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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Mercoledì 10 giugno 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 2329 BRESCIA, RECANTE «MODIFICHE AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 MARZO 1957, N. 361, E AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO LEGISLATIVO 20 DICEMBRE 1993, N. 533, IN MATERIA DI SOPPRESSIONE DEI COLLEGI UNINOMINALI E DI SOGLIE DI ACCESSO ALLA RAPPRESENTANZA NEL SISTEMA DI ELEZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E DEL SENATO DELLA REPUBBLICA. DELEGA AL GOVERNO PER LA DETERMINAZIONE DEI COLLEGI ELETTORALI PLURINOMINALI»:

Audizione del professor Pino Pisicchio, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma.
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 
Pisicchio Pino , professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma ... 3 
Ceccanti Stefano (PD)  ... 6 
Forciniti Francesco (M5S)  ... 6 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 7 
Pisicchio Pino , professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma ... 7 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 8 

Audizione del professor Mauro Volpi, Professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Perugia:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 8 
Volpi Mauro , professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Perugia ... 9 
Ceccanti Stefano (PD)  ... 11 
Volpi Mauro , professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Perugia ... 11 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 11 

Allegato 1: Memoria presentata dal professor Pino Pisicchio ... 13 

Allegato 2: Memoria presentata dal professor Mauro Volpi ... 21

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE BRESCIA

  La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Pino Pisicchio, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione del professor Pino Pisicchio, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma, al quale chiedo cortesemente di contenere l'intervento in circa quindici minuti.

  PINO PISICCHIO, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma. Ringrazio il presidente, onorevole Brescia, per il gentile invito e saluto le onorevole deputate e gli onorevoli deputati della Commissione, che ritengo assolutamente fondamentale nelle dinamiche legislative del Parlamento italiano. La proposta di legge sottoposta alla nostra attenzione rappresenta, come è noto, il necessario adeguamento in termini di sistema elettorale alla consistente riduzione della numerosità della rappresentanza parlamentare intervenuta con la riforma costituzionale ora sottoposta al referendum. Pertanto, pur presentandosi come uno strumento normativo suscettibile di una valutazione autonoma riferita allo specifico congegno adottato, non potrà tuttavia prescindere da ciò che l'ha originata. Dopo aver chiarito che, alla stregua delle teorie di Arrow e di Condorcet, non è possibile indicare con certezza un sistema di votazione ideale, cerchiamo di comprendere se la proposta di legge in discussione può proporsi come strumento in grado di soddisfare le esigenze fondamentali poste ad una democrazia rappresentativa, vale a dire quelle di un soddisfacente grado di rappresentanza e di una plausibile possibilità di favorire la stabilità di governo, nonché di ottenere la condivisione più ampia tra le forze parlamentari, considerato il valore centrale nell'ordinamento politico italiano della legge elettorale. È infatti necessario che la lealtà costituzionale, che i soggetti politici protagonisti nelle Assemblee parlamentari esprimono, non prescinda da un atteggiamento di reciproca legittimazione che si manifesta attraverso la possibile condivisione delle regole del gioco fondamentali.
  Va detto subito che il nostro ordinamento è stato sottoposto a uno stress molto forte, con il ricorso ripetuto a nuove leggi elettorali: cinque in venticinque anni, cui dovrebbe aggiungersi la sesta, quella in esame, che potrebbe rendersi peraltro necessaria Pag. 4 per il già evocato motivo della possibile conferma referendaria della riduzione del numero dei parlamentari. Una legge elettorale ogni quattro o cinque anni rappresenta di per sé una ragione di instabilità istituzionale. È un caso unico fra le democrazie occidentali e si configura come l'impropria risposta alle carenze della forma partito e alle insufficienze generali della politica, che cerca riparo nella rimodellazione delle regole elettorali, per due volte, peraltro, smentita dalle sentenze della Corte costituzionale nella scorsa legislatura.
  La prima domanda, che appare importante porsi intorno alla questione elettorale, è di natura procedurale. Uno dei padri costituenti a voi tutti noto, Costantino Mortati, sostenne fortemente le ragioni della costituzionalizzazione della legge elettorale. L'inserimento in Costituzione non ci fu, ma si adottò nel 1947 l'ordine del giorno Giolitti, che indicava il sistema proporzionale come scelta dell'Assemblea. La domanda è se non appaia opportuno prevedere una maggioranza speciale anche per gli interventi normativi in materia di legge elettorale, alla stregua di quanto stabilito dall'articolo 64, primo comma, della Costituzione, che prevede la maggioranza assoluta per la modifica dei Regolamenti parlamentari. Ciò potrebbe rappresentare un contributo alla stabilizzazione di norme eccessivamente manipolate con effetti negativi anche sulla forma di governo.
  Nel merito della proposta C.2329 Brescia, occorrerà dire che essa si fa carico di tentare un minimo di convergenza in un ordinamento elettorale italiano che si rappresenta con caratteristiche duali. Da un lato, infatti, comuni, regioni e rappresentanza italiana al Parlamento europeo operano in ambiente propriamente proporzionale, seppur assistito, a livello di enti locali, da elementi di disproporzionalità rappresentati da soglie d'ingresso per la rappresentanza nelle assemblee e da premi di maggioranza, mentre per il Parlamento europeo vige l'importante soglia al 4 per cento; dall'altro lato, sul piano della rappresentanza nazionale, il sistema misto, tuttora vigente, che si intende superare con la proposta di legge in esame, continua a contenere il 34 per cento di regola maggioritaria. La divaricazione più significativa, che marca la dualità, è rappresentata dalla presenza del voto di preferenza in tutti i livelli elettorali che abbiamo considerato, tranne che per Camera e Senato. Le modalità attraverso cui il sistema elettorale traduce il consenso in rappresentanza parlamentare hanno cessato dal 1993 di includere il voto di preferenza – salvo l'inapplicata legge n. 52 del 2015, il cosiddetto «Italicum», che prevedeva l'espressione dei voti di preferenza dopo il capolista bloccato – preferendo adesso gli altri impianti normativi il collegio uninominale o la lista bloccata. Questa scelta di esclusione del voto di preferenza dal livello elettivo delle Assemblee parlamentari, variamente motivata, ha inciso significativamente sulla formazione della rappresentanza nelle Assemblee legislative, svellendone le radici sul piano del territorio e recando qualche pregiudizio anche sul piano dell'autonomia del parlamentare e del rispetto dell'articolo 67 della Costituzione. So che l'apprezzamento dell'articolo 67 della Costituzione in questo Parlamento non è unanime, perché esistono posizioni che tendono a superarlo. Tuttavia l'articolo 67 è tuttora vigente e ognuno è obbligato a farvi riferimento. L'argomento dell'introduzione di sistemi elettorali volti a consentire un raccordo tra rappresentanza e corpo elettorale ha incrociato più volte il dibattito parlamentare nelle diverse occasioni in cui si è affrontato il tema della riforma elettorale (praticamente in ogni legislatura), registrando tuttavia una qualche difficoltà di accoglimento. Potrebbe utilmente trovare, nel nuovo contesto dibattimentale, una possibilità di confronto tendente a riflettere sulle opportunità di ricomporre in modo coerente l'ordinamento elettorale italiano e al tempo stesso ristabilire un giusto rapporto di fiducia tra rappresentanti e rappresentati.
  La struttura della proposta di legge C. 2329 Brescia disegna un impianto proporzionale, intervenendo sul corpo della legge previgente avendo riguardo all'esigenza di riallineare il nuovo sistema elettorale alla numerosità della platea parlamentare, Pag. 5 così come viene riconfigurata dalla legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari, rimodulato nel numero di 400 deputati e 200 senatori. Entro nel merito dei singoli punti della proposta in esame non tanto per illustrarli, poiché già li conoscete, quanto per evocarne il significato. Lo sbarramento è del 5 per cento, con un meccanismo che permette tuttavia anche il diritto di tribuna per le liste che, pur non raggiungendo la soglia, riescono a conseguire il risultato del quoziente in tre circoscrizioni in almeno due regioni (in questo caso è riconosciuta la rappresentanza). La proposta prevede, inoltre, la soppressione dei collegi uninominali, che nella legge attuale coprivano il 36,8 per cento del totale dei seggi assegnati alle Assemblee legislative (valore che coincide sostanzialmente con il numero di seggi soppressi dalla legge di riforma costituzionale), di modo che l'intervento della proposta dell'onorevole Brescia in esame possa assecondarne in chiave non manipolativa l'adattamento, consentendo un numero di candidature pari al numero dei seggi assegnati nei collegi plurinominali. L'articolo 3 della proposta, infine, attribuisce al Governo la delega per la determinazione dei collegi plurinominali delle Camere, specificandone criteri e procedure. Peraltro, appare apprezzabile anche l'intento dichiarato di voler accogliere la raccomandazione del Consiglio d'Europa volta ad evitare il mutamento degli elementi fondamentali del diritto elettorale all'ultimo momento, cioè nell'anno che precede lo svolgimento delle consultazioni nazionali (pratica che, invece, solitamente è invalsa nella prassi parlamentare italiana e che, almeno in questo caso, si cerca di non rinnovare, ma questo dipende dai tempi di esame e di eventuale approvazione della proposta).
  L'impianto della proposta, dunque, è complessivamente predisposto per assecondare l'idea del minimo intervento modificativo rispetto alla normativa vigente, intervenendo per sovvenire alla necessità di operare un adeguamento del sistema elettorale alla nuova numerosità delle Assemblee parlamentari stabilita dalla legge di riforma costituzionale. Si tratta di una scelta precisa (quella dell'intervento minimalista), perché la nuova legge avrebbe pur potuto orientarsi per una rielaborazione dell'intero impianto, in senso per esempio maggioritario, segnando una cesura con l'ordinamento più recente ed una riconnessione con le esperienze generate dalla legge elettorale del 1993 (di contenuto, prevalentemente ma non esclusivamente, maggioritario). La scelta compiuta è stata invece quella di aderire ad un impianto proporzionale con gli elementi di disproporzionalità rappresentati dallo sbarramento esplicito del 5 per cento – inedito nell'esperienza del diritto elettorale italiano – e dallo sbarramento implicito, di cui comunque va tenuto conto, determinato dal più limitato numero degli eligendi e dalle dimensioni delle circoscrizioni e dei collegi elettorali.
  La scelta dell'adesione ad un sistema proporzionale è certamente più consentanea ad Assemblee parlamentari con numerosità sensibilmente ridotte, in cui appaiono in partenza drasticamente ridimensionate, o addirittura elise, le formazioni politiche medie e piccole, a beneficio delle formazioni maggiori. In questo nuovo contesto, pertanto, appare appropriata l'adozione del sistema proporzionale per meglio venire incontro alle ragioni della rappresentanza. Tuttavia, è giusto segnalare che l'inedita scelta delle soglie di sbarramento che è stata adottata lascerebbe comunque fuori dalla significatività parlamentare liste destinatarie di oltre 1,6 milioni di voti ciascuna (il che non è poco), calcolati con riferimento ai voti validi registrati alle legislative del 2018. Il correttivo adottato con il riconoscimento della rappresentanza di tribuna (ove ricorrano le condizioni già evocate) appare certamente utile, e tuttavia potrebbe rivelarsi insufficiente a consentire una rappresentanza plurale delle posizioni politiche più rilevanti e, al tempo stesso, potrebbe denunciare qualche debolezza sul versante della governabilità, in un contesto in cui non viene adottato alcun meccanismo di incentivazione dell'intesa coalizionale. Anche l'adozione di un sistema proporzionale, vocazionalmente orientato a valorizzare le ragioni della rappresentanza, non può eludere la domanda di governo del Pag. 6Paese. Apparirebbe pertanto appropriata una riflessione sul punto appena richiamato, e insieme l'opportuna considerazione delle modalità di scelta degli eligendi. Proporrei di considerare il voto di preferenza al fine di tonificare il circuito rappresentativo, anche per garantire l'allineamento dell'ordinamento elettorale a tutti i livelli. Il caso della Camera e del Senato costituisce infatti un'eccezione, in quanto per il resto l'ordinamento elettorale italiano si muove nella logica del voto di preferenza. Sarebbe, infine, anche utile valutare, come già ricordato, la possibilità di stabilire, attraverso una legge costituzionale, maggioranze qualificate per l'approvazione di leggi in materia elettorale – so che vi sono proposte in tal senso all'attenzione della Commissione – al fine di evitare quello che il collega professor Lanchester, con un certo contenuto sarcasmo, definisce «l'ipercinetismo elettorale compulsivo», per sottolineare opportunamente un'anomalia che va corretta, anche alla luce della storia elettorale del nostro sistema politico, che racconta quanto peso abbia nella costruzione di nuovi e creativi sistemi elettorali il principio filosofico dell'eterogenesi dei fini, per cui chi fa le leggi elettorali poi perde sempre.

  STEFANO CECCANTI. Formulo un'osservazione sui «voti sprecati»: le forze politiche che non hanno raggiunto il 5 per cento in un sistema che prevede la soglia 3 per cento, laddove fosse introdotta una soglia del 5 per cento sarebbero incentivate ad aggregarsi, quindi in realtà i voti che si sprecherebbero sarebbero meno di quelli risultanti dalla mera somma delle forze politiche che nelle ultime elezioni non hanno raggiunto il 5 per cento. Quindi, a mio avviso, la rilevanza di questo rilievo critico va ridimensionata, in quanto l'innalzamento della soglia produce i suoi effetti fin dal momento della presentazione delle liste.
  Mi permetto, inoltre, di nutrire dubbi su due argomenti addotti a sostegno delle preferenze. In primo luogo, non c'è alcun rapporto tra mandato imperativo e voto di preferenza. Chiedo se lei condivida l'adozione di norme nei Regolamenti parlamentari che allineino il numero di parlamentari richiesti per costituire un gruppo all'introduzione della soglia del 5 per cento, uniformando la norma regolamentare alla legislazione elettorale. Tale ipotesi è criticata da alcuni nel nome del divieto di mandato imperativo, ma, a mio avviso, tale critica non è condivisibile, in quanto il divieto del mandato imperativo tutela solo la libertà di movimento del singolo, ma non esclude che vi siano dei criteri rigorosi per la coincidenza delle liste con i gruppi: introdurre una soglia del 5 per cento e poi consentire che coloro che hanno superato la soglia una volta entrati in Parlamento possano frammentarsi è contraddittorio. Dunque non userei, come fanno alcuni, l'argomento del divieto di mandato imperativo, che prova troppo.
  Quanto alla simmetria dei sistemi elettorali, è vero che con la proposta di legge in esame non avremmo i voti di preferenza che abbiamo negli altri casi, ma in realtà rafforzeremmo la simmetria, perché i sistemi comunali e regionali sono sistemi a maggioranza assicurata, mentre quello previsto dalla proposta in esame è un sistema proporzionale: una volta che la formula è diversa, i sistemi possono anche diversificarsi sull'uso o meno della preferenza.

  FRANCESCO FORCINITI. Intendo approfittare della presenza del professor Pisicchio per chiedergli un giudizio, di tracciare un bilancio dopo la stagione del maggioritario, iniziata a furor di popolo, a seguito del referendum, tra il 1993 e il 1994, che seguiva quel filone di pensiero secondo cui può esistere una democrazia più agile, una democrazia decidente, che, per quanto mi riguarda – e anticipo quello che è il mio parere sulla questione – non è altro che una chimera; una stagione che ha provato anche a far attecchire quella narrazione, anche accattivante, per cui la sera stessa delle elezioni dobbiamo sapere chi ha vinto, perché questo comporterebbe una maggiore agilità delle istituzioni, una maggiore facilità nella soluzione dei problemi concreti dei cittadini. Ebbene, dopo venticinque anni di ricette più o meno maggioritarie si è tornati verso il sistema originario, quello proporzionale (il «Rosatellum», infatti, Pag. 7 in realtà è una sorta di marcia indietro, perché la quota maggioritaria diventa minoritaria). Chiedo al professor Pisicchio se conviene sul fatto che cucire un vestito maggioritario su una Repubblica parlamentare bicamerale come la nostra si sia rivelato un esperimento probabilmente non molto riuscito: da una parte, non abbiamo avuto maggiore stabilità nei vari esecutivi che si sono succeduti in questi venticinque anni; dall'altra, si è rivelata fallace l'equazione sistema maggioritario-bipolarismo e quindi maggiore stabilità. I sistemi maggioritari, infatti, tendono a far confluire verso due poli degli aggregati di forze politiche che spesso non sono altro che dei cartelli elettorali e che magari non condividono quasi nulla dal punto di vista programmatico e si uniscono per prendere il premio di maggioranza, e poi il giorno dopo le elezioni devono assestarsi tra di loro, perché in base alla percentuale raggiunta da ognuna di queste forze che fa parte di quel cartello ci sono degli equilibri da trovare; quindi, nascono degli esecutivi che non sono stati, alla prova dei fatti, più solidi di uno qualsiasi della Prima Repubblica.
  Il taglio dei parlamentari ci dà un ulteriore motivo per tornare verso un'impostazione proporzionale che, tra l'altro, ritengo sia anche più rispettosa del dettato dell'articolo 48 della Costituzione, a norma del quale il voto è personale e segreto, libero ed eguale, e più il sistema spinge verso la proporzionalità (ferma restando la necessità di minimi correttivi maggioritari), più si rispetta lo spirito della nostra Carta costituzionale, laddove prevede che il voto sia, per l'appunto, eguale. Domani la I Commissione proseguirà l'esame di due proposte di legge costituzionale che hanno l'obiettivo di rendere più difficile, di disincentivare questa iper-produzione in materia di legislazione elettorale. Le chiedo, professor Pisicchio, se ritiene possa essere una buona idea quella di vincolare le future modifiche della legge elettorale al raggiungimento di quorum più elevati rispetto alla maggioranza semplice, come, per esempio, la maggioranza di due terzi, prevista da una delle predette proposte.

  PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di intervenire, chiedo al professor Pisicchio se intenda replicare alle osservazioni che sono state formulate.

  PINO PISICCHIO, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma. La ringrazio, presidente, e ringrazio gli onorevoli deputati che sono intervenuti. Quanto alle osservazioni del collega onorevole Ceccanti, il calcolo della numerosità in termini di voti, in una stagione come questa, è molto complesso. Mi riferisco alla soglia del 5 per cento: che cosa comporta? Quanti sono gli elettori coinvolti? Noi facciamo dei frame, delle fotografie, che hanno il valore di un giorno soltanto. Qui c'è un'evoluzione, o un'involuzione, del consenso e del sistema che oggi rende impossibile una considerazione che possa tener conto, per quanto approssimativamente, di un dato reale. Dunque, non posso che considerare il dato astratto, e l'ultimo dato di riferimento è quello relativo alle elezioni del 2018. Su quella base, ponendo che quattro o cinque soggetti presenti con liste alla competizione elettorale non riescano a raggiungere il 5 per cento, ma si fermino al 4 o al 4,5 per cento, ci sarebbe una quota molto importante del Paese che non trova rappresentanza. Certo, nel Regno Unito abbiamo avuto il 23-25 per cento del Paese senza rappresentanza, ma lì siamo dichiaratamente in un altro ambiente culturale: come lei ben sa, ogni sistema elettorale segue anche la cultura, la storia, la politica di un Paese.
  Quanto alle osservazioni dell'onorevole Forciniti, premetto che non devo mantenere il «velo dell'ignoranza» su me stesso, dal momento che tutti sanno che sono un vecchio proporzionalista (pur comprendendo quali possano essere i limiti del sistema proporzionale). Devo dire che ai tempi in cui abbiamo provato a mettere il letto di Procuste ad un'abitudine, ad un percorso, ad una modalità elettorale del nostro popolo, ci siamo trovati di fronte a quelle situazioni che abbiamo conosciuto tutti. Peraltro, siamo in una stagione in cui lo schema bipolare che si addice al maggioritario è saltato, perché l'abbiamo detto, Pag. 8analizzato, che in tutta Europa, e forse in tutto il mondo, lo schema nitidamente bipolare ha visto l'inserzione di un terzo soggetto, dappertutto. La domanda che mi pongo è sulle conseguenze di questa spinta ad aggregarsi, che indubbiamente si ha con l'introduzione di una soglia di sbarramento (al 5, al 6 o al 10 per cento). Ricollegandomi alle osservazioni del professor Ceccanti, è chiaro che la legge elettorale di suo non arriva a tutto, arriva fino a un certo punto, poi bisogna fare in modo che anche i sistemi, i Regolamenti parlamentari, siano conformi, non siano contraddittori con la legge elettorale. Se consento di costituire un gruppo parlamentare, o una componente del Gruppo misto, con tre persone, è evidente che se ne va a farsi benedire tutto l'ambaradan che ho messo in piedi per costringere tutti quanti a stare insieme. Certo, va considerata la necessità di favorire le aggregazioni. Nella passata legislatura è stato condotto a livello parlamentare un lavoro molto impegnativo riguardante la riforma del Regolamento, che conteneva anche passaggi fondamentali relativi alla revisione delle modalità attraverso le quali si formano i gruppi, anche imponendo una soglia più importante, ma questo attiene alle tecnicalità. La domanda che ci si deve porre è se l'obiettivo da raggiungere sia anche quello di consentire il più possibile la rappresentanza di quelle che sono le culture politiche significative presenti nel Paese.
  Quanto al voto di preferenza, non ne faccio un feticcio, non è che l'articolo 67 della Costituzione venga violato da una legge elettorale con le liste bloccate, purché composte nei limiti indicati dalla Corte costituzionale, ma certamente non viene favorito il rapporto tra rappresentante e rappresentato, va detto con molta franchezza. Sono noti a tutti episodi di persone sconosciute elette in Parlamento con la sola forza di trascinamento della lista o del suo leader. Cerchiamo di guardare l'impianto teorico, ma anche di guardare come si sviluppa concretamente.
  Per quanto concerne la domanda dell'onorevole Forciniti sulla mia opinione circa l'esperienza del maggioritario nel nostro Paese, ritengo sia stata un'esperienza che ha prodotto risultati insufficienti: la dimensione salvifica del maggioritario non l'ho vista; la semplificazione degli schieramenti non l'ho vista; ho visto la riproposizione sregolata di quelle che sono le tendenze storiche della narrazione politica italiana, con una feconda attività creativa nella costruzione di nuovi soggetti politici nell'ambito dei contenitori iniziali: pubblicherò un libro con l'indicazione di tutti i mutamenti dei simboli dei partiti a partire dall'ultimo ventennio, ed è un volume piuttosto consistente, ne farò un'edizione ogni anno! Perdonatemi qualche battuta, ma è l'antica frequentazione di quest'Aula che mi porta a ricordare quanto alta, importante e significativa sia la funzione del parlamentare, ma al tempo stesso quanto sia necessario non prendersi troppo sul serio.

  PRESIDENTE. La ringraziamo per la simpatia, ma soprattutto per i contenuti che ha portato, che saranno sicuramente presi in considerazione nel prosieguo del dibattito. Avverto che il professor Pisicchio ha messo a disposizione della Commissione una memoria, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1).
  Nessun altro chiedendo di intervenire, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del professor Mauro Volpi, Professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Perugia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione del professor Mauro Volpi, professore di diritto Pag. 9costituzionale presso l'Università degli Studi di Perugia, al quale chiedo cortesemente di contenere il suo intervento in circa quindici minuti.

  MAURO VOLPI, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Perugia. Ringrazio il presidente della Commissione e tutti i componenti della Commissione per questo invito. Ho inviato una memoria scritta, che spero potrà essere distribuita ai componenti della Commissione. In questa memoria mi pronuncio senza esitazione per un sistema proporzionale, più o meno sulla falsariga di quello delineato nella proposta di legge in esame, non puro (come alcune osservazioni polemiche vogliono far credere), ma corretto, cioè, con una clausola di sbarramento – sulla quale dirò qualcosa dopo – come del resto avviene nella grande maggioranza degli Stati dell'Unione Europea. In 22 Stati sui 27 attuali, infatti, viene adottato un sistema proporzionale, per lo più corretto, con la clausola di sbarramento o con una dimensione ridotta dei collegi. In 16 di questi 22 Stati il sistema proporzionale è addirittura costituzionalizzato, vige dunque nella Costituzione il principio della rappresentanza proporzionale.
  Quali sono le ragioni di fondo che giustificano, nell'attuale contesto italiano, la scelta per un sistema proporzionale? Sono sostanzialmente due. La prima deriva da un bilancio dell'applicazione dei sistemi che abbiamo avuto e che io definisco «simil-maggioritari», perché non erano integralmente maggioritari, ma lo erano solo parzialmente (sistemi misti), o prevedevano un correttivo ipermaggioritario come il premio di maggioranza. Questi sistemi non hanno affatto prodotto gli effetti che venivano auspicati da chi li ha sostenuti. In primo luogo, non c' è stata una significativa riduzione del numero dei partiti, anzi, i piccoli partiti hanno potuto usufruire dei candidati di coalizione nei collegi uninominali, per i sistemi misti, o dell'appartenenza a una coalizione, come dimostra l'applicazione della legge n. 270 del 2005, la quale faceva salvo anche il più piccolo partito di una coalizione che fosse il primo tra quelli che avevano ottenuto meno del 3 per cento, con il risultato che persino una lista che ottenne lo 0,6 per cento ebbe degli eletti e ottennero eletti liste che con il vecchio sistema proporzionale, vigente prima del 1993, non sarebbero entrate in Parlamento. Quanto alla stabilità di governo, ricordo che in poco più di venticinque anni abbiamo avuto sedici Governi. Per varie ragioni, non ci sono stati Governi stabili di legislatura, anche perché i Governi sono stati il prodotto di coalizioni pre-elettorali di comodo ed eterogenee, quindi non adatte a governare, che poi si dividevano rapidamente nel corso della legislatura. Infine, è stata molto lontana dal vero la retorica del Governo scelto direttamente dagli elettori, o addirittura del Presidente del Consiglio eletto dal popolo. Così non è stato, perché nel corso delle legislature si sono verificati più volte cambi di Governo e cambi del Presidente del Consiglio, è così non poteva essere, perché la nostra è una forma di governo parlamentare e, come ci ha più volte ricordato Giovanni Sartori, la scelta diretta del Governo da parte del corpo elettorale è estranea alla forma di governo parlamentare, nella quale il Governo deriva dal Parlamento, e non direttamente dal corpo elettorale. Il bilancio, dunque, non è soddisfacente, non è stato positivo.
  C'è però una seconda considerazione importante che ha a che fare con una riflessione, che in questa sede non ho il tempo di sviluppare ma che sarebbe interessante, sulla crisi del modello maggioritario che si sta verificando in vari ordinamenti democratici, anche consolidati. Questo è dovuto soprattutto alla crisi dei partiti tradizionali, all'emergere di nuovi partiti, spesso estremi o che talvolta non sono collocabili lungo l'asse tradizionale destra-sinistra. In una situazione di questo tipo, credo che non bisogna scegliere un sistema elettorale che esaspera le differenze – dando vita a due schieramenti l'un contro l'altro armati – e che può consentire a una parte politica di schiacciare l'altra parte politica, o le altre parti Pag. 10politiche (perlomeno può costituire una forte tentazione in questo senso). Meglio, quindi, un sistema proporzionale, che eviti questo problema. Nel contesto italiano sistemi integralmente maggioritari, ma anche con un correttivo maggioritario, potrebbero produrre questi esiti negativi, a mio avviso, e arrivare fino al punto, perché questo non può essere escluso, di accordare a chi vinca le elezioni, con una maggioranza che magari non è neanche quella assoluta dei voti, di avere due terzi dei seggi, e quindi di poter cambiare liberamente la Costituzione senza che sia possibile il ricorso al referendum popolare. Aggiungo che questo rischio sarebbe ancora più forte con il vigente sistema elettorale qualora fosse approvata nel referendum popolare la proposta di riduzione del numero dei parlamentari (che richiede a maggior ragione un cambiamento del sistema elettorale), perché vi sarebbe una fortissima compressione della rappresentatività politica e territoriale (non dico con la riforma in sé, ma se abbinata all'attuale sistema elettorale), per non parlare poi dell'abnormità dei collegi uninominali, soprattutto al Senato, che avrebbero fino a un milione di elettori (alla faccia della conoscibilità dei candidati!). Quindi, vi sarebbe un rafforzamento dell'effetto maggioritario.
  Entro nel merito della proposta di legge in esame, esprimendo la mia condivisione su alcuni punti, che sono quelli che eliminano i riferimenti di tipo maggioritario, vale a dire i collegi uninominali, l'obbligo di dar vita a una coalizione e l'indicazione del capo della forza politica. Mi soffermo brevemente su quest'ultimo aspetto, rinviando per il resto alla memoria che ho depositato. L'indicazione del capo della forza politica fu introdotta nel 2005, con una terminologia già di per sé infelice. Qualche importante costituzionalista scriveva che le democrazie non devono conoscere capi. Al di là di questo, si trattava di una previsione scritta sulla carta, perché venivano cambiati nel corso della legislatura; per non parlare delle ultime due legislature, la XVII e la XVIII, nelle quali tutti i cinque Governi sono stati presieduti da una personalità che non era stata indicata da nessuna forza politica come proprio capo politico.
  Una volta dichiarato il mio accordo di fondo con questi punti che sono essenziali, vorrei esprimere però tre rilievi critici, che si collocano nell'ottica di migliorare il testo. Il primo rilevo critico riguarda l'entità della clausola di sbarramento. Sia chiaro, io sono favorevole – a differenza di qualche collega – all'esistenza della clausola di sbarramento: non bisogna permettere che micro-partiti possano accedere liberamente alla rappresentanza, com'è avvenuto, paradossalmente, con i sistemi simil-maggioritari. Tuttavia, c'è un problema di entità. La clausola di sbarramento va definita non in astratto, non in linea teorica, ma con riferimento al contesto concreto. Ho fatto un calcolo, prendendo come punto di riferimento la partecipazione alle elezioni del 2018: il 5 per cento equivarrebbe alla Camera a circa 1 milione 600 mila voti e al Senato a circa 1 milione 500 mila voti. Allora mi chiedo e vi chiedo: una forza politica che abbia 1 milione 400 mila voti, pari a circa il 4 per cento, è giusto che sia esclusa? Può essere considerata un micro-partito? Ricordo che alle elezioni del 2018 sei liste superarono il 3 per cento; poi, piccoli partiti ebbero loro esponenti eletti grazie ai collegi uninominali e alla quota maggioritaria. Dunque, a mio avviso, andrebbe ridotta l'entità della soglia, non di molto, ma è opportuno ragionare su una sua riduzione. Questo eviterebbe anche di applicare quel meccanismo un po' strano che è il cosiddetto «diritto di tribuna», che consente di avere un numero limitatissimo di seggi alla Camera o al Senato (rinvio al testo scritto per le condizioni che prevedono questo diritto) che è di scarso significato. È molto diverso da quello che è previsto in Germania, dove non c'è un diritto di tribuna, ma si prevede la clausola del 5 per cento o, in alternativa, la vittoria di una lista in tre collegi uninominali, che dà a quella lista il diritto non solo di avere quei tre eletti, ma anche di concorrere alla ripartizione dei seggi su scala nazionale.
  Un secondo rilievo critico, che è più serio del primo (nel senso che il primo è parziale: sono favorevole alla clausola di Pag. 11sbarramento, ma ridotta), riguarda invece la questione delle liste bloccate. Si cerca ancora di attuare le indicazioni della Corte costituzionale, per cui le liste devono essere brevi, anche se ricordo che la Corte costituzionale, nella sua sentenza n. 35 del 2017 sulla legge n. 52 del 2015, salvava le liste bloccate anche con riferimento al fatto che il blocco era limitato ai soli capilista e per gli altri candidati si potevano esprimere due preferenze di sesso diverso, mentre stavolta non è così, i candidati sarebbero tutti bloccati, anche perché non ci sarebbero più i collegi uninominali. Si tratterebbe, dunque, di liste interamente bloccate. Il numero dei candidati nei collegi plurinominali verrebbe a essere raddoppiato rispetto alla legge vigente. A tal proposito qualche dubbio di legittimità costituzionale potrebbe anche esservi, ma al di là di questo aspetto (che poi eventualmente risolverà la Corte costituzionale) la libertà dell'elettore verrebbe ad essere sacrificata e si perpetuerebbe una situazione nella quale sono i vertici, o direttamente il leader, del partito a scegliersi i candidati (collocando in una posizione più sicura quelli fedeli alla propria linea), oppure i candidati sono il frutto di una scelta da parte di gruppi di militanti, non troppo numerosi, che talvolta è casuale. Ciò costituisce uno dei fattori che in passato hanno accentuato il distacco tra elettori ed eletti ed hanno anche favorito il fenomeno del «transfughismo» dei parlamentari, che non si sentono tenuti ad alcun rapporto di fedeltà nei confronti del partito né nei confronti degli elettori e quindi sono liberi di compiere le proprie scelte e magari di affiliarsi a chi promette loro un posto sicuro in una futura lista bloccata per poter essere rieletti. Aggiungo che l'alternativa che propongo, quella di un voto con doppia preferenza di genere, avrebbe vari vantaggi: rinsalderebbe il rapporto tra elettori ed eletti (obbligando i partiti a scelte più oculate e democratiche); darebbe maggiore possibilità di elezione di donne; consentirebbe di superare il sistema un po' barocco di ripartizione dei seggi attualmente vigente, che prevede tre livelli alla Camera, nazionale, circoscrizionale e collegiale, e due livelli al Senato, regionale e collegiale. Il livello dei collegi plurinominali è previsto perché bisognava rispettare l'indicazione della Corte che chiedeva liste bloccate brevi, però questo fatto ha determinato un fenomeno sicuramente non positivo, quello dello slittamento dei seggi tra collegi diversi, per cui io sono convinto di aver eletto in quel collegio il mio rappresentante di quel partito, invece poi ne viene eletto un altro, magari addirittura di una lista diversa da quella per la quale io ho votato.
  Il terzo rilievo critico riguarda le pluricandidature. Si conferma la possibilità di candidarsi in un massimo di cinque collegi diversi. Ricordo che in Germania e in Spagna le pluricandidature sono vietate. Mi accontenterei del fatto che si riduca questa possibilità a un massimo di due o tre collegi, questa potrebbe essere un'ipotesi.
  In conclusione, ritengo che l'adozione di un sistema proporzionale, anche con alcuni adattamenti, nell'attuale contesto, oltre a evitare i rischi che ho detto prima, avrebbe il vantaggio di tornare a valorizzare il ruolo dei partiti come corpi collettivi e rappresentativi delle esigenze presenti nella società, e anche il ruolo del Parlamento come organo di indirizzo, di controllo e di intermediazione tra corpo elettorale e Governo, quell'intermediazione che molte proposte che non definisco maggioritarie, bensì «maggioritariste», tendono esattamente a liquidare.

  STEFANO CECCANTI. Volevo porre una domanda, analoga a quella che ho posto al professor Pisicchio, sulla coerenza tra diritto parlamentare e diritto elettorale, vale a dire se lei ritiene, dal punto di vista della formazione dei gruppi, che una volta che si individua una soglia per l'accesso alla rappresentanza ci debba essere una soglia analoga in Parlamento per formare gruppi che corrispondano alle liste che hanno superato lo sbarramento.

  MAURO VOLPI, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Perugia. Sicuramente sì, non ho dubbi su questo.

  PRESIDENTE. Avverto che il professor Volpi ha messo a disposizione della Commissione Pag. 12 una memoria, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2).
  Nessun altro chiedendo di intervenire, ringrazio il professor Volpi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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