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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 19 di Martedì 2 aprile 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 

Audizione del responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana, Francesco Marsico:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 3 
Marsico Francesco , Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana ... 3 
Tola Monica , Rappresentante Caritas italiana ... 4 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 6 
Marsico Francesco , Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana ... 6 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 7 
Marsico Francesco , Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana ... 7 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 7 
Marsico Francesco , Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana ... 7 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 7 
Marsico Francesco , Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana ... 7 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 7 
Marsico Francesco , Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana ... 7 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 7 
Tola Monica , Rappresentante Caritas italiana ... 7 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 8 
Del Monaco Antonio (M5S)  ... 8 
Tola Monica , Rappresentante Caritas italiana ... 8 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 8 
Marsico Francesco , Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana ... 8 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 8 
Marsico Francesco , Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana ... 8 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 9 
Marsico Francesco , Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana ... 9 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 9 
Benedetti Silvia (Misto)  ... 9 
Tola Monica , Rappresentante Caritas italiana ... 9 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 
Tola Monica , Rappresentante Caritas italiana ... 10 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 
Tola Monica , Rappresentante Caritas italiana ... 10 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 
Tola Monica , Rappresentante Caritas italiana ... 10 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 
Nugnes Paola  ... 10 
Marsico Francesco , Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana ... 10 
Del Monaco Antonio (M5S)  ... 11 
Marsico Francesco , Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana ... 11 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 11 
Marsico Francesco , Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana ... 11 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 11 
Marsico Francesco , Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana ... 11 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta inizia alle 9.55.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana, Francesco Marsico.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana, Francesco Marsico, accompagnato dalla signora Monica Tola, che ringrazio per la presenza.
  Comunico che gli auditi hanno preso visione della disciplina relativa al regime di pubblicità del resoconto stenografico della seduta che informa l'audito che della presente seduta sarà redatto un resoconto stenografico e, su motivata richiesta, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta; nel caso le dichiarazioni segrete entrassero a far parte di un procedimento penale, il regime di segretezza seguirà quello previsto per tale procedimento; si invita comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta. Invito i nostri ospiti a svolgere una relazione, al termine della quale i commissari si riservano di fare qualche domanda nello specifico. Vista l'analisi della filiera degli abiti usati che stiamo facendo e le molteplici indagini di una certa pesantezza che sono rivolte a questa filiera, visto che c'è il logo Caritas come garanzia in molte di queste filiere volevamo conoscere il vostro punto di vista.

  FRANCESCO MARSICO, Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana. Grazie dell'invito. Ci occuperemo, nel breve tempo che prenderemo, di spiegare qual è il ruolo di Caritas italiana e anche delle Caritas diocesane su questa vicenda, evidentemente meno sul tema degli illeciti, ma sulle questioni più generali di qual è la nostra funzione, l'identità dell'organismo e il tipo di impegno e di attività che svolgono le Caritas, poi evidentemente siamo disponibili alle domande.
  Mi limiterò alla premessa, mentre la collega Tola lavorerà sul resto della traccia. Innanzitutto due parole di spiegazione rispetto a Caritas italiana, per evitare equivoci o fraintendimenti.
  Caritas italiana è l'organismo della Conferenza episcopale italiana, istituito nel 1971 al fine di sensibilizzare e stimolare la comunità cristiana alla realizzazione di interventi in favore di coloro che versano in stato di bisogno, quindi un organismo di Conferenza episcopale, un organismo istituzionale della Chiesa italiana, che non è quindi giuridicamente e organizzativamente un soggetto capofila della rete Caritas, in quanto, essendo la Chiesa italiana un soggetto fondato su una dimensione sussidiaria, gli organismi nazionali sono organismi di coordinamento e collegamento, anche la Conferenza episcopale.
  La titolarità dell'attività ha sede nelle diocesi, che hanno ovviamente autonomia giuridica e sono soggetti giuridici, quindi non è soggetto capofila e l'articolo 22 del proprio Statuto ricorda che collabora con le Caritas diocesane, ma non assume alcuna Pag. 4 responsabilità in ordine al loro operato. Questo proprio perché non può avere nessun ruolo né ispettivo, né di controllo sulle attività delle singole Caritas, in quanto questo tipo di attività vede un vincolo legato all'autonomia di tipo diocesano, dove il Vescovo è titolare di questo tipo di attività.
  Caritas nazionale offre quindi servizi di supporto, formazione e coordinamento in alcune attività di animazione, monitoraggio alle 218 Caritas diocesane, che sono una per ogni diocesi, presenti su tutto il territorio nazionale. Le Caritas diocesane sono sul piano giuridico e organizzativo uffici di Curia, quindi anche le Caritas diocesane stesse, tranne pochissime eccezioni, sono uffici delle proprie diocesi, quindi non hanno natura giuridica autonoma, e come tali, come Ufficio di Curia, rispondono ai propri Vescovi, provvedendo a loro volta al coordinamento delle Caritas a livello parrocchiale e alla promozione di opere caritative sul territorio.
  Di fatto la parrocchia è il luogo in cui tradizionalmente si è realizzata nel tempo la raccolta di indumenti usati, con la finalità principale di offrire un abito alle persone in grave stato di bisogno (questa è una prima motivazione che ha preceduto gran parte delle normative sulla dimensione dei rifiuti). Queste attività di raccolta, che per chi è più anziano come me riguardavano la carta, i metalli e gli abiti, sono attività che le comunità parrocchiali facevano da decine e decine di anni; quindi offrire abiti a persone in stato di grave bisogno, ma anche sostenere economicamente progetti di solidarietà con raccolte di prodotti, come già in precedenza attraverso la raccolta della carta. Cogliere l'opportunità di educazione ambientale, peraltro in linea con la funzione prevalentemente pedagogica dell'organismo pastorale Caritas.
  Nel tempo la maturazione di esperienze più strutturate di raccolta di indumenti usati sul territorio diocesano ha veicolato anche l'opportunità di inserimento sociale e lavorativo per soggetti fragili. Questo è stato l'altro ambito in cui le Caritas hanno operato, vale a dire non soltanto raccolta per il finanziamento, ma anche raccolta come luoghi di possibilità di inserimento sociale e lavorativo per le persone, in questo caso attraverso la promozione di imprese sociali per la gestione degli aspetti logistici e amministrativi (qui la filiera di eventuali convenzioni, cassonetti e quant'altro), liberando risorse ed energia alla Caritas per l'orientamento e l'accompagnamento delle persone, oltre che per la sensibilizzazione della comunità.
  In altri termini, le Caritas hanno promosso attività di questo tipo, attività che sono in buona parte o in gran parte autonome e con loro responsabilità giuridica, quindi creando una distinzione tra i soggetti giuridici d'impresa e Caritas diocesane.
  Lascio la parola alla dottoressa Tola.

  MONICA TOLA, Rappresentante Caritas italiana. Buongiorno, anch'io vi ringrazio. Quanto diceva il collega dimostra che è molto complicato tenere monitorata l'attività delle parrocchie in Italia su questi ambiti. Consideriamo che in Italia ci sono almeno 26.000 parrocchie e che sono principalmente impegnate in servizi a bassa soglia, con la distribuzione sia di indumenti, sia soprattutto di beni alimentari.
  Anche a livello diocesano con 218 realtà le esperienze sono molto variegate, quello che abbiamo potuto raccogliere e che raccogliamo sistematicamente dalle nostre Caritas ci permette di collocarle su tre gruppi principali di impegno e di coinvolgimento su questo fronte. Ci sono Caritas diocesane che hanno scelto di non avere alcuna attività riferita agli indumenti usati raccolti tramite i cassonetti gialli, orientando eventuali donazioni da privati esclusivamente sul livello parrocchiale, per le motivazioni che venivano accennate prima, per poi orientare la successiva selezione e distribuzione diretta alle persone in difficoltà.
  Questo non libera le Caritas diocesane da alcune criticità, perché devono comunque confrontarsi con una percezione diffusa sulla titolarità dei cassonetti gialli presenti sui territori come afferente alla Caritas stessa anche quando questo non corrisponde al vero, e la gestione da parte delle parrocchie di quanto in termini di prodotto tessile non si riesce a distribuire Pag. 5direttamente. Si tratta di prodotti in eccedenza o addirittura di scarti che non possono essere utilizzati per venire incontro ai bisogni delle persone in difficoltà.
  Un secondo gruppo riguarda Caritas diocesane che utilizzano abiti non soltanto usati ma anche nuovi, conferiti sempre come donazioni in parrocchie o servizi, per promuovere direttamente o attraverso uno strumento operativo esperienze di inclusione sociale. Sono molto diffusi nella rete delle Caritas diocesane i laboratori di sartoria o anche la distribuzione attraverso centri di ascolto, empori, botteghe solidali, dormitori o centri diurni, che, essendo frequentati soprattutto da persone senza dimora, necessitano di grandi quantitativi di indumenti per i cambi.
  Anche in questo caso emergono delle problematiche di gestione di donazioni consistenti ad esempio in caso di emergenza. Sono prodotti in eccesso oppure indumenti che non rispondono al bisogno. Accade infatti di ricevere donazioni in stock ad esempio di abiti da sposa per chiusure di attività oppure lotti di indumenti e calzature che provengono da sequestri, ma magari sono stock di calzature numero 46 mentre invece nelle famiglie ci sono anche dei minori, o addirittura prodotti inutilizzabili che le imprese incaricate della gestione dei rifiuti non sono sempre disposte a ritirare, perché non c'è una convenienza in questo.
  L'ultimo gruppo riguarda Caritas diocesane che collaborano con un proprio strumento operativo, tipicamente un'associazione o una cooperativa sociale di cui hanno promosso la costituzione, oppure con cooperative sociali già presenti sul territorio, per la raccolta di indumenti sul territorio diocesano attraverso i tipici raccoglitori gialli, di proprietà o in convenzione di questo strumento, con o senza riferimento Caritas sui cassonetti stessi, per poi conferirli a imprese autorizzate alla selezione e rivendita sul mercato italiano ed estero.
  Come già accennato, queste attività garantiscono lavoro e inserimento sociale a una quota di soggetti molto fragili, di cui sarebbe complicato l'inserimento socio-lavorativo. In base ad accordi specifici, inoltre, il conferimento degli indumenti raccolti a queste imprese prevede la corresponsione di una royalty periodica la Caritas diocesana, da utilizzare per il soggetto di attività caritative e sociali, in alcuni casi resa evidente anche dalla presenza del logo Caritas sui raccoglitori.
  Se questo è il quadro, sono opportune alcune considerazioni. È soprattutto quest'ultimo gruppo di Caritas diocesane che ha segnalato la necessità di orientamenti chiari e condivisi per la rete. Si tratta però di un'esigenza che viene condivisa complessivamente da tutte le Caritas, anche per poter orientare chiaramente le parrocchie, al fine di impedire o mitigare i rischi di condotte non conformi alle disposizioni di legge o addirittura compromissive con realtà commerciali del settore di non comprovata onorabilità.
  Per la nostra rete questo è un rischio; noi ci sentiamo parte lesa in questo, in particolare le Caritas coinvolte evidenziano alcune aree di criticità rispetto al loro impegno. Da un lato, rispetto alla normativa, una complessità delle normative di riferimento, e anche una frammentazione, con il riscontro di differenze sostanziali tra livello europeo, livello nazionale, livello regionale e addirittura provinciale, in particolare rispetto all'igienizzazione.
  Un secondo ambito di criticità riguarda il livello della comunicazione. È diffusa la percezione di ingenerare una certa confusione, dovuta all'utilizzo di raccoglitori che sono destinati ai rifiuti, ma in realtà spesso accolgono beni che rifiuti non sono e che sono ancora portatori di valore, che il cittadino tende a considerare come dono.
  In questo senso non è sempre chiaro come l'ambito conferito nel cassonetto non venga utilizzato direttamente per i poveri, quindi c'è questa confusione, ed appare difficoltoso comunicare con chiarezza il ruolo effettivo della Caritas soprattutto su un cassonetto, per cui deve essere reso evidente, che riceve eventualmente il contributo a sostegno delle attività sociali e caritative rispetto a quello distinto degli enti gestori competenti, autorizzati al trattamento. Pag. 6
  L'ultimo blocco di criticità riguarda il controllo della filiera, perché c'è una difficoltà di orientamento nel panorama degli interlocutori, dei quali è difficilmente accertabile o controllabile l'affidabilità e l'eticità.
  Le Caritas esprimono la necessità di particolare attenzione nella fase di vendita a terzi del materiale raccolto, perché è soprattutto la fase di raccolta quella in cui gli organismi promossi dalle Caritas diocesane sono impegnati.
  L'ipotesi di organizzare in toto la filiera per poterne garantire l'affidabilità appare eccessivamente onerosa e non sostenibile soprattutto per imprese e reti di piccole dimensioni come sono quelle promosse dalle Caritas diocesane nella maggior parte dei casi.
  Concludendo, il coinvolgimento delle Caritas diocesane nella raccolta, selezione, trattamento di indumenti usati si iscrive nell'impegno più ampio di realizzazione diretta e indiretta di interventi concreti a supporto delle persone in stato di bisogno, azioni per l'inclusione sociale e attività di sensibilizzazione delle comunità ecclesiali.
  Possiamo confermare l'opportunità che le Caritas diocesane non entrino nella gestione diretta di servizi, campagne, raccolte; un'indicazione generale che Caritas italiana ha dato, in linea con la Conferenza Episcopale italiana, anche per quanto riguarda la gestione di servizi caritativi, ma è evidente che la complessità di questi interventi comporta comunque la capacità di interagire in modo consapevole e costruttivo con diversi soggetti sul territorio, quindi, se non impegnati nella gestione diretta, in ogni caso collaboriamo con altre realtà.
  La costruzione di orientamento e linee guida condivise tra diversi attori, a tutela della qualità e trasparenza delle filiere, quasi in un'ottica di autoregolamentazione è senz'altro positiva, e sappiamo che alcuni percorsi sono in atto. Tuttavia sembra ormai urgente la costituzione di uno o più albi o registri nazionali per la certificazione da parte delle imprese sia della presenza e della permanenza delle autorizzazioni inizialmente ottenute, in base al mantenimento delle condizioni come struttura e formazione, sia della quantità di erogazione benefica, garantita a sostegno di progetti qualificati di solidarietà sociale.
  Un approccio sussidiario e di responsabilità sociale diffuso è del tutto condiviso, ma questo non può prescindere da un'attività regolativa e ispettiva, che non può che essere operata da organi di Stato. Grazie.

  PRESIDENTE. Nella relazione della direzione nazionale antimafia si sostiene che buona parte delle donazioni di indumenti usati che i cittadini fanno per solidarietà finisce per alimentare «un traffico illecito, dal quale camorristi e sodali di camorristi traggono enormi profitti».
  È ben chiaro che la Caritas nazionale non gestisce le Caritas diocesane, però essa è proprietaria del marchio dal 2007, quando l'avete registrato; il marchio della Caritas induce i cittadini, considerata la vostra buona reputazione, a donare e voi ci mettete il marchio e la faccia. Visto il caso di Milano, dove, attraverso Vesti Solidale, che è legata a Caritas, i rifiuti andavano a società addirittura rinviate a giudizio sia per illeciti ambientali che per presunti rapporti con la famiglia Birra e la camorra; considerato che c'è il vostro logo, che è proprietà vostra e non delle Caritas diocesane, che strumenti avete per tutelare il vostro nome e per controllare quello che accade?

  FRANCESCO MARSICO, Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana. Nella premessa ovviamente ho distinto il fatto che la nostra capacità e possibilità giuridica di intervento sulle Caritas diocesane da una parte è limitata proprio dalla nostra struttura e guardiamo con grande preoccupazione le affermazioni di organi istituzionali riguardo alla presenza criminale in questo ambito, dall'altra però sulle singole vicende, come penso sia doveroso da parte di tutti, aspettiamo la chiusura dei procedimenti.
  Mi sembra che in questi ultimi decenni purtroppo siano state rare le condanne effettive rispetto ad attori connessi alla criminalità organizzata. Questo secondo me sottolinea un nodo di tipo normativo, e in Pag. 7questo contesto sarebbe paradossale che la soluzione di un problema normativo, tanto che neanche le inchieste giudiziarie riescono ad arrivare ad un risultato effettivo, venga addebitato ai soggetti sociali e non a una carente o quantomeno problematica normazione del settore.
  È evidente che da parte nostra, come la collega sottolineava, l'indicazione generale è quella di limitare l'utilizzo del marchio e, laddove questo viene operato, ovviamente in termini di moral suasion, non di possibilità di intervento diretto, evidentemente stiamo verificando situazione per situazione per capire il livello di garanzia della filiera.
  Non a caso noi abbiamo posto le questioni di proposta conclusiva. Se ci deve essere un'attività ispettiva e di controllo, questa spetta agli organi dello Stato, se c'è un problema riguardo a soggetti che sono autorizzati e che permangono nell'ambito dell'attività economica, evidentemente questa cosa non può essere imputata a un soggetto sociale territoriale. Questa è una preoccupazione su cui credo che una Commissione come la vostra dovrà operare per proporre una normativa che sia più ficcante ed efficace sul piano repressivo.
  Ribadisco, correggetemi se sbaglio, che non vi sono stati grandissimi procedimenti penali che hanno condotto a un intervento effettivo su questo tipo di contesti, e riuscire a fornire gli strumenti sul piano normativo come nel caso di un registro accessibile e aggiornato, in maniera tale che i soggetti sociali possano verificare l'affidabilità delle filiere e dei soggetti che agiscono in questo ambito, tanto da poter consentire un lavoro di prevenzione e di disconnessione da soggetti problematici.

  PRESIDENTE. Innanzitutto di vicende giudiziarie ce ne sono tante, le stiamo acquisendo...

  FRANCESCO MARSICO, Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana. No, sto dicendo di vicende passate in giudicato.

  PRESIDENTE. Quindi voi finché non c'è una condanna definitiva...

  FRANCESCO MARSICO, Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana. Mi sembra un criterio costituzionale.

  PRESIDENTE. Però nel frattempo avete fatto una ricognizione generale di chi usa il vostro logo?

  FRANCESCO MARSICO, Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana. Da circa un anno stiamo operando in questo senso, però è evidente che, dal momento che sono soggetti giuridici autonomi, non abbiamo la possibilità di ordinare la consegna dei dati in questo senso, però abbiamo fatto due tipi di operazioni, un collegamento delle Caritas diocesane coinvolte e stiamo lavorando su una ricognizione in questo senso.

  PRESIDENTE. Da quanto ho capito, fate anche difficoltà a tenere la situazione sotto controllo su chi usa il vostro marchio...

  FRANCESCO MARSICO, Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana. Come ho spiegato in premessa, Caritas italiana non è il Ministro dell'interno rispetto alle prefetture, è un meccanismo sussidiario purtroppo, quindi dobbiamo passare attraverso livelli di responsabilità che noi non controlliamo.

  PRESIDENTE. Un tentativo di trasparenza è stato fatto anche dalla Caritas diocesana a Padova, che ha fatto anche un sito Che fine fanno?
  Il problema è che viene elencato soltanto il primo anello della filiera, però sul resto non c'è nulla. Che sforzi potete fare per aumentare questo grado di trasparenza?

  MONICA TOLA, Rappresentante Caritas italiana. Le Caritas ci hanno chiesto di essere aiutate a capire in modo trasparente quali sono i soggetti di cui possono fidarsi, ed è in realtà la richiesta che facciamo a voi, perché aumentare il grado di trasparenza è possibile soltanto nel momento in cui è chiaro quali siano i soggetti dei quali ci si può fidare, i soggetti con i quali è Pag. 8possibile collaborare, a tutela non soltanto del marchio, ma giustamente della buona reputazione cui faceva riferimento prima, che per noi è fondamentale visto il lavoro notevole che facciamo sul territorio con le persone.
  Senza quell'albo è molto complicato per le Caritas orientarsi e selezionare gli altri soggetti della filiera; è difficile, perché le Caritas non fanno questo di mestiere, hanno alcune informazioni e non altre, e senza un albo non le hanno in maniera formale.

  PRESIDENTE. Nel nostro piccolo ci proveremo, però serve anche il vostro aiuto; dovreste fornire almeno una ricognizione di chi usa il logo.

  ANTONIO DEL MONACO. Voi ricevete tantissima merce, tantissimi abiti, che date a chi ne ha bisogno, ma la rimanente parte, che penso sia cospicua perché è quella che non serve o non viene utilizzata, che fine fa? a chi viene data? rientra nel riciclo? va di nuovo ai famosi «pezzacchiari»?
  Vengo da una terra in cui nel mio comune c'è una periferia dove ci sono tutti questi soggetti che si sono arricchiti, hanno grandi ville, fanno i «pezzacchiari», ossia vendono abiti usati che non so da dove prendano.

  MONICA TOLA, Rappresentante Caritas italiana. Sembrerà una risposta banale, ma è la realtà dei fatti: le Caritas diocesane in eccesso di donazione o comunque di prodotto non adeguato al bisogno specifico (quello cui facevo riferimento prima), chiamano la municipalizzata per portare via il prodotto.

  PRESIDENTE. La sensazione che un cittadino può avere, a parte il logo Caritas, è che sta donando dei vestiti. In realtà non è che tutti vestiti vadano ai poveri se non in una minima percentuale. Qual è questa percentuale l'1 per cento, il 10 per cento? Il grosso del flusso viene venduto da cooperative e vari intermediari e viene anche portato all'estero. Quanto va di quel valore o l'equivalente ai poveri alla fine?

  FRANCESCO MARSICO, Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana. L'ho detto in premessa e lo ripeto: sono molto anziano, ma tutte le raccolte, anche quella della carta, era fatta per essere venduta e andare a sostegno, ai miei tempi, di attività missionarie o altro; quindi se c'è stata una disconnessione negli anni rispetto alla percezione del pubblico, è quella legata al fatto che un abito donato vada a finire ad una persona in difficoltà. Capite bene che questa è una semplificazione.
  Dal punto di vista delle Caritas tutto va alla fine verso le persone in stato di bisogno, alcune cose in maniera diretta, altre cose, laddove ci sono laboratori di riuso, vengono riqualificate e vendute, altre invece vengono smaltite nei modi consentiti dalla legge.
  Questo tipo di informazione potrà essere carente in alcuni contesti, non posso garantire che tutti i contesti territoriali siano in grado di spiegare con efficacia come Padova questo tipo di percorso, però a livello nazionale noi lo ripetiamo da anni e c'è anche dell'ingenuità nel ritenere che la carta venga riutilizzata per quello che è, come anche su ambiti che non sono soltanto riutilizzabili, ma in molti casi sono ormai consunti e consumati.
  Lavorare di più in termini di comunicazione e possibile, ma i soggetti sociali non fanno le norme. I soggetti sociali possono essere responsabili nella loro capacità di rispondere alle norme, ma le norme le fa il Parlamento. Ci sono anche le applicazioni territoriali. Altrimenti c'è uno spostamento di responsabilità che, lo confesso, in termini personali non capisco.
  Su questo vorrei fare una domanda: la Commissione è finalizzata anche a costruire una normativa specifica in questo senso, migliore dell'attuale? Altrimenti farei fatica a capire questo tipo di discorso.

  PRESIDENTE. Anche se la normativa c'è e non è fatta male, non ho capito quali siano i problemi...

  FRANCESCO MARSICO, Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana. Abbiamo posto alcune questioni, presidente, Pag. 9sulle quali vorrei capire anche il vostro orientamento. Se sono questioni che non riguardano il lavoro della Commissione, chiedo scusa, altrimenti non capisco...

  PRESIDENTE. Ci sono delle norme, vanno fatte igienizzazioni, che le ditte coinvolte in questi illeciti ambientali non hanno nemmeno contestato perché le norme ci sono, sono chiare e vanno rispettate, punto.

  FRANCESCO MARSICO, Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana. Scusi, presidente, non è vero. Soltanto sulle igienizzazioni ci sono applicazioni territoriali estremamente difformi, dire che c'è tutto un quadro normativo chiaro è ovviamente una sua legittima opinione, ma le posso garantire che questa è un'opinione, e su questo onestamente continuo a dire che faccio fatica a capire un approccio di questo tipo.

  PRESIDENTE. Punti di vista, perfetto, anche perché non è solo il problema ambientale, ma c'è anche un legame con la criminalità organizzata, che va oltre il problema dell'igienizzazione.

  SILVIA BENEDETTI. Da quello che credo di aver capito mi sembra che ci sia un'esortazione, se la normativa c'è, ad essere più pressanti nel farla rispettare, perché è vero che le normative ci sono, ma non è detto che tutte le aziende con cui ci interfacciamo le rispettino, quindi diventa difficile per un cittadino o per un'azienda cercare di lavorare bene e far lavorare bene anche gli altri.
  Ci può essere una sorta di interlocuzione, ma non è che hanno una leva per far valere la normativa sui corrispettivi; credo che sia questo il discorso, quindi magari viene chiesto qualche strumento in più.
  Il mio rilievo comunque era un altro. Non ho capito quanta percentuale di quegli abiti venga data a chi ne ha bisogno e quanta finisca alle municipalizzate. Comunicativamente, secondo voi, è anche il caso di esortare i cittadini a capire che la situazione non è così virtuosa? In qualche modo è un ripiego e sarebbe meglio cominciare ad acquistare meno a monte, quindi fare una sorta di sensibilizzazione sul fatto che dare qualcosa a qualcun altro non è un circolo virtuoso dal punto di vista dell'ecologia e dei rifiuti, ma la cosa migliore sarebbe ridurre a monte quanto viene acquistato nell'ambito dell'abbigliamento.

  MONICA TOLA, Rappresentante Caritas italiana. Rispetto alle percentuali il discorso è complesso, perché il conferimento come donazione e anche la distribuzione diretta alle persone in stato di bisogno avviene soprattutto a livello parrocchiale. Il problema che abbiamo sollevato relativamente all'eccedenza di donazione si registra laddove il cittadino o, se preferite, il parrocchiano non è disposto a sentirsi dire «basta, non accogliamo più donazioni», anche perché ci sono parrocchie che scelgono di non tenere più l'armadio del povero, proprio perché non ricevono prodotti e beni funzionali al tipo di bisogni a cui cercano di rispondere.
  Sinceramente è molto complicato per noi riuscire a tenere il monitoraggio di questa situazione. A livello diocesano, la donazione che arriva direttamente in centro d'ascolto è ugualmente ormai inconsueta, quello che arriva sul servizio a bassa soglia, quindi tipicamente il dormitorio o il centro diurno, è selezionato a monte, cioè arriva una donazione che viene selezionata nel momento in cui il referente della struttura riceve la donazione in loco.
  È diverso quanto accade in situazioni di emergenza, quando è tipico (è un problema che ha anche Croce Rossa) ricevere quantitativi ingenti di indumenti che poi vengono stoccati in grossi capannoni. In quel caso, del totale di indumenti donati è ancora più difficile capire quanto effettivamente arrivi alle popolazioni colpite dal terremoto, che magari non hanno proprio quel tipo di bisogno.
  Sinceramente non ho la risposta, so che quando viene conferito direttamente come dono viene orientato in maniera molto chiara, direttamente dalla struttura che la riceve, quando arriva invece in termini di mediazione su fenomeni molto grossi effettivamente la quantità che rimane è notevole. In parte (ma questo più a livello di Pag. 10singole Caritas diocesane) viene gestito, come faceva riferimento anche il collega, soprattutto in attività di inclusione, quindi in laboratori di sartoria, ma anche in quel caso non vengono accolte tutte le donazioni.
  Il laboratorio di una Caritas della Sicilia che si occupa di inserimento di donne svantaggiate accoglie soltanto un certo tipo di indumento e non altri, tipicamente il jeans perché può fare la borsa dentro il laboratorio, l'abito da sposa di un certo tipo e in certe quantità perché può aiutare alcune ragazze, ma non l'intero stock, per cui lo stock viene dato a monte.
  Il fattore pedagogico di educazione all'acquisto consapevole è una delle questioni che ovviamente ci stanno particolarmente a cuore anche per la finalità specificamente educativa del nostro organismo. C'è anche da dire che donare indumenti che diventano stracci oggi è molto più semplice, perché il prodotto che c'è sul mercato in buona parte dopo due lavaggi deperisce, quindi viene effettivamente conferito dentro il cassonetto per il corretto smaltimento del tessile, ma faccio fatica a immaginare che per ogni cittadino la maglia che perde forma sia conferita al cassonetto perché pensa di fare un dono.
  Ciò detto, esiste un problema di comunicazione, le Caritas ne sono consapevoli. In alcune esperienze (da Padova in poi, ma penso anche ad alcune esperienze piemontesi e della Val d'Aosta) si sta lavorando per costruire già sul cassonetto una campagna di comunicazione, che possa raccontare come quel cibo si trasformi in un pasto, in modo da rendere evidente cosa succede. Sono esperienze, la ricognizione di 218 non è semplice, anche perché su 218 poi ci sono le articolazioni zonali e parrocchiali.

  PRESIDENTE. Però, mi permetta, il logo della Caritas nei cassonetti gialli serve proprio per quello, per dare un'immagine, nel senso di dire che stai donando, altrimenti non si spiega perché tutte queste associazioni e cooperative chiedano di utilizzare il marchio Caritas, perché comunque invoglia e aumenta i volumi, che comunque (correggetemi se sbaglio) nella stragrande maggioranza sono destinati non ai poveri, ma alla vendita anche all'estero.

  MONICA TOLA, Rappresentante Caritas italiana. Una precisazione: non dubito che il logo della Caritas invogli maggiormente il conferimento, però il motivo per cui c'è quel logo sul cassonetto non è invogliare la donazione, ma è rendere evidente che una parte del ricavato di quelle vendite sostiene progetti di solidarietà sociale.

  PRESIDENTE. Qual è questa parte?

  MONICA TOLA, Rappresentante Caritas italiana. Questo però, più che chiederlo alla Caritas italiana, bisognerebbe chiederlo alle imprese...

  PRESIDENTE. Sentiremo anche alcune diocesi, visto che avete detto che è responsabilità direttamente di alcune diocesi.

  MONICA TOLA, Rappresentante Caritas italiana. Però non posso conoscere la percentuale della donazione, dipende dall'impresa, dipende dal consorzio che gestisce e che quindi, in accordo con la Caritas diocesana, garantisce la donazione.

  PRESIDENTE. Magari cerchiamo di fare chiarezza, dateci una mano, anche noi siamo disponibili eventualmente per alcune questioni normative, ma soprattutto, visto che il logo è vostro, per chi usa questo logo, che comunque influenza le filiere e la donazione.

  PAOLA NUGNES. Non mi è chiaro se quando viene conferito lo stock alla diocesi sia già selezionato. Se fate direttamente voi la selezione, non avete una rete di ridistribuzione? Come giustamente ha detto lei, infatti, non tutto serve per quella situazione, ma se avete una rete con tutte le 218 diocesi, è possibile una ridistribuzione interna o c'è una normativa che lo vieta?

  FRANCESCO MARSICO, Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana. Torno sempre alla premessa: la Caritas è una rete, ma ogni Caritas ha una sua autonomia Pag. 11giuridica e funzionale. Quindi, tranne probabilmente sulla rete dell'aiuto alimentare dove ci sono tendenzialmente delle collaborazioni di questo tipo soprattutto su quantitativi che non possono essere smaltiti nelle singole Caritas e/o su prodotti freschi, ma sul piano regionale in genere, su questa cosa non c'è una possibilità.
  Mi faccia anche dire che i quantitativi in genere sono sufficienti per ogni singola realtà. Inoltre non possiamo dare un dato, ma non è maggioritaria la presenza di Caritas che hanno il marchio su cassonetti, è una percentuale che non credo superi il 30 per cento, quindi ci sono anche Caritas che non hanno alcuna attività di questo tipo, se non relegata a livello parrocchiale. Per diocesi che hanno centinaia di parrocchie sfido chiunque a immaginare un lavoro così ficcante che possa arrivare dentro la singola attività parrocchiale.
  Gran parte di questi lavori a livello parrocchiale o delle piccole diocesi è lavoro volontario; quindi c'è anche una debolezza della struttura che, tranne le diocesi delle grandi città, rende non dico impossibile, ma difficoltoso organizzare in maniera più significativa questo tipo di attività.

  ANTONIO DEL MONACO. Io non riesco a capire come non ci possa essere un coordinamento tra le diocesi. Per riallacciarmi anche alla domanda della collega: in fin dei conti se ho uno stock, per esempio, di abiti da sposa e me ne servono quattro, magari nella diocesi che sta a 20 o a 50 chilometri di distanza hanno bisogno di abiti da sposa, quindi se è un dono, poi il dono si perde, invece in questo caso potrebbe essere produttivo e non andare purtroppo nelle mani della criminalità organizzata, perché manca il coordinamento?
  Voi siete a livello centrale, però essere a livello centrale con un marchio e non avere la possibilità... perché avete dichiarato che con gli alimenti talvolta lo fate, ma anche questi sono prodotti che hanno valore.
  Spesso c'è chi se ne disfa e butta lo straccio dentro il cassonetto, però c'è anche chi crede realmente in quel dono e va a comprare un vestito per metterlo lì dentro magari ancora con il cartellino, quindi questo sta a significare che realmente può essere un dono.
  Si rileva una mancanza di coordinamento, di comunicazione e di misure, perché è vero che le inchieste svolte a Cagliari, Napoli, Milano, Roma non hanno ancora portato sentenze in giudicato, ma è anche vero che voi siete parte lesa, però – scusatemi – indirettamente purtroppo contribuite, perché poi tutto va nelle loro mani.
  Anche se utilizzano la Caritas, indirettamente il prodotto ci arriva, quindi viene utilizzato per quei fini, quando invece lo scopo nobile era quello del dono.

  FRANCESCO MARSICO, Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana. Ci sono diversi livelli di questioni che lei pone, quindi rispondo ad alcuni e poi magari completa la collega. Dono: è un'affermazione, però tecnicamente rimaniamo sempre nell'ambito dei rifiuti. Sul piano della normativa, non sono doni.

  PRESIDENTE. Sicuramente, però c'è scritto Caritas.

  FRANCESCO MARSICO, Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana. Sì, però capisce, questa ambivalenza non è merito nostro...

  PRESIDENTE. Il marchio però è vostro.

  FRANCESCO MARSICO, Responsabile dell'area nazionale di Caritas italiana. Sì, però capisce che qui c'è un problema complessivo di normativa, e la normativa non l'abbiamo fatta noi, non è lo Stato della Chiesa questo, c'è un Parlamento e ci sono leggi, quindi la legge che regola questo settore non è fatta da Caritas italiana.
  Faccio molta fatica ad immaginare che ci sia il conferimento di un abito nuovo dentro un cassonetto, quando ci sono cose di questo tipo sono in genere raccolte finalizzate dalle Caritas diocesane, che le gestiscono evidentemente come abiti nuovi e soprattutto il grande problema delle Caritas diocesane per le persone senza dimora è la biancheria, non tanto gli abiti, perché nella necessità di sovvenire alle condizioni Pag. 12 di estremo bisogno delle persone più fragili sono le cose che scarseggiano anche in termini di distribuzione.
  Seconda questione, il coordinamento. Forse mi sono espresso male, Caritas non fa un coordinamento sui beni alimentari, questo avviene soprattutto a livello regionale in maniera autonoma da parte delle Caritas, perché non saremmo in grado.
  Il coordinamento ha un costo, noi non ce lo possiamo permettere, cioè obiettivamente riuscire a gestire 218 realtà diocesane, a parte i limiti statutari che abbiamo, ma soprattutto non siamo in grado di sostenere un'attività di questo tipo. È un tema sul quale ovviamente stiamo riflettendo, sollecitando la responsabilità dei nostri livelli di coordinamento regionale, ma non possiamo obiettivamente immaginare un lavoro di questo tipo, è al di sopra delle nostre possibilità organizzative, ma anche del nostro compito istituzionale.
  Questo non vuol dire che non stiamo prendendo in esame la necessità di un collegamento/coordinamento per quanto riguarda l'eticità delle filiere e soprattutto la dimensione della comunicazione, che deve essere sempre più attenta ad evitare di ingenerare confusione nel donatore, e questo evidentemente è un tema che abbiamo già detto, ma che sottolineo.
  È chiaro che abbiamo sempre attenzionato tutte le situazioni in cui sono emerse le inchieste giudiziarie che avete citato, però continuo a sottolineare questo aspetto: se c'è un problema nella conclusione di queste inchieste, forse non c'è un problema di regolazione non del tutto chiara, tanto che, anche quando vi sono attività giudiziarie, alla fine di questi procedimenti le condanne sono molto limitate?
  Questo è un tema che, se fossi dall'altra parte del tavolo, probabilmente mi porrei.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.40.