Sulla pubblicità dei lavori:
Orsini Andrea , Presidente ... 3
Audizione del Rappresentante Permanente d'Italia presso l'Unione europea, Ambasciatore Maurizio Massari, su questioni inerenti la politica estera dell'Unione europea e i rapporti tra gli Stati membri
(ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Orsini Andrea , Presidente ... 3
Massari Maurizio , Rappresentante Permanente d'Italia presso l'Unione europea ... 4
Orsini Andrea , Presidente ... 9
Ehm Yana Chiara (M5S) ... 10
Valentini Valentino (FI) ... 11
Quartapelle Procopio Lia (PD) ... 11
Lupi Maurizio (Misto-NcI-USEI) ... 12
Delmastro Delle Vedove Andrea (FDI) ... 13
Orsini Andrea , Presidente ... 13
Delmastro Delle Vedove Andrea (FDI) ... 13
Orsini Andrea , Presidente ... 13
Delmastro Delle Vedove Andrea (FDI) ... 13
Orsini Andrea , Presidente ... 13
Comencini Vito (LEGA) ... 13
Orsini Andrea , Presidente ... 14
Massari Maurizio , Rappresentante Permanente d'Italia presso l'Unione europea ... 14
Orsini Andrea , Presidente ... 18
Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA ORSINI
La seduta comincia alle 9.10.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, nonché la trasmissione sul canale della web-tv della Camera dei deputati.
Audizione del Rappresentante Permanente d'Italia presso l'Unione europea, Ambasciatore Maurizio Massari, su questioni inerenti la politica estera dell'Unione europea e i rapporti tra gli Stati membri.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Rappresentante Permanente d'Italia presso l'Unione europea, Ambasciatore Maurizio Massari, su questioni inerenti la politica estera dell'Unione europea e i rapporti tra gli Stati membri.
Saluto e ringrazio l'Ambasciatore Massari per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori.
L'audizione di oggi ci consentirà di delineare una panoramica il più possibile esaustiva dei principali temi che afferiscono alla politica estera e di sicurezza comune e ai rapporti fra gli Stati membri, anche sulla base delle priorità che il Governo ha indicato nella Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea che abbiamo esaminato nei giorni scorsi.
In questo quadro, particolare rilievo assumono i seguenti temi: l'area mediterranea, in considerazione della sua instabilità e delle gravi minacce che ne conseguono per la sicurezza dell'Unione, ponendo l'accento sul sostegno che la PESC dovrà fornire all'elaborazione di strategie orientate verso la lotta ai traffici e alle cause di emigrazione, in particolare nel Corno d'Africa, nel Sahel e in Nordafrica; il sostegno alle azioni dell'Alto rappresentante e del Servizio europeo per l'azione esterna in tema di disarmo, controllo degli armamenti e non proliferazione, con particolare riferimento alla preservazione dell'accordo sul nucleare iraniano; il supporto all'azione europea per rafforzare le relazioni con i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, anche al fine di rilanciare gli sforzi internazionali per una soluzione diplomatica nella crisi in Yemen; l'impegno a promuovere l'azione del gruppo di contatto sul Venezuela, vista la presenza di una vastissima comunità di origine italiana e in considerazione dei pesanti risvolti umanitari, economici e regionali della crisi politica del Paese; la promozione in sede europea dell'approccio italiano alla Siria, basato sull'attuazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 2254 e sul sostegno agli sforzi dell'Inviato Speciale delle Nazioni Unite, nella consapevolezza che una soluzione duratura del conflitto deve necessariamente passare anche per un confronto con i componenti del cosiddetto «processo di Astana», in primis la Russia.
Un capitolo a parte merita la questione dell'allargamento, rispetto alla quale Governo e Parlamento sono chiamati a confermare il tradizionale sostegno ai negoziati di adesione in corso, nell'ottica di un consolidamento del ruolo dell'Italia come partner privilegiato dei Balcani occidentali.
Ritengo anche utile acquisire l'avviso dell'Ambasciatore Massari sulla proposta Pag. 4della Commissione europea, guidata dal Presidente Juncker, di ampliamento dell'ambito di applicazione del voto a maggioranza qualificata nella politica estera e di sicurezza comune, ricorrendo all'articolo 31, paragrafo 3, del Trattato sull'Unione europea, la cosiddetta «clausola passerella», in base alla quale il Consiglio europeo, all'unanimità, può autorizzare il Consiglio a deliberare a maggioranza qualificata nei seguenti casi: posizioni sulle questioni relative ai diritti umani nelle sedi internazionali; decisione di istituire regimi sanzionatori; decisioni riguardanti le missioni civili della politica estera e di sicurezza comune.
Gli esiti dell'audizione odierna costituiranno, infine, un contributo prezioso in vista della conferenza interparlamentare sulla politica estera, di sicurezza e di difesa comune, che si celebrerà nei giorni 7 e 8 marzo prossimi a Bucarest, a cui prenderò parte assieme al vicepresidente onorevole Comencini.
Sono lieto di dare la parola all'Ambasciatore Massari affinché svolga il suo intervento. Rinnovo il ringraziamento per la disponibilità a contribuire ai nostri lavori.
MAURIZIO MASSARI, Rappresentante Permanente d'Italia presso l'Unione europea. La ringrazio, presidente. Ringrazio gli onorevoli deputati qui presenti oggi. Sono lieto di essere qui a condividere con voi opinioni sui temi introdotti dal presidente Orsini.
Premetto che la Rappresentanza Permanente d'Italia presso l'Unione europea a Bruxelles ha un ottimo rapporto con il Parlamento. Siamo assolutamente apertissimi, disposti a una sempre più intensa collaborazione e a uno scambio di informazioni.
Prima di addentrarmi specificamente nelle diverse tematiche, vorrei fare qualche considerazione di carattere generale. L'Europa e l'Unione europea sono davvero in un momento critico della loro storia. Abbiamo vissuto sessant'anni di pace, dopo la fine della seconda guerra mondiale e dalla nascita Comunità economica europea, fino alla dichiarazione di Roma del 2017, dove abbiamo festeggiato i sessant'anni dell'Unione europea. Questa stabilità, questa pace era fondata su questi tre importanti elementi: l'integrazione europea, la solidità delle relazioni transatlantiche e il multilateralismo, come presupposti di pace e stabilità.
Tale ordine basato su questi tre pilastri oggi è sfidato da una serie di fattori, due in particolare. Da un lato, certamente la realtà in cui l'Europa e l'Occidente si trovano nel quadro internazionale. Stanno diventando sempre meno dominanti e hanno maggiori difficoltà a definire le regole e a sostenere quell'ordine internazionale che essi stessi hanno contribuito a creare. Dall'altro lato, abbiamo la sfida di nuove e vecchie potenze emergenti non occidentali, potenze sia globali che regionali, che sfidano l'ordine costituito negli ultimi sessant'anni e cercano, a loro volta, di definire e imporre nuove regole. Questo significa che in questo ambiente molto più competitivo, più fluido, più incerto sul piano delle regole, del funzionamento del sistema nazionale, l'Unione europea ha una responsabilità e un ruolo necessariamente più profilato, anche in politica estera. Questo impegno maggiore dell'Unione europea in politica estera oggi non è neanche più una scelta, ma assolutamente una necessità.
Fatta questa premessa, vorrei dare alcuni cenni sui parametri e i punti di riferimento principali dell'Unione europea, partendo dalla base teorico-strategica dell'UE, che fa riferimento alla strategia globale adottata nel 2016, sulla quale è tempo – e avverrà, credo, nei prossimi mesi, probabilmente ad aprile – di fare un primo bilancio su quello che è stato realizzato fino a questo momento. La global strategy ruota, come sapete, intorno a cinque pilastri: il primo, sicurezza e difesa; il secondo, resilienza interna ed esterna dell'Unione; il terzo e il quarto fanno riferimento al ruolo dell'Unione europea nelle crisi regionali; il quinto pilastro è quello della global governance, cioè l'agenda globale.
I principali progressi probabilmente si stanno realizzando nel primo pilastro, quello della sicurezza e della difesa, dove abbiamo visto alcuni movimenti importanti, per quanto riguarda soprattutto il lancio della Pag. 5cooperazione strutturata permanente, la famosa PESCO (permanent structured cooperation), sul quale tra poco ritorno, e anche la volontà di dar vita a una capacità industriale nel settore della difesa da parte dei Paesi membri dell'Unione europea, che si traduce anche nell'idea di creare un fondo europeo per la difesa, che rappresenta uno dei principali punti di discussione del prossimo quadro finanziario pluriennale. L’European Defence Fund metterà a disposizione per il periodo 2021-2027 – naturalmente, il negoziato è ancora in corso – circa 11 miliardi per lo sviluppo di ricerche e capacità nel settore della difesa.
La PESCO è stata istituita, come sapete, nel dicembre 2017. Si tratta, praticamente, dell'avvio di una serie progetti collaborativi in materia di sviluppo di capacità di difesa. Sono stati avviati già trentaquattro progetti collaborativi, sette dei quali vedono l'Italia nel ruolo di Stato membro coordinatore. A ciò si aggiungono le sedici missioni civili e militari che l'Unione europea ha dispiegato nelle diverse aree geografiche, in particolare nei Balcani e in Africa, e, nel quadro del dibattito sul bilancio dell'Unione, l'idea di dar vita a quella che si chiama European Peace Facility (EPF), un nuovo strumento finanziario che, in realtà, sarà al di fuori del bilancio dell'Unione europea, ma che dovrebbe servire a finanziare in maniera sostenibile le missioni militari dell'Unione, perché le missioni civili sono finanziate sul bilancio dell'UE.
Il secondo pilastro che ho menzionato, quello della resilienza interna ed esterna dell'Unione, che oggi viene vista soprattutto in relazione alla disinformazione, alle fake news, alle campagne di interferenza di diversi Paesi all'interno dell'Unione europea, ha acquisito particolare dinamismo anche in vista delle elezioni europee di maggio. Sono state create, infatti, una serie di task force per la comunicazione strategica dedicate, naturalmente, a diverse aree geografiche: est, vicinato sud e Balcani occidentali. C'è stata - non ve lo nascondo - la tendenza a vedere questo problema della difesa contro la disinformazione soprattutto in chiave est, antirussa, ma l'Italia si è battuta – devo dire con successo – affinché questa strategia anti-disinformazione fosse più onnicomprensiva, si rivolgesse alle diverse aree geografiche e non puntasse soltanto su una specifica area.
Arrivo al tema centrale della mia esposizione, cioè quello relativo al ruolo dell'Unione europea nelle diverse crisi regionali. È un ruolo che senz'altro si sta profilando sempre di più, ma che soffre – è inutile nasconderlo - di due criticità. La prima è l'eterna, dialettica tensione tra le politiche nazionali degli Stati membri e la politica dell'Unione europea, che vedremo come si traduce concretamente sulle singole aree geografiche. A fronte di queste divisioni intra-UE, c'è, invece, la forza, la compattezza e una competizione esterna (quella che menzionavo anche all'inizio) di potenze come la Cina, la Russia, ma anche attori regionali, Paesi del Golfo e così via, che assumono sulle diverse scacchiere regionali un ruolo sempre più prominente.
Riguardo al ruolo dell'Unione europea nelle diverse aree geografiche, per semplificare, distinguerei il rapporto dell'Unione europea con le grandi potenze, quindi Cina e Russia (gli Stati Uniti sono un discorso a parte, ma vi farò un breve accenno); i Balcani, menzionati nell'introduzione del presidente; naturalmente l'Africa e il Medio Oriente, particolarmente l'area MENA (Middle East and North Africa), che a noi interessa, Libia, Siria e Iran. Naturalmente, dirò qualcosa anche sulla crisi in Venezuela.
Parto dal primo di questi cinque focus regionali, quello delle grandi potenze. Come è evidente, la Cina è al centro del dibattito, a Bruxelles e nelle capitali europee. Abbiamo un vertice UE-Cina, il ventunesimo, che si svolgerà il 9 aprile. Quello con la Cina è un rapporto complesso, che va dalla ricerca di un'agenda di partenariato sulle sfide globali per difendere un sistema multilaterale basato sulle regole, fino alla questione chiave del rapporto bilaterale, ossia quella delle relazioni commerciali (commercio e investimenti) per la ricerca di quello che si chiama level playing field, una reciprocità nella definizione dei rapporti commerciali che consenta anche un accesso maggiore e la rimozione delle barriere Pag. 6 per quanto riguarda il mercato cinese. Questo è un aspetto discusso molto anche dai vertici precedenti Unione europea-Cina, che però fatica ad essere tradotto in progressi pratici.
L'agenda con la Cina si nutre di altri importanti aspetti. Penso alla connettività. Non mi soffermo adesso sulla Belt and Road Initiative. Penso alla sicurezza cibernetica legata alle nuove tecnologie, al 5G e, naturalmente, anche al ruolo importante della Cina soprattutto nella difesa, nella preservazione di questo accordo nucleare con l'Iran.
Con la Cina vale il discorso che facevo prima, della tensione tra le diverse politiche nazionali. Il vertice del 9 aprile, per esempio, sarà seguito immediatamente a ruota da un vertice del «16+1», il formato che include undici Paesi membri dell'Unione europea più cinque Paesi candidati, che avranno quasi un vertice parallelo con la Cina. Naturalmente, ci sono anche i diversi rapporti bilaterali che hanno con la Cina un ruolo ancora molto forte e, direi, francamente, anche predominante per quanto riguarda il rapporto dell'Unione europea con la Cina.
La situazione della Russia, sulla quale vorrei soffermarmi, è interessante. Tra le grandi potenze, è una di quelle con cui i rapporti ad alto livello, i vertici, i summit bilaterali mancano da diverso tempo. C'è una strategia sulla Russia che si articola sul principio del doppio binario – fermezza (ovvero) e dialogo – e su cinque pilastri. In particolare, mi riferisco al rispetto delle intese di Minsk per quanto riguarda l'Ucraina, al rafforzamento delle relazioni con i Paesi dell'Unione europea e con i Paesi del partenariato orientale, alla resilienza dell'Unione europea – terzo pilastro – dalle minacce esterne (minacce ibride, quali la disinformazione e altro), all'impegno selettivo con Mosca sulle materie di comune interesse e al people to people, i rapporti tra le società civili.
Malgrado tutto ciò (una strategia, in fin dei conti, anche abbastanza complessa e articolata), questa politica dell'Unione europea nei confronti di Mosca risente, a mio avviso, eccessivamente delle conseguenze della crisi ucraina, che rimane una crisi assolutamente centrale. Siamo, ovviamente, tutti legatissimi al rispetto delle intese di Minsk, alla loro implementazione, alla difesa dell'integrità territoriale, della sovranità dell'Ucraina. Penso anche alla condanna della annessione della Crimea, di cui ricorreranno cinque anni in questi giorni.
Ciò detto, ritengo che una politica che affronti una grande potenza come la Russia, comunque decisiva in tanti scacchieri internazionali, non possa essere unicamente circoscritta – come è avvenuto, è inutile nasconderselo, in questi anni – alla questione Ucraina e al rispetto delle intese di Minsk. Credo che l'altra gamba di questo rapporto, cioè quella dell’engagement, del dialogo con la Russia sia abbastanza assente nell'attuale azione dell'Unione europea.
Non mi soffermo sull'altra grande potenza, ossia gli Stati Uniti. Anche in questo caso, c'è un ruolo ancora molto poco sfruttato, secondo me, da parte dell'Unione europea. Il rapporto con gli Stati Uniti si gioca su tanti ambiti, vari scacchieri, ma a me sembra che l'ambito politico securitario rimanga soprattutto nelle mani della NATO e dei rapporti tra gli Stati nazionali dell'Unione europea, mentre l'UE agisce soprattutto nel negoziato commerciale con gli Stati Uniti. Questo è importante, senz'altro, però – lasciatemelo dire – anche un po’ limitativo.
Vorrei fare qualche osservazione relativamente ai Balcani. Come sapete, l'Italia è stata tra i Paesi che hanno sempre sostenuto la volontà di mantenere vivo il processo di allargamento ai Paesi dei Balcani occidentali, nella convinzione che sia interesse di tutti, nell'Unione europea, esportare stabilità, anche per evitare di importare instabilità. Tanto più in una fase in cui è evidente che gli Stati Uniti hanno un impegno internazionale molto più selettivo. Non possiamo immaginare che verso i Balcani prestino la stessa attenzione che prestavano agli inizi degli anni Novanta. Parliamo di un'area, tra l'altro, dove c'è una power politics molto accesa, una competizione di diversi attori, come la Russia, la Turchia e la stessa Cina. Pag. 7
L'allargamento credo sia un incentivo fondamentale per questi Paesi dei Balcani occidentali per proseguire il loro processo di riforma. È importante, però, precisare che questi Paesi saranno incentivati a portare avanti le riforme per quanto riguarda lo Stato di diritto, i rapporti regionali tra di loro, soltanto se questa prospettiva di allargamento diventerà effettivamente reale. Qui abbiamo un problema di tensioni, ancora una volta, tra le politiche nazionali degli Stati membri. Non possiamo affatto nasconderci che, anche per agende, preoccupazioni di politica interna di alcuni Stati membri, questo processo di allargamento fatica a decollare.
Un momento importante sarà il Consiglio affari generali di giugno, dove auspichiamo che possano essere finalmente aperti i negoziati con la Macedonia del nord, soprattutto dopo gli accordi di Prespa, e con l'Albania. La resistenza, ripeto, di alcune capitali europee è molto forte. I negoziati con gli altri Paesi, Serbia e Montenegro, procedono a ritmi – soprattutto con uno di questi due Paesi – non sufficientemente rapidi. Ci sono, poi, i fanalini di coda, ossia la Bosnia Erzegovina e il Kosovo.
Sui Balcani e su come portare avanti questo processo di allargamento credo occorra una profonda riflessione, in buona fede, tra i Paesi dell'Unione europea, perché veramente si rischia di sprecare il capitale politico che l'Unione europea stessa ha conquistato in quest'area, che potrebbe essere, invece, catturato da altre potenze concorrenti, come vi dicevo prima.
Area MENA, Medio Oriente e Nord Africa. Mi soffermo su due o tre punti principali. Naturalmente, mi riferisco al teatro siriano e ai rapporti con l'Iran. L'Unione europea, che non è una potenza militare, non ha svolto un ruolo militare nel conflitto siriano, che comunque sembra ormai volgere, auspicabilmente, verso la fase finale. L'Unione europea comunque ha svolto un ruolo diplomatico, politico, di dialogo con tutti i Paesi che sono parte di questo conflitto, anche con i Paesi confinanti. Ha svolto un ruolo importante nel programmare la ricostruzione con diverse conferenze svolte su iniziativa dell'Unione europea. A Bruxelles ci sarà una conferenza anche il 14 marzo, come probabilmente sapete.
Quest'azione dell'Unione europea è essenziale, anche se la ricostruzione è subordinata, condizionata all'esito della transizione politica, così come l'altro punto chiave, il ritorno dei rifugiati, è legato alle condizioni di sicurezza di questi rifugiati nei Paesi di origine. Fino a quando i cosiddetti «parametri UNHCR» non saranno rispettati, sarà difficile incoraggiare questo ritorno.
Naturalmente, il discorso della Siria è legato molto a quello dell'Iran, dove la politica dell'Unione europea, fino a questo momento, ha tenuto con efficacia l'Iran nell'accordo sul nucleare, malgrado il ritiro degli Stati Uniti. L'ha fatto in tre modi. Il primo: tenendo forte l'accordo politico con le altre parti, in particolare Cina e Russia; il secondo, attraverso la predisposizione di una serie di strumenti, anche legislativo-finanziari, per creare un incentivo per l'Iran a restare nell'accordo, tra i quali il cosiddetto «blocking statute» e il veicolo finanziario speciale che è stato appena costituito. Terzo: lo ha fatto allargando lo spettro dei rapporti con l'Iran anche ad altri volée importanti per il ruolo dell'Iran nella regione, valutando con attenzione la condotta regionale dell'Iran e il programma balistico iraniano. Per tenere l'Iran nell'accordo bisogna fare tutto il possibile, ma non si possono ignorare le altre sfide che vengono da parte dell'Iran per quanto riguarda gli assetti e la stabilità nella regione. Per quanto riguarda la condotta regionale dell'Iran, cito anche l'esercizio sullo Yemen che quattro Paesi europei, tra cui l'Italia, stanno portando avanti e che, in qualche modo, sta dando qualche risultato positivo, come si è visto nei recenti accordi di Stoccolma.
Quello sulla Libia è un altro tema per noi assolutamente centrale. È evidente che il sostegno dell'Unione europea è prevalentemente di carattere finanziario. Penso al finanziamento alla capacity building, sollecitato molto dall'Italia, al rafforzamento delle capacità della Libia nel gestire le Pag. 8migrazioni attraverso la Guardia costiera libica. Penso anche ai programmi di sviluppo delle municipalità. Naturalmente, sul piano politico, l'Unione europea, come del resto il nostro Paese, sostiene il processo onusiano e l'azione dell'Alto Rappresentante delle Nazioni unite.
Vorrei dire qualcosa anche per quanto riguarda l'Africa. L'Italia si è battuta molto per farla salire come priorità nell'agenda dell'Unione europea. Consideriamo che le principali minacce alla sicurezza europea vengono sempre più da sud. L'Unione europea, come sapete, ha portato avanti una serie di progetti di capacity building per quanto riguarda i Paesi africani, per far progredire le riforme, anche considerando la loro capacità di gestire le frontiere, attraverso il Trust Fund per l'Africa, sul quale, però, molti Paesi europei sono ancora riluttanti a contribuire. I principali contributori a questo Trust Fund Africa sono Germania, Italia e Paesi Bassi. Alcuni Paesi, anche importanti, dell'Unione europea sollecitano un maggiore ruolo e aiuti, anche dell'Unione europea, ai Paesi africani per gestire le emigrazioni, però non contribuiscono essi stessi a questo Trust Fund. Proprio ieri in COREPER abbiamo sollevato questo punto. È preoccupante. La Commissione ci ha confermato che esistono gap finanziari per questo Trust Fund Africa già nel 2019. Nel 2020 non ci sarà alcuna risorsa se altri Paesi dell'Unione europea non contribuiranno. Dopodiché, bisognerà aspettare, naturalmente, il nuovo quadro finanziario 2021-2027.
Per quanto riguarda l'Africa, dal punto di vista programmatico – ma questo, naturalmente, dovremo vederlo nei prossimi anni – l'Unione europea si sta attivando. C'è stata anche una comunicazione della Commissione per una partnership sugli investimenti con l'Africa, che dovrebbe mobilitare, auspicabilmente, questa alleanza for sustainable investments and jobs, nell'orizzonte 2018-2021: risorse pari a 4 miliardi, per arrivare, con un effetto leva sugli investimenti privati, fino a 37 miliardi, al fine di sviluppare investimenti sostenibili in questi Paesi. Naturalmente, tutto questo va visto alla prova dei fatti.
L'Africa è terreno sia di competizione intra-Unione europea, il che, naturalmente, limita molto spesso l'efficacia della nostra azione, sia di competizione tra le potenze esterne. La Cina è inutile menzionarla, ma penso anche alla Russia, che si fa avanti con molta assertività. Non ha i mezzi finanziari della Cina, ma attraverso l’export di armi, le imprese di Stato ed altro costituisce una presenza importante. Anche in questo caso, l'Unione europea dovrebbe, effettivamente, evitare competizioni al proprio interno e cercare di esprimere politiche comuni ancora più efficaci di quelle portate avanti fino a questo momento.
Faccio un brevissimo accenno al Corno d'Africa. L'Italia ha fatto un po’ da apripista con il nuovo cambio politico in Etiopia per sostenere un processo di integrazione e riconciliazione regionale in questa importantissima area del nostro vicinato sud. È importante, però, che l'Unione europea possa esprimere azioni e anche un sostegno economico più forte nei confronti di Etiopia, Eritrea e Somalia. È un punto che, su impulso del Ministro Moavero Milanesi, abbiamo chiesto di inserire all'ordine del giorno delle prossime riunioni del Consiglio degli affari esteri. Questo per quanto riguarda le crisi regionali.
Faccio due brevi considerazioni – dopodiché mi fermerei, visto che mi sono già dilungato troppo – sul Venezuela. Al di là delle diverse posizioni dei Paesi sul riconoscimento di Guaidò, credo che l'Unione europea sia riuscita a esprimere una linea sufficientemente comune, il che significa sollecitare elezioni presidenziali libere il prima possibile. In fin dei conti, questa linea, anche italiana, è riuscita a condizionare in maniera importante la linea dell'Unione europea nel suo insieme, a prescindere dai riconoscimenti immediati e diretti di Guaidò.
Vorrei dedicare gli ultimi minuti della mia presentazione alla questione dei metodi di lavoro, delle procedure di voto. Penso al QMV (qualified majority voting), al voto a maggioranza, di cui si parla da un po’ di tempo. La situazione è la seguente: come sapete, il Presidente della Commissione Juncker, nei suoi discorsi sullo stato Pag. 9dell'Unione, nel settembre 2017 e poi nel settembre 2018, nonché in una comunicazione della Commissione del 12 settembre 2018, al fine di rendere più efficaci le decisioni di politica estera dell'Unione europea ha caldeggiato un superamento della regola dell'unanimità e il ricorso al voto a maggioranza, senza modificare i trattati, ma sfruttando le disposizioni esistenti.
In particolare, per quanto riguarda l'articolo 31, il paragrafo 3 è quello più importante e riguarda la cosiddetta «passerella», in base alla quale una decisione unanime del Consiglio europeo dovrebbe, secondo la raccomandazione della Commissione, autorizzare il passaggio al voto a maggioranza in tre settori: diritti umani, sanzioni e missioni civili dell'Unione europea.
Parliamoci molto francamente. Questo è un tema su cui difficilmente, nell'attuale contesto politico – e non mi riferisco soltanto a quello preelettorale – l'Unione europea farà strada. Francamente, però, ridurre il problema dell'efficacia dell'azione esterna all'Unione europea soltanto alle modalità di voto credo sia riduttivo. L'esperienza ci dimostra che, quando c'è la volontà politica, il consenso si trova. Il punto è un altro. Il punto è quello di sviluppare un interesse comune europeo per quanto riguarda le azioni esterne e far sì che gli Stati membri possano agire in buona fede a difesa di questo interesse comune, consapevoli che soltanto l'unione fa la forza in questo mondo multipolare e competitivo che descrivevo prima. Non è una questione di procedura. È una questione, fondamentalmente, di volontà politica.
Se vogliamo dirla tutta, rendere più efficace l'azione dell'Unione europea non è soltanto una questione procedurale, ma è una questione di metodi di lavoro. Noi abbiamo bisogno – lo dico con tutta franchezza, credo sia un pensiero condiviso da tanti – di rendere più efficaci le riunioni dello stesso Consiglio degli affari esteri, meno fori di discussione, ma molto più concrete. C'è bisogno anche di rendere molto più efficaci questi vertici dell'Unione europea, che siano con i Paesi della Lega araba, con i Paesi dell'Unione africana e altri: vertici che molto spesso si riducono a «messe cantate», una serie di statement già preconfezionati dalle varie delegazioni, ma che, in realtà, al di là degli incontri che avvengono a margine, potrebbero risultare molto più efficaci se l'Unione europea fosse più concreta nel porre i suoi obiettivi.
Chiudo con una piccola considerazione. È evidente che l'efficacia della politica estera e di sicurezza dell'Unione europea, alla fine, come avrete capito dalle argomentazioni, è una questione di volontà politica degli Stati membri. Ci vuole una volontà che sia reale da parte di tutti. Non si può predicare bene e razzolare male, come molto spesso avviene da parte di questo o di quel Paese. La maturazione di questo interesse comune europeo deve essere un processo inclusivo. Per chiarirci, il Trattato di Aquisgrana non può bastare. Siamo ancora in ventotto. Occorrerà, secondo me, una forte presa di coscienza da parte di tutti gli Stati membri, guardarsi anche un po’ nello specchio, fare un'autoanalisi e diventare consapevoli che non in tutti, ma in alcuni settori chiave o si fanno correntemente politiche comuni oppure si rischia di perdere tutto.
Grazie.
PRESIDENTE. Grazie mille, Ambasciatore, per questa relazione veramente ampia, che ha offerto, credo, vastissimi spunti di riflessione, sia per la discussione di oggi sia per il prosieguo dei nostri lavori.
Io ho già quattro iscritti. Se altri colleghi vogliono intervenire non hanno, naturalmente, che da dirlo. Mi avvarrò del privilegio di presiedere, ma vorrei prima rivolgere una domanda, che è anche una riflessione.
Lei, giustamente, nella conclusione del suo intervento ha posto l'accento su quella che anch'io ritengo una questione fondamentale: una politica estera comune dell'Europa è possibile se esiste la volontà politica, ma, ancora prima, la consapevolezza culturale della necessità di farla e del ruolo dell'Europa in quanto Europa, quindi in quanto portatrice di una visione della società, dei diritti umani, dei rapporti politici nell'ambito delle sfide globali. Pag. 10
Lo strumento del voto a maggioranza può, effettivamente, da questo punto di vista, presentare alcuni problemi. Quello che vorrei domandarLe è se, a suo giudizio, esiste qualche tipo di intervento sulle tecnicalità che possa favorire questo processo. Come è noto, nei rapporti tra gli Stati vale la stessa regola che vale nei rapporti associativi tra le persone. In un mondo ideale, delle leggi non ci sarebbe bisogno. Ma siamo ben lontani dal vivere in un paradiso terrestre. Questo anche per evitare dinamiche, come quelle di Aquisgrana, che se non si fa nulla sono inaccettabili, ma allo stesso tempo diventano inevitabili.
In questo, innesto una seconda domanda. A suo avviso, il fatto che l'Europa di fatto non disponga, se non per qualche accenno ancora assolutamente aurorale, di uno strumento di tipo militare o, comunque, di difesa comune, in che misura è un limite alla possibilità di una politica estera europea efficace?
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
YANA CHIARA EHM. Ringrazio molto l'Ambasciatore per questo intervento estremamente ampio, ma anche molto approfondito. Vorrei porre alcune domande su varie tematiche, in particolare sulla regione MENA, della quale mi occupo specificamente.
Inizierei con la questione siriana, che secondo me ha raggiunto effettivamente uno status estremamente importante. Effettivamente, è un momento molto delicato, uno dei pochi momenti positivi di questi anni. Io faccio parte della delegazione dell'Assemblea parlamentare per il Mediterraneo. Proprio lì è presente una delegazione della Siria. È passata una risoluzione con la richiesta di un processo transitorio affinché si riesca ad arrivare ad elezioni libere e democratiche, proprio per dare un cambio democratico al Paese. Mi chiedo cosa possiamo fare, noi come Italia, ma anche nel concerto europeo, per sostenere in modo sostanziale questo processo, come possiamo essere in prima linea in questo campo.
Qualche settimana fa, come primo passo, ho presentato un'interrogazione sulla riapertura della nostra ambasciata a Damasco. Ci sono stati piccoli passi in avanti. Le condizioni ancora non lo permettono, però proviamo a insistere.
Sulla questione dell'Iran credo che l'Unione europea giochi un ruolo estremamente importante. Il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) è stato, effettivamente, un grande successo, e va tenuto fermo. La stessa Agenzia internazionale per l'energia atomica ha dichiarato nei giorni scorsi che l'Iran sta mostrando compliance. Ha fatto i test e li ha superati tutti. In questi giorni si parla molto dell'Iran. Penso alla recente riunione a Varsavia sulla questione iraniana. L'Italia vuole mantenere i suoi buoni rapporti con l'Iran. Nel concerto europeo, credo ci voglia una maggiore azione per mantenere assolutamente proficui e buoni i rapporti con l'Iran e anche una maggiore chiarezza in questo campo.
Quella della Libia è una questione estremamente complicata. Ne parliamo sempre. Credo che un particolare riguardo, a questo punto, vada dedicato alla questione dell'immigrazione e del nostro impegno, sia italiano che nel concerto europeo, circa il problema della Guardia costiera libica. Proprio stamattina, guardando le agenzie, ho visto che la Germania ha criticato fortemente l'operato della Guardia costiera libica, in quanto non adeguato alle richieste, dicendo molto chiaramente che la Guardia costiera spesso pecca nel rispondere alle richieste di emergenza. Dato che siamo impegnati proprio in quest'ambito, sia all'interno del Paese, ma anche sulla costa, mi chiedo come possiamo riuscire a potenziare sempre meglio il passaggio di responsabilità a questo Paese affinché riesca a lavorare nel pieno delle sue potenzialità.
Penultimo punto: lo Yemen. È un Paese disastrato. Si parla, ormai, dell'80 per cento della popolazione che vive in condizioni di povertà assoluta, senza cibo. L'altro giorno è stata comunicata la notizia della vendita di spose bambine, neanche per soldi, ma semplicemente per cibo. Si parla, quindi, di una situazione davvero drammatica. Piccoli, Pag. 11 ma importanti passi avanti sono stati compiuti – La ringrazio di averlo menzionato – da vari Paesi, inclusa l'Italia, che stanno provando a dare seguito alle decisioni concordate a Stoccolma. Lo scorso weekend sono stati consegnati nelle mani dell'ONU due porti su tre a Hodeida. Sono passi piccolissimi. Anche in questo caso, mi chiedo come poter riuscire a fare ancora di più. Deve essere fatto di più e subito proprio perché la situazione non può aspettare un altro giorno.
Infine, non è stata menzionata, ma secondo me è molto importante, specialmente per quanto riguarda il ruolo dell'Unione europea, la questione israelo-palestinese. Credo che ogni Paese abbia il suo ruolo, ma solo un'Unione europea unita e convergente sulla soluzione dei due Stati può offrire un contributo importante. Vedremo le elezioni politiche in Israele che risultato porteranno. Credo, però, che sia tempo di iniziare a lavorare in modo concreto per compiere passi in avanti anche su questo tema, che ormai aspetta da troppi anni.
VALENTINO VALENTINI. Ringrazio l'Ambasciatore per la sua presenza, per l'ampiezza e profondità del suo interessantissimo intervento.
Numerosi sono gli spunti sui quali soffermarci. Come tutti, ne aggiungo uno del quale non abbiamo parlato, ma sul quale mi interessa sapere la posizione. Vorrei sapere se, a suo avviso, l'Unione europea è pronta alla Brexit, qual è l'atteggiamento in questo momento in caso di un rinvio, se il Regno Unito parteciperà, quindi, alle elezioni europee oppure no. Questo per fare assieme a lui una riflessione molto interessante, che ha accennato alla fine, al di là dei singoli temi, in merito a questa Unione europea che comincia a sentire un distacco, che si spende in vuote liturgie o, meglio, si spende, a volte, in una serie di atteggiamenti liturgici senza quell'efficacia richiesta dai cittadini. In particolare, vorrei sapere se il fenomeno Brexit - rimango su questo punto - a suo avviso ha contribuito a rafforzare un senso di solidità dell'Unione europea, o se è un fenomeno solo temporaneo, vale a dire se la coesione si è ritrovata sul fatto che il Regno Unito uscisse e si continua, invece, a registrare uno sfilacciamento, una mancanza di coesione all'interno dei ventotto.
Mi fermo qui e lascio spazio ai colleghi.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio moltissimo l'Ambasciatore per la relazione, che ci ha fornito tanti spunti. I riferimenti all'Africa li ho trovati particolarmente stimolanti.
Rivolgo una domanda rispetto alle sue riflessioni conclusive sull'acquisizione di una consapevolezza che l'interesse nazionale viene fatto meglio all'interno di un interesse comune europeo. Chiaramente, rispetto ai processi di cui Lei ci ha parlato, si stanno innestando dinamiche politiche normali, che hanno un'accelerazione in vista delle elezioni europee, che però rispecchiano una tendenza globale. Anche il nostro Paese sta prendendo posizioni in alcuni casi diverse, perché c'è un Governo diverso. È assolutamente legittimo.
La vicenda di Aquisgrana non è un problema di per sé. Credo che nessuno sia preoccupato di un maggiore approfondimento di iniziative a favore dell'integrazione europea. Diventa un problema per l'Italia se l'Italia stessa non è in grado o non ha interesse o non sta pensando di attivare meccanismi alternativi, o che compensino. In questo senso, le notizie sulla Brexit sono particolarmente importanti, perché per noi quello con Londra è sempre stato un asse che ha riequilibrato le iniziative franco-tedesche.
La mia domanda è la seguente: quali sono le iniziative che il nostro Paese sta prendendo per favorire maggioranza alternative, coalizioni differenti con Paesi più vicini all'orientamento politico italiano, che però rispecchia anche un trend europeo? La preoccupazione che noi viviamo da qui è quella di un isolamento italiano. Le chiederei, quindi, di indicare quali possono essere maggioranze alternative, coalizioni alternative; quali iniziative, rispetto alle delle crisi di cui Lei ci ha parlato, possono essere avviate, trovando forme innovative di alleanza.
Ricordo che alcuni anni fa, quando alcuni dei Paesi più scettici sulla gestione Pag. 12comune dell'immigrazione venivano nel nostro Paese o approcciavano parlamentari, dicevano, per esempio: «Sull'Africa potremmo lavorare insieme». Anche se non era un ambito di primario interesse da parte di alcuni Paesi dell'est, erano disponibili a lavorare in tal senso. Ci sono altre situazioni simili? Aggiungo una seconda domanda. Credo che un'idea giusta che ha proposto recentemente il Presidente del Consiglio sia quella di spingere per un seggio comune europeo all'ONU. Contraddice un po’ le precedenti posizioni italiane di riforma delle Nazioni Unite, ma credo sia un'idea giusta. Quale tipo di riscontro ha avuto questa proposta italiana in ambito europeo?
MAURIZIO LUPI. Anch'io, non formalmente, ringrazio l'ambasciatore Massari per il lavoro che sta svolgendo. Credo che le domande rivolte dai colleghi pongano la questione delle questioni. Non a caso, per il tempo che aveva a disposizione, nell'ultima parte del suo intervento ha sottolineato come si può fare politica estera dell'Unione europea se c'è una coscienza del ruolo che l'Unione europea può svolgere. Non a caso ha citato una serie di passaggi, da eccellente diplomatico qual è, che hanno creato non poche questioni all'interno di una coesione. Aquisgrana è una di queste. Il tema dei rapporti tra gli Stati membri è stata una delle prime osservazioni della sua relazione. Giustamente, non poteva e non potevamo non partire da questo.
Quello che ci aspettiamo, anche per l'esperienza e per il ruolo che svolge, è comprendere questa questione, di cui, per esempio, il voto a maggioranza è un elemento. Vorremmo capire se si pensa di avere una coesione, un ruolo più forte – lo ha sottolineato Lei – dell'Unione europea cambiando solo i regolamenti o dicendo che non serve più l'unanimità, ma che si va a maggioranza. A mio avviso, in questo modo non si risolve assolutamente niente. Si possono trovare tutte le modalità per accelerare i processi decisionali, ma credo che la questione di fondo non sia questa.
Passo alla domanda. Siamo in una fase di passaggio, ovviamente. Le elezioni europee sono prossime, quindi ogni Stato cerca di ragionare sia come Stato che, trasversalmente, sui risultati della campagna elettorale. Quale coscienza esiste - mi riferisco agli anni in cui Lei ha avuto questa responsabilità - di rafforzare questo rapporto tra gli Stati membri e questo ruolo forte dell'Unione europea? L'Italia in questi anni, come è stata percepita e che cosa può fare? La mia impressione è che, poco alla volta, anche in termini di alleanze, siamo andati a isolarci, non a rafforzare e a giocare questo ruolo come Italia.
Ormai siamo nella nuova legislatura. Nell'attuale legislatura l'Italia scelse di giocare, come commissario, un ruolo sulla politica estera. Abbiamo scelto esattamente di andare in questa direzione, rispetto ad altri commissari, ad altri ruoli che potevano essere più determinanti. A distanza di cinque anni – in termini oggettivi, non è una domanda polemica – qual è la sua valutazione su questa scelta? Credo che le ultime uscite singole non aiutino a fare le alleanze. Oggi noi apriamo di nuovo un conflitto con la Germania. Voi dovete ricoprire un ruolo di un certo tipo. Mi riferisco al tema del bail-in. È giusto, ma se dobbiamo giocare un ruolo di un certo tipo piuttosto che un altro, è evidente che diventa tutto difficile. La domanda: è quale ruolo l'Italia può ancora avere, se esiste una coscienza comune, dal suo punto di vista, e quali Stati hanno più coscienza rispetto agli altri.
Nota bene, e concludo: un approfondimento che mi preoccupa molto e che non vorrei passasse sotto silenzio riguarda l'osservazione che lei ha fatto sull'Africa e sul rapporto Unione europea-Africa, sul fatto che nel 2020 – mi piacerebbe un approfondimento su questo – se tutti gli Stati membri non contribuiranno, nessuna risorsa dell'Unione europea sarà destinata all'Africa. È evidente il ruolo strategico di questo continente, non solo per i flussi migratori, ma anche per l'equilibrio mondiale. Noi giochiamo un ruolo fondamentale nel Mediterraneo. Non possiamo pensare di essere assenti, mentre mi risulta che la Cina, ancora più della Russia, sull'Africa stia giocando una scommessa pesantissima Pag. 13in termini di risorse, di sviluppo e di rapporti economici.
ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE. Ambasciatore, mi scuso per il ritardo. Ero impegnato in altra Giunta. Recupererò non tediandola con le mie considerazioni sul fatto che il Trattato di Aquisgrana assegni costituzionalmente un'Europa a due velocità e che, quindi, sia un fatto, a mio modo di giudicare, gravissimo. Recupererò la scortesia di essere arrivato in ritardo con una domanda molto veloce e molto secca.
Si legge testualmente, nella Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, a firma Paolo Savona,: «La strategia di allargamento verso i Balcani occidentali e la Turchia rappresenta, secondo il Governo, uno strumento politico essenziale per garantire il consolidamento della democrazia». La domanda è: il Governo, voi, noi, riteniamo che per consolidare la democrazia dobbiamo far entrare la Turchia in Europa, dobbiamo islamizzare l'Europa, dobbiamo permettere a Erdoğan, che è colui che dice «Turchi, fatte cinque figli a testa per islamizzare l'Europa», di entrare in Europa? O siamo alla solita manina? Al di là della sciatteria di questo Governo, mi conforterebbe la manina.
Credo che lei sia la persona più titolata per dirci se il Governo ha l'ennesima manina, l'ennesima Relazione programmatica sciatta, l'ennesimo errore o se, drammaticamente, questo Governo ritenga prioritario nel mandato dei prossimi diciotto mesi europei far entrare la Turchia di Erdoğan in Europa. Se è così, per Fratelli d'Italia saremmo oltre la sottomissione. Saremmo alla concordata islamizzazione dell'Europa.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Delmastro. Le ricordo soltanto che l'Ambasciatore rappresenta lo Stato italiano, non risponde delle politiche del Governo.
ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE. Io voglio sperare che mi dica che è un errore del Governo e non sia lo Stato italiano. Sarebbe terrificante.
PRESIDENTE. Onorevole Delmastro, non sto contestando...
ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE. Io mi auguro che sia un errore, che ci sia la manina, che va di moda.
PRESIDENTE. Onorevole, mi permetta. Non sto contestando la legittimità della domanda. Puntualizzavo soltanto che la responsabilità politica, naturalmente, non è dell'Ambasciatore, ma del Governo. Semplicemente questo.
VITO COMENCINI. Anch'io ringrazio l'Ambasciatore Massari per l'esposizione molto interessante. Vorrei soffermarmi sulle questioni che riguardano i rapporti con le superpotenze, come ha detto Lei. In particolar modo, vorrei capire la questione della Cina. Lei ha detto che sono in corso dei vertici tra Unione europea e la Cina, in occasione dei quali si discutono anche questioni che riguardano la sicurezza. Ha fatto un elenco di alcune tematiche, come la cyber security o cose simili. Volevo capire se sul tavolo Le risulta ci siano anche questioni che riguardano la sicurezza in ambito alimentare, sanitario e così via, visto che le importazioni dalla Cina in Europa di prodotti di questo tipo talvolta possono riscontrare problematiche in merito e, in generale, sulle questioni doganali, di controlli e di regole rispetto a quello che viene importato. Giustamente, Lei ha detto che i vertici servono per cercare di trovare regole per porci sullo stesso piano con la Cina, visti i rapporti commerciali importanti che abbiamo, però è evidente che all'interno dei due territori, dello Stato cinese e degli Stati europei, ci sono regole molto diverse in ambito di sicurezza alimentare e quant'altro. Credo sia una questione rilevante. Vorrei capire se si sta affrontando a livello di rapporti UE-Cina.
L'altra questione riguarda, invece, i rapporti con la Russia. Lei ha detto che esiste questo rapporto duplice: da una parte, le sanzioni; dall'altra, si cerca di mantenere Pag. 14un dialogo, in particolar modo sull'aspetto della società civile. Vorrei sapere se, in ambito di Unione europea, nell'andare a confermare le sanzioni, è stata fatta una valutazione (o se in seguito verranno fatte valutazioni) sia sugli effetti che hanno le sanzioni sia sull'efficacia in merito agli obiettivi. Sappiamo bene che le sanzioni, in teoria, hanno l'obiettivo di superare o, comunque, di intervenire rispetto alle controversie che ci sono, in particolare quelle connesse alla crisi ucraina. Vorremmo sapere se sono state efficaci. È risaputo che la nostra opinione è che non abbiano portato alcun effetto positivo, da questo punto di vista, quindi che non siano servite, fino ad ora. Vorremmo anche sapere qualcosa in merito agli effetti sulla società civile. Le sanzioni, come risulta, vanno a colpire la società civile, ad esempio le telecomunicazioni, la possibilità di comunicare, di lavorare, di mantenere rapporti anche semplicemente tra persone che vivono in quei territori e l'Europa. Quando dico «quei territori» intendo, ad esempio, la Crimea. È evidente che non vanno a colpire lo Stato russo o chi si ritiene colpevole della crisi ucraina, ma vanno a colpire i cittadini di entrambe le parti.
Vorrei capire se su tutto questo l'Unione europea ha fatto un'analisi. Siccome si parla degli accordi di Minsk, vorrei sapere se la Bielorussia è riconosciuta da parte dell'Unione europea come uno Stato chiave nel cercare di trovare una soluzione nel dialogo, quindi un punto di tramite considerato importante per una possibile soluzione o attenuazione di queste problematiche.
PRESIDENTE. Se nessun altro collega ritiene di intervenire, do la parola all'Ambasciatore per la replica.
MAURIZIO MASSARI, Rappresentante Permanente d'Italia presso l'Unione europea. Grazie mille, presidente. Grazie a tutti voi per queste domande e osservazioni molto interessanti e molto pertinenti. Cercherò di rispondere a tutte le domande che mi sono state poste.
Partirei da quelle del presidente Orsini sulla questione che ho posto alla fine della mia esposizione sull'assenza di una volontà politica alla base di decisioni unanimi dell'Unione europea sul piano della politica estera. Visto il giudizio negativo sul voto a maggioranza qualificata, mi si chiede se esistono altre tecnicalità. Una potrebbe essere – ed è citata nel Trattato, credo sempre all'articolo 31, paragrafo 1 – quella dell'astensione costruttiva. Questa potrebbe essere, secondo me, più utilizzabile, ma è un mio giudizio personale. Uno Stato si astiene da una decisione, quindi non la applica, però non impedisce agli altri di applicarla.
La questione del voto a maggioranza su tematiche come le sanzioni è molto discutibile, molto insidiosa. Faccio l'esempio dell'Italia. L'Italia è, fondamentalmente, un Paese che non crede che le sanzioni da sole possano alterare il comportamento di un Paese, soprattutto quando si tratta di grandi Paesi. Devo dire che la storia fino a questo momento ci ha dato ragione. Le sanzioni, certo, sono un gesto politico forte, però non risolvono. Vi fornisco un esempio concreto. Nella primavera scorsa, quando c'è stata la questione di sanzionare individui iraniani per un gesto che potesse in qualche modo incentivare, indirettamente, gli Stati Uniti a restare nell'accordo nucleare, l'Italia fu il solo Paese, di fronte a una forte spinta di tutto il resto del Consiglio, a dire: «No, questo non soltanto non modificherà le decisioni degli Stati Uniti, ma creerà un pretesto o un motivo per l'Iran per abbandonare l'accordo stesso». Così è stato. Grazie all'Italia, in quel momento specifico, le sanzioni non furono adottate e almeno l'Iran è restato nell'accordo. Gli Stati Uniti avevano già deciso, all'epoca, di uscire dall'accordo. L'astensione costruttiva potrebbe essere, quindi, una tecnicalità più efficace.
Per quanto riguarda la difesa, le azioni militari dell'Unione europea e le missioni militari, ritengo che tutto ciò dipenda sempre dalla politica estera. In qualche modo, le azioni militari presuppongono che ci sia una politica estera davvero comune, che ci sia questa volontà comune che, a dir la verità, stenta spesso a decollare.
Dico qualcosa sulle crisi regionali nell'area del Mediterraneo e del Medio Oriente. Pag. 15Sulla Siria l'Unione europea, non essendo un attore militare, ha fatto quello che poteva fare fino a questo momento. Adesso vedremo la strategia che il nuovo Inviato Speciale delle Nazioni Unite, Pedersen, illustrerà, credo, proprio oggi a New York, al Consiglio di sicurezza, e come questa potrà influire nella politica dell'Unione europea di declinare questa condizionalità tra transizione politica e aiuti alla ricostruzione, inclusa la questione dei rifugiati, dei detenuti politici e quant'altro. Dobbiamo attendere per capire se ci sarà un cambio di approccio, un'evoluzione da parte della strategia delle Nazioni Unite. Credo, però, che l'Unione europea stia facendo quello che può realisticamente e oggettivamente fare, come questa conferenza del 14 marzo a Bruxelles.
Credo che abbia fatto bene anche sull'Iran. È riuscita, con ostinazione, pur creando qualche tensione transatlantica (non ce lo nascondiamo), a tenere l'Iran nell'accordo e con molti Stati membri dell'Unione europea, come l'Italia, a mantenere anche un rapporto bilaterale produttivo e positivo, il che non ci impedisce di essere dialoganti anche con gli Stati Uniti, pur non vedendola allo stesso modo. Il Ministro Moavero Milanesi è stato tra i ministri dell'Unione europea ad avere partecipato alla Conferenza di Varsavia, questo proprio perché ci si confronta anche quando non si è d'accordo, soprattutto con Paesi amici e alleati come gli Stati Uniti.
Per quanto riguarda le critiche della Germania sulla Guardia costiera libica, come rendere più efficace tale Guardia costiera è un processo. Bisogna investire in risorse, con pazienza, dare forza ulteriore alla missione dell'Unione europea EUBAM (European Union Border Assistance Mission) e, naturalmente, continuare questo processo di formazione, di training e di equipment della Guardia costiera libica.
Per quanto riguarda il processo di pace israelo-palestinese, resta un buco nero nella strategia mediorientale. L'Unione europea, come sapete, è parte del quartetto. Aspettiamo il nuovo piano di pace americano, che immaginiamo arrivi dopo le elezioni israeliane. Da lì si riprenderà il discorso.
Per l'Unione europea rimangono i parametri internazionali di riferimento: le risoluzioni delle Nazioni Unite e la soluzione di due Stati, che auspichiamo e di cui vediamo assolutamente l'urgenza. Penso anche al pieno coinvolgimento dei Paesi arabi. Ne vediamo l'urgenza, altrimenti la situazione sul terreno rischia di erodere de facto questa prospettiva dei due Stati.
Passo alle domande interessanti degli onorevoli Valentini e Quartapelle sulla Brexit. L'Unione europea è pronta? Io partirei dalla considerazione che è il Regno Unito a non essere pronto, come si è visto. A livello di Unione europea e di Governo britannico, abbiamo sottoscritto un accordo di recesso, con tanto di dichiarazione politica. La palla, poi, è passata in campo britannico, dove si è arenata, come sapete, per l'impossibilità di costituire una maggioranza a Westminster. Non abbiamo chiesto noi, come Unione europea, che il Regno Unito uscisse. Noi crediamo che l'Unione europea con il Regno Unito, parlando proprio di politica estera, abbia certamente una capacità di proiezione esterna senz'altro maggiore e più forte. Però – ripeto – è stata una scelta britannica. Adesso c'è un accordo sul tavolo e la palla resta nel campo di Londra. Bisogna vedere come andrà questa serie di votazioni, dal 12 al 14 marzo.
È stato chiesto se Brexit abbia favorito l'unità all'interno dell'Unione europea. Fino a questo momento, sì. L'unità a ventisette è stata molto forte, molto determinata. È molto costoso uscire dall'Unione europea, per tutti. La difesa dell'integrità del mercato unico, delle quattro libertà è una cosa che ha accomunato gli interessi di tutti e ventisette. Laddove Brexit effettivamente si avverasse, bisognerebbe vedere nel negoziato sull'accordo futuro se questa unità a ventisette terrà. Naturalmente, lì potrebbero esserci sfumature. Credo sia abbastanza condiviso il sentimento di volere – si tratta di una dichiarazione politica, del resto – un rapporto molto forte in tutti i settori con il Regno Unito, anche se uscisse. Fin dove può arrivare questo rapporto? Le linee rosse le ha fissate il Regno Unito stesso. Laddove Londra muovesse queste linee rosse e chiedesse una relazione più Pag. 16ambiziosa, l'Unione europea senz'altro sarebbe pronta a negoziare.
Brexit si porta dietro anche la questione delle alleanze, di schieramenti alternativi eccetera. È evidente che il Regno Unito all'interno dell'Unione europea – non soltanto per noi, ma per tanti altri Paesi membri dell'Unione europea – è un fattore bilanciante. La sua uscita, quindi, certamente non ci rende felici. Noi siamo tra quelli che, nel negoziato sulla dichiarazione politica, hanno richiesto, soprattutto nel campo della politica estera, un'associazione molto forte di Londra alle future azioni di politica estera dell'Unione europea, naturalmente nel pieno rispetto dell'autonomia decisionale dell'Unione europea. Questo mi sembra assolutamente evidente.
Questo discorso richiama la questione delle alleanze alternative. L'intesa franco-tedesca, la questione di Aquisgrana (è una prosecuzione del Trattato dell'Eliseo), è molto peculiare. Se vogliamo, riguarda tutti i settori e ha radici storiche. Credo sia veramente impossibile utilizzare quello franco-tedesco come un template per altri tipi di alleanze alternative. Credo sia una cosa assolutamente unica.
Noi non la critichiamo. L'importante è che non abbia natura ad excludendum di processi decisionali che devono essere assolutamente inclusivi. L'Italia è il terzo Paese dell'Unione europea per dimensioni e importanza ed è la seconda potenza manifatturiera. Non possiamo limitarci a condividere ex post decisioni partorite a due nell'ambito di questa intesa di Aquisgrana. L'alleanza franco-tedesca va bene. Chiaramente ci sono tante sfumature e differenze tra i due Paesi. L'importante è che non sia esclusiva e che sia aperta sulle singole tematiche agli input degli altri Paesi.
L'intesa di Aquisgrana spazia su tutti i settori e non è replicabile con altri Paesi, né dall'Italia né da altri. Quello che io vedo da Bruxelles è che non ci sono alleanze su tutto. Ci sono alleanze ad hoc sempre più con questo o quel gruppo di Paesi, a seconda della tematica.
Vi faccio l'esempio più classico, ossia quello migratorio. Noi abbiamo fatto una battaglia per frenare una riforma del regolamento di Dublino che era penalizzante nei confronti dei Paesi di primo approdo, front line, come l'Italia. Ci siamo riusciti fino a questo momento, creando un'alleanza molto variegata, di una grande minoranza di blocco, che include i Paesi del sud dell'Europa, i Paesi dell'est, la Croazia. Con questo gruppo di undici-dodici Paesi, però, sarebbe difficile pensare a un'intesa tipo quella di Aquisgrana, per fare un esempio.
Passo alla questione del Trust Fund Africa. Effettivamente, è un punto anche di principio che noi abbiamo evocato in tanti Consigli europei, dal Presidente del Consiglio fino al sottoscritto nel COREPER, settimanalmente. È assolutamente irresponsabile che alcuni Paesi da un lato chiedano che i fondi per l'Africa vengano indirizzati verso quell'area o verso quel Paese di loro specifico interesse, ma dall'altro non contribuiscono al Trust Fund. Come dicevo, Germania, Italia e Paesi Bassi sono i principali contributori. Questo è un punto che continueremo a sollevare con forza. Siamo confortati dalla Commissione, che su questo ci dà una mano, è solidale, e anche dal Presidente del Consiglio europeo Tusk.
Questo, tra l'altro, si lega alla questione della Turchia. C'è stato un dibattito durato mesi sulle modalità di concedere la seconda tranche di 3 miliardi della facility per i rifugiati alla Turchia. Noi volevamo che si replicasse il modello della prima tranche, che prevedeva un terzo di questi 3 miliardi a valere sul bilancio comunitario e due terzi, invece, versati dagli Stati membri. Gli Stati membri questa volta, però, hanno voluto capovolgere e dire: «No, facciamo due terzi bilancio comunitario e soltanto un terzo Stati membri, perché i nostri Parlamenti non sono disposti ad adottare grandi aiuti per la Turchia». Noi abbiamo, a quel punto, condizionato il nostro accordo a questa soluzione al fatto che, sebbene questa seconda tranche pesasse di più sul bilancio comunitario, non fossero però distolte dal bilancio comunitario risorse a discapito dell'Africa. Questo significava due cose. Da un lato abbiamo ottenuto che i 500 milioni a valere sul Fondo europeo di sviluppo – insomma Pag. 17soldi dell'Unione europea – fossero destinati subito ai programmi per l'Africa. Quello che è mancato è la seconda gamba, cioè questi contributi degli Stati membri, che rimane un problema irrisolto che continueremo a sollevare con forza.
Passo al tema del seggio delle Nazioni Unite. Non ho parlato prima – forse avrei dovuto – dei famosi modi per migliorare l'efficacia dell'azione europea sul piano esterno. Certo, noi ci preoccupiamo del voto a maggioranza e poi non parliamo con una sola voce alle Nazioni Unite. Bruxelles non è stata fino a questo momento la sede deputata per questo tipo di dibattito, ma il punto sollevato dal nostro Governo ci sta tutto, francamente, come anche quello di un coordinamento europeo molto forte nelle principali sedi internazionali, in generale, anche nelle istituzioni finanziarie internazionali. Altrimenti, si farebbero due pesi e due misure: da un lato tu ti vuoi mantenere il seggio nazionale a New York e dall'altro invochi il qualified majority voting a Bruxelles. Mi sembra che siano posizioni difficilmente compatibili.
Al di là del QMV, c'è questa questione del seggio europeo, dell'isolamento che ci viene tanto imputato oggi. Francamente, a Bruxelles è difficile essere isolati, perché sei comunque di fatto in un consesso multilaterale. Come ho detto prima, noi costruiamo alleanze ad hoc, come credo, a questo punto, facciano un po’ tutti. In ambito di Unione europea, a ventotto o a ventisette è davvero non dico difficilissimo, ma impossibile andare d'accordo su tutto con un altro gruppo di Paesi. Inoltre, manca purtroppo – sottolineo «purtroppo» – un fronte meridionale che sia unificato. Non parliamo di questo Governo o del Governo precedente. Possiamo andare veramente indietro negli anni. È un problema serio. Poi si passa anche alle questioni della governance dell'eurozona, di tanti altri negoziati. Per diverse ragioni, i Paesi del blocco sud – che non è un blocco – non riescono a fare politiche comuni, che invece potrebbero, in realtà, fare. Ho lavorato con tutti i Governi, quindi parlo da civil servant puro: questo, a mio avviso, non mi sembra sia responsabilità dell'Italia. Ci sono, probabilmente, altri Paesi che hanno meno incentivi e interessi a tenere insieme questo blocco, questo fronte sud che, invece, su diverse tematiche (io ho citato l'eurozona) potrebbe essere utile anche per controbilanciare la Lega Anseatica, i fautori di politiche eccessivamente rigoriste in campo economico. Si parla di unione bancaria, di bilancio dell'eurozona e quant'altro. Questa è una cosa che, purtroppo, ci manca.
La mia tesi è che il Trattato dell'Eliseo e il Trattato di Aquisgrana sono un unicum e non possono essere replicati. Li capiamo tutti, purché non siano ad excludendum. In genere, la questione riguarda i direttori, ovvero che non ci siano direttori esclusivi. L'Unione europea a ventisette o a ventotto non può funzionare. Se gli altri Paesi – non parlo specificamente dell'Italia, parlo degli altri, quelli che vedo in Consiglio ogni giorno – non sono resi parte del processo decisionale ab initio oppure si vedono pezzi di carta, testi che piovono sul tavolo perché cucinati in altre capitali, il consenso non lo crei mai. C'è già un pregiudizio negativo a priori.
Turchia. Da Bruxelles, la questione della Turchia in questo momento non è in agenda. Anzi, è off dall'agenda. Come sapete, il negoziato è congelato per i noti motivi legati al post luglio 2016. Naturalmente, sulla questione dei rifugiati e sulle grandi tematiche dell'energia, delle migrazioni, della lotta al terrorismo si intrattiene un dialogo con la Turchia. Ci sarà anche un Consiglio di associazione il 15 marzo, però il negoziato per l'adesione, che in tanti anni si è fermato su sedici capitoli e quant'altro, in questo momento è congelato. Quindi, non vedo, francamente, in questo momento il problema.
Concludo parlando di Cina, Russia e Bielorussia. Con la Cina sono in corso una serie di dialoghi che riguardano gli standard dei prodotti alimentari, ma anche, in generale, il level playing field nei rapporti commerciali, un negoziato per un accordo sulle indicazioni geografiche, sugli investimenti e quant'altro. L'impressione diffusa è che questi negoziati non sono andati molto avanti con i cinesi. L’implementation, la realizzazione di progressi concreti, tarda a Pag. 18venire. Questo credo sia uno dei messaggi principali che si vorrà dare a questo vertice del 9 aprile.
L'efficacia delle sanzioni, in un Paese come la Russia non può che essere, francamente, come impatto, circoscritta. Certamente c'è un segnale politico, ma non credo che un Paese come la Russia (lo stesso vale per la Cina o per le altre grandi potenze) possa alterare il proprio comportamento perché vengano poste sanzioni da parte dell'Unione europea. Queste sanzioni sono lì come gesto di disappointment da parte dell'Unione europea. Sono sanzioni abbastanza selettive per quanto riguarda l'impatto sulla società civile, colpiscono alcuni settori dell'industria militare, i alcune imprese di Stato energetiche. Poi c'è il listing individuale di individui più o meno direttamente coinvolti nei fatti.
L'impatto sulla società civile. Più che l'impatto delle sanzioni, penso al fatto che non ci sia un dialogo proattivo dell'Unione europea con la società civile russa. L'Italia ha posto il problema in agenda, a partire, per esempio, dalle piccole e medie imprese russe, quelle che non sono legate necessariamente agli apparati statuali. Naturalmente, vi è stata una levata di scudi di opposizione da parte di tutti i Paesi membri. Devo dire che il clima in Consiglio è molto condizionato, anche troppo, dalla questione Ucraina, per quanto sia assolutamente centrale la difesa dell'integrità territoriale e della sovranità ucraina. A mio parere, dovremmo utilizzare di più i cinque princìpi della strategia dell'Unione europea verso la Russia.
Concludo parlando della Bielorussia. Ahimè, è anch'essa sotto sanzione, quindi difficilmente può essere parte dalla soluzione. Anzi, è parte, tutto sommato, del problema.
PRESIDENTE. Posso solo dire, in conclusione, che la coincidenza per cui oggi non si sono tenuti lavori d'Aula ha, forse, rarefatto la presenza dei colleghi, ma è stata una felice coincidenza perché ci ha consentito un dialogo con l'Ambasciatore più approfondito e più vasto, anche nei tempi.
La voglio ringraziare intanto per la sua cortesia e la sua disponibilità nel dedicarci il suo tempo, ma soprattutto per l'ampiezza, la ricchezza e la profondità della relazione e degli argomenti che ha portato ai nostri lavori.
Direi che il percorso di riflessione che questo Comitato ha deciso di darsi sui temi della politica estera e di sicurezza dell'Unione non poteva cominciare in modo migliore, e questo credo sia molto utile anche per il proseguo dei lavori, sia del Comitato sia della Commissione esteri nella sua interezza.
Ringrazio tutti i colleghi. Ringrazio ancora l'Ambasciatore.
Dichiaro chiusa l'audizione.
La seduta termina alle 10.50.