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XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 47 di Martedì 15 ottobre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 

Audizione del presidente della società Nucleco, Alessandro Dodaro:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 
Dodaro Alessandro , Presidente della società Nucleco ... 2 
Patassini Tullio (LEGA)  ... 9 
Dodaro Alessandro , Presidente della società Nucleco ... 9 
Patassini Tullio (LEGA)  ... 10 
Dodaro Alessandro , Presidente della società Nucleco ... 10 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 
Dodaro Alessandro , Presidente della società Nucleco ... 10 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 10 
Dodaro Alessandro , Presidente della società Nucleco ... 10 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 11 
Dodaro Alessandro , Presidente della società Nucleco ... 11 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 11 
Dodaro Alessandro , Presidente della società Nucleco ... 11 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 11 
Dodaro Alessandro , Presidente della società Nucleco ... 11 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12 
Dodaro Alessandro , Presidente della società Nucleco ... 12 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12 
Dodaro Alessandro , Presidente della società Nucleco ... 12 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 12 
Dodaro Alessandro , Presidente della società Nucleco ... 12 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 13 
Dodaro Alessandro , Presidente della società Nucleco ... 13 
Del Monaco Antonio (M5S)  ... 13 
Dodaro Alessandro , Presidente della società Nucleco ... 13 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 14 

(La seduta, sospesa alle 11.40, riprende alle 12.20) ... 14 

Audizioni di persone informate di fatti rilevanti ai fini dell'inchiesta:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 14 
Facciolo Laura , Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS ... 15 
Zamboni Michela , Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS ... 17 
Cunico Claudia , Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS ... 19 
Faggionato Giancarlo , Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS ... 20 
Piccoli Michela , Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS ... 22 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 23 
Piccoli Michela , Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS ... 23 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 24 
D'Arienzo Vincenzo  ... 24 
Facciolo Laura , Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS ... 24 
Trentacoste Fabrizio  ... 25 
Zamboni Michela , Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS ... 25 
Trentacoste Fabrizio  ... 26 
Piccoli Michela , Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS ... 26 
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 26 
Facciolo Laura , Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS ... 27 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 27 
Zamboni Michela , Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS ... 28 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 28

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta comincia alle 10.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del presidente della società Nucleco, Alessandro Dodaro.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Presidente della società Nucleco, dottor Alessandro Dodaro, accompagnato dall'ingegner Tina Bianchilli, dalla dottoressa Monica Sisti e dalla dottoressa Benedetta Celata, che ringrazio per la presenza. L'audizione odierna rientra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sulla gestione dei rifiuti radioattivi. Comunico che l'audito ha preso visione della disciplina relativa al regime di pubblicità del resoconto stenografico della seduta che informa l'audito che della presente seduta sarà redatto un resoconto stenografico e, su motivata richiesta, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta; nel caso le dichiarazioni segrete entrassero a far parte di un procedimento penale, il regime di segretezza seguirà quello previsto per tale procedimento; si invita comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Invito quindi il nostro ospite a svolgere la relazione al termine della quale seguiranno eventuali domande da parte mia e da parte dei membri della Commissione.

  ALESSANDRO DODARO, Presidente della società Nucleco. Buongiorno a tutti. Premetto che la società Nucleco è una società per azione controllata dalla Sogin Spa e partecipata dall'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie e lo sviluppo economico sostenibile. Il presidente del CdA Nucleco, cioè il sottoscritto, è il dirigente ENEA del dipartimento che ha tra le proprie attribuzioni la gestione del servizio integrato per la gestione dei rifiuti radioattivi di origine non elettronucleare. Descrivo il più brevemente possibile la società. La Nucleco è una società per azioni di eco ingegneri nucleari, costituita il 5 maggio 1981, a seguito di una delibera del CIPE, che approvava la costituzione di una società per azioni tra CNEN, oggi ENEA, e l'Agip Nucleare, denominata Nucleco, per la gestione dei rifiuti radioattivi di bassa e media attività. La costituzione della società avveniva con il conferimento di beni mobili e la concessione in uso di licenze immobili e impianti da parte del CNEN, a copertura del 40 per cento del pacchetto azionario e il versamento di risorse finanziarie da parte dell'altro socio per il 60 per cento della restante parte del pacchetto. Il compito di Nucleco era quello di farsi carico della gestione di tale tipologia di rifiuto radioattivo prodotta nel Centro Enea Casaccia, quindi inizialmente era mirato soltanto all'ENEA. Successivamente il ruolo della società fu ampliato dall'ENEA per dare attuazione ad ulteriori disposizioni del CIPE nel 1985 – 1986, che attribuivano all'Ente il compito di farsi carico della raccolta gestione e custodia, a lungo termine ed in sicurezza, dei rifiuti radioattivi non elettronucleari prodotti a livello nazionale nei settori ricerca, industria e medico sanitario. Pag. 3 Nasce quindi il servizio integrato che ancora oggi svolge il suo ruolo e di cui si dirà in seguito. Con ulteriore delibera del CIPE nel 1989 i compiti statutari della Nucleco furono estesi alle attività di tipo industriale connesse al fine ciclo del combustibile nucleare ed alla gestione dei rifiuti tossici e nocivo con l'indicazione di operare su commessa di operatori pubblici e privati, e di avvalersi delle competenze e le esperienze via via acquisite dall'ENEA e dall'ENI, nell'assolvimento dei compiti di sviluppo di tecnologie, processi, impianti ed applicazioni dimostrative nel settore dei rifiuti radioattivi. La quota azionaria di Agip Nucleare passa poi ad Ambiente Spa, Gruppo ENI, e nel 2004 fu acquisita da Sogin. Con il supporto prima dell'ENI e poi della Sogin, in sinergia con quello dell'ENEA, la società ha potuto acquisire e sviluppare processi e tecnologie idonee per la risoluzione del problema di gestione dei rifiuti altamente pericolosi ed oggi può vantare un know how unico nelle bonifiche ambientali, nella gestione e trattamento di rifiuti radioattivi, con punte di eccellenza nel settore della caratterizzazione radiologica, nella progettazione ed esecuzione di processo di decontaminazione, bonifica di siti nucleari e sviluppo di implementazione di tecniche di bonifica ambientale. La sede operativa all'interno del Centro Ricerche Casaccia, in provincia di Roma, dove occupa un'area di 28.000 metri cubi, di cui più di 7.000 coperti con depositi temporanei, impianti e laboratori. La società attualmente opera in una decina di siti esterni come prestatore d'opera o di servizi. La Nucleco, nello svolgimento delle proprie attività, opera all'interno di un sistema di qualità conforme alla norma ISO 9001/2001, per le attività di progettazione e realizzazione di servizi di caratterizzazione, raccolta, trasporto, trattamento, condizionamento, inclusi i relativi processi di qualifica e stoccaggio temporaneo di rifiuti radioattivi solidi a bassa e media attività e sorgenti; progettazione e realizzazione di impianti di infrastrutture e bonifiche per la decontaminazione di siti industriali e/o di installazioni nucleari da inquinamento radioattivo, o da materiali contenenti amianto. L'obiettivo della Nucleco nella gestione dei rifiuti radioattivi è quello di determinarne il contenuto radiologico attraverso processi di caratterizzazione preliminare, al fine della sua classificazione nelle tre categorie previste dalla normativa tecnica vigente, guida tecnica 26 e decreto 7 agosto 2015, che ne determinerà le successive fasi di trattamento e la tipologia di smaltimento finale; separare le parti radioattive dal materiale inerte, che potrà essere rilasciato dopo i necessari controlli, clearance, come rifiuto convenzionale liquido – solido, senza alcun vincolo di natura radiologica. Altro obiettivo è ridurre i volumi delle parti radioattive attraverso processi di compattazione, per i rifiuti solidi, o di decontaminazione per i rifiuti liquidi o solidi; trasformare i residui radioattivi in non ulteriormente decontaminabili in forme solide di provate caratteristiche di durabilità, tale da mantenere confinata la radioattività per tutto il tempo necessario al suo decadimento, nonché idoneo al trasporto e allo smaltimento finale; effettuare la caratterizzazione radiologica definitiva al fine della certificazione dell'inventario radiologico associato al rifiuto, pronto per essere conferito al deposito nazionale, non appena sia realizzato. La caratterizzazione radiologica, quindi, è un'attività trasversale, che viene condotta parallelamente ai processi di trattamento, sia per la redazione degli inventari radiologici, e quindi la corretta classificazione del rifiuto, sia per la verifica dei processi stessi per il rispetto dei limiti di legge e per lo smaltimento in esenzione degli effluenti e dei rifiuti decaduti o decontaminati.
  Il servizio integrato. Le disposizioni del CIPE citate, stabilivano che la raccolta dei rifiuti, la realizzazione e la gestione del deposito saranno effettuati sotto la responsabilità dell'ENEA. Tali disposizioni sono state implementate dall'ENEA con l'istituzione del servizio integrato per la raccolta, trattamento, custodia e smaltimento dei rifiuti non elettronucleari e del comparto medico ospedaliero, industriale e della ricerca. Più recentemente il decreto legislativo n. 52 del 2007, «Attuazione della direttiva Euratom sul controllo delle sorgenti Pag. 4radioattive sigillate ad alta attività e delle sorgenti orfane», ribadisce che il gestore del servizio integrato è l'ENEA. Tale decreto attribuisce indirettamente a Nucleco la qualifica di impianto riconosciuto, in quanto autorizzato al trattamento, al condizionamento ed al deposito provvisorio di breve e lungo termine, o allo smaltimento di sorgenti destinate a non essere più utilizzate. Sulla base di tali disposizioni ENEA e Nucleco hanno stipulato una specifica convenzione, a partire dal 15 giugno 1989, e da ultimo rinnovata quest'anno, attraverso la quale ENEA esercitazione di indirizzo e supervisiona a livello nazionale sull'intero comparto e la raccolta e gestione dei rifiuti radioattivi, sempre di origine non elettronucleare; ENEA rilascia a tutti gli operatori privati, su loro richiesta, un attestato di appartenenza al servizio integrato, a seguito di valutazione delle loro effettive capacità tecniche ed autorizzative, e a fronte dell'impegno a trasferire in Nucleco i rifiuti e le sorgenti raccolte. Attualmente gli operatori privati in ambito nazionale, a parte Nucleco, sono sette. ENEA rende disponibile a Nucleco le proprie infrastrutture di deposito temporaneo, di impianti di trattamento e condizionamento, attraverso specifici contratti di locazione ed affidamento. Inoltre ENEA assume la proprietà dei rifiuti condizionati finali, raccolti da tutti gli operatori del servizio, inclusa Nucleco, trattati e condizionati da Nucleco, che assicura che siano svolte tutte le attività di trattamento, condizionamento e deposito temporaneo, secondo le disposizioni del nullaosta di cui ENEA è titolare. Le specifiche tecniche operative, relative al servizio integrato, sono predisposte da ENEA, congiuntamente con Nucleco, in sede di comitato di gestione della convenzione tra le parti. I volumi di rifiuto generati dai settori medico ospedaliero, ricerca e industria, sono abbastanza contenuti, circa 500 – 1000 metri cubi l'anno e, sebbene molto variabili, sono comunque soggetti a contrazione, cioè, con il tempo ce ne sono sempre meno.
  Decommissioning e bonifiche. Nucleco, sin dalla sua costituzione, opera nel settore del decommissioning delle installazioni nucleari e dei siti contaminati da sostanze radioattive. Le attività sono iniziate nel 1984 con lo smantellamento di reattori di ricerca ENEA, Rospo, Ritmo e Rana, e ha sviluppato nel corso degli anni competenze e know-how unici a livello nazionale unici nell'ambito delle attività connesse al decommissioning, occupandosi di tutte le fasi, dalla progettazione allo smantellamento e bonifica delle installazioni, ivi incluso il trattamento in sito presso i propri impianti di Casaccia. In questo ambito sono state svolte numerose campagne di trattamento di rifiuti radioattivi, quali, ad esempio la supercompattazione di rifiuti a media e bassa attività sui siti Sogin di Caorso, Trino, Garigliano, Trisaia e Boscomarengo. Naturalmente tutti i rifiuti trattati in questi siti, provenienti da questi siti, vengono rimandati sul sito di provenienza al termine del trattamento. Nell'ambito dell'attività di decommissioning la società ha anche notevole esperienza operativa nella bonifica da amianto contaminato da sostanze radioattive, quindi è un caso più unico che raro, e sono stati svolti presso impianti Sogin numerosi interventi di bonifica, presso il sito di Garigliano sono stati rimossi, dal 2008 al 2010, 17 tonnellate di amianto dall'edificio reattore, mentre su Caorso è stata effettuata la completa bonifica di un edificio. Inoltre sono state eseguite bonifiche di terreni, quali quelli presso il sito di Latina, ove sono stati rimossi tra il 2007 e il 2019 circa 10 tonnellate di terre contaminate da amianto, fibre artificiali vetrose, su un'area di 3600 metri quadri intorno alla centrale. Inoltre Nucleco ha svolto nel recente passato importanti attività di bonifica dei siti privati, contenenti sostanze radioattive in aree urbane. Tra le più importanti 2009 – 2010 la bonifica disposta dal commissario delegato prefetto di Campobasso, dei locali di un antico fabbricato nel centro storico di Castelmauro, all'interno dei quali erano conservati per decenni circa 2.000 fusti di rifiuti radioattivi a media e bassa attività. Nel 2013 la bonifica di un magazzino nel cortile di un condominio di civili abitazioni in pieno centro a Milano e nell'ultimo biennio stiamo procedendo alla bonifica del sito della società Cemerad, presso Statte, Pag. 5affidato al commissario straordinario, nominato alla Sogin, e che si avvale anche di Nucleco come braccio operativo. Il deposito Ex Cemerad utilizzato nel 1984 ha raggiunto la saturazione in pochi anni ed è stato sottoposto a sequestro giudiziario. L'inventario è costituito da 16.500 colli, di cui 3.500 hanno valori di concentrazione di radioattività superiori al limite della rilevanza radiologica, e circa 13.000 colli sembrerebbero avere valore di concentrazione inferiore ai limiti della rilevanza. Attualmente, date le oggettive difficoltà di selezione dei rifiuti radioattivi rispetto a quelli decaduti, il limitato spazio a disposizione all'interno del deposito per la movimentazione e i limiti di stoccaggio dei colli all'esterno dello stesso, sono stati allontanati dal sito di Statte 86 fusti a più alto contenuto radiologico e 576 fusti contenenti rifiuti radioattivi allo stato solido, 36 fusti di rifiuti radioattivi acquosi ed oltre 8.000 fusti di rifiuti con concentrazione radioattiva inferiore ai limiti della rilevanza radiologica. L'intervento si presume sarà concluso nel 2020 con la caratterizzazione della bonifica radiologica del sito stesso, finalizzata al rilascio incondizionato e privo di vincoli radiologici. Nel corso degli anni Nucleco è intervenuta nella fase di emergenza di alcune fonderie, dove incidentalmente erano state fuse delle piccole sorgenti radioattive, insieme a rottami metallici di recupero. Tali interventi sono disciplinati dall'articolo 122-bis del decreto legislativo 230 del 1995, ove è previsto che nelle situazioni che comportino un'esposizione prolungata dovuta agli effetti di un'emergenza radiologica, oppure in una pratica non più in atto, le autorità competenti per gli interventi, ai sensi della legge 25 febbraio 1992, adottano i provvedimenti opportuni, tenendo conto dei principi generali per gli interventi in caso di emergenza. Nel 1997 è intervenuta presso l'acciaieria Alfa Acciai di Brescia, nella quale erano state incidentalmente fuse sorgenti di Cesio 137 e di Cobalto 60, e a seguito di bonifica, le polveri contaminate con il Cesio sono state stoccate in contenitori intermedi a loro confinati in contenitori Casagrande, che sono collocati insieme ai prodotti finiti contaminati da Cobalto in un apposito deposito all'interno dello stabilimento. Nel 2004 eseguito un intervento all'Acciaieria Beltrame di Vicenza, dove a seguito della fusione nell'altoforno di una sorgente radioattiva sigillata, non rilevata dal sistema di controllo radiometrico, si è proceduto alla bonifica del sito con la produzione di circa 267 tonnellate di residui, con concentrazioni superiori ai 380 Becquerel per chilogrammo, inseriti in contenitori metallici intermedi, ognuno poi collocato all'interno di un contenitore Casagrande e stoccati in sito su una piattaforma in calcestruzzo armato realizzata allo scopo. È da sottolineare che grazie alle indagini alla Beltrame, si è potuto risalire al ritrovamento di altre due sorgenti orfane di Cesio, racchiuse in schermi in piombo e abbandonate negli ex cantieri della linea tranviaria Rapida di Napoli. Le sorgenti sono state quindi trasferite nei depositi della Nucleco. In entrambi i casi la fase di emergenza si è conclusa con il rilascio di nullaosta all'impiego di sorgenti ai fini del solo stoccaggio dei materiali contaminati, passando quindi da una situazione di emergenza alla gestione di una pratica. I depositi Alfa Acciai e Beltrame sono oggi censiti fra i depositi di rifiuti radioattivi presenti sul territorio nazionale. Ultimo caso descritto è l'ex cava Piccinelli, originariamente una cava di sabbia e ghiaia per materiali da costruzione dismessa nel 1976, dove all'epoca aveva sede anche la Cogi Metal, una ditta che ripuliva e commerciava rottami ferrosi. Vengono rilevati nel 1998 livelli di contaminazione di Cesio in scorie di alluminio interrate vicino al capannone dell'ex fonderia. Nel biennio successivo Nucleco a valle delle indagini radiologiche mirate ha eseguito un'attività di messa in sicurezza temporanea, seguita nel 2012 dalla messa in sicurezza dell'ex cava, con il trasferimento del materiale radiocontaminato in Nucleco, erano 20 fusti da 220 litri, e previa mappatura radiologica, l'allestimento impermeabilizzanti ed aree di flusso nell'acqua meteorica. Questa è la descrizione di Nucleco.
  Adesso passiamo alle richieste sui dati d'esperienza. Il primo punto da sottolineare sono le bonifiche dei siti contaminati. Pag. 6Nucleco in qualità di operatore nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi e sorgenti dismesse, con particolare riferimento ai rifiuti d'origine non elettronucleare, svolge da anni un monitoraggio continuo, anche attraverso notizie di stampa, in merito a problematiche di contaminazione di aree industriali o terreni da materiali radioattivi, nonché al ritrovamento di sorgenti orfane. La principale difficoltà che si incontra quando si affronta un intervento di bonifica con contaminazione di natura radiologica, è la gestione dei rifiuti radioattivi derivanti dall'intervento, sia in termini di volumi, sia in termini di attività dei radionuclidi presenti, con particolare riguardo alla destinazione finale.
  La normativa vigente consente il conferimento a terzi dei rifiuti ai fini dello smaltimento, riciclo o riutilizzazione, solo quando detti rifiuti o materiali contengano radionuclidi con tempo di dimezzamento fisico inferiore a 75 giorni, e in concentrazione non superiore a determinati valori. Negli altri casi l'allontanamento di materiali contenenti sostanze radioattive, per essere smaltiti in installazioni alle quali non si applicano le norme del decreto legislativo 230, è soggetto ad apposite prescrizioni in cui prevedere i livelli di allontanamento dei materiali rilasciabili, se non è disciplinato dai provvedimenti autorizzativi, è comunque soggetto ad autorizzazione. L'alternativa alla spedizione all'estero ai fini dello smaltimento di questi rifiuti esige un accordo tra lo Stato Italiano e lo Stato di destinazione, per poter utilizzare un impianto di smaltimento situato in quest'ultimo. Da questo quadro ricognitivo delle disposizioni di legge, emerge che l'unica possibilità di sistemazione dei rifiuti radioattivi, al di fuori dei limitati casi richiamati, è lo stoccaggio presso un'installazione autorizzata. In Italia, escludendo l'installazione utilizzata, di cui al capo settimo del decreto legislativo n. 230 del 1995, cioè gli impianti nucleari, la disponibilità di stoccare rifiuti radioattivi risiede in alcuni operatori del servizio integrato, in possesso delle corrette autorizzazioni. Il volume di rifiuti radioattivi derivanti da interventi di bonifica di siti industriali, per lo più acciaierie per la produzione di acciaio da rottami metallici situate in Lombardia e Veneto, contaminate accidentalmente a seguito di fusione di sorgenti radioattive, ammontano a circa 2.000 metri cubi, escluse le quantità presenti presso discariche di scorie di fonderia e terre di Metalli Capra, Caprino del Colle, e di ex Cava Piccinelli, questi dati vengono dal programma nazionale. La domanda che viene da questo comparto è l'allontanamento dei rifiuti radioattivi dei propri siti al fine di rendere le aree prive di vincoli radiologici e destinarli ad altri utilizzi industriali o commerciali. A tale domanda possono attualmente rispondere solo gli operatori del servizio integrato in possesso delle necessarie autorizzazioni. La questione che allora si pone è duplice: la disponibilità degli spazi sufficienti per lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti, oppure l'assunzione del titolo di proprietà dei rifiuti, stante l'indeterminatezza della destinazione finale in termini di tempistiche, sulla disponibilità di un impianto di smaltimento nazionale, sugli oneri di futuro conferimento, e infine di accettazione di tale tipologia di rifiuto, avendo avuto riguardo dello scarso grado di conoscenze che si ha delle caratteristiche fisiche e chimiche di parte di questi materiali. Ai sensi dell'attuale classificazione dei rifiuti, questi rientrano prevalentemente nella classe di rifiuti d'attività molto bassa. Il decreto prevede che tali rifiuti possano essere smaltiti in impianti di smaltimento superficiale con barriere semplici, ovvero con barriere ingegneristiche, quali il deposito nazionale. Due sono le possibili soluzioni, la cui praticabilità è direttamente collegata al volume di rifiuti in gioco: la prima è lo stoccaggio temporaneo di rifiuti radioattivi sul sito di origine ed è il metodo adottato da Alfa Acciai e Acciaierie Beltrami di Vicenza, entrambi i siti sono in possesso di nulla osta e quindi procedono allo stoccaggio; la seconda via è la rimozione di tutti i rifiuti e il loro conferimento ad uno o più soggetti terzi in possesso delle necessarie autorizzazioni. La prima soluzione si può applicare in modo sistematico a tutti i siti, ma non libera il sito dai vincoli di natura radiologica, è meno onerosa, in quanto Pag. 7rinvia l'esborso più ingente legato al conferimento dei rifiuti al deposito nazionale alla data in cui questo entrerà in servizio. La seconda soluzione è radicale, ma si scontra con le criticità prima evidenziate: limitata disponibilità di spazio di stoccaggio temporaneo, che la rende praticabile solo per volumi ridotti; i consistenti oneri economici da sostenere nell'immediato da parte del proprietario o dello stato, ove dovessero ricorrerne i presupposti, e da corrispondere ad un soggetto terzo, operatore del servizio integrato, per l'assunzione del titolo di proprietà di rifiuti e successivo conferimento al deposito nazionale; l'ultimo rischio è quello assunto dall'operatore del servizio integrato, che si rendesse disponibile, in assenza di un quadro normativo certo per il conferimento di questa tipologia di rifiuti al deposito nazionale. Gli oneri economici potranno essere sostenuti direttamente dai proprietari dei siti, laddove esista una capacità dai proprietari dei siti, laddove esista una capacità finanziaria, mentre, ove dovesse mancare, e nelle condizioni che comportano pericoli per la pubblica incolumità, si può far ricorso all'articolo 1, comma 536 della legge di bilancio per l'anno 2018. Tale norma prevede l'istituzione di un fondo presso il Ministero dell'ambiente con una dotazione di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni, dal 2018 al 2020 per finanziare interventi di bonifica di cui all'articolo 126-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995, per la messa in sicurezza ed il risanamento dei siti con presenza di rifiuti radioattivi, prodotti da interventi di bonifica di installazioni industriali contaminate da sostanze radioattive, a seguito di fusioni accidentali. Per entrambe le soluzioni sarebbe importante l'emanazione di linee guida da parte delle competenti autorità con l'obiettivo di definire tipologie di intervento simili per i diversi siti, e di assicurare i medesimi standard di qualità e di sicurezza. L'indeterminatezza e la destinazione finale dei rifiuti, poi, pone un rischio finanziario in capo al soggetto economico che assume la titolarità del rifiuto, e in ultima istanza all'amministrazione pubblica, laddove il soggetto economico privato dovesse fallire o non essere più in grado in futuro di assolvere i propri obblighi. Sarebbe pertanto prudente, per evitare il ripetersi di vicende quali Castelmauro o Cemerad, prevedere per gli interventi di bonifica, nei quali è contemplato il conferimento dei rifiuti radioattivi ad altro soggetto economico, disposizioni normative tese a garantire il mantenimento delle obbligazioni assunte con la presa in carico della titolarità del rifiuto. Si potrebbe, ad esempio, stabilire l'obbligo per il soggetto che acquisisce il titolo di proprietà dei rifiuti, di costituzione di un fondo ad hoc, soggetto a controllo di enti esterni e le cui somme sono vincolate a quello specifico utilizzo, destinazione un deposito nazionale.
  Ora parliamo di Norm e Tenorm. Quasi tutti i materiali naturali contengono uranio e torio e gli elementi associati alla loro catena di decadimento radioattivo. Molti materiali, inoltre, contengono altri elementi radioattivi naturali, come trizio, carbonio 14, e potassio 40. Tutti i materiali con livello di radioattività naturale apprezzabili, vengono definiti Norm, cioè Naturally Occurring Radioactive Materials e i materiali originati da processi di trattamento, che hanno generato una concentrazione della radioattività naturale, vengono definiti Tenorm, cioè Technologically Enhanced Naturally Occurring Radioactive Materials. Il livello di radioattività di questi materiali può essere molto variabile, dipendentemente dall'origine del materiale e dei trattamenti che ha subito. In alcune circostanze non può essere considerato trascurabile, raggiungendo anche valori di centinaia e più di becquerel grammo, come peraltro rilevato dalla Commissione Europea nella ErP 135. Nella normativa nazionale, al capo 3-bis del decreto legislativo 230 del 1995, sono regolate le esposizioni da attività lavorative con particolari sorgenti naturali di radiazioni. In particolare all’ex articolo 10-bis, comma 1, per l'uso e lo stoccaggio di materiali della produzione di residui abitualmente non considerati radioattivi, ma che contengono radionuclidi naturali e che provocano un aumento significativo dell'esposizione dei lavoratori, ed eventualmente delle persone del pubblico, Pag. 8 sono stati stabiliti i limiti di dose di un millisievert anno per i lavoratori, e 300 microsievert anno per le persone del pubblico. Le filiere industriali maggiormente passibili di dover affrontare tale problematica, sono quelle di estrazione di petrolio e gas, lavorazione dei metalli: ferro e acciaio, lavorazione dei fosfati e produzione dei fertilizzanti, la lavorazione dell'ossido di titanio e la produzione di pigmenti, estrazioni di zirconi e terre rare, produzione di cemento, lavorazioni ed utilizzo di torio per composti di saldatura. Nucleco recentemente è intervenuta più volte in tale settore: ha effettuato la bonifica del parco rottami dello stabilimento Tioxide di Scarlino, provincia di Grosseto, con la separazione di coibenti e refrattari contaminati da Norm e Tenorm da apparecchiature di processo; ha effettuato intervento di caratterizzazione dei materiali provenienti dalla discarica di fosfogessi e dall'impianto di acido fosforico e messa in sicurezza, presso il sito Isaf di Gela, analogamente per il sito di Porto Marghera. I tecnici della società, inoltre, partecipano attivamente alla stesura della normativa di settore in ambito Unicen, in particolare Nucleco coordina la relazione di norme sulla tematica di Norm e Tenorm, dove ha potuto trasferire l'esperienza maturata in attività proprie. Norm e Tenorm sono materiali a bassa e bassissima attività, simili a quelli dei veri low level waste di origine nucleare, ma con tempi di dimezzamento notevolmente più lunghi. I grandi volumi di materiali coinvolti costituiscono la maggiore difficoltà per la risistemazione definitiva di tali materiali ed il completo rilascio del sito da bonificare. Raramente è possibile recuperare completamente un sito e restituirlo alla collettività senza vincoli.
  Altro punto d'attenzione sono i ciclotroni. L'utilizzo dei ciclotroni, quali macchine acceleratrici di ioni in ambito medicale, è legato alla necessità di produrre radioisotopi beta+ emettitori per la tomografia di emissione di positroni, la Pet. Durante il funzionamento dei ciclotroni, i materiali che lo compongono, le pareti della sala in cui è collocato e tutte le altre strutture ausiliarie, sono sottoposte ad intensa irradiazione neutronica, che provoca l'attivazione di alcuni metalli. Il processo di attivazione dei materiali strutturali, la macchina non costituisce un problema in fase di normale esercizio della macchina, ma quando il ciclotrone giunge a fine vita, 15 – 20 anni, è necessario approntare una strategia di decommissioning dell'impianto. La totalità delle strutture ospedaliere, risulta un questionario promosso dal Politecnico di Milano, afferma di non aver considerato, tantomeno programmato, alcuna attività di decommissioning. La gestione dei materiali che compongono il ciclotrone e la sala di installazione, come rifiuti radioattivi, comporta un aggravio economico difficilmente sostenibile da una struttura ospedaliera. Inoltre, manca una normativa univoca a livello nazionale ed internazionale, riguardante il decommissioning dei ciclotroni e la valutazione dei materiali attivati ai fini della loro gestione in sicurezza. La maggior parte dei radionuclidi prodotti dall'attivazione è caratterizzata da tempi di dimezzamento superiori a 75 giorni, quindi non rilasciabile, e i rifiuti prodotti nell'ambito del decommissioning, devono essere considerati come rifiuto radioattivo. Per poter stabilire una modalità di allontanamento giustificata e ottimizzata è necessario stimare la concentrazione di attività di tali rifiuti e riferirsi a livelli di allontanamento specifico per radionuclide al di sotto del quale è consentito. Tali livelli non sono specificati dalla Legge, tuttavia sono di norma contenuti nelle prescrizioni dei provvedimenti autorizzativi per l'impiego di sorgenti. Nei casi internazionali più recenti di decommissioning di ciclotroni medicali sono stati adottati livelli di allontanamento definiti da una delle safety guides della Iaea, attualmente in vigore. Tali limiti sono superati nel caso di componenti specifici della macchina, caratterizzati da elevati livelli di attivazione, anche sì si tratta di volumi piuttosto contenuti, inferiori ai 10 metri cubi. La concentrazione di attività nelle schermature e nelle pareti della sala ciclotrone è inferiore è quella tipica dei componenti della macchina, ma può superare i suddetti limiti di allontanamento, incidendo sulla gestione della pratica radiologica, Pag. 9 nel momento in cui l'attività di decommissioning prevede lo smaltimento, non solo della macchina, ma dell'intera sala di installazione. È necessaria, pertanto, una valutazione accurata dell'attività indotta nel calcestruzzo il cui andamento risulta decisamente non uniforme, ma dipendente sia dalla posizione, sia dalla profondità, con il fine ultimo di selezionare e trattare opportunamente le sole porzioni di calcestruzzo che presentano concentrazioni di attività superiori ai limiti. Il volume di rifiuti radioattivi stimato, derivante dal decommissioning di ciclotroni medicali da qui al 2038 è variabile nella misura tra gli 800 e i 1400 metri cubi in relazione agli scenari di esenzione dell'applicazione del decreto 230.
  L'altra domanda era relativa all'elenco della documentazione Nucleco. Allora, l'attività di progettazione e realizzazione di servizi di caratterizzazione, raccolta, trasporto, trattamento, condizionamento, inclusi i relativi processi di qualifica e stoccaggio temporaneo di rifiuti radioattivi, solidi, liquidi, a bassa e media attività e sorgenti, nonché di progettazione e costruzione di impianti ed infrastrutture e bonifiche per la decontaminazione di siti industriali ed installazioni nucleari, sono svolti in coerenza con il sistema di gestione qualità, di cui Nucleco è dotata. Nucleco è certificata secondo gli standard Uni Iso 9001 per la qualità, Uni Iso 14001 per l'ambiente, Uni Iso 45001 per la salute e sicurezza sul lavoro e recentemente ha ottenuto il certificato EMAS. Oltre alle certificazioni relative ai temi della qualità dell'ambiente e della sicurezza sul lavoro, Nucleco ha ottenuto nel 2017 il certificato social accountability international standard, la SA 8000 per il sistema di gestione della responsabilità sociale. Per questi motivi si opera in forza di specifiche autorizzazioni in Italia e all'estero, in particolare in merito all'attività di trasporto e trattamento di rifiuti radioattivi sono in corso di validità le seguenti autorizzazioni: decreto per modalità di trasporto stradale di materie radioattive, Ministero dello sviluppo economico, autorizzazione della raccolta di rifiuti radioattivi provenienti da terzi, sempre il Ministero dello sviluppo economico; nullaosta di categoria A per l'impiego di sorgenti di radiazioni ionizzanti, anche lì Ministero dello sviluppo economico; nullaosta per l'esercizio del complesso delle istallazioni per il trattamento, condizionamento, deposito, smaltimento dei rifiuti, Mise; e poi uno finalmente emesso dalla provincia di Roma, che è l'autorizzazione unica ambientale. In relazione al nullaosta per l'esercizio delle installazioni, il presidente ENEA ha conferito al presidente sottoscritto ed all'amministratore delegato il mandato speciale con rappresentanza, affinché si provvedano ad attuare le condizioni e le prescrizioni contenute nel decreto in relazione all'attività che Nucleco svolge a livello internazionale e poi in essere la licenza di esercizio come impresa esterna su impianti e/o installazioni nucleari presenti sul territorio nazionale della Germania, in accordo e conformità alla legge tedesca, rilasciata dal Consiglio regionale di Karlsruhe. I criteri, le modalità, i mezzi, l'organizzazione e le risorse adottate per seguire le attività ed erogare i servizi sono stabiliti in procedure ed istruzioni operative conformi alle prescrizioni delle autorizzazioni e ai requisiti delle norme di riferimento. Tutta la documentazione che regolamenta le attività in Nucleco è consultabile presso la sede della società. I certificati di qualità, ambiente e sicurezza, nonché la documentazione inerente alla governance e ai bilanci della società sono invece sul sito www.nucleco.it.

  TULLIO PATASSINI. Grazie per la corposa relazione che avremo modo di rileggere e studiare. Io vorrei sintetizzare due aspetti che probabilmente sono fondamentali. Le dimensioni di Nucleco? Cioè, quanti dipendenti avete? Quanto siete grandi? Perché da quello che ho capito voi lavorate solo a Casaccia.

  ALESSANDRO DODARO, Presidente della società Nucleco. Siamo circa 220 dipendenti. La sede principale di Nucleco è la Casaccia, dove abbiamo gli impianti di gestione, trattamento, caratterizzazione ed i depositi temporanei, ma in realtà siamo dislocati su tutti i siti ove ci sono delle Pag. 10attività che facciamo, sui siti Sogin, dove facciamo supporto alle attività e alle decommissioning, siamo stati al Cisam, dovunque ci sia un'attività da fare andiamo in loco.

  TULLIO PATASSINI. Collegato a questo l'altra domanda, semplicemente per inquadrare proprio la questione Nucleco; lei ha detto che quando fate attività di decommissioning, di trattamento, di gestione siti contaminati, solitamente portate in un impianto di trattamento il materiale e poi lo riportate in loco. Allora, vorremmo capire di più rispetto a questo aspetto, perché se voi riportate il materiale in loco, quel sito non è più decontaminato, ma è un sito di stoccaggio temporaneo; oppure, se lì non possono essere stoccati, per mille motivi, dove viene stoccato questo materiale? E da ultimo, e poi non le chiedo altro, tutta la questione della gestione e trattamento dei rifiuti nucleari da trattamenti sanitari, medico ospedalieri, Nucleco che ruolo ha?

  ALESSANDRO DODARO, Presidente della società Nucleco. Prima probabilmente non sono stato chiaro. Quando noi facciamo degli interventi su rifiuti radioattivi che provengono da centrali nucleari o da impianti del ciclo del combustibile, quindi tipicamente Sogin, perché in Italia è l'unico gestore di questi materiali, noi siamo tenuti a fare il trattamento in Nucleco e poi rispedire il rifiuto, ma si tratta soltanto di questa tipologia. Cioè, noi non siamo autorizzati a detenere i rifiuti che provengono dalle centrali nucleari. Tutti gli altri rifiuti, quelli che vengono dal comparto biomedicale, industria, ricerca e sviluppo, invece, possiamo detenerli, e quindi, una volta trattati e condizionati, rimangono in Nucleco ed ENEA assume la titolarità del rifiuto. Quindi, questa è la prima risposta. È solo una frazione che non viene trattenuta, perché è responsabilità di Sogin. L'altra domanda è relativa a qual è il ruolo di Nucleco. Noi siamo il collettore finale, di fatto, di tutto ciò che non è rilasciabile senza vincoli radiologici, tant'è che gli altri operatori del servizio integrato, che raccolgono dagli ospedali, dai centri di medicina nucleare, i materiali radioattivi, fanno una cernita, separano i rifiuti rilasciabili da quelli non rilasciabili, e quelli non rilasciabili vengono trasportati in Nucleco che li tratta, li mette in sicurezza e li mantiene a deposito, passando alla titolare del rifiuto, sempre all'ENEA, che è il gestore del servizio integrato.

  PRESIDENTE. Per quanto riguarda quelli rilasciabili e non rilasciabili, lo smaltimento come avviene, non solo con il deposito, ma anche con l'incenerimento; o quali altre tecniche poi per lo smaltimento? Per quanto riguarda, invece, le sorgenti orfane, quali sono le casistiche o le problematiche che riscontrate e come vi comportate?

  ALESSANDRO DODARO, Presidente della società Nucleco. Allora, per quanto riguarda le tecniche di smaltimento, stiamo parlando di rifiuti non radioattivi perché, quando sono al di sotto dei limiti della rilevanza radiologica, tendenzialmente vengono inceneriti. Quindi, una volta che si è sicuri che il rifiuto non ha un problema radiologico, viene ceduto ad un inceneritore, ed è una cosa che non fa soltanto la Nucleco, ma tutti gli operatori del servizio integrato. Quando, invece, il rifiuto è radioattivo, in realtà, tutti parliamo di smaltimento, ma non è un vero e proprio smaltimento, perché quello avverrà solo quando ci sarà il deposito nazionale. Si tratta sempre di conferimento temporaneo, noi abbiamo dei depositi temporanei. Quando ci sarà il deposito nazionale, faremo lo smaltimento, quindi diventa un pezzo di cemento.

  PRESIDENTE. Dove sono i vostri depositi temporanei?

  ALESSANDRO DODARO, Presidente della società Nucleco. Tutti in Casaccia. I nostri capannoni sono tutti in Casaccia. Riguardo, invece alle sorgenti orfane, questo è più un tema ENEA, perché Nucleco agisce come operatore, però sappiamo quali sono le problematiche delle sorgenti orfane, cioè il fatto che la normativa italiana non prevede un intervento da parte del proprietario Pag. 11della sorgente, perché stranamente una sorgente orfana può avere un proprietario ma essere considerata comunque orfana, e quindi alcune volte si chiede ad ENEA di intervenire per portare via quella sorgente, senza che il proprietario o colui che ce l'ha in quel momento nella disponibilità debba intervenire economicamente. È successo un caso di una clinica di Palermo, dove per una questione di eredità è stoccata una sorgente per la cobalto-terapia e un intervento che, chiesto a Nucleco come operatore, chiesto di valutare a Nucleco come operatore negli anni duemila, era valutabile in circa 300.000 euro, non è stato dato seguito all'azione, poi c'è stata la successione, e un bel giorno la prefettura di Palermo ha chiesto all'ENEA di prendersi quella sorgente senza spese da parte di nessuno. E l'ENEA purtroppo ha dovuto dire di no perché noi abbiamo dei vincoli economici, l'ENEA in quel caso ha dei vincoli di natura economica per cui non può prendere 300.000 euro e spenderli per quello. Quindi adesso è in corso una valutazione per capire chi dovrà finanziare questa attività. Casi come questi purtroppo ce ne sono, proprio perché la normativa italiana non è estremamente precisa su chi debba prendersi la competenza economica di una sorgente orfana.

  PRESIDENTE. In generale sappiamo tutti le problematiche della gestione dei rifiuti radioattivi legati alla mancanza di un deposito unico. Quali altri problemi ci sono per quanto riguarda il vostro punto di vista, il vostro lavoro, per la gestione dei rifiuti radioattivi?

  ALESSANDRO DODARO, Presidente della società Nucleco. A parte le problematiche sui volumi, nel senso che, come ho detto durante la relazione, ci sono tanti casi soprattutto nel nord Italia dove ci sono grandi volumi di rifiuti radioattivi, che possono essere gestiti in sicurezza in maniera molto semplice, ma bisogna individuare un posto dove stoccarli. E quindi noi, per esempio, suggeriamo sempre di seguire l'esempio di Alfa Acciai e della Beltrame, che si sono costituiti il loro piccolo deposito temporaneo, gestito in massima sicurezza, con un esborso economico non grande; però lamentano, le persone a cui proponiamo questa soluzione, di dover immobilizzare, non poter utilizzare a fini industriali o commerciali, le aree dedicate a deposito. Quindi questo è uno dei problemi, bisognerebbe individuare dei depositi regionali, diciamo così, dove poter stoccare in sicurezza questi materiali che, proprio per la loro provenienza, non hanno grandi problematiche di gestione e grandi pericoli per la popolazione. Bisognerebbe avere un po’ di coraggio probabilmente e fare qualcosa del genere. Però parlare di depositi temporanei in Italia è un po’ pericoloso, non piace.

  PRESIDENTE. Soprattutto perché spesso il temporaneo diventa eterno. E per quanto riguarda invece quello che aveva detto prima su quella sorgente orfana a Palermo, ma attualmente si trova dove? È in condizioni di sicurezza immagino? Perché sussiste la necessità e urgenza di rimuoverlo?

  ALESSANDRO DODARO, Presidente della società Nucleco. È sempre il discorso di liberare un'area. La sorgente si trova nel bunker dov'era installato il macchinario per la cobalto-terapia e, se nessuno entra nel bunker, che è sottoposto a sorveglianza radiologica, non c'è nessun rischio vero né urgenza. È chiaro che la proprietà della clinica vorrebbe liberare la zona per poter utilizzare a pieno le potenzialità dell'infrastruttura. Quindi c'è da una parte l'esigenza del privato, poter utilizzare al meglio le aree a disposizione, dall'altra quella della finanza pubblica, che non può permettersi di fare interventi come per esempio quello fatto per Cemerad che è costato un bel po’ di milioni alla finanza pubblica, per risolvere delle problematiche dei privati. Il Cemerad è un fallimento, nel senso lo paghiamo noi come contribuenti.

  PRESIDENTE. Lo sappiamo, ce ne siamo occupati noi la scorsa legislatura, però insomma era in un capannone arrugginito.

  ALESSANDRO DODARO, Presidente della società Nucleco. Lì c'era un rischio effettivo Pag. 12e bisognava intervenire assolutamente e noi ci stiamo adoperando per risolvere il problema il prima possibile, perché era una situazione rischiosa insomma.

  PRESIDENTE. Quindi nel medio e lungo periodo, in attesa del deposito nazionale, c'è un problema di spazi? Nel senso, dove stoccare via via i rifiuti radioattivi a bassa e media attività?

  ALESSANDRO DODARO, Presidente della società Nucleco. Sì, il problema degli spazi c'è. Noi Nucleco riusciamo a gestire i rifiuti che abbiamo. Noi facciamo attività di compattazione, quindi di riduzione dei volumi. Adesso abbiamo un contratto con la società slovacca per fare l'incenerimento e recupero delle ceneri che vengono come risultato dell'incenerimento, e quindi una riduzione di volumi notevole. Quindi noi ci stiamo muovendo nella direzione di garantire il più a lungo possibile la disponibilità di spazi. È chiaro che la disponibilità non è infinita, perché la Casaccia è un posto finito, noi abbiamo 7.000 metri quadrati di depositi e non è pensabile ingrandirli. Quindi l'obiettivo deve essere quello di trasformare il rifiuto radioattivo, solo ed esclusivamente quello che deve essere rifiuto radioattivo, compattare il più possibile i volumi e rilasciare il più possibile ciò che, nel rispetto della normativa e della buona tecnica, possa essere rilasciato. Magari una maggiore snellezza in questo tipo di autorizzazioni, sempre rispettando rigorosamente le regole e le quantità, potrebbe essere un aiuto.

  PRESIDENTE. Le tecniche per compattare i rifiuti e le tecniche per rilasciarne una quantità maggiore, diciamo così, sono in continua evoluzione? C'è stata un'accelerazione, si è investito nel settore? Oppure le tecniche ormai sono consolidate da tempo e non c'è stata un'evoluzione?

  ALESSANDRO DODARO, Presidente della società Nucleco. C'è stato un periodo in cui, soprattutto nell'ambito della riduzione dei volumi, non si ricercava molto, anche perché la supercompattazione, che è quella che facciamo in Nucleco, è già un metodo che negli anni ’80 e ’90 era innovativo, adesso siamo noi ad averlo in Italia e nessun altro, ma funziona. Noi però ci siamo mossi anche su altri fronti, nel senso che, appunto, la via dell'incenerimento all'estero, con il recupero delle ceneri, prodotto di questo incenerimento, è forse la più grande riduzione di volume possibile. Noi abbiamo fatto un progetto pilota anni fa, abbiamo spedito 40 metri cubi di rifiuti che sono stati inceneriti e sono rientrati in Italia 4 fusti, quindi meno di un metro cubo di rifiuti, da 40 che ne abbiamo mandato. E non siamo stati efficienti. Nel nuovo lotto che stiamo incominciando a spedire adesso prevediamo una riduzione di circa 1 a 80, quindi bisogna investire, noi abbiamo studiato, abbiamo investito, e adesso abbiamo fatto questo contratto per aumentare la capacità di riduzione di volume e ci stiamo muovendo in questo senso. Gli altri operatori di solito si limitano a distinguere fra rifiuto radioattivo e non radioattivo, quindi in quel caso si investe sulle tecniche di misura, per garantire che il risultato sia vero e non si faccia l'errore di mandare in giro un rifiuto che non dovrebbe essere mai radioattivo. Quindi in questo caso la ricerca è più spinta verso l'accuratezza delle misure, che è fondamentale, perché se siamo vicini a un limite per il rilascio o meno, se la tecnica è accurata siamo sicuri di poter rilasciare, se la tecnica non è accurata rischiamo di mandar via qualcosa che non si dovrebbe. Noi personalmente applichiamo addirittura dei fattori di scala, per cui, diciamo che se il limite è 1, noi rilasciamo se stiamo a 0,1, in modo che siamo sicuri che lo sia.

  PRESIDENTE. Perché inceneritori all'estero? In Italia non ci sono inceneritori in grado di fare una cosa del genere? E come funziona? Nel senso che, visto che ci vuole un inceneritore specifico per quello?

  ALESSANDRO DODARO, Presidente della società Nucleco. In Italia non è consentito dalla legge incenerire rifiuti radioattivi sul territorio nazionale. È consentito fare il trattamento di incenerimento all'estero senza necessità di un accordo fra gli Stati, ma è Pag. 13necessario per questo avere un'autorizzazione e quello che succede e che è successo in questi due casi in cui lo stiamo facendo, è che noi dobbiamo chiedere al Ministero dello sviluppo economico l'autorizzazione a spedire dei rifiuti per essere trattati, con la clausola del rientro. I rifiuti devono rispettare delle condizioni poste dall'autorità di controllo, quindi c'è stata una lunga negoziazione con ISIN per capire quali potevano essere i criteri di equivalenza radiologica fra ciò che noi spedivamo e ciò che noi riportiamo in Italia, perché naturalmente non possiamo lasciare fuori della radioattività, perché significherebbe vendere dei rifiuti radioattivi e questo non è consentito. Non possiamo neanche ricevere gli stessi nuclei che abbiamo mandato perché nei processi di incenerimento alcuni vanno in atmosfera e quindi non è possibile spedire e ricevere la stessa cosa. E quindi abbiamo stabilito con l'autorità di controllo, o meglio l'autorità di controllo ha stabilito quelle che sono le regole, quindi la rilevanza radiologica dei rifiuti che noi mandiamo deve essere equivalente alla rilevanza radiologica dei rifiuti che importiamo. Quindi in pratica c'è un'equivalenza fra ciò che noi spediamo, che è un volume grande con un certo quantitativo di radioattività e ciò che rientra che è un volume piccolo con un contenuto radioattivo analogo, queste sono le regole. E l'autorizzazione naturalmente viene data lato Italia dal Ministro, sentita ISIN, ma lato Stato estero ci sono le autorità di controllo della Repubblica Slovacca in questo caso, che hanno valutato attentamente tutti i dossier e ci hanno autorizzato, entrambe le volte, a fare questo intervento.

  PRESIDENTE. Una cosa non ho ben capito, questi inceneritori hanno delle caratteristiche particolari? Sono dedicati solo a quello? Come funzionano?

  ALESSANDRO DODARO, Presidente della società Nucleco. Sì, sono inceneritori, impianti di trattamento che servono gli operatori slovacchi come Nucleco e le centrali nucleari slovacche. Hanno diverse camere di incenerimento, alcune dedicato ai biomedicati di ricerca e sviluppo ed altre dedicate principalmente alle attività delle centrali nucleari. Comunque sono un'installazione autorizzata dalla legislazione slovacca.

  ANTONIO DEL MONACO. Quindi in Slovacchia, a quanto ho capito, viene fatto un controllo dell'aria in quella zona, da parte di... Perché, visto che è lì la zona dove si portano questi rifiuti radioattivi per essere poi inceneriti, è chiaramente... Se ci sta, visto che noi in Italia non vogliamo, a quanto ho capito, anzi è interdetto poter fare un inceneritore che possa trattare questi rifiuti, ma quanto meno quell'area della zona è stata controllata? Se magari è più inquinata o meno inquinata rispetto a prima, dal punto di vista proprio di quelle che sono. Questa è la prima cosa. Volevo sapere se oltre a incenerire ed a compattare i rifiuti, perché a quanto ho capito il compattamento lo facciamo noi e l'incenerimento è fatto all'estero, eventualmente esistono, nell'ambito della ricerca altre tecniche a livello internazionale per trattare i rifiuti radioattivi che non siano queste due. Esistono delle ricerche in atto da questo punto di vista? Per ultima cosa, un'informazione, visto che noi mandiamo questi rifiuti all'estero, quanto ci costano?

  ALESSANDRO DODARO, Presidente della società Nucleco. Per quanto riguarda l'area dove vengono inceneriti i rifiuti naturalmente non siamo noi che possiamo andare a controllare le cose, noi ci limitiamo a controllare che quello che ci rimandano rispetta i requisiti previsti dall'autorizzazione all'esportazione. Però posso dire che la quota Nucleco negli impianti slovacchi è minimale rispetto a quella che normalmente producono e inceneriscono. Quindi, vista la tipologia di rifiuti, che sono essenzialmente Trizio Carbonio, quindi i meno pericolosi per l'ambiente, e visto che la frazione che Nucleco manda in Slovacchia è piccola rispetto al loro annuale, non credo, sinceramente, cioè credo di poter dire con sicurezza che non incrementiamo i loro rilasci radiologici in maniera apprezzabile, significativa. Immagino che, come in Pag. 14Italia anche in Slovacchia, ci siano strettissimi controlli su quelli che sono gli scarichi degli affluenti, quindi non credo che lì si divertano ad inquinare le zone, semplicemente sono delle scelte politiche, energetiche, eccetera, che permettono a loro di avere per esempio le centrali nucleari, cosa che in Italia non facciamo. Questo non vuol dire che è giusta la nostra o è giusta la loro, sono scelte politiche. E la stessa cosa vale per gli incenerimenti di rifiuti radioattivi. Lo fanno in Slovacchia, lo fanno in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Francia. Ovunque si inceneriscono i propri rifiuti, in Italia non è possibile per nostra scelta non lo facciamo. Non posso giudicare male un governo solo perché decide di fare una cosa che noi non facciamo.
  Ricerca sulla riduzione dei volumi. Allora, le tecniche di trattamento dei rifiuti sono un campo che è in continua evoluzione, nel senso che trovare la migliore resina o il miglior cemento o il miglior metodo di trattamento in generale è una cosa che si studia e sulla quale si investe tantissimo, in Italia e all'estero. Noi facciamo parte di gruppi internazionali che si occupano di trattamento e di condizionamento dei rifiuti. Il tema però della riduzione di volume è al momento limitato a sole queste due possibilità, l'incenerimento e la compattazione, perché non ci sono effettivamente altri metodi fisici per ridurre il volume di qualcosa che ne ha uno, salvo incenerire perché si perde tutta la fase liquida o plastica o, insomma, solida. Il maggiore investimento che si fa è quello sulla caratterizzazione radiologica, perché fino a 15 anni fa non c'erano tecniche abbastanza sicure per poter rilasciare dei rifiuti con estrema sicurezza, quindi magari non si rilasciavano dei rifiuti che potevano essere rilasciati solo perché non eravamo confidenti della correttezza delle misure fatte. Migliorando la caratterizzazione radiologica è chiaro che è più facile essere confidenti e quindi magari rilasciare di più, un maggior quantitativo di materiali, che è la principale fonte di riduzione di volume. Cioè, se io riesco a declassificare del materiale, automaticamente ho ridotto il volume dei rifiuti. Quindi questo è l'investimento che Nucleco fa da sempre e che stiamo continuamente facendo. Noi abbiamo uno dei sistemi di caratterizzazione neutronica migliori d'Europa. È costato un po’ negli anni scorsi, ma ci siamo rifatti ampiamente con le attività di caratterizzazione che facciamo ai fini della classificazione e dello smaltimento. Ultima domanda era sui costi. Noi, è vero, siamo una società privata, però, avendo due azionisti pubblici, non possiamo fare le cose senza giustificarle dal punto di vista economico. Abbiamo studiato la possibilità di incenerire all'estero, che è leggermente più cara dell'effettuare il trattamento in casa, almeno dei rifiuti solidi, ma quello che si guadagna, e se ne guadagna tanto, è sui volumi di rifiuti che si ottengono alla fine. Quindi, oggi spendiamo 5 – 6 per cento in più di quello che spenderemmo, ma riduciamo il volume dei rifiuti di un fattore 40, e quindi risparmiamo per tutta la vita sui costi di gestione di questi rifiuti. Quindi, guardando il ciclo del rifiuto, si investe oggi, ma si riguadagna nel giro di 5 anni.

  PRESIDENTE. La ringrazio per la presenza. La seduta è sospesa e riprenderà alle 12.00 con l'audizione del gruppo Mamme no-PFAS. Grazie.

  La seduta, sospesa alle 11.40, riprende alle 12.20.

Audizioni di persone informate di fatti rilevanti ai fini dell'inchiesta.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di persone informate di fatti rilevanti ai fini dell'inchiesta nell'ambito dell'approfondimento sull'inquinamento PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) sul territorio nazionale.
  Sono presenti le signore Laura Facciolo, Michela Piccoli, Claudia Cunico, Michela Zamboni e il signor Giancarlo Faggionato, rappresentanti del gruppo «Mamme no-PFAS», che ringrazio per la presenza.
  L'audizione odierna, richiesta dagli interessati, è stata definita dall'Ufficio di Presidenza della Commissione, integrata dai Pag. 15rappresentanti dei gruppi, nella riunione del 16 luglio 2019.
  Comunico che gli auditi hanno preso visione della disciplina relativa al regime di pubblicità del resoconto stenografico della seduta che informa l'audito che della presente seduta sarà redatto un resoconto stenografico e, su motivata richiesta, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta; nel caso le dichiarazioni segrete entrassero a far parte di un procedimento penale, il regime di segretezza seguirà quello previsto per tale procedimento; si invita comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Invito quindi i nostri ospiti a svolgere una relazione. Noi ci siamo occupati ampiamente, nelle scorse legislature di questa tematica, quindi era doveroso, visto che stiamo procedendo agli aggiornamenti, sentire anche i comitati, vi ascoltiamo volentieri.

  LAURA FACCIOLO, Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS. Grazie, Presidente. Vorrei cominciare a parlare dei PFAS e di come stiamo vivendo il rischio che da questi ne discende sulla salute, il rischio sulla nostra pelle.
  Nel 2006 uno studio europeo (PERFORCE) ha evidenziato delle preoccupanti concentrazioni di sostanze perfluoroalchiliche nel Po. Addirittura il Po è il fiume che a livello europeo ha il valore più alto con 200 nanogrammi/litro, il secondo è il Tamigi con solo 23 nanogrammi/litro. Lo studio IRSA CNR che parte nel 2011, in seguito proprio ai dati dello studio PERFORCE, che viene reso pubblico solo nel 2013, risale fino alle fonti della contaminazione: con questo studio si cerca di capire da dove arrivano queste sostanze. Effettivamente si trovano due punti: la Solvay Solexis, azienda del Piemonte; e la Miteni, azienda del Veneto. Il quadro era già abbastanza chiaro, c'era un'allarmante concentrazione di queste sostanze nelle acque superficiali, sostanze pericolose per la salute umana che era stata già ampiamente studiata ed evidenziata grazie a delle ricerche svolte dal C8 Science Panel per il caso di contaminazione da PFAS nel fiume Ohio (caso DuPont).
  Il Ministero della salute nel 2013 dichiara che non sussiste alcun rischio immediato per la salute e potrebbe esserci un rischio potenziale, per cui chiede di introdurre delle misure che limitino almeno la presenza di queste sostanze nelle acque. Vengono introdotti dei filtri che abbassano i cosiddetti livelli di performance (1.030 nanogrammi/litro totali nella rete acquedottistica) totali di queste sostanze. Sottolineo che fino a questo momento la popolazione non sa niente.
  Nel 2014 parte il biomonitoraggio in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità su un numero limitato di cittadini. Si cerca di capire se la contaminazione è arrivata all'uomo. Effettivamente la percezione del rischio sta aumentando tra gli addetti ai lavori, tanto che si rende necessario uno studio che chiarisca il reale effetto sulla salute. Si vuole capire se sta avendo qualche effetto questa contaminazione, perché noi la stiamo vedendo nelle persone che abbiamo già studiato, e vogliamo capire se c'è qualche effetto reale.
  Con delibera n. 661 del 31 maggio 2016 viene affidato l'incarico all'Istituto superiore di sanità per fare uno studio epidemiologico osservazionale che permetta di chiarire, una volta per tutte, questi dubbi. Questo studio non è mai partito. Non sappiamo perché. Si preferisce optare per uno screening, il Piano di sorveglianza sanitaria che purtroppo esclude delle parti consistenti della popolazione, per cui non possiamo considerarlo uno studio osservazionale per come è disegnato; non può darci quelle informazioni di tipo di causalità che ci avrebbe potuto dare, ad esempio, lo studio deliberato nel 2016; esclude gli adulti oltre i sessantacinque anni e i bambini sotto i dieci. Bisogna dire che i bambini sotto i dieci sono stati inclusi in un secondo momento, in scaglioni, Quindi il livello dei PFAS che viene misurato dovrebbe essere ricalcolato per valutare.
  Quant'era realmente la concentrazione ad esempio nel 2013, 2014 o 2017.
  Ripeto, fino alla fine del 2016 la popolazione non è stata avvertita del fatto che Pag. 16queste sostanze fossero state prima trovate nelle acque superficiali, poi nella falda, poi negli acquedotti, poi nel sangue di queste persone che avevano partecipato al primo biomonitoraggio. All'inizio del 2017 parte questo Piano di sorveglianza sanitaria, e i primi ad essere chiamati sono i ragazzi quattordicenni. Non sono avvertiti di questo né i genitori né tantomeno i medici. Arrivano a casa delle buste con all'interno dei valori per queste sostanze, chiaramente al di fuori dei range considerati. Da quel momento si ha una prima presa di coscienza dei genitori in primis, che hanno cercato di capire cosa ci fosse nel sangue dei loro figli. Nel loro sangue scorrono tantissime di queste sostanze: una miscela, perché non c'è solo il PFOA o il PFOS, ci sono una serie di sostanze che vengono attualmente misurate, sono dodici che vengono valutate nel Piano di sorveglianza sanitaria, e dei risultati, anche se questo studio epidemiologico osservazionale non è mai partito, li possiamo già vedere.
  Uno studio fatto dall'ISDE ENEA stabilisce che negli ultimi trent'anni nella popolazione veneta dei ventuno comuni, colpiti dalla contaminazione da PFAS, ci sono state 1.260 morti in più. Viene definita «eccesso di mortalità» per malattie cerebrovascolari, cardiovascolari, diabete e tumori del rene. Si continua con uno studio epidemiologico regionale, con il quale si cerca di capire com'è la situazione a livello del tumore al testicolo, perché è un altro organo target di queste sostanze, e si vede che in un comune di quelli più colpiti dalla contaminazione c'è l'84 per cento in più di soggetti sottoposti a orchiectomia per il tumore al testicolo.
  I dati peggiori sono questi. Sono due studi sugli esiti materni neonatali, che sono stati fatti rispettivamente nel 2016 e nel 2018, che in entrambi i casi confermano una tristissima situazione per le madri e per i figli di queste zone contaminate, visto che abbiamo un eccesso di preeclampsia, diabete gravidico, nati con basso peso alla nascita per età gestazionale e anomalie del sistema nervoso e difetti congeniti al cuore. Questi sono i risultati sui nostri figli.
  Si continua con gli studi del professor Foresta dell'Università di Padova, uno specialista degli studi sulla riproduzione umana. Fa degli studi sui giovani ragazzi e sulle giovani ragazze, trova delle gravi alterazioni della funzionalità dell'apparato riproduttivo femminile e maschile. Non solo, è uscito circa un mese fa uno studio che evidenzia nei giovani maschi che abitano nelle zone contaminate un maggior sviluppo di osteoporosi.
  L'ultimo studio ad essere pubblicato è sui lavoratori Miteni, che conferma un eccesso di mortalità per cancro al fegato, cirrosi epatica, diabete, neoplasie maligne a carico del sistema ematopoietico. Ricordiamo che in questo caso i lavoratori Miteni non bevevano acqua contaminata, ma respiravano le sostanze.
  L'ultimo bollettino del Piano di sorveglianza sanitaria di giugno 2019 fornisce dati grezzi, dico grezzi perché non sono lavorati da un punto di vista statistico, ma dicono già molte cose nonostante questo. Dicono che il 99,9 per cento delle persone che abitano in queste zone hanno queste sostanze nel sangue senza averle chieste, l'avvocato Robert Bilott le ha definite «una bomba a orologeria», nel senso che prima o poi provocheranno qualcosa. I parametri ematochimici alterati, tra quelli valutati, sono in particolare il colesterolo, l'eGFR e il TSH, organi bersaglio e gli effetti su questi. I bambini di dieci anni, che fino adesso non sono stati esaminati, oltre ad avere i valori che come media si attestano intorno ai 30 nanogrammi/millilitro solo per il PFOA, hanno un colesterolo fuori norma nel 12 per cento dei casi. Come gli adulti presentano anomalie a carico di TSH (tiroide) e nei eGFR (reni). Questa è la situazione.
  Cosa comporta questo, oltre a un rischio per il nostro futuro e per il futuro dei nostri figli? Comporta un costo enorme per la società, quindi riteniamo utile e opportuno mettervi a conoscenza di uno studio, pubblicato quest'anno dal Nordic Council of Ministers, che ha calcolato i costi conseguenti alla contaminazione da PFAS nei Paesi europei, si chiama proprio «Costs of inaction» e analizza i costi per non aver Pag. 17fatto nulla per bloccare queste contaminazioni prima. La stima dei costi non sanitari, le varie categorie di azioni volte alla bonifica ambientale, varia dai 46 milioni agli 11 miliardi di euro per i prossimi vent'anni. Per quanto invece concerne i costi sanitari la stima varia dai 2,8 agli 84 milioni di euro all'anno. Questi ingenti costi ricadono in percentuale maggiore sui cittadini delle zone contaminate, che si trovano a pagare di più la bolletta dell'acqua, che devono pagare di più tutto, che dovranno farsi più visite. Questo documento sancisce che tante cose sono state omesse.
  Una cosa importante che vogliamo sottolineare è il diritto all'accesso a questi screening, perché al momento possono accedervi, quindi sapere cosa si ha nel sangue solo le persone incluse in questo Piano di sorveglianza sanitaria: persone dei ventuno comuni contaminati dai quattordici ai sessantacinque anni. Chi è fuori, è fuori. Questo non è corretto per una persona di sessantacinque, sessantasei, sessantasette, settant'anni che vorrebbe saperlo o per una donna in gravidanza della zona arancione, appena fuori dalla zona rossa, con i pozzi contaminati che irriga il suo orto o magari lo ha irrigato per anni, che vorrebbe sapere se può avere figli, senza il peso sulla coscienza di trasmettere loro durante la gravidanza queste sostanze.
  Queste sono le richieste che ci sembra opportuno vadano valutate pro futuro.

  MICHELA ZAMBONI, Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS. Io vorrei portare alla vostra attenzione alcuni aspetti della contaminazione da PFAS, per i quali chiediamo un vostro intervento.
  Il 26 agosto 2013 Miteni realizza un documento, fa un monitoraggio dell'acqua di falda, fa alcuni campionamenti e specifica che per molti degli analiti ricercati non esistono metodiche analitiche accreditate. Quindi mettono a punto un sistema per cui dopo fanno le analisi. Nel frattempo ARPAV non è dotata degli standard per la ricerca delle molecole prodotte e utilizzate dalle industrie, autorizzate dalla regione. Quindi le regioni in generale, non solo quella veneta, autorizzano le industrie ad utilizzare delle molecole, dei composti senza avere gli standard per poter controllare che queste poi non contaminino l'ambiente. Significa che c'è qualcosa che non va in questo sistema in generale, non solo per quanto riguarda Miteni e la regione Veneto.
  Nel sopraccitato documento vengono evidenziati alcuni superamenti relativi ai composti definiti già dalla normativa vigente. Si tratta di sostanze già dichiarate pericolose per l'ambiente. Nonostante questo, nel 2014 viene rinnovata l'autorizzazione integrata ambientale a Miteni. Non si sa com'è andata a finire con queste sostanze già normate (non erano PFAS). Per questa vicenda, infatti, anche Greenpeace ha presentato un esposto alla procura di Vicenza.
  Noi ci auguriamo che vogliate dare il vostro contributo affinché venga fatta luce su questo caso e che si avviino delle riflessioni sul fatto che regioni e province autorizzino le industrie a produrre e a utilizzare determinati composti chimici senza avere gli strumenti per la ricerca degli stessi nell'ambiente, senza poter quindi verificare se le aziende inquinano, senza poter quindi svolgere il proprio compito principale: la tutela di tutti i cittadini. Non ha importanza se questi composti non sono ancora regolamentati, ci sono studi che dimostrano la pericolosità per esempio dei PFAS a catena corta, che non sono ancora normati. Dei PFAS sono normati finora solamente il PFOS e il PFOA, che sono già stati eliminati dalla produzione, ma dei «catena corta» abbiamo studi internazionali che dimostrano la loro pericolosità, quindi non possiamo limitare solo le sostanze già normate, perché ancora oggi, dopo quarant'anni che vengono utilizzate, queste sostanze vengono chiamate «inquinanti emergenti» e non possiamo aspettare che sia troppo tardi per bloccarne la diffusione.
  Non è accettabile che lo sviluppo industriale passi sopra la salute dell'ambiente e della popolazione. Un esempio è il GenX, molecola prodotta dalla ditta Chemours Netherlands B.V. di Dordrecht (Paesi Bassi), che ha sostituito il già normato PFOA. Il PFOA è stato proibito, per cui hanno iniziato a produrre GenX. Il PFOA è il contaminante che noi abbiamo in prevalenza Pag. 18nella falda e nel nostro sangue, di conseguenza. Il 13 marzo 2018 il Ministro delle infrastrutture e dell'ambiente olandese invia una email a Maurizio Zanta della regione Veneto, che si occupa della gestione dei fondi comunitari e rifiuti transfrontalieri, chiedendo informazioni sul GenX. In particolare viene chiesto se ci possono essere problemi di diffusione durante la lavorazione presso Miteni e se l'Italia ha informazioni dettagliate e/o misure per prevenire l'immissione nell'aria e nell'acqua, e se esistono limiti di emissioni in acqua e in aria per sostanze contenenti il fluoro come il GenX. Il 21 marzo, sempre via email, vengono informate di questa richiesta olandese anche la provincia di Vicenza e ARPAV. Nel luglio 2013, a seguito di una fuga di notizie per cui si scopre che il GenX è stato trovato al di fuori della ditta Miteni. In Italia il GenX è trattato solo da Miteni, per cui, se è stato trovato al di fuori della fabbrica, da lì arriva. Che sia stato trovato in falda o in qualsiasi altro posto, arriva per forza da Miteni, perché è l'unica autorizzata a trattarlo. Miteni estrae il GenX dai rifiuti dalla Chemours e li restituisce alla ditta olandese. Nel frattempo il GenX è arrivato fino a sette chilometri dall'azienda. Questo ha portato ai vari interventi della provincia di Vicenza che hanno fatto chiudere parti dell'impianto di Miteni che ha chiuso e ha dovuto dichiarare fallimento.
  Noi sappiamo che lo standard del GenX è arrivato dall'Olanda. Per fare chiarezza su questa vicenda, vi esortiamo ad acquisire la documentazione relativa alla richiesta da parte della regione Veneto o di ARPAV dello standard di GenX all'Olanda e della relativa consegna dello stesso ai richiedenti. Poi, se è possibile, chiediamo anche di essere informate e di poter visionare i documenti acquisiti.
  Un altro aspetto poco considerato è la contaminazione da PFAS per via aerea. Come detto prima, i lavoratori Miteni non sono stati contaminati perché hanno bevuto tantissima acqua: sono stati contaminati perché hanno respirato, anche solo nel cambio degli indumenti tra un turno e l'altro, queste sostanze. Hanno valori di 91 mila nanogrammi, valori alle stelle. Sono i più contaminati al mondo. Nemmeno chi lavorava nella DuPont e nella 3M hanno mai avuto valori così alti. Un aspetto molto sottovalutato è la contaminazione attraverso l'aria. Per esempio negli anni Novanta Miteni era autorizzata a scaricare dal camino quindici chili all'ora di PFAS. Nessuno di Trissino, per esempio, è mai stato considerato nel campionamento delle analisi del sangue, perché essendo a nord della falda di ricarica, gli abitanti di quella zona sono considerati fuori pericolo. In realtà chissà cosa hanno respirato negli anni in cui venivano immessi quindici chili all'ora di PFAS nell'aria autorizzati. Anche la contaminazione attraverso l'utilizzo dei fanghi contenenti PFAS in agricoltura, a nostro avviso, non viene considerata abbastanza, vi chiediamo quindi di approfondire il ciclo dei fanghi di depurazione e il ciclo della rigenerazione del carbone utilizzato per i filtri dei gestori degli acquedotti e della barriera idraulica. Noi non abbiamo mai sentito parlare di cosa succede ai carboni che vengono rigenerati.
  Alcuni cittadini che risiedono nei dintorni di una delle aziende, che si occupa proprio di questa rigenerazione, hanno più volte dovuto chiamare le forze dell'ordine durante la notte per i forti rumori e gli odori molesti. Denunciano mal di testa, nausea e vari sintomi. Noi vorremmo sapere che tipo di controlli vengono effettuati su queste aziende; se ci sono verbali di controlli da parte di ARPAV eseguiti nelle ore notturne, visto che i residenti segnalano un aumento della lavorazione durante la notte; se nei verbali ARPAV vengono segnalati per esempio il forte odore e le polveri depositate nei dintorni dell'azienda; e se viene verificato di cosa si tratta: cosa c'è nell'aria, cosa sono queste polveri. Magari è tutto in regola, però la gente che sta male si chiede che cosa siano. Vorremmo sapere anche se vengono richiesti dei bilanci di massa per verificare la quantità di rifiuto estratta dal carbone e sapere dove vengono smaltiti questi rifiuti contenenti PFAS, dove vengono inviati; se i fanghi di depurazione vengono conferiti in discarica, quali garanzie ci sono che non vadano a contaminare Pag. 19la falda. Sappiamo che in alcune discariche sono stati trovati i PFAS nelle falde sottostanti, quindi non sono sicure nemmeno le discariche. Se invece i fanghi di depurazione vengono conferiti in aziende che producono ammendanti agricoli, non essendo ancora stati fissati i limiti di legge per questi inquinanti, si potrebbe pensare che questo tipo di smaltimento possa essere utilizzato per evitare costosissimi trattamenti di combustione ad altissime temperature, che è l'unico metodo in grado di rompere i legami che costituiscono i composti perfluoroalchilici. Ci è stato riferito, per esempio, che gli ammendanti agricoli vengono proposti gratuitamente agli agricoltori, senza fornire informazioni sulla loro composizione chimica. Chiediamo ancora che controlli vengono eseguiti sulle aziende che trattano i rifiuti speciali; se esiste un elenco di quelle che ricevono fanghi contenenti PFAS; se viene controllato per quali aziende effettuano il trasporto i camion che arrivano nei pressi di queste aziende anche durante la notte o a sera tarda, aspettando che la mattina aprano gli impianti; se vengono fatti dei campionamenti del materiale che trasportano o se ci si basa solamente sulle analisi fornite dal trasportatore al momento del controllo, vorremmo sapere se vengono fatti dei controlli sulla corrispondenza di quanto riportato sui documenti di viaggio e quanto contenuto in questi camion. Queste sono alcune delle domande che ci preoccupano maggiormente, per ottenere risposte alle quali vi chiediamo di avviare le dovute indagini.

  CLAUDIA CUNICO, Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS. Io vorrei affrontare la questione alimenti. La contaminazione della nostra acqua ha comportato, di conseguenza, la contaminazione dei nostri alimenti. Come è stato fatto un biomonitoraggio sul nostro sangue, sono state fatte anche delle analisi sugli alimenti. La regione Veneto ha ricevuto dall'Istituto superiore di sanità una valutazione dell'esposizione alimentare e la definizione del rischio per PFOA e PFOS (gli unici normati), che non vengono più prodotti da anni.
  A dicembre del 2018 l'Ente europeo per la sicurezza alimentare ha fissato anche delle dosi di assunzione tollerabile settimanale per queste sostanze, che sono molto inferiori rispetto al 2008: 1.750 volte per il PFOA e ottantuno volte in meno rispetto al 2008 per il PFOS. Per gli elementi a catena corta si dovrà aspettare fino al 2020. Sempre l'Ente europeo per la sicurezza alimentare ha dichiarato che queste sostanze provocano colesterolo, alterazione della funzionalità del fegato, riduzione della risposta anticorpale ai vaccini, ritardo della crescita intrauterina.
  Gli allevamenti delle nostre zone stanno usando acqua filtrata dell'acquedotto oppure hanno installato dei filtri a carbone attivo sui pozzi artesiani, tutto questo a loro spese. È impossibile però per l'agricoltura poter filtrare l'acqua per i campi e usare l'acqua dell'acquedotto. È impensabile per i costi troppo elevati.
  Per quanto riguarda l'analisi sugli alimenti come gruppo, il 3 aprile 2019, abbiamo chiesto alla regione Veneto un resoconto sul piano di monitoraggio per il controllo degli alimenti; sono stati analizzati quattordici tipi di PFAS tra cui PFOA e PFOS, che sono a catena lunga e che – come dicevo prima – non vengono più prodotti da anni. Abbiamo chiesto precisamente di conoscere la georeferenziazione di questi dati, sapere dove avevano fatto, in che zona precisa, in che comune avevano fatto le analisi, ma la regione ci ha risposto che, per motivi di privacy, non può fornirci alcun dato sulla localizzazione, neppure a livello comunale. Non avere questi risultati significa per noi come cittadini della zona contaminata non essere informati sul grado di contaminazione degli alimenti che consumiamo, per cui siamo costretti ad acquistare alimenti che provengono da fuori la zona rossa, quindi non vengono più utilizzati i cosiddetti prodotti «a chilometro zero». Molte persone che avevano il loro orticello non sono più sicure e non coltivano più niente.
  Ora vi riporto il caso di un abitante delle nostre zone. Un agricoltore di Lonigo usa l'acqua dell'acquedotto per cucinare, mentre per bere acquista da sempre acqua Pag. 20in bottiglia di vetro proveniente da fonte situata a monte dell'inquinamento. Al sorgere del problema PFAS si sente abbastanza tranquillo, visto lo stile di vita sano e l'utilizzo di acqua di acquedotto solo per cucinare. Quando riceve i risultati delle analisi, riscontra valori di PFAS intorno ai 300 nanogrammi nel sangue dei suoi figli. Immediatamente fa riferimento alle proprie coltivazioni, di cui in famiglia ci si ciba in modo prevalente. Manda quindi ad analizzare i suoi prodotti per verificare la possibile concentrazione di PFAS in essi contenuti e ha dei risultati pazzeschi, perché i suoi kiwi ad esempio contengono delle quantità di PFAS di trentunomila nanogrammi al chilo. È questo che noi non ci sentiamo tranquilli di usare gli alimenti della nostra zona.

  GIANCARLO FAGGIONATO, Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS. Il mio compito è di portare alla vostra conoscenza le riflessioni che abbiamo cercato di fare nella nostra realtà, soprattutto per cercare di capire dove sta il problema, perché è impossibile che per tre volte consecutive ci ritroviamo nella stessa condizione. La prima volta è successo nel 1977 con l'inquinamento da BTF, negli anni Ottanta c'è stato l'inquinamento per cromo esavalente e adesso abbiamo l'inquinamento da PFAS.
  Al di là delle diversità delle sostanze, il meccanismo è sempre quello. La prima regola dell'accadimento è che la sostanza non è normata. Questo ci porta a fare una grossa riflessione, ed è la seguente: se noi aspettiamo ogni volta che succeda qualcosa per normare un determinato composto, significa accettare un rischio spaventoso. Pensate solo ai costi che in questo momento la collettività, quindi noi e voi, perché anche voi fate parte di questa collettività, sta investendo per tamponare questa realtà, renderla «accettabile». Tanto per farvi un esempio, noi viviamo in una zona ricchissima di acqua: abbiamo acqua in superficie e acqua sotterranea, la nostra falda acquifera è una delle più grandi d'Europa; pensate che dai campi di Almisano (frazione di Lonigo) i pozzi alimentavano gli acquedotti che distribuivano l'acqua potabile fino a Rovigo. Prendete in mano una carta e cominciate a vedere quanta strada faceva la nostra acqua. Un'acqua buona. Oggi quei pozzi non sono più utilizzabili. Non solo non sono più utilizzabili, ma non c'è neanche una prospettiva di utilizzo. Quando chiediamo quanto tempo occorrerà per cercare di recuperare quest'acqua, i più ottimisti parlano di cinquanta, settantacinque anni, altri dicono tranquillamente «speriamo siano cento». Anche pensare cinquant'anni è una cosa assurda. Doppiamente assurda, perché in questo momento c'è un dibattito grossissimo a livello mondiale sulla necessità di salvaguardare l'acqua, definito l'oro blu. Noi avevamo un deposito fantastico di oro blu, in questo momento non abbiamo niente. Anzi, peggio! Visto che in qualche modo dobbiamo continuare a vivere, noi corriamo il rischio di assumere ulteriormente questi composti.
  È importante capire perché è successo questo. La prima cosa che mi piace dirvi è che la nostra realtà era una ridente realtà agricola. Dalle nostre parti (a Lonigo) c'era in marzo una fiera dove venivano da tutta Europa per incontrare gli allevatori di cavalli. Una battuta: la nostra cavalleria di allora veniva a rifornirsi di cavalli. Il tutto era favorito proprio dal fatto che la ricchezza d'acqua aveva permesso il fiorire di una ridente agricoltura. Come mai da questa realtà siamo passati all'altra? Negli anni Sessanta gli Stati europei hanno cominciato a normare in maniera tale che alcuni prodotti dovevano sparire dalla produzione, in particolare dalla concia della pelle. Ad Arzignano c'erano già tre o quattro concerie che hanno colto la palla al balzo, e lì è nato un grosso polo conciario che ha contagiato i comuni vicini (Montebello e Lonigo), quindi si è creato un insediamento di qualità di lavorazione delle pelli. Il guaio è che, non essendo una situazione normata, con molta tranquillità tutti gli scarti di lavorazione finivano nei corsi d'acqua che passavano vicino alle aziende. Fossero fossi, fossero fiumi, rii, eccetera, quello era. E negli anni Settanta, esempio, io che ero ancora giovane, che frequentavo i fiumi per nuotare, a un certo punto, a forza di vederli rossi o gialli, a sentire la puzza dell'acqua, sono scappato Pag. 21e non ho più fatto il bagno. Se io non vado più a nuotare, non è certamente importante, però quella era l'acqua che veniva utilizzata dai contadini per irrigare i loro campi. In quel tempo, al di là di alcuni poli industriali, l'economia era prevalentemente agricola. Da noi si faceva presto ad avere acqua. Ad Almisano, per esempio, bastava fare un buco per terra e l'acqua sgorgava. Non c'era nemmeno bisogno della pompa per irrigare. Il fosso si riempiva e, in automatico, si aveva l'acqua «pura» che irrigava la campagna. Questo per darvi il quadro della situazione.
  Negli anni Settanta, in seguito all'inquinamento da cromo, è partita una riflessione che ha coinvolto le autorità, che hanno cominciato a cercare di capire porre rimedio a quell'inquinamento. La ricetta è stata l'istituzione di depuratori. Sono nati cinque depuratori a ridosso dei campi conciari, in maniera tale da permettere alle concerie di non scaricare più direttamente nei fossi, ma di passare i loro scarichi ai depuratori. Il guaio è stato che i depuratori qualcosa depuravano ma non tutto, per cui a un certo punto sono stati costretti a togliere dai depuratori la possibilità di scaricare direttamente in fiume. È nata allora l'idea di fare un gran collettore che raccoglieva i reflui dei cinque depuratori e li spostava a valle, giustificando la cosa che in questo modo si andava oltre la zona di ricarica della falda. Purtroppo la nostra realtà presenta, e lo si vede in questi giorni nei nostri fiumi, strati di ghiaia. Parecchi nostri corsi d'acqua in questo momento sembrano asciutti, in realtà l'acqua sta correndo sotto. Quindi dall'alto filtra verso il basso. Se io da sopra inquino l'acqua, questa va in falda. Se ci aggiungiamo che qualcuno si divertiva a immettere direttamente in falda, capite che gli spazi per essere ottimisti sono abbastanza pochi.
  Il primo pensiero allora è stato di evitare che i depuratori scaricassero nei fossi, di mettere questo tubone e di spostare a valle lo scarico. Lì hanno fatto un primo tentativo nel comune di Lonigo, dove c'era il rio Acquetta (un fosso con sufficiente acqua) che, per disgrazia di chi ha avuto questa idea, a fasi alterne ha acqua, altre volte meno, quindi la diluizione non era garantita. Come secondo passaggio hanno deciso di allungare il tubo portandolo nella zona di Cologna e si è fatto in modo che lo scarico del collettore Arica avvenisse proprio un attimo prima dell'immissione del fiume Fratta di acqua pulita proveniente dall'Adige per l'agricoltura. Vi invito a guardare le foto – ne ho allegate due agli appunti – di questo strano connubio del nero che esce dal tubo di Arica, che incontra l'acqua pulita: si vedono proprio le due zone chiare e scure, e più a valle un bel mix nerastro che avanza. Proprio per evitare lo scandalo che ne è sorto, perché sono emerse le foto e quindi vi era la necessità di dare delle risposte, nuova trovata: il tubo viene posizionato oltre un altro canale usato per l'irrigazione (il canale Zerpano) vicino al depuratore civile di Cologna Veneta, gli scarichi del depuratore e del tubone Arica confluiscono in un impianto di raggi ultravioletti, dal quale fuoriescono per confluire nel Fratta.
  Voi capite da questi fatti che, se volete fare qualcosa di serio – e siamo qui apposta per chiedervelo –, dovete affrontare i problemi che continuano a generare sempre le stesse situazioni. Tra di noi abbiamo individuato alcune cose, l'unica risposta seria, a nostro avviso, è quella di impedire che dalla fabbrica esca qualsiasi prodotto. Se nella fabbrica entra acqua, deve uscire acqua pulita. Questa è la strada. In altre parole, si deve applicare il principio di precauzione: non possiamo più giocare con la salute dei cittadini, con l'inquinamento. Dobbiamo fare insieme e con coraggio la scelta, per una volta tanto, di non essere succubi dei processi produttivi, ma ascoltare anche le esigenze dei cittadini.
  Concludo. Quando con i conciari parlavamo del problema del cromo esavalente, della necessità che non uscisse dalle loro concerie, sembrava che la cosa fosse impossibile, assurda, perché continuavano a lavorare nello stesso modo. Altri li hanno costretti a modificare i procedimenti e adesso, volendo, sarebbero in grado tutti quanti di lavorare ugualmente con un impatto molto basso sull'ambiente e sulla salute della popolazione. Quindi la strada è Pag. 22possibile, ci vuole il coraggio. Il coraggio qualcuno può non averlo, allora bisogna costringerlo ad averlo: «se vuoi lavorare, devi rispettare alcuni parametri. Se sei in difficoltà, cerchiamo di aiutarti». Questa deve essere la filosofia da seguire.

  MICHELA PICCOLI, Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS. Hanno detto tutto i miei amici, io voglio aggiungere solo poche cose. Questa è una riflessione più da mamma che da esperto, anche se ritengo, dopo tre anni e dopo aver tanto studiato, di essere anch'io un esperto, nonostante io sia una semplice infermiera.
  Stiamo parlando di leggi in Italia, faccio una riflessione da mamma, non voglio entrare nell'ambito politico, perché i nemici vengono e bisogna armarsi, avere delle armi in casa: da noi i nemici escono dall'acqua del rubinetto, e da noi i nemici escono dall'acqua dei nostri pozzi. Pozzi che i nostri nonni avevano costruito. Non abbiamo più la gioia di avere il nostro orticello e le nostre quattro galline, perché le galline allevate a terra da noi sono proibite. Questa sembra una stupidaggine, ma per chi vive questa esperienza non lo è: è una cosa molto grave, che fa star male soprattutto chi lavora nell'agricoltura. Ricordiamoci che la stessa dignità degli industriali ce l'hanno gli agricoltori e gli allevatori.
  Tutti ci hanno ricevuto: la Confagricoltura, la Coldiretti, siamo andati da tutti, abbiamo fatto oltre duecentoquaranta incontri, l'unica che non ci ha ricevuto è stata Confindustria. Da questo non occorre essere scienziati per capire chi comanda, e questa cosa io la voglio dire chiaramente a voi. Probabilmente io non vi devo dire niente, queste cose le sapete meglio di me, ma questa riflessione la dovevo fare.
  Un'altra cosa importante su cui riflettere, che a me sta qua, da mamma. Io ho sempre lavorato per il Sistema sanitario nazionale, io mi sono sempre fidata nella maniera più assoluta: adesso non mi fido più, perché noi non siamo stati avvisati. È vero che non bisogna fare allarmismo, ma bisogna avvisare la gente, perché non siamo dei «cretini». Siamo esseri umani, persone intelligenti che hanno una vita, una famiglia da portare avanti e dei figli.
  Vi voglio leggere un passaggio che, quando ho letto, mi è venuta la pelle d'oca. «Progetto Giada. Il Progetto Giada è uno studio che si avvia in seguito alla direttiva Piano tutela delle acque del 2000, il quale prevedeva di rilevare le fonti di pressione delle sostanze bioaccumulabili». Questo studio è del 2003 e va dal 2003 al 2010. Siamo prima del 2013, prima della scoperta di quello che è successo e già allora stavano studiando le fonti di pressione delle sostanze bioaccumulabili. Era sovrainteso e finanziato dalla provincia, eseguito da due esperti: il professor Altissimo, direttore del Centro idrico di Novoledo; e il professor Lava, un chimico industriale. Obiettivo: valutare il grado di sfruttamento indotto dai consumi idrici derivanti i molteplici utilizzi civili e industriali presenti nel sito idrico Chiampo, Agno, Guà. La nostra zona. Cosa rileva? Un aumento di BTF, che sono i precursori dei PFAS. Già allora li avevano rilevati, e stavano aumentando. Questi esperti dicono che dopo trentaquattro anni l'aumento è significativo. Per cui che a me non vengano a dire che le istituzioni non sapevano niente e che questi PFAS gli sono piovuti in testa dall'Europa, a cui hanno messo la pulce nell'orecchio. Scusatemi, mi hanno detto devo mettere il punto di domanda, altrimenti, se faccio delle dichiarazioni, vado in galera. Non mi interessa niente! Riposo, se vado in galera. Ma non è giusta questa cosa, perché potevano fare e, a mio avviso, non è stato fatto. Mi prendo la mia responsabilità. Sono una libera cittadina.
  Questo discorso del Progetto Giada, se andate a leggere la relazione del NOE, è solamente una piccola cosa. Io la relazione del NOE l'ho letta, l'ho consumata. Non io, tutti noi genitori. Abbiamo fatto tavoli di lavoro e studio tutti insieme per questa cosa. Si parla di barriera idraulica e di messa in sicurezza del sito Miteni. La prima barriera idraulica è iniziata nel 2005, siamo nel 2019. Da un pozzo di emungimento siamo oggi a quarantadue, e ancora questa barriera idraulica non funziona e non garantisce che questi inquinanti vadano verso valle. Per cui serve a poco. Non lo diciamo Pag. 23noi genitori, lo dice la regione Veneto in diversi documenti che abbiamo.
  Cosa bisogna fare. Smantellare il sito Miteni e bonificare il sottosuolo inquinato, perché l'acqua che arriva dal monte passa sotto (stiamo parlando di un acquifero indifferenziato), tocca questo plume di inquinamento (peci florurate) e porta a valle l'inquinamento, a un chilometro e trecento metri l'anno. Pian piano questo inquinamento è arrivato da noi dopo diversi anni, e a un chilometro e trecento metri l'anno prosegue il suo cammino verso il mare, rovinando ovviamente tutti i pozzi che verranno inquinati. Per cui il nostro obiettivo è quello di vigilare, e chiediamo a voi di aiutarci in questo.
  Aspettiamo i limiti. Sono quattordici mesi che il ministro Costa ci dice che è prioritario nell'agenda del Ministero: se è prioritario, sono passati quattordici mesi, adesso non so io quanto prioritario sia. Noi siamo ancora qui che aspettiamo, e di pazienza ne abbiamo da vendere! Siamo venuti l'11 settembre 2018, incontro a Roma con il ministro Costa; 15 dicembre 2018, inviamo un comunicato stampa dove chiediamo i limiti, e abbiamo fatto anche un video, tutte le regioni; 10 gennaio incontro a Roma con il ministro Costa, chiediamo limiti: zero; 19 giugno incontro a Roma con Papa Francesco, poi siamo passati dal Ministero per chiedere limiti: zero; il 13 agosto nuovamente mandiamo una email, perché chiediamo i limiti: zero. Il Ministero dell'ambiente dice che i limiti vanno fissati il prima possibile, che sono una priorità, «Vogliamo porre limiti nazionali che siano di riferimento all'Unione europea. Sono la priorità nell'agenda e non si può perdere nemmeno un giorno». Dicevano che bisognava aspettare questa Conferenza Stato-regioni, noi chiediamo: è stata fatta questa Conferenza Stato-regioni? Ma poi sappiamo anche, perché ci hanno detto per certo che il Ministro, se vuole, in autonomia può lui stesso fissare questi limiti. Siamo andati a Strasburgo a ottobre dell'anno scorso a chiedere i limiti per il Piano delle acque a livello europeo, e lo stesso mese sono stati raddoppiati i limiti con il decreto Genova per gli idrocarburi, le diossine, i furani e i PCB. Noi non ci sentiamo protetti, dico la verità.
  Un altro problema – ed è l'ultimo, faccio presto – è la TAV. Cosa c'entrano le «Mamme no-PFAS» con la TAV? C'entrano, eccome! La tratta AV/AC che deve passare nella zona rossa potrebbe causare un ulteriore aggravamento dell'inquinamento delle falde, perché vi sarà la posa in opera di pali che vanno a una profondità di quarantotto, cinquanta metri. Questi pali sono fatti – sembra – con delle maglie di acciaio, riempite con del materiale sassoso che potrebbe comportare un'ulteriore miscelazione delle acque delle falde contaminate con quelle buone. Per cui già abbiamo problemi di acqua, già la nostra terra chiamata «delle acque» è ora la «terra dei PFAS», rischiamo di mettere a repentaglio anche l'altra falda.
  A questo punto, anche per quanto riguarda la nostra Italia in primis cosa viene? Siamo fatti per il 97 per cento di acqua. Cosa viene? Quali sono i nostri obiettivi. Non per noi, per i nostri bambini, per i nostri figli, i nostri nipoti. Cosa diciamo loro? Già adesso ci rinfacciano i disastri che avviamo fatto. E hanno ragione, perché io mi vergogno! Ho dormito fino adesso, però non possiamo veramente più dormire, perché siamo messi male, anche nei loro confronti, e non abbiamo più spiegazioni da dare a questi ragazzi.

  PRESIDENTE. Ci sono alcune richieste di intervento. Sottolineo in merito alla georeferenziazione che l'avevamo chiesta alla regione, quando siamo venuti sul posto, ce la dovevano mandare, adesso verifichiamo.
  Per quanto riguarda i fanghi non sono stati raddoppiati, è un discorso molto complesso, ma non è questa la sede.
  Il Ministro l'abbiamo sollecitato più volte affinché finalmente si riesca a mettere dei limiti. Continueremo a farlo. Non so se c'entri la Conferenza Stato-regioni, adesso ci informiamo, cerchiamo di capire se è un problema di coordinamento con l'Europa. Voi siete stati – avete detto – a Strasburgo, cosa vi è stato detto?

  MICHELA PICCOLI, Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS. La normativa sui Pag. 24limiti non è passata per pochissimo per le tante astensioni al voto.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questioni o formulare osservazioni.

  VINCENZO D'ARIENZO. Grazie per le cose che sono state qui riferite. Parto dalla signora che è intervenuta per ultima, perché condivido il fatto che quello che sta succedendo in quelle zone compromette la cultura popolare, una cultura popolare fatta di animali da cortile, di pozzi, di prodotti dell'orto; questo fatto di non poterli utilizzare non solo è drammatico dal punto di vista sanitario per le cose che ci sono state ben raccontate, ma incide anche sulle tradizioni, sulla formazione sociale, che ha fatto di quelle realtà delle realtà molto dinamiche non solo dal punto di vista imprenditoriale. Quindi mi permetto di stigmatizzare la mancata informazione che c'è stata, stigmatizzare il comportamento delle istituzioni tutte per le mancate informazioni, per i ritardi nelle cose che si dovevano fare.
  Pur tuttavia voglio raccontare un'esperienza che io ho vissuto a cavallo degli anni Novanta, Duemila, perché ero impegnato contro il tubo a Cologna Veneta che sfociava nel Fratta Gorzone, le battaglie che si facevano – io ero consigliere provinciale a Verona in quel periodo – e pur tuttavia io ricordo i silenzi, ricordo le persone che giravano la testa, le querele, le omissioni. Non c'è mai stata una vera e propria volontà, e questo è un fatto culturale, oserei dire quasi antropologico, di quelle realtà: non c'è stata mai la volontà vera di corrispondere a quelle esigenze anche attraverso il voto popolare per esempio. Io ricordo grandi battaglie, grandi manifestazioni in quelle zone, nelle zone dell'Adige Guà, del Fratta Gorzone, tuttavia non vi era mai un esito nelle consultazioni elettorali, che poi sono quelle che danno la chiara sensazione di essere dalla parte del giusto. In quelle realtà, nonostante le tante omissioni, nonostante i tanti errori, nonostante i gravi ritardi, quelle istituzioni non sono mai state messe in discussione. E voi lo sapete molto bene. Senza fare polemica nei confronti di nessuno.
  In ogni caso mi interessano molto le cose che sono state dette, perché, Presidente, ricorderai quando siamo stati a Venezia, abbiamo puntato molto sugli alimenti, perché sfuggiva da tutte le cose che dicevamo: l'assessore regionale, i dirigenti sanitari, nessuno ci parlava di questo elemento; mi pare di capire che le informazioni da parte del Comitato siano tutt'altre. Come pure le anomalie nel sangue, le cose che ci sono state dette, quelle soprattutto sulle malattie. Io devo qui ricordare, a me stesso e a noi tutti, che sia nelle audizioni che abbiamo fatto a Venezia sia nell'audizione dell'Istituto superiore di sanità queste cose non ci sono state riferite. Potremmo anche rivedere insieme a loro tutte le slide che ci hanno mostrato, non mi sembra che l'Istituto superiore sanità – almeno io non ricordo – abbia rilevato questa drammaticità: tumori ai testicoli, reni, le cose che ci sono state dette. Io immagino che le cose che avete detto siano vere, ma come è possibile che i comitati siano a conoscenza di queste cose e le istituzioni del nostro Paese non lo siano.
  Chiudo dicendo che non sarebbe male un ulteriore approfondimento per verificare se le informazioni fornite sono corrette e come mai l'Istituto superiore di sanità o la regione Veneto o le ASL del Veneto, in particolare della provincia di Vicenza (la zona rossa coinvolge anche la provincia di Verona) non siano a conoscenza di questi elementi che ci sono stati qui forniti.

  LAURA FACCIOLO, Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS. Se posso, su quest'ultima parte del suo intervento vorrei estendere il principio della diluizione. Il principio della diluizione non avviene solo per il tubone Arica, purtroppo sembra avvenire anche per questi studi. Quando ci sono delle rilevanze scientifiche di questo tipo, vengono sempre un po’ diluite. Viene detto «in realtà non è ancora detto, c'è bisogno di ulteriori studi».
  I due studi di cui vi parlavo sugli esiti materni neonatali, che ritengo i peggiori perché vanno a toccare la vita intrauterina Pag. 25e dimostrano che purtroppo c'è un effetto molto potente in queste zone contaminate per le madri e per i figli, sono due per questo motivo. Uno è stato fatto nel 2016 e uno nel 2018, perché si voleva verificare se, dopo la messa in opera dei filtri, quelli che hanno portato ai livelli di performance di 1.030 nanogrammi/litro totali, c'era una differenza. Si sono accorti che questa differenza non c'è. Si sono trovati due studi che dicono esattamente le stesse cose, che danno gli stessi, identici risultati. In effetti per queste sostanze non è ancora stato verificato che, all'aumentare della dose, c'è un aumentare dell'effetto negativo. C'è tutta una serie di effetti che, essendo interferenti endocrini, agiscono su una serie di parametri (es. la funzionalità renale) coinvolgendo moltissimi organi, purtroppo si è visto che entrambi gli studi portavano agli stessi risultati: i bambini colpiti fin da prima della nascita. Per quello noi siamo arrabbiatissime.
  Io personalmente sono andata a Boston quest'anno, mi hanno invitata al secondo congresso sulle sostanze perfluoroalchiliche; nell'assistere a una presentazione vedo che passa una slide in cui spiegano che queste sostanze provocano, ormai è attestato nero su bianco, ritardo di crescita intrauterino, cosa che avevo avuto in entrambe le mie due prime gravidanze, che nessuno si spiegava, non avendo io familiarità, non avendo mai avuto problemi mamma, sorelle, eccetera, ma io ero l'unica che abitava in zona rossa. E ci sono andata ad abitare proprio quando i valori erano alle stelle.
  Provate a mettervi un attimo nei nostri panni. Noi non possiamo diluirci, noi siamo diventati dei piccoli filtri viventi, perché le concentrazioni che abbiamo noi nel sangue sono altissime. Quando parlano delle concentrazioni nell'acqua o fuori dai depuratori, parlano sempre di nanogrammi/litro: per il nostro sangue e per quello dei nostri bambini parlano di nanogrammi/millilitro. Sembra meglio visto con un altro ordine di grandezza (mille volte in meno), invece siamo purtroppo i filtri migliori per queste sostanze.

  FABRIZIO TRENTACOSTE. Vi ringrazio della presenza e della vostra testimonianza che è, a dir poco, toccante. Siamo abituati ad ascoltare delle relazioni tecniche complesse, che spesso ci restituiscono l'immagine di un Paese meno felice di quello che siamo portati a credere, però, quando c'è la testimonianza di cittadini che non vengono interessati dal problema per dovere d'ufficio, ma perché lo vivono sulla loro pelle la prospettiva cambia.
  Vorrei chiedervi, se è possibile, di chiarirci quali sono i rapporti tra il vostro Comitato e la rete di altri comitati o associazioni, incluse le associazioni di categoria – avete accennato ad associazioni del comparto agricolo –, e i vostri rapporti con gli enti locali. Penso alla regione Veneto e ad ARPAV, le province, le ASL e i comuni. E quale sia la comunicazione istituzionale in ordine a richieste di accesso agli atti – immagino – fatte in questi anni, e che documenti avete raccolto in questi anni, anche in relazione a quanto riferivate prima sull'utilizzo dei fanghi in agricoltura. Io al Senato e il collega Zolezzi, in maniera molto più qualificata di me, alla Camera dei deputati ci siamo un anno fa confrontati con il tema in occasione della scrittura alla Camera e della fase emendativa al Senato dell'articolo 41 del decreto emergenza, che normava i livelli di inquinamento nei fanghi in agricoltura, ora mi chiedo: in relazione alla documentazione in vostro possesso cosa sapete dai canali ufficiali in ordine alla presenza di PFAS nei fanghi in agricoltura.

  MICHELA ZAMBONI, Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS. Per quanto riguarda i fanghi noi non abbiamo mai fatto un accesso diretto come «Mamme no-PFAS», quello che noi sappiamo è da altri gruppi di cittadini o altri cittadini singoli che vivono nelle zone in cui questi fanghi vengono sparsi, quindi lamentano alcuni problemi di salute. Tutte cose da verificare e da documentare. Ci sono altri gruppi di cittadini che stanno seguendo queste cose, che hanno fatto degli accessi agli atti. Però non ho in questo momento con me documentazione su queste cose. Pag. 26
  Infatti noi vi chiediamo di approfondire questo ciclo, perché noi, avendo sentito altri cittadini che lamentano questi fatti, siccome abitiamo lì anche noi, vogliamo capire che pericoli ci sono. Anche perché la nostra zona è molto nebbiosa, quindi i fanghi che vengono sparsi sui campi, se i PFAS o altre sostanze salgono dal terreno con la nebbia, noi li respiriamo. Quindi abbiamo una contaminazione magari non più dall'acqua, perché noi ormai beviamo l'acqua della bottiglia e non quella dell'acquedotto, anche se è filtrata, ma per via aerea. Quindi la contaminazione continua e noi non ce la caveremo mai. Anche gli agricoltori non sono informati. A me sembra anche strano che questi terreni abbiano continuamente bisogno di ammendanti, di miglioratori di terreno. Basterebbe utilizzare un'agricoltura a rotazione in modo che non ci sia uno sfruttamento del suolo.
  Ci sono delle aziende che trattano queste sostanze, che vengono cosparse più volte sullo stesso campo, quindi ci chiediamo se sia più utile per il campo o più utile per qualcun altro. Chiediamo di verificare queste cose che voi già sapete. Segnaliamo anche noi questo aspetto.

  FABRIZIO TRENTACOSTE. Sul rapporto con le associazioni e con le istituzioni locali.

  MICHELA PICCOLI, Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS. Ci sono molte associazioni, il movimento no-PFAS che raccoglie e raggruppa tantissime associazioni, che va da Medicina democratica ai medici dell'ISDE, al movimento no-PFAS, a dei GAS che lavorano sul territorio, al movimento no-PFAS di Padova... ci sono tantissimi movimenti no-PFAS. Tutti insieme collaboriamo e lavoriamo per l'unico scopo. Tutti, a modo loro, si danno da fare in questo senso. Organizziamo le manifestazioni insieme, ci diamo da fare tutti insieme.
  Per esempio prima citavo i no-TAV, non abbiamo rapporti magari con questa associazione, che tra l'altro è l'unica che ho citato, ma semplicemente perché a noi interessava capire e a loro interessava spiegare a noi quello che potrebbe succedere, che sarebbe una cosa per noi gravissima. È per questo che l'abbiamo segnalata. Sappiamo che hanno depositato tutti i documenti già al Ministero delle infrastrutture e dell'ambiente, per cui tutti i documenti dovrebbero essere già in vostro possesso. Noi volevamo solamente ribadire questa cosa.
  Il rapporto con le istituzioni. Noi siamo partite da zero, abbiamo bussato dapprima al nostro sindaco, poi lì ti rendi conto che il problema è la punta di un iceberg e dal sindaco si passa alla provincia, dalla provincia alla regione, siamo andati a parlare con Coldiretti e con tutte le associazioni di categoria a livello degli agricoltori e degli allevatori, che sono più spaventati di noi. Loro hanno paura, perché, se succede qualcosa, ci rimettono anche loro. Una domenica mattina una amica è venuta a casa mia piangendo; io le avevo chiesto di partecipare a un sit-in, dicendomi lei però che non avrebbe partecipato perché il marito non voleva, per non rischiare di perdere il lavoro.
  È inutile che ce la raccontiamo, per me parlare di agricoltura oggi e parlare di PFAS in agricoltura oggi mi fa male. Non vorrei parlarne. La realtà è che, se noi infiliamo la testa sotto la sabbia come gli struzzi, prima o dopo questa cosa torna come un boomerang. Per cui è meglio che cominciamo ad affrontarla insieme con coltivazioni diverse, trovare delle soluzioni diverse per aiutare anche queste persone.

  ALBERTO ZOLEZZI. Grazie, davvero, per le testimonianze e per l'impegno. Grazie per avere ascoltato anche le audizioni precedenti. Avete citato l'audizione importante dalla dottoressa Dogliotti dell'Istituto superiore di sanità, a cui a metà luglio abbiamo chiesto cosa ne era della delibera di Giunta regionale del Veneto n. 661 del 17 maggio 2016, ed è stato detto che questa delibera è stata disattesa. Riguardava l'affidamento dell'incarico allo stesso ISS della realizzazione di uno studio epidemiologico osservazionale di coorte, e al Servizio epidemiologico regionale di uno studio epidemiologico retrospettivo sulla popolazione Pag. 27esposta. Questo studio probabilmente in tre anni poteva già essere finito e rinforzare purtroppo i dati sui danni da PFAS a questa popolazione, su cui ci sono studi che non hanno lo stesso spessore che avrebbe potuto dare uno studio che integrasse i dati di biomonitoraggio con i dati epidemiologici.
  Vi chiedo se per caso avete pensato, vista anche la vicenda giudiziaria, di integrare anche questo aspetto di possibile omissione di atti di ufficio o qualcosa del genere nelle vicende giudiziarie. Chiaramente poi chi di dovere capirà chi e dove c'è stato qualche problema.
  Ci sono aspetti produttivi nella vicenda dei PFAS, vorrei capire se a voi è stato sottoposto poi questo tema, nel senso che i PFAS esistono ancora. Io credo che una grande cosa sia stato chiudere almeno la produzione della Miteni, però purtroppo i PFAS prodotti vengono trattati in altri stabilimenti più piccoli, dove entrano ancora tanti prodotti. Non viene neanche separata la fase dove utilizzano i PFAS dal resto della produzione, quindi c'è una depurazione di tutta la fase e potrebbe essere migliorativo separare la fase in cui si integrano i PFAS nel restante prodotto prima del prodotto finito da tutta la manipolazione. È chiaro che iniziano a esserci molte alternative. Si spera di arrivare allo stop nell'utilizzo dei PFAS, anche perché sarà questo probabilmente lo strumento per arrivare al limite di zero PFAS.
  A livello politico quello che mi impegnerò a fare, con la collaborazione di altri gruppi, è di declinare in una mozione al Governo una serie di contenuti, che vi sottoporremo e su cui proveremo a trovare una convergenza. Purtroppo il problema è sempre più grave e dobbiamo sollecitare i vari attori che ci sono. Avete detto anche voi che qualche attore (Confindustria) non si presenta facilmente a determinati i tavoli, però c'è modo di fare impresa senza inquinare. Se un'impresa ha problemi, si trova il modo di farla produrre nella maniera migliore.

  LAURA FACCIOLO, Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS. Relativamente a quest'ultima cosa vorremmo aggiungere che le dodici/quattordici sostanze attualmente valutate, sia da un punto di vista dello screening delle acque che dal punto di vista dello screening del siero delle persone contaminate, sono vecchissime. La produzione di PFOA e di PFOS è cessata ancora penso nel 2011; sono sostanze che, se uno va a leggersi un po’ di letteratura, scopre che sono veramente vecchie. Gli statunitensi li chiamano «legacy PFAS», sono i primi che sono stati prodotti. Dopo questi è arrivato il GenX, creato per essere il sostituto del PFOS si sperava senza effetti collaterali, invece ha già dimostrato che si comporta esattamente allo stesso modo, dopodiché ce ne sono altrettanti (es. PFMOA) con sigle che non sto a dire, sono molto complicate, ma disponibili a far vedere i documenti oggetto di valutazione attualmente negli Stati Uniti, dove ci sono questi casi di contaminazione. Nei campionamenti che stanno facendo si nota che, mentre la percentuale di questi legacy PFAS, quindi questi vecchi, sta diminuendo, perché ormai la produzione è conclusa da anni, aumenta proporzionalmente quella dei nuovi, perché anche lì non ci sono nuove normative. Quello che abbiamo spesso chiesto è perché, se loro li misurano, quindi avranno gli standard di riferimento, questa cosa non viene fatta anche qui da noi. Provate ogni tanto a misurare questi nuovi PFAS, perché quanto accaduto da loro anni fa con i vecchi PFAS si è ripetuto anche qua. Ci è sempre stato detto che loro non hanno gli standard di riferimento, che non è compito loro farlo. Valutare chi deve fare cosa, ma sicuramente quelli che si stanno valutando adesso sono PFAS vecchi.

  PRESIDENTE. In chiusura vi chiedo se vi siete mai interfacciati con la procura, se seguite il lavoro che sta facendo la procura. Mi lascia un po’ perplesso il fatto che non abbiano considerato la legge n. 68 sugli ecoreati, perché si è considerato come l'inquinamento c'è stato quando hanno cambiato la catena dei PFAS. In realtà, come tutti sanno, l'inquinamento continua con quella spugna che filtra l'acqua inquinandola. Avete seguito i lavori della procura e se state seguendo un'altra vicenda molto complicata sul fallimento della società?

Pag. 28

  MICHELA ZAMBONI, Rappresentante del gruppo Mamme no-PFAS. In questo momento ci stiamo concentrando sul processo penale per disastro nominato e avvelenamento delle acque. Sappiamo che ci sono altre indagini sul GenX e su altre questioni, e ci stiamo documentando, stiamo cercando di portare il nostro contributo su queste altre indagini, però in questo momento siamo più concentrati sulla nostra costituzione di parte civile nei confronti di Miteni e dei manager Mitsubishi e ICG.
  In futuro seguiremo tutte le prossime vicende, quindi i reati dopo il 2013 e tutto quello che è connesso al discorso dei PFAS.

  PRESIDENTE. Non ci sono altre domande, per cui ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 13.45.