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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 3 giugno 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 2329 BRESCIA, RECANTE «MODIFICHE AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 MARZO 1957, N. 361, E AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO LEGISLATIVO 20 DICEMBRE 1993, N. 533, IN MATERIA DI SOPPRESSIONE DEI COLLEGI UNINOMINALI E DI SOGLIE DI ACCESSO ALLA RAPPRESENTANZA NEL SISTEMA DI ELEZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E DEL SENATO DELLA REPUBBLICA. DELEGA AL GOVERNO PER LA DETERMINAZIONE DEI COLLEGI ELETTORALI PLURINOMINALI»

Audizione del professor Giovanni Guzzetta, Professore di diritto pubblico presso l'Università di Roma «Tor Vergata».
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 
Guzzetta Giovanni , professore di diritto pubblico presso l'Università di Roma «Tor Vergata» ... 3 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 5 

Audizione del professor Gaetano Azzariti, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza»:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 5 
Azzariti Gaetano , professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza» ... 6 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 8 
Azzariti Gaetano , professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza» ... 9 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 11 
Ceccanti Stefano (PD)  ... 11 
Azzariti Gaetano , professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza» ... 11 
D'Ettore Felice Maurizio (FI)  ... 11 
Ceccanti Stefano (PD)  ... 12 
D'Ettore Felice Maurizio (FI)  ... 12 
Azzariti Gaetano , professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza» ... 12 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 13

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE BRESCIA

  La seduta comincia alle 12.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Giovanni Guzzetta, Professore di diritto pubblico presso l'Università di Roma «Tor Vergata».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione del professor Giovanni Guzzetta, professore di diritto pubblico presso l'Università di Roma «Tor Vergata».
  Essendo egli stato indicato tra i soggetti da audire anche sulla proposta di legge costituzionale C. 2238 Fornaro, recante modifiche agli articoli 57 e 83 della Costituzione, in materia di base territoriale per l'elezione del Senato della Repubblica e di riduzione del numero dei delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica, gli chiedo cortesemente di svolgere la relazione su entrambe le tematiche e di contenere l'intervento in circa quindici minuti.

  GIOVANNI GUZZETTA, professore di diritto pubblico presso l'Università di Roma «Tor Vergata». Grazie, presidente. Le due proposte di legge, pur differenti, hanno un elemento in comune, che ne è un po' la premessa, vale a dire che le discipline da esse recate sarebbero in entrambi i casi giustificate dalla riforma costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari. Su questo motivo di fondo ho personalmente delle perplessità, nel senso che mi sembra sia un po' contraddittorio rispetto alla premessa: se la riduzione dei parlamentari ha come risultato una riduzione della rappresentatività del Parlamento, perché oggettivamente un numero minore di parlamentari rispetto alla popolazione determina questo esito, non si capisce perché a questo punto essa vada compensata, poiché al momento di adottare la riforma era chiaro che questo sarebbe stato il risultato. Semmai si sarebbe dovuto riflettere maggiormente sull'adozione della riforma, per non dover poi ricorrere ai ripari per compensare quella scelta. Quindi, mi sembra un argomento più politico che giuridico.
  Per quanto riguarda la proposta di legge C. 2329 Brescia di riforma elettorale, un'altra motivazione, oltre a quella che ho appena citato e su cui ho manifestato le mie perplessità, è quella secondo cui la legge elettorale vigente, alla luce dell'esperienza acquisita – cito la relazione – ha dimostrato di non coniugare bene il principio di rappresentatività con l'obiettivo di stabilità. Ora, da questa premessa ci si sarebbe attesi che la proposta di legge mirasse a coniugare meglio il principio di rappresentatività Pag. 4con quello di stabilità, mentre invece complessivamente la legge risolve il problema rinunciando radicalmente all'obiettivo della stabilità, vale a dire introducendo un sistema elettorale di tipo proporzionale puro, che non ha alcun tipo di dispositivo che in qualche modo possa facilitare il raggiungimento della stabilità. Quindi, sostanzialmente, il legislatore decide che l'obiettivo della stabilità non è perseguito, nemmeno indirettamente, attraverso la disciplina elettorale. Dunque, forse, l'unico vero obiettivo è quello di eliminare l'imbarazzo di campagne elettorali in cui si offrono agli elettori alleanze programmatiche che poi sono smentite in via di fatto dai risultati elettorali, perché il sistema non assicura il raggiungimento di maggioranze autosufficienti all'esito dell'elezione. Il sistema delineato è un sistema proporzionale sostanzialmente puro, con una soglia di sbarramento al 5 per cento, dunque è il ritorno al parlamentarismo classico italiano, che ha una tradizione molto antica ma che ha anche numerosi critici, nella sua storia. Ovviamente si tratta di una scelta di merito politico, sulla quale il costituzionalista non può dire nulla, se non quello che è l'effetto di un sistema simile, e cioè che, eliminati i meccanismi di incentivo all'aggregazione e di incentivo al raggiungimento di una maggioranza politica autosufficiente già all'esito delle elezioni, la definizione dell'indirizzo politico è lasciata completamente agli accordi parlamentari, in cui ciascun partito, che peraltro non ha più l'obbligo, e forse nemmeno la facoltà, se non politicamente, di collegarsi ad altri, si può orientare in qualunque modo ritenga.
  È chiaro a tutti che un sistema elettorale di questo tipo è esattamente quel modello che molti autorevoli opinionisti e studiosi, fin dall'epoca costituente, hanno fortemente criticato, proprio per gli effetti di instabilità che esso determina. D'altra parte, non è nemmeno paragonabile ad altri sistemi proporzionali esistenti (mi riferisco a quelli più importanti, quello spagnolo e quello tedesco). Non è paragonabile a quello spagnolo perché si prevede l'assegnazione dei seggi in un collegio unico nazionale, e quindi non c'è l'effetto di soglie implicite che c'è nel sistema spagnolo. Non è paragonabile a quello tedesco, perché quest'ultimo prevede una proporzionale personalizzata con un effetto di trascinamento assicurato dalla componente maggioritaria, effetto di trascinamento che si tocca con mano con riferimento ai cosiddetti Überhangmandate, vale a dire i mandati eccedentari che vengono assegnati ai partiti che nella quota maggioritaria ottengono un numero di seggi superiore a quello che spetterebbe loro sulla base del calcolo proporzionale.
  Il terzo punto critico, a mio avviso, di questa proposta di legge è che manca – purtroppo non è una novità, nel senso che negli ultimi anni tutte le leggi elettorali sono state caratterizzate da questo fatto – una clausola di sospensione dell'applicazione per il caso in cui i decreti legislativi che debbono ridefinire i collegi e le circoscrizioni elettorali non vengano adottati nei termini. Pertanto, essa si pone in rotta di collisione con la ben nota giurisprudenza costituzionale che vorrebbe che le leggi elettorali siano autosufficienti nel momento in cui entrano in vigore, cioè che siano in grado di applicarsi in qualunque momento sia necessario, senza che sia frapposto alcun tempo o comunque senza che vi sia alcuna condizione. Nelle leggi elettorali che introdussero la riforma del 1993 si prevedevano meccanismi di sospensione dell'applicazione, che era condizionata all'entrata in vigore delle norme sulle circoscrizioni elettorali, adottate con decreto legislativo delegato. Nella proposta di legge in esame questa previsione manca, e forse sarebbe opportuno riflettere se non vada comunque inserita.
  Per quanto riguarda invece la proposta di legge costituzionale C. 2238 Fornaro, personalmente vedo, sempre senza entrare nel merito politico della scelta, un vizio di fondo nell'impostazione del progetto, non solo perché si dice ispirato alle esigenze di garantire rappresentatività a fronte della riduzione del numero di parlamentari, ma anche perché si dice proprio ispirato alle esigenze di garantire rappresentatività, laddove il modello regionale e di composizione del Senato delineato dall'Assemblea Costituente, Pag. 5 seppure molto attenuato rispetto ad altri ordinamenti federali o regionali, non risponde alla logica della rappresentatività; cioè, nell'esperienza dei sistemi regionali e federali, la seconda Camera non ha la funzione di rappresentare le popolazioni, ma ha la funzione di rappresentare gli enti. Ciò determina frequentemente (basti pensare al Senato degli Stati Uniti e al Bundesrat tedesco) la circostanza per cui la seconda Camera non è rappresentativa della popolazione, tanto è vero che il Senato federale degli Stati Uniti è composto da due senatori per ciascuno Stato, indipendentemente dalla popolazione degli Stati, e il Bundesrat tedesco è composto dai delegati dei governi, quindi non c'è l'opposizione dei Parlamenti dei singoli Laender.
  Se questo è il modello, con la proposta di legge costituzionale in esame si abbandona quell'altro modello, seppure nella sua forma più attenuata, che era l'elezione su base regionale, e si entra nella logica di un altro sistema, quello di una seconda Camera perfettamente paritaria, che perde qualsiasi riferimento alla forma di Stato territorialmente e politicamente articolata ed è sostanzialmente un doppione della prima. Quindi, la scelta di modificare le norme sulla composizione del Senato sulla base delle motivazioni citate, significa semplicemente dire che si vuole ulteriormente ridurre quella dose già abbastanza bassa di regionalismo nel modello di organizzazione dello Stato centrale. Ciò vale per l'articolo 57 della Costituzione, che riguarda l'elezione del Senato, perché la previsione della sostituzione dell'elezione su base regionale con l'elezione su base circoscrizionale di fatto, consentendo al legislatore di stabilire le circoscrizioni fondamentalmente come ritenga, fa venire meno la garanzia costituzionale di quel vincolo; ma vale anche per il collegio elettorale che elegge il Presidente della Repubblica, nel senso che l'articolo 83 della Costituzione e quel modello di collegio nascono proprio con l'idea deliberata di distorcere la rappresentanza popolare con innesti di rappresentanza degli enti attraverso i delegati regionali. Ora, prevedere che sostanzialmente i componenti di provenienza regionale siano uno della maggioranza politica e uno dell'opposizione, perché questa è la conseguenza nel momento in cui si stabiliscono due delegati, di cui uno appartenente alla minoranza, significa ricondurre ancora una volta alla logica meramente politica, e non alla logica di rappresentanza di enti, la funzione di quella rappresentanza. Per questo la giustificazione «matematica», per cui essendo stato ridotto di un terzo il numero dei parlamentari, si riduce di un terzo il numero di delegati, mi sembra una giustificazione che non tiene conto di questo dato strutturale, di questo dato di sistema, cioè che la scelta della seconda Camera è una scelta legata all'esigenza di rappresentare gli enti, e quindi l'indirizzo politico degli enti che è espresso dalla maggioranza di ciascun Consiglio regionale (con rappresentanza «minoritaria» della minoranza), all'interno del collegio elettorale del Presidente della Repubblica.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Guzzetta per la sua relazione. Nessuno chiedendo di intervenire, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del professor Gaetano Azzariti, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione del professor Gaetano Azzariti, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza».
  Essendo egli stato indicato tra i soggetti da audire anche sul progetto di legge costituzionale C2238 Fornaro recante modifiche Pag. 6 agli articoli 57 e 83 della Costituzione, in materia di base territoriale per l'elezione del Senato della Repubblica e di riduzione del numero dei delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica, gli chiedo cortesemente di svolgere la relazione su entrambe le tematiche e di contenere l'intervento in circa quindici minuti.

  GAETANO AZZARITI, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza». Ringrazio il presidente e la Commissione per l'invito all'audizione. Partirei dalla relazione di accompagnamento della proposta di legge C. 2329 Brescia, dove si scrive che la modifica del sistema elettorale, che conserva l'impianto proporzionale, è proposta al fine di garantire il pluralismo territoriale e politico della rappresentanza. Gli strumenti individuati per ottenere questo scopo sono principalmente due: da un lato, eliminare i collegi uninominali e, dall'altro, rimodulare le soglie di sbarramento. Questa finalità, viene specificato sempre nella relazione, è resa più rilevante alla luce dell'approvazione della legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari. Io non discuterò la premessa, mi propongo solo di verificare se le modifiche indicate siano effettivamente in grado di conseguire lo scopo voluto. Iniziamo dalla scelta di eliminazione dei collegi uninominali a favore di una generalizzata estensione del sistema delle liste bloccate. Liste bloccate non troppo brevi, con l'eliminazione dell'attuale tetto massimo di quattro candidati, sostituito dal numero massimo dei seggi attribuito al collegio plurinominale, che è pari al non irrilevante numero di otto candidati. A questo proposito credo che possano essere svolte due considerazioni: la prima relativa alla pregressa giurisprudenza costituzionale, la seconda relativa alla congruità al fine politico perseguito indicato nella relazione. Per quanto riguarda la Consulta, ricordo le due sentenze importanti, la n. 1 del 2014 e la n. 35 del 2017. In particolare la prima, la quale lascia alcuni margini di dubbio, ma è chiara nell'affermare – cito testualmente – che le liste bloccate «non consentono all'elettore alcun margine di scelta dei propri rappresentanti, prevedendo un voto per una lista composta interamente dai candidati bloccati»; tale affermazione è rafforzata aggiungendo: in tal modo «alla totalità dei parlamentari, senza alcuna eccezione, manca il sostegno dell'indicazione personale degli elettori, in lesione della logica della rappresentanza prevista dalla Costituzione».
  Una situazione che è anche quella che si rinviene nella proposta C. 2329 Brescia in discussione. Tuttavia – per questo parlo di ambiguità della giurisprudenza costituzionale – la Corte aggiunge che questo sistema ha operato, nel caso di specie (si riferisce alla legge n. 270 del 2005 dichiarata incostituzionale) «nell'ambito di circoscrizioni molto ampie e in presenza di un numero assai elevato di candidati, potenzialmente corrispondente all'intero numero di seggi assegnati alla circoscrizione, perciò difficilmente riconoscibili dall'elettore». Aggiunge ancora – sempre la Corte – che quel sistema della legge n. 270 del 2005 non poteva essere comparato «né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte di seggi – ma quest'esimente non può essere utilizzata nel nostro caso, essendo anche la proposta di legge Brescia un sistema a liste bloccate su tutti i seggi – né – prosegue la Corte – con altri sistemi caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere risulta essere talmente esiguo da garantire l'effettiva conoscibilità degli stessi e, con essa, l'effettività della scelta e la libertà di voto, al pari – conclude significativamente la Consulta – di quanto accade nel caso dei collegi uninominali». Ora, nel nostro caso, credo che si debba riflettere se vengono rispettate le indicazioni fornite dalla Corte: circoscrizioni territorialmente ridotte, numero di candidati esiguo, loro effettiva conoscibilità. A ben vedere non credo possibile dare sin d'ora una risposta netta, essendo la questione controversa. Non voglio e non posso preannunziare esiti né dare le risposte che la Corte darà (e sicuramente le darà, perché una cosa è certa: si arriverà alla Corte). Mi limito pertanto a rilevare l'esistenza di questa criticità costituzionale e a sollecitare il legislatore alla cautela per Pag. 7evitare il rischio drammatico di un'ennesima, imbarazzante situazione di incostituzionalità della legge.
  Questa criticità – passando alla seconda considerazione che volevo fare – e ogni margine di dubbio sarebbero spazzati via se si adottasse un sistema completamente uninominale. Ribaltando cioè il meccanismo, ma non la logica, voluta dal legislatore. Io credo anzi – questa è la tesi che vorrei sostenere – che questo sia il sistema più idoneo per cercare di conseguire il fine indicato dal legislatore nella relazione di accompagnamento («garantire il pluralismo territoriale e politico della rappresentanza»). Il sistema di distribuzione proporzionale dei seggi nei collegi uninominali, infatti, appare il più congruo, considerando che, in questo caso, l'elettore ha certamente un elevato margine di scelta ed è rispettato il principio di conoscibilità del candidato. Inoltre, una scelta univocamente uninominale, superando dunque il sistema misto, imporrebbe una moltiplicazione dei seggi, tanto più utile vista la riduzione del numero dei parlamentari; in via di principio tanti collegi quanti sono i seggi da distribuire, 400 per la Camera e 200 per il Senato, secondo quanto definito dalla riforma costituzionale. Questo sistema garantirebbe un rapporto tra elettori ed eletti di maggiore colleganza e verrebbe qualificato da tre diversi tipi di responsabilizzazione. Da un lato, responsabilizzerebbe le forze politiche, da un altro lato responsabilizzerebbe i candidati, infine responsabilizzerebbe l'elettore. Infatti, rimarrebbe certamente in capo alle forze politiche e ai partiti il potere di presentazione delle candidature uninominali (si intende che poi ogni partito adotterà le modalità di individuazione dei candidati come meglio ritiene: potrebbero essere scelti dagli organi dirigenti, potranno essere scelti in base a primarie interne, potranno essere scelti in base a consultazione on line nelle piattaforme di partito o altro). Il collegio uninominale, inoltre, non facendo concorrere più candidati di una stessa lista, potrebbe servire a creare una solidarietà maggiore rispetto a quella che c'è oggi nella competizione elettorale all'interno dei partiti, perché il successo individuale nel collegio del singolo candidato, nella distribuzione proporzionale, produrrebbe anche un successo collettivo del partito. Infatti, sarà la cifra individuale, riportata dai singoli candidati, che servirà per conquistare il collegio, ma anche per contribuire al successo del partito. Infine, per quanto riguarda l'elettore, la riduzione dell'ambito territoriale dei collegi, conseguente alla moltiplicazione degli stessi, renderebbe materialmente visibile il confronto politico in atto, nonché più chiaramente identificabili le proposte dei partiti, non più solo trasmesse attraverso i leader nazionali magari in televisione o tramite social, ma anche da rappresentanti locali in competizione tra loro all'interno del territorio. In questo modo si riuscirebbe a riavvicinare la politica ai cittadini e a dare una legittimazione popolare reale ai nostri rappresentanti, dando forza di legittimazione ai membri del Parlamento.
  Quello richiamato è un sistema collaudato. È il modello della legge n. 29 del 1948 che ha operato per il Senato fino al 1994. Un modello simile è stato adoperato per i consigli provinciali dal 1993 al 2011. È un sistema che si caratterizza per piccoli collegi uninominali, candidati tra loro collegati in base all'appartenenza alla medesima forza politica, assegnazione diretta del seggio se si ottiene il 65 per cento del suffragio complessivo (per garantire sostanzialmente le minoranze linguistiche in Val d'Aosta e Trentino-Alto Adige), per i restanti, cioè la quasi totalità, un riparto proporzionale. È un sistema che non assicura la vittoria del candidato che ottiene un solo voto in più nel collegio – che è all'origine delle distorsioni dei sistemi maggioritari secchi – ma assicura una effettiva valutazione della rappresentanza territoriale e del pluralismo, che erano gli obiettivi indicati nella relazione di accompagnamento.
  Vengo ora all'altro strumento indicato nella relazione illustrativa per assicurare il pluralismo territoriale e politico della rappresentanza: l'innalzamento della soglia di sbarramento. Vorrei anzitutto far notare quel che è ovvio, ovvero che la riduzione del numero dei parlamentari già di per sé Pag. 8comporterà l'introduzione di una soglia naturale, un innalzamento di fatto di quelle attualmente previste. Per dirla in breve, sarà più difficile per i piccoli partiti ottenere un seggio dovendo ottenere più voti per assicurarsi un minor numero di eletti. Questa è la ragione per la quale le soglie elevate in Europa sono previste nei casi di assemblee elettive assai numerose. Il caso classico è la Germania: una soglia del 5 per cento, di fronte a una Camera bassa di oltre 700 membri.
  La domanda di fondo però credo sia un'altra. Una domanda certamente di natura politica, che però si riflette anche sugli equilibri della forma di governo. Ci si deve chiedere se può ritenersi un buon risultato escludere la maggior parte dei voti conquistati dalle forze medio-piccole. Credo che questo sia il nodo politico, ma relativo anche alla forma di governo. Entro questa seconda prospettiva esiste una solida ragione che indurrebbe a ripensare la questione delle soglie, limitandone, se non escludendone, l'utilizzazione. La ragione di fondo che si pone alla base dell'introduzione delle soglie è rappresentata, da un lato, dall'esigenza di favorire una maggiore governabilità e addivenire a maggioranze parlamentari più stabili, meno frammentate; dall'altro, quella di garantire una migliore funzionalità dell'organo parlamentare, assicurandosi uno svolgimento dei lavori più ordinato. Ora, vorrei rilevare che tanto l'una quanto l'altra finalità in un sistema proporzionale che opererà nel nuovo contesto costituzionale di riduzione dei parlamentari possono venir conseguite in un altro modo: non più effetto meccanico di soglie o sbarramenti, bensì frutto di politiche concordate e di una nuova organizzazione dei lavori. Mi spiego anche qui in breve. La stabilità delle maggioranze nei sistemi proporzionali è affidata alla solidità dei governi di coalizione, ai patti che sostengono le coalizioni di maggioranza, senza possibili scorciatoie o forzature sui numeri parlamentari. Non vorrei apparire sgarbato e inopportuno, però basta in fondo riflettere sulle turbolenze che hanno caratterizzato l'attuale legislatura e coinvolto il passato e l'attuale Governo, sostenuto da due diverse maggioranze. Le fratture del passato Governo, composto da due sole forze politiche, entrambe numericamente assai consistenti, hanno evidenziato la fragilità degli accordi politici (il famoso «contratto») che non si sono tradotti in un indirizzo politico solido e duraturo. Anche l'attuale instabilità che investe l'Esecutivo sostenuto da ben quattro forze di Governo, di diversa consistenza parlamentare, mi sembra stia mostrando un'analoga distonia tra i vari componenti politici. Se si vuole allora garantire la stabilità delle maggioranze e dei governi di coalizione nelle forme di governo parlamentare che adottano sistemi proporzionali diventa necessario – ancor più che non in passato – lavorare su accordi politici stabili definiti dalle forze di maggioranza prima di fare il Governo, in sede di consultazioni e poi nel momento della presentazione dei programmi di governo alle Camere.
  Per quanto riguarda la governabilità delle Assemblee parlamentari, anche qui io credo che il problema sia rilevante, ma non penso sia da ricollegare alle soglie di sbarramento. Intanto possiamo essere rassicurati del prossimo cambiamento: se, come sarà, ci sarà una riduzione del numero dei parlamentari, già questo faciliterà l'organizzazione dei lavori: coordinare 400 persone anziché 630 o 200 anziché 315 è più facile. Se poi però volessimo effettivamente affrontare la questione della migliore organizzazione dei lavori all'interno del Parlamento, io credo che la strada sia quella di operare sui Regolamenti parlamentari, che dovrebbero essere radicalmente cambiati, rivendicando una maggiore autonomia del Parlamento dal Governo (limitando le richieste di fiducie, la decretazione d'urgenza, la possibilità di condizionare i lavori parlamentari in modo esorbitante). Vedo che ho parlato troppo tempo. Tralascio altre osservazioni che volevo indicare per una battuta sull'altro progetto di legge.

  PRESIDENTE. Non si preoccupi per i tempi, perché visto che abbiamo cominciato un po' in anticipo, se vuole dire qualche parola in più, non si preoccupi.

Pag. 9

  GAETANO AZZARITI, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza». Mi fa un regalo, perfetto. Sempre rapidamente affronto allora un'altra questione. L'introduzione del diritto di tribuna, che non so se posso dire sia una misura «risarcitoria» per le minoranze, ma certamente essa si «affianca» all'innalzamento della soglia. Allora mi chiedo problematicamente se questa rappresentanza residuale, di tribuna, di parlamentari «tribuni», sia funzionale all'attività parlamentare. Vi chiedo e mi chiedo: non c'è il rischio di una presenza quasi simbolica di rappresentanti di formazioni minori che hanno però una loro consistenza? Questi «tribuni», mi permetto scherzosamente di chiamarli così, evidentemente non potranno costituire un gruppo autonomo, probabilmente confluiranno nel Gruppo misto, non potranno operare in tutte le Commissioni, non potranno incidere realmente sulla calendarizzazione dei lavori. So bene che anche oggi sono presenti in Parlamento piccolissimi raggruppamenti, ma questi, per lo più, non sono formazioni nazionali; con le dovute eccezioni (penso a LEU o a + Europa), ma appunto si tratta di eccezioni. Si tenga presente che con l'innalzamento della soglia e la riduzione del numero dei parlamentari, le formazioni che otterranno il diritto di tribuna devono comunque avere superato almeno tre quozienti in due regioni alla Camera e un quoziente in una regione nella circoscrizione regionale al Senato; quindi formazioni non proprio marginali. Credo che in questo caso i Regolamenti parlamentari dovrebbero preoccuparsi di assicurare a questi eletti «di tribuna» di poter partecipare effettivamente al complesso della attività, ad esempio garantendo loro la presenza in tutte le Commissioni. Parlo solo della presenza in Commissione, perché non ho tempo per approfondire.
  Pochissime battute ancora sull'eliminazione del collegamento di coalizione e sull'eliminazione della nozione di capo della forza politica. In questo caso, fatemelo dire, si tratta in primo luogo di una salutare ripulitura del linguaggio, perché se già in passato l'indicazione pre-elettorale delle coalizioni post-elettorali era assai criticabile, nell'attuale sistema proporzionale la preventiva indicazione di una coalizione non avrebbe senso; quindi è giusto che venga eliminata. Ancora più opportuna è l'eliminazione dell'indicazione del capo, che riporta il linguaggio giuridico-costituzionale del Parlamento a una maggiore sobrietà democratica. I capi non sono espressione appropriata nel governo dei molti, cioè nei governi democratici. Tra l'altro è un'indicazione anche fuorviante in sé. Anche qui non vorrei essere sgarbato con nessuna forza politica o leader di queste, ma la storia lo è stata. In passato, infatti, ci sono state forze politiche senza capi che si sono inventate un capo senza scettro per presentarsi alle elezioni, oppure capi che sono caduti più o meno rapidamente nella polvere, magari dopo aver perso le elezioni (e dunque, in fondo, per un fisiologico ricambio). Sulla prevista parità di genere non posso che concordare, limitandomi a rilevare che semmai si dovesse passare dal sistema delle liste bloccate a quello dei collegi uninominali – come in precedenza auspicato – è evidente che bisognerebbe riaffermare il principio della parità di genere nei diversi collegi. Penso, infine, che dovrebbero essere cancellate le candidature plurime, tanto più nella prospettiva del collegio uninominale, perché in questo caso veramente non avrebbe più senso permettere ai candidati di presentarsi in diversi collegi: il rapporto del candidato con il territorio, che si vuole rafforzare, non può essere moltiplicato. Ultima battuta su quello che non c'è scritto nel progetto di legge. Sarebbe forse opportuno ripensare i collegi esteri, sarebbe questa una buona occasione per farlo, perché il sistema di elezione dei rappresentanti all'estero – lo posso dire senza dilungarmi perché credo che sia da tutti condiviso – ha mostrato molte questioni problematiche.
  Ultime battute sulla proposta di legge costituzionale C. 2238 Fornaro e altri. Mi limito veramente a tre osservazioni telegrafiche sull'articolo 57 della Costituzione e sull'opportunità di rimettere la determinazione degli ambiti territoriali alla legge Pag. 10ordinaria e non più alla Costituzione. Io pongo una questione di metodo, una di prospettiva e una di fatto. La questione di metodo è la seguente. Vi chiedo quale senso possa avere cambiare la Costituzione per collegarla a una legge morente. Il problema che nasce sulla mancanza di rappresentatività dei consigli regionali riguarda infatti proprio la legge ordinaria n. 51 del 2019, cioè quella che state per cambiare. Mi chiedo, inoltre, se rimettere alla legge ordinaria la scelta di determinare l'ambito territoriale della rappresentanza politica sia una scelta costituzionalmente corretta. È irrilevante per la Costituzione la determinazione dei criteri e la definizione dell'ambito dei collegi? Peraltro, vorrei far notare (certo, riconosco che è un argomento legato alla tesi da me sostenuta) come nella prospettiva del collegio uninominale prima illustrata il problema non si porrebbe più. Per il Senato ci sarebbe la possibilità di distribuzione in ambito regionale di più seggi a garanzia del pluralismo anche conservando la base regionale. Questa è la prima questione, di metodo. La seconda osservazione, di prospettiva, mi porta ad una considerazione di fondo. Non sarebbe opportuno stabilire verso quale tipo di sistema bicamerale noi tendiamo prima di cambiare questi specifici aspetti? La proposta in discussione sembra indicarci un passaggio dall'attuale bicameralismo perfetto ad un bicameralismo che potremmo definire «perfettissimo». Stiamo infatti abbandonando la debole indicazione costituzionale che fa riferimento al collegamento regionale per il Senato. Riconosco che l'elezione «a base regionale» è un riferimento assai fragile e poco è valso a distinguere le due Camere, ma in ogni caso ci stiamo affrancando anche da questa debole indicazione. Quindi ci stiamo volgendo verso un bicameralismo «perfettissimo». Ne siamo consapevoli e, poi, ha senso? Perché allora non affrontare la questione di petto e dire che la tendenza che va perseguita è quella legata alla scelta radicale del monocameralismo? Personalmente ho affermato altre volte, anche in altre sedi, che sono favorevole a questa soluzione, quindi non potrei che esserne contento. Credo però che non sia questa la strada per poter giungere all'esito auspicato, poiché ora si vuole abbandonare ogni prospettiva di differenziazione delle due Camere per approdare a due Camere fotocopia, senza dunque la coerenza del monocameralismo, bensì conservando tutti i difetti del bicameralismo. Anche di questo credo si debba essere consapevoli. La terza osservazione è una considerazione di fatto. Ho rilevato già prima la necessità di moltiplicare i collegi al fine di ottenere un più stringente collegamento tra territorio ed eletti. Questa riforma costituzionale non ci garantirebbe dalla possibilità – opposta – di un'ulteriore estensione di collegi e circoscrizioni, rimettendo la scelta al legislatore ordinario. Nello spirito della revisione anzi mi sembra si possa dare per scontato che si voglia permettere al legislatore ordinario di estendere anziché ridurre l'ambito territoriale delle circoscrizioni.
  Solo una battuta sulla proposta di revisione dell'articolo 83 della Costituzione, ovvero sulla riduzione per simmetria dei delegati regionali per l'elezione del Capo dello Stato. Mi limito a porre soltanto una questione di carattere generale. La partecipazione dei delegati regionali non dovrebbe essere considerata solo dal punto di vista dei numeri. Anche in questo caso l'invito che faccio è riflettere sul senso che hanno avuto e possono ancora avere questi delegati dei consigli regionali che vanno ad integrare il collegio che elegge il nostro Capo dello Stato. Personalmente penso che sia possibile prevedere un'estensione della base elettorale per l'elezione del Capo dello Stato ad altri soggetti oltre ai parlamentari. Non voglio dire che bisogna conservare i tre delegati nel momento in cui si riduce il numero dei parlamentari. Mi limito a rilevare che non è una questione di numeri e che – come diceva Tosato in Assemblea Costituente – il problema dell'estensione del collegio che elegge il Capo dello Stato sta nella necessità di evitare di rendere quest'elezione prigioniera delle dinamiche parlamentari, nonché di dare un senso alla qualificazione di rappresentante dell'unità nazionale che l'articolo 87 della Costituzione attribuisce al nostro Presidente della Pag. 11Repubblica. Credo che questa questione sia ancora attuale. Bisognerebbe allora partire dalle funzioni di rappresentanza e garanzia presidenziali per poter poi ragionare sui modi in cui il Capo dello Stato può essere eletto da un Parlamento ridotto, affiancato da una pattuglia più o meno estesa di altri rappresentanti esterni al Parlamento. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professore. Grazie per tutti gli spunti di riflessione che ci ha dato, che sono parecchi. Ha posto molti interrogativi. Chiedo se vi siano deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  STEFANO CECCANTI. Io ho solo un'osservazione, che è questa. Mi sembra un po' difficile usare per l'uninominale proporzionale gli argomenti classicamente utilizzati a favore del collegio uninominale maggioritario, sia in sé, sia anche incardinato in un sistema complessivamente proporzionale, come quello tedesco. Alla fine, come tutti i sistemi ha dei pro e dei contro, però è difficile dire che porti alla coesione dei partiti. Con l'uninominale proporzionale sono in gara tra di loro i candidati dello stesso partito nei collegi limitrofi. È noto, per esempio, che nel primo sistema dei partiti alcune correnti di partito facevano accordi trasversali. Si facevano dare cento voti nel collegio dove era presente la corrente e li restituivano nel collegio a fianco. Tanto è vero che qualche volta alcuni partiti giunsero a sdoppiarsi. La Democrazia Cristiana in qualche elezione si sdoppiò. I collegi di Roma erano di un partito, i collegi fuori Roma erano di un altro, per evitare questi giochi. Poi c'è il problema dei collegi con zero eletti, dei collegi con due, tre eletti, perché nel meccanismo di ripartizione, che è proporzionale, abbiamo un problema legato ad una sorta di «effetto lotteria». Questo è il nodo. Certo, se avessimo avuto un numero di seggi flessibile, si sarebbe potuto ricorrere al sistema tedesco, che almeno per metà ricorre all'uninominale maggioritario. Io sul carattere estremamente positivo dell'uninominale proporzionale, fermo restando che tutti i sistemi hanno i loro limiti, ho dei dubbi. Ritengo che quegli argomenti possano valere molto bene per l'uninominale maggioritario, ma ho dei dubbi che funzionino per quello proporzionale.

  GAETANO AZZARITI, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza». Penso che il nucleo duro del collegio uninominale proporzionale sia legato al fatto che la distribuzione dei seggi avviene attraverso la cifra individuale del candidato. Il candidato che si presenta nel collegio di Roma 1 lotta per la sua vittoria, ma non è sicuro della sua vittoria. Contribuisce al successo complessivo oltre che individuale. I casi che lei ricordava sono capitati in un sistema politico dominato dalle correnti che lottavano ferocemente l'una contro l'altra. In un sistema uninominale, questa degenerazione si limita, poiché tu concorri all'interno del tuo collegio per la tua vittoria, ma anche per la vittoria della tua coalizione necessariamente, proprio in quanto la distribuzione è proporzionale.

  FELICE MAURIZIO D'ETTORE. Infatti, siamo nella Repubblica Italiana, non in quella di San Marino. Chi è stato eletto nel collegio uninominale l'ha vissuto praticamente e non sui libri, e sa come funziona. Ci sono due funzioni: ci si avvale del voto della coalizione, ma anche di un voto nel collegio uninominale. Questo si è verificato in tantissimi luoghi – forse non al Sud, ma al Centro-Nord è successo – dove i candidati erano quelli che hanno portato, rispetto alla coalizione, un voto che è stato decisivo. Ci sono dei collegi nei quali il voto sul candidato (io parlo del sistema che era congegnato) ha portato non solo il risultato della cifra elettorale, della somma della coalizione, ma è stato decisivo, soprattutto in alcuni collegi, i famosi collegi grigi dove tutti credevano ci fossero dei risultati non facilmente comprensibili. Alcuni erano già dati per certi a una coalizione o a un'altra e invece il voto sul singolo soggetto nominale ha portato a dei risultati decisivi. Forse i collegi erano mal costruiti. Per esempio, nella mia provincia, in una parte Pag. 12della provincia di Arezzo, il candidato era di Siena. Ricordo che la Val di Chiana stava per essere decisiva per la vittoria del candidato di centrodestra, poi invece ci furono altri risultati sulla base del voto senese. La provincia di Arezzo era suddivisa: una parte della provincia di Arezzo andava con Firenze, un'altra con Siena (la Val di Chiana è chiaramente la parte aretina, poi c'è la Val di Chiana senese); il Casentino, il Valdarno e la Val Tiberina erano in un altro collegio. In quel caso c'è stato proprio un interesse specifico del PD.

  STEFANO CECCANTI. In Toscana qualunque sistema di collegi urta con il localismo!

  FELICE MAURIZIO D'ETTORE. Per esempio, nel collegio di Prato è stato decisivo anche il voto del candidato all'uninominale. I meccanismi possono essere coerenti o incoerenti. Tranne alcune zone d'Italia dove il voto delle liste è stato decisivo, soprattutto nel caso dei candidati del Movimento 5 Stelle, rispetto alla notorietà del candidato, in altre zone d'Italia il candidato è stato totalmente decisivo. In particolare, nei collegi che erano appannaggio del centrosinistra nel Centro Italia. Questo è successo anche al Nord. In alcuni casi è accaduto il contrario. È stato il candidato di centrosinistra a riuscire a prevalere su altri candidati, oppure al Sud ci sono state situazioni particolari. Per esempio, il collegio di Gioia Tauro. Dove c'era un candidato che è riuscito a porsi anche al Sud, si sono registrati risultati diversi. In Sicilia si è visto anche questo. Quindi questo sistema secondo me va verificato, perché non realizza solo un risultato di coalizione. Per esempio, l'idea che sia stato il voto della Lega a portare in alcuni casi il centrodestra alle vittorie nei collegi, non è vera assolutamente, perché ci sono i voti personali dei candidati o i voti di forze più piccole – come «Noi con l'Italia» – che sono stati decisivi, aggiunti al voto personale. Quindi, secondo me, lo schema di coalizione, insieme alla forza dei candidati in un collegio uninominale, se ben disegnato, potrebbe essere un sistema ancora funzionante. Ho criticato questo sistema elettorale, però poi nella pratica, mi sono accorto che in alcuni aspetti invece ha funzionato, perché ha determinato dei risultati, in base ai candidati. Ceccanti sa benissimo in alcune zone come è avvenuto. Anzi, alcuni candidati del proporzionale sono stati trascinati dai candidati nell'uninominale, cioè alcuni candidati al proporzionale, grazie ai risultati dei candidati nei collegi uninominali, che hanno trascinato le coalizioni, hanno avuto la possibilità di avere dei risultati. Per esempio, nella zona di cui parlo io, un collegio proporzionale molto vasto, che comprendeva tre province – Siena, Grosseto e Arezzo – il PD ha prevalso in un solo collegio uninominale, ma grazie a quel risultato ha tenuto botta rispetto a quello proporzionale. Mentre nessun altro collegio uninominale è stato vinto dal centrosinistra. Quindi, in altre zone, per esempio nell'area metropolitana fiorentina e intorno, i risultati sono stati più del partito che dei candidati (quindi, il partito ha trascinato il risultato dell'uninominale). Ne posso fare a decine di esempi pratici, anche con i numeri alla mano, per far capire che è un sistema che va ben conosciuto nella pratica e nella formazione dei collegi. Per esempio, le campagne elettorali erano svolte dai candidati ai collegi uninominali e insieme ai capilista del proporzionale, perché erano i due soggetti più conosciuti (magari non il centrosinistra, che in Toscana ne ha sbagliati parecchi di capilista; perché se indichi come capolista uno che è di Massa Carrara a Siena probabilmente è un po' complicato). Facevano le campagne elettorali insieme, proprio perché erano i soggetti sui quali si puntava per avere quel risultato, che non era di partito e di coalizione. Si trascinavano a vicenda. Questo è stato fatto in tantissimi casi. Secondo me andrebbe svolta un'analisi su questo aspetto che esce fuori dalla tecnica puramente elettorale, ma è il risultato pratico di quello che è avvenuto nei collegi. Lo sa benissimo il presidente quello che è successo.

  GAETANO AZZARITI, professore di diritto costituzionale presso l'Università di Roma «La Sapienza». Volevo rispondere ancora all'onorevole Ceccanti. Ho detto nella Pag. 13mia relazione e ribadisco che la scelta di elezione per collegi uninominali in un sistema proporzionale pretende e sollecita tre tipi di responsabilità: nei confronti dei partiti, dei candidati e degli elettori. In primo luogo, è evidente che una scelta del collegio uninominale rende ancora più delicata la scelta dei partiti di presentazione dei candidati del collegio, perché il partito non li può mettere dentro una lista e magari nasconderli; sarà la forza politica ad assumersi la responsabilità di presentare l'onorevole candidato Ceccanti, anziché il candidato Azzariti. Questa è una responsabilità massima nella scelta, che verrà valutata nel massimo della sua responsabilità anche dall'elettore. È evidente che rimarrà impregiudicato un problema che ben conosciamo già dal passato. Se nelle liste bloccate le tue chance di elezione dipendono dal posto in lista, nei sistemi uninominali esse sono legate al tipo di collegio: ci sono i collegi sicuri, quelli grigi e quelli perdenti. In quest'ultimo caso, però, può dirsi che vi sia una forte responsabilizzazione del partito, ma che riguarda anche, forse soprattutto, il candidato, il quale accetta un collegio, offrendo il suo impegno diretto per una battaglia politica che sa già essere non sicura o addirittura persa in partenza. Qual è il vero problema di questo sistema? Che il candidato non ha l'assoluta garanzia di essere eletto anche nel caso in cui ottenga un successo nel proprio collegio; però è questo alla fine un male minore, in quanto il collegamento con il territorio – che rappresenta il bene maggiore – comunque è assicurato. Potrebbe dirsi con un eccesso di cinismo: tu rischi di non venire eletto, pur avendo preso più voti del tuo collega – e potrai mangiarti le mani – però sei comunque il rappresentante del partito nel collegio che ti ha visto protagonista. È una scelta molto impegnativa. Desidero dire un'ultima cosa. Se mi permette, onorevole Ceccanti, voglio fare una battuta. Io capisco la sua massima sfiducia nei politici, perché evidentemente li conosce bene, però i fatti che lei richiamava, legati a certi periodi storici – la vendita di pacchetti di voti – hanno comportato e sono da qualificarsi come reati. Tutti i sistemi elettorali hanno dei vizi e delle patologie che possono magari indurre a commettere degli illeciti penali, però anche qui, come ha lei stesso ben detto, i sistemi elettorali non possono essere intesi come la soluzione di ogni problema, ma possono solo limitare i danni. La scelta politica e costituzionale da fare è esattamente questa. E l'alternativa, detta un po' brutalmente, è la seguente: vogliamo proseguire operando entro un sistema elettorale che tende a mascherare i candidati all'interno di una lista, perché questa è la natura dei sistemi a liste bloccate, oppure vogliamo assumerci la responsabilità delle candidature, sia come forza politica, sia come candidato che ci mette la faccia e che magari rischia di non essere eletto. Vogliamo responsabilizzare infine anche l'elettore che sceglie in primo luogo la forza politica, ma decide anche di preferire Tizio anziché Caio. Se vogliamo favorire la responsabilizzazione di tutti questi soggetti, i collegi uninominali in un sistema di distribuzione proporzionale credo costituiscano, non dico la migliore, ma almeno la soluzione «meno peggio».

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti, soprattutto il professor Azzariti per la sua relazione e la sua disponibilità.
  Nessun altro chiedendo di parlare, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.