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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVIII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 7 agosto 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gallo Luigi , Presidente ... 3 

Seguito dell'audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all'editoria, Vito Claudio Crimi, sulle linee programmatiche del Governo in materia di editoria (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati) :
Gallo Luigi , Presidente ... 3 
Mollicone Federico (FDI)  ... 3 
Lattanzio Paolo (M5S)  ... 4 
Casciello Luigi (FI)  ... 4 
Piccoli Nardelli Flavia (PD)  ... 6 
Toccafondi Gabriele (Misto-CP-A-PS-A)  ... 6 
Ascani Anna (PD)  ... 7 
Bella Marco (M5S)  ... 8 
Palmieri Antonio (FI)  ... 8 
Mollicone Federico (FDI)  ... 8 
Gallo Luigi , Presidente ... 8 
Mollicone Federico (FDI)  ... 8 
Gallo Luigi , Presidente ... 9 
Crimi Vito Claudio , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all'editoria ... 9 
Gallo Luigi , Presidente ... 15 
Mollicone Federico (FDI)  ... 15 
Gallo Luigi , Presidente ... 15 
Crimi Vito Claudio , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all'editoria ... 15 
Gallo Luigi , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUIGI GALLO

  La seduta comincia alle 8.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso il resoconto stenografico, anche attraverso la trasmissione sulla web-tv della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all'editoria, Vito Claudio Crimi, sulle linee programmatiche del Governo in materia di editoria.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Vito Claudio Crimi, sulle linee programmatiche del Governo in materia di editoria. Saluto il sottosegretario, ringraziandolo per essersi reso disponibile a venire così di buon ora per darci modo di concludere l'audizione prima della sospensione dei lavori parlamentari.
  Ricordo che l'audizione è iniziata il 26 luglio, quando il sottosegretario Crimi ha svolto la sua relazione. Passiamo, ora, al dibattito. Invito tutti a contenere gli interventi in tre minuti, in modo che ogni gruppo possa intervenire.

  FEDERICO MOLLICONE. Grazie, sottosegretario Crimi, per la disponibilità. Innanzitutto cominciamo dai fondi per l'editoria: lei ha prospettato un piano di radicale ripensamento dei fondi per l'editoria e, in particolare, dei criteri, lavorando più su chi legge che non finanziando chi edita. In merito a questo, vorremmo capire con quali criteri e poi, in particolare, vorremmo conoscere il destino dei quotidiani di partito, che comunque sono editoria sensibile perché, a differenza degli altri, rappresentano in maniera esplicita linee editoriali rappresentate in Parlamento.
  L'altra domanda sull'editoria è: sempre rispetto a questo scenario, non si rischia di creare una crisi del mercato pubblicitario, che è comunque un indotto economico?
  Poi, passerei a un altro argomento. Per quanto riguarda il diritto d'autore, sia lei che il Ministro Bonisoli avete annunciato una riforma e comunque un intervento pressante per rispettare la «direttiva Barnier», che appunto tutela il diritto d'autore e lo liberalizza. Ora, se questo è ovviamente condivisibile, ci chiediamo però se, per il mercato italiano, rispetto a un colosso come la SIAE, che certamente deve essere riformato nelle prassi e avere un atteggiamento diverso anche rispetto ai giovani autori, l'alternativa sia «Soundreef», viste anche le polemiche che sono uscite sui giornali. Rispetto a una probabile esterovestizione, a contratti non esattamente trasparenti e ad anticipi che sono vietati dalla direttiva Barnier, ci chiediamo quale sia l'intendimento del Governo, oltre a rassicurare «Soundreef» e a dire che verrà liberalizzato il mercato.
  L'altra domanda riguarda Spotify e il tema della tutela degli autori in generale, anche se a noi interessano gli autori italiani. Il colosso svedese ha cause milionarie, addirittura miliardarie a livello internazionale, perché mette on line pezzi e tracce di autori e di produzioni senza autorizzazione e senza riconoscere i diritti. Gli autori italiani si lamentano che, quando i diritti vengono riconosciuti, sono talmente bassi che rasentano lo sfruttamento della Pag. 4proprietà intellettuale. Rispetto a quest'aspetto c'è uno scenario inquietante: Spotify avrebbe acquistato una startup che si occupa del blockchain e lo utilizza come prassi per la tutela e la verifica delle tracce. Ora, se questo da un lato può essere una garanzia di certificazione, dall'altro rischia di diventare una rete proprietaria, quindi l'esatto contrario dello spirito di una piattaforma di condivisione, com'è appunto Spotify.
  C'è, quindi, questo doppio aspetto: da un lato, la tutela degli autori, dei quali, in particolare, a noi interessano quelli italiani, e, dall'altro, lo scenario del blockchain, quindi di una grande piattaforma mondiale, che, però, diventa esclusiva e proprietaria.

  PAOLO LATTANZIO. Buongiorno, sottosegretario. Nel suo intervento nel corso dell'audizione precedente, ci ha parlato di un sistema di supporto e incentivo a quello che, se vogliamo, è l'ultimo anello della catena di fruizione dei mezzi di comunicazione: i lettori e coloro che accedono all'informazione. Mi piacerebbe sapere se ha già in mente quali tipi di supporto è possibile dare affinché cresca il numero di lettori e si diversifichi, senza convergere su pochi prodotti, salvaguardando, al tempo stesso, l'aspetto del pluralismo e muovendo fra chi produce informazione e chi ne beneficia, utilizzandola e (soprattutto) pagandola.
  C'è un secondo punto che mi sta particolarmente a cuore. Lei ci ha detto di voler affrontare anche i finanziamenti indiretti all'editoria. Mi piacerebbe che venisse fatto un piccolo focus su questo tema perché credo che sia uno degli aspetti discriminanti e caratterizzanti l'intervento che possiamo realizzare in questa legislatura. Grazie.

  LUIGI CASCIELLO. Buongiorno, presidente. Buongiorno a tutti. Buongiorno, sottosegretario. Ho letto attentamente la sua relazione e devo dire che sono estremamente preoccupato, per cui cercherò di focalizzare il mio intervento soprattutto sull'aspetto dell'editoria e dei giornali. La fotografia dell'esistente è abbastanza semplice. In Italia, l'offerta dell'informazione si articola su tre direttrici: i grandi gruppi editoriali con interessi nell'industria e nella finanza, che editano le testate più grandi; il mondo dell'informazione non profit particolarmente radicato a livello locale, al quale lei faceva riferimento in gran parte e che è organizzato sotto forma di cooperative giornalistiche; le piccole iniziative editoriali, quasi sempre solo digitali. Come sempre, la crisi che investe i settori caratterizzati da economie di scala, di cui un esempio tipico è quello dell'informazione, porta a concentrazioni e chiusure. È quanto accaduto in Italia, dove negli ultimi anni hanno chiuso centinaia di giornali. Di tale chiusura non si ha grande conoscenza in ambito nazionale perché si tratta di esperienze provinciali o, al massimo, regionali o di processi di fusioni o acquisizioni: dall'accordo tra Mediaset e Sky alla fusione della società editrice de La Stampa, La Repubblica, Il Secolo XIX, cosa che ha portato al ridimensionamento, soprattutto, di organici.
  La riduzione del sostegno pubblico all'editoria nel corso degli anni non ha avuto pari in nessun altro settore dell'economia del nostro Paese e questo, devo dire, contrasta un po’ con i dati che forniva lei sul grande intervento dello Stato nel settore dell'editoria. Infatti, nel corso degli anni, numerose testate hanno chiuso e sono andate perse decine di migliaia di posti di lavoro (giornalisti, poligrafici, amministrativi). Questo è il primo dato di partenza. Il secondo elemento di valutazione è che, comunque, oggi sopravvivono nel Paese ancora centinaia di piccoli giornali editi da cooperative giornalistiche e soggetti non profit che consentono comunque di avere un'offerta eterogenea di contenuti. Questi piccoli giornali hanno un'altissima densità di occupati – dicevo prima dei giornalisti poligrafici e tecnici – e sono migliaia. Organismi di categoria hanno calcolato i dipendenti diretti e quelli dell'indotto, come edicole, distribuzione, tipografie, collaboratori, agenzie di service eccetera. Tra le altre cose, credo che un'attenzione vada riservata proprio al settore della distribuzione, dove c'è un nuovo processo di monopolizzazione Pag. 5 e di concentrazione, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. Faccio riferimento alla Campania, ma anche alla Puglia. Sono in gioco oltre 10.000 posti di lavoro.
  Come sa, le piccole aziende editrici non possono affrontare le insidie del mercato perché il mercato dell'informazione e, in particolare, della pubblicità, respinge i soggetti di dimensioni minori. Lo stesso Stato con le sue aziende partecipate esclude tutte queste iniziative editoriali, nonostante – faccio riferimento alla pubblicazione dei bandi – abbiano milioni di lettori. La sopravvivenza di questi giornali dipende, quindi, dal sostegno pubblico, ossia dall'intervento pubblico che riequilibra il deficit di mercato. Del resto, questo è vero per tutto il settore della cultura, dell'arte e dello sport. Ricorderà la polemica che abbiamo affrontato sui fondi del FUS. Questo vuol dire che ci sono fondi per le attività: questo è vero in tutto il mondo, non solo in Italia. Tant'è vero che tutti gli Stati occidentali hanno forme di finanziamento pubblico per la cultura e per l'editoria.
  La situazione delle piccole imprese editrici è di estrema fragilità; esse hanno bisogno di certezze, ossia quelle che una legge dello Stato trasforma in diritti. La mia preoccupazione è aumentata quando nel primo provvedimento del «Governo del cambiamento», il cosiddetto «decreto dignità», inizialmente era previsto un taglio di 35 milioni del fondo destinato a garantire il pluralismo. Si renderà conto, sottosegretario, che il solo annuncio di un simile provvedimento ha reso impossibile, seppure per un periodo limitato, l'accesso al credito per molte di queste piccole realtà editoriali. Un accesso al credito è già di per sé difficile, ma così si rende ancora più arduo ottenere dilazioni dai fornitori, come tipografie e cartiere, oltre a impedire ogni programmazione, in assenza di un quadro prospettico. Vorrei ricordare, perché questo è il passaggio che ulteriormente mi preoccupa, che, per fare i giornali servono – lo ricordo a tutti i colleghi – i giornalisti. Lei ha parlato della prospettiva e dell'obiettivo del Governo del cambiamento e, in particolare, del suo movimento di appartenenza, il Movimento 5 Stelle, e ha parlato dell'informazione condivisa. Sottosegretario, l'informazione a tutela dei cittadini, che stanno a cuore a lei come a noi, dipende dalla credibilità dell'informazione che, a sua volta è la credibilità delle fonti, che garantiscono i giornalisti e non l'informazione condivisa. Come le dicevo, per fare i giornali, occorrono i giornalisti e, per ripensare i giornali, servono anche giornalisti giovani, qualificati e formati. Il decreto-legge chiamato «dignità», che oramai è stato approvato, penalizza i contratti a tempo determinato. Mi spiega come si fa ad assumere in un quadro di assoluta incertezza?
  Parlando di contributi, lei ha fatto riferimento, in particolare, al 30 per cento solamente al Foglio e ad altri due quotidiani nazionali. Devo dire che non è sempre stato così né è sempre così; però la garanzia del pluralismo viene data da tutte le voci, e nella certezza. Lo dico perché il problema non è come far chiudere questo o quel giornale: Il Foglio o Libero. Ogni giornale che apre è un motivo di serenità per una democrazia e ogni giornale che chiude è ragione di grande preoccupazione. Probabilmente non lo è per voi, ma per noi lo è, a prescindere dalla collocazione politica. Per quanto mi riguarda, se dovesse chiudere il Manifesto, sarebbe un momento di grande povertà culturale per questo Paese e sicuramente né la mia esperienza professionale di oltre 35 anni né quella politica sono assimilabili alla linea politica del Manifesto. Qui, però, non si parla di questo o di quel giornale, ma di oltre 100 testate che, a oggi, garantiscono l'informazione eterogenea e il lavoro a migliaia di persone. Concludo con brevi domande.
  Lei e il Governo che rappresenta potete garantire che non ci saranno tagli al Fondo per il pluralismo? Sottosegretario, quante redazioni ha visitato in questo periodo? Ha avuto diversi incontri, però ha incontrato le associazioni, la FIEG e i grandi vertici. Ha parlato con chi lavora nei piccoli giornali? Sa che tipo di vita conducono quelle persone? Conosce le loro problematiche? Ha approfondito il tema dei grandi spender pubblicitari, tra cui lo Stato e le sue partecipate, Pag. 6 e le modalità di distribuzione delle risorse? Lei intende il pluralismo come un valore democratico o come un indicatore di mercato? Queste sono due dimensioni diverse, sicuramente entrambe legittime; però a noi farebbe piacere conoscere la sua visione. Nel fondo del pluralismo esiste un contributo di solidarietà a carico dei soggetti che raccolgono la pubblicità e che ha come obiettivo quello di riequilibrare le risorse nel settore. È stata fatta una valutazione delle risorse che dovrebbero essere ridistribuite nel settore? Ci dice quali sono gli importi stimati? Nel fondo del pluralismo c'è il sostegno all'emittenza locale, che, come sa, è palestra di giornalismo ed è, da anni, in una condizione ancora peggiore dei piccoli giornali. Il settore di competenza è del Ministero dello sviluppo economico, però il fondo è unico. Ridurre il fondo significa meno giornali e meno televisioni locali. È stato aperto un tavolo di concertazione e di confronto anche tra i diversi settori?
  Mi fermo qua e chiedo scusa se ho rubato un po’ di tempo in più, ma ritenevo che fosse necessario.

  FLAVIA PICCOLI NARDELLI. Grazie, presidente. Sottosegretario, siamo passati dal diritto d'autore al pluralismo, nel più ampio senso del suo valore. Io aggiungo un altro pezzetto: mi preme sottolineare l'importanza delle agenzie di stampa nazionali, che, come lei sa, lo scorso Governo ha deciso di organizzare attraverso una gara europea, che sta funzionando, con un provvedimento che ha garantito finora maggiore trasparenza e maggiore pluralismo rispetto al passato.
  Quello che mi pare molto importante è vedere se si riesce a intervenire adesso anche sulle piccole agenzie di stampa, che non reggono il generalismo richiesto dal bando nazionale, in parte per la dimensione che hanno e, in alcuni casi, anche per una scelta di specializzazione o di autorialità specifica, perché queste agenzie sono interessate a esperienze giovani e indipendenti, spesso legate al mondo dell’online e del social e hanno un pubblico fidelizzato e spesso molto particolare.
  Credo che mettere mano anche a quest'aspetto possa essere particolarmente significativo anche per un secondo motivo: hanno ripreso questa gara europea anche le realtà regionali e molti enti locali, com'è successo a Roma. In questo caso, le disparità fra grandi e piccole agenzie di stampa diventano particolarmente significative e difficili da superare e da affrontare, perché spesso e volentieri si inserisce un elemento, quello del numero dei giornalisti che, come lei può immaginare, falsa completamente una gara, che diventa difficile da portare avanti. Quindi le chiedo di occuparsi, se le è possibile, anche di questi aspetti legati alle agenzie di stampa. Grazie.

  GABRIELE TOCCAFONDI. Grazie, sottosegretario. Farò alcune domande dirette senza preamboli, potendo avere risposte nell'immediato invece che a settembre.
  Sui contributi all'editoria, un po’ tutti abbiamo sottolineato un passaggio importante. Parlo dei contributi diretti, ma anche di quelli indiretti, cioè delle agevolazioni. Siete sempre stati contrari, senza ombra di dubbio, e lei lo ha ribadito anche nel suo intervento, dal quale mi sembra di poter capire che volete «salvare» i contributi all'editoria locale, mentre sui cinque grandi giornali nazionali avete – e uso un eufemismo – molti dubbi. Ha parlato di circa 60 milioni dei quali arriverebbe direttamente come contributi all'editoria ai cinque giornali nazionali il 30 per cento, quindi 20 milioni di euro. La domanda è: verranno eliminati e quando? E la domanda collegata è: queste risorse, cioè 20 milioni di euro, perché di questo si tratterebbe, come verrebbero spostate – cito testualmente le sue parole – sui contributi alla domanda? Aiutare la domanda è lodevole in teoria, ma con 20 milioni che cosa volete realmente fare? Lo chiedo perché questo è l'aspetto che mi e ci interessa. In più, ha parlato di aiutare l'informazione di qualità. Lodevole! Chi è contro l'informazione di qualità? Però, il criterio di qualità è, come lei anche ha ricordato, assolutamente soggettivo, quindi che cosa intende e che cosa intendete?
  Lei qui ha parlato della filiera di responsabilità: un'informazione di qualità è Pag. 7un'informazione che ha una catena di responsabilità. Questo è giustissimo, però mi viene da dire che tutti i soggetti che attualmente ricevono contributi diretti o indiretti sono di qualità perché hanno una catena di responsabilità, quindi penso che manchi un passaggio in questo senso.
  Sul tema del diritto d'autore – l'hanno già richiesto molti colleghi ai quali mi aggiungo – ha parlato di punto di equilibrio tra libertà della rete ed esigenze di tutela dei diritti degli autori. Mi verrebbe da dire: quindi? Le chiedo se si può esplicitare un'idea sul tema della tutela dei diritti d'autore perché che si debba trovare un punto d'equilibrio è ovvio, ma siamo arrivati a un punto tale in cui bisogna anche iniziare a svolgere il compito, quindi a dire come si intende arrivare alla tutela reale del diritto d'autore.
  Infine, sull'ordine dei giornalisti lei ha ricordato che anche politicamente vi siete più volte esposti sulla sua effettiva utilità; in effetti, alcuni esponenti del vostro movimento hanno proprio teorizzato l'eliminazione dell'ordine dei giornalisti. La domanda è semplice: che farete? Dire, come ha fatto nella sua audizione, che prima bisogna attendere gli effetti dell'autoriforma e poi decidere, mi sembra un po’ banale rispetto all'idea molto chiara e netta che manifestavate proprio sul tema dell'ordine dei giornalisti. Grazie.

  ANNA ASCANI. Grazie, presidente. Anch'io salto i preamboli e vado direttamente alle domande. Alcune cose, in realtà, sono state già chieste dai miei colleghi, quindi sono riproposizioni delle stesse domande.
  In particolare a me piacerebbe capire, avendo ascoltato il sottosegretario, qual è l'effettiva intenzione di riforma della SIAE e come si dovrebbe procedere alla liberalizzazione del mercato, tenendo ferma, però, l'idea che bisogna semplificare, cioè sburocratizzare e impedire che poi effettivamente la riscossione del diritto d'autore si parcellizzi in tante società diverse, che, peraltro, non hanno quella capillarità territoriale che consente effettivamente di provvedere alla riscossione del dovuto. Chiedo, quindi, se intenda il sottosegretario istituire una nuova authority e se intenda istituire una nuova agenzia e cambiare la natura della SIAE, facendola diventare un'agenzia per poi, invece, a livello più alto, stabilire una competizione vera e propria. Le chiedo come questo si possa conciliare con l'idea del pluralismo a tutti i livelli. Insomma, mi piacerebbe capire un po’ meglio che cosa intende questo Governo, quando parla di superamento del monopolio, perché, come sappiamo benissimo, ormai il monopolio di diritto è stato superato. Ora, se si intende provvedere al superamento del monopolio di fatto, bisogna, però, capire come si garantisce al tempo stesso la tutela del diritto d'autore e, soprattutto per i piccoli, anche una semplificazione nella gestione del rapporto con il diritto d'autore e con la riscossione. Lo chiedo perché effettivamente non possiamo neanche mettere in difficoltà chi organizza piccoli e grandi eventi.
  Del secondo tema ha già parlato adesso il mio collega Toccafondi. Le ho sentito dire che l'intenzione di questo Governo è tutelare l'informazione di qualità e – ovviamente non possiamo che essere d'accordo – ne ha parlato anche in collegamento al grande tema di quelle che ormai vengono chiamate «fake news», che potremmo chiamare semplicemente «bufale». Vorrei capire, tenendo fermo che naturalmente non si può e non si deve mettere nessun bavaglio, qual è l'intenzione pratica del Governo in questo; che cosa significa tutelare l'informazione di qualità e soprattutto come lo si fa, tenuto conto che è molto complicato, al netto delle grandi testate, invece avere un controllo capillare. Soprattutto, vorrei capire, se quel controllo diventa capillare, come non si possa parlare di bavaglio vero e proprio. Mi interessa molto la dichiarazione d'intenti, naturalmente sono d'accordo, ma vorrei capire come.
  Infine, sul tema dell'ordine dei giornalisti noi avevamo iniziato un processo di riforma, come lei sa, sottosegretario. In merito, mi piacerebbe capire se la direzione è quella del superamento dell'ordine, come ci si arriva, in che tempi e con quali step. Mi piacerebbe capire se è previsto – ed è già pronto, magari – un testo del Governo che va in quella direzione e, nel Pag. 8caso, come poi si intenda tutelare la professione e garantire la professionalità che poi fa del mestiere di giornalista anche quella garanzia che è fondamentale per la democrazia dello Stato italiano. Grazie.

  MARCO BELLA. Presidente, cari colleghi e onorevole sottosegretario, vorrei sollevare il tema dell'editoria scientifica. In generale, l'editoria scientifica rappresenta uno strumento fondamentale per chi opera nel campo della ricerca perché lì ci sono informazioni chiave fondamentali. Ad esempio, quando facevo il chimico, a volte, piuttosto che ripetere una procedura già fatta da altri, avevo bisogno di cercarla in letteratura, perché ciò poteva aiutarmi a risparmiare molto tempo.
  Allora, l'editoria scientifica ovviamente prende un budget enorme adesso. Si tratta di un budget veramente significativo perché parliamo, per esempio, per il mio Dipartimento, di circa la metà dei fondi destinati all'acquisto delle riviste che sono strumenti irrinunciabili.
  Ciò che osserviamo ogni anno è che, tra le riviste scientifiche, ne appaiono di nuove. È bellissima questa cosa, però le riviste scientifiche costano sempre di più. Si tratta di un problema non solo italiano. Pensiamo alla questione di Elsevier, il maggiore editore scientifico del mondo, le cui riviste hanno un costo molto alto, dell'ordine di migliaia di euro. La sua politica è quella di mettere insieme tante riviste, comprando pacchetti molto grandi. Una criticità riscontrata non solo dai ricercatori del nostro Paese. Per esempio, in Germania, gli atenei hanno ritenuto insostenibile comprare tutte le riviste di Elsevier e la sottoscrizione annuale non è stata rinnovata. Praticamente, per i primi mesi del 2018, nessun ricercatore tedesco ha potuto accedere ai testi di Elsevier perché è stata portata avanti un'iniziativa volta a rompere quello che possiamo considerare un cartello. Alla luce anche di questa esperienza tedesca, può il sottosegretario all'editoria, in qualche modo, cercare di aiutare i nostri atenei nella negoziazione e cercare di rendere questo cartello meno oneroso? Grazie.

  ANTONIO PALMIERI. Grazie e buongiorno a tutti. Sottosegretario, un punto di metodo e un punto di merito. Il punto di metodo consente di fare sintesi degli interventi che si sono ascoltati questa mattina: essere al Governo è cosa ben diversa dall'essere all'opposizione e, soprattutto, nel momento in cui si enunciano i titoli del tema, la parte rilevante diventa lo svolgimento. Su questo abbiamo tutti posto una serie di domande molto puntuali e precise, per le quali ci attendiamo le risposte che lei potrà dare oggi, 7 agosto. Poi, per le altre vedremo in corso d'opera, ovviamente. Ritengo che questo sia un punto di metodo importante per un lavoro (almeno come tentativo) fatto come si deve.
  L'altra questione, invece, è apparentemente piccola, ma sta nel metodo e anche nel merito. L'altra volta ha fatto cenno al dato statistico secondo il quale il 70 per cento dei contributi vanno a poche testate e tutto il resto alle altre. Anche qui, vorrei invitare alla cautela: siccome in quelle testate ce ne sono alcune che sono ferocemente all'opposizione del vostro Governo, allora l'attenzione dovrà essere quella di non lasciar apparire, involontariamente ovviamente, le iniziative che intraprenderete come azioni censorie del Governo nei confronti di chi si oppone, in nome della libertà di espressione. Lo dico veramente con una sottolineatura di prudenza, perché il paese è piccolo e la gente mormora e soprattutto mormorano coloro che possiedono le testate. Grazie e buona giornata.

  FEDERICO MOLLICONE. Potremmo fare un'altra domanda?

  PRESIDENTE. Se non ha esaurito le sue domande, ha a disposizione un altro po’ di spazio.

  FEDERICO MOLLICONE. Mi interessava approfondire la questione sull'ordine dei giornalisti che è stata affrontata dalla collega Ascani e da altri colleghi. Ora, se questa riforma complessiva, come diceva anche Palmieri, alla fine va a ridurre gli organi di partito e a superare, per usare un eufemismo, l'ordine, diventa una riforma Pag. 9abbastanza preoccupante sia per la libertà di stampa che per la libertà politica. Quindi vorrei capire quali sono i confini esatti e come verrà garantito il pluralismo.

  PRESIDENTE. Essendo esaurite le richieste di intervento, do la parola al sottosegretario Crimi per la replica.

  VITO CLAUDIO CRIMI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all'editoria. Grazie. Permettetemi di partire dall'ultimo intervento dell'onorevole Palmieri in merito al metodo. Preciso che a oggi, 7 agosto, ho indicato obiettivi generici in alcuni casi e, in altri, più precisi ed è chiaro che molti di questi obiettivi poi vanno svolti e attuati. È mia e nostra intenzione creare il massimo coinvolgimento delle Commissioni nei passaggi che saranno necessari. Lo dico già come linea programmatica generale di metodo; quindi non aspettatevi l'imposizione di ogni singola norma o modifica o riforma o intervento, ma aspettatevi il massimo coinvolgimento.
  Ognuna delle cose che man mano racconterò ed enuncerò cercando di rispondere alle vostre domande troverà sempre la massima disponibilità e il desiderio di questo Governo di coinvolgere le Commissioni che, di volta in volta, saranno competenti nei vari settori. Ovviamente la vostra Commissione è una delle più coinvolte complessivamente.
  Per quanto riguarda i fondi per il pluralismo e per l'editoria, diretti o indiretti in generale, cercherò di dare risposte che ricomprendano un po’ tutte le domande fatte in tal senso.
  La situazione è che, conti alla mano, escludendo il non gettito per l'IVA, al settore industria dell'editoria sono stati versati dal 2003 a oggi, secondo i dati pubblici presi dal sito del Dipartimento, circa 3 miliardi e mezzo di euro. Cerco di specificare: questi 3 miliardi e mezzo di euro sono andati esclusivamente nella direzione degli editori, con finanziamenti diretti o indiretti e non verso il sistema editoriale nel suo complesso, una filiera che è stata citata.
  Vi faccio un esempio molto pratico: se un editore che fruisce di fondi pubblici fa utile – il che è giustissimo perché è obiettivo dell'editore fare utile – c'è qualcosa che stride in questo senso. Non parlo di ora o del futuro, ma dal 2003 a oggi; quindi, dal 2003 a oggi 3 miliardi e mezzo di euro sono andati nel 90 per cento dei casi nelle casse degli editori. Questa cosa non funziona, non ha funzionato e non può continuare a funzionare. Anche quando ci sono stati i contributi per l'accompagnamento alla pensione, per esempio per le crisi industriali, a pagarne le conseguenze sono stati molto spesso giornalisti o altri attori del settore; ma chi ha utilizzato appieno quelle risorse stanziate per affrontare le proprie crisi industriali sono stati gli editori. Qual è la responsabilità che oggi imputo agli editori? Quella di non aver saputo rispondere ad un mondo che cambiava e non aver saputo cogliere la trasformazione per cercare di adeguarsi a quello che stava succedendo.
  Oggi, c'è sicuramente una crisi dell'informazione di qualità, ossia dell'informazione di cui parlavamo prima e che avviene attraverso i giornalisti. L'esempio più classico di questa perdita dell'informazione di qualità è il taglio dei fondi al pluralismo, che il deputato Casciello poco fa citava. Il taglio del fondo per il pluralismo è una notizia data da un grande giornale nazionale, che non trova riscontro in nessun atto di legge; quindi, di fatto, se la sua diffusione ha creato problemi al settore industriale dell'editoria nel frangente di quelle ore, prima che uscisse il decreto nella sua versione definitiva, la responsabilità va imputata a chi ha dato una notizia priva di fondamento. Quando l'ho letta, mi sono attivato immediatamente e ho risposto che non c'era alcun taglio al fondo per il pluralismo. Lo dico perché sia chiaro. A volte, la responsabilità non va cercata solo nel Governo, ma anche in chi le informazioni le divulga.
  Sempre sui fondi all'editoria: in che termini possono essere modificati? Abbiamo fondi diretti e indiretti. Quello diretti sono stati ridotti nel tempo e, così come i partiti oggi non fruiscono di alcun contributo pubblico, idem i giornali di partito Pag. 10 continueranno a non usufruirne. Questo mi sembra abbastanza pacifico. Per quanto riguarda i fondi diretti, oggi la maggior parte di essi riguarda piccoli importi che vanno ai quotidiani locali e alle realtà imprenditoriali di tipo cooperativo, che danno lavoro a tantissimi giornalisti e che sono una palestra, molto spesso, per i giornalisti di prima nomina o per i giovani giornalisti che stanno facendo la loro esperienza. Da questi poi attingono grandi giornali per trovare talenti. Sicuramente non va abbandonato il sostegno a questo tipo di editoria. Possiamo parlare adesso delle forme e delle modalità. Sicuramente in qualche modo grida vendetta – e lo dico in maniera molto forte – il fatto che solo cinque giornali nazionali si trovino in questa categoria, tra circa 78 o 80 prodotti editoriali a livello nazionale, e che questi drenino il 30 per cento delle risorse. Lo dico perché si crea una distorsione del mercato nazionale, in quanto si tratta in alcuni casi, di cooperative che, in realtà, nascondono artifici per potere accedere a quelle categorie di contributi. Anche in questo caso va fatta una verifica approfondita sulle modalità che vengono utilizzate, in particolare da alcuni giornali, per potere poi qualificarsi come cooperative di giornalisti. Questi creano, a mio avviso, una concorrenza rispetto ad altri quotidiani nazionali che non fruiscono di contributi diretti e drenano una quantità di risorse che potrebbero essere, invece, destinate a quella stampa locale di cui in tanti avete parlato e che avete lodato per il ruolo di vicinanza alla comunità o di raccolta di notizie di prima mano, che poi vengono utilizzate anche dalla grande stampa nazionale per essere rilanciate, cioè giornali che elevano l'informazione dei fatti locali, per trasformarla in notizia a tutti gli effetti. A parte i fondi diretti, quindi, va verificato se ci sono meccanismi e pieghe nei criteri di assegnazione che permettono a qualcuno di aggirare l'idea che il finanziamento vada esclusivamente alle cooperative di giornalisti. In tal caso vanno presi i provvedimenti legislativi necessari.
  In materia di contributi indiretti, parliamo di rimborsi telefonici: il 50 per cento delle spese telefoniche sono rimborsate. Questo è un contributo che c'è da sempre che, se quantificato negli anni, presenta cifre enormi. Era comprensibile in un'epoca in cui i giornali dovevano lavorare appieno in una comunicazione istantanea e continua con telefoni, fax e altri sistemi, che erano costosi all'epoca. Oggi, nell'era di Internet e della digitalizzazione, tutto questo è superato e, forse, il concetto del rimborso telefonico è ormai obsoleto. Forse, se i fondi per i rimborsi telefonici – dico «forse» perché è quello che dono a voi come possibile ipotesi di lavoro, ma sarebbe molto bello se le iniziative venissero direttamente dalle Commissioni, anziché dal Governo – venissero destinati magari a contribuire alla domanda, per esempio alla richiesta di abbonamenti digitali: questa potrebbe essere, per esempio, una delle modalità utilizzabili. Non si tratta del fondo del finanziamento diretto, che incide, soprattutto, sulle testate locali, ma di un fondo che oggi viene distribuito per tutti i prodotti editoriali. E, quando dico «tutti», intendo tutti, dai giornali nazionali a quelli locali. Con quale criterio si può contribuire alla domanda? Potrebbe esserlo un incentivo per la riduzione del costo di uno o più abbonamenti digitali. È solo un'ipotesi per farvi capire come lo spettro possa essere ampio. In caso di più di un abbonamento – questo aiuta un po’ il pluralismo – ci potrebbe essere un ulteriore sconto oppure si potrebbe individuare un target preciso. Possiamo scegliere, ad esempio, i giovani quale target di destinazione di un contributo di questo tipo, aiutando, quindi, a far crescere la cultura del leggere l'informazione che non sia solo quella su Internet. Oppure possiamo individuare alcune testate cui destinare un intervento di questo tipo. Per esempio, potrebbero esserlo le stesse testate che oggi ricevono i contributi diretti e hanno già requisiti molto rigidi in termini – non mi ricordo chi lo citava – di giornalisti assunti e di qualità del tipo di contratto che viene garantito ai giornalisti, eccetera. Insomma, questo è il quadro: può essere condivisibile o meno, ma – lo ripeto – è questo il dibattito che dobbiamo affrontare insieme. Pag. 11
  Sempre in risposta ad alcune domande che mi sono state rivolte, aggiungo che tutto questo deve avvenire, come ribadito alla conclusione della mia audizione, nell'ottica di una certezza temporale; dobbiamo cercare – e sarà mio impegno farlo – di garantire quello che sarà fatto in un tempo tale da consentire al settore industriale di adeguarsi: quindi, non tagli o riforme dall'oggi al domani. Non vorrei seguire l'esempio del Governo precedente, per esempio, sulle agenzie di stampa, con direttive e altre norme che poi sono state impugnate, creando tutto il caos che oggi regna sulla loro assegnazione. Proprio ieri abbiamo firmato l'ultimo contratto dell'ultimo lotto ancora rimasto da assegnare con «Askanews», dopo tutte le vicende giudiziarie che ci sono state. Non vorremmo affrontare il tutto in maniera così improvvisa, ma assicurare certezze nei tempi e gradualità. Questo vuol dire che al più presto dobbiamo intervenire nei vari settori. Porto l'esempio preso del taglio del finanziamento ai partiti che è avvenuto nell'arco di tre anni, con un taglio iniziale del 30 per cento, poi del 50 per cento per arrivare a 0. Pertanto, se alcuni interventi comporteranno un taglio di fondi o uno spostamento di destinazioni, andranno effettuati in modo tale da consentire al settore di adeguarsi a quello che sta succedendo, accompagnando le eventuali crisi industriali che dovessero verificarsi. Questo è un impegno non derogabile né da questo né da altro Governo.
  Crisi del mercato pubblicitario. È stato varato il regolamento a luglio – pubblicato il 24 luglio in Gazzetta Ufficiale – per il credito d'imposta, per l'incremento di almeno l'1 per cento degli investimenti pubblicitari. Si tratta di un credito d'imposta rivolto alle aziende che investono in pubblicità o che hanno aumentato i loro investimenti in pubblicità, nella carta stampata o nelle emittenti televisive. Tra le emittenti televisive, sono destinatarie di questa misura esclusivamente quelle locali; questo per contribuire un po’ all'aumento della raccolta pubblicitaria delle emittenti locali. Per quanto riguarda i giornali è stata fatta una scelta dal precedente Governo, in parte contestata dalle opposizioni, di non fare distinzione tra testate locali o nazionali, tale da portare oggi a una possibile concentrazione delle richieste di accesso a questo credito d'imposta per gli investitori pubblicitari dei grossi giornali nazionali. Fortunatamente, nello scrivere il regolamento, il Dipartimento per l'informazione e l'editoria, insieme al MISE e al MEF, ha avuto l'accortezza di indicare tetti massimi per il credito d'imposta che ogni soggetto può ricevere nel caso in cui i fondi dovessero essere incapienti per coprire tutti; tetti che prevedono il 5 per cento massimo del fondo totale per quanto riguarda la stampa e il 2 per cento per quanto riguarda le emittenti locali. Adesso non ricordo esattamente i dati precisi, però posso dire che si prevede un tetto, per far sì che non ci sia un unico soggetto o solo alcuni soggetti e aziende che, con grossi investimenti pubblicitari, possano, di fatto, accentrare tutto il valore del credito d'imposta che è stato stanziato.
  Per quanto riguarda il mercato pubblicitario possono essere previsti interventi in termini di tetti pubblicitari. Oggi, già esistono alcuni limiti e ne possono essere inseriti altri, a maggior ragione – e qui mi collego a qualche intervento – per i grandi player quali aziende statali o comunque controllate e a partecipazione statale. Mi riferisco al deputato Casciello e al fatto che sulle aziende statali sicuramente un intervento andrà fatto. Quelle aziende, in quanto controllate dallo Stato, hanno una responsabilità in più nella distribuzione delle loro inserzioni pubblicitarie, nei limiti di quello che è il mercato chiaramente, in termini di trasparenza e di distribuzione delle loro risorse nell'ambito delle inserzioni pubblicitarie.
  Quanto all'ordine dei giornalisti ha senso ancora che esista? Ha svolto la funzione che dovrebbe avere? Oggi, anziché fare, come avrebbe fatto una qualunque altra forza di Governo che, dopo cinque anni che sostiene l'abolizione dell'ordine giornalisti, arriva e il giorno dopo fa il decreto per abolirla, ho avuto l'accortezza di incontrare immediatamente i nuovi vertici dell'ordine, eletti recentemente in virtù della riforma che ha cambiato esclusivamente la Pag. 12sua governance. Lo dico perché non è che abbia riformato, di fatto, tutto il sistema dell'accesso alla professione e tutti i meccanismi legati al giornalismo in generale o alla tutela dei giornalisti o alle sanzioni per chi viola il codice deontologico. Ho avuto questo incontro non solo con i vertici, ma anche con altri giornalisti, e la mia prima preoccupazione è stata quella di attendere questo processo di autoriforma generale che stanno cercando di mettere in atto nell'ambito dell'ordine. Si tratta di una proposta ad ampio raggio che non riguarda solo la governance, ma proprio il settore dei giornalisti, per capire come sarà l'accesso alla professione e come si vorrebbero che fosse. Gli interventi, che non ho ancora visto, sono in corso di discussione e, da come mi dicono, a ottobre dovrebbero essere proposti. A seguito di questo, faremo le nostre valutazioni per capire se effettivamente ancora ci siano i presupposti per sostenere l'abolizione dell'ordine dei giornalisti e, nel caso dovesse esserci questa necessità, sarò qui a proporlo. Tuttavia, non si può abolire l'ordine dei giornalisti dalla mattina alla sera. Ne sono più che consapevole e lo dico per rispondere anche al deputato Palmieri, che mi sollecitava sul fatto di essere al Governo anziché all'opposizione. In effetti, quando si decide di fare una scelta, poi la si governa; quindi, se si deciderà di abolire l'ordine, ovviamente andrà rivisto tutto il sistema perché oggi l'iscrizione all'ordine dei giornalisti comporta alcuni automatismi e domani potrebbe non essere più così; quindi andrebbe rivisto tutto il sistema, anche quello legato all'INPGI e alla Cassa dei giornalisti. Vanno riviste anche le nuove professioni, perché dobbiamo parlare dei giornalisti, ma anche di un nuovo modo di fare giornalismo e di fare informazione. Oggi c'è tutto l'insieme dei comunicatori o comunque dei social media manager. Si sta affacciando un nuovo modo di fare informazione, che non è solo l'informazione condivisa, ma diversa e con strumenti nuovi. La questione va affrontata per capire come devono essere gestite queste persone e come devono essere inquadrate per il riconoscimento delle loro professionalità.
  C'è poi il tema dei giornalisti nell'ambito delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici e dei loro contratti: è un tema ancora irrisolto sul quale ci sono parecchie questioni per le diverse applicazioni tra regione e regione. Quando si affronta l'ordine dei giornalisti, si deve affrontare nell'insieme la professione e stabilire come la si vuole immaginare per il futuro. È anche un tema complesso per la sua delicatezza e per la libertà che deve essere garantita al giornalista. Le nostre prime preoccupazioni saranno quelle di tutelare le figure dei giornalisti; pertanto, i nostri primi interventi legislativi, che, come potrete vedere saranno interventi legislativi parlamentari, saranno quelli della tutela dei giornalisti rispetto alla diffamazione temeraria o intimidatoria nel rispetto delle fonti. Ci sono già due disegni di legge presentati al Senato, che saranno messi in discussione e di cui io mi farò in qualche modo garante perché siano portati avanti. Questi sono alcuni elementi base per tutelare la libertà di informazione che non è solo la libertà dell'editore di fare un giornale, ma la libertà del giornalista di scrivere una notizia che oggi, molto spesso, è minata, non tanto dall'editore, ma a volte da una serie di leggi che non consentono un ampio margine di azione. Abbiamo visto tanti casi di intimidazione di fatto nei confronti di giornalisti. Il caso del giornalista bresciano, recentemente salito alle cronache, è un caso scuola in cui è avvenuta una vera e propria intimidazione nei suoi confronti, per alcune scelte che ha fatto. In alcuni casi arrivano da parte dei politici denunce per diffamazione presentate solamente a scopo intimidatorio. Partiamo dalla tutela della professione del giornalista – sono le cose certe che vi dico subito – e, di conseguenza, della maggiore libertà di informazione e della maggiore libertà di informare, quindi di un maggiore diritto a informarsi. Come vedete, sono interventi che agiscono su vari livelli.
  Per quanto riguarda la SIAE, il diritto d'autore, il copyright, dobbiamo distinguere due tipologie. Una è il reato: oggi esistono vere e proprie situazioni di illegalità. Penso, per esempio, a quando vengono diffusi in diretta prodotti televisivi che sono stati Pag. 13acquistati con diritti e che arrivano tramite Facebook, YouTube o altro. Mi riferisco a dirette, a eventi sportivi, spettacoli o altro che sono stati acquistati regolarmente con diritti da alcune piattaforme. Sapete tutti come funziona, anzi, penso che ormai sia cosa abbastanza nota: ci sono vere e proprie associazioni criminali che fanno questo tipo di mercato e che finanziano le proprie attività illecite e ci sono dei veri e propri business. Questi vanno perseguiti, quindi si tratta di una competenza del Ministero dell'interno più che mia. Incontrando i vari attori del settore, avevo già dato la garanzia che mi sarei attivato anche col Ministero dell'interno per capire quali iniziative possono essere portate avanti. In questo caso, parliamo del reato, cioè di una vera e propria violazione del diritto d'autore intesa come diffusione illecita di contenuti. Altra cosa è, invece, la diffusione di contenuti in rete che (molto spesso) avviene inconsapevolmente, nel senso che – e dobbiamo dirlo – non c'è una cultura del diritto d'autore; molto spesso si tratta dell'utente singolo, quindi non stiamo parlando del giornale o dell'emittente televisiva o di soggetti che hanno una loro responsabilità. L'utente singolo si trova a condividere contenuti, non rendendosi conto che sta in qualche modo diffondendo un prodotto che dietro ha un autore e qualcuno che vorrebbe essere tutelato in termini anche di remunerazione e di monetizzazione della sua attività autoriale o artistica, che sia o meno di informazione. In questo caso occorre diffondere sicuramente una cultura del diritto d'autore, cioè del diritto degli autori di un prodotto di avere il giusto riconoscimento di quanto dovuto. Questo non può essere realizzato – e per questo motivo ci siamo opposti – delegando alle piattaforme la decisione. Per la direttiva europea era negativa la legalizzazione del ruolo di giudice da parte delle piattaforme informatiche, ovvero trasferire alle piattaforme informatiche la responsabilità di ciò che gli utenti pubblicano sulle loro piattaforme. Di fronte a una responsabilità di questo tipo, nella quale abbiamo, da una parte, soggetti forti che tutelano il diritto d'autore di grandi soggetti, quali le grandi emittenti televisive o i grandi giornali, e il soggetto debole, ovvero l'utente che diffonde quei contenuti. È chiaro che la piattaforma privilegia chi può fare più male da un punto di vista di intervento giudiziario.
  Circa i sistemi automatici o i meccanismi di algoritmi che possano individuare questi elementi che sono in qualche modo da rimuovere, oggi è dimostrato che non sono infallibili e molto spesso eliminano contenuti che non dovrebbero essere eliminati. Porto un esempio di un collega che ha postato su un social network un video tratto da Rai 2 in cui si parlava dell'Isis. Ebbene, a causa della legge francese, in Francia il social network ha dovuto rimuovere solo per gli utenti francesi la visione di quel video, che, però, era un video di Rai 2. Tuttavia, siccome si parlava di Isis, nel dubbio, il social network l'ha rimosso. È così che questi meccanismi oggi fanno elevare un po’ le piattaforme a giudici. Questo è rischioso e, per tale motivo, quella direttiva va rivista. Qual è il percorso da seguire? Consentire alle piattaforme e ai soggetti che devono tutelare il diritto d'autore, che siano la SIAE o altri, come la FIEG, di creare protocolli d'intesa e sistemi di scambi monetari o di informazioni con il Governo e con lo Stato, i quali sorvegliano e vigilano affinché questi eventuali protocolli non vadano a penalizzare poi i piccoli soggetti e non diventino protocolli tra over the top che possono sopprimere la tutela dei piccoli. Un esempio è ravvisabile in un accordo tra Google e la FIEG, con uno scambio in cui Google mi pare abbia stanziato 15 milioni di euro all'anno per dare un contributo alla FIEG, per monetizzare l'utilizzo delle news all'interno della sua piattaforma. Non è la parte economica la questione importante, ma lo scambio di informazioni. Oggi, i social network (le piattaforme) conoscono i lettori dei giornali più di quanto conoscano gli editori: mentre l'editore non sa come si comporta il suo lettore quando legge un giornale, sicuramente le grandi piattaforme, quindi gli over the top, sanno come si comporta un lettore di giornale online. Quelle informazioni sono strategiche e preziosissime e hanno un valore Pag. 14 economico. Scambiare quelle informazioni – e, oggi, con il GDPR è possibile, su autorizzazione dell'utente – può essere un elemento di monetizzazione diversa da quella di tipo economico, ma strategicamente molto più efficace perché permette a quel prodotto editoriale di stare sul mercato e di essere più competitivo rispetto ad altri. Oggi, alcuni social network stanno sperimentando non in Europa, ma negli Stati Uniti, e a breve lo faranno anche in Italia, sistemi che consentono all'autore di chiedere eventualmente la monetizzazione anche dei contenuti caricati da altri: ovvero, nel momento in cui i contenuti vengono caricati da altri, può essere chiesto che su di essi venga veicolata la pubblicità ordinaria che c'è nei propri canali e quella monetizzazione avviene direttamente verso l'autore di quel prodotto.
  Oggi ci sono tecniche che possono essere messe in campo, ma nel momento in cui il legislatore cerca di scrivere quelle leggi con i tempi necessari, quelle leggi sono già obsolete. Volete un esempio? Avete presente il diritto di copia che viene applicato a ogni device? Quando venne scritto il testo della legge, si prevedevano fasce che oggi sono saltate perché la legge prevedeva la fascia massima di 32 gb di storage per dispositivo, mentre oggi quello è il minimo, anzi con capacità di 32 forse non ne esistono più. Insomma, bisogna fare attenzione quando legiferiamo ad alcuni fenomeni che cambiano mentre cerchiamo di disciplinarli. Anzi, non solo cambiano mentre li regolamentiamo, ma, molto spesso, proprio perché lo facciamo. Ricordate quando sono nati i blog? Immediatamente è partita una campagna sui blog per capire se fossero equiparabili a prodotti editoriali e dovessero avere un direttore responsabile. Ecco, mentre si cercava di fare questa regolamentazione, i blog sono implosi. Certo, ne sono rimasti alcuni, ma, di fatto, si è passati ai social network. Mentre si cerca di regolamentare le news nei social network, nascono sistemi di messaggistica istantanea che stanno soppiantando i social network; quindi, mentre noi parliamo degli over the top tra i social network o delle grandi piattaforme, nel frattempo ne sorgono alcune, come Telegram o WhatsApp, che stanno cambiando completamente pelle. Quindi, attenzione! Perché più cerchiamo di regolare questo sistema, più esso sfugge e trova altri modi per fare altro. Ormai anche la diffusione di informazioni è liquida e si sta ramificando sempre di più. La diffusione di informazioni consente ai cittadini di avere maggiore consapevolezza e molto spesso questo fa paura a chi governa. Invece, dovremmo avere meno paura dei cittadini informati proprio perché essi sono più consapevoli nelle loro scelte politiche.
  Per quanto riguarda la SIAE, sicuramente va liberalizzato il mercato nella sostanza, non solo nella forma, quindi non solo nel diritto. Per questo motivo, però, bisogna assolutamente tener conto di due aspetti, che avevo indicato nella mia relazione: la vigilanza, oggi esercitata dalla SIAE con capillarità sul territorio e le modalità con cui essa deve essere esercitata e i sistemi che permettono una raccolta semplificata, in particolare per chi ha a che fare con una molteplicità di autori e di soggetti che ne tutelano i diritti. I sistemi che possono essere utilizzati sono tanti: si può creare una hub oppure un'associazione delle stesse aziende che svolgono questo tipo di servizio. Tra i modelli che ci sono all'estero, alcuni possono anche essere importati in Italia. Sicuramente dobbiamo avere una grande attenzione nei confronti degli autori, che molto spesso sono dimenticati. Lo dico perché, quando parliamo di SIAE, parliamo di una società per autori ed editori. Al suo interno ci sono gli editori, che hanno un ruolo preponderante anche per le loro dimensioni e, per come è strutturata la stessa SIAE, in termini di partecipazione alla governance e ai meccanismi elettorali interni. Poi, ci sono gli autori che costituiscono un patrimonio e l'Italia è tra i Paesi con maggiori necessità di tutelare i propri autori; quindi bisogna ragionare su queste modalità nuove.
  Qualcuno mi ha chiesto se avevamo aperto dei tavoli. Siamo ad agosto e ho avuto solo il tempo di incontrare tutti i soggetti che lo hanno chiesto e altri che ho scelto di incontrare. È chiaro che, nei primi giorni di settembre, ho intenzione di aprire Pag. 15tavoli di confronto su due o tre ambiti, di cui uno è quello del giornalismo e l'altro è quello della SIAE e del diritto d'autore; ciò, ovviamente, con il MiBAC perché fondamentalmente questa è una competenza di quel dicastero. Anche la filiera dell'editoria nel suo complesso (distribuzione, edicolanti eccetera) va rivista. Questi sono sicuramente tre tavoli di confronto che dovranno essere aperti con tutti i soggetti interessati e spero che sia possibile farlo nella maniera più trasparente e pubblica possibile, con la partecipazione anche di rappresentanti politici dei gruppi. Cercherò quindi di individuare le modalità per consentire anche la vostra partecipazione ai tavoli di confronto, per dare la massima garanzia che non saranno prese decisioni in maniera unilaterale, ma con il coinvolgimento di tutte le forze politiche, a maggior ragione di quelle dell'opposizione, che possono dare un contributo sicuramente utile al dibattito.

  PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Crimi.

  FEDERICO MOLLICONE. Presidente, mi scusi. Vorrei solo un chiarimento. Non ho capito, dalle parole del sottosegretario, se il Governo italiano prenderà provvedimenti su Spotify, a tutela degli artisti italiani.

  PRESIDENTE. Onorevole Mollicone, ci sono anche altre domande cui non è stato completamente risposto. Stiamo chiudendo, magari informalmente il sottosegretario darà la sua risposta.

  VITO CLAUDIO CRIMI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all'editoria. Quella di Spotify è una questione aperta, dunque non so dire adesso che tipo di provvedimenti si potranno prendere nei confronti di un'azienda in quelle condizioni, come governance, sede e quant'altro. Sicuramente è un tema che non riguarda solo Spotify.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il sottosegretario Crimi per la disponibilità al confronto. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.