Sulla pubblicità dei lavori:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 2329 BRESCIA, RECANTE «MODIFICHE AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 MARZO 1957, N. 361, E AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO LEGISLATIVO 20 DICEMBRE 1993, N. 533, IN MATERIA DI SOPPRESSIONE DEI COLLEGI UNINOMINALI E DI SOGLIE DI ACCESSO ALLA RAPPRESENTANZA NEL SISTEMA DI ELEZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E DEL SENATO DELLA REPUBBLICA. DELEGA AL GOVERNO PER LA DETERMINAZIONE DEI COLLEGI ELETTORALI PLURINOMINALI»
Audizione del professor Giovanni Tarli Barbieri,
Professore di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Firenze.
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3
Tarli Barbieri Giovanni , Professore di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Firenze ... 3
Brescia Giuseppe , Presidente ... 7
Forciniti Francesco (M5S) ... 7
Magi Riccardo (Misto-CD-RI-+E) ... 7
Brescia Giuseppe , Presidente ... 7
Tarli Barbieri Giovanni , Professore di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Firenze ... 7
Brescia Giuseppe , Presidente ... 8
Audizione del professor Daniele Porena, Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 8
Porena Daniele , Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia ... 8
Brescia Giuseppe , Presidente ... 12
Fiano Emanuele (PD) ... 12
Magi Riccardo (Misto-CD-RI-+E) ... 13
Corneli Valentina (M5S) ... 14
Prisco Emanuele (FDI) ... 14
D'Ettore Felice Maurizio (FI) ... 14
Forciniti Francesco (M5S) ... 15
Ceccanti Stefano (PD) ... 15
Brescia Giuseppe , Presidente ... 15
Porena Daniele , Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia ... 15
Brescia Giuseppe , Presidente ... 17
Allegato 1: Memoria presentata dal professor Giovanni Tarli Barbieri ... 18
Allegato 2: Memoria presentata dal professor Daniele Porena ... 33
Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE BRESCIA
La seduta comincia alle 13.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione del professor Giovanni Tarli Barbieri, Professore di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Firenze.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione del professor Giovanni Tarli Barbieri, Professore di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Firenze, al quale chiedo cortesemente di contenere l'intervento in circa quindici minuti, in modo di consentire ai commissari di porre eventuali domande.
GIOVANNI TARLI BARBIERI, Professore di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Firenze. Innanzitutto vorrei ringraziare la I Commissione permanente della Camera e il suo presidente per l'invito a questa audizione, che mi ha davvero onorato. Inizierei il mio intervento con un auspicio. Enzo Cheli ha recentemente osservato che la legge elettorale rappresenta la regola fondamentale, la Grundnorm del sistema politico, e in quanto tale essa va inquadrata nell'impianto costituzionale come anello di congiunzione tra Costituzione formale e Costituzione materiale. La conseguenza è che in linea di principio la legislazione elettorale dovrebbe disporre di un grado di stabilità se non identico, quanto meno tendenzialmente comparabile con quello del dettato costituzionale, e non variare continuamente, secondo le contingenze del gioco politico. Ora, com'è noto, l'Italia non è andata in questa direzione, a partire dal 1993. Diversamente da tutte le altre democrazie consolidate, infatti, il nostro Paese ha visto una continua alternanza (si è parlato di un «ipercinetismo») di leggi elettorali, nessuna delle quali ha retto a più di tre prove elettorali, e addirittura una (il cosiddetto «Italicum») non ha mai trovato applicazione. Dunque, faccio mio l'auspicio che si possa addivenire alla definizione di un testo non motivato da esigenze meramente congiunturali e ampiamente condiviso sul piano politico. D'altra parte, però, l'eventuale entrata in vigore della legge costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari determinerebbe un impatto significativo sulle vigenti leggi elettorali, dando luogo a problemi non irrilevanti soprattutto al Senato, con riferimento alla maggiore selettività (soprattutto per le formazioni medie e medio-piccole), alla rappresentanza territoriale e alla delimitazione dei collegi uninominali, assai più grandi e marcatamente disomogenei sul piano demografico Pag. 4 tra circoscrizione e circoscrizione; problemi, questi, che nemmeno la legge n. 51 del 2019 ha potuto e può risolvere. Peraltro, nemmeno le vigenti leggi elettorali potrebbero, nel caso di approvazione della legge costituzionale in questione, trovare immediata applicazione, essendo necessaria la nuova perimetrazione dei collegi uninominali.
Un secondo auspicio che mi sento di rivolgere alla Commissione è quello di un approccio sistemico ad un'eventuale riforma elettorale, che cioè non dovrebbe limitarsi soltanto al cuore dei sistemi elettorali, vale a dire ai meccanismi di trasformazione dei voti in seggi. In materia elettorale è necessario un approccio sistemico che investa anche la normativa di contorno, come esattamente intuito anche, da ultimo, dalla «Commissione Quagliariello». Infatti, la nostra legislazione di contorno – che investe problemi come la democraticità interna ai partiti, il finanziamento, la disciplina della comunicazione politica, la prevenzione dei conflitti di interesse, le limitazioni dell'elettorato passivo – è in alcune parti una legislazione ormai arretrata, e quindi meritevole di aggiornamenti. Aggiungo il tema essenziale del procedimento elettorale, rispetto al quale l'impatto delle nuove tecnologie dovrebbe suggerire, come intuito da Feltrin e Fabrizio già oltre dieci anni fa, un'esigenza di reingegnerizzazione. D'altra parte, le recenti vicende del coronavirus hanno evidenziato problemi anche con riguardo al calendario elettorale, in parte vincolato al dettato costituzionale. Che cosa sarebbe successo se fossimo stati alla fine della legislatura? Come e con quale mezzo avremmo potuto rinviare eventualmente le elezioni politiche, se questa necessità si fosse verificata (e si è verificata in numerosi Paesi, come si evince da siti specializzati)?
Venendo al tema della riforma elettorale, dalla relazione alla proposta di legge C. 2329 e dal dibattito in seno a questa Commissione sembra emergere (anche se non in modo unanime) un favor verso una riforma elettorale improntata ad un metodo proporzionale di attribuzione dei seggi, anche a prescindere dall'eventuale entrata in vigore della legge costituzionale sul numero dei parlamentari. Su questa scelta si deve osservare, in primo luogo, che la Corte costituzionale ha affermato a più riprese che in materia elettorale il legislatore gode di un'ampia discrezionalità, che però deve tenere conto delle indicazioni della giurisprudenza della stessa Corte (e, soprattutto, di quelle desumibili dalle sentenze n. 1 del 2014 e n. 35 del 2017). La lettura di queste sentenze porta a ritenere che l'eventuale scelta per un sistema proporzionale corretto da una soglia di sbarramento, con le precisazioni che farò a breve, sembra sottrarsi a dubbi di legittimità costituzionale, anche perché la Corte sembra particolarmente attenta, nella sua giurisprudenza, alle esigenze della rappresentanza. Certo, questa giurisprudenza non esclude modelli diversi, quali sistemi elettorali misti o anche maggioritari (c'è un passaggio della sentenza n. 35 del 2017 riferito al sistema francese, che la Corte sembra potenzialmente non escludere come possibile, in un'eventuale riforma elettorale riferita al caso italiano). Credo invece che sia complicata la prospettiva di resuscitare il premio di maggioranza, non solo perché già censurato due volte dalla Corte costituzionale (e la terza censura sarebbe francamente poco auspicabile), ma anche perché difficilmente compatibile con l'assetto bicamerale paritario del nostro Parlamento e con l'interpretazione maggioritaria dell'articolo 57, primo comma, della Costituzione, che non sembra consentire un'allocazione su base nazionale dei seggi con riferimento al Senato.
Venendo ai contenuti della proposta di legge di legge C. 2329 Brescia, mi limito a osservare quanto segue. In primo luogo, questa proposta di legge eliminerebbe alcuni degli aspetti più criticati, o comunque discussi, della vigente legge elettorale: il voto unico per il collegio uninominale e per la parte proporzionale; la pluralità delle soglie di sbarramento (per le coalizioni, per le liste singole, la soglia all'1 per cento di «utilità» per la coalizione ma non per la lista); l'apparentamento in coalizione, che ha dato luogo ad aggregazioni elettorali, ma non a coalizioni che in quanto tali Pag. 5esprimono un vero e proprio progetto di governo; l'indicazione del capo unico della forza politica, una previsione che la Corte costituzionale ha molto depotenziato e della quale si può senz'altro evidenziare l'inutilità, più che la pericolosità, sul piano sistemico.
Un altro elemento che vedo con favore è la coerenza con proposte di legge costituzionale attualmente all'esame del Parlamento: quella sull'equiparazione dell'elettorato attivo e passivo tra le due Camere (nel testo non si individua più l'età, ma si fa riferimento all'età prevista dalle norme costituzionali) e quella relativa alla revisione dell'articolo 57, primo comma, della Costituzione, della quale condivido le finalità, ma sui cui contenuti mi permetto di esprimere qualche riserva, perché il testo, così come formulato, potrebbe aprire qualche problema interpretativo e sistemico non di poco conto (l'interpretazione della «base circoscrizionale» non è a mio parere chiarissima, e per di più convivrebbe con la garanzia dell'assegnazione necessaria di un certo numero di seggi alle regioni: tutto questo mix rischierebbe di dar luogo a problemi interpretativi non di poco momento).
Sulle caratteristiche essenziali del modello, direi che l'elemento più importante è la soglia di sbarramento al 5 per cento e il cosiddetto «diritto di tribuna». Sulla soglia di sbarramento al 5 per cento, premetto di non condividere la tesi – che pure alcuni colleghi hanno espresso – per cui della soglia di sbarramento ci sarebbe poco bisogno, perché con la riduzione del numero dei parlamentari già la soglia implicita sarebbe cresciuta. Ma sarebbe cresciuta di quanto? Ho provato a fare alcune simulazioni: con 400 deputati assegnati a livello nazionale si otterrebbero seggi anche con lo 0,15 per cento. Quindi, il problema della soglia di sbarramento c'è. Se passassimo a un'assegnazione nazionale anche al Senato, la soglia di sbarramento sarebbe un po' più alta, ma sarebbe comunque intorno allo 0,6 per cento. Chi si ricorda quello che avveniva alle elezioni europee prima del 2009 sa che, con un numero anche assai più basso di seggi, una percentuale anche irrisoria di voti poteva consentire la rappresentanza.
Sull'adeguatezza della soglia di sbarramento, non vedo problemi dal punto di vista della legittimità costituzionale, alla stregua della giurisprudenza anche più recente (ricordo, in particolare, la sentenza n. 139 del 2015 e la sentenza n. 239 del 2018, riferita alle elezioni europee). Semmai il problema, più che da un punto di vista della legittimità costituzionale, può essere quello dell'adeguatezza dal punto di vista politico, ma non è un professore di diritto costituzionale che può risolvere tale questione. In ogni caso, se l'obiettivo della soglia di sbarramento è quello di contenere la frammentazione politico-partitica, occorre tenere conto del fatto che essa non passa soltanto attraverso la formula elettorale. Fenomeni di frammentazione sono imputabili anche a istituti che sono prima e dopo l'assegnazione dei seggi: prima dell'assegnazione, mi riferisco ad esempio alla presentazione delle liste, con i meccanismi vigenti di esenzione dalla raccolta delle firme per alcune formazioni politiche, che, così come sono formulati, pongono dubbi seri di legittimità costituzionale, in relazione all'articolo 3 della Costituzione; a valle della competizione elettorale, non vanno dimenticati, ad esempio, i criteri di composizione dei gruppi parlamentari: specie se sono criteri soltanto numerici come alla Camera, quella frammentazione che pensiamo di avere escluso dalla porta del sistema elettorale rischia di rientrare dalla finestra dell'organizzazione del Parlamento.
Per quanto riguarda il diritto di tribuna, mi limito a osservare due questioni. Intanto, se rimane la base regionale al Senato, da una simulazione che ho effettuato soltanto la Lombardia potrebbe assicurarlo. Infatti, con 200 senatori, se entra in vigore la revisione costituzionale, e con 11 regioni che ne eleggono meno di 10, è abbastanza difficile, se non impossibile, sia pure con la formula Imperiali, che con meno del 5 per cento si possa riuscire a ottenere un quoziente intero. Al di là di tale considerazione, ci sono due elementi sui quali mi permetto di richiamare la vostra attenzione. Il primo è un problema Pag. 6di ragionevolezza che riguarda la Camera, soprattutto, perché il criterio è quello di tre quozienti in almeno due regioni: occorre infatti fare attenzione, perché le regioni non sono tutte uguali dal punto di vista della consistenza demografica, e le circoscrizioni non sono tutte uguali, per cui rischiamo di dare luogo a un esito nel quale con meno voti si ottiene il diritto di tribuna e con più voti si rimane privi di rappresentanza. Bisogna quindi fare attenzione alla geografia elettorale, perché rischiamo di dare vita ad un quadro poco sostenibile sul piano della ragionevolezza. Aggiungo che la proposta di legge non chiarisce in quale collegio plurinominale l'eletto con il diritto di tribuna si dovrebbe considerare (scusate il gioco di parole) eletto, perché mi pare che manchi qualche passaggio che chiarisca bene questo punto essenziale.
Quanto agli ulteriori problemi, mi limito ad accenni, avendo quasi esaurito il tempo a disposizione. Il primo problema è costituito dalle liste bloccate. È già stato evidenziato, in particolare dai colleghi Azzariti e Villone, che il problema delle liste bloccate rimane anche nella proposta di legge in esame, e per di più aggravato dal fatto che le liste sarebbero più ampie, almeno potenzialmente, potendo comprendere fino a otto candidati. Su questo, però, non me la sento di evidenziare sicuri dubbi di legittimità costituzionale alla stregua della sentenza n. 1 del 2014. Tuttavia, bisogna aver chiaro che il problema potenzialmente si può porre, in particolare dal punto di vista della conoscibilità da parte dell'elettore. Inoltre, con otto nomi sarebbe impossibile o molto difficile riprodurre i candidati sulla scheda elettorale; infatti, gli articoli 4, secondo comma, e 31, secondo comma, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, come modificati dalla proposta di legge in esame, non riproducono più la presenza dei candidati nella scheda elettorale. Le liste bloccate, poi, pongono il problema, noto, dell'individuazione di queste candidature, e quindi dell'assenza nel nostro ordinamento di una legge sulla selezione dei candidati all'interno dei partiti. Questo non vuol dire resuscitare necessariamente il voto di preferenza, ma significa evidenziare che il voto di preferenza è auspicato da molti perché l'alternativa invece lascia soltanto alle segreterie dei partiti (almeno in molti di essi) l'indicazione dei candidati.
Rimangono le candidature plurime, che sono una peculiarità italiana, e che sono figlie però di un sistema elettorale la cui ratio di fondo mi lascia un po' perplesso: un sistema elettorale che parte dal livello nazionale, alla Camera arriva ad un livello circoscrizionale, e da lì nei collegi plurinominali. È un sistema elettorale che rende difficile sapere quali saranno i collegi plurinominali più competitivi (soprattutto per le liste medie o medio-piccole), ed anche per questo è un sistema elettorale che dal punto di vista dell'elettore a me non sembra del tutto trasparente. Ecco perché personalmente, se sistema elettorale proporzionale ha da essere, preferirei un modello che valorizzi il territorio e che «dia a ciascuno il suo», facendo a meno anche di soglie di sbarramento prefissate dal legislatore, o di diritti di tribuna. Il modello non è necessariamente quello spagnolo, dove le circoscrizioni sono molto, forse troppo piccole, ma può trattarsi di un sistema che perlomeno parta dai territori (come era la legge elettorale della Camera, prima del 1993, o come era anche quella del Senato, prima del 1993, come ricordato dal professor Azzariti).
Quanto alla rappresentanza di genere, sottopongo un'osservazione all'attenzione della Commissione. Il dottor Petitti, presidente dell'Ufficio elettorale centrale nazionale, in un'audizione presso la Giunta delle elezioni della Camera, il 4 ottobre 2018, ha evidenziato qualche problema interpretativo, in particolar modo in relazione alla mancanza di una specifica sanzione per il mancato rispetto della proporzione della rappresentanza di genere, di una specifica disciplina del sub-procedimento, tesa al rispetto della proporzione, e anche di un termine ragionevole entro il quale completare le verifiche. Questo ha dato luogo ad una «giurisprudenza», soprattutto al Senato, diversa da regione a regione, con esiti potenzialmente contraddittori. Aggiungo che Pag. 7è stato il Ministero dell'interno, e non il legislatore, a chiarire che le prescrizioni a tutela della rappresentanza di genere si intendono riferite al numero delle candidature, e non a quello delle persone fisiche (come capite, ragionare in un senso o nell'altro dà luogo ad esiti potenzialmente diversi).
Concludo con una considerazione sulla Circoscrizione estero. Mi limito al sistema elettorale in senso stretto. Se dovesse entrare in vigore la revisione del numero dei parlamentari, assisteremmo a un'evidente asimmetria tra quanto affermato dalla legge (che qualifica il sistema elettorale come proporzionale) e gli effetti concreti: con un numero di senatori e di deputati che diminuirebbe drasticamente, questo sistema elettorale diventerebbe di fatto un sistema maggioritario, perché non poche ripartizioni eleggerebbero un solo parlamentare. Da qui l'esigenza di porre mano a qualche correttivo alla legge n. 459 del 2001 per evitare rischi seri di illegittimità costituzionale, alla stregua della sentenza n. 1 del 2014: se un sistema è proporzionale, deve funzionare in modo coerente (cosa che in questo caso, per ragioni numeriche, non potrebbe avvenire).
PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
FRANCESCO FORCINITI. Intendo soffermarmi sul tema del diritto di tribuna. A mio avviso, in presenza di una soglia di sbarramento al 5 per cento è un istituto che assume una rilevanza ancora maggiore, non essendo possibile, per esempio, utilizzare dei contrappesi come nel sistema tedesco, in cui ci sono i collegi uninominali, però il numero dei parlamentari non è fisso. Una sorta di diritto di tribuna, in presenza di una soglia di sbarramento elevata, lo si deve garantire a quelle forze politiche che comunque dimostrino di avere un consenso significativo, seppur in determinati ambiti territoriali e non su tutto il territorio nazionale. Ho ascoltato con molta attenzione i suoi riferimenti a una possibile irragionevolezza del diritto di tribuna, così come è stato impostato nel testo in esame. Le chiedo se da parte sua vi può essere anche un suggerimento, perché ancorarlo alle regioni è la cosa forse più immediata, più logica, e che può sembrare anche più giusta dal punto di vista dei diritti di rappresentanza. Volevo sapere se può suggerirci qualche traccia per individuare un metodo che possa, da una parte, garantire alle forze medio-piccole un diritto di tribuna, in presenza di una soglia di sbarramento abbastanza alta, senza incentivare eccessivamente la frammentazione del quadro politico, e, dall'altra, fare in modo che sia una soluzione ragionevole che non rischi di incorrere nelle censure della Corte costituzionale.
RICCARDO MAGI. Intervengo sulla stessa questione sollevata dal collega Forciniti. Proprio alla luce delle distorsioni, da lei illustrate, che potrebbero presentarsi nell'applicazione del diritto di tribuna, non potrebbe essere più opportuno eliminare il diritto di tribuna e abbassare la soglia di sbarramento, perseguendo un'analoga finalità ed eliminando quelle distorsioni che possono esserci nella previsione attuale del testo?
PRESIDENTE. Do la parola al professor Tarli Barbieri per la replica.
GIOVANNI TARLI BARBIERI, Professore di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Firenze. Quanto alla domanda dell'onorevole Magi, da un punto di vista di stretta legittimità la soglia di sbarramento si può certamente ridurre. Il tema che però dobbiamo aver ben presente è che un sistema proporzionale in quanto tale apre una questione sistemica: io sono dell'avviso che se sistema proporzionale ha da essere e se, soprattutto, la soglia di sbarramento venisse rivista al ribasso rispetto alla proposta attualmente all'esame della Commissione, dovremmo preoccuparci anche delle conseguenze che una legge elettorale di questo genere avrebbe sulla forma di governo, visto che la legge elettorale è un tassello fondamentale che da solo non riesce a determinare il funzionamento, Pag. 8ma che influenza profondamente il funzionamento di una forma di governo. Questa considerazione aprirebbe un altro capitolo, che però bisogna avere ben presente, perché se abbassiamo la soglia di sbarramento rischiamo di aprire a una pluralità di forze politiche, che potrebbe non rendere facile la governabilità – termine che a molti miei colleghi non piace – complessiva del sistema.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Forciniti, il problema lo vedo con riferimento al testo formulato per la Camera, ma per il Senato il problema è diverso, perché, se rimane la base regionale e passiamo a 200 senatori, il problema è che il diritto di tribuna, seppur previsto sulla carta, rischierebbe di non avere alcun effetto concreto. Ho provato a fare una simulazione riferita alle elezioni del Parlamento europeo (una simulazione non corretta, perché la base elettorale della Camera è ancora quella dei venticinquenni), e, per ragioni puramente matematiche, ci sarebbe un solo caso, in Lombardia, riferito a +Europa, in cui ci sarebbe un seggio assegnato con il diritto di tribuna (si tratta di una simulazione su cui invito al massimo della prudenza, in quanto riferita alle elezioni del Parlamento europeo). Per quanto riguarda la Camera, è probabilmente il combinato disposto di circoscrizione e regione che può dar luogo a effetti distorsivi, e al riguardo, si potrebbe provare a lavorare sulla dimensione delle circoscrizioni, ma, con le 28 che abbiamo, rischi di irragionevolezza potrebbero non essere eliminati. Se si agisce su base territoriale, bisogna aprire una riflessione sull'adeguatezza delle circoscrizioni riferite alla Camera, altrimenti bisogna ragionare su altre soluzioni, come potrebbe essere quella del raggiungimento di una certa soglia (ma anche questa soluzione potrebbe non essere banale, dal punto di vista sia della ragionevolezza complessiva sia del funzionamento del sistema).
PRESIDENTE. Avverto che il professor Tarli Barbieri ha messo a disposizione della Commissione una memoria, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1).
Nessun altro chiedendo di intervenire, ringrazio e saluto il professor Tarli Barbieri.
Dichiaro quindi conclusa l'audizione.
Audizione del professor Daniele Porena, Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione del professor Daniele Porena, Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia, al quale chiedo cortesemente di contenere l'intervento in circa 15 minuti.
DANIELE PORENA, Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia. Ringrazio tutta la Commissione per l'onore che mi è stato concesso nell'essere audito quest'oggi. La proposta di legge C. 2329 rappresenta nel suo complesso un'ipotesi di modifica assai rilevante della legge elettorale vigente e, per certi aspetti, ancora più radicale se posta in confronto con la tendenza più o meno spiccatamente maggioritaria (che ha caratterizzato la legislazione elettorale degli ultimi anni). Infatti, laddove la proposta di legge venisse approvata, si tornerebbe ad un sistema elettorale a struttura proporzionale con applicazioni non molto dissimili rispetto a quelle già note al passato. Al di là delle questioni relative alla geografia dei collegi, delle circoscrizioni, o dei criteri tecnici di computo, dei resti e dei quozienti, Pag. 9il sistema ipotizzato, rispetto alle esperienze anteriori al 1994, differisce per l'assenza del voto di preferenza e per l'introduzione di una robusta soglia di sbarramento per l'accesso alla rappresentanza. Innanzitutto, vorrei chiarire il mio punto di vista generale sull'impostazione del progetto di legge e sul ripristino del sistema proporzionale nella legislazione elettorale. La mia opinione, che tenterò di argomentare, è in generale favorevole. Il principio proporzionale, che non è in nessun modo canonizzato dalla Carta costituzionale, a mio parere identifica il principio e il sistema più coerente con la struttura generale che il costituente volle imprimere alla nostra forma di governo. D'altronde, non è un caso, che la stessa Assemblea Costituente approvò il famoso «ordine del giorno Giolitti», in base al quale si ritenne che l'elezione dei membri della Camera dei deputati dovesse avvenire secondo il sistema proporzionale. Allora fu approvato un ordine del giorno, la norma non fu evidentemente inserita nella Costituzione (prudentemente, senza dubbio), ma questa circostanza già disvela quale fosse l'interpretazione complessiva che il costituente volle all'epoca dare alla complessiva struttura della nostra forma di governo. La mia opinione è che il sistema proporzionale tende a valorizzare la centralità del Parlamento, soprattutto nei rapporti tra questo e il Governo. Sul punto, un cenno all'esperienza degli ultimi 25 anni credo sarà di aiuto a comprendere il senso della mia riflessione. L'adozione di leggi elettorali prevalentemente maggioritarie, con sistemi a collegi uninominali, oppure a liste concorrenti con premio di maggioranza, ha favorito la percezione comune, presso l'elettorato, che la scelta di volta in volta effettuata non fosse indirizzata alla composizione del Parlamento nazionale quanto piuttosto alla designazione del Governo; percezione acuita dalla ricorrente previsione normativa circa il collegamento tra le liste elettorali (la preventiva costruzione di coalizioni tra partiti) e persino circa l'indicazione preventiva del nominativo del leader della coalizione, o del partito (sovente poi nella legislazione recente, indicato come «capo del partito capo, o della coalizione»; espressione che per molteplici ragioni non giudico molto felice). In estrema sintesi, l'elettore comune, trovando sulla scheda elettorale l'indicazione delle coalizioni e dei rispettivi leader, ha finito comprensibilmente per orientare la propria scelta in favore di colui dal quale avrebbe voluto essere governato, piuttosto che in favore di coloro dai quali avrebbe voluto essere rappresentato. La ricaduta istituzionale della constatazione mi sembra che si sia poi riverberata grandemente nei rapporti tra Governo e Parlamento. Se già in epoca proporzionale, si era fatta strada, nella letteratura scientifica, la descrizione di un Governo come «comitato direttivo del Parlamento», questa descrizione ha incontrato negli ultimi anni solide conferme; basti solo pensare ai condizionamenti che l'impulso governativo esercita sull'agenda dei lavori parlamentari (e alle assai scarse probabilità di successo che accompagnano l'iniziativa legislativa di origine parlamentare). Cercherò di illustrare come ci si è orientati negli ultimi 25 anni di legislazione elettorale. L'adozione di sistemi maggioritari associati alla soppressione del sistema delle preferenze e alla prevista indicazione del capo della coalizione (o del partito) ha finito non solo per porre sotto stress la generale impostazione costituzionale (che non prevede l'elezione diretta del Presidente del Consiglio), ma perfino per compromettere il naturale ordine della relazione fiduciaria tra Parlamento e Governo. Una suggestione: si è arrivati al paradosso secondo cui non è stato più chi ambiva a ricoprire la carica governativa a dover conquistare la fiducia parlamentare, ma al contrario, chi ambiva a ricoprire la carica parlamentare a dover godere preventivamente, cioè per il solo fatto di avere accesso alle liste elettorali della fiducia del rispettivo leader politico (contestualmente candidato alla guida del Governo o alla carica governativa); un'ulteriore manifestazione di quel fenomeno di verticalizzazione del sistema politico-istituzionale, sul quale anche in altre occasioni mi ero intrattenuto. La dinamica delle relazioni tra Governo e Parlamento ne è un'uscita persino capovolta Pag. 10 rispetto alla filosofia costituzionale, ancorché il Parlamento – che almeno nelle intenzioni dei costituenti, avrebbe dovuto essere il motore propulsivo di ogni dinamica istituzionale – ha finito per essere talvolta derubricato a una sorta di collegio di ratifica delle decisioni del Governo, che a sua volta, invece, ha assunto sempre più il ruolo di comitato direttivo del Parlamento. Questo sistema che si è venuto a configurare – può piacere o non piacere nel merito – però sul piano tecnico non è quello che ispira la struttura costituzionale e la sua vocazione eminentemente parlamentarista; rimanendo all'interno di questa cornice costituzionale, il sistema che si è venuto a costruire nel tempo comporta alcune forzature. Dovendo esprimere un parere tecnico e non una preferenza politica, non posso fare altro che sottolineare la circostanza. Tornando più da vicino alla legge elettorale, il sistema proporzionale sembra avere il pregio di decomprimere l'istituto della fiducia parlamentare, emancipandolo da quegli spazi assai angusti, nei quali negli ultimi anni è stato collocato a causa delle pesanti ipoteche introdotte dal voto maggioritario e dal meccanismo di designazione diretta dei candidati alla Presidenza del Consiglio (meccanismo surrettiziamente mascherato dietro l'indicazione del leader del partito o della coalizione). Il sistema proporzionale, slegato da vincoli di coalizione, appare idoneo a valorizzare il ripristino di quei sistemi di filtraggio, che in altre epoche hanno favorito una più attenta selezione delle compagini governative. Il voto popolare finisce per essere filtrato attraverso il pieno esercizio delle prerogative parlamentari, correlate all'istituto della fiducia. Diversamente, il voto popolare, in una logica maggioritaria, è rivolto alla figura del leader che si intende favorire per la carica di Governo e appare più esposto a meccaniche emozionali, oppure alle mere capacità empatiche che il leader politico mostra nei confronti dell'opinione pubblica. Credo che questi siano elementi che, isolatamente considerati, non sono certo sufficienti a garantire alla selezione democratica gli esiti migliori. Conclusivamente trovo convincente l'impostazione generale della proposta di legge, in quanto più coerente con la struttura parlamentarista, che, valorizzando e rafforzando l'istituto della fiducia, il costituente volle imprimere alla nostra Carta costituzionale. Nell'ottica di precisare meglio il mio punto di vista sulla proposta di legge in esame, aggiungo alcune brevi osservazioni. Trovo persuasiva l'ipotesi di temperare il rigore proporzionalista mediante l'introduzione di una robusta soglia di sbarramento (questo a presidio di essenziali condizioni di stabilità istituzionale). Dall'altro lato, come contraltare, condivido anche l'idea di garantire il cosiddetto «diritto di tribuna». Questo è un elemento che io giudico non rinunciabile, nell'ottica di acquisire al dibattito parlamentare espressioni di possibile dissenso, che, viceversa, finirebbero per rifluire nei soli insidiosi, pericolosi, canali dell'extra parlamentarismo. Sul punto, vorrei segnalare quello che mi pare un limite che trapela dalla proposta in esame, cioè, nella configurazione ipotizzata, questo diritto di tribuna finirebbe per essere riconosciuto nelle sole circoscrizioni con il più elevato numero di seggi, con le soglie più basse di quoziente pieno. Un attento approfondimento supplementare credo debba essere rivolto a due ampie questioni ulteriori, che tratterò con necessaria brevità. La prima è quella rappresentata dal voto di preferenza, di cui anche nella proposta di legge in esame non vi è traccia. Solitamente, come meglio di me sapete, le diffidenze per il voto di preferenza sono alimentate dall'idea che con esso si trascinino e perpetuino fenomeni e abitudini di tipo clientelare o tendenze alla proliferazione incontrollata e incontrollabile delle spese elettorali. Tuttavia, continuo a ritenere che le patologie del voto di preferenza non abbiano rappresentato ragioni sufficienti per la sua definitiva e radicale espunzione dai sistemi elettorali (nella pratica medico-chirurgica, prima di procedere all'espianto di un organo si tenta quantomeno la cura e la riabilitazione, e credo che una constatazione analoga possa essere rivolta anche al mondo del diritto). L'adozione di sistemi adeguati, sistemi di accountability su candidati e campagne elettorali, Pag. 11 unitamente a più rigorosi ed efficaci misure volte a garantire il rispetto di inderogabili limiti di spesa elettorale, sembrerebbero già di per sé poter concorrere efficacemente a tenere sotto controllo possibili meccanismi ed effetti distorsivi. Aggiungo che mi sembra assai curioso che il voto di preferenza continui ad essere serenamente dispensato agli elettori nelle elezioni comunali e regionali, dove la maggiore prossimità del cittadino agli interessi curati dalle rispettive amministrazioni acuisce ancora di più i rischi ai quali prima facevo riferimento, mentre invece non ve ne è traccia per quello che attiene ai meccanismi di elezione dei parlamentari, i cui rapporti con gli elettori, per opposte ragioni, tendono ad essere più rarefatti. Al contrario, l'importanza del voto di preferenza si mostra sotto molteplici profili. In primo luogo, il voto di preferenza concorrerebbe a rivitalizzare il sistema dei partiti politici (un sistema al quale l'articolo 49 della Costituzione assegna una non trascurabile rilevanza); sotto questo aspetto il voto di preferenza orienterebbe il sistema dei partiti verso la necessità di rinsaldare il rispettivo radicamento nei territori, restituendo loro un ruolo di mediazione, in parte smarrito nel tempo, tra corpo elettorale e organi istituzionali. Al contrario, laddove i candidati sopravvivono (perdonatemi il termine) nella «beata indifferenza» rispetto al livello di consenso individuale da loro riscosso presso l'elettorato, i partiti tendono ad assumere le sembianze di entità sempre più liquide, eteree, telematiche, meno percepibili, tendenzialmente poco più che comitati elettorali rielaborati di volta in volta, a seconda delle esigenze del voto di turno. Sul punto non devono trascurarsi i rilievi della Corte costituzionale, che con adamantina chiarezza ha reiteratamente, anche di recente, affermato il principio secondo cui «ferisce la logica della rappresentanza, il fatto che la totalità dei parlamentari eletti siano privi, senza eccezioni, del sostegno personale espresso mediante voto di preferenza». La Corte ha precisato che la suddetta circostanza (lesiva del principio della rappresentanza) non ricorrerebbe laddove la circoscrizione elettorale assuma dimensioni territorialmente ridotte e il numero dei candidati sia talmente esiguo da garantirne la piena conoscibilità. Sottolineo un passaggio della Corte: «al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali» (un riferimento da tener presente). Rimane da chiedersi se un collegio nel quale, in ipotesi, ogni lista possa presentare fino ad otto candidati (come ipotizzato nella proposta di legge in esame), risponda a ciò che la Consulta ha voluto intendere nel ribadire il principio che ho ricordato. D'altronde, qui si apre un mondo di incertezze, perché i riferimenti quantitativi nel diritto, laddove rimangono indeterminati nella loro esattezza, introducono delle insidie. Quindi il riferimento, operato dalla Corte, a circoscrizioni territorialmente ridotte e a un numero di candidati, non fa eccezione. Mi rivolgo in particolar modo al proponente, credo che la prudenza sia opportuna. A questo proposito basti pensare che, in base alle previsioni della legge elettorale censurata con la sentenza n. 1 del 2014 (che prima ho richiamato), nella circoscrizione elettorale dell'Umbria (la regione dalla quale provengo) il numero di candidati per ogni lista corrispondeva a nove; allora è la complessiva logica del ragionamento che andrebbe capovolta. C'era un ordine del giorno, ne cito un altro, che fu ampiamente discusso, ma non deliberato in Assemblea Costituente, «l'ordine del giorno Rubilli». «Sarebbe grave tenere lontano dalla vita pubblica cittadini dotati di particolari ed elevate qualità che, pur completamente estranei al movimento dei partiti e alla competizione elettorale, potrebbero tuttavia apportare benefici e valido contributo alla vita pubblica parlamentare e politica». Allora, prendendo spunto dalla constatazione di allora (credo valida anche ora) ed in piena coerenza con la recente giurisprudenza della Corte costituzionale, sarebbe opportuno considerare il rapporto tra candidati eletti con voto di preferenza e i candidati eletti per ordine di lista (quelli bloccati), come un rapporto tra regola ed eccezione, affidando alle preferenze elettorali le sorti del maggior numero dei seggi parlamentari e, ad un sistema di listini bloccati, nelle forme Pag. 12ritenute più opportune, le sorti di un numero di seggi più esiguo. Vorrei dedicare un breve riflessione alla seconda delle due questioni, che avevo prima richiamato, in particolare all'ipotesi di una revisione dell'istituto della fiducia parlamentare (sebbene il tema esondi rispetto al perimetro della legge ordinaria, però è in qualche modo correlato). La riflessione ruota intorno all'opportunità di associare ad un sistema proporzionale (come quello ipotizzato, il cui pregio della rappresentatività sconta un qualche difetto sul piano della stabilità di Governo), il meccanismo della cosiddetta «sfiducia costruttiva», che ha mostrato convincenti prove di funzionamento rispetto ad altri sistemi elettorali, di impronta schiettamente proporzionale. In Germania (il riferimento non è casuale, visto che i giornali si sono già divertiti a descrivere questa proposta di legge come «Germanicum»), il sistema elettorale, dove esiste la sfiducia costruttiva, non ha prodotto i fenomeni di instabilità, che invece sono noti e che sono stati registrati nella prima parte della nostra esperienza repubblicana; l'obbligo di indicare nella mozione di sfiducia (oltre alle ragioni per le quali si intende sfiduciare il Governo in carica) anche la nuova compagine governativa che si intende sostituire alla prima riduce grandemente i fenomeni di instabilità istituzionale. Il Parlamento rimane pieno e autentico titolare delle proprie determinazioni, nell'ambito della principale relazione con il Governo (quella fiduciaria), tuttavia, nel diritto, nella politica, e in natura «costruire è sempre più impegnativo che distruggere». Il dato esemplificativo ci proviene dall'esperienza tedesca. La mozione di sfiducia è stata posta al voto soltanto due volte nell'intera storia repubblicana postbellica, e ha avuto successo una sola volta (la vicenda parlamentare che nel 1982 condusse Helmut Kohl al Cancellierato). Per altro, il meccanismo della sfiducia costruttiva garantisce piena continuità istituzionale, escludendo alla radice le incertezze che nel nostro Paese sovente si sono manifestate all'indomani di una crisi di Governo. È un tema molto ampio e molto complesso, che richiederebbe delicatissimi interventi sulle prerogative del Presidente della Repubblica; se l'intenzione è quella di avvicinare il nostro sistema a quello felicemente collaudato altrove, io credo che questo tema meriti di essere esplorato. In ogni caso, si consideri che non è il sistema elettorale di per sé considerato a garantire maggiore o minore stabilità di Governo. Sotto questo aspetto, pensiamo che nei 49 anni di legislazione proporzionale (compresi gli ultimi tre coperti da una legislazione per 5/8 proporzionale), si sono succeduti 49 governi, in media un Governo ogni 12 mesi, uno all'anno; però, nei 23 anni di esperienza maggioritaria, i governi sono stati 14, quindi la durata media è stata di 19 mesi ciascuno; si sono guadagnati, al netto di tutto, sette mesi in più di aspettativa di vita (non mi pare che la cosa abbia introdotto particolari capovolgimenti). Concludo con la certezza che l'onorevole presidente, nella sua duplice veste, in questo caso anche di proponente dell'atto in esame, non voglia pensare che nel mio intervento abbia voluto malignamente riservare in cauda venenum. Muovo un'osservazione critica e conclusiva. Si tratta della rimozione dell'obbligo per ciascun partito di depositare il proprio programma in vista della competizione elettorale. In un ordinamento come il nostro, che giustamente, per irrinunciabili e quanto mai evidenti ragioni, richiede che una S.r.l. (società a responsabilità limitata) depositi in Camera di commercio l'atto costitutivo, lo statuto, i patti sociali e molto altro, mi pare poco comprensibile la previsione secondo cui sarebbe esonerato dall'obbligo di depositare un programma elettorale chi si candida a rappresentare l'intera Nazione. Grazie molte, Presidente.
PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
EMANUELE FIANO. Vorrei segnalare tre punti. Il primo; il paventato conflitto tra il testo in esame e la sentenza della Corte Costituzionale circa la conoscibilità dei candidati (sentenza che riguardava la legge Calderoli, di cui ci siamo occupati, essendo Pag. 13stato relatore della successiva legge elettorale). Vorrei suggerire al professore il punto che la conoscibilità dei candidati, che lei porta qui come critica al testo in esame in ragione della sentenza, va riportata anche all'eleggibilità dei candidati. Su una lista di otto candidature, a sondaggi vigenti di un partito più grande degli altri (che vale il 30 per cento), si potrebbe presumere di eleggere 2,4 persone, per cui la conoscibilità dei candidati per gli elettori di quel partito si riassumerebbe nella conoscibilità dei primi due della lista bloccata; portandolo anche al maggior risultato dagli anni Cinquanta in poi (cioè di un partito al 40 per cento, e peraltro non in elezioni italiane), supereremmo sempre di poco i tre candidati su otto nella lista più lunga bloccata. In realtà, la conoscibilità dei candidati dovrebbe essere riferita al parametro della loro eleggibilità; l'esercizio di conoscibilità dell'elettore, parametrato alla possibilità che essi vengano eletti con i numeri della storia repubblicana (assumo il 40 per cento come una percentuale mai superata), è un po' più ristretta. D'altra parte, la questione delle preferenze è collegata all'alternativa delle liste bloccate. Abbiamo trattato questa questione tante volte nella storia italiana; sia lei sia l'audito che l'ha preceduta l'avete giustamente ricordata come una storia di leggi elettorali continuamente cambiate, spesso intese come costruite per l'immediata occasione elettorale successiva dal partito che presumeva di poter andare a quelle elezioni e vincerle (non so se oggi siamo in questa condizione); ma quando si racconta questa storia tengo anche a ricordare che in qualsiasi ambito di assemblea elettiva, il sistema delle preferenze ha portato con sé anche dei difetti. Vorrei non dimenticare che le preferenze in tutte le regioni di questo Paese hanno portato con sé le pessime interferenze di attività criminose (se guardiamo ancora più indietro nel tempo, non solo criminose esterne alla politica, ma anche interne alla politica.) Nella sua relazione, che io ho molto apprezzato, si riassumono i molti difetti che noi abbiamo accumulato nella storia italiana; il problema è che la legge elettorale perfetta non esiste (anche per la personalissima esperienza che ho fatto in questi anni sulle leggi elettorali), quella che riassume tutti i pregi possibili della teoria disciplinare non esiste (anche se sarebbe simpatico averla). Io penso che si debba tendere al minor danno possibile. Trovo molto giusto che lei abbia collegato la sua relazione ad aspetti della forma di Governo o a quello della sfiducia costruttiva (che personalmente è questione che riterrei che sarebbe molto utile per questo Paese). Ultima questione sul sistema delle preferenze. Oltre ad essere una questione che ha portato con sé nella storia italiana anche dei difetti pericolosi, porta, però, il pregio di un modello di selezione della classe dirigente, collegato alla volontà popolare (ci sono modelli di auto selezione dei partiti, le primarie in varie forme, esterne, o su piattaforma web). Il dibattito sulla legge elettorale si accompagna sempre ad un timido dibattito su quali regole inserire nella vita dei partiti, discussione che affonda le sue radici in un limite, presente nel dibattito all'Assemblea Costituente, cioè il limite dell'azione delle leggi dello Stato nella vita interna dei partiti. Se il modello di democrazia interna dei partiti, cioè il modello di selezione della classe dirigente dei partiti, accompagnasse positivamente (questo lo dice uno che pensa che il modello delle primarie sia un modello giusto, se regolato bene) una ristrutturazione della vita dei partiti (che in parte abbiamo cercato di fare in questi anni), e il modello di legge elettorale, così come anche altre questioni, che lei ha citato, del rapporto del Parlamento e Governo (la sfiducia costruttiva), noi avremmo un quadro compiuto che al momento non riusciamo ad avere.
RICCARDO MAGI. Grazie per la relazione preziosa. Questa è una considerazione su cui vorrei un suo commento: quanto è «abusivo» definire questa proposta come Germanicum, o Germanellum? Questo va chiarito, anche per non illuderci sui benefici che possa avere sul nostro sistema in termini di influenza positiva sulla stabilità. Ci sono almeno tre elementi: uno è quello della sfiducia costruttiva, su cui non c'è niente da aggiungere; l'altro è che nel sistema tedesco la metà dei seggi sono assegnati Pag. 14 con collegi uninominali, per quanto su base proporzionale; e per i restanti seggi, assegnati con liste bloccate, ci sono liste che sono definite attraverso una votazione a scrutinio segreto degli organi assembleari dei partiti. Questa è considerazione che mi sembra tocchi degli ambiti fondamentali per capire quanto siamo distanti da quel tipo di modello (per motivi storici, per storia dei partiti). Su questi due elementi, quanto ci si potrebbe spingere, quanto sarebbero praticabili, e in quale forme? Oppure sono assolutamente inadatti al contesto italiano?
VALENTINA CORNELI. Sono d'accordo con lei dalla prima all'ultima parola. Sottoscrivo sia la questione delle preferenze sia la questione della sfiducia costruttiva, di cui abbiamo parlato. Cosa ne pensa rispetto al principio della consapevolezza del voto, della libertà del voto? Qui abbiamo una posizione, che un po' diverge dalla proposta di legge rispetto alle pluricandidature (il fatto che l'elettore voti un candidato, ma poi quel candidato non se lo ritrova più, perché sceglie un altro seggio). Volevo sapere il suo parere su questo.
EMANUELE PRISCO. Stando sul suo livello di considerazione e sulla forma da utilizzare, domando se il livello di stabilità (oltre che con la sfiducia costruttiva, che mi sento di sottoscrivere come modifica necessaria e di contraltare) può essere quello dell'elezione diretta del Capo dello Stato, piuttosto che il semipresidenzialismo alla francese.
FELICE MAURIZIO D'ETTORE. Ho colto l'ultimo passaggio dell'intervento, poi mi riservo di leggere la relazione scritta. È chiaro che un sistema proporzionale, come tale, non è che sia incompatibile o trovi riflessi del tutto distonici rispetto alla presenza delle preferenze (mi pare che lo stesso PD abbia già proposto un sistema simile, o aveva dato un'apertura sulle preferenze). Dalla relazione è venuto fuori questo tema: un sistema proporzionale è tale, in presenza di un meccanismo solo di liste corte bloccate? Può sembrare un ossimoro, ma la scelta passa sicuramente dal sistema delle preferenze. Non escludo che ci possono essere in alcune regioni; per esempio, ci sono sistemi con i famosi listini bloccati, che nessuno utilizza (la Toscana, e regioni che da ultimo le volevano reintrodurre come la Campania). Con il sistema delle preferenze, o dei listini corti, bisogna tenere conto del numero dei parlamentari; bisogna anche capire come adattare «listini corti e circoscrizione larghe». È evidente che dovremmo affinare ogni nostra proposta (mi rivolgo all'autorevolezza del collega Ceccanti) rispetto alla riduzione del numero dei parlamentari. Dovremmo cominciare a ragionare su quali sono i modelli da scegliere; riducendo i parlamentari, forse è proprio la preferenza che incomincia a riemergere (diventa quasi un connotato genetico, una ratio congenita della riforma). Pensiamo ad alcune regioni: il numero dei parlamentari deve essere rappresentativo di una certa base elettorale, di un certo contesto di popolazione (sarebbe molto complicato non pensare a un meccanismo che prevede le preferenze). Poi, si può pensare ad un altro sistema, ma diventa tutto complicato. Nei partiti come il mio, in alcune regioni le preferenze riescono a dimostrare la forza dei nostri candidati (l'ultima elezione regionale in Calabria dimostra che i nostri candidati riescono a raccogliere le preferenze). Nelle liste che stanno componendo in Campania, De Luca cerca di farle sulla base di un minimo di 5000 preferenze a candidato (De Luca è antesignano delle riforme elettorali, e ha già capito come muoversi). Il contributo importante che ci può dare il professore è sul come trovare un equilibrio ragionevole. Per quello che ho sentito, si è proprio mosso su questo crinale, che è il più difficile; su queste proposte di legge (a prescindere da quali saranno poi gli intendimenti che ciascuno di noi avrà alla fine) noi dovremo, indipendentemente dalle parti politiche, cominciare ad aprire una riflessione ampia, che trovi questo equilibrio; è sempre difficile trovarlo, ma penso sia necessario, anche individuando un punto di compromesso.
Pag. 15FRANCESCO FORCINITI. Posto che non voglio entrare in questo momento nel dibattito fra listini bloccati, preferenze, sul modello più adatto al sistema proporzionale, però una piccola soluzione di compromesso potrebbe essere quella di vincolare il candidato che si candida in un collegio elettorale ad avere la residenza in quel luogo in cui si candida, così da evitare, per esempio, che ci possa essere un eccesso di margine discrezionale per le forze politiche, prevedendo anche alcune eccezioni, come, ad esempio, stabilire che ogni forza politica su scala nazionale possa prevedere una o due pluricandidature al massimo. Il principio di base è che ci debba essere, almeno su larga scala, l'obbligo di residenza nel luogo in cui ci si candida, così da legare anche a un criterio territoriale la candidatura e garantire ai territori (al di là delle scelte dei partiti) di avere dei rappresentanti effettivi che operano su quel territorio. Poi, sul dibattito tra preferenza o listino bloccato, ci sarà tanto tempo per parlare.
STEFANO CECCANTI. Io non sono d'accordo. Se noi dobbiamo eleggere un numero minore di parlamentari, a parità di fattori, le liste diventano più corte. Questo è il punto chiave: un conto è eleggerne 630, un conto è 400; pro quota le liste vengono apparentemente ridotte, di 1/3 a parità di collegi. Quindi, si espandono geograficamente, ma le persone da candidare sono di meno. Non mi sembra che questo argomento, evocato dal collega D'Ettore, funzioni, e c'è anche l'altro problema: se espandi geograficamente i collegi, la raccolta di preferenze sulla dimensione territoriale grande è un problema. Noi non abbiamo grandissimi problemi sulle elezioni comunali, ma quando si tratta di un collegio che raggruppa più province si pongono i temi su costi delle campagne e sull'impatto del sistema dei partiti al proprio interno (perché i partiti devono essere rigidamente suddivisi in correnti, visto che ciascuna corrente porta i voti ai propri candidati); si determina una serie di effetti sul sistema dei partiti, che forse non è del tutto gradevole. Io non ho la soluzione ideale, però ci andrei piano con l'idea che le preferenze siano la panacea, l'unica soluzione compatibile con un sistema proporzionale.
PRESIDENTE. Voglio soltanto ricordare che il testo che porta la mia prima firma è una sintesi di alcuni punti cardine su cui la maggioranza ha trovato un accordo e che tantissime questioni, come quella che ricordava in ultimo il professore (o come i punti mancanti rispetto al sistema tedesco, ricordati dal collega Magi) sono lasciati al dibattito parlamentare. Quindi ne stiamo discutendo ora e continueremo a farlo; poi aggiungeremo tutti gli altri elementi a questo che è soltanto uno scheletro. Do la parola al nostro ospite per la replica.
DANIELE PORENA, Professore di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia. Grazie, presidente. Ho preso degli appunti, spero di non perdere il filo. Mi permetterei di associare in un unico gruppo di considerazioni, i rilievi mossi dagli onorevoli Fiano, D'Ettore e Ceccanti, che attengono specificatamente alla questione delle preferenze. Nel descrivere quella problematica, quel possibile conflitto tra l'ipotesi legislativa all'esame e la giurisprudenza recente della Corte, ho fatto testualmente riferimento alla giurisprudenza della Corte (non ho aggiunto nulla, tanto per essere chiari). La Corte è stata molto chiara nel fare riferimento alla lunghezza delle liste; non si è inventata questioni su chi è eleggibile, chi non è eleggibile, chi ha chance, e chi invece non ne ha. Queste sono valutazioni che non hanno molto a che vedere con la solidità di un impianto normativo in punto di diritto. Nell'ipotesi in cui questa proposta di legge venisse approvata e un domani sottoposta allo scrutinio della Corte, dubito che la medesima Corte si intratterrebbe su questioni del tipo «solo i primi tre erano eleggibili, gli altri no». Secondo la Corte, i conoscibili sono i candidati. Il criterio della conoscibilità non è legato a quelli eleggibili (virtualmente eleggibili), ma ai candidabili, che sono otto (un numero che mi sembra si avvicini pericolosamente ad alcune delle manifestazioni della legge elettorale precedente, censurata dalla Corte). Poi, sulla Pag. 16questione delle preferenze, l'onorevole Fiano ha giustamente ricordato disfunzioni, effetti distorsivi che il sistema delle preferenze ha prodotto nel nostro Paese. Ribadisco, se i comuni assegnano i contratti, ed esce fuori qualcosa che non ci dovrebbe essere, non è che poi si elimina la possibilità di fare affidamenti, o non si fanno più le gare (mi sembra molto simile a questo pericoloso declivio argomentativo). Quindi provate a ragionare sui meccanismi per risolvere le patologie del voto di preferenza. D'altronde, nei comuni e nelle regioni dove il voto di preferenza esiste, non mi sembra – forse io non sono un attento lettore delle cronache giudiziarie – che negli ultimi anni si siano prodotti sconquassi o manifestazioni di ladrocinio o forme di clientelismo disarmanti. Con un adeguato sistema di controllo, io credo che possa funzionare il discorso delle preferenze; riterrei molto prudente porre il problema, perché sul punto ci si avvicina molto pericolosamente a quei limiti tracciati dalla Corte Costituzionale. In realtà, le più vistose, le più importanti riforme sulla legge elettorale non sono intervenute – è un'espressione che non amo molto – nella Prima Repubblica. Nel corso della Prima Repubblica, ci sono stati degli interventi sulla legge elettorale, non proprio trascurabili, ma di dettaglio; l'impostazione è rimasta quella. È la Seconda Repubblica – visto che noi abbiamo avuto dal 1994 ad oggi Mattarellum, Porcellum, Consultellum, Italicum, Rosatellum, e adesso forse Germanicum – che non ha trovato la sua strada (questo mi pare molto chiaro). Poi, l'onorevole D'Ettore poneva questo problema: quale può essere un giusto punto di equilibrio fra candidati bloccati (chiamiamoli così) e candidati invece eleggibili con il sistema di preferenze? Io riterrei che sarebbe corretta, coerente, dignitosa, l'ipotesi che in ogni lista proporzionale ci fosse un capolista bloccato con un'alternanza di genere all'interno della circoscrizione (in modo tale che si garantisce anche questo aspetto), il resto con le preferenze. Non ci vedrei nulla di abnorme in questo. L'onorevole Magi sollecitava una riflessione sugli accostamenti a suo giudizio impropri tra la legge in esame e il sistema elettorale tedesco. È chiaro che sono sistemi differenti; c'è una cornice costituzionale differente (devo richiamare l'attenzione sull'istituto della sfiducia costruttiva al quale facevo riferimento). Poi, sul piano tecnico, è un sistema un po' più sofisticato: all'interno di ogni circoscrizione c'è il cosiddetto «doppio voto»: si vota il candidato uninominale e poi si votano i partiti con la lista proporzionale. Il candidato eletto, all'interno di quella circoscrizione, viene scorporato dalla lista di appartenenza, dalla lista di riferimento collegata (chiamiamola così), e viene ripristinato il meccanismo proporzionale in maniera più solida. Direi che esistono delle differenze significative sul piano della cornice costituzionale, particolarmente per l'assenza nel nostro ordinamento dell'istituto sul quale prima ci intrattenevamo; sul piano della filosofia la legge è proporzionale, con una vocazione proporzionale. Quindi, sotto questo aspetto è lecito un accostamento, come qualsiasi accostamento venisse fatto con qualsiasi altra legge proporzionale al mondo (adesso i giornalisti si sono fissati sul Germanicum, perché vende, suona bene ed è suggestivo). Sulle questioni che poneva l'onorevole Prisco, cioè se il Parlamento si pone il problema dell'instabilità di Governo, non è sulla legge elettorale che si gioca la partita (tanto per essere chiari). L'onorevole Prisco parlava di un sistema semipresidenzialista, ma è chiaro che nel momento in cui al presidente è assegnato uno spicchio del potere esecutivo e vive una vita propria (semipresidenzialismo alla francese, eletto al di là di ogni rapporto fiduciario con il Parlamento) per quattro, o cinque anni, per la durata del mandato, quella funzione gode di stabilità e di durevolezza (è fuori di ogni dubbio). Le prerogative del presidente francese – riallacciandomi all'ipotesi semipresidenzialista francese – sono legate a determinati ambiti di competenza, segnatamente la politica estera, per esempio, che, comprensibilmente, il costituente francese ha voluto munire di maggiori garanzie di durevolezza e di continuità. Ripeto, siamo al di fuori della nostra cornice costituzionale, e le mie osservazioni le ho fatte all'interno di questa Pag. 17cornice costituzionale; nel nostro quadro costituzionale mi pare che la proposta di legge in esame sia senz'altro pertinente, con le osservazioni che ho sollevato. Se si vuole discutere di altro, risolvendo un problema sistemico più ampio, allora è un dibattito diverso, al quale sarò lieto di partecipare, laddove vogliate ricevere il mio contributo. Non vorrei trascurare in ultimo i rilievi dell'onorevole Corneli, che in particolare si sofferma sulla questione delle pluricandidature. La questione delle pluricandidature associata alle liste bloccate appesantisce, irrigidisce ancora più il sistema; ci saranno un certo novero di candidati che saranno eletti qualsiasi cosa succeda, cioè sono destinati a entrare in Parlamento. Il sistema delle pluricandidature andrebbe ridimensionato, laddove si intenda perpetuare l'intenzione di escludere il voto di preferenza; però sul voto di preferenza credo che sia opportuno e necessario essere più prudenti. Onorevole Forciniti, sulla questione dell'obbligo di residenza. Io mi sentirei di sconsigliare questa opzione, tenuto presente che c'è un principio impresso «con il fuoco sulla pietra»: il parlamentare rappresenta l'intera Nazione. Allora se si introduce un'ipoteca di questo genere, cioè il radicamento sul territorio (è inutile che ci giriamo intorno), lo si dimostra in modo diverso, con il voto di preferenza. Poi, l'obbligo di residenza potrebbe persino essere censurabile sul piano della legittimità costituzionale (avuto riguardo al principio al quale prima ho fatto riferimento).
PRESIDENTE. Avverto che il professore ha messo a disposizione della Commissione una memoria, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2). Nessun altro chiedendo di intervenire, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14.20.
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