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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 25 di Mercoledì 20 maggio 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Francesco Boccia:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Boccia Francesco (PD) , Ministro per gli affari regionali e le autonomie ... 3 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 9 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie ... 10

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Francesco Boccia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione ai sensi dell'articolo 143 comma 2 del Regolamento della Camera del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, onorevole Francesco Boccia. L'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti di gruppo della Commissione, nella riunione del 30 aprile scorso ha ritenuto opportuno audire il Ministro per una riflessione sull'esperienza maturata in questi mesi nel rapporto Stato-regioni, alla luce dei drammatici avvenimenti legati alla pandemia da Covid-19 e anche sotto il profilo dell'evoluzione del rapporto istituzionale e finanziario tra Stato e regioni, con riguardo anche alle questioni emerse in una materia così rilevante come quella sanitaria, che costituisce parte essenziale della spesa regionale. Nel ringraziarla per la disponibilità dimostrata cedo la parola al Ministro, onorevole Boccia. Prego.

  FRANCESCO BOCCIA, Ministro per gli affari regionali e le autonomie. Grazie, presidente. Grazie, colleghi. Visto il poco tempo che abbiamo a disposizione, entro subito nel merito di questa mia breve relazione; poi lascio agli atti della Presidenza alcuni dettagli; lascio anche la ricostruzione dei provvedimenti che hanno caratterizzato questi mesi e queste due fasi, se riteniamo di poter dividere questa fase di questo periodo che è partito dallo stato di emergenza internazionale di salute pubblica dichiarato dall'Organizzazione mondiale della sanità il 30 gennaio del 2020 fino ai giorni d'oggi. Io, presidente, se è d'accordo, dividerei questa breve relazione in alcuni piccoli capitoli. Farei una premessa connessa al contesto generale e poi alcune riflessioni sulla cosiddetta «fase uno», su come sono stati impostati i rapporti tra Stato e regioni nella fase uno e alcuni approfondimenti maggiori su questa fase che penso interessino più i colleghi, perché è quella che inevitabilmente ora vede anche il Parlamento valutare ulteriori dinamiche che inevitabilmente caratterizzeranno la relazione tra lo Stato, le amministrazioni regionali e le amministrazioni locali. Infine spero di riuscire a fare alcune brevi riflessioni sull'assetto delle competenze e sul rapporto con le regioni alla luce di tutto quello che è successo. Ovviamente immagino che ci sarà altro tempo nelle prossime settimane per approfondire questo aspetto, che poi è l'aspetto che regola la vita quotidiana delle nostre amministrazioni. Faccio alcune riflessioni di contesto generale partendo dall'inizio dell'epidemia. L'emergenza sanitaria nazionale e internazionale parte il 30 gennaio 2020 e si trasforma in pandemia l'11 marzo 2020. Il Consiglio dei ministri dichiara lo stato di emergenza in Italia il 31 gennaio 2020, salvo poi prendere atto della dichiarazione di pandemia dell'11 marzo del 2020. Ci siamo ritrovati di fronte a un panorama del tutto nuovo e imprevisto per Pag. 4il mondo, una crisi economica globale, una rivoluzione nella vita sociale, con i numeri che hanno caratterizzato la nostra economia che tutti conoscete e che sono stati oggetto di più autorizzazioni di scostamento nei due rami del Parlamento. Salto questa parte del contesto generale, così arriviamo ai temi che più interessano la Commissione per le sue autorevoli competenze, però lascio agli atti la riflessione che il dipartimento per gli affari regionali e in generale tutto il Governo ha fatto su questa fase che inevitabilmente ha toccato gli assetti economici del nostro Paese, dell'Europa e del mondo intero e anche le dinamiche connesse non solo agli effetti stessi che si sono avuti sulla contrazione del PIL o sui processi di crescita del mondo, ma anche su quelli che hanno impattato la produzione di valore. Ci sono evidenti valutazioni su quanto sono cambiate le relazioni anche dentro le imprese, su quanto ha impattato lo smart working su una serie di servizi. Sono solo riflessioni che il Parlamento – sono sicuro a breve – valuterà a margine di ulteriori provvedimenti che sarà necessario adottare. Dal 31 gennaio ad oggi, data la dichiarazione dello stato di emergenza italiana, ci sono stati 13 decreti-legge, 14 DPCM, 592 ordinanze regionali e circa 300 provvedimenti ministeriali e ordinanze di Protezione civile. Questo è il quadro dentro il quale si è mosso il sistema delle nostre amministrazioni pubbliche, delle nostre amministrazioni centrali. La fase uno, sulla quale non mi soffermerò molto perché è stata già oggetto di un lavoro intenso da parte del Parlamento, è stata caratterizzata da una scelta che conoscete. Io potrei semplificarla in quattro ambiti di intervento. Intanto, la scelta di chiudere gradualmente, non immediatamente, nel giro di alcuni giorni, per circa due settimane. Siamo partiti dalla chiusura graduale di alcune attività per arrivare al lockdown. Gli ambiti di intervento sono stati essenzialmente quattro: il potenziamento del sistema sanitario immediatamente, la protezione del lavoro dei redditi, gli interventi sulle imprese che intanto erano chiuse... Nel momento più acuto di lockdown abbiamo avuto il 90 per cento del Paese fermo (fisicamente a casa) e il 10 per cento nella fase più acuta di lockdown attivo. Facevo riferimento essenzialmente alla filiera ospedaliera, alla farmaceutica in generale, quindi al sistema sanitario, non solo gli ospedali, ma anche al sistema di produzione industriale che è dietro la sanità, la filiera agroalimentare tutta ed energia e trasporti. Nel momento più acuto sono stati questi i quattro comparti che hanno continuato a lavorare. Tutti gli altri, con tempi diversi, hanno vissuto un lockdown, per alcuni particolarmente lungo. Mi riferisco soprattutto al commercio tutto, al commercio al dettaglio, ai servizi alla persona, alle attività economiche connesse al turismo, alla ristorazione. Sono state le attività che hanno subito la chiusura più lunga e quindi i danni inevitabilmente più lunghi. Tutti gli altri, fuori da quei quattro comparti a cui ho fatto riferimento prima, passando dall'industria all'edilizia, al trasporto pubblico locale, hanno subito riduzioni e chiusure comunque lunghe, ma non quanto quelle degli ultimi comparti che hanno mosso i primi passi proprio all'inizio di questa settimana. Infine, gli altri due punti su cui abbiamo lavorato sono la liquidità alle imprese e alle famiglie e la sospensione delle scadenze per il versamento delle imposte. Nella fase uno – tutto è iniziato con il decreto-legge emanato il 17 marzo – il Governo centrale, utilizzando i poteri che la Costituzione gli dà ai sensi dell'articolo 117, punto q), sulla profilassi internazionale, è intervenuto con linee guida molto chiare. Ricordo a tutti noi che abbiamo 21 modelli diversi di organizzazione territoriale della sanità, 19 regioni. Il Trentino Alto Adige ne ha due diversi tra loro: le due province autonome non hanno lo stesso modello di organizzazione sanitaria. Permettetemi di dire che la fase uno, nella sua drammaticità e nella sua sofferenza collettiva, è stata paradossalmente, dal punto di vista dell'azione pubblica, più facile – uso questa affermazione che può apparire forte – ma dal punto di vista gestionale i quindici giorni difficilissimi che hanno portato poi alla nascita dell'Ufficio del commissario per l'emergenza e alla trasformazione anche fisica dell'organizzazione del Pag. 5lavoro della Protezione civile sono stati paradossalmente più semplici rispetto ai giorni della fase due perché lo Stato ha dato linee guida molto chiare e le regioni avevano il potere di restringere di più, ma non di non chiudere. Lo Stato si è assunto la responsabilità di acquistare tutto quello che le regioni non riuscivano ad acquistare. In quella prima fase abbiamo rimosso tutti i vincoli normativi che esistevano prima del Coronavirus: tutti, nessuno escluso, da quelli sugli acquisti a quelli connessi ai vincoli di bilancio, sia per gli avanzi liberi che per gli avanzi vincolati. Abbiamo rimosso i vincoli connessi alle assunzioni di personale nella sanità; abbiamo rimosso i vincoli sia per i medici sia per gli infermieri sia per i medici in pensione. Sottolineo questo aspetto perché nessuna regione, dal giorno in cui abbiamo rimosso questi vincoli, ha avuto più il problema di non sapere cosa fare. Poi la scelta è sempre stata assolutamente autonoma e abbiamo rispettato le scelte autonome che ogni regione ha fatto nell'organizzazione stessa del proprio modello territoriale di sanità, ma i vincoli pre Coronavirus sono stati tutti rimossi dallo Stato ai sensi dell'emergenza che stavamo vivendo. Le regioni potevano acquistare in totale libertà. Poi tornerò su questo aspetto. Potevano acquistare con le proprie risorse e con gli avanzi liberati e hanno acquistato fino al 6 aprile con il primo fondo della Protezione civile. Mi pare che abbiamo circa 346 milioni. Comunque è tutto rigorosamente riordinato e lascerò poi al presidente Invernizzi i dettagli. Per quelle risorse spese aspettiamo ancora la rendicontazione della maggior parte delle regioni. Non c'è fretta, ma sarebbe opportuno rendicontare quella spesa, perché quelle risorse si sommano alle risorse che sono state utilizzate dal commissario per l'emergenza per fare gli acquisti che tutti quanti conoscete. Nella prima fase lo Stato ha acquistato tutto quello che era necessario acquistare, dai ventilatori polmonari... Anche qui lascerò degli atti cartacei, anche se ci sono. Basta andare sul sito voluto dalla Protezione civile o dal commissario Arcuri per l'emergenza per avere ogni giorno lo stato dei materiali e delle strumentazioni che tuttora lo Stato continua ad acquistare e a distribuire a tutte le regioni. Perché è stato fatto? È stato fatto proprio per costruire la base su cui si poggia la fase due. La fase due si poggia sul monitoraggio quotidiano dell'andamento della situazione epidemiologica territorio per territorio e regione per regione, che è stato costruito dal Ministero della salute. È un modello molto sofisticato che funziona molto bene e che altri Paesi guardano con molta attenzione. È fatto, ovviamente, sulla base di dati che quotidianamente vengono rilevati e raccolti attraverso sistemi sanitari territoriali e ha alcuni punti fermi. Tra questi, il rafforzamento delle terapie intensive, il rafforzamento delle terapie subintensive, l'incrocio tra tamponi e capacità del sistema sanitario territoriale di assistere con la prevenzione territoriale i positivi asintomatici. Di fatto si misura non solo il grado di rafforzamento del sistema territoriale sanitario, ma anche la resilienza stessa del sistema sanitario territoriale e la capacità dello stesso di reagire a eventuali pressioni che potrebbero avvenire nella misura in cui, speriamo di no, l'indice R0 dovesse tornare a salire. Quindi, il sistema di monitoraggio che ha caratterizzato la fase due e che ha imposto questo cambio di schema nasce sulla base e sulla consapevolezza che nella fase uno il Governo centrale, in accordo con le regioni, abbia costruito una rete in grado di reggere l'epidemia. Ovviamente – questo è un passaggio importante – tutto si legge anche sul cambio di comportamento delle nostre comunità, della società, nel senso che quando l'epidemia è scoppiata il distanziamento sociale semplicemente non c'era. Le nostre relazioni sociali contavano il fatto che erano sempre state le stesse e anche in alcuni sistemi sanitari territoriali nei primissimi giorni non si distingueva nemmeno tra un paziente Covid e un paziente non Covid. Non è oggetto di questa riflessione, ma ci sono più casi in molte regioni in cui nei primissimi giorni – sto parlando di fine febbraio e inizi di marzo – in alcune terapie intensive sono stati portati i pazienti Covid che hanno poi contagiato pazienti non Covid. Il tributo altissimo e gravissimo pagato dagli Pag. 6operatori sanitari è anche connesso ai forti contagi che sono avvenuti nei primissimi giorni di questa tragedia. Oggi errori così non se ne fanno da nessuna parte. In nessun luogo italiano in questo momento si portano pazienti Covid in una RSA o pazienti Covid in un reparto di terapia intensiva dove ci sono pazienti non Covid. Purtroppo a febbraio e a inizio marzo è successo anche questo. Questo dà il senso a una riflessione ulteriore che andrà fatta sui modelli di prevenzione territoriale. L'esperienza di questi due mesi e mezzo dimostrano che i modelli di prevenzione territoriale, soprattutto connessi alla sanità pubblica, vanno rafforzati al massimo. Più capillari sono, più il sistema regge; più presenti e capillari sono, più il sistema è in grado di intervenire in caso di epidemia. Dove il mix tra una prevenzione territoriale pubblica molto forte e una sanità privata nelle sue varie accezioni ha tenuto e si è integrato, il sistema ha retto. Dove le sanità private eccellenti, forse tra le più efficienti al mondo, si integravano con modelli di prevenzione territoriale pubblica – efficienti nella qualità degli operatori sanitari, ma fragili dal punto di vista della capillarità – il sistema ha avuto tempi di reazione inevitabilmente più lunghi. Questo è un dato oggettivo che secondo me sarà inevitabilmente oggetto di una valutazione politica in Parlamento. Secondo me è necessario alla luce delle esperienze fatte e delle risorse stanziate. Per questo abbiamo insistito molto nell'acquistare dal centro ventilatori polmonari per i quali in questi giorni stiamo inviando lettere alle regioni. Lo stiamo facendo, ovviamente, con la Protezione civile, con il commissario Arcuri all'emergenza, perché non vogliamo che nessun pezzo acquistato dallo Stato finisca nei magazzini, perché non vogliamo che si attenui la tensione. Noi abbiamo passato venticinque giorni drammatici. Consentitemi di ringraziare gli operatori sanitari che volontariamente, attraverso la Protezione civile, tra la metà e la fine di marzo... Abbiamo fatto il primo bando, la prima call pubblica. In quei giorni e soprattutto nei giorni della domenica delle Palme e della domenica di Pasqua hanno lasciato le loro famiglie, hanno rimesso i camici nei loro trolley e sono andati negli ospedali più drammatici. Penso a Bergamo, Brescia, Lodi, Cremona, Genova, Torino, Verona. Con gli aerei della Guardia di finanza e i mezzi delle forze armate, che ringrazio... Sono stati preziosissimi. A un certo punto, nei momenti più difficili, non ha retto nemmeno il sistema di trasporto tradizionale della Protezione civile, che è fatto anche da una rete capillare di imprese private. Nei momenti più drammatici non hanno retto nemmeno loro. Tutti hanno vissuto il dramma del contagio in casa. Lo abbiamo vissuto nei ministeri, nelle regioni, nei comuni, nelle imprese, nelle aziende. Io stesso nei miei uffici ho avuto più persone contagiate nella prima fase, così come la Protezione civile italiana. Permettetemi anche qui di ringraziare il lavoro delle persone straordinarie della Protezione civile e l'Ufficio del commissario per l'emergenza, perché la Protezione civile italiana non ha mai fatto un lavoro in un Paese tutto indebolito. Siamo sempre intervenuti nelle condizioni drammatiche e abbiamo vissuto nella nostra storia tante calamità naturali, disastri, sempre con la forza dei territori più robusti che intervenivano su quelli sofferenti e indeboliti. Permettetemi questo paragone improprio perché per fortuna le nostre isole minori, proprio perché isolate, in alcuni casi hanno avuto contagi zero: tutto il Paese, dalle Alpi fino alle isole, si è indebolito ed è diventato fragile e la Protezione civile ha dovuto, mentre correva nell'emergenza, cambiare pelle. Io li ringrazio molto perché il metodo di arruolare operatori sanitari volontari ci ha consentito, secondo me, di reggere dei momenti drammatici in cui non c'erano più medici. I lombardi che sono qui sanno come abbiamo vissuto, soprattutto in alcune province lombarde. Io personalmente ho accompagnato giovani nonni e giovani nonne che sono tornati dalla pensione e hanno rischiato; si sono messi di nuovo in camice e sono andati in corsia nel momento in cui i contagi erano molto alti. È successo questo in Italia. Sto parlando di 2.300 persone tra medici, infermieri e operatori sanitari che sono andati negli ospedali, nelle RSA, nelle carceri. Ancora in Pag. 7questi giorni gli operatori sanitari volontari continuano ad andare nelle carceri per assicurare che non accada quello che è successo a febbraio, quando vennero interrotti i colloqui. Ci sono stati problemi anche di tenuta sociale nelle carceri. Tutto questo con l'acquisto dei materiali ha caratterizzato la fase uno. Le lettere che stiamo inviando servono per dire ai presidenti che tutti i materiali che lo Stato ha dato e che ha acquistato sono certamente in comodato gratuito; quindi possono essere utilizzati sine die dalle regioni, ma devono essere attivati, devono essere negli ospedali e si deve avere la certezza che siano attivati, anche se non ci sono posti letto, anche se non ci sono pazienti. Devono essere attivati perché dobbiamo trovarci nella condizione di avere terapie intensive all'altezza della sfida che abbiamo di fronte. Tutto questo incide sul monitoraggio. Passo alla fase due. Il monitoraggio è caratterizzato dalla comunicazione quotidiana dei dati al Ministero della salute, all'Istituto superiore di sanità, al Comitato tecnico scientifico. C'è la facoltà in capo alla regione di adottare, in relazione all'andamento della situazione epidemiologica sul territorio, misure comunque derogatorie ampliative o restrittive rispetto a quelle disposte dallo stesso decreto-legge che informa contestualmente il Ministero della salute. Quindi è cambiato il modello: mentre nella fase uno con il decreto-legge del 17 marzo le regioni potevano solo restringere, nella fase due, anche per la complessità delle riaperture graduali, l'autonomia dei governi regionali e ovviamente delle amministrazioni territoriali regionali è tornata a essere dentro limiti che conoscete, che sono sempre quelli connessi alla profilassi internazionale e alla necessità di garantire gli stessi livelli essenziali delle prestazioni nella sanità. Come ricorderete, ci siamo confrontati più volte prima del Coronavirus sul valore dei LEP sulle quattro materie essenziali. Come ricorderete, anche su richiesta delle regioni, abbiamo sempre tenuto da parte la sanità perché abbiamo sempre ritenuto che i livelli essenziali di assistenza fossero più che esaustivi e più che sufficienti. Probabilmente lo sarà anche, ma questo è un dibattito che faremo in un altro momento. Ci siamo sempre concentrati sulla necessità di indicare metodi, modelli condivisi tra Stato e regioni sul trasporto pubblico locale, sull'assistenza e sull'organizzazione della scuola. Questo era il lavoro che stavamo facendo. È evidente che i livelli essenziali di assistenza meritano una riflessione. La meritano soprattutto sul tema a cui ho fatto riferimento prima perché è su quello che è stato costruito il nuovo monitoraggio della salute e cioè sulla prevenzione territoriale pubblica. Senza fare giri di parole, con l'intervento dello Stato, quindi anche senza incidere sui bilanci regionali, è evidente che la prevenzione territoriale pubblica necessita di un poderoso rafforzamento nel nostro Paese. Lo dico alla Commissione bicamerale, che da questo punto di vista ha le competenze più spiccate: probabilmente questi dati meritano di essere tirati fuori e di essere analizzati nei prossimi mesi. La fase due è quella del monitoraggio, è quella dell'Italia che si rimette in cammino, e un Paese che si rimette in cammino non poteva non avere regioni più autonome e cioè che iniziavano a coniugare la decisione di cosa aprire e in quanto tempo. Il Governo centrale ha dato la facoltà di ripartire, non l'obbligo. Il Consiglio dei ministri ha deliberato un decreto-legge, che poi sarà oggetto del prossimo lavoro in Parlamento parallelamente al «decreto rilancio», in cui si indica la strada, la rotta. Non abbiamo detto: dovete aprire; abbiamo detto: potete aprire a condizione che «autonomia» significa «responsabilità». Ogni regione si assume la responsabilità di aprire gradualmente e di riaccendere quei singoli interruttori con la gradualità con la quale – questo è auspicabile – sono stati spenti, certo, con più velocità quando c'è stato il lockdown, ma sempre con una certa gradualità. È inevitabile che potrebbero esserci andature differenziate. Già ci sono. Ci sono delle regioni che hanno deciso di riaprire alcune attività qualche giorno dopo. Io penso che ogni decisione presa da ogni singola amministrazione regionale che vada in questa direzione sia una decisione che non va etichettata come un ritardo, ma Pag. 8come un'opportuna e saggia prudenza. Lo dico perché in una vicenda come questa non vince la fretta, ma vince la valutazione saggia dei numeri e nessuno deve avere fretta perché noi stiamo costruendo modelli che devono farci convivere con il virus. Non c'è un vaccino. Il vaccino migliore è il nostro comportamento; è il comportamento di tutti i residenti su ogni territorio regionale. Certo, nessuno di noi vive come viveva a febbraio, prima della fase più acuta, ma è evidente e inevitabile sottolineare un aspetto e cioè che se la rete territoriale sanitaria regge, io penso che così come l'abbiamo strutturata e rafforzata... Un miliardo 775 milioni è il fondo. Anche qui poi vi lascerò i dati connessi non solo alle risorse stanziate. Per il momento sono stati stanziati 3 miliardi 275 milioni; un miliardo 650 mila è il decreto-legge del 17 marzo 2020 più altri 100 milioni della delibera del Consiglio dei ministri del 2020 a valere sul Fondo per le emergenze e poi altri 25 milioni per altre risorse spese. Queste risorse (un miliardo 775 milioni) sono i materiali di cui vi parlavo prima, i cui atti allego alla seduta della Commissione, ai quali si aggiungono un miliardo e mezzo, che è l'integrazione per l'anno 2020 che è dentro il decreto-legge del 16 maggio 2020. Queste risorse sono tutte dedicate ad acquisti di materiali e strumentazioni che vanno alle regioni. Lo fa lo Stato; in gran parte lo Stato lo ha già fatto. L'altro miliardo e mezzo stanziato sono le risorse che ha nella propria disponibilità la Protezione civile e il commissario per l'emergenza che serviranno per potenziare questa rete. Il dibattito che dovrà esserci è su come dovrà funzionare questa rete. La fase due è caratterizzata dal monitoraggio. Il sistema di monitoraggio che non sto qui a raccontarvi per ragioni di tempo, ma che è molto semplice e già conoscete perché è stato presentato al Ministro della Salute, definisce tre gradi di rischio: basso, medio e alto. All'interno di quei gradi di rischio ci sono una serie di spie che consentono l'allerta di volta in volta appena scatta. È evidente che questa nuova impostazione di autonomia e responsabilità che consente al Paese di rimettersi in cammino sconta il fatto che le regioni devono essere molto responsabili nella modalità con cui si rimettono in cammino, perché l'ipotesi di programmare le aperture infraregionali dal 3 giugno è un'ipotesi che, come sapete, è stata già oggetto di ufficializzazione da parte del Governo, ma a condizione che si rispettino i dati del monitoraggio. Se una regione è ad alto rischio, è evidente che non può partecipare in quella fase alla mobilità infraregionale. Valuteremo le modalità con cui questo dovrà avvenire così come abbiamo sempre fatto e di questo ringrazio tutti i presidenti di regione. Chiudo perché voglio lasciare spazio soprattutto alle vostre domande; le altre cose le lascio agli atti. Con la Conferenza delle regioni ci sono state molte nottate, molte giornate, molte videoconferenze, moltissime conferenze Stato-regioni, molti incontri di coordinamento. Tuttora il comitato operativo della Protezione civile ogni mattina alle 9 si raccorda con tutte le regioni. Non c'è mai stato un giorno nella fase di emergenza in cui sia saltato questo appuntamento, sette giorni su sette. La Protezione civile è come un ospedale: non chiude mai. È uno di quei palazzi dello Stato che non conosce la serranda abbassata e devo dire che le stesse regioni hanno vissuto così. Non c'è stata una regione che abbia mai abbassato la guardia in questi tre mesi. Nonostante momenti anche duri, difficili, alla fine penso che la leale collaborazione ci abbia consentito di resistere e di vincere questa prima battaglia con il virus. Abbiamo rimesso il Paese in sicurezza. Siamo partiti da un R0 che viaggiava tra 3,5 e 4 con punte di 4,2-4,3 nelle aree più critiche del Paese. Ci siamo rimessi in cammino con 0,4-0,5-0,6. Ora dobbiamo difendere questi numeri e dobbiamo farlo sapendo che questo è il patrimonio maggiore dal quale oggi ripartiamo. Rivendico questa interlocuzione costante tra Governo, regioni ed enti locali. Fatemi ringraziare i comuni che hanno chiesto deliberatamente, attraverso il presidente dell'ANCI Decaro, di andare in deroga all'articolo 50 del testo unico degli enti locali e hanno semplificato con grande senso di responsabilità il lavoro dello Stato. C'è stato un continuo confronto con i comuni. Essi Pag. 9sono davvero stati sentinelle delle misure che abbiamo concordato insieme. I comuni e le province hanno sempre partecipato all'attività decisionale. Nella Cabina di regia nazionale hanno assunto con noi decisioni e hanno aiutato le regioni. Rivendico anche il fatto di non aver utilizzato poteri sostitutivi. Sarebbe stato fin troppo semplice, nel momento in cui c'era disaccordo, utilizzare poteri sostitutivi, annullare le ordinanze e dire: si fa così, capovolgiamo il meccanismo, fate voi ricorso sull'atto del Governo. Non sarebbe stata una leale collaborazione e alla fine penso che abbia premiato il lavoro che abbiamo fatto insieme, anche se in alcuni passaggi è stato duro. La nostra Costituzione, come sapete, ci consente, oltre al ricorso dinanzi alla Corte costituzionale, il ricorso dinanzi ai tribunali amministrativi regionali, che abbiamo dovuto utilizzare, per fortuna, per sole due volte. Non è stato né utile né opportuno nemmeno utilizzare, fino a questo momento, i poteri sostitutivi. Di questo ringrazio le regioni e la Conferenza dei presidenti per il lavoro duro, continuativo, serrato che abbiamo fatto in questi mesi. A pagina 14 e 15 della relazione che vi lascio ci sono le risorse, i fondi, i materiali acquistati, oltre 286 milioni di pezzi consumabili e 584 mila non consumabili. Dentro c'è tutto. Ci sono 249 milioni di mascherine. Questi sono i numeri, che non si vedono spesso. Ogni giorno fuori dalle nostre Aule si fanno talk show, ma questi sono i numeri. Ovviamente è tutto sul sito della Protezione civile. Ci sono oltre 5 mila ventilatori, decine di migliaia di termometri, saturimetri, quasi 60 mila caschi, CPAP, tubi di protezione... I medici deputati possono scorgere il sito della Protezione civile per capire. Tutti possono farlo. Lo dico ai medici deputati perché hanno maggiore sensibilità di me per capire che cosa è arrivato nelle corsie degli ospedali in questi due mesi e mezzo. Ringrazio per l'attenzione e ora sono a vostra disposizione per qualsiasi risposta.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, signor Ministro. Ha toccato nella sua relazione tutta una serie di temi fondamentali che sicuramente impegneranno anche la nostra Commissione nei prossimi mesi. È chiaro a tutti che il Covid ha avuto e sta avendo, al di là di tutto il resto, un'importantissima influenza su quello che riguarda i rapporti istituzionali e finanziari tra Stato e regioni. Lei ha affrontato temi che sicuramente avrebbero meritato molto più tempo. La ringrazio comunque per il tentativo di sintesi che ha fatto. Giusto per organizzare un attimo i lavori, se siete d'accordo e visto che il Ministro ha già dato la sua disponibilità, io interromperei l'audizione e ci diamo appuntamento per la settimana prossima in modo tale da dare anche la possibilità ai commissari di poter intervenire.
  Dispongo che la documentazione prodotta sia allegata al resoconto stenografica della seduta odierna e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 9.

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