbiamo sempre considerato: un Ministero estremamente importante per l'interesse della nostra comunità nazionale. L'azione del Partito Democratico in questi anni era volta proprio a rivalutare e a rafforzare questo Ministero in termini organizzativi, di politiche nazionali, di finanziamento.
  Gli annunci che Lei ha fatto nella sua relazione di rafforzare progetti importanti quale quello per i diciottenni, gli investimenti sullo spettacolo dal vivo, gli organici, con la previsione di concorsi importanti per funzionari e per dirigenti del Ministero, ci fa ben sperare relativamente alla sua azione.
  Signor Ministro, semplicemente le vogliamo comunicare che, se queste idee diventeranno sostanza, diventeranno norma, diventeranno coperture nella legge di bilancio, diventeranno finanziamenti per la cultura italiana e l'attività culturale italiana, noi sicuramente saremo là per darle un supporto e darle una mano. Qualora, però, come appare spesso nelle dichiarazioni dei suoi colleghi in Consiglio dei ministri, ciò non dovesse avvenire, qualora questo Ministero tornasse a essere considerato di serie B, marginale nella politica nazionale, ebbene troverà Pag. 8una forte resistenza da parte del Partito Democratico. Noi siamo convinti che la cultura e l'attività culturale per il nostro Paese siano strategiche, e quindi siamo disponibili a supportare questa linea già fortemente voluta da parte dei nostri Governi. Qualora, però, ciò non avvenisse, troverà una fortissima opposizione da parte dei nostri Gruppi parlamentari. Grazie e buon lavoro, signor Ministro.

  NICOLA ACUNZO. Grazie, signor Ministro. Ho molto apprezzato le linee programmatiche: in particolare, mi è piaciuto che l'azione che Lei si propone sia quella di riannodare un tessuto sociale sfilacciato proprio a causa della carenza culturale. Nel collaborare a questo processo, mi preme sottoporle alcune questioni e suggerire proposte, che riguardano in particolar modo la cinematografia e gli audiovisivi. Lei sa benissimo che il cinema italiano soffre da troppi anni di una grave crisi, dopo essere stato per decenni – lo è ancora – fiore all'occhiello nel mondo della creatività. Ci regala ancora le Palme d'Oro e gli Oscar, nonostante queste grosse difficoltà. Io, che ne provengo professionalmente, so quante potenzialità si nascondono tra giovani e meno giovani, ai quali però è spesso negata, appunto, proprio la possibilità di lavorare.
  Molte sono le cause che ne impediscono una crescita adeguata, dalle croniche carenze economiche alla stessa ristrutturazione del sistema di promozione e di valorizzazione. In particolar modo, mi voglio soffermare sulla distribuzione cinematografica, quella che non consente che i prodotti vengano visti. I cosiddetti invisible film purtroppo rimangono a casa di coloro che li producono. È una crisi che attraversa non soltanto il cinema, ma anche gli audiovisivi e gli spettacoli dal vivo: bisognerà adottare nuove visioni che agevolino le diverse attività grazie appunto all'attuazione dei decreti legislativi.
  La prima proposta che mi permetto di suggerire è proprio sulle attività cinematografiche. Il passaggio della sua relazione sugli istituti di cultura forse è uno dei più importanti su cui soffermarci. Le sale che abbiamo in tutto il mondo, le nostre sale, quelle degli istituti di cultura, potrebbero diventare, se ottimizzate e se economicamente sostenute, un modo per distribuire i cosiddetti invisible film, anche i cortometraggi, per far conoscere la cultura italiana all'estero. In questo quadro, non va dimenticata anche Cinecittà, funestata di recente da un devastante incendio. La nostra Città del cinema ha bisogno di un intervento straordinario per il rilancio, affinché torni a essere quello che è sempre stata: il centro mondiale per l'eccellenza della professionalità di chi ci lavora.
  Un altro impegno rilevante, in termini di risorse economiche, sarebbe opportuno in favore degli spettacoli dal vivo, e qui voglio soffermarmi. Proprio qui c'è stata una conferenza stampa, del neonato Movimento per lo spettacolo dal vivo, che chiedeva un'audizione. Perché no? Perché non riunirci tutti, capire e sentire le istanze, signor Ministro, del Movimento per lo spettacolo dal vivo?
  Vorrei quindi soffermarmi su un altro tema, così come parlavo degli istituti di cultura.
  Ultimamente, con il Sottosegretario Toffano abbiamo visitato l'aeroporto di Capodichino, che ha un teatro che ha avuto una stagione teatrale nei diversi anni, già da una decina d'anni, di grossa rilevanza. C'è la rottura delle barriere tra le sale che vi sono all'interno del Ministero della difesa, le varie caserme, le caserme dei Carabinieri, quelle dell'Aeronautica. Abbiamo sale che possono consentire la diffusione della cultura e dare la possibilità, a chi non può permettersi di affittare una sala cinematografica o teatrale, di esercitare la propria arte. Propongo questo progetto pilota attraverso un protocollo d'intesa tra il Ministero della difesa e il Ministero dei beni culturali.

  MICHELE ANZALDI. Grazie, Ministro. Più che una domanda, visto il breve periodo dal suo insediamento, vorrei rivolgerle un appello. In questi giorni, si sta per rinnovare il consiglio di amministrazione della RAI, la principale azienda di cultura del nostro Paese. Secondo me, la RAI, in virtù della sua forza, con gli obblighi che le derivano dall'essere un servizio pubblico pagato dai cittadini, dovrebbe occuparsi molto di più di cultura. Vi lavora un gran numero di giornalisti; Pag. 9possiede una grande quantità di canali e di spazi. A mio avviso, è il veicolo migliore per sensibilizzare e diffondere tutta l'attività del suo Ministero. Le chiederei, proprio in queste ore, di far sentire ufficialmente la voce del Ministero su queste tematiche. La prossima RAI, un settore infinito, che spazia dai telegiornali alla produzione vera e propria, con finanziamenti di fiction, film, documentari, avrà un ruolo importante anche dal punto di vista economico in questo settore. Secondo me, quello che non è avvenuto in questi anni potrebbe accadere nei prossimi, cioè un vero e proprio volano sia di diffusione di informazione sia economico. Per questo Le rivolgo un appello per far sentire la voce del Ministero in questo momento in cui si sta rinnovando il consiglio di amministrazione.

  EMANUELA ROSSINI. Grazie, Ministro. Con l'accorpamento del turismo alle politiche agricole, rimangono un po’ in un limbo le competenze legate all'attuazione dei programmi Unesco che si insediavano proprio nel Ministero dei beni culturali anche idealmente, visto che parliamo di patrimonio anche immateriale. Vorrei chiederLe se ci sono già in merito alcuni orientamenti; ma mi azzardo anche a chiedere, con l'occasione, se fosse possibile rivedere un po’ l'organizzazione presso i Ministeri di Unesco. In questo momento, sono spalmati su quattro Ministeri, anzi tre, proprio perché si è sganciato dal Ministero dei beni culturali. Forse, la dimensione internazionale di Unesco meriterebbe o avrebbe bisogno di una maggiore unitarietà. A questo proposito, Le comunico anche che sta nascendo il primo Gruppo interparlamentare dedicato ai siti Unesco, proprio per accompagnare e dare forza a un progetto di valorizzazione del nostro Paese come destinazione Unesco. È disponibile anche a portare questa tematica presso la Presidenza del Consiglio, proprio per ripensare e migliorare la logistica e l'organizzazione delle competenze Unesco presso i Ministeri?

  ALESSANDRO FUSACCHIA. Vorrei solo fare un breve intervento per completare quello della volta scorsa. Ho un paio di punti, forse tre. Uno riguarda l'alternanza scuola/lavoro. La prima risposta potrebbe essere che non è questo il Ministro giusto. In realtà, ci sono stati negli ultimi anni esempi molto interessanti di alternanza presso istituzioni culturali. Vorrei «raccomandare» al Ministro di metterci un occhio particolare, perché penso che possano essere esempi molto validi di lavoro svolto direttamente con i ragazzi più giovani. Credo che una mappatura, un'azione proattiva da parte del Ministero su questo tema aiuterebbe molto a far capire la qualità dell'azione che si può fare sull'alternanza scuola/lavoro, oltre a essere molto utile per i ragazzi che partecipano.
  La seconda questione che vorrei richiamare – toccata l'altra volta da alcuni colleghi, ma anche nella sua relazione – ha a che fare con i libri e, ancora una volta, col tema di come possiamo massimizzare tutti un certo sforzo in un Paese, ma probabilmente non vale solo per l'Italia, ormai abituato a leggere al massimo 180 caratteri, fino a quando Twitter non ci farà la grazia di raddoppiarli. Restiamo però sempre su dimensioni relativamente ristrette. Mi sta a cuore capire come si può ricostruire, da parte del Ministro, con un'attenzione particolare ai più giovani, questa dimensione fondamentale. Sicuramente, possiamo organizzare e moltiplicare il numero di iniziative, di attività, ma poi resta a monte il problema di come condurli a queste iniziative e a queste attività.
  Qui va fatto un ragionamento più generale, che ha a che fare con tanti temi di cui si occupa Lei, Ministro, che però riguardano inevitabilmente soprattutto il lato dell'offerta: offerta di spettacoli dal vivo, offerta di cultura lato sensu: quale azione si immagina, di raccordo con altri suoi colleghi, o direttamente da parte del suo Ministero, per stimolare la domanda, e quindi fare in modo che, se mettiamo – uso un'espressione per alcuni impropria – sul mercato culturale una serie di offerte, servizi, aumentando questo patrimonio importante che abbiamo, ci sia una risposta adeguata dall'altra parte? Diversamente, rischiamo di non riuscire a utilizzare la cultura come strumento di trasformazione del Paese. Pag. 10
  L'ultimo punto riguarda l'Europa. Lo avevo citato l'altra volta, ma nel frattempo abbiamo avuto il piacere di un intervento della deputata europea Silvia Costa in Commissione, che ci ha un po’ presentato la roadmap sul pacchetto rispetto all'Europa creativa e a certe prospettive. Uno degli elementi emerso in quella sede è che sarà una partita tra il mondo della cultura europeo e il mondo della cultura e della creatività italiano all'interno di questo: sarà una battaglia di sistema.
  La prenda come una provocazione in un Paese come il nostro, ma mi piacerebbe avere una sua risposta sintetica alla domanda: che cos'è l'interesse nazionale sulla cultura italiana? La preoccupazione è che siamo particolarmente ricchi di tutto quando parliamo di cultura latu senso, ma se dobbiamo definire una o due priorità su cui fare una battaglia in sede europea, dobbiamo scegliere e necessariamente assumerci la responsabilità di scontentare qualcuno. Mi farebbe piacere sapere, nella «battaglia» europea, quale interesse nazionale in maniera più specifica o quale priorità sta rinvenendo e che cosa intende portare avanti prima di altro.

  LUIGI CASCIELLO. Buongiorno, signor Ministro. Buongiorno, presidente. Buongiorno, onorevoli colleghi. Intervengo velocemente per ricordare una questione sollevata la scorsa volta e per riproporne un'altra.
  La prima è volta a capire quale tipo di riorganizzazione delle sovrintendenze ci sarà, se ci sarà una riorganizzazione del loro lavoro sui territori. Ricordo ancora alcuni accorpamenti o alcune assegnazioni di competenze che ci sembrano bizzarre e discutibili, e faccio ancora riferimento sempre all'area archeologica di Velia, passata alla competenza di Napoli. In particolare, nel Mezzogiorno, ma non solo – ma essendo campano faccio riferimento a quello – ci sono molti siti cosiddetti minori, che meritano una valorizzazione e un programma specifico del Ministero, siti addirittura sconosciuti ai più. Parlo, per esempio, di alcuni siti dell'Agro nolano – sono famosi quelli di Cimitile, ma non quelli di Nola, alcuni addirittura destinati all'abbandono – o del Vallo di Lauro (quelli di Pago del Vallo di Lauro o di Taurano), o ancora nella provincia di Salerno, la Badia di Pattano, di Vallo della Lucania; ma ce ne sono molti altri in Puglia. Servirebbe un programma specifico per i siti cosiddetti minori.
  Vengo all'ultimissima questione. Ci attendiamo davvero un segnale forte, e abbiamo assunto anche un'iniziativa comune con i deputati di Fratelli d'Italia, sui fondi del FUS per capire criteri e, soprattutto, quali iniziative intende adottare immediatamente per dare un minimo di credibilità a questo tipo di stanziamenti.

  PRESIDENTE. Essendo esaurite le richieste di intervento, do la parola al Ministro Bonisoli per la replica.

  ALBERTO BONISOLI, Ministro per i beni e le attività culturali. Grazie mille. Buongiorno a tutti. Innanzitutto, voglio iniziare ringraziandovi della ricca e diversificata dialettica che è seguìta al mio intervento iniziale. Ho molto apprezzato tutti gli interventi, sia quelli più favorevoli a quanto detto, sia quelli che invece ponevano e sottolineavano alcune criticità. Credo nella dialettica tra Esecutivo, il ruolo che sto svolgendo in questo momento, e Legislativo, cioè i miei punti di riferimento. Il riferimento parlamentare per me sarà una stella polare nel corso della mia azione, un'altra stella rispetto alle cinque.
  I miei provvedimenti devono passare da qui e, per passare da qui, devono essere credibili, devono essere condivisi e devono trovare la formula giusta per poi risultare efficaci e poter raggiungere gli obiettivi per cui siamo andati al Governo e per cui, alla fine, svolgiamo la nostra azione politica, indipendentemente dalle mie convinzioni personali e da contingenze, necessità o, in alcuni casi, anche opportunità che possiamo cogliere.
  Mi ero ripromesso di fare una replica breve. Non ci riuscirò. Ve lo dico subito. Cercherò di dilungarmi il giusto, affrontando i diversi punti, o perlomeno i principali punti che penso sia necessario condividere con voi. Vi anticipo che non toccherò tutto quanto è stato detto, quindi mi scuso in anticipo. Nel momento in cui non dovessi dare una risposta a qualcosa, mi Pag. 11riservo magari di darla o in un'interrogazione o in successivi momenti. Questa volta, ho scelto di fare l'esame orale invece che quello scritto, quindi vi anticipo che non ho slides. Commenterò a voce alcuni punti che mi sono segnato.
  Vado in ordine di priorità, quindi il primo punto che vorrei toccare, riassumendo alcuni degli interventi, è quello che riguarda il personale. Stamattina, in rassegna stampa ho trovato una lettera aperta di non ricordo quali eminenti esperti internazionali che mi sottopongono il problema della Biblioteca Nazionale di Firenze. In essa si diceva, in parole povere, che o si trova personale alla svelta, disponibile per tenere aperta questa biblioteca, o rischiamo che venga chiusa. È una delle situazioni più ricorrenti che mi vengono segnalate da quando sono al Ministero. Avviene in tutta Italia, in tutti gli ambiti, che sia un sito archeologico, che sia un museo, che sia una sovrintendenza. In poche parole, manca personale. Il personale, in realtà, non è che non ci sia. Stiamo parlando di un organico complessivo del Ministero di più di 16.000 persone, che non sono poche. Vi ricordo però che la pianta organica del Ministero è di 19.050 unità; quindi siamo abbastanza lontani: mancano migliaia di posizioni per raggiungere quest'obiettivo. Vi cito anche un paio di dati, perché penso sia importante condividerli. Nei prossimi tre anni, questo incluso, cioè 2018-2020, avremo 3.437 persone che andranno in pensione, in base alle regole di pensionamento vigenti. 3.437 persone entro il 31 dicembre del 2020. Contati male, è circa il 20 per cento dei funzionari e degli addetti del Ministero. L'età media del Ministero è di 54,66 anni. Io ne ho 56, quindi sono leggermente al di sopra. Tenete conto che l'età media della pubblica amministrazione italiana, già di per sé una pubblica amministrazione anziana rispetto alle pubbliche amministrazioni di altri Paesi, è di 48 anni. Questo, quindi, è un Ministero vecchio e sottodimensionato. Questa è la situazione. Come stanno andando avanti le cose? Si sta andando avanti facendo piccole assunzioni. È vero, riconosco quello che diceva prima il senatore Marcucci, non è che non sia stato fatto nulla fino adesso. C'è stato un piano di assunzioni di 500 funzionari, che il precedente Governo aveva avviato, con un ulteriore incremento di altri 500. Capite, però, dai numeri che vi ho citato, che siamo abbastanza lontani. La dimensione con cui abbiamo lavorato fino adesso è lontana dalle esigenze.
  Un altro aspetto che abbiamo utilizzato fino ad oggi è la creatività. Abbiamo utilizzato il servizio civile per sopperire ad alcuni deficit di organico; utilizziamo in maniera importante ALES, la società in house del Ministero, per fornire personale, per tenere aperti uffici e altro. Questo ci deve far riflettere. Secondo me, questo è il momento in cui porci domande e cercare di capire se è possibile trovare una soluzione strutturale. Quello che vi ho anticipato, cioè il servizio civile e altre forme di volontariato o le società in house, a mio avviso sono soluzioni che devono essere temporanee. Nel momento in cui questa temporaneità non c'è e chi inizia a lavorare si aspetta di lavorare per vent'anni, qualcosa non funziona.
  Vi cito un altro dato che onestamente non conoscevo – l'ho cercato per quest'occasione – e che mi ha colpito: dal 1980 a oggi, quindi parliamo di più di trent'anni, solamente il 32 per cento delle assunzioni è stato fatto su concorso. Quando parliamo di meritocrazia, ci dobbiamo porre la domanda se essa sia un concetto teorico, qualcosa su cui fare convegni, su cui scrivere raffinati elzeviri su qualche testata nazionale, o qualcosa che vogliamo mettere in pratica. Se la vogliamo mettere in pratica, allora oggi, a legislazione vigente, la forma più opportuna per entrare nella pubblica amministrazione dovrebbe essere un concorso, dove si valutano i titoli di una persona; si verifica se banalmente sa fare il lavoro per cui si sta candidando a essere assunto; la si mette a confronto con altre persone. Si tratta semplicemente di estremo buon senso. Se, però, torniamo ai numeri che vi ho detto prima, occorre fare una riflessione. In parole povere, che cosa vi sto raccontando? I prerequisiti, il background logico di una serie di azioni che intendiamo porre in essere a livello di personale. Innanzitutto, continueremo a fare nel 2018 Pag. 12quello che è già in atto. Stiamo procedendo con le assunzioni, continueremo a farle.
  Abbiamo anche un'opportunità, e qua ci vorrà un passaggio normativo. Nel precedente concorso abbiamo avuto la fortuna – a questo punto, ci fa risparmiare del tempo – di avere 163 idonei in più, rispetto ai mille posti dei vincitori chiamati. Questi 163 idonei saranno probabilmente i primi a cui offriremo una possibilità di lavoro nel momento in cui il passaggio normativo consentirà di allargare le possibilità assunzionali; fermo restando che stiamo parlando di pianta organica esistente. Questo è quello che riguarda il 2018.
  Per il 2019, abbiamo un po’ più di tempo per mettere in piedi iniziative più efficaci. Ve ne voglio sottolineare tre, la prima delle quali è un intervento di riqualificazione. Se non sbaglio, l'ultimo intervento di riqualificazione fatto dal Ministero è del 2007. Abbiamo l'opportunità per incentivare un minimo di carriera interna e trasferimenti interni: è un aspetto da non sottovalutare. Stiamo ragionando con il numero di persone, ma dobbiamo ricordare che non esiste solo una qualità, ma anche una motivazione delle persone. Non ho dati scientifici, vi posso solo dire la mia sensazione, che è quella di un Ministero con un basso tasso di motivazione. Ha bisogno di essere più caricato: un modo è anche quello di assicurare un minimo di carriera interna a chi già vi lavora, quindi valorizzare quelli che già ci sono.
  Il secondo aspetto concerne l'indizione di un concorso. A mio avviso andrebbero coperti almeno 2.000 posti nel 2019, con un numero maggiore di idonei, per avere poi un serbatoio da cui attingere, anche solamente per controbilanciare i pensionamenti di cui vi ho detto. L'ordine di grandezza è questo. Preferirei bandirne uno da 2.000 nel 2019 e uno di uguale o addirittura maggiore entità un paio di anni dopo, per evitare un'altra sindrome che ho visto nei Ministeri: l'entrata massiccia, in un unico anno, di un cospicuo numero di persone. È successo, mi sembra, nel 1984, in questo Ministero, quando sono entrate 6.000 persone in un anno. Questo che cosa comporta? Che si crea un tappo, un blocco, generazionale, di consuetudine e altro, che rappresenta un po’ una distorsione di quelli che dovrebbero essere buoni, non dico perfetti, ma buoni processi organizzativi. È successo nell'università e in altri Ministeri. Riuscire a diluire l'entrata e a far sì che l'organizzazione possa crescere in maniera graduale, armonica e con tempi tali da assimilare le persone che entrano, penso che possa andare a beneficio di tutti.
  C'è un'ultima opportunità che vi voglio segnalare che potrebbe essere a costo zero o a costi molto limitati. In alcuni Ministeri, tra i quali il MIUR, abbiamo esuberi in funzioni o profili che a noi interessano. Il MIUR in alcune regioni ha esuberi nelle graduatorie per l'insegnamento di persone laureate, che sono estremamente motivate e appassionate ai temi di cui ci occupiamo. Parliamo di biblioteche, di archivi, di storici dell'arte, di archeologi, e non solo. Parliamo anche di laureati in legge, perché alla fine qualcuno che rediga i bandi nelle sovrintendenze ci vuole. Potrebbe essere opportuno per centinaia di persone che vivono di supplenze o di un grosso tasso di precarietà, per via delle graduatorie bloccate, su base volontaria, quindi senza alcun trasferimento o comando, venire a lavorare da noi, soprattutto in alcune zone.
  Dovremmo lavorare insieme ai colleghi del MIUR. Costruiremo un tavolo, per compiere un'azione puntuale: stiamo parlando di soluzioni che non funzionano se c'è un trasferimento all'interno della stessa regione o, addirittura nello stesso posto. Forse, non saranno numeri importanti e non si risolverà il problema principale della pianta organica; però, penso che si tratti di un'idea interessante da esplorare e da realizzare, se non nei numeri che ho in mente, almeno parzialmente.
  Aggiungo due aspetti. Uno dei due è stato menzionato prima dall'onorevole Fusacchia e dell'altro si è parlato la volta scorsa relativamente alla leva culturale.
  Il nostro è un settore che appassiona le persone. Molte, inizialmente, o magari per sempre, non vogliono svolgerlo come mestiere, ma sono interessate o sono potenzialmente disponibili a essere coinvolte nella gestione complessiva dei beni e delle attività Pag. 13 culturali. Sto parlando in maniera molto ampia. Questo potrebbe essere messo a frutto per il bene e per l'ottimizzazione dei risultati del nostro Ministero.
  Un altro aspetto è il discorso dell'alternanza scuola/lavoro, prescindendo dalle posizioni su che cosa sia l'alternanza scuola/lavoro e come sia stata realizzata sino adesso: non è compito di questo Ministero occuparsene. Dovremmo riuscire a trovare una forma protetta, con un minimo di specialità nello svolgimento dell'alternanza scuola/lavoro in questo settore; stiamo parlando di ragazzi di 17-18 anni, quindi di persone molto giovani, che probabilmente, non comprendono discorsi della serie «entri qui e poi domani...». Il fatto di dare un riconoscimento, magari non in sede di concorso pubblico, magari un domani, potrebbe essere un incentivo ad attrarre sui temi dell'alternanza scuola/lavoro ragazzi e ragazze che naturalmente hanno una propensione a occuparsi di temi che riguardano la cultura. Questo spazia dai libri, o altre attività legate alla lettura, fino alle attività culturali più diverse. Mi è piaciuto il commento fatto la scorsa volta dall'onorevole Latini sulla leva obbligatoria. Vi devo confessare che, per indole personale, il termine «obbligatoria» non mi fa impazzire, ma questa non sarebbe l'alternanza scuola/lavoro, sarebbe qualcosa di più. Potremmo dare una possibilità ai giovani e alle giovani di entrare in maniera più importante all'interno del sistema dei beni culturali e di collaborare, di coordinarsi, di affiancare i funzionari, i commessi, le persone che lavorano nella cultura, per aumentare la nostra capacità di risposta ad un bisogno di fruizione. Ne approfitto anche per sottolineare che questa, a mio avviso, potrebbe essere, anche se naturalmente rimane nella vostra discrezionalità, una delle molte proposte legislative di valore che verranno dalla Commissione, avranno il loro iter a cui il Ministero verrà chiamato a dare un supporto, a dare pareri o risposte. Il Ministero sarebbe più che disponibile ad accompagnare un'iniziativa di questo tipo in quest'ambito e a mettersi in una posizione di collaborazione fattiva per poter costruire un impianto normativo che serva alle nostre necessità. Questo è per quello che riguarda il personale.
  Parliamo di musei. Da quando sono al Ministero, passo la metà del tempo a parlarne: questo dovrebbe farci riflettere sull'importanza che, almeno a livello mediatico, hanno avuto i musei fino adesso. Fermo restando che i musei sono fantastici, ne approfitto però per dire che c'è anche dell'altro. Una delle mie attenzioni durante l'attività di Governo sarà anche quella di guardare al di fuori degli Uffizi o dei grandi musei: quelli che attirano l'attenzione dei media. In un archivio di Stato, per esempio, ci sono tesori che pochissimi vanno a vedere, e che non vanno a finire sulle pagine dei giornali, che però sono ugualmente cari al nostro cuore. Vi cito alcuni dati sui quali è ancora una volta opportuno riflettere. Innanzitutto, dobbiamo partire da un dato di fatto: oggi ci sono grandi attrattori di visitatori nell'ambito di una platea molto più ampia. Diciamo che il Ministero ha circa 500 siti, musei e altro, su un totale di 5.000 in Italia: questo come ordine di grandezza. I 32 musei autonomi, però, realizzano il 56 per cento dei visitatori e l'86 per cento dei ricavi. Di questi 32 musei, i primi dieci, realizzano l'80 per cento dei visitatori. Abbiamo una polarizzazione dell'attenzione e dei flussi turistici verso alcuni siti in particolare, ovvero quelli di cui si parla perché ci sono i famosi direttori stranieri. Gli incassi stanno crescendo: questo è il secondo dato che vi voglio fornire; quello che non sta crescendo sono gli introiti netti per lo Stato. Abbiamo una strana situazione, per la quale i ricavi da biglietti stanno aumentando, ma allo Stato più o meno arrivano sempre gli stessi soldi. Perché? L'88 per cento dei ricavi per i servizi aggiuntivi va ai concessionari. Relativamente ai grandi musei, dobbiamo ragionare sulla concentrazione. Dobbiamo fare in modo che non ci si rechi solo agli Uffizi, ma si vada anche altrove. È giusto andare avanti con le politiche volte a capitalizzare sui grandi attrattori di flussi di visitatori, ma dobbiamo trovare soluzioni, e ce ne sono, anche per valorizzare quello che grande attrattore non è. Pag. 14
  Quello che andrà fatto sicuramente è rivedere – ne abbiamo parlato la volta scorsa – il rapporto pubblico/privato. Sicuramente, uno dei temi di cui dovremo occuparci è il rapporto con i concessionari, fermo restando che abbiamo bisogno di trovare una forma sinergica di lavoro con il privato, di collaborazione: l'ultima cosa che lo Stato deve fare è chiudersi a cittadella e difendersi dai barbari. Se partiamo dai numeri che vi ho citato, probabilmente dovremmo coltivare di più i nostri interessi, pur sempre nel rispetto della dialettica e della libertà di mercato.
  Parliamo di domeniche gratuite. Per il momento esse rimarranno, ma va fatta una riflessione su quello che può essere il superamento o, eventualmente, un nuovo modo di intendere questo tipo di attrazione. Giovedì prossimo discuterò di questo tema con tutti i direttori dei grandi musei. Vi anticipo che l'orientamento che sto percependo è che la domenica gratuita andava bene nel momento in cui dovevamo vendere il prodotto museale. E i dati lo stanno dimostrando: abbiamo avuto un aumento di visitatori nei musei negli ultimi anni. L'opportunità che abbiamo, a mio avviso, in questo momento è passare da una promozione della fruizione museale a un marketing del museo vero e proprio. Che cosa significa? La prima cosa è che dobbiamo lasciare un certo grado di libertà ai musei. Non tutti i musei sono uguali e non tutti i musei, ad esempio, possono usare un certo tipo di strumento nello stesso modo. Dobbiamo lavorare su orari diversi e magari su giornate diverse. L'onorevole Piccoli Nardelli, la volta scorsa, aveva parlato del ruolo sociale che potevano avere le domeniche. Bene, lei immagini che, invece di avere dodici domeniche, potessimo avere dodici giorni di fruizione gratuita o magari anche di più, o anche ampliare questa possibilità di accesso a chi non può permettersi il prezzo del biglietto per entrare agli Uffizi. Però, se vogliamo che questa finalità diventi strutturale e che diventi un motore per la crescita della fruizione museale, dobbiamo cominciare a diversificare un po’. Vi faccio un esempio molto concreto, che ho fatto anche in altre sedi. A Milano, durante il «Fuorisalone» è tutto gratuito. La verità è che la gente non ci va perché, chi è abituato a entrare praticamente in tutta Milano gratuitamente, se alla Pinacoteca di Brera si deve pagare il prezzo del biglietto, scende di un piano e va a vedere le installazioni di arte moderna nel cortile. Non voglio fare il lavoro del sovrintendente, però farei questa riflessione: magari a Milano, l'ingresso gratuito, invece che nella domenica in cui arrivano i turisti, che sono disposti a pagare una cifra folle, lo si potrebbe fare in altri giorni, con un effetto meno impattante dal punto di vista economico, ma ugualmente efficace dal punto di vista della numerosità. Si tratta di un esempio fatto da incompetente, solo perché conosco la realtà: l'ultima cosa che voglio è dire al sovrintendente che cosa fare. Quello che mi interessa è cominciare a ragionare con tutti i sovrintendenti, quelli di oggi e quelli che verranno in futuro, per cercare di trovare la quadra e di vedere come un atteggiamento, alcune linee guida e princìpi, che, sì, devono venire dal centro, possano essere applicate a livello locale. Faccio un altro inciso: a difesa delle scelte effettuate dai vari direttori, che siano gli allestimenti, i matrimoni o altre cose, la verità è che dal centro non sono arrivate grandi linee guida; è stato richiesto loro di aumentare di un tot per cento il numero di visitatori, di applicare la legge n. 626, di abolire le barriere architettoniche e quant'altro. Forse vale la pena approfondire il ragionamento politico e avvicinarsi un po’ di più all'operatività per dare un indirizzo ai sovrintendenti, in modo che sappiano che cosa è possibile, che cosa non va fatto e che cosa, invece, rimane nella loro discrezionalità. Ciò posto, dopo devono assumersene la responsabilità: sono molto liberale per ciò che concerne allestimenti e scelte anche estetiche, però vorrei anche che, se la cosa non funziona, la responsabilità ricada su chi ha preso la decisione.
  Parliamo delle realtà piccole. Per queste c'è bisogno di maggiori risorse: ne abbiamo già parlato. Che siano risorse rinvenibili cambiando i criteri di ripartizione, o che provengano direttamente dal Ministero è da discutere. Occorrono risorse e persone. Dovremmo Pag. 15 favorire e, a volte, promuovere forme di aggregazione. Per chi non è così noto, è molto più facile farsi conoscere all'interno di un pacchetto piuttosto che come singolo. Questo vale sia per realtà che sorgono in posti remoti e sia per quelle che sorgendo all'interno di grandi città come Roma o altre, dove ci sono già realtà molto importanti, spariscono, non vengono vissute.
  Mi piacerebbe che questo avvenisse – e qua faccio una chiamata alle armi –, prima per esperienze pilota e poi cercando di allargare il più possibile questo, all'interno di collaborazioni con gli enti locali. Non dimentichiamoci che il Ministero controlla un museo o un sito su dieci e, praticamente, in ogni città e in ogni posto, a partire da Roma, ci sono due fori. Ecco, mi piacerebbe ragionare in modo più libero, anche cercando di capire se sia possibile farne uno solo. L'aspetto economico è un discorso diverso: ci sono algoritmi, prassi e procedure che possono aiutarci a risolverlo.
  Questo vale per Roma, per Milano, per i grandi attrattori e per i piccoli siti, quindi per gli enti locali, indipendentemente dal colore politico. Sono del Movimento 5 Stelle: quando parliamo di ente locale quello che mi preoccupa è la serietà, la professionalità e la solidità dell'amministrazione con cui mi confronto. Quando tutto questo c'è, si può dialogare e si possono mettere in atto interventi per metterli in rete: alcuni saranno siti archeologici piuttosto che musei, che appartengono e che fanno riferimento direttamente al Ministero; altri saranno civici o ecclesiastici o, comunque, privati o quello che sarà. Penso che questo potrebbe essere un modo un po’ diverso forse, ma sicuramente, a mio avviso, un modo contemporaneo di affrontare il tema, superando un po’ di ripartizioni amministrative, che a chi viene a visitare i nostri siti, interessano fino a un certo punto.
  Passo al Fondo unico per lo spettacolo: il FUS. Anche in questo caso partiamo dai dati perché ci aiutano a capire. Dunque, ci sono 333 milioni di finanziamento, di cui 178 alle fondazioni lirico-sinfoniche e 155 ai soggetti che hanno partecipato ai vari bandi. È quello di cui stiamo parlando in questi giorni. Di questi sono stati beneficiari 850 soggetti: questa è la situazione a oggi. La volta scorsa avevamo già parlato di un problema di credibilità. Ora non voglio entrare nel merito delle scelte, anche perché, per farlo, dovrei andare a un livello di dettaglio che non ho ancora raggiunto, ma lo faremo a breve e vi spiegherò come fare. Quello che, però, è incontestabile è che sia chi ha vinto sia chi non ha vinto ha più di un dubbio sulla bontà o sulla solidità della selezione. Non possiamo permettercelo, perché vuol dire che noi avremo sempre qualcuno scontento. La selezione non è fatta da un amico, da un cognato o da qualcuno che non conosco: la fa lo Stato. È un'attività pubblica che ha bisogno di trasparenza e di credibilità e, se non lo è, dobbiamo porci il problema.
  Detto questo, ci sono alcuni princìpi che volevo condividere con voi. Il primo è questo: noi ci muoviamo in una situazione (anche dello spettacolo dal vivo) dinamica. Quando mi segnalano che una certa istituzione era stata finanziata prima e non è stata finanziata adesso, è come quando mi sono sentito dire da mia figlia che l'ultima volta ha preso 6 in italiano e adesso ha preso 4: dipende da quanto eri pronto e dipende da che cosa è successo nel frattempo. Non è un problema in sé: lo diventa nel momento in cui i criteri applicati non sono corretti. Sul fatto che ci siano nuovi soggetti che attingono al FUS, penso che tutto sommato vada bene. Non faccio nomi, ma ho in mente soggetti che, magari fino a ieri, vivevano soprattutto di finanziamenti privati. Il fatto di attingere al FUS vuol dire assicurargli, attraverso il supporto statale, quel minimo di stabilità che, se l'iniziativa, il festival, il teatro, la compagnia, il circo o altro ha valore, è giusto che lo Stato assicuri.
  È importante – e mi collego a quello che dicevamo prima – questo movimento per lo spettacolo dal vivo, giusto? Bene, allora sarà mia cura incontrarli in brevissimo tempo e cominciare a entrare nel merito e nel dettaglio, cosa che oggi non sto facendo appositamente perché vanno prima ascoltati tutti i soggetti coinvolti e, se alcuni di loro hanno osservazioni da fare, è giusto che queste osservazioni vengano evidenziate e ascoltate con estrema attenzione. L'unica cosa che vi anticipo – e su quella Pag. 16cercherò di essere il più testardo possibile – è questa: stiamo parlando di risorse per soggetti relativamente piccoli, le cui spese sono per il 90 per cento di lavoro. Quello che voglio evitare, a costo di fare qualcosa di ingiusto, anzi di non opportuno, non corretto e non ottimale, è erogare contributi quest'anno: il flusso non può essere regolato di anno in anno, perché questa è una popolazione che va innaffiata con regolarità, magari un po’ di meno o magari un po’ di più, ma dobbiamo assicurare la regolarità. Questa è la ragione per cui, quando affronteremo il problema nel merito, lo divideremo in due parti: ci sarà un 2018 che seguirà determinate regole e un 2019 in cui, invece, ci sentiremo più a nostro agio nel fare ciò che andrà fatto. Voglio anticiparlo per fugare alcuni timori.
  C'è il tema della revisione dei criteri, giustamente sollevato dalla senatrice Montevecchi. Questa revisione dei criteri va fatta, fa parte del contratto del Governo. Anche in questo caso abbiamo la doppia opzione: l'iniziativa governativa, ovvero offrire tutto il supporto necessario, attraverso i funzionari, l'amministrazione e quant'altro, qualora si optasse per l'iniziativa parlamentare.
  Sui decreti attuativi, ricordo che la relativa delega scade il 27 dicembre 2018. Vi segnalo, al riguardo, alcuni profili problematici: almeno un paio di questi decreti attuativi sono incardinati con altri Ministeri: uno al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e uno al MIUR, per cui ritengo difficile riuscire ad arrivare con tutti i decreti attuativi a dicembre del 2018. Perciò, alla prima occasione chiederemo una proroga per l'esercizio della delega. Inizieremo senz'altro ad occuparci di qualcuno di questi decreti, ma occorrerà tutto il 2019 per portarli tutti a termine. A mio avviso, uno dei primi decreti che dovrebbe essere portato avanti è quello che riguarda la governance delle fondazioni lirico-sinfoniche. In particolare, è importante assegnare determinati incarichi a persone con un track record di un certo tipo e con una buona credibilità dal punto di vista gestionale.
  Ne approfitto per parlare anche di cinema e, più in generale, dell'audiovisivo. Vorrei sottolineare due aspetti. Anche in questo caso occorre una revisione dei criteri e, come dicevamo la volta scorsa, probabilmente lavoreremo un po’ più di fino. Non dobbiamo ribaltare completamente i criteri, però vanno valorizzati profili legati a protezione, favore e promozione delle produzioni indipendenti e di quelle che non avranno molti spettatori. Dobbiamo lavorare sia a livello di distribuzione sia a livello di produzione. In questo caso, parliamo di numeri e di algoritmi per potenziare l'uso dei fondi dello Stato per promuovere questo tipo di produzione. Anche in questo caso, ricordo che ci sono almeno un paio di decreti attuativi da emanare, di estrema importanza perché probabilmente avranno un impatto non solamente sul sistema, ma anche a livello internazionale. Stiamo parlando dei decreti attuativi per i quali chiederemo (e non solo) anche alle piattaforme di occuparsi di produzioni nazionali; quindi, esattamente come fa la RAI, di acquistare per erogare e rendere disponibili produzioni che non provengano solo da oltreoceano. Su questo ci metteremo a lavorare immediatamente. Lo faremo insieme (ovviamente) al settore del cinema, che è il primo a prendere l'impatto delle varie piattaforme, quindi è giusto iniziare da loro. Lo faremo con estrema cautela, ma anche con grande determinazione perché, in questo caso, faremo giurisprudenza: è il classico momento di snodo in cui ci si occupa per la prima volta di qualcosa inimmaginabile qualche anno fa che richiede estrema sensibilità anche per le esigenze della nostra produzione.
  Vi dico quello a cui tengo particolarmente: dobbiamo mantenere viva l'industria italiana. Dobbiamo far sì che l'Italia non diventi un grande set per girare documentari sulla mafia, giusto per fare un esempio sciocco. Per farlo, però, dobbiamo proteggere determinate cose e, quando ci sarà da proteggerle, lo faremo. Contemporaneamente, dobbiamo creare anche un indotto economico, per far sì che le produzioni possano trovare una ragione economica per andare avanti e non debbano vivere solamente del sussidio dello Stato. Pag. 17
  Ritorno un attimo all'organizzazione delle sovrintendenze. Non era questo l'ordine, ma l'ho modificato in parte in base agli interventi che ci sono stati. Sulle fondazioni lirico-sinfoniche, mi rifaccio a quello che dicevo la volta scorsa: vanno messe in situazione di maggiore stabilità. Per farlo, dobbiamo lavorare sui decreti attuativi e sulle varie realtà che sono diverse per sensibilità e per situazione economica. Ci sono fondazioni lirico-sinfoniche che sono dentro al meccanismo Bray, alcune che sono fuori e altre che rischiano di uscirne e altre ancora dove non sta succedendo quello che vorremmo perché, invece di uscire e avere una loro solidità dal punto di vista gestionale, rischiano di aumentare la dipendenza dallo Stato. Probabilmente dovremmo lavorare anche in questo caso, a un doppio livello: da un lato, se necessario, con interventi normativi anche importanti e, dall'altro, entrando nel merito delle singole situazioni. Si è prima fatto l'esempio della situazione di Roma, ma non è la sola: ce ne sono diverse che hanno un impatto a livello locale anche importante; un conto è ragionare da Roma e un conto è vedere a livello locale che cosa succede. Dovremmo entrare nel merito della cosa, però, e non penso che abbiamo in questo momento una soluzione unica applicabile al discorso delle fondazioni lirico-sinfoniche.
  Voglio tornare a parlare di sovrintendenze. Per me la sovrintendenza unica non è un dogma, come non è un dogma il fatto di averne più di una. Il mio sogno è di non fare l'ennesima riorganizzazione del Ministero: vorrei partire dall'organizzazione esistente e cercare di metterla a posto perché, se ci riusciamo, evitiamo di riaprire l'ennesimo cantiere e di confondere i colleghi, che per due anni non sapranno a chi devono parlare, che cosa devono fare e qual è la loro competenza: se si può evitare l'amaro calice, è bene, ma, se non si può evitare, lo berremo. Sicuramente occorrerà intervenire da un punto di vista dei processi; come abbiamo già detto, non essendoci abbastanza risorse, determinati processi hanno una loro vischiosità, che porta a non rispettare i tempi e a mettere in difficoltà i funzionari, che prendono una decisione in un senso o nell'altro. Un altro aspetto su cui lavorare è il ripensamento critico dei ruoli. C'è un tema di segretariati regionali che va, secondo me, affrontato. Dobbiamo capire se così com'è l'impianto attuale funziona oppure se dobbiamo fare o scegliere soluzioni diverse. In questo momento, a mio avviso, questo è il nodo più delicato da far quadrare. Senz'altro – e torno a parlare delle risorse – il fatto di non avere abbastanza funzionari amministrativi fa sì che poi l'operato del segretariato regionale sia carente perché deve fare i bandi e non personale per farli, per cui, alla fine, le cose non riescono.
  Ci sono ancora tre cose che voglio condividere con voi perché sono cose a cui credo. Il primo è un tema che mi è giunto attraverso varie interrogazioni e segnalazioni che ho avuto. Cercherò di avere il massimo rispetto per l'autonomia dei colleghi che si trovano a prendere una decisione: se un sovrintendente decide in un modo o nell'altro ha le sue ragioni e il primo compito dell'autorità politica, a mio avviso, è di proteggerlo e non di dargli addosso. Questo non vuol dire che sarò d'accordo con tutto quello che faranno i sovrintendenti. Tuttavia, considero importante ricordarci che esistono ruoli diversi, che ci sono indirizzi politici e funzioni amministrative e che queste vanno rispettate.
  La tutela, a mio avviso, va rinforzata. In questo settore la vita è un po’ come un pendolo e c'è bisogno di andare da una parte o dall'altra. Secondo me, adesso abbiamo l'opportunità (ma anche la necessità) di essere un po’ più rigidi nei discorsi di tutela. Senz'altro, da un punto di vista di belle arti e archeologia, condivido anche quello che è stato detto questa mattina in tema di paesaggio sul quale abbiamo fatto convegni e abbiamo scritto libri, ma, operativamente, non abbiamo fatto, forse, abbastanza. Fermo restando che quella delle energie alternative è una cosa che a me piace e fermo restando che fa parte del futuro, a mio avviso, non abbiamo usato abbastanza creatività per trovare un connubio o una forma di coesistenza tra l'energia alternativa e le esigenze paesaggistiche. Non dobbiamo andare tanto lontano: i tedeschi, che hanno iniziato dieci anni prima di noi a lavorare sull'eolico, nel frattempo Pag. 18 hanno trovato anche situazioni e soluzioni che evitano il palo e la torre di 150 metri che rovina il panorama. Occorre una riflessione e agire per individuare e realizzare soluzioni diverse. Al riguardo, vi segnalo che stanno arrivando in Consiglio dei ministri una serie di provvedimenti che parlano di autorizzazioni di questo tipo. Da parte nostra ci sarà una certa severità nel valutare queste concessioni, fermo restando che vanno rispettate l'economia di mercato e l'iniziativa imprenditoriale. Stiamo parlando di attività economiche lecite sulle quali non ho assolutamente nulla da ridire; ricordiamoci, però, che il paesaggio è unico e, una volta che si rovina, non c'è possibilità di recupero. Quindi, al fine di tutelare qualcosa che non può essere ricostruito, dobbiamo essere un po’ più rigidi rispetto al passato.
  Sul diritto d'autore, dobbiamo partire da un dato di fatto: che ci piaccia o meno non c'è più il monopolio; che ci piaccia o no abbiamo una direttiva europea che ci dice che il diritto d'autore deve essere gestito come tutta una serie di servizi e, in questo caso, attraverso una pluralità di soggetti. Questa è la ragione per cui una delle cose che faremo – non è un lavoro solamente nostro perché lavoreremo in simbiosi con l'onorevole Crimi che ha la delega all'informazione e all'editoria – è lavorare per superare la situazione attuale, caratterizzata dal monopolio della SIAE. Per farlo, però, dobbiamo ricordarci di due cose. La prima è che, in futuro, qualsiasi soggetto che si occupi di diritto d'autore, almeno a livello teorico, dovrebbe avere uguali oneri e onori; pertanto, se si arriva ad un'alternativa alla SIAE, questa dovrebbe (in teoria) avere la stessa capillarità sul territorio per effettuare i controlli che la SIAE in questo momento sta facendo. Il secondo aspetto è che, in ogni caso, ci sono delle opportunità legate al fatto – me lo dicevano i colleghi del cinema – che, se un produttore cinematografico, per realizzare una colonna sonora, deve interagire con dieci soggetti diversi, farebbe prima ad abolire la colonna sonora. Dovremmo perciò trovare soluzioni che consentano a chi ha il diritto d'autore di essere tutelato anche da un nuovo soggetto che arriva sul mercato, che agisca coerentemente con le vigenti prassi industriali di attività economica. Non dobbiamo immaginarci un mondo per quello che non è, ma dobbiamo prendere atto di quello che c'è. Sulle possibili soluzioni stiamo lavorando con il Sottosegretario Gianluca Vacca e con l'onorevole Crimi. Probabilmente una soluzione percorribile potrebbe essere analoga a quello che abbiamo già fatto in passato, quando abbiamo superato il monopolio delle Poste e delle Ferrovie. Vedremo che cosa verrà fuori da un punto di vista tecnico. È un tema di cui ci stiamo occupando per il quale una delle soluzioni potrà essere quella di separare le funzioni: magari qualcuno farà il controllo a livello capillare per tutti e altri, invece, gestiranno il livello d'autore, qualsiasi cosa sia.
  Voglio aggiornarvi su Matera 2019. C'è una nuova giunta comunale da ieri, quindi questo è già un passo positivo come lo è, in questo momento, ogni elemento di novità. Qualcuno mi aveva chiesto chi è responsabile di Matera 2019: per Matera 2019, lo è il Governo e lo è il Paese perché, nel momento in cui facciamo una figura barbina, sono gli italiani cialtroni che non lo sanno fare: quando usciamo dai confini nazionali, le differenze contano fino a un certo punto e di questo dobbiamo essere consapevoli. Al lavoro, in base all'attuale ripartizione delle competenze, c'è il Ministro Lezzi, che sta seguendo tutta la parte infrastrutturale, di Invitalia e altro; io sto seguendo in prima persona il programma culturale. Per darvi un dato, stiamo parlando di 54 milioni, che non sono pochi. Di questi 54 milioni, circa una ventina sono destinati all'allestimento e alla messa in opera della Cava del Sole, dove avverrà tutta una serie di iniziative culturali e di spettacoli. Per questo, svolgeremo un'attività di monitoraggio; stiamo entrando nel merito, perché mancano solo sei mesi e dobbiamo essere molto efficaci, cioè parlare poco e cercare di agire il più possibile. Andremo a monitorare ed entreremo nel merito delle attività. A oggi, mi risulta – questa è l'informazione che mi hanno dato i colleghi di Matera l'altro giorno – che l'80 per cento delle attività è grosso modo definito e un 20 per cento sarà definito entro Pag. 19breve, anche perché a settembre dovremmo presentare il palinsesto e, per allora, dovrà essere tutto a posto.
  Nel frattempo, sono stato a Plovdiv e abbiamo lavorato per aumentare il livello di cooperazione tra le due capitali della cultura. Ricordiamoci che il nostro interlocutore è l'Unione europea da un punto di vista formale, quindi più facciamo vedere un'operazione di questo tipo meglio è.
  Inoltre, come terzo aspetto sto pensando a un programma aggiuntivo: vorrei fare qualcosa di più rispetto a quanto fatto fino ad ora, utilizzando quello che troviamo e quello che riusciamo a fare nel giro di sei mesi e cercando magari delle cose particolarmente d'impatto che abbiano un minimo di significato, quindi evitando la fiera a tutti i costi. Non dobbiamo fare entropia e non dobbiamo fare necessariamente qualcosa, ma ci sono alcuni aspetti, alcune iniziative e alcuni progetti che possono essere aggiunti a quanto è già stato fatto, coinvolgendo gli attori che fanno parte del panorama culturale italiano. Ora, che questo sia un festival letterario o che sia un ente lirico-sinfonico o un archivio di Stato, abbiamo delle opportunità che vale la pena sfruttare per aumentare l'impatto di Matera 2019, a Matera e non solo lì. Un aspetto da potenziare è la ricettività e la dimensione di Matera. Secondo me, se noi ragioniamo a livello non dico buffer zone, ma sicuramente in un ambito un po’ più ampio, abbiamo maggiori possibilità di realizzare qualcosa di particolarmente importante.
  L'ultimo aspetto – e l'ho lasciato per ultimo, perché è uno di quelli che mi sta più a cuore – è rappresentato dal bonus giovani. Al termine di questa riunione, in Consiglio dei ministri, verrà inserita, nel decreto «mille proroghe», la prosecuzione della 18app per il 2018: si tratta di una cosa molto elegante perché si cambia una parolina e i soldi sono già lì, quindi anche per il 2018 sarà possibile utilizzare la 18app. A oggi, vi ricordo che non è possibile: migliaia di diciottenni, che si aspettavano di poterla utilizzare, ancora non possono farlo. La renderemo possibile per quest'anno, ma non per il 2019. Nel 2018, l'attiviamo, lasciando esattamente tutto com'è perché non vogliamo cambiare nulla per ora. Lavoreremo per cominciare a cambiarla in maniera pesante nel 2019. Come la vogliamo cambiare? Come ho già anticipato, questo è un lavoro che deve derivare dall'impegno di diversi soggetti, tra cui uno dei più importanti, a mio avviso, è qualcuno che ci racconti come si fa a stimolare la domanda di consumo culturale in quelli che vengono chiamati i «Millennials», quindi per la fascia di età dei nativi digitali e, quindi, che va da chi oggi ha più o meno quindici anni fino a chi ne ha ventuno o ventidue: una fascia per la quale, a mio avviso, in questo momento non abbiamo bene in mente come si fa a consumare cultura, ma vale la pena capirne di più, anche per indirizzare l'attività politica. Che cosa metteremo in campo? Fondamentalmente quattro cose, su cui, in futuro, entrerò maggiormente in dettaglio. La prima sarà uno strumento simile alla 18app, cioè soldi che vengono messi a disposizione per i giovani che sceglieranno quale tipo di cultura acquistare. Su che cosa interverremo? Sulle cifre, su beni da acquistare oppure su una differenziazione. Il senatore Rampi ha detto una cosa molto giusta quando ha fatto presente che non è detto che un padre ricco dia al figlio soldi da spendere. È anche vero, però, senatore, che in Italia ci sono le classi sociali e, di questo, bisogna rendersi conto, fermo restando che anche a chi ha un reddito di un certo tipo va dato accesso a questo strumento e non va penalizzato. Magari, dovendo fare un bilanciamento dell'aiuto dello Stato, sarebbe opportuno che questo aiuto andasse a chi ne ha più bisogno. Mi scuso per la banalizzazione, ma è questo il punto: quindi che poi sia una forma di fine cofinanziamento o altro, troveremo la formula, ma questo potrebbe essere una discriminante. Mi piacerebbe superare la fascia dei diciotto anni e vi anticipo che, superando la discussione della passata legislatura, penso che questo non debba essere più percepito come una mancetta elettorale, ma come un investimento che lo Stato fa in favore di una fascia di età sensibile. Per cui, cercheremo di avere le risorse necessarie per far sì che questa fascia d'età sia la più ampia possibile. Mi piacerebbe ragionare con l'industria culturale di cofinanziamento. Sappiamo bene che questi contributi aiutano l'industria culturale perché vengono erogati a soggetti che Pag. 20vanno a comprare un bene da qualche parte. Va ricordato il valore sociale di quello che stiamo facendo, cioè un investimento non solo sulla cultura, ma anche sulla mentalità, sui valori e su quanto saranno cittadini (nel senso proprio del termine) le giovani generazioni: non sto ragionando su quello che succederà l'anno prossimo, ma su quello che permetteremo accada tra venti o trent'anni. Mi sembra giusto che l'industria culturale, con il dialogo, con l'ascolto eccetera, ci dia una mano a far sì che gli euro che vengono spesi attraverso questo strumento siano un po’ più pesanti degli euro normali. Senz'altro, quello che possiamo fare è chiedere il coinvolgimento di diversi soggetti. Ad esempio, alle fondazioni lirico-sinfoniche che, mi dicono, hanno un tasso di occupazione dei posti di un certo tipo chiederei di cedere non dico la prima, non dico la seconda e neanche la terza, ma la quarta rappresentazione. Dato che statisticamente alla quarta vengono in pochi, sarebbe bene che cedessero qualche centinaio di posti per qualcuno che ne possa usufruire per vedere un'opera o quant'altro.
  L'ultimo aspetto – e questo per me è ancora più importante – riguarda le aree di disagio sociale, ovvero gli strumenti che possiamo mettere in campo per i giovani a rischio. Stiamo parlando di carceri minorili, di carceri in senso ampio dove troviamo anche i diciannovenni che hanno commesso un certo tipo di reati – sono quelli che mi interessano di più – e stiamo parlando di case famiglia. Ci sono ragazzi di alcune zone d'Italia che hanno scritto in fronte che genere di vita faranno. Bene, noi dobbiamo usare la cultura per dar loro una possibilità: anche a uno su cento o due su cento, sarebbe già qualcosa. Stiamo parlando di poco e di numeri molto limitati, ma si tratta di situazioni molto concrete per le quali abbiamo l'opportunità di usare la cultura in modo intelligente e strategico, togliendo o dando anche semplicemente un'opportunità in più a gente che in questo momento non ne ha. Ci sono esperienze anche notevoli e molto interessanti di attività culturale all'interno del sistema carcerario. In questo caso, stiamo parlando di qualcosa di più mirato, che, magari, può andare oltre i confini del sistema carcerario, come situazioni di domiciliari, di comunità o altro. È un'area in cui, secondo me, dobbiamo mettere poche risorse perché veramente parliamo di una dimensione limitata. Ma dobbiamo agire in maniera molto precisa, facendo una sorta di irrigazione a goccia: se ci riusciamo, togliamo da un percorso delinquenziale e criminale o anche semplicemente di alienazione sociale una serie di giovani, che un domani non avrebbero altra alternativa che delinquere. Questa penso sia una responsabilità di cui dobbiamo farci carico tutti.
  Rimane il quarto d'ora accademico, quindi vi ringrazio e vi auguro buon lavoro. Grazie ancora.

  PRESIDENTE. Ringrazio ancora il Ministro e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.45.