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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Martedì 4 dicembre 2018
Bozza non corretta

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sarti Giulia , Presidente ... 4 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL'INSOLVENZA (Atto del Governo n. 53)

Audizione di Roberto Fontana e Giovanni Battista Nardecchia, rappresentanti del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC).
Sarti Giulia , Presidente ... 4 
Fontana Roberto , rappresentante del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC) ... 4 
Sarti Giulia , Presidente ... 18 
Nardecchia Giovanni Battista , rappresentante del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC) ... 18 
Sarti Giulia , Presidente ... 29 
Zanettin Pierantonio (FI)  ... 29 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 30 
Sarti Giulia , Presidente ... 31 
Fontana Roberto , rappresentante del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC) ... 31 
Sarti Giulia , Presidente ... 34 
Nardecchia Giovanni Battista , rappresentante del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC) ... 34 
Fontana Roberto , rappresentante del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC) ... 34 
Sarti Giulia , Presidente ... 34 
Nardecchia Giovanni Battista , rappresentante del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC) ... 35 
Sarti Giulia , Presidente ... 35 

Audizione di Fabio Cesare e Chiara Valcepina, rappresentanti dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano:
Sarti Giulia , Presidente ... 35 
Cesare Fabio , rappresentante dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano ... 35 
Perantoni Mario (M5S)  ... 36 
Cesare Fabio , rappresentante dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano ... 36 
Sarti Giulia , Presidente ... 37 
Cesare Fabio , rappresentante dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano ... 37 
Valcepina Chiara , rappresentante dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano ... 50 
Sarti Giulia , Presidente ... 52 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 52 
Cesare Fabio , rappresentante dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano ... 52 
Sarti Giulia , Presidente ... 53 

Audizione di Renato Rordorf, presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali e di Paolo Giovanni Demarchi Albengo, componente della medesima Commissione:
Sarti Giulia , Presidente ... 54 
Rordorf Renato , presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 54 
Sarti Giulia , Presidente ... 69 
Demarchi Albengo Paolo Giovanni , componente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 69 
Sarti Giulia , Presidente ... 75 
Perantoni Mario (M5S)  ... 75 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 76 
Sarti Giulia , Presidente ... 78 
Rordorf Renato , presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 78 
Demarchi Albengo Paolo Giovanni , componente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 82 
Rordorf Renato , presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 83 
Demarchi Albengo Paolo Giovanni , componente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 83 
Sarti Giulia , Presidente ... 86 

(La seduta, sospesa alle 13.25, è ripresa alle 15.05) ... 86 

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale del notariato:
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 86 
Sironi Enrico Maria , consigliere nazionale del Consiglio nazionale del notariato ... 87 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 92 
Palazzo Massimo , consigliere nazionale del Consiglio nazionale del notariato ... 92 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 93 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 93 
Sironi Enrico Maria , consigliere nazionale del Consiglio nazionale del notariato ... 94 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 95 

Audizione di Stefano Ambrosini, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro» e di Marco Gambardella, professore di diritto penale presso l'Università di Roma «La Sapienza»:
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 95 
Ambrosini Stefano , professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro» ... 96 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 102 
Gambardella Marco , Professore di diritto penale presso l'Università di Roma «La Sapienza» ... 102 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 109 
Ambrosini Stefano , professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro» ... 109 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 110 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 110 
Ambrosini Stefano , professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro» ... 110 
Perantoni Mario (M5S)  ... 111 
Gambardella Marco , Professore di diritto penale presso l'Università di Roma «La Sapienza» ... 111 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 112 

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, dell'Associazione italiana revisori contabili (ASSIREVI), del Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro e dell'Associazione nazionale revisori contabili (ANREV):
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 112 
Foschi Andrea , consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ... 113 
Ranalli Riccardo , rappresentante del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ... 115 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 117 
Boella Mario , presidente dell'Associazione italiana revisori contabili (ASSIREVI) ... 117 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 122 
Boella Mario , presidente dell'Associazione italiana revisori contabili (Assirevi) ... 122 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 124 
Giorgini Sergio , vice presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro ... 124 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 125 
Perantoni Mario (M5S)  ... 126 
Giorgini Sergio , vice presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro ... 126 
Perantoni Mario (M5S)  ... 126 
Giorgini Sergio , vice presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro ... 126 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 126 
Bordoli Laura Edvige , presidente dell'Associazione nazionale revisori contabili (Anrev) ... 126 
Devalle Alain , consulente ... 128 
Bordoli Laura Edvige , presidente dell'Associazione nazionale revisori contabili (Anrev) ... 132 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 133 

(La seduta, sospesa alle 16.55, è ripresa alle 17.20) ... 133 

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), dell'Unione italiana delle camere di commercio (Unioncamere) e della Confederazione generale dell'agricoltura italiana (Confagricoltura):
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 133 
Torretta Piero , componente del gruppo crisi d'impresa dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) ... 133 
Marchetti Riccardo Augusto , Presidente ... 139 
Tripoli Giuseppe , segretario generale dell'Unione italiana delle camere di commercio (Unioncamere) ... 139 
Sarti Giulia , Presidente ... 146 
Perantoni Mario (M5S)  ... 146 
Sarti Giulia , Presidente ... 147 
Tripoli Giuseppe , segretario generale dell'Unione italiana delle camere di commercio (Unioncamere) ... 147 
Sarti Giulia , Presidente ... 148 
Buso Giorgio , Direttore Area Rapporti con il Parlamento della Confederazione generale dell'agricoltura italiana (Confagricoltura) ... 148 
Sarti Giulia , Presidente ... 152 

Allegato 1: documentazione depositata dai rappresentanti del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC) ... 153 

Allegato 2: documentazione depositata dai rappresentanti dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano ... 189 

Allegato 3: documentazione depositata dal professore Renato Rordorf, presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 199 

Allegato 4: documentazione depositata da Paolo Giovanni Albengo De Marchi, componente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali ... 206 

Allegato 5: documentazione depositata dai rappresentanti del Consiglio nazionale del notariato ... 225 

Allegato 6: documentazione depositata dal professor Stefano Ambrosini ... 231 

Allegato 7: documentazione depositata dal professor Marco Gambardella ... 237 

Allegato 8: documentazione depositata dai rappresentanti dell'Associazione italiana revisori contabili (Assirevi) ... 263 

Allegato 9: documentazione depositata dai rappresentanti dell'Associazione nazionale revisori contabili (Anrev) ... 271 

Allegato 10: documentazione depositata dai rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (Ance) ... 281 

Allegato 11: documentazione depositata dai rappresentanti dell'Unione italiana delle camere di Commercio (Unioncamere) ... 309

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero-Sogno Italia: Misto-MAIE-SI;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 4

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIULIA SARTI

  La seduta comincia alle 10.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Roberto Fontana e Giovanni Battista Nardecchia, rappresentanti del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame dello schema di decreto legislativo recante codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (Atto del Governo n. 53), di Roberto Fontana e Giovanni Battista Nardecchia, rappresentanti del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC), che ringrazio per aver accettato il nostro invito.
  Do la parola al dottor Fontana per una breve relazione, della durata di circa dieci minuti. Lasceremo poi un po’ di spazio per il dibattito.

  ROBERTO FONTANA, rappresentante del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC). Buongiorno, prima di tutto mi presento individualmente, perché il CeSPEC è un'associazione di magistrati che si occupano della materia oggetto del provvedimento al vostro esame. Sono circa duecento magistrati che si occupano di procedure concorsuali e di esecuzioni. Pag. 5
  Ho svolto per quasi vent'anni le funzioni di giudice delegato al tribunale di Monza e al tribunale di Milano e attualmente sono alla Procura della Repubblica di Milano nel dipartimento che si occupa di reati di impresa.
  Ho avuto modo di collaborare alla redazione di questo testo, facendo parte della II Commissione, quella incaricata per la redazione degli schemi.
  Fatta questa breve presentazione, ovviamente rimandiamo al testo che depositiamo perché è molto articolato e quindi ci focalizzeremo solo su alcune questioni più importanti.
  Prima di entrare nel merito di alcune proposte da noi avanzate, voglio fare delle considerazioni che mi sembrano particolarmente importanti, perché toccano temi nodali anche non presenti nello schema di decreto legislativo.
  Probabilmente è difficile rimediare in questa sede, ma voglio fornire comunque un contributo di riflessione, tanto più che so che è al varo una sorta di delega per eventuali correttivi nei diciotto mesi successivi all'adozione del decreto legislativo e quindi vi sarebbe eventualmente la possibilità di introdurre in corsa qualche mutamento, laddove condiviso.
  Il primo tema che in un minuto voglio toccare è quello della specializzazione. La proposta di direttiva europea pone al centro la specializzazione del giudice e, ovviamente, dei professionisti. La specializzazione è una condizione, un presupposto per il buon funzionamento delle procedure.
  La legge delega prevedeva la modifica delle competenze territoriali. Conosco perfettamente le preoccupazioni che questa ipotesi di modifica delle competenze territoriali ha sollevato. In particolare, il timore è quello di una non valorizzazione adeguata dei professionisti collocati sul territorio nei vari circondari dei tribunali. Pag. 6
  Ritengo che si potessero salvaguardare queste competenze introducendo criteri specifici per la nomina di professionisti, imponendo, ad esempio, che il professionista, salvo ragioni eccezionali, debba appartenere, come Ordine, al circondario dove ha sede l'impresa, per evitare di disperdere tutte quelle professionalità che si erano formate, ma questa soluzione sarebbe stata compatibile con l'accorpamento della competenza sul fronte dei tribunali.
  Un tribunale, che non si chiamerà più fallimentare, ma che funziona bene, richiede dei magistrati che si dedichino a tempo pieno alla materia; ed è anche necessario che non solo il singolo magistrato giudice relatore sappia, ma l'intero collegio, perché la realtà dei piccoli uffici è che abbiamo un singolo giudice che part time si occupa della materia, con tutti i limiti che questo comporta, mentre gli altri due componenti del collegio spesso nulla sanno e non sono in grado di attrezzarsi.
  Il problema non sono le cognizioni teoriche, la conoscenza della norma di legge; si richiedono una professionalità a trecentosessanta gradi, che è molto più ampia della conoscenza del testo della legge, e soprattutto – direi ancora di più – una sensibilità alla materia, perché il giudice delle procedure concorsuali è chiamato a compiere delle scelte il cui parametro non è solamente di pura legittimità e quindi di esegesi del testo della norma. Si tratta di scelte che attengono, in qualche modo interagendo, alla dimensione gestionale e liquidatoria e quindi presuppongono, per le procedure di concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione quasi di più che per la procedura prettamente liquidatoria, una vera e propria sensibilità al fenomeno economico.
  Auspico che venga considerato il tema della specializzazione, con le dovute prudenze per evitare che vengano disperse le professionalità dei professionisti sul territorio e che ci sia una Pag. 7concentrazione dei professionisti. Da questo so che sono nate soprattutto le preoccupazioni e le difficoltà di cui si ci si è fatti carico in sede politica, ma era possibile trovare un altro equilibrio e l'Europa ci spinge in questa direzione.
  Questa è la prima considerazione sul tema della specializzazione. Il tema della specializzazione vale, ovviamente, anche per i professionisti. Giustamente è stata fatta la scelta dell'Albo, perché chiunque gira oggi l'Italia si rende conto che ci sono sedi giudiziarie dove si è puntato molto sulla specializzazione e quindi si sceglie un numero circoscritto di professionisti – adeguato, ma circoscritto – evitando gli incarichi a pioggia, perché gli incarichi a pioggia non consentono quell'investimento in termini di formazione professionale e di organizzazione che sono il presupposto per uno svolgimento competente.
  È previsto, quindi, un Albo nazionale con dei requisiti. Un tema molto importante diventa anche quello della formazione dei curatori. Non mi riferisco a coloro che già da tempo svolgono questo ruolo e per i quali comunque giustamente è introdotto il principio degli incontri di formazione periodica, che non possono essere assimilati alla formazione generica dell'iscritto all'Albo. Qui è richiesto un aggiornamento specifico con riferimento al settore per il commissario o per il curatore che si occupa della procedura liquidatoria.
  Ma è soprattutto il percorso formativo di ingresso, iniziale, a dover essere adeguato; per questo abbiamo avanzato una prima proposta. Il testo attuale dello schema di decreto legislativo fa un generico riferimento al decreto ministeriale del 2014: la proposta che abbiamo elaborato, la n. 16 a pagina 20 del documento, in riferimento all'articolo 356, chiede di prevedere espressamente che la formazione iniziale debba durare almeno duecento ore. Pag. 8
  Un altro punto riteniamo fondamentale proprio al fine di assicurare che la formazione non sia astratta o teorica, ma sia finalizzata, in una prospettiva funzionale, al concreto svolgimento delle funzioni: i tribunali non possono disinteressarsi di questa formazione.
  Questi non sono i corsi di specializzazione post-laurea, che sono corsi proiettati in maniera generica allo svolgimento della professione. Questi sono corsi che devono essere specificamente ritagliati sullo svolgimento in concreto delle funzioni di commissario o di curatore. Quindi, riteniamo che si debba prevedere che le università che verranno incaricate dei corsi devono impostare i corsi sulla base di convenzioni con i tribunali, nelle quali si stabiliscono esattamente il contenuto didattico, la metodologia e gli strumenti di verifica, perché altrimenti rischiamo di avere una sorta di scuola di specializzazione post-laurea, che, per carità, è utile, ma non è adeguata rispetto alla prospettiva specifica che qui serve.
  Questo era il secondo punto che volevo toccare, ovvero la formazione dei professionisti.
  Vengo al terzo punto, che forse è ancora più importante, e mi rendo conto che tocca anche le corde della sensibilità politica, perché ci sono stati scostamenti significativi rispetto al testo attuale, che nascono dalla dialettica tra quelli che sono i tecnici d'ausilio presso il Ministero e chi esprime la volontà politica. È un punto delicatissimo.
  La parte più innovativa, quello che consente di dire che questo è un codice della crisi e non è un semplice restyling della legge fallimentare esistente, è quella sulle misure di allerta. Per intenderci, due sono gli elementi di novità. Il resto è un trasloco in un nuovo veicolo normativo.
  Due sono le cose nuove, veramente nuove: le misure di allerta e la disciplina dei gruppi. Il resto è un'opportuna Pag. 9armonizzazione dei testi esistenti. Sulle misure di allerta è stato costruito molto bene, a mio avviso, il binario che riguarda l'estensione degli organi di controllo interni la società e la segnalazione da parte degli organi.
  Strada facendo il testo è migliorato ed è molto importante che si parta dalle norme del codice civile sugli obblighi degli amministratori, perché si sta delineando un sistema completo che parte dagli amministratori, arriva ai sindaci, per giungere, alla fine, all'organismo.
  L'organismo è visto come extrema ratio, perché la prevenzione comincia dentro l'impresa, nella dialettica tra gli amministratori e gli organi sindacali, a partire dall'organizzazione contabile.
  Questa parte è costruita, a mio avviso, molto bene e in questa prospettiva è stato giusto anche allargare la nomina dei sindaci, perché i sindaci sono una funzione di garanzia per i terzi che interloquiscono con la società e quindi le prime a essere tutelate, a mio avviso, sono le imprese, le piccole e medie imprese fornitrici dell'impresa debitrice. Infatti, il sistema bancario per monitorare l'impresa non ha bisogno delle misure di allerta, avendo ben altri strumenti, a cominciare dalla centrale rischi, ma anche dal monitoraggio dei meccanismi del cosiddetto «autoliquidante».
  Chi ha bisogno di protezione esterna sono i piccoli e medi fornitori. Aver introdotto e valorizzato in questo modo la figura del sindaco è una scelta molto, molto importante. I costi sono contenuti nell'ordine di migliaia di euro all'anno, ma sono incomparabilmente minimi a fronte del beneficio di sistema che ne deriva.
  Dove, invece, si è fatto un passo eccessivo, dettato da preoccupazioni di sensibilità politica sulle quali vi invito a Pag. 10riflettere, è sul tema della segnalazione dei creditori pubblici qualificati.
  La segnalazione di creditori pubblici qualificati è il secondo binario delle misure di allerta. Obiettivamente, per arrivare al dunque, si è arrivati ad alzare troppo le soglie. Tenete presente che lo scopo della norma è intercettare tempestivamente gli indizi di crisi, non intercettare le situazioni di manifesta insolvenza. Per carità, meglio intercettare situazioni di manifesta insolvenza che nulla, ma lo scopo, la filosofia della legge è intercettare la crisi.
  È evidente che bisognava trovare soglie di segnalazione che esprimessero una significatività nella prospettiva della crisi. È evidente che c'era una preoccupazione di cui si era fatta anche carico la citata Commissione.
  Indubbiamente, soprattutto negli ultimi quindici anni, un certo ritardo nell'adempimento delle obbligazioni tributarie e previdenziali, di fatto, in qualche modo, pur essendo contra ius, è stato tollerato dal sistema come una forma di aiuto diretto alle imprese.
  Si è detto che non si possono mettere soglie troppo basse perché un cambio di registro troppo repentino potrebbe creare delle fibrillazioni e delle difficoltà eccessive.
  Di questo si era già fatta carico la Commissione. Ora, però, le soglie sono state alzate troppo, perché dire che la segnalazione parte quando ci sono cartelle esattoriali per un milione di euro è un non senso rispetto alla finalità della legge, perché è chiaro che un milione di euro non è l'indice tempestivo della crisi. È una situazione di manifesta, gravissima insolvenza, se non di attività in alcuni casi di tipo delittuoso proclamate ab origine.
  Sull'altro indice, quello dell'IVA, praticamente si deve arrivare a un mancato pagamento di IVA di due anni per far Pag. 11scattare la segnalazione da parte dell'Agenzia delle entrate. Obiettivamente, nell'ottica dell'emersione tempestiva sono soglie troppo alte.
  A differenza degli altri punti, qui noi non abbiamo formulato proposte, perché mi rendo conto che in qualche modo la politica vuol farsi carico di esigenze di mediazione, con gli umori, con le parole d'ordine, rispetto alla logica tecnica che è proprio di questo testo. Lo trovi la politica il punto di mediazione.
  Vi dico che le soglie così alte sono un controsenso rispetto allo scopo, alla filosofia della legge, perché configurano una sterilizzazione di fatto di uno dei binari. L'altro binario comunque rimane integro, però allora sarebbe più serio dire che rinunciamo alla segnalazione da parte dei creditori pubblici qualificati. Tuttavia questo sarebbe un errore. Tenete presente che i creditori più esposti nelle procedure concorsuali sono il fisco e gli enti previdenziali.
  Se voi avete visto gli atti parlamentari in occasione dell'esame del disegno di legge delega e le relative comunicazioni dell'Agenzia delle entrate, il monte dei crediti insinuati è pari a 150 miliardi di euro. Dentro questo fenomeno ci sono situazioni diverse, perché ci sono le imprese che nell'ultimo anno, prima di accedere alla procedura, sono state in difficoltà, ma ci sono anche i soggetti che invece pianificano in maniera sistematica l'evasione e utilizzano anche politiche di dumping e di alterazione del mercato. Rivalutate attentamente questo aspetto.
  Secondo me, le soglie, come erano state individuate negli originari lavori della Commissione, a gennaio 2018, erano più equilibrate. Insomma, dovete fare voi la valutazione tra il consenso della politica sulle parole d'ordine e la ragionevolezza tecnica. Pag. 12
  Passo a un altro punto che voglio rapidamente toccare, e poi, in positivo, dico solo due cose. La legge delega prevedeva un'unica disciplina della crisi di impresa con procedure omogenee, espungendo solo il tema dell'amministrazione straordinaria, anche perché esso era oggetto di un disegno di legge ad hoc, e, per quanto riguarda la liquidazione coatta amministrativa, tenendo ferme le banche e sostanzialmente le assicurazioni. Invece, si prevedeva che gli agricoltori – questa è la legge delega – e le cooperative fossero assoggettate a un'unica procedura.
  L'agricoltore in questo testo è già stato espulso. So che è tema politico all'ordine del giorno, su cui c'è forte fibrillazione, anche l'espulsione delle cooperative. Ho visto i documenti che sono stati depositati presso la Commissione di merito al Senato, e so che c'è molto sull'argomento. So, quindi, che il tema è all'ordine del giorno. Magari qui non lo è, però lo so e quindi lo dico.
  A mio avviso, sarebbe un grave errore e, secondo me, un'eventuale espulsione porrebbe un problema di compatibilità con la legge delega, perché la legge delega, in linea peraltro con gli ordinamenti europei, ha detto che ci deve essere un'unica procedura.
  Tenete presente che altri Paesi non conoscono le procedure amministrative. Ci sono solo le procedure giudiziali per la funzione di terzietà che ha il giudice rispetto ai soggetti coinvolti. Però, può essere anche comprensibile che per le dimensioni e la specificità, per esempio, dell'attività assicurativa o dell'attività bancaria si prevedano delle procedure ad hoc.
  Tuttavia, per l'attività agricola e anche per le cooperative, la cui specificità non è nell'attività che svolgono, ma è nella struttura societaria, non è giustificabile questa scelta. Un conto sono la banca o l'assicurazione, per le problematiche specifiche Pag. 13che le caratterizzano, anche se in altri ordinamenti non c'è la disciplina amministrativa; ma perché una normale cooperativa, che svolge un'attività commerciale nella forma di produzione di lavoro, deve essere sottratta alla disciplina?
  A mio avviso, quindi, la resistenza ad assoggettare le cooperative a un'unica disciplina – a parte il profilo del contrasto con il contenuto della legge delega, perché quando c'è un contrasto con la legge delega i problemi emergono successivamente – non è giustificata rispetto all'attività che svolgono. E devo dire che sussiste un ulteriore problema.
  Il problema qual è, a mio avviso, nel caso della liquidazione coatta amministrativa? Le cooperative sono piccole e medie imprese diffuse su tutto il territorio nazionale. Prima di tutto l'organo di controllo è centralizzato a Roma, a differenza dei singoli tribunali, e quindi l'effettività del controllo sull'operato dei commissari è decisamente più problematica, se non altro perché una sola struttura burocratica, incardinata nel ministero, dovrebbe controllare la gestione di tutte le procedure concorsuali a liquidazione coatta amministrativa sul territorio nazionale.
  L'interlocuzione che i soggetti interessati, i creditori, possono avere con il singolo tribunale, difficilmente, anche in termini di accesso agli atti, può essere ottenuta con una struttura ministeriale centralizzata.
  In terzo luogo, per esperienza, e di questo parlo a ragion veduta, abbiamo potuto constatare che la troppa vicinanza tra il mondo che esprime il commissario e i soggetti interessati dalla procedura non va bene, perché la funzione del commissario non è solo quella liquidatoria.
  Il commissario, come il curatore, ha tra i suoi compiti più qualificanti quello di analizzare le responsabilità e di segnalarle. È invece risaputo che c'è eccessiva vicinanza nel processo Pag. 14tra la nomina dei commissari e l'ambiente in cui si collocano le imprese interessate.
  Ai fini di assicurare l'adeguata indipendenza e capacità operativa del commissario anche in materia di responsabilità, è opportuno che si preveda un'unica procedura anche per la nomina da parte dell'autorità giudiziaria dei commissari delle cooperative.
  Tenete presente che questo problema più generale riguarda le cooperative che fanno parte del mondo associativo, ma considerate che oggi una buona parte delle società che figurano sotto la sigla «cooperative» nulla hanno a che vedere con quel mondo associativo: si tratta di attività di impresa svolte spesso con connotati, per usare un eufemismo, contra ius, che stanno distruggendo interi settori di mercato e che sono tra le cause principali dell'entità dell'evasione fiscale e contributiva.
  Credo che tutti questi elementi dovrebbero portare a non sottovalutare il tema delle cooperative. Si rende opportuno tener fermo il principio della legge delega che le cooperative devono entrare nelle procedure concorsuali.
  Le strutture esistenti, a cominciare da quelle ministeriali che gestiscono questo settore, comprensibilmente, hanno una logica un po’ di autoconservazione e mandano input in questa direzione. Credo che una parte della dinamica si spieghi così. Però, vi invito a una riflessione di sistema sul perché è opportuno tener fermo il principio sancito dalla legge delega.
  Rapidamente, gli ultimi due punti, e qui concludo, riguardano due proposte di modifica. Per il resto, rinviamo al lavoro che abbiamo fatto e di cui parlerà il collega Giovanni Nardecchia. Molte osservazioni riguardano proposte di modifiche articolo per articolo: alcune sono volte proprio a rimediare a degli errori o a rendere più chiaro il testo. Pag. 15
  In materia di esenzioni dai reati di bancarotta ho visto – e questa è fonte di preoccupazione – che l'articolo 324 dello schema di decreto legislativo, che prevede l'esenzione per reati di bancarotta per i pagamenti e le operazioni compiute in esecuzioni di concordato e per i finanziamenti connessi ai concordati e gli accordi di ristrutturazione, non richiama le disposizioni dell'articolo 99. A mio avviso, è un errore materiale aver omesso il richiamo all'articolo 99, relativo ai finanziamenti autorizzati dal giudice prima dell'omologa per assicurare la continuità dell'attività aziendale.
  È prevista l'esenzione per tutto il resto e non per quell'ipotesi. Secondo me, è una svista, perché è contro la ratio dell'istituto. Quindi, propongo che all'articolo 324 si inserisca anche il richiamo all'articolo 99, in aggiunta agli articoli 100 e 101, per dare la copertura completa dell'esenzione, azzerando il rischio penale rispetto a operazioni di finanziamento o comunque a operazioni connesse alla continuità aziendale nei concordati e negli accordi di ristrutturazione.
  Il secondo intervento che attiene al profilo penalistico riguarda l'articolo 341 ed è un po’ più complicato da spiegare.
  Sapete che l'articolo 236 della vigente legge fallimentare estende i reati di bancarotta ai concordati preventivi. La ratio qual è? Il concordato preventivo comporta la falcidia più o meno ampia, più o meno grave, o comunque la compressione del diritto dei creditori. È una procedura concorsuale, è un sistema di regolazione diverso, alternativo, a quello della liquidazione, però ci vuole il presidio penalistico, tanto più che dal 2006 non c'è neanche più il requisito della meritevolezza, non c'è neanche più il requisito del 40 per cento.
  Oggi è possibile che si arrivi a una situazione di dissesto gravissima e si venga ammessi al concordato. Tuttavia, se nella genesi di quel dissesto si individuano condotte gravi di depauperamento Pag. 16 volontario del patrimonio, si risponde dei reati di bancarotta.
  Quando il legislatore nel 2012 o nel 2015, ora non ricordo, ha introdotto gli accordi di ristrutturazione cosiddetti «a efficacia estesa» – ora spiego in due parole di cosa si tratta – ha esteso le norme penali del concordato a questa tipologia di accordi di ristrutturazione.
  Per quale ragione? Gli accordi di ristrutturazione si caratterizzano, in linea generale, per il fatto che non c'è alcuna compressione della sfera del creditore contro la sua volontà, perché l'accordo di ristrutturazione si fonda sull'adesione. Ci sono i creditori che aderiscono, i quali, quindi, volontariamente, subiscono una ristrutturazione del loro credito, una falcidia, e ci sono i creditori che non aderiscono e quindi, non aderendo, hanno diritto al pagamento integrale.
  Con la modifica introdotta, mi pare, nel 2015, si è detto – inizialmente era previsto solo per gli istituti bancari, ma ora è generalizzato – che se il 75 per cento dei creditori appartenenti a una categoria dà il consenso all'accordo di ristrutturazione, anche l'altro 25 per cento, pur non d'accordo, si deve adeguare.
  Si è creata, quindi, una sorta di tertium genus che non è più il vero e proprio accordo di ristrutturazione, ma è una sorta di via di mezzo tra l'accordo di ristrutturazione del concordato preventivo e un concordato preventivo semplificato, dove qualcuno subisce la volontà della maggioranza, ma non è necessario l'intero procedimento della votazione, perché c'è la soglia del 75 per cento. Visto che c'è la compressione, si è estesa a questa ipotesi la disciplina penale della bancarotta e quindi, per analogia, al concordato.
  Nel testo che è stato licenziato dal Consiglio dei ministri si è previsto che, se nell'accordo di ristrutturazione è prevista la falcidia dei crediti erariali e l'Agenzia delle entrate non dà il Pag. 17consenso, è possibile che all'Agenzia stessa vengano comunque imposti di fatto gli effetti dell'accordo di ristrutturazione. C'è una sorta di cosiddetto «cram-down».
  Ho saputo che il tema è stato sollevato dalla stessa Agenzia delle entrate, perché quest'ultima aveva la preoccupazione che troppo spesso, soprattutto nelle sedi periferiche, i funzionari responsabili dei procedimenti assumessero un atteggiamento iper-prudenziale e, quindi, non dessero l'adesione a proposte di questo tipo, benché ci fosse la stretta convenienza.
  In questo modo arriviamo a un accordo di ristrutturazione che l'Agenzia delle entrate, anche contro la sua volontà, può subire, quindi siamo sostanzialmente in presenza di un accordo di strutturazione a efficacia estesa.
  La ratio che ha imposto l'estensione della disciplina penale già prevista per il concordato agli accordi a efficacia estesa, a mio avviso, impone l'estensione – e questa è la proposta che faccio – della stessa tutela penale a questa specifica ipotesi di accordo di ristrutturazione, in cui l'Agenzia delle entrate subisce la falcidia indipendentemente dalla sua volontà.
  Se non si fa questo, c'è il rischio di condotte gravi in frode al fisco. Vi faccio un solo esempio e poi chiudo. Ipotizziamo una società costruita per fare attività di cartiera, che accumuli debiti con l'erario per 10 milioni di euro. Ovviamente ha un attivo pari a zero, allora propone un accordo di ristrutturazione dove qualcuno mette 300.000 euro. È chiaro che in un'ottica di stretta comparazione 300.000 euro equivalgono a niente, quindi il giudice con il crawn-down sarebbe tenuto ad ammettere l'accordo di ristrutturazione e il soggetto in questo modo eviterebbe il rischio penale pesantissimo che invece ci sarebbe in caso di concordato preventivo di penale. Infatti, come voi sapete, quando si fanno operazioni come quelle delle cartiere, oltre ai reati fiscali, scatta il reato di cui all'articolo 223, comma Pag. 182, numero 2 (fallimento come conseguenza di operazioni dolose) della legge fallimentare e la pena è da tre a dieci anni. Si rischia di aprire un varco pericoloso.
  Pertanto, io propongo di dire: «Benissimo, tu puoi proporre l'accordo di ristrutturazione, lo puoi imporre all'Agenzia delle entrate anche contro la sua volontà, ma questo non ti esime dalla responsabilità penale se tu hai fatto operazioni reiterate negli anni in frode al fisco, per cui hai generato il dissesto attraverso queste condotte».
  Qui esaurisco la mia illustrazione, perché, oltre a ciò di cui parlerà Giovanni Nardecchia, gli altri punti della relazione da noi fornita non richiedono particolare illustrazione e spiegazione.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Fontana. Do la parola al dottor Giovanni Battista Nardecchia.

  GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA, rappresentante del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC). I temi che vorrei affrontare riguardano alcune questioni di fondo della legge fallimentare e altre tematiche più interpretative ma molto importanti. Infatti, non dimentichiamo che uno dei princìpi della legge delega, che è a mio avviso uno dei princìpi fondamentali, è quello di delegare il Governo a chiarire le questioni giurisprudenziali incerte, che in questi anni hanno indubbiamente rallentato l'efficacia di tutte le procedure, in particolare quelle del concordato preventivo. Al di là delle incertezze legislative e dei continui mutamenti del pendolo che ha oscillato dal 2005 al 2018, è chiaro che l'incertezza di interpretazione è stata una delle cause che hanno reso più difficile per tutti gli operatori del diritto un utilizzo efficace di queste procedure concorsuali.
  Il primo tema che vorrei trattare, che è un tema di fondo, è quello relativo al concordato preventivo. Nella legge delega era Pag. 19chiara l'opzione, in linea con i principi costituzionali, in base alla quale tutti gli altri valori, cioè i valori della conservazione dell'azienda e quant'altro, fossero soltanto degli «strumenti mezzo», rispetto allo «strumento fine», che era comunque la tutela dei creditori. Tant'è vero che uno dei princìpi generali era quello per cui si dava la priorità alla trattazione di procedure che comportassero la conservazione dei valori di azienda, solo in quanto queste procedure fossero comunque strumentali alla miglior soddisfazione dei creditori.
  Io credo che con il passaggio ministeriale si siano creati un po’ di equivoci lessicali che forse è il caso di chiarire, per evitare che in qualche modo la natura e la struttura del concordato preventivo con continuità aziendale possano prestarsi a letture che non sembrano né in linea con la legge delega né in linea con quello che è stato l'impianto del provvidemento.
  Già nella stessa norma-manifesto dello schema di decreto legislativo, che è l'articolo 84, noi crediamo sia opportuno chiarire che il concordato preventivo non realizza semplicemente il soddisfacimento dei creditori, ma realizza il miglior soddisfacimento dei creditori, perché spesso in poche parole si esprimono differenze di fondo che possono determinare interpretazioni diverse rispetto alla volontà del legislatore.
  Il miglior soddisfacimento dei creditori lo ritroviamo, ad esempio, con riguardo ai gruppi e lo ritroviamo, ad esempio, nel piano di concordato in continuità aziendale, ma il miglior soddisfacimento dei creditori dovrebbe sicuramente, a nostro avviso, essere presente nella norma che dà il senso del concordato preventivo, proprio perché da una parte ciò appare in linea con la legge delega, che non aveva dubbi sul fatto che vi fosse comunque una scala di valori, anche dettata da princìpi costituzionali, in cima alla quale vi è la miglior soddisfazione dei creditori, e dall'altra occorre evitare che l'assenza in questa Pag. 20norma generale e la presenza in altre norme possa far pensare che in alcuni casi sia necessaria questa miglior soddisfazione e in altri casi, addirittura nella norma generale, questa miglior soddisfazione non sia un elemento presente.
  Dunque, riteniamo che questa piccolissima modifica, che può sembrare una quisquiglia, del primo comma dell'articolo 84 sia, invece, una norma determinante, proprio per il valore di norma-manifesto che quest'articolo 84 assume.
  Parimenti rilevanti ci paiono le problematiche relative al passaggio ministeriale con riguardo al concordato in continuità. Come ben sappiamo, il passaggio ha comportato, sia con riferimento al concordato con continuità indiretta che con riferimento al concordato con continuità diretta, l'introduzione di ulteriori elementi rispetto a quelli precedentemente fissati dalla Commissione Rordorf, relativi appunto alla sussistenza di lavoratori in forza in un determinato periodo.
  Pur non discutendo tale soluzione, perché si tratta di scelte politiche che ovviamente sono prioritarie e vanno per questo pienamente rispettate, il problema che si pone con la formulazione adottata è davvero grande in relazione alla concreta attuazione di queste norme. Segnalo prima fra tutti, ad esempio, la totale assenza di un qualsiasi controllo in relazione all'esecuzione del concordato.
  Poniamo l'ipotesi, ad esempio, del concordato con continuità indiretta in cui vi è l'obbligo, ora portato al 50 per cento, di assunzione o riassunzione di lavoratori precedentemente in forza. Prima di tutto, con riguardo alla dizione scelta, vista l'attuale destrutturazione totale dei rapporti di lavoro, è ben difficile chiarire cosa intendiamo noi per lavoratori in forza, non essendo più unico il contratto di lavoro. E soprattutto non vi è alcun elemento che possa in qualche modo garantire che ciò avvenga negli anni successivi. Pag. 21
  Cosa voglio dire? La presenza di questi lavoratori in forza al momento dell'omologa potrebbe venir meno successivamente, senza che ciò determini alcunché, perché potrebbe avvenire benissimo – e sarebbe anzi facile – una liberazione di tutti o parte di questi lavoratori, un adempimento perfetto del concordato e, quindi, un'impossibilità di risoluzione del concordato stesso perché il debitore, anzi, sgravato di costi, potrebbe più facilmente adempiere al concordato, senza che ciò comporti alcun problema. Questa è una delle questioni a nostro avviso rilevanti.
  Ben più rilevante è la questione del concordato con continuità indiretta, nell'ipotesi di concordato misto. La legge delega su questo era chiarissima. Quali sono i concordati misti? Sono sostanzialmente un po’ tutti, cioè quei concordati in cui c'è una parte di continuità, quindi una parte di prosecuzione di attività, e una parte di dismissione di altri beni e lavori che non sono collegati alla continuità. Pertanto, si era sempre posto il problema di come qualificare questi concordati, se come concordati con continuità o come concordati liquidatori.
  Il legislatore della legge delega ha fatto una scelta precisa: il criterio della prevalenza, ritenendo che debbano essere considerati concordati con continuità aziendale quelli che soddisfano in misura prevalente i creditori con il risultato della continuità, che può essere la continuità dei flussi aziendali o può essere la cessione d'azienda, quindi la scelta del legislatore era stata chiara in questi termini.
  Qui, invece, il legislatore ha in qualche modo introdotto un elemento ulteriore che ci pare in netto contrasto con la legge delega, perché nella continuità diretta si dice che sempre il concordato deve ritenersi in continuità quando i flussi derivano dall'apporto di lavoratori che rappresentino almeno il 50 per cento di quelli in forza all'epoca del deposito. Pag. 22
  A questo proposito ci permettiamo di dire che la formulazione adottata nello schema appare davvero difforme dalla scelta del legislatore della legge delega, perché noi possiamo avere un concordato in continuità in cui i flussi sono prodotti da quel numero di lavoratori, ma che soddisfano, ad esempio, in minima parte, per il 5 per cento, i creditori concorsuali, perché il 95 per cento della soddisfazione viene dalla cessione di altri beni. Pertanto, noi avremmo il risultato di poter aggirare le norme liquidatorie, soprattutto in relazione alla percentuale del 20 per cento dei creditori chirografari, in un concordato in cui la soddisfazione dei creditori arriva per larghissima parte da beni che non c'entrano nulla con la continuità aziendale, solo perché i flussi derivano da quel numero di lavoratori.
  Questo, a nostro avviso, è un punto delicatissimo, perché sostanzialmente qui, oltre a sovvertirsi completamente il principio della legge delega, vi è in qualche modo un'alterazione di fondo del concordato. È quello che dicevo sui princìpi della soddisfazione dei creditori, perché nell'esempio che vi ho fatto si arriverebbe sostanzialmente ad autorizzare un pagamento anche minimale – perché per il concordato con continuità aziendale non c'è alcuna percentuale di creditori chirografari – pur se la soddisfazione dei creditori derivi in massima parte da proventi che non hanno nulla a che fare con l'attività d'impresa.
  Pertanto, noi riteniamo che questo sia un punto nodale, che attiene davvero allo scopo della procedura, perché la norma in questione rappresenta lo snodo decisivo, culturale della procedura di concordato preventivo. Se riteniamo che debba essere altro, se riteniamo che debba trasformarsi in una sorta di amministrazione straordinaria, allora dobbiamo dirlo, ma in quel caso ci sono precise leggi e precise direttive che autorizzano scelte che possono non essere in linea con gli interessi dei creditori. Tuttavia, a legislazione invariata, con la legge delega Pag. 23attuale, noi crediamo che sia opportuno chiarire questi limitati profili che tuttavia riteniamo determinanti per mantenere il concordato preventivo nel solco del valore primario, che è la soddisfazione dei creditori. Altrimenti queste modifiche, soprattutto con riguardo alla continuità diretta, rendono davvero il fine ultimo del concordato sostanzialmente servente rispetto agli altri, perché a conclusione della pratica la soddisfazione dei creditori viene a essere assoggettata all'altro profilo introdotto.
  La nostra proposta è quella, da una parte, di introdurre nel primo comma dell'articolo 84 il riferimento alla miglior soddisfazione e, dall'altra, di rendere il nuovo requisito come ulteriore, nel senso di ritenere che, oltre alla soddisfazione prevalente dei creditori, vi sia anche il criterio del flusso. Comunque, deve rimanere come criterio base quello della legge delega, ovvero il fatto che i creditori siano soddisfatti in via prevalente dalla continuità e che quindi la soddisfazione arrivi per via prevalente dalla continuità, e come elemento ulteriore il requisito che la continuità derivi dal lavoro di almeno il 50 per cento dei lavoratori.
  Noi riteniamo che in questo modo si contemperino tutte e due le esigenze: l'esigenza della tutela giusta dei posti di lavoro e l'esigenza di non snaturare completamente il concordato preventivo, mantenendolo nel solco della tutela della massima soddisfazione dei creditori, senza introdurre un criterio esclusivo come accade oggi nello schema: si dice «sempre», per cui sostanzialmente si va a eludere la regola generale, perché dicendo «sempre» si esclude il principio della prevalenza. Noi riteniamo che questa possa essere una giusta mediazione fra le giuste esigenze di tutela dei lavoratori e, quindi, del flusso derivante da quel numero di lavoratori e l'esigenza di mantenere inalterata la tutela dei creditori. Pag. 24
  Un secondo elemento che vorrei portare alla vostra attenzione è quello relativo al procedimento. E mi riferisco all'articolo 41. Come tutti noi ben sappiamo, il procedimento punta sulle misure di allerta e di composizione e tende in qualche modo all'emersione della crisi d'impresa e alla velocizzazione dell'emersione e della decisione sulla crisi d'impresa. Tant'è vero che per questa ragione si era introdotto nella Commissione Rordorf un meccanismo di sbarramento che in qualche modo, una volta iniziata l'istanza di liquidazione giudiziale, desse al debitore un termine ultimo per poter proporre una domanda alternativa.
  Quindi oggi si dovrebbe arrivare alla liquidazione dopo aver già esperito l'allerta e dopo aver già esperito la composizione, dopo che il debitore è stato ben allertato della sua situazione di crisi. L'idea del codice è quella dell'anticipazione, quindi alla liquidazione si dovrebbe arrivare come estrema ratio dopo che siano stati esperiti tutti i tentativi precedenti.
  Dunque, consentire al debitore di attendere fino alla decisione finale per poter proporre una procedura che ha avuto tempo di proporre per mesi ci pare in qualche modo una situazione non consona ai princìpi generali della legge, che sono quelli di velocizzazione e tempestiva emersione. Non si può a nostro avviso lasciare al debitore fino all'ultimo momento, magari fino a un giorno prima della decisione del tribunale, quella carta: ha avuto tempo, è stato allertato, ha avuto la composizione, non ha fatto nulla ed è stato convocato per la liquidazione. A quel punto riteniamo che sia giusto porre un limite. Prima della prima udienza, quando si costituisce, in quel caso deve depositare una domanda di concordato. Se non lo fa, a quel punto ha avuto tutte le occasioni di questo mondo e riteniamo che debbano prevalere i criteri obbligatori. Pag. 25
  Questo chiarisce moltissimo anche tutte le questioni che oggi sorgono sul cosiddetto «abuso dello strumento», perché in quel caso all'ultimo momento si dice «non lo potevi fare, perché hai fatto un finto concordato ed è abusivo», con tutti i problemi di interpretazione e quant'altro. Questa norma ci sembra molto chiara e limpida: «Quello è il termine, se non l'hai fatto prima, a quel punto non puoi più farlo».
  Un terzo profilo che riteniamo importante è quello relativo alle procedure di sovraindebitamento, che già oggi sono in continuo aumento e che temo lo saranno, ahimè, sempre di più. In questo caso si tratta di interventi che sembrano chirurgici e che, però, a nostro avviso sono molto importanti.
  In primo luogo, in relazione alla procedura del sovraindebitamento del consumatore (articolo 68), a nostro avviso sembra una svista del legislatore il fatto che l'organismo di composizione delle crisi (OCC) nella sua relazione non debba tener conto della convenienza del piano rispetto all'alternativa liquidatoria. A nostro avviso questa sembra chiaramente una svista per due ragioni di fondo. Mi riferisco al punto 5 della nostra documentazione. La prima è che, pur non essendoci un vuoto, questi creditori si possono opporre per la convenienza. È previsto un meccanismo di opposizione dei creditori a questo piano sul profilo della convenienza, quindi sembra davvero singolare ritenere che i creditori possano opporsi sulla convenienza senza che vi sia un organo pubblico deputato che dica loro se quel piano è conveniente o meno.
  Ancor più determinante secondo noi con riferimento al fatto che si tratti di una svista è che nel nuovo assetto la domanda del consumatore può essere presentata dopo che vi è stata un'istanza di liquidazione controllata da parte dei creditori o del pubblico ministero. Infatti, una delle grandi novità della riforma è che il sovraindebitamento per liquidazione può essere Pag. 26oggi richiesto non soltanto dal debitore, ma anche da terzi. Poiché a fronte di questa istanza di terzi il debitore può presentare una domanda del consumatore, è davvero ingiustificabile il fatto che in quella veste, essendo già aperta una procedura liquidatoria, io non possa sapere se quella procedura liquidatoria già proposta sia o meno più conveniente rispetto a quella del consumatore.
  Sempre sul sovraindebitamento ancor più importanti sono a nostro avviso i profili che attengono all'esecuzione, perché il legislatore, a nostro avviso, ha un po’ dimenticato la fase dell'esecuzione, che è una fase fondamentale. Qual è l'ipotesi classica della domanda del consumatore? È che le domande si presentino – e questo lo sappiamo – quando le esecuzioni sono già iniziate e spesso sono in fase avanzata e, quindi, in qualche modo, si tratta di uno strumento per evitare l'esecuzione individuale. Questo, a nostro avviso, determina la necessità che la fase di liquidazione di queste procedure sia in qualche modo determinata e non sia rimessa completamente al debitore.
  Poniamo il caso di un'esecuzione individuale su un conto corrente, ma anche su un immobile, in cui ci sia l'esecuzione e la vendita. Il debitore giustamente presenta la domanda di sovraindebitamento, il giudice la ritiene meritevole, apre la procedura e dichiara la sospensione di tutte le procedure esecutive, quindi la liquidazione in quel caso viene rimessa nell'ambito della procedura.
  Noi riteniamo che non sia possibile che questa procedura sia del tutto lasciata in mano al debitore, ancor di più oggi perché, come tutti sappiamo, ci sono aste telematiche, procedure competitive e quant'altro; dunque, a nostro avviso è impensabile che questa liquidazione possa essere rimessa nelle mani del debitore. È un procedimento che in qualche modo rischia di Pag. 27generare, oltre a problemi interpretativi senza fine, anche una condizione generale di grave turbamento.
  Non pensiamo solo ai grandi creditori, spesso sono procedure fatte da condomini, piccoli fornitori e quant'altro, per cui rischia di diventare una situazione ingestibile, in cui anche il miglior debitore di questo mondo non sarebbe tecnicamente in grado di effettuare una procedura, oltre al fatto di rimettere totalmente nelle sue mani – pensiamo al conto corrente – la gestione di tutti i beni.
  Senza pensar male, anche immaginando il migliore dei mondi possibili, ci sono problemi tecnici enormi. Nel mondo normale ci sarebbero problemi ben più gravi nella gran parte dei casi, e nella liquidazione ugualmente. Lì è affidata al liquidatore, ma nulla viene detto in relazione a come si svolga la liquidazione.
  La proposta che facciamo con riferimento al sovraindebitamento del consumatore è che la liquidazione venga fatta a cura dell'OCC, che è un soggetto professionalmente organizzato ed è un soggetto che in qualche modo conosce tutta la situazione avendo redatto il piano. Ciò non aumenterebbe di molto i costi della procedura, essendo lo stesso soggetto che viene retribuito e, quindi, vi sarebbe al massimo un aumento di percentuale, ma non una duplicazione di costi. È un soggetto che garantirebbe, da una parte, la professionalità in relazione a queste procedure, che comunque sono procedure concorsuali e, quindi, come tali sono assoggettate ai princìpi delle procedure competitive e delle aste telematiche – tutte procedure particolarmente complesse, che possono essere svolte solo da un soggetto professionalmente attrezzato – e, d'altra parte, eviterebbero facili rischi di gestione personalistica da parte di soggetti che riavrebbero in mano tutta la questione. Pag. 28
  Ugualmente nella liquidazione riteniamo che questo sia molto importante, perché lì a nostro avviso c'è un errore: da una parte, non c'è proprio il richiamo alle modalità di vendita, pur essendo una liquidazione e, dall'altra, c'è una norma incomprensibile relativa al fatto che il giudice determina la purgazione, quindi la cancellazione di ipoteche e pignoramenti, solo al momento della chiusura. E quello non può andare.
  Poniamo il caso che io vendo oggi. Devo aspettare la chiusura della procedura per poter cancellare l'ipoteca. Chi è che va a comprarti un bene se sa che la cancellazione dell'ipoteca o del pignoramento si può fare soltanto con la chiusura? Noi riteniamo che questo sia assolutamente da modificare.
  Sembrano aspetti meno importanti, ma, come vi dicevo, il principio della legge delega era quello di chiarire i dubbi interpretativi. Se si devono chiarire i dubbi interpretativi, riteniamo che sia ancora più importante che la nuova normativa non ne ponga di nuovi, per cui da quel punto di vista riteniamo davvero molto opportuno che vi siano degli aggiustamenti.
  Cito un caso per tutti: le misure protettive. È stato inspiegabilmente eliminato il divieto di prendere tali misure in caso di prelazione, possibilità che è sempre esistita dal 1942 e mai vi sono stati dubbi al riguardo, per cui questa eliminazione potrebbe far pensare che fra le misure protettive non ci sia invece il divieto di prelazioni, ipoteche e quant'altro.
  Nell'ambito del concordato preventivo è stato eliminato il riferimento alla possibilità che il debitore possa compiere atti di ordinaria amministrazione. Viene scritto soltanto «straordinarie», ma perché non chiarire che può fare ordinaria amministrazione?
  Scusate se su questi temi mi accaloro, ma sono questi gli aspetti che molto hanno rovinato anche il concordato preventivo: Pag. 29 mi riferisco al fatto che su queste questioni spesso si è lasciata una libertà interpretativa che poi ha determinato molti dubbi e molte incertezze. Pertanto, riteniamo che questi cinque-sei punti che abbiamo elencato siano veramente importanti, perché, pur se apparentemente non discussi, sono fondamentali per evitare futuri dubbi interpretativi. Grazie, presidente, per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a voi per l'estrema chiarezza, nonostante sia una materia decisamente specifica e importante.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PIERANTONIO ZANETTIN. Vorrei porre una domanda al dottor Fontana. La porrò anche agli auditi che interverranno successivamente. Sul tema dell'esdebitamento o del sovraindebitamento, lei non ritiene che, oltre alla procedura di liquidazione coatta amministrativa nei confronti delle cooperative, che sono già ricomprese – lei ne ha già parlato –, questo tipo di procedura possa interessare anche gli IPAB (Istituti pubblici di assistenza e beneficenza)?
  So che è un tema un po’ fuori dal recinto normativo del quale stiamo parlando, però, anche per la mia esperienza professionale, credo che potrebbe essere utile – e vorrei avere da lei un parere a tale proposito – che queste procedure possano essere applicate anche a realtà di questo tipo, che nel territorio nazionale in taluni casi si trovano in condizioni di difficoltà. La possibilità di ottenere l'esdebitamento, quindi la prosecuzione di attività che hanno una valenza sociale anche molto importante, a mio giudizio, anche per le esperienze maturate, dovrebbe essere favorita dalla legislazione e non vietata come è avvenuto fino a oggi. Pag. 30
  La regione Veneto ha fatto già qualcosa in questa materia, però credo che il legislatore nazionale potrebbe fare di più e meglio.

  ALFREDO BAZOLI. Ringrazio il dottor Fontana e il dottor Nardecchia per il contributo. Ovviamente la Commissione qui è chiamata a dare un parere la Commissione sullo schema di decreto legislativo, ma il lavoro di affinamento del testo sarà molto lungo, perché credo che opportunamente sia stata prevista una vacatio legis molto lunga. Adesso è in discussione la proposta di integrare un aspetto di cui noi ci eravamo dimenticati obiettivamente, cioè la possibilità per il Governo di emanare decreti correttivi del decreto iniziale, quindi credo che questo consentirà di fare le modifiche, molte delle quali opportune, che voi avete già sottolineato. Non saremo noi a occuparci di questo, ma sarà il Governo successivamente, però noi come Commissione penso che possiamo dare un contributo di riflessione, del quale il Governo può magari già tener conto in sede di emanazione definitiva.
  Tra le cose che sono state dette ce n'è una in particolare che noi sappiamo – perché è una vexata quaestio – costituire un po’ un oggetto di discussione con il mondo delle imprese e anche dei professionisti – e so che la questione tornerà, perché ho avuto già qualche avvisaglia – che riguarda il tema dell'estensione dell'obbligatorietà dei sindaci per le società.
  La questione su cui ancora oggi Confindustria e, quindi, le imprese hanno qualche riserva riguarda i criteri con i quali è prevista l'estensione dell'obbligo, perché si dice che sono criteri troppo larghi, sono tre condizioni all'avverarsi di ciascuna delle quali scatta l'obbligo. Io so che Confindustria chiederà che, invece, si stringano un po’ le maglie, cioè che si riduca questa estensione, perché da parte del mondo delle imprese c'è la preoccupazione che questa estensione comporti l'obbligo di Pag. 31organo di controllo per imprese piccole, di natura familiare, con costi aggiuntivi. Questa è una spina nel fianco del mondo di Confindustria e del mondo economico, che peraltro mi pare sia anche abbastanza condivisa da una fetta di professionisti che sarebbero interessati dalla cosa, perché io sento qualche preoccupazione anche da parte loro sulla questione.
  Io so più o meno qual è la vostra opinione, però forse sarebbe opportuno che ce la riferiste, così sappiamo esattamente anche qual è la vostra valutazione in merito.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per una breve replica.

  ROBERTO FONTANA, rappresentante del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC). Per quanto riguarda il tema dell'estensione dell'istituto dell'esdebitazione, come impostazione generale sono d'accordo, soprattutto con riferimento a enti che hanno quella specifica finalità, che è sicuramente meritevole di una particolare attenzione. Tecnicamente non credo che sia possibile, considerato il perimetro della legge delega, inserire la misura in questo contesto, forse neanche con il correttivo, perché siamo al di fuori dell'oggetto di questa legge delega. Quindi il tema può essere valorizzato come un input per un intervento legislativo ad hoc, che peraltro condivido. Vista, infatti, la ratio dell'istituto, che è quella di consentire alle persone fisiche e anche alle piccole imprese di riacquistare la propria libertà rispetto ad ogni condizionamento economico per una valutazione prognostica positiva sulla loro utilità, a maggior ragione una ratio di questo tipo può valere per istituti con la citata finalità. In questo contesto, però, la cosa non può essere valorizzata che come un input a un intervento legislativo specifico.
  Per quanto riguarda, invece, le misure d'allerta dei sindaci, innanzitutto bisogna dare atto che il tema è riuscito a prendere Pag. 32piede. Se ne parlava già nella Commissione Trevisanato nel 2003, ma allora venne alzato un muro di resistenza, che a mio avviso era molto ideologico, molto astratto. Oggi, invece, stiamo discutendo di come disciplinarle al meglio, ma in maniera serena, senza la pretesa di caricarle di una visione del mondo, anche per il contributo importante che in questa direzione ha dato Confindustria, che si è messa al tavolo, ha discusso nel merito su quale potesse essere la soluzione migliore e ha fatto un'apertura all'idea di inserire nella gestione dell'impresa un principio ulteriore di verifica di adeguatezza e di monitoraggio, quindi preventiva, a tutela sia del bene impresa, ma degli altri soggetti che interagiscono con l'impresa, che sono anche e anzitutto gli altri imprenditori, e ovviamente non soltanto gli imprenditori.
  Colgo l'occasione per dire che l'atteggiamento di Confindustria è stato uno degli elementi che ha contribuito a far discutere serenamente sulle misure d'allerta, come non si era riusciti a fare nel periodo 2003-2005, per cui vennero escluse.
  Detto questo, credo che non ci sia bisogno di restringere il perimetro, che anzi io allargherei ancora.
  L'altro giorno ho avuto modo di parlare con il dottor Foschi, che era nella Commissione di riforma in rappresentanza del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti; gli ho chiesto: per un'impresa piccola, dal giro di affari di 2 milioni di euro, quanto può essere il costo del sindaco unico in un anno? Mi ha detto: sarà sui 3-4.000 euro all'anno, tant'è che questo valore è stato ripreso poi nell'articolo del Sole 24 Ore. Io mi sono fatto da tramite. Ovviamente, non potevo dirgli quanto costava, visto che era emerso il tema. Ora, è evidente che, se l'impresa invece ha un giro di affari di 100 milioni di euro, anche l'attività è più complessa. Pag. 33
  Stiamo parlando, quindi, di un costo obiettivamente contenuto, nell'ordine delle migliaia di euro, di alcune migliaia di euro, però il beneficio che apporta al sistema è enorme. Quando mi interfaccio anche come fornitore con un'impresa e questa mi chiede di farle credito, sono tranquillo, perché so che dentro quell'impresa c'è un soggetto qualificato tecnicamente, che ha verificato l'idoneità dell'impianto contabile dell'impresa ai fini dell'emersione dei flussi e interagisce quotidianamente con gli amministratori per non trovarsi nella posizione antipatica di dover fare la segnalazione.
  L'efficacia del sindaco, quindi, non la vedo tanto come segnalatore. La segnalazione è la chiusura. La vedo come il veicolo per portare una sensibilità di tipo preventivo, di gestione in funzione di prevenzione della crisi, e quindi si tratta di sensibilità e saperi da trasmettere anche agli amministratori. Sappiamo, infatti, che gli amministratori sono bravissimi nella fisiologica attività imprenditoriale, ma spesso, quando cominciano a profilarsi difficoltà nella gestione di impresa, spesso c'è una perdita di razionalità, un obnubilamento di lucidità, e c'è la tendenza a posticipare sperando che il decorrere dal tempo generi la soluzione salvifica, e invece normalmente determina un aggravamento del dissesto.
  L'inserimento organico di una figura come quella del sindaco ha una funzione positiva per l'impresa e ha una funzione positiva a tutela dei terzi che interagiscono con l'impresa. Il vero requisito, il più importante, secondo me, è quello dei 2 milioni di euro di fatturato. Sì, qualcuno ha detto: l'immobiliare di godimento statica a cosa serve? In realtà, ovviamente interessa l'impresa che opera, non la società di godimento con l'immobile statico. Introdurre, per esempio, due dei tre requisiti depotenzierebbe fortemente il sistema: l'impresa con 2 milioni di euro di fatturato non ha necessariamente un attivo di 2 Pag. 34milioni di euro, perché può avere una circolarità molto rapida. Un'impresa potrebbe avere un attivo molto piccolo e un fatturato di 10 milioni di euro.
  Sicuramente, va presidiato il livello di 2 milioni di euro di fatturato, e questo va preservato nella sua autonomia. A volte, può trattarsi di una piccola officina con dieci dipendenti. Al limite, si discuta sugli altri due, ma non sul primo requisito, che deve essere preservato. Se un'impresa ha più di 2 milioni di fatturato, ciò determina comunque un'esposizione anche in termini debitori, e quindi di credito verso gli altri, fisiologicamente tale per cui val la pena sostenere un costo di qualche migliaio di euro per avere un presidio tecnico qualificato all'interno dell'impresa.

  PRESIDENTE. Vuole aggiungere qualcosa, dottor Nardecchia?

  GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA, rappresentante del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC). Su questo sicuramente no.
  Riferendomi a ciò che ha detto l'onorevole Bazoli, su alcune di queste nostre proposte, se riterrete di condividerle, vi chiediamo sostegno. Alcune sono importanti anche come impegno nei confronti del Governo, se riterrete di condividerle. Riteniamo davvero che alcune, soprattutto quella del concordato, siano un po’ norme manifesto che danno il senso anche della riforma della procedura.

  ROBERTO FONTANA, rappresentante del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC). Possiamo anche un po’ arricchire il nostro contributo scrivendo qualcosa in più, se ce lo chiedete.

  PRESIDENTE. Resta ferma la possibilità di integrare anche fino alla prossima settimana.

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  GIOVANNI BATTISTA NARDECCHIA, rappresentante del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC). Siamo a disposizione per qualsiasi ulteriore precisazione.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Autorizzo la pubblicazione della documentazione depositata dai rappresentanti del Centro studi sulle procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC) in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di Fabio Cesare e Chiara Valcepina, rappresentanti dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame dello schema di decreto legislativo recante codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (Atto del Governo n. 53) di Fabio Cesare e Chiara Valcepina, rappresentanti dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano.
  Lascerei la parola agli auditi per una breve relazione di dieci minuti, un quarto d'ora, cui seguiranno la eventuali domande da parte dei membri della Commissione, se vorranno avere qualche approfondimento in più.

  FABIO CESARE, rappresentante dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano. Buongiorno. Rappresentiamo l'Ordine degli avvocati di Milano, che è stato il primo organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento istituito in una grande città. Ci teniamo a portare una testimonianza di fallimentaristi e, soprattutto, di persone che sul campo si occupano di fenomeni soltanto Pag. 36apparentemente minori, che toccano la vita di molte persone e, per la verità, non sono limitati solo all'insolvenza delle persone fisiche, ma anche all'insolvenza delle start-up innovative, delle imprese agricole. Si tratta, quindi, di un fenomeno che secondo il nostro modo di vedere non è stato considerato con la dovuta attenzione nel codice che è all'esame della Camera dei deputati.
  Per quanto a nostra disposizione, faremo brevi commenti, di cui poi lasceremo una traccia scritta, sulle misure d'allerta e sul concordato preventivo, e poi ci concentreremo sul sovraindebitamento.
  La prima osservazione riguarda il rinvio contenuto all'articolo 17, comma 7, dell'attuale bozza. Per chi non abbia avuto il tempo di focalizzare l'attenzione sul meccanismo dell'allerta, mi permetterete di ricordare che esistono due tipologie di filtri per le misure di allerta: gli Ocri (organismi di composizione delle crisi d'impresa) e gli OCC (organismi per la composizione delle crisi da sovraindebitamento). Gli Ocri sono costituiti presso le camere di commercio e sono composti da tre soggetti, nominati uno dalla camera di commercio stessa, l'altro dal tribunale, e l'ultimo, in funzione di difesa, dalle associazioni di categoria, in modo che siano rappresentate sia professionalità di ordine bilancistico, da revisore, sia funzionalità legali sia quelle più manageriali e imprenditoriali delle associazioni di categoria, che hanno anche una funzione di difesa dell'imprenditore che viene audito in condizioni di sicurezza.
  Il richiamo contenuto nell'articolo 17, comma 7, è all'intera norma dell'articolo 2, comma 2, lettera o).

  MARIO PERANTONI. Mi scusi, articolo 17?

  FABIO CESARE, rappresentante dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano. Testualmente si fa riferimento alla dichiarazione di indipendenza Pag. 37 – comma 5, ho sbagliato – che riguarda il professionista. Se vedete, viene richiamato l'articolo 2, comma 2, lettera o).
  L'articolo 2, comma 2, lettera o) non riguarda soltanto l'indipendenza dei membri dell'Ocri, che nessuno vuole mettere in discussione. Visto che è una normativa relativa all'attestatore, riguarda anche l'iscrizione all'albo dei revisori. Sembrerebbe, in virtù di questo richiamo, escludere manager e avvocati.
  Proponiamo di limitare la dichiarazione all'indipendenza e non anche all'iscrizione nell'albo dei revisori di questa norma, altrimenti si frustra l'obiettivo richiamato dalla norma stessa di avere professionalità trasversali. Spero di essere stato chiaro.

  PRESIDENTE. Chiarissimo.

  FABIO CESARE, rappresentante dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano. Perfetto. Il secondo punto riguarda il concordato preventivo, in particolare l'espressione di voto.
  Ora, ci tengo particolarmente a questo aspetto, perché questa diventa la «riforma dei mutandoni alla Cappella Sistina»: rischiamo di fare un processo tipicamente italiano, nel quale vengono adottati un sacco di proclami, che però non vengono calati nel caso concreto. Nascondiamo, in realtà, un percorso nel quale lasciamo gli imprenditori in balia del voto delle banche.
  Allora, diventa inutile, come proclama la relazione illustrativa che voi avete a disposizione, dire che il concordato preventivo è uno strumento di elezione, perché serve alla continuità di impresa, perché l'imprenditore ha diritto di autoristrutturarsi, e se si autoristruttura lui, evidentemente tutto il sistema ne beneficia, perché lui saprà meglio di altri come ristrutturarsi, evidentemente non lo sa il curatore fallimentare.
  È sbagliato anche pensare, attenzione, che rientri nel principio di economia prevedere una consecuzione possibile tra le Pag. 38due procedure: l'imprenditore inizia la procedura di concordato, dopodiché, visto che non riesce a ottenere il voto, si passa a una dichiarazione di liquidazione giudiziaria e non più di fallimento – ecco i mutandoni della Cappella Sistina – e si giunge a pagare due volte la stessa procedura, con patrimonio assottigliato dei costi professionali. Secondo me, questo non è un modo di procedere.
  Devo richiamare, per essere un po’ più comprensibile, come la riforma abbia chiaro che il voto nel concordato preventivo è un fatto cruciale, perché per il concordato minore prevede il silenzio assenso all'articolo 79; nel concordato maggiore non lo prevede.
  Ricordo che esiste una norma, richiamata dalla legge delega: è la raccomandazione n. 135 del 2014 dell'Unione europea, che dice che è obiettivo degli Stati membri consentire al debitore di ristrutturarsi, quindi non lo può fare un terzo. Un terzo non può obbligare un imprenditore a intraprendere una domanda di concordato preventivo. Lo può fare solo lui, e allora deve avere gli strumenti per realizzare questo percorso.
  In un sistema sottocapitalizzato come il nostro, per cui le imprese devono per forza ricorrere all'indebitamento bancario, gli stati passivi dei fallimenti e i voti dei concordati sono fatti tutti, per la maggioranza, da credito bancario. Le banche, però, non hanno la struttura per star dietro alle situazioni e comprendere quale sia la proposta, di solito colpevolizzano l'imprenditore e sono lente, e quindi non riescono a votare per tempo. Fatevelo dire da una persona che è andata a inseguire i voti nei comitati.
  L'imprenditore, in questo percorso, è disperato, non riesce a comprendere le logiche della banca, non riesce a comprendere perché lo Stato gli neghi un diritto che sembra essergli accordato. Perché tutto questo? Perché le banche non vogliono Pag. 39ristrutturarsi. Ci sono dei dati empirici che mi aiutano a spiegare questo.
  Se leggete la relazione della Banca d'Italia, citata, noterete che dal 2012 al 2015 i concordati depositati sono passati da 2.279 a 817. Perché 817? Perché nel 2012 c'era il silenzio-assenso e nel 2015 è stato introdotto il voto espresso.
  Perché – domandiamoci – nel 2015 è stato inserito il meccanismo del voto espresso? Perché si diceva, su spinta dell'Associazione bancaria italiana (ABI) e di Confindustria – che temeva che se ne facesse un uso troppo disinvolto – che il concordato rischiava di diventare uno strumento abusivo. Ora, però, il contesto culturale del codice della crisi d'impresa è completamente mutato. Una volta, si davano fino a 120 giorni, prorogabili di 60; oggi, sono 30 prorogabili di 60, se non ci sono istanze di fallimento.
  Esiste fin dal primo momento un contatto con un meccanismo terzo che è l'Ocri, che rivolta come un calzino l'imprenditore e gli impedisce di intraprendere un percorso abusivo. Il precommissario viene nominato subito, quindi l'abusività è fortemente limitata rispetto alla possibilità che era stata data prima. E si rischia, lasciando la disposizione così com'è, di fare soltanto un favore a dei ceti che non sono stati in grado di organizzarsi per seguire il percorso di ristrutturazione dell'imprenditore. Questo oggi non è più possibile.
  Esiste, infatti, un dovere rafforzato dei creditori di agire in buona fede, quindi saranno loro a doversi organizzare secondo il codice della crisi d'impresa per poter comprendere le imprese. Se non si organizzano, ne devono pagare le conseguenze. Perché ne devono pagare le conseguenze? Perché l'imprenditore non potrà mai chiedergli un risarcimento del danno.
  Immaginate: non passa il concordato per la mancata espressione delle banche, che evidentemente hanno violato il dovere Pag. 40di buona fede nelle trattative, perché non hanno compreso o non hanno voluto comprendere, perché costa troppo comprendere. Si sfocia in un fallimento: chi chiederà mai conto della violazione del dovere di buona fede alle banche? L'imprenditore di certo no, perché è fallito.
  Ci vuole, quindi, una tutela reale di questa buona fede, che si realizza solo nel silenzio-assenso. E, attenzione, i princìpi di modern law – e poi mi taccio, ma è un tema importante – prevedono il silenzio-assenso. Il Bankruptcy Code prevede, all'articolo 1095, se non erro, che possa passare la domanda di concordato con il silenzio-assenso se c'è una sola classe che vota positivamente, presumendosi che sia meglio. Abbiamo, quindi, proposto che ci sia un meccanismo di silenzio-assenso.
  L'altra norma che nel concordato chiediamo venga formulata diversamente è l'ultimo comma dell'articolo 84.
  Voi sapete che il concordato liquidatorio è sfavorito rispetto al concordato in continuità secondo un'impostazione della legge delega. L'ultimo comma dell'articolo 84 prevede che il ceto creditorio debba essere soddisfatto in una misura non inferiore al 20 per cento dell'ammontare complessivo del credito chirografario, ma con un apporto di risorse esterne che deve essere superiore al 10 per cento.
  Non si comprende, e può essere un pericolo nell'applicazione pratica, se l'apporto del 10 per cento debba essere superiore rispetto al 20 per cento, e quindi bisognerebbe dare il 22, o debba sommarsi al 20, così diventando il 30, o se il 10 per cento debba essere un aumento significativo del patrimonio che l'imprenditore dovrebbe avere in sede di liquidazione giudiziale ex fallimento.
  Noi proponiamo che quel 10 per cento venga definito molto chiaramente come parametro incrementale del patrimonio disponibile per i creditori chirografari e non di tutto il patrimonio Pag. 41rispetto alla liquidazione giudiziale, altrimenti sarebbe stato più ragionevole dire che bisogna dare il 22 per cento e non il 20.
  Passiamo a un altro tema che per noi avvocati è fondamentale. L'articolo 87 prevede che nel concordato l'imprenditore debba indicare nel piano le azioni recuperatorie esperibili. Questa previsione sconta un principio consolidato nella giurisprudenza di Cassazione, secondo cui l'imprenditore deve autodenunciare le sue azioni di responsabilità perché si possa addivenire ad un consenso informato in capo alla massa dei creditori che debbono scegliere tra l'alternativa liquidatoria, quindi del fallimento, dove l'azione di responsabilità viene esercitata, e quella del concordato, dove evidentemente, se l'azione viene sottaciuta, si determina una qualche forma di inaffidabilità del proponente.
  C'è un limite: nessuno può essere costretto ad autodenunciarsi. Signori, questo è un principio che ci fa tornare – scusate – nel Medioevo se non viene percepito per bene. Noi stiamo obbligando un imprenditore, in un momento di difficoltà, di sofferenza, che se si ristruttura bene serve a tutta la collettività, ad autodenunciarsi, in violazione dell'articolo 111 della Costituzione, dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) e della Convenzione di New York sui diritti civili e politici del 1966, che all'articolo 14, comma 3, lettera g), vieta l'autodenuncia.
  Sono trattamenti degradanti. Non possiamo umiliare un imprenditore, se non a pena di avere delle reazioni a catena. Significa addirittura incidere in questo modo in un sentimento sotto traccia di odio sociale nei confronti dell'imprenditore. Significa che probabilmente incidiamo anche sulla vocazione degli imprenditori. Da lì alla tortura c'è uno spazio, ma parte da qua, dall'autodenuncia. Non possiamo costringerlo, dicendo Pag. 42che deve vuotare il sacco, sennò non può accedere a un suo diritto.
  La nostra proposta è: non eliminiamo, ovviamente, l'indirizzo della Cassazione, però diciamo almeno che questa autodenuncia deve essere limitata alle azioni di responsabilità che abbiano senso economico. Queste incidono sulla scelta. Diversamente, ci saranno dei commissari che, per avere magari l'incarico da curatori, tenderanno a bloccare concordati preventivi perché non sono state indicate o quantificate azioni di responsabilità.
  Chiediamo, quindi, che l'indicazione delle norme in parola sia limitata alle azioni di responsabilità utilmente esperibili e che l'omissione o l'erronea quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità da illecito gestorio non possano essere causa di revoca del concordato.
  L'ultimo tema della liquidazione giudiziale – spero di essere ancora nei tempi – è l'esercizio dell'impresa. Voi sapete che uno dei mantra, quasi al pari del soddisfacimento dei creditori, è la conservazione del territorio circostante, del going concern, quindi dei lavoratori e dei fornitori. Questo tema deve essere preso in considerazione tra le variabili possibili sin dalle misure di allerta. Il curatore, che è un commercialista o un avvocato, per imprese che fanno dai 200.000 euro di fatturato fino ai 40 milioni di euro, quindi ad elevato contenuto personalistico, non può decidere in uno, due mesi, se sia meglio far continuare un'impresa o meno. Deve avere quest'opzione preparata su un piatto fin dalle misure di allerta.
  Un buon professionista delle misure di allerta dovrà, quindi, avere un'opzione A, che sarà quella di trovare un accordo con il ceto creditorio in qualche modo; un'opzione B, che è il concordato; e dovrà avere pronta anche un'opzione per la continuità di impresa in caso di liquidazione giudiziale. Laddove, Pag. 43 infatti, si dovesse cadere su questo punto, deve essere pronto per il curatore un elenco di fornitori, di rami secchi da tagliare, di attività redditizie, in modo che il tempo per comprendere in capo al curatore non bruci l'avviamento e faccia perire qualsiasi possibilità di effettuare una scelta che consenta di proseguire l'attività di impresa.
  Chiediamo, quindi, che all'articolo 22 venga inserita una frase che imponga agli Ocri di formulare nella relazione finale tutti gli elementi utili per la prosecuzione dell'attività di impresa in caso di apertura della liquidazione giudiziale, in modo che questo patrimonio possa rimanere fermo – una base di lavoro per il curatore in caso di liquidazione giudiziale – per proseguire con l'attività d'impresa ed esercitare utilmente l'opzione dell'esercizio provvisorio, ora esercizio di impresa.
  Passiamo al sovraindebitamento. Signori, il sovraindebitamento è stato ritenuto da tutti parva materia, una questione secondaria, ma – attenzione – è inutile pensare di dare sovvenzioni a persone che hanno perso il lavoro, a microimprese che saltano, a start-up innovative che hanno fatto il loro mestiere e che non sono riuscite a raggiungere il proprio obiettivo, se non rendiamo immediatamente disponibili delle risorse per i gestori della crisi e non rendiamo funzionale l'OCC.
  Il reddito di cittadinanza, se serve a pagare i debiti pregressi, non serve a niente. Serve se c'è una fresh start, se c'è una ripartenza, mi spiego? Deve funzionare e, per funzionare, ci vogliono dei gestori e degli OCC che funzionino e che abbiano gli strumenti per andare avanti.
  Il primo tema è che gli OCC non hanno funzionalmente gli strumenti per depositare il loro piano, perché l'articolo 42 dice che, soltanto quando la procedura è aperta, la cancelleria mette a disposizione dei professionisti le banche dati. Come fa il povero OCC ad andare a vedere quali sono i debiti? Non lo Pag. 44potrà mai fare. Le banche dati devono essere, quindi, immediatamente disponibili, non quando la procedura è aperta. È esattamente il contrario.
  In pochi forse se ne sono accorti, ma vi ricordo che, quando c'è una procedura esecutiva o quando c'è un'impresa minore, un creditore o il pubblico ministero, rispettivamente, possono intraprendere una procedura di sovraindebitamento a carico del debitore. Il povero OCC, però, che ha un rapporto conflittuale in quel caso con il debitore, come fa ad avere i documenti?
  Ora, la cancelleria magari, se passa quest'emendamento all'articolo 42, gli darà le banche dati pubbliche, ma i conti correnti, i dati della centrale rischi della Banca d'Italia (CR) e della Centrale rischi finanziari (CRIF), chi glieli dà, se non c'è la collaborazione del debitore?
  Allora, proponiamo che all'articolo 42 venga inserita anche una norma nella quale si prevede che l'OCC abbia accesso diretto, subito dopo la nomina, alle notizie sul sovraindebitato che riguardano i suoi rapporti bancari, alla CR, ai rapporti previdenziali, alle banche dati pubbliche, altrimenti non può fare la relazione.
  Ora parliamo del compenso. Mi rendo conto che c'è un principio di economicità, ma c'è il rischio di una selezione inversa. Non si può pensare di non pagare dei soggetti che devono mantenere il loro studio, ma che allo stesso modo devono per forza di cose pagare un corso di quaranta ore ogni due anni per essere ancora OCC. Non si può pensare che funzioni un sistema del genere.
  Oltretutto, il compenso in questo caso è aleatorio. Attualmente, esiste un decreto ministeriale, che è richiamato, il decreto n. 202 del 24 settembre 2014, che – attenzione – è normativa secondaria, quindi in astratto potrebbe essere abrogata Pag. 45 da disposizioni di normativa primaria. E si prevede che ci sia un accordo tra debitore e OCC sul compenso, che ha dei parametri.
  Nella nuova formulazione sembrerebbe che gli Ocri trovino un accordo – sono migliori perché si occupano di imprese grandi, fallibili – mentre gli OCC non possano trovare un accordo, ma debbano aspettare la fine della procedura, che, attenzione, può avvenire anche dopo anni, nella quale il giudice liquida il compenso secondo parametri che possono essere evidentemente legati al decreto ministeriale n. 202 del 2014 o che possono essere diversi.
  Attenzione, se l'OCC litiga con il giudice o c'è qualcosa che non funziona, il compenso è escluso per gravi motivi. Allora, come si fa a organizzare uno studio, una formazione seria, se il compenso è ridotto e aleatorio?
  Guardate, la presa in giro arriva fino all'articolo 283, che parla dell'esdebitazione del debitore incapiente, che evidentemente non può dare nulla all'OCC: ebbene, in quel caso il compenso, nonostante l'attività sia più gravosa, è ridotto della metà. Scusate, come fa a essere ridotto della metà se zero diviso due fa zero? Non è possibile. Evidentemente, questo sistema non può funzionare.
  Abbiamo proposto degli emendamenti che prevedono che la liquidazione del compenso sia solo eventuale e sia sussidiaria, laddove non vi sia un accordo con il debitore, ma evidentemente deve esserci una forma di compenso iniziale, per quanto piccola, altrimenti questo sistema scoppia.
  Per quanto riguarda l'assenza del diritto di difesa, voi sapete che nelle procedure concorsuali «maggiori» è prevista la difesa tecnica; nei procedimenti dell'OCC (la ristrutturazione dei debiti del consumatore, le misure di allerta – anche lì, le fanno Pag. 46per le imprese minori, quindi quelle con un fatturato inferiore a 200.000 euro) non è prevista la difesa tecnica.
  Ora, se all'interno di un accordo di ristrutturazione dei debiti – scusate, sono ancora nella vecchia formulazione –, se in un concordato minore, in una ristrutturazione dei debiti del consumatore, c'è un'opposizione all'omologa, lì siamo sicuri che ci voglia un avvocato. Ci sarà sicuramente un'eccezione di costituzionalità, perché quelli sono diritti controversi, non è un procedimento di volontaria giurisdizione.
  Come vi dirà l'avvocato Valcepina, non è possibile nella nostra esperienza prendere un soggetto, che magari viene anche da un tessuto culturale fragile, e proporre una domanda di sovraindebitamento senza l'ausilio di un professionista, perché non sa trovare neanche i documenti, non li sa trovare.
  In questo caso specifico, la procedura ha dei tempi cadenzati, l'opposizione ha un'udienza a 30-60 giorni: che facciamo, l'OCC deposita la domanda di sovraindebitamento, poi c'è l'opposizione e «dobbiamo chiamare un avvocato, corriamo, andiamo a cercare un avvocato»? Intanto, mentre lo cerca e magari non ha neanche la prededuzione – come vedremo, c'è qualche dubbio – spira il termine per il deposito e magari la domanda non è stata organizzata fin da subito secondo l'opzione dell'opposizione, per cui magari viene persa, e abbiamo sacrificato delle risorse sull'altare di una procedura che sfuma, perché non c'è stato un avvocato fin dall'inizio.
  E non mi dite che lo deve fare l'OCC, che – scusate – deve far emergere gli atti di frode dei creditori. Scusate, ma come fa un avvocato a fare delle dichiarazioni contro il suo assistito, se non rischiando di essere tacciato di patrocinio infedele? Cosa fa l'OCC, dice «guardate, il mio assistito ha commesso degli atti di frode tre anni fa, ha venduto la casa al fratello», e poi fa l'avvocato? Scusate, questa è una cosa veramente fuori sistema. Pag. 47
  Consentite il gratuito patrocinio, che è già previsto; ma un avvocato volontario, caduto dal cielo, è assolutamente necessario. Si rischia, con una spinta pauperistica, di distruggere i cardini del nostro vivere civile, incorrendo anche in un'eccezione di costituzionalità.
  Vado avanti più veloce (sono nei tempi, ho ancora cinque minuti mi pare). Non sono chiarissimi i rapporti tra liquidazione controllata nel sovraindebitamento e procedure maggiori, quindi liquidazioni giudiziali ed eventualmente concordato preventivo. Vi faccio un esempio molto calzante, che in un lavoro scientifico avevo già tentato di trattare.
  Voi sapete che le start-up innovative non sono soggette alla liquidazione giudiziale, ma lo status di start-up innovativa dura cinque anni. Quando una start-up innovativa viene dichiarata sovraindebitata con sentenza di liquidazione controllata perde i suoi requisiti e, comunque, sicuramente li perderà per il decorso del tempo.
  Poniamo il caso di un'impresa minore, che viene sottoposta con sentenza a liquidazione controllata; successivamente arriva una cartella esattoriale – in virtù di un accertamento che l'OCC non poteva conoscere – che le fa superare le soglie dopo la sentenza di liquidazione controllata. Un creditore, con l'idea di infastidire il più possibile l'imprenditore, gli fa istanza di fallimento, istanza di liquidazione giudiziale, perché dice: «eri sovraindebitato, eri impresa minore, ma adesso non lo sei più».
  L'attuale legge 27 gennaio 2012, n. 3, prevede una norma di coordinamento e dice che la liquidazione giudiziale (il fallimento) prevale. Oggi, secondo me, per non frustrare gli obiettivi di economicità e di certezza soprattutto per le start-up innovative, che sarebbero sempre fallibili nella liquidazione controllata, perché decorre il tempo dei cinque anni – e di certo non accederanno alla liquidazione controllata appena costituite, Pag. 48 ma lo faranno al terzo, quarto o quinto anno, quindi nel giro di sei mesi o un anno verosimilmente saranno soggette al fallimento –, proponiamo che, una volta aperta la liquidazione controllata, non si possa dar corso alla liquidazione giudiziale, perché altrimenti si viola il principio di economia, di certezza e di stabilità dei provvedimenti.
  Ci sono poi alcune piccole osservazioni che vorremmo fare all'interno del testo, che magari vi lasciamo in forma scritta. L'articolo 65, comma 3, prevede ancora, nel sovraindebitamento, l'esistenza dell'attestatore; ma l'attestatore non c'è, c'è l'OCC, quindi pensiamo che sia un refuso. L'articolo 66 prevede che i membri della stessa famiglia possano fare un unico ricorso, ottima cosa. Abbiamo dovuto fare delle acrobazie per fare lo stesso ricorso, però attenzione: bisogna coordinare queste norme, perché se un membro è imprenditore e l'altro è consumatore e fanno due procedure, non c'è la possibilità di coordinarle; quindi quale procedura prevale, bisogna farne due?
  A nostro modo di vedere, sarebbe bene prevederne una sola, magari la più complessa, perché altrimenti c'è il rischio che passi una e l'altra no, perché una ha il voto dei creditori e l'altra no, ci sono caratteristiche nel piano di ristrutturazione dei debiti dei consumatori che non ci sono nel concordato minore, quindi c'è il rischio che la macchina non funzioni laddove vi sia anche un inutile appesantimento della procedura, che può frustrare lo scopo per la quale è stata prevista; quindi una sola procedura e non due.
  A norma dell'articolo 68 la domanda per il sovraindebitamento deve essere presentata dall'OCC, però attenzione: ci sono posti (non molti) dove l'OCC non c'è, non è istituito, quindi bisognerà immaginare una norma sostitutiva per prevedere che, se non c'è un OCC nel Medio Campidano, quello vicino sia Pag. 49tenuto a presentare la domanda. Per noi è indifferente, basta che tutti lo possano fare (segnaliamo il problema).
  Abbiamo già detto che la domanda di liquidazione controllata può essere proposta da un creditore o dal pubblico ministero, in quel caso l'OCC ha delle difficoltà documentali dovute all'assenza di collaborazione del debitore. Bisognerà in questo caso prevedere un accesso qualificato alla documentazione, tempestivo da parte dell'OCC, perché altrimenti non riuscirà a depositare nulla.
  L'articolo 6 non prevede alcuna prededuzione per i compensi del legale nominato per le procedure minori. È vero che esiste l'articolo 277, che prevede che i debiti sorti in funzione della procedura minore siano in prededuzione, ma la circostanza che la procedura sia facoltativa potrebbe far pensare che quel debito non sia funzionale.
  Il fatto che la procedura sia facoltativa non implica secondo noi che debba essere qualificato o protetto diversamente il lavoro del legale che assiste l'imprenditore minore, il soggetto assoggettato al sovraindebitamento (scusate il bisticcio) rispetto al credito del professionista che assiste l'imprenditore maggiore, che è privilegiato.
  Inoltre, l'articolo 277 riproduce una disposizione contenuta nella legge n. 3 del 2012, all'articolo 14-duodecies, che un po’ confusamente obbliga ad andare a fare la spesa senza pagare la benzina, cioè dice che la prededuzione sussiste, ma soltanto dedotte le spese per il privilegio speciale. Capite che le spese cosiddette «in anteclasse» sono spese funzionali alla liquidazione del privilegio speciale e pignoratizio: come può l'OCC, il liquidatore giudiziale, pagare un custode o pagare gli annunci se deve anticipare quelle somme senza possibilità che gli vengano rimborsate, perché in ogni caso il privilegio speciale deve essere pagato prima della sua prededuzione? Pag. 50
  Questo poi nella prassi non succede, perché quando vengono vendute le case dei sovraindebitati, vengono pagate prima le spese in anteclasse rispetto a quelle a privilegio speciale, quindi chiediamo che la seconda parte dell'articolo 277, quella che recita «con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno e ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti», venga espunta.
  Io ho finito, non so se la dottoressa Valcepina abbia qualcosa da aggiungere.

  CHIARA VALCEPINA, rappresentante dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano. Intervengo soltanto per due minuti, perché il collega ha toccato tutti i temi. Mi permetto solo di sottolineare due aspetti che derivano dall'esperienza avuta come OCC dell'Ordine degli avvocati di Milano.
  L'aspetto della difesa tecnica è imprescindibile, nel senso che l'esperienza di questi ormai quasi tre anni di operatività dell'OCC di Milano ha dimostrato che l'unico modo per portare avanti le procedure è quello di avere interlocutori tecnici. Al di là dello sforzo chiesto ai singoli gestori di esaurire tutte le funzioni anche in termini di contenimento dei costi, è sempre stato necessario utilizzare un interlocutore tecnico, che spesso abbiamo dovuto mettere a disposizione gratuitamente, ma ciò non è sostenibile.
  Mi riaggancio quindi al discorso sulla prededuzione e sulla modifica dell'articolo 6, perché questa deve comprendere anche la prededuzione dell'assistenza tecnica nell'ambito degli OCC. Dal testo degli articoli che prevedono le figure di sovraindebitamento deve essere eliminato l'esplicito riferimento alla non necessarietà della difesa tecnica, proprio per consentire e contrario l'utilizzabilità di questo strumento, che si è rivelato una risorsa fondamentale almeno in questa esperienza milanese, Pag. 51peraltro richiesto anche dalla Sezione: dove non c'è un avvocato difensore non si è riusciti neanche a fare i depositi. Questo è un dato pragmatico, che rischia di far andare in cortocircuito un sistema che invece vuole essere virtuoso.
  Lo stesso vale per il discorso dei costi. L'esperienza maturata dagli OCC è ormai avviata, ce ne sono più di 180 sul territorio nazionale, all'interno di questi OCC è ormai cresciuta una professionalità che deve essere messa al servizio non soltanto delle procedure di sovraindebitamento e quindi delle figure concorsualistiche legate alle imprese minori, perché è fondamentale (ce la richiedono dalle camere di commercio) per gestire tutta la fase dell'allerta.
  Questo non è incompatibile con la legge delega, perché è vero che questa crea un organismo in più che non esisteva, l'Ocri, ma è anche vero che nello schema di decreto vediamo diversi punti in cui è richiamata la funzione dell'OCC come sistema di allerta, perché lo fa per le imprese minori, lo fa all'articolo 12, comma 5, lo fa all'articolo 17.
  Si lascia peraltro appeso il problema dell'allerta per le imprese minori: non c'è una regolamentazione della procedura o un richiamo espresso alla medesima procedura anche per le imprese minori, c'è il solo rimando agli OCC quando si tratta di imprese minori, ma non c'è una regolamentazione. Cosa si fa, tre nomine? Quindi, nell'ottica della funzionalità, manca un chiarimento.
  Prima si parlava del compenso. Abbiamo spesso verificato la necessità di interventi del direttivo, quindi degli organi dell'OCC, per mantenere un punto di equilibrio e consentire che le procedure di sovraindebitamento procedano, chiedendo ai gestori di aspettare per i pagamenti, di accedere a forme di finanza esterne: si tratta di sforzi che la strutturazione delle Pag. 52norme, così come è fatta in questo schema di decreto, non consentirebbe più.
  Questo schema dà infatti per scontato che ci sia la liquidazione finale, il che castra qualsiasi possibilità di procedere fino all'obiettivo che si è riusciti a mantenere sinora. Chiediamo quindi che ci sia un espresso richiamo ai contenuti del citato decreto ministeriale 202 del 2014, che già regolamentava il sistema dei compensi, fissando dei parametri e dando la possibilità di avere degli acconti, che sono indispensabili per consentire a questi soggetti di operare.
  Visto il tempo, se ci sono domande siamo a disposizione.

  PRESIDENTE. Ci sarà soltanto un breve intervento dell'onorevole Bazoli, perché sono già arrivati gli auditi per la prossima audizione.

  ALFREDO BAZOLI. Grazie, presidente, ho una brevissima domanda. Nelle audizioni precedenti c'è stata sottoposta una questione che riguarda l'esecuzione del piano a seguito dell'accordo di ristrutturazione del debito del consumatore. Ci è stata infatti segnalata l'opportunità che sia l'OCC a curare l'esecuzione del piano, evitando di lasciarla nelle mani del solo debitore, perché lasciarla nelle mani del solo debitore comporterebbe rischi di mancata esecuzione.
  Occorrerebbe quindi qualcuno che curi l'adempimento del piano. Occorrerebbe modificare la norma, introducendo la cura dell'esecuzione del piano da parte degli OCC, e quindi la collaborazione del debitore con l'OCC per l'esecuzione del piano. Come esponenti dell'Organismo di composizione della crisi, cosa ne pensate?

  FABIO CESARE, rappresentante dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano.Pag. 53Il tema secondo me è la fiducia iniziale: non è possibile consentire una ripartenza senza dare un minimo di fiducia al soggetto che si vuole ristrutturare.
  Nella mia personale esperienza non ho mai visto un imprenditore sovraindebitato che, una volta liberato dai debiti, non abbia continuato a pagare in modo assolutamente regolare nei mesi successivi.
  C'è da dire che qualche piano può avere difficoltà tecniche nell'esecuzione, tanto che la legge n. 3 del 2012 prevede, quale opzione nell'accordo di composizione della crisi e non nel piano, a quanto ricordo al momento, la possibilità che l'OCC collabori all'esecuzione del piano e venga addirittura nominato liquidatore.
  La lascerei però come opzione, perché altrimenti carichiamo di ulteriori costi l'OCC, che deve comunque fare un'altra attività, togliamo fiducia al sovraindebitato – e quindi magari sarà lui a non avere fiducia nel sistema, perché è una questione di azione e reazione – e dall'altra parte appesantiamo inutilmente il sistema.
  Se dovessimo immaginare questa opzione, la lascerei esattamente come è nella legge n. 3 del 2012: nei piani più complessi il giudice o lo stesso OCC, laddove non si senta di lasciare l'esecuzione completamente in mano al sovraindebitato, interviene fin dall'inizio; altrimenti la norma appesantirebbe troppo un sistema che vuole essere assolutamente snello. E essere snello significa anche accettare qualche rischio.

  PRESIDENTE. Grazie agli auditi. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione depositata dai rappresentanti dell'Organismo di composizione della crisi da sovraindebitamento presso il Foro di Milano.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Pag. 54

Audizione di Renato Rordorf, presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali, e di Paolo Giovanni Demarchi Albengo, componente della medesima Commissione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame dello schema di decreto legislativo recante codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (atto del Governo n. 53), l'audizione del dottor Renato Rordorf, presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali, e del dottor Paolo Giovanni Demarchi Albengo, componente della medesima Commissione.
  Lascerei in primis la parola al dottor Rordorf per la sua relazione. È già in distribuzione la documentazione scritta messa a disposizione dagli auditi.

  RENATO RORDORF, presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti, rivolgo un ringraziamento alla Commissione per l'onore che mi fa nel chiedere una mia valutazione e nel sollecitare la mia audizione. Ovviamente questo nasce dal fatto che io ho avuto la ventura di presiedere la Commissione ministeriale, anzi le Commissioni ministeriali: in un primo tempo abbiamo elaborato la bozza di legge delega, sulla cui falsariga è stata poi emanata la legge n. 155 del 2017, e successivamente, in tempi veramente molto ridotti (sostanzialmente in un mese e mezzo), è stato chiesto alla seconda Commissione di elaborare il testo dei decreti delegati, di quello che oggi chiamiamo il Codice della crisi e dell'insolvenza.
  È indubbio che il lavoro fatto dalla Commissione, proprio per la ristrettezza dei tempi nei quali è stato compiuto, aveva Pag. 55bisogno di una revisione, di una rielaborazione, di una riorganizzazione per alcuni aspetti, soprattutto sul piano formale, ma non solo. Purtroppo non c'è stato il tempo per la Commissione che ebbi la ventura di presiedere di procedere a questo lavoro di raffinamento del testo, ma oggi ci confrontiamo con un testo successivamente elaborato dal Ministero della giustizia che riprende largamente il lavoro fatto dalla Commissione, ma vi apporta modifiche talvolta formali, talvolta anche di carattere sostanziale.
  Avendo partecipato a quella prima fase di lavori, capisco di essere in qualche modo sospetto nel momento in cui mi pongo eventualmente in chiave critica rispetto alle modifiche che a quel lavoro sono state successivamente apportate, ma – ripeto – sono consapevole che quel lavoro aveva certamente bisogno di essere perfezionato.
  Detto questo, segnalo l'ampiezza del progetto riformatore che, come tutti sappiamo, ha l'ambizione di dettare una riforma organica della materia del diritto concorsuale con riferimento non solo alle imprese, ma anche ai consumatori, ai professionisti, al cosiddetto «debitorio civile». Si tratta di una riforma organica (permettetemi una notazione a piè di pagina, anche se dal mio punto di vista tutt'altro che marginale) che tanto organica alla fine però rischia di non essere, a cagione di un fatto verificatosi nella precedente legislatura, cioè dello stralcio della parte di progetto di riforma che riguardava l'amministrazione straordinaria.
  È del tutto evidente che una riforma organica che voglia essere tale, che abbracci tutto l'insieme di questa materia, dovrebbe riguardare anche quel settore, ovviamente tutt'altro che marginale, con le sue specificità, che nessuno dubita vadano evidenziate, però con la condivisione dei princìpi generali che una riforma organica in quanto tale dovrebbe contenere. Pag. 56
  Non so se vi sarà spazio o tempo nel futuro della legislatura per porre mano a questo altro pezzo di riforma; personalmente mi permetto di auspicarlo, perché credo che sia un importante completamento, come un completamento probabilmente occorrerebbe (capisco di andare forse oltre i temi all'esame della Commissione in questo momento, lo dico a futura memoria) per la parte penale della disciplina dell'insolvenza, che avrebbe bisogno di essere riallineata dal punto di vista dei princìpi e delle linee guida al diverso spirito che anima oggi la disciplina civilistica della crisi dell'insolvenza.
  Scusandomi per la digressione e tornando al tema dell'esame dello schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri, premetto che la materia è talmente vasta che si può dire un'infinità di cose. Non credo che nel tempo limitato che abbiamo a disposizione abbia senso scendere nei dettagli tecnici di una serie di questioni che avrei persino difficoltà a scegliere, per cui mi sono ripromesso di limitarmi a tre o quattro macro argomenti, il primo dei quali naturalmente riguarda le procedure di allerta e composizione della crisi. Dico «naturalmente» perché tutti comprendiamo che quello è uno dei punti cardine dell'intera riforma, nel presupposto che si voglia davvero cercare di far prevalere la cultura del risanamento e della ristrutturazione sulla cultura della liquidazione dell'impresa in crisi.
  La liquidazione comporta infatti dispersione di valori e rischia di causare anche la perdita di capacità personali e individuali, dovendosi invece il più possibile consentire all'imprenditore, anche se ha avuto la sfortuna di incappare in una crisi di insolvenza, di recuperare la propria operatività individuale.
  Perché tutto questo possa davvero funzionare, è indispensabile che la crisi sia intercettata in modo precoce, come credo sia ormai condiviso da tutti gli analisti della materia, altrimenti Pag. 57tentare di risanare imprese ormai decotte oltre il limite della rimediabilità significa consumare ulteriori valori, comportando soltanto costi aggiuntivi e ulteriori negatività per i creditori.
  L'esigenza di tutelare l'interesse dei creditori si può coniugare con il tentativo di salvaguardare la continuità dell'impresa, anche con benefici dal punto di vista occupazionale, in quanto questo avvenga tempestivamente, in quanto si intercetti tempestivamente la crisi.
  Gli istituti dell'allerta e della composizione assistita quindi sono fondamentali per realizzare lo scopo principale di tutta la riforma, che è quello che ci chiede la raccomandazione europea del 2014 e che è alla base della proposta di direttiva europea sull'insolvenza del 2016. Dunque penso che oggi si debba porre mano a questo tipo di procedura, alla quale in passato si sono opposte non poche resistenze anche dal mondo imprenditoriale. Ma che oggi ci si debba porre mano mi pare di poterlo considerare un dato acquisito.
  Naturalmente non è acquisito il modo in cui queste procedure possono o debbono essere costruite per realizzare al meglio il loro scopo. Personalmente ho qualche riserva, che però lascia il tempo che trova e non ha alcun rilievo, in ordine alla formulazione che in ultima analisi è stata adoperata nella legge delega a questo riguardo. Credo che i criteri di delega siano risultati alla fine un po’ troppo invasivi, troppo pesanti, troppo proceduralizzati, e che questo comporti il rischio di una burocratizzazione del procedimento, che è l'opposto di ciò che dovrebbe avvenire.
  Il punto chiave a cui tutti dovremmo sforzarci di lavorare, nei limiti in cui a ciascuno di noi compete far qualcosa, è far sì che queste procedure non siano percepite dall'imprenditore come una minaccia, come un preannuncio di futuro «fallimento» (uso questa parola tra virgolette, ma è quella con la Pag. 58quale meglio ci capiamo), come un rischio dell'espropriazione dell'impresa, ma siano invece vissute come procedure di supporto, come una mano tesa all'imprenditore, per aiutarlo a percepire tempestivamente la crisi e a reagire – altrettanto tempestivamente e perciò adeguatamente – alla crisi che magari ha tardato a percepire e che, se è un imprenditore medio-piccolo, non ha gli strumenti adeguati per fronteggiare. Quindi – lo ripeto – le procedure di allerta dovrebbero essere uno strumento di supporto, non di intimidazione per l'imprenditore.
  Qui forse (ripeto che alcune regole erano già indicate nella legge delega, e quindi ormai non modificabili a livello di decreti delegati) si poteva procedere diversamente, ma, per la parte che invece ancora può interessare, ossia per la parte attuativa, credo che il profilo sul quale occorre maggiormente riflettere sia quello della cosiddetta «allerta esterna», vale a dire dell'intervento di allerta che non viene dall'interno dell'impresa, come dovrebbe – perché dovrebbero essere prima di tutto l'imprenditore o, se è una società, gli organi di controllo a percepire la crisi e a reagire, come la norma prevede peraltro. Tuttavia, in difetto ci sono i creditori esterni, in particolare i creditori istituzionali, il fisco, l'Agenzia delle entrate e gli enti previdenziali, i quali, sull'ovvia constatazione che sono quelli i debiti che maggiormente l'imprenditore in crisi lascia inizialmente accumulare, possono sollecitare questo intervento.
  La preoccupazione che questi interventi siano minacciosi per l'imprenditore, la preoccupazione di tenere le soglie molto alte per evitare molti falsi positivi, cioè molte allerte da parte degli istituti fiscali e previdenziali, quasi che questo costringesse l'imprenditore a fare i salti mortali per evitare di incappare in un maggior debito fiscale e previdenziale, è una preoccupazione che tenderei ad attenuare sotto il profilo a cui già prima facevo Pag. 59cenno, cioè sulla base della considerazione che anche l'allerta dei creditori fiscali e previdenziali non è una messa in mora, non va intesa come un'intimazione ad adempiere, ma è la segnalazione di un allarme, di un fatto oggettivo che c'è una forte esposizione e che, di fronte a quel fatto oggettivo, l'imprenditore deve porsi dei problemi, che la stessa struttura delle procedure di allerta e composizione assistita (sottolineo questa seconda parte dell'espressione) deve aiutare a superare.
  In questa logica, fermo restando che le soglie dell'allerta, in particolare quelle dell'allerta esterna, vale a dire le soglie dell'esposizione fiscale e previdenziale, al di sopra delle quali gli enti fiscali previdenziali debbono segnalare all'imprenditore stesso prima di tutto e poi, in mancanza di reazioni, all'Organismo di composizione della crisi la situazione critica, come tutte le soglie sono opinabili – non c'è mai una soglia aurea, ci può sempre essere chi sostiene sia meglio più 10 o meno 10 – segnalo tuttavia che rispetto a quelle ipotizzate nel lavoro della Commissione, che non sono necessariamente le migliori, oggi sono state molto elevate.
  Elevandole così tanto, con un approccio che considero discutibile e che vede in soglie troppo basse una minaccia, una preoccupazione per l'imprenditore, si ottiene il risultato che un imprenditore a tal punto in debito con il fisco o gli enti previdenziali probabilmente non è più un imprenditore che percepisce tempestivamente i sintomi di una crisi reversibile, ma è un imprenditore più che decotto. Quindi il sistema non funziona e non serve.
  Vale lo stesso discorso per alcune modifiche apportate al meccanismo di automatic stay, vale a dire al meccanismo delle misure protettive in sede di domanda di concordato preventivo, che erano state previste come non più automatiche, ma emanabili a richiesta dell'imprenditore, per sollecitare quest'ultimo Pag. 60a muoversi prima del momento in cui si entra in procedura. Oggi, essendosi ripristinato quello che usualmente definiamo concordato con riserva o concordato in bianco, si rischia di depotenziare la spinta dell'imprenditore a muoversi presto, perché egli può aspettare prima la procedura di allerta e poi giocarsi un ulteriore tempo di riflessione.
  Sulle procedure di allerta e composizione delle crisi si possono dire certamente tante cose, ma al momento mi limiterei a queste considerazioni, anche perché molte delle critiche che ho sentito fare nel corso dei convegni e dibattiti ai quali mi è capitato in questi mesi di partecipare finiscono con il riguardare più indicazioni della legge delega che non elementi oggi contenuti nei decreti delegati, vincolati ovviamente al tenore della legge delega.
  Se mi consentite, vorrei spendere qualche parola su un altro profilo che mi sembra critico, quello della competenza giurisdizionale, impropriamente da qualcuno definito della geografia giudiziaria. Ma la geografia giudiziaria non muta, i tribunali restano tal quali.
  Sapete bene che la legge delega, all'articolo 2, comma 1, lettera n), ha previsto tre fasce di situazioni. La prima è una fascia alta, relativa alle controversie che nascono dall'amministrazione straordinaria o dall'insolvenza dei grandi gruppi imprenditoriali, come definiti dalla stessa legge, quelli di maggiori dimensioni: tali controversie sono attribuite, secondo la legge delega e anche secondo lo schema di decreto, ai tribunali sedi delle sezioni specializzate in materia di impresa, cosiddetti «tribunali delle imprese», che, come sapete, sono un numero ridotto nel panorama nazionale.
  Vi è poi una fascia intermedia di procedure derivanti dalla crisi o dall'insolvenza delle imprese di media dimensione, «ordinarie», quelle assoggettate oggi a fallimento e che domani Pag. 61saranno assoggettabili a liquidazione giudiziale, per le quali la legge delega all'articolo che citavo prevede l'attribuzione di competenza non a tutti i tribunali oggi dislocati sul territorio nazionale, ma solo ad alcuni, individuati sulla base di criteri che la stessa legge espressamente formula, in modo da far sì che quelle procedure fossero trattate da tribunali più attrezzati sul piano dimensionale e quindi composti da un numero maggiore di magistrati. Anzi la legge delega prevede un eventuale ampliamento degli organici di quei tribunali.
  Infine vi è la terza fascia, quella delle controversie derivanti dal sovraindebitamento, riguardanti quindi le imprese minori, il debitorio civile, il consumatore, che continuano ad essere attribuite ai tribunali secondo l'attuale distribuzione sul territorio nazionale.
  Questa tripartizione della legge delega ha una sua ragion d'essere che si enuncia in una sola espressione, la specializzazione del giudice, perché presupposto di questo discorso è che in tribunali troppo piccoli composti da 10, 12, 15, 20 magistrati, chiamati ad occuparsi di tutto, dal civile al penale, dal diritto di famiglia al diritto commerciale, è difficile realizzare un'adeguata specializzazione.
  Aggiungo che, se anche per avventura capita, come talvolta capita, che in quel tribunale, sia pure piccolo, vi sia un magistrato particolarmente specializzato in quella materia, se quel magistrato per qualunque ragione si allontana, si trasferisce o si ammala, l’expertise di quel tribunale precipita drammaticamente. Per non dire che in queste situazioni l’expertise finisce con l'essere di un singolo magistrato, nella migliore delle ipotesi, mentre queste procedure prevedono una competenza collegiale, che è una garanzia per tutti, una garanzia di controllo rispetto all'operato del singolo magistrato che, per quanto Pag. 62ottimamente intenzionato, ha bisogno come tutti noi di avere una rete di protezione e di controllo.
  Soltanto tribunali con una dimensione sufficiente di personale, di magistrati e addetti, possono garantire un collegio di magistrati specializzati. Questo è il senso di quella indicazione, che lascia a tutti i tribunali, anche ai più piccoli, il sovraindebitamento, perché lì parliamo di debitori individuali, di imprese più piccole, quindi di micro situazioni che magari avrebbero anch'esse bisogno di un giudice specializzato, ma rispetto alle quali, per la condizione del debitore, l'esigenza di prossimità del giudice avrebbe sicuramente maggior peso.
  Il codice della crisi dell'impresa non ha seguito questa indicazione, nel senso che, ferma la competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa per le insolvenze maggiori, quelle dell'amministrazione straordinaria dei grandi gruppi, tutte le altre vengono nuovamente ricondotte alla totale platea dei tribunali quali oggi esistenti.
  Capisco l'esigenza di prossimità che ha ispirato la terza fascia della legge delega, però, di fronte alla contrapposta esigenza di specializzazione per le imprese più grandi, francamente mi pare che questa scelta sia problematica, perché la specializzazione diventa fondamentale in una materia come questa, che presenta un intreccio di competenze giuridiche ed economiche, dove chiunque abbia avuto occasione di trattarla sa benissimo quanto l'esperienza concreta, maturata in una pluralità di casi, aiuti a risolvere le situazioni, dove il giudice è chiamato a fare davvero il medico dell'impresa in crisi, dell'impresa malata.
  Se mi permettete una frase ad effetto, lasciatemi dire che, se sono malato, preferisco avere un medico competente che mi curi, anche se un po’ più lontano da casa mia, anziché avere un medico sotto casa che però non sa quel che fa. Questa naturalmente Pag. 63 è un'estremizzazione, ma serve ad esprimere la mia perplessità su questo punto.
  Questa perplessità è accentuata dal fatto che nell'attuale impostazione della legge al giudice sono attribuite competenze, per certi versi, ancora più pregnanti che in passato, non soltanto su tutta l'area delle misure protettive, che sono misure mediate, che vanno valutate in rapporto a situazioni di crisi da percepire subito e con immediata capacità di coglierne il senso, ma anche (penso al concordato preventivo) in funzione dell'altra novità introdotta dalla legge delega e quindi dal decreto delegato, che individua nel giudice la competenza, di fronte al piano del concordato, anche a valutarne la fattibilità economica.
  Voi sapete che la giurisprudenza da ultimo, in base alla normativa vigente, aveva operato la distinzione tra fattibilità giuridica, valutata dal giudice, e fattibilità economica, totalmente rimessa alla valutazione dei creditori, che approvano o meno a maggioranza il concordato. Qui si è invece voluta ampliare l'ingerenza del giudice nella valutazione del piano di concordato, perché il giudice deve valutare la fattibilità economica, ma per valutare la fattibilità economica di un piano di concordato occorre un buon grado di specializzazione.
  La specializzazione comporta la capacità di condurre più celermente la procedura. Se prima di fare qualcosa devo informarmi perché non ho una gran pratica di ciò che sto facendo, impiego più tempo (è una considerazione ovvia), mentre l'esigenza di accelerare le nostre procedure è fortissima, molto sentita e resa drammatica da una norma alla quale ho l'impressione che pochi abbiano fatto attenzione, che è contenuta nell'articolo 8 dell'attuale codice della crisi dell'impresa, che prevede che le misure protettive abbiano una durata Pag. 64complessiva, anche se qui indicata in più momenti, non superiore a dodici mesi.
  La norma ci viene dalla proposta di direttiva europea, ma questo significa che il concordato preventivo si deve chiudere in dodici mesi, perché se dopo dodici mesi ancora stiamo a discutere se omologare o no quel concordato preventivo, l'ombrello protettivo viene meno, si riapre il concorso dei creditori nelle azioni esecutive e quindi il concordato salta.
  I tempi medi delle nostre procedure di concordato sono ben più lunghi di dodici mesi, quindi bisognerà fare un grande sforzo per riuscire ad accelerare queste procedure. La specializzazione del giudice è quindi una carta vincente per renderle più celeri.
  Last but not least, ho fatto prima considerazioni di opportunità, ma c'è anche una considerazione giuridica: a me pare che questa previsione del codice della crisi dell'impresa si discosti dal criterio indicato nell'articolo 2, comma 1, lettera n), della legge delega e come tale sia di dubbia legittimità francamente, perché è vero che il Governo può attuare parzialmente la delega, nel senso che può attuare alcuni princìpi di delega e non altri, in alcune materie e non in altre, se molte sono le materie toccate dalla delega, ma non nel senso che può prendere un principio di delega e applicarlo parte sì, parte no, perché questo significa ovviamente non rispettare il principio.
  Questo pone una mina pericolosa sotto le procedure di cui parliamo, perché sarà possibile o non sarà possibile, si darà o non si darà l'eventualità di sollevare una questione di legittimità costituzionale a questo riguardo, ma, se dovesse darsi questa possibilità, rischierebbero di saltare tutte le procedure: sarebbe una sorta di mina vagante tutt'altro che marginale.
  Se ho ancora due minuti, presidente, mi vorrei soffermare velocemente su un altro aspetto, anche questo non molto Pag. 65trattato in convegni e dibattiti, relativo all'articolo 13 della legge delega, che consta di due commi. Il primo prevede il coordinamento delle disposizioni in materia concorsuale con i sequestri penali in materia di antimafia, perché l'esperienza ha insegnato che spesso in queste situazioni si creano sovrapposizioni di competenze che generano contenzioso, incertezza e ulteriori perdite di tempo. Se un'impresa è assoggettata a quel tipo di procedura di sequestro, con la gestione prevista dalla normativa antimafia, e contemporaneamente è insolvente e, quindi, si innesta una procedura di liquidazione giudiziaria o, se vogliamo chiamarla ancora così, di fallimento, non si sa bene chi debba gestire la situazione, se il curatore o il commissario nominato nell'ambito della procedura penalistica; quindi occorre avere un criterio di coordinamento.
  Del resto, l'ambizione a fare di questa una riforma organica comporta ovviamente la capacità di tenere conto anche di questi elementi di collegamento con altri profili dell'ordinamento.
  Il secondo comma dello stesso articolo 13 prevede sostanzialmente un'analoga necessità di coordinamento con la disciplina della cosiddetta «responsabilità amministrativa delle persone giuridiche», quella prevista dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, perché le misure di prevenzione che possono essere attuate determinano un'analoga situazione. Vi sono state esperienze di questo genere e si è dovuti andare fino alle sezioni unite della Cassazione penale per risolvere alcuni di questi conflitti e contrasti.
  La bozza di codice predisposta dalla Commissione ministeriale di cui parlavo all'inizio aveva, quindi, previsto un set di norme in attuazione sia del primo che del secondo comma di quest'articolo. Con una qualche mia sorpresa, perché non ne ho capito francamente la ragione, nell'attuale testo approvato dal Pag. 66Consiglio dei ministri c'è la previsione di attuazione del primo comma, ma non anche quella del secondo.
  Ci sono norme che disciplinano il concorso tra la procedura di insolvenza, di liquidazione giudiziale e i sequestri penali della legislazione antimafia, ma salvo errore non mi pare che vi sia un'analoga disciplina con riferimento ai sequestri a norma del decreto legislativo n. 231 del 2001. Non ne capisco bene la regione e continuo a pensare, per quello che ho detto un momento fa, che, invece, sarebbe assolutamente utile e opportuno che la materia venisse disciplinata.
  Per questa ragione, nel testo che ho inviato alla presidente, per pura comodità della Commissione, ho allegato la parte della bozza di codice predisposta dalla Commissione ministeriale che si riferisce a questa normativa e che a mio sommesso avviso sarebbe opportuno reintegrare, con l'avvertenza naturalmente che il testo allegato reca riferimenti (agli articoli 318 e 319) che non sono più attuali, perché rispecchiano la numerazione originale, che è diversa da quella dello schema in esame. Rappresenta tuttavia un contributo a mio parere utile al fine di colmare quella che a me sembra una lacuna.
  L'ultima considerazione che faccio, nonostante la premessa di non entrare troppo in dettagli tecnici, riguarda in particolare alcune modifiche al codice civile, perché ho l'impressione che questo profilo nel discorso sulla crisi e sull'insolvenza spesso resti un po’ sacrificato. Forse faccio una notazione di pura estetica. Non capisco bene perché le modifiche al codice civile siano state inserite formalmente nel testo del codice della crisi di impresa. A me sembra che il codice della crisi di impresa debba riguardare la crisi di impresa, non le modifiche al codice civile. Infatti, nel testo della Commissione avevamo immaginato due decreti: un decreto che contenesse il codice della crisi di impresa e un altro, naturalmente molto più snello, di pochi Pag. 67articoli, per le modifiche al codice civile. Preferirei questa scelta, però capisco che è un dato fondamentalmente di tipo formale.
  Sul piano sostanziale, la parte più rilevante di queste modifiche, che sono tante – ma ora non entro in dettagli – è quella che sottolinea la responsabilità degli organi amministrativi e, di riflesso, degli organi di controllo per la valutazione dell'adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili dell'impresa, non solo in generale, ma con specifico riguardo proprio a quegli elementi che consentono la precoce emersione della crisi e, quindi, la tempestiva percezione dei sintomi della crisi.
  Ciò si riallaccia naturalmente al discorso che abbiamo fatto sull'allerta. Fin qui nulla quaestio, mi pare indubbio che questo sia necessario. Qualcuno ha storto il naso per il fatto che questa previsione sia estesa a qualsiasi impresa e, quindi, non solo alle società per azioni, ma anche alle imprese minori. A me sembra che abbia senso per qualsiasi impresa, viceversa, perché l'impresa è pur sempre un'attività economica organizzata; è la definizione stessa di impresa che ci consegna il codice civile a richiedere questo elemento della organizzazione e l'organizzazione deve essere adeguata, quindi è un termine di riferimento per le misure.
  Ovviamente una cosa sarà l'organizzazione richiesta alla capogruppo di una grande multinazionale e altro sarà l'organizzazione richiesta per una società a responsabilità limitata che gestisce la bottega dietro l'angolo, però un'organizzazione che consenta di percepire gli elementi di crisi che possono portare l'impresa all'insolvenza, grande o piccola che sia, l'imprenditore deve farsi carico di farla.
  Che cosa, però, non mi pare che funzioni? È un qualcosa che debbo dire – in qualche modo, se volete, è un mea culpaPag. 68era già previsto anche nella bozza di codice predisposta dalla Commissione ministeriale, ma era sfuggito, credo che sia sbagliato, quindi tanto vale dirlo. Mi riferisco alla previsione che oggi ritroviamo nell'articolo 376, comma 4, del codice della crisi.
  Fermo restando quanto ho detto prima, sulla necessità che gli organi amministrativi si facciano carico dell'adeguatezza contabile e via dicendo, si stabilisce che la gestione dell'impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale. Questa, che è la formula adoperata dal codice civile per le società per azioni, non si capisce perché dovrebbe essere collocata anche nella disciplina delle società a responsabilità limitata, e addirittura – poiché la stessa previsione è contenuta anche nell'articolo 376, comma 1, con riferimento alle società di persone – anche delle società di persone.
  L'esclusività della gestione da parte degli amministratori, che è tipica della S.p.A., dove c'è la separazione tra proprietà e gestione, nella S.r.l., e soprattutto nella società di persone, non ha senso, perché in quel tipo di società l'elemento personale dei soci conserva, invece, una sua dimensione di protagonismo che non può essere negata.
  Tutta la riforma societaria del 2003 è andata distinguendo la S.r.l. dalla S.p.A. anche e soprattutto sotto questo profilo, quindi qui faremmo un improvviso rovesciamento di rotta rispetto al rapporto tra soci e amministratori nella S.r.l. e nelle società di persone che oltre tutto non era previsto nella legge delega in alcun modo. E francamente non mi pare che il legislatore delegato possa creare un revirement di questo genere dal nulla, senza un criterio di delega che glielo prospetti. In secondo luogo, soprattutto – ripeto – si pone abbastanza incomprensibilmente in contraddizione con l'impianto generale Pag. 69che hanno ormai questo tipo di società, fermo restando però – lo ripeto – che naturalmente chi amministra, che siano gli amministratori, i soci o chiunque, deve farsi carico dell'adeguatezza degli assetti organizzativi, ma questo è un discorso che non tocca l'individuazione delle competenze gestorie interne all'ente societario.
  Questo era un punto cui mi pareva utile accennare, anche perché – ripeto – ho l'impressione che non sia tra le questioni che sono venute all'evidenza, perché naturalmente in tutta questa massa di novità ci vogliono i diciotto mesi della vacatio legis per capire veramente fino in fondo tutti i problemi che sorgono.
  Io mi fermo, scusandomi se forse ho occupato fin troppo del vostro tempo e soprattutto ho rubato spazio a Paolo Demarchi, che invece ha cose più serie di me da dire.

  PRESIDENTE. Nessun problema, anzi grazie per questo immenso contributo. Do la parola al dottor Demarchi.

  PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO, componente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. Buongiorno a tutti. Innanzitutto mi associo ai ringraziamenti del dottor Rordorf e rinnovo, quindi, i ringraziamenti che ho già esposto nella lettera che ho inviato alla signora presidente. Se il professor Rordorf è onorato, immaginatevi quanto lo sono io di essere qua a poter contribuire a questo progetto legislativo.
  Il mio intervento sarà maggiormente di dettaglio rispetto a quello del dottor Rordorf, che come presidente ovviamente ha una visione più ampia. Io mi sono occupato in particolare del sovraindebitamento, sia nella prima che nella seconda Commissione Rordorf, e, quindi, ho cercato di limitare il mio intervento e le mie osservazioni principalmente a questa parte del codice. Pag. 70
  Siccome, però, il mio intervento – non so se è stato già visionato lo schema che ho inviato – è molto di dettaglio, forse troppo per questa Commissione, e non è il caso di riprenderlo tutto, richiamerò qui soltanto due o tre dei punti più importanti.
  Prima di fare questo, vorrei associarmi alle due osservazioni generali del dottor Rordorf. La prima è quella relativa alle soglie di allerta. Credo che, come ha detto bene il presidente Rordorf, non ci sia una proporzione aurea per stabilire qual è la soglia giusta, però forse questo innalzamento potrebbe anche comportare una mancata riuscita o comunque un minore impatto delle procedure di allerta, quindi sollecito anch'io un eventuale ripensamento e abbassamento di queste soglie.
  Mi associo anche alle considerazioni relative ai profili di competenza e su questo, oltre all'esperienza maturata nell'ambito della Commissione, credo di poter apportare anche la mia esperienza pratica, perché sono stato giudice delegato per alcuni anni in un tribunale piccolo e oggi sono presidente di un tribunale che non è piccolo, ma è medio, e, quindi, so anche fare le differenze.
  Quando è entrata in vigore la prima modifica alla legge fallimentare veramente importante nel 2005 io ero giudice delegato e, nonostante si trattasse di un tribunale piccolo e, come osservava il presidente Rordorf, noi avessimo molte competenze diverse, abbiamo dovuto confrontarci con istituti nuovi e con procedure anche piuttosto complesse di gruppi di imprese. Si parlava di milioni di euro di indebitamento. Dunque, non è vero che le procedure ordinarie che si trattano nei tribunali piccoli siano di secondaria importanza.
  Oggi che molti tribunali piccoli sono spariti e sono stati sostituiti da tribunali provinciali accorpanti, per cui rimangono pochi tribunali piccoli, devo dire che anche nei tribunali medi Pag. 71o medio-piccoli come il mio (noi siamo 26 giudici più altrettanti onorari, una cinquantina di giudici tra onorari e togati), anche nei tribunali delle nostre dimensioni che non sono più piccoli, si hanno difficoltà ad avere una specializzazione di giudici. Giusto per ricordare l'esempio del mio tribunale, io ho due giudici soli che si occupano di diritto fallimentare e si occupano anche di altre materie, perché non è possibile dedicarli esclusivamente a quelle, quindi non ho la possibilità di avere un intero collegio che è specializzato ed è una specializzazione parziale, perché i giudici si devono dedicare ad altre materie.
  Dunque, a maggior ragione vorrei sostenere quello che era il principio della legge delega: una riorganizzazione e una modifica delle competenze per le procedure ordinarie, cioè quelle né piccole né enormi, sarebbe opportuna, perché questo consentirebbe di spostare alcuni giudici dai tribunali che perdono la competenza per le procedure ordinarie ai tribunali che l'acquisiscono. Per esempio, nel mio tribunale noi avremmo tre-quattro giudici e, quindi, un collegio intero e, anche nel caso di assenza di uno, sempre tre persone specializzate in quella materia.
  Pertanto, mi associo anche a questa osservazione e mi associo tanto più alla questione formale del problema di legittimità costituzionale per mancato rispetto della delega, che sul punto era specifica. Qua non si tratta di attuare un pezzo della delega, si tratta di attuare una delega in difformità da quello che era previsto.
  Detto questo, io, come ho ricordato, mi sono occupato del sovraindebitamento e, quindi, anche su questo posso fare mie le parole del presidente Rordorf. Noi sembriamo un po’ in conflitto di interessi oggi, perché siamo coloro che hanno predisposto il testo originario, però devo dire anche con altrettanta onestà che il mio ruolo qua è un ruolo che si svolge Pag. 72nell'interesse pubblico e, quindi, io non ho nessun interesse personale acché venga confermato il mio testo, nel senso che è stato discusso, sono sempre stato aperto alle modifiche e anche oggi, se faccio rilevare alcune osservazioni, è solamente per cercare di avere un testo migliore.
  Devo dire anche che dopo che i lavori della Commissione sono terminati, se non sbaglio, dal 21 al 22 dicembre 2017, nella stanza del presidente Rordorf per due giorni in clausura, dopo la chiusura del testo, ci è stata ancora data la possibilità di segnalare all'ufficio legislativo, che non era quello attuale ma era quello del precedente Governo, eventuali modifiche di dettaglio, nel senso di errori che erano sfuggiti.
  Questo è stato fatto. E ho visto che sono state recepite le modifiche che avevamo segnalato, quindi si tratta di un testo già un po’ più raffinato. È un testo che ovviamente ha subìto delle modifiche perché l'ufficio legislativo è intervenuto, però devo dire che sotto il profilo del sovraindebitamento le modifiche sono state veramente pochissime e di poco momento.
  Quindi mi sono limitato qui a fare due tipi di osservazioni, di cui uno di natura meramente lessicale. Sembrano osservazioni un po’ pedanti, però io credo sinceramente che un testo normativo debba anche fare attenzione alla forma lessicale, perché, specie nei confronti delle generazioni che ci seguiranno, che sono già molto meno attente di noi alla modalità di scrittura, credo che sia importante che, invece, i testi normativi, proprio per l’iter che hanno, per le persone che li vedono, per le quantità di controlli che subiscono, debbano fare attenzione anche a come sono formulati.
  Per questo mi associo anche all'osservazione del Presidente Rordorf relativa all'incongruità dell'inserimento dentro il codice della crisi di modifiche al codice civile che con il codice della crisi non c'entrano nulla: sono modifiche di coordinamento Pag. 73 che stavano bene in un atto a parte. Se non sbaglio, noi avevamo previsto così.
  Sulle modifiche lessicali richiamate nella tabellina che ho inviato non starei a ripetere quello che è scritto, che può essere tranquillamente rivisto senza il mio intervento. Se ho ancora dieci minuti, signora presidente, mi soffermerei velocemente su tre o quattro modifiche che ho proposto, per illustrarle meglio.
  Per quanto riguarda l'articolo 65, al comma 2 si dice che «si applicano, per quanto non specificamente previsto dalle disposizioni della sezione, le disposizioni del Titolo III, in quanto compatibili». Si tratta delle disposizioni sul procedimento unitario, perché avevamo voluto appositamente strutturare i procedimenti della crisi in modo unitario e poi discostarsene solo laddove necessario. È stato suggerito da un collega che ha fatto parte della prima Commissione e non della seconda di aggiungere questo inciso, che io ho riportato perché condivido l'osservazione, cioè «in quanto compatibili con il carattere semplificato delle procedure di cui al comma 1». L'intento è quello di specificare meglio (credo che fosse implicito) che il rinvio alle norme sul procedimento unitario non deve essere solo compatibile, ma anche relativo a disposizioni che non appesantiscano troppo i procedimenti semplificati della crisi cosiddetta «minore» del sovraindebitato, quindi del consumatore dell'impresa minore.
  All'articolo 70, dove si parla dell'omologazione del piano, avrei inserito una precisazione relativa alla pubblicazione sul sito del tribunale anche della relazione, non solo del piano proposto dal debitore. Anche qui ci si poteva arrivare per via interpretativa, ma mi sembra meglio specificarlo, anche perché la relazione è il documento più importante. Il piano infatti può essere sottoscritto e presentato direttamente dal debitore: l'OCC in questo caso può avere una funzione solamente veicolare nel Pag. 74senso che deve depositarlo, ma può trattarsi di un piano predisposto dal debitore. Invece la relazione è l'elemento che giudica e valuta, quindi il documento più importante per i creditori.
  Ho voluto aggiungere per maggior chiarezza anche la necessità di oscuramento dei dati sensibili della relazione e del piano, perché mi è capitato di vedere piani pubblicati in cui non veniva cancellato nemmeno il luogo di residenza del sovraindebitato e della sua famiglia con figli minori; quindi credo che forse sarebbe opportuno inserire tale disposizione, per quanto si possa ricavare già dal sistema.
  Particolarmente delicata l'osservazione che vorrei fare con riferimento all'articolo 268, che concerne la legittimazione dei creditori a chiedere la liquidazione del sovraindebitato, perché qui credo che ci sia stato un errore nella redazione della legge delega, non so se addebitabile alla Commissione oppure alle modifiche fatte dall'Ufficio legislativo.
  L'avverbio è stato messo nel posto sbagliato, perché, così come formulata la norma, sembra che il creditore possa promuovere la liquidazione anche quando il soggetto si trovi già in procedure esecutive individuali, il che evidentemente è pleonastico perché, se lo può fare quando il debitore non è in esecuzione individuale, a maggior ragione lo può fare dopo. In realtà, l'intenzione della Commissione era esattamente l'opposta, e dai commenti che ho sentito la disposizione viene interpretata nel senso giusto anche se letteralmente porterebbe a un'interpretazione sbagliata: qua si voleva limitare la legittimazione attiva del creditore solo al momento in cui fosse già pendente una procedura esecutiva individuale, e viceversa il creditore non sarebbe legittimato a chiedere la liquidazione se non c'è già una procedura in corso. Anche su questo punto quindi sollecito la correzione del testo. Pag. 75
  Per quanto riguarda l'articolo 272 avrei inserito un inciso che prevede la pubblicazione del programma di liquidazione, adesso non prevista. È prevista la pubblicazione del piano, cioè della domanda e della relazione dell'OCC; ma nel caso della liquidazione c'è un documento in più non richiesto nelle altre procedure minori, che è il programma di liquidazione.
  Credo sia importante pubblicarlo perché il programma di liquidazione non interessa solo il debitore sovraindebitato e i creditori, ma riguarda anche i terzi che possono avere interesse a partecipare, nel senso di acquistare le attività da liquidare.
  Mi sono permesso di segnalare – lo trovate in calce al mio schema – che per quanto riguarda il dossier, che è il dossier ufficiale che si trova sul sito della Camera, che è anche quello che mi è stato inviato, alla pagina 63, nel commento all'articolo 84, sul concordato preventivo si fa riferimento al mantenimento della forza lavoro di almeno il 30 per cento. Invece, nel testo ufficiale dello schema di decreto legislativo si parla di metà, almeno metà della forza lavoro relativa agli ultimi due anni.
  Questo errore del 30 per cento mi ha allarmato perché l'ho trovato anche in un testo dello schema di decreto legislativo, che ho stampato dopo il 14 novembre e che quindi sta circolando.
  Solleciterei una semplice verifica di questo aspetto.
  C'è comunque già un contrasto, attualmente, nei documenti ufficiali della Camera. Forse è il caso di fare una verifica sul testo che è pervenuto dal Consiglio dei ministri.
  Presidente, avrei finito.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIO PERANTONI. Grazie, presidente. Vorrei chiedere un'opinione agli auditi. Mi pare che con questo codice si Pag. 76istituzionalizzi in modo profondo la differenza tra stato di crisi e insolvenza, che sono due concetti evidentemente diversi, che danno luogo a conseguenze diverse anche all'interno dello stesso codice, nel senso che è auspicabile che l'imprenditore in stato di crisi, e non in stato di insolvenza, attivi quelle misure che possono poi portare al mantenimento degli impegni.
  A vostro parere è sufficientemente chiara la distinzione concettuale all'interno del codice di questi due, chiamiamoli così, istituti? Perché, a mio parere, vedo una certa sovrapposizione di concetti fin dall'inizio del codice stesso. Faccio riferimento già agli articoli 13 e 15.
  Lasciamo stare le soglie, ma anche quando nell'articolo 13 si dice che «costituiscono indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto all'articolo 24», la formulazione sembrerebbe richiamare un concetto più simile all'insolvenza che allo stato di crisi.
  Vorrei, cortesemente, una vostra opinione in merito. Grazie.

  ALFREDO BAZOLI. Anche io ringrazio molto gli auditi, il Presidente Rordorf e il dottor Demarchi.
  Vorrei fare una domanda al Presidente Rordorf. Nel testo del decreto legislativo, quando si parla del concordato preventivo, all'articolo 84, il comma 1 dice che con il concordato preventivo il debitore realizza il soddisfacimento dei creditori mediante la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio.
  Ci è stato segnalato – vorrei da lei un'opinione al riguardo – che così come è descritto e delineato nello schema, sembrerebbe allontanarsi dall'idea tradizionale che il concordato preventivo deve essere finalizzato anzitutto al miglior soddisfacimento dei creditori e potrebbe, invece, aprire ad un'interpretazione del concordato preventivo come una sorta di mini amministrazione straordinaria. Quindi, in realtà, il concordato Pag. 77preventivo non sarebbe più finalizzato al miglior soddisfacimento dei creditori, ma dovrebbe contemperare da un lato il soddisfacimento dei creditori e dall'altro lato la continuità aziendale e la conservazione dei valori dell'impresa, che lei, Presidente Rordorf, ha giustamente richiamato come uno degli obiettivi della riforma.
  La mia domanda è questa: secondo lei, siccome c'è stato chiesto di modificare la norma, perché così com'è aprirebbe all'interpretazione suddetta, quest'interpretazione è coerente con le finalità e gli obiettivi della riforma complessiva oppure è opportuno e necessario, come ci viene richiesto, salvaguardare quel principio per il quale le procedure concorsuali, a parte l'amministrazione straordinaria, sono destinate in primo luogo al miglior soddisfacimento dei creditori? Questa è una domanda di filosofia di sistema che, però, poi ha riflessi anche sulla esatta dizione delle norme.
  Invece, al dottor Demarchi chiederei sulle procedure di sovraindebitamento chiarimenti su due aspetti che sono emersi nelle audizioni e che hanno avuto, anche su questo, qualche opinione diversa.
  Cosa ne pensa lei dell'opportunità di inserire l'obbligatorietà della difesa tecnica per chi accede agli organismi di composizione della crisi? Perché ci è stato fatto rilevare che oggi ciò non è previsto, eppure su procedimenti che aprono anche a contenziosi di natura giurisdizionale e hanno complessità tecnica si dice – e mi pare che abbia un suo fondamento questa idea – che sarebbe opportuno introdurre la necessità della difesa tecnica anche per l'accesso agli organismi di composizione della crisi.
  Secondo aspetto: sulla esecuzione del piano di concordato nel caso di sovraindebitamento, qualcuno ci ha suggerito l'opportunità di incaricare gli organi di composizione della crisi di Pag. 78curare l'adempimento del piano e di non lasciarlo esclusivamente nelle mani del debitore, perché si dice che questo potrebbe dare problemi di natura tecnica, potrebbe essere inopportuno.
  Si potrebbero incaricare gli organismi di composizione della crisi di curare l'adempimento del piano un po’ come se fossero dei curatori. Su questo ci sono opinioni differenti e volevo avere una sua valutazione.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  RENATO RORDORF, presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. L'onorevole Perantoni sottolinea il tema della differenza tra crisi e insolvenza. Mi pare che si possa riassumere così la sua domanda.
  Tendenzialmente non trovo particolarmente problematica questa differenza. È chiaro che volendola descrivere in modo molto sommario l'insolvenza è l'incapacità di far fronte ordinariamente ai propri debiti. Si è ritenuto di non cambiare quello che oggi è l'articolo 5 della legge fallimentare, anche se ci sono state delle spinte a rivedere la nozione stessa di insolvenza. Si è scelto così – ricordo che se ne è discusso in Commissione e poi questa scelta è stata condivisa dal Parlamento e dal Governo – perché, al di là delle definizioni teoriche che si possono dare, quella è una nozione che ha trovato settant'anni di applicazione, sostanzialmente non particolarmente problematica.
  Grandi controversie dove si discutesse concettualmente dell'insolvenza non ne ho viste. Fondamentalmente, quando parliamo di insolvenza in quei termini ci capiamo. La nozione di crisi, che non c'era nella legge fallimentare originaria, come lei sa, e che è stata introdotta dopo, è più difficile da definire. Però, anche gli strumenti normativi europei ce lo richiedono. Pag. 79
  Se la memoria non mi inganna, vado a memoria, nella proposta di direttiva sulle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti in corso di esame presso le istituzioni europee (COM (2016) 723), nel testo inglese, si parla di likelihood of insolvency, cioè della probabilità di una futura insolvenza.
  Si è cercato quindi di dare alla crisi una definizione in termini che forse si potrebbero riassumere con l'espressione di «insolvenza prospettica», vale a dire di qualcosa che non sarebbe oggi ancora qualificabile come insolvenza nei termini che abbiamo detto e che però lascia intendere che se l'andamento dell'impresa continua come sta andando, tra sei mesi – nella definizione del codice mi pare che la prospettiva temporale sia di sei mesi – sarà insolvente.
  Da un punto di vista concettuale ci sono alcuni riferimenti che sono stati inseriti in particolare dai cultori della scienza aziendalistica, sui quali io non ho competenza per dire quanto precisi o puntuali siano. Mi pare tuttavia che tali riferimenti siano sufficientemente condivisi dagli aziendalisti quanto alla definizione dei due termini che quindi mi sembra concettualmente siano abbastanza e nettamente definiti. Che poi la corretta definizione concettuale del confine tra crisi e insolvenza riesca anche a tradursi nella realtà delle cose in una facile individuazione della linea di confine tra le due situazioni è tutt'altro discorso, perché naturalmente sappiamo che stiamo parlando di una realtà che è quanto di più dinamico ci possa essere.
  L'impresa è per definizione una realtà dinamica, in continuo movimento, in continuo cambiamento. La situazione di ieri non è già più quella di oggi e certamente non sarà quella di domani. Quindi, il passaggio di questa linea d'ombra tra crisi e insolvenza Pag. 80 inevitabilmente è un passaggio non facilissimo da tracciare.
  Io non sono così sicuro – poi magari la realtà mi smentirà, perché poi le previsioni su che cosa nella realtà accade sono sempre difficili – che questo sia veramente un grosso problema, onestamente. Non ne sono così sicuro. E’ vero – e molto giustamente lei lo ricordava – che le procedure di allerta dovrebbero riguardare le imprese in crisi. Quindi, per stabilire se trova o no spazio una procedura di allerta, in teoria uno si dovrebbe chiedere se siamo alla crisi o siamo già all'insolvenza. Francamente, il vero discrimine a me pare, se badiamo non ai nomi e alle definizioni, ma al senso dell'istituto, il vero discrimine, come accennavo prima, è se siamo ancora in grado di recuperare la vitalità di questa impresa oppure no, oppure dobbiamo andare a liquidarla e basta. Questo è il vero problema.
  Forse la nozione veramente decisiva – mi permetto di dirlo, ma qua parlo praeter legem e me ne rendo conto – non è tanto la distinzione tra crisi e insolvenza, quanto piuttosto la distinzione tra insolvenza reversibile o insolvenza irreversibile. È quello il vero punto oltre il quale cambiano le cose.
  Dunque, se una impresa, che tecnicamente si potrebbe già considerare insolvente, ma che ha delle possibilità di riprendersi attraverso un opportuno tavolo di trattative da aprire con i suoi debitori, accede alla procedura di allerta va benissimo. Tanto quello che conta non è come si entra nella procedura, ma come si esce.
  Se un'impresa è entrata nella procedura di allerta con sintomi che sono più o meno quelli di crisi/insolvenza e poi con la composizione assistita – lo ripeto, allerta e composizione assistita, io metto molto l'accento sulla seconda parte della frase, vale a dire sulla composizione assistita – si trova il modo Pag. 81di salvare l'azienda e di raggiungere un accordo con i creditori, che sarà di concordato, un accordo di ristrutturazione anziché liquidatorio, nessuno starà più tanto a spaccare il capello in quattro, per capire se quella era crisi o era insolvenza. Non so se questo risponde alla domanda dell'onorevole Perantoni.
  L'osservazione dell'onorevole Bazoli si lega in qualche modo a quello di cui abbiamo appena parlato. Ricordo che – anche qui vado a memoria, forse il dottor Demarchi lo ricorda – nella bozza che avevamo preparato come Commissione ministeriale, nella parte iniziale, quella relativa ai princìpi generali e alle definizioni, avevamo introdotto un articolo, che credo fosse l'articolo 3 – che non è stato poi ripreso (fu una scelta) –, intitolato «Finalità delle procedure» o «Scopo delle procedure», che metteva nero su bianco le priorità. Tale articolo chiariva che le procedure, tutte, anche quelle di concordato, sono destinate al miglior soddisfacimento dei creditori, ove possibile salvaguardando il valore dell'impresa e mantenendo i livelli occupazionali, o qualcosa del genere.
  Francamente riprenderei quell'articolo, però non voglio fare il venditore della mia merce, naturalmente. È il conflitto di interessi di cui parlava il mio collega.
  Stando al testo attuale, aggiungere l'aggettivo «miglior soddisfacimento» nel primo comma dell'articolo 84, secondo me, ci sta, perché questa previsione è stata introdotta ex novo.
  Il discorso di fondo, però, è quello che facevamo un momento fa: dovrebbe riuscire a emergere quel discorso dalla formulazione dell'articolo. Quello resta l'obiettivo. Non è cambiato l'obiettivo di fondo del concordato preventivo. Il concordato preventivo continua ad avere come suo obiettivo di fondo il miglior soddisfacimento dei creditori, dove «migliore» implica un termine di relazione, che è migliore rispetto al soddisfacimento che i creditori otterrebbero da una procedura Pag. 82liquidatoria. Questo è il senso del miglior soddisfacimento, evidentemente: il migliore possibile, anche in termini assoluti. Tuttavia, il termine di paragone è quello, perché le alternative sono quelle. L'integrazione alla formulazione del testo vale certamente a chiarire il senso di questo aspetto. Che poi ci sia il tentativo di favorire soluzioni negoziali e quindi soluzioni che conservino anche il valore dell'impresa, questo è opportuno.
  Qui l'accostamento, almeno ideale, con i princìpi – poi l'attuazione è un'altra cosa – dell'amministrazione straordinaria ci sta. Prima di tutto ci sono i creditori, perché non possiamo espropriare il credito. Ci sono princìpi costituzionali di tutela del credito che non ce lo consentono. Quindi, prima di tutto ci deve essere il soddisfacimento dei creditori.
  Facciamo in modo che il soddisfacimento dei creditori riesca a realizzarsi salvando il più possibile l'impresa, perché spesso – e di nuovo, se c'è la percezione tempestiva e quindi il funzionamento dell'allerta e tutto ciò che abbiamo detto – i creditori possono trovare un maggiore e un migliore soddisfacimento attraverso un'impresa che si risana e che quindi, risanandosi, paga i propri debiti, almeno in una percentuale sufficiente e adeguata, anziché nei confronti di un'impresa che viene smembrata, che viene liquidata, con perdita di avviamento, dove i creditori alla fine ricavano meno.
  L'ordine delle priorità dovrebbe essere quello. Personalmente vedrei con favore l'indicazione «miglior soddisfacimento dei creditori». Ancor più – ripeto – mi piacerebbe reintrodurre una norma generale di principio che mettesse in chiaro questa gerarchia dei valori di cui ho fatto cenno.
  Non so se il mio collega è d'accordo su questo.

  PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO, componente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. Onorevoli Perantoni Pag. 83e Bazoli, mi permetto una brevissima invasione di campo, nel senso che la domanda era stata posta al Presidente Rordorf. Però, siccome la mia sottocommissione si occupava non solo del sovraindebitamento, ma anche del concordato preventivo, forse posso dire qualcosa di utile.
  Concordo con quanto ha detto il Presidente Rordorf. In effetti, c'era stata la discussione sull'opportunità o meno di inserire nel testo di legge una definizione che fosse mirata anche alla funzione delle varie procedure. Tale definizione è stata molto osteggiata e alla fine non ricordo se l'avevamo riprodotta.

  RENATO RORDORF, presidente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. Noi ce l'avevamo.

  PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO, componente della Commissione ministeriale per la riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali. Ecco, però so che c'erano molte opinioni contrarie. Però, con riferimento al concordato, innanzitutto vorrei dire che la mancata indicazione in modo specifico del «migliore soddisfacimento» forse sta proprio nella natura del concordato, perché rispetto al passato si è voluto innovare sotto questo profilo: in passato il concordato era indifferentemente liquidatorio o in continuità; anzi, era prevalentemente liquidatorio e, di fatto, era quindi una duplicazione della liquidazione del fallimento.
  Si è cercato di accentuare il carattere di continuità del concordato ed è proprio in questo che esso si differenzia dalla liquidazione, tanto che il concordato liquidatorio praticamente sparisce, salvo che ci siano delle convenienze per i creditori e allora viene mantenuto, proprio per garantire il miglior soddisfacimento. Pag. 84
  In prima battuta direi che forse appositamente si è tolto questo aggettivo, proprio per dire che sicuramente l'obiettivo è quello di soddisfare i creditori, tenendo conto, però, anche degli interessi diversi, interessi sociali, interessi al mantenimento del lavoro, interessi alla prosecuzione dell'attività delle aziende, tanto che poi si sono ipotizzate anche soddisfazioni dei creditori diverse dalla mera percezione di denaro, nelle forme più svariate.
  Credo che forse questa eliminazione sia stata in parte pensata. Poi, vorrei dire che comunque esistono dei correttivi, nel senso che l'articolo 109 prevede sempre le percentuali di approvazione. Il concordato ha per sua natura proprio una maggior struttura negoziale, ed è lasciato più all'iniziativa dei creditori che non a quella della parte pubblica. C'è, quindi, un primo controllo, che è quello dei creditori, che devono votare per approvare il concordato e che ovviamente, se non sarà conveniente per loro rispetto all'alternativa liquidatoria, probabilmente non lo voteranno.
  Poi, c'è anche l'articolo 112, che è la riproduzione del cosiddetto «cram-down», vale a dire dell'istituto di matrice anglosassone per cui può essere imposto il concordato rispetto alla liquidazione, ma solo ove questo – come ha ricordato il Presidente Rordorf – sia maggiormente favorevole rispetto all'alternativa. Comunque, i correttivi sono già insiti, credo, nel sistema.
  Sotto il profilo concettuale, invece, forse è bene differenziare il concordato proprio come strumento che mira a conservare l'impresa, non dico con qualche sofferenza o limitazione per i creditori, però contemperando maggiormente i vari interessi in gioco.
  Per quanto riguarda, invece, le due domande relative al sovraindebitamento, credo che non sia necessario inserire come Pag. 85obbligatoria la difesa tecnica, perché il sovraindebitamento può essere di natura molto semplice o molto complessa. Prevedere la difesa tecnica obbligatoria per tutti i casi mi sembrava eccessivo e sarebbe stato comunque un costo aggiuntivo forse non giustificato.
  Credo che non sia escludibile l'intervento di un legale: il debitore che abbia necessità o piacere di avere una difesa tecnica sicuramente la può avere. Questo non viene escluso, però è lasciato al caso contingente, a seconda della complessità o del desiderio del debitore se munirsi o meno di difesa tecnica.
  Il problema forse sta nella prededuzione poi di queste spese. La vera questione è lì, perché è di carattere cronologico. Lì si può intervenire eventualmente per prevedere che nel caso di difesa tecnica per particolari complessità anche le spese del legale possano essere in prededuzione.
  Non farei, invece, la questione del possibile contenzioso che può nascere all'interno della procedura, perché questa è cosa diversa: un conto è la proposizione della domanda di procedura di sovraindebitamento che, appunto, a seconda della complessità o meno, può richiedere l'intervento del legale; se, viceversa, nel corso della procedura, ci sarà un contenzioso è ovvio che dovrà essere nominato un legale per assistere la parte.
  Per quanto riguarda l'esecuzione degli accordi, è stata giustamente rilevata la differenza tra quello che oggi si chiama, mi pare, accordo di ristrutturazione del consumatore e concordato minore da un lato e liquidazione controllata dall'altro.
  Dunque, anche questa differenza è voluta, nel senso che le prime due figure, cioè il concordato minore e l'accordo di ristrutturazione sono normalmente procedure più semplici, anche per il fatto che entrambe richiedono la predisposizione di un progetto preliminare con l'assistenza dell'OCC (organismo Pag. 86di composizione delle crisi) e quindi si tratta di eseguire un progetto ben definito.
  Nella liquidazione controllata, invece, il progetto non c'è. Il debitore semplicemente va presso il tribunale e chiede l'apertura di una procedura di liquidazione: da lì si apre tutta una fase anche più complessa, perché c'è, per esempio, l'accertamento dello stato passivo, che nelle altre procedure non è previsto, c'è la formazione del progetto di liquidazione, che nelle altre procedure non è previsto, e poi c'è da liquidare tutto e quindi vendere, cedere, affittare. È una procedura obiettivamente più complessa.
  Per questo nella liquidazione controllata è stato previsto che sia l'OCC a curare l'esecuzione della procedura, mentre nelle altre due si è preferito lasciare campo libero per evitare di appesantire troppo i costi della procedura.

  PRESIDENTE. Non ci sono altri interventi.
  Nel ringraziare i nostri ospiti per questa importante audizione, autorizzo la pubblicazione della documentazione depositata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 13.25, è ripresa alle 15.05.

PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE
RICCARDO AUGUSTO MARCHETTI

Audizione di rappresentanti del Consiglio
nazionale del notariato.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame dello schema di decreto legislativo recante codice della crisi di impresa e Pag. 87dell'insolvenza, di consiglieri nazionali del Consiglio nazionale del notariato.
  Diamo il benvenuto al dottor Massimo Palazzo e al dottor Enrico Maria Sironi, consiglieri nazionali del Consiglio nazionale del notariato.
  Do loro la parola, per un tempo di dieci minuti.

  ENRICO MARIA SIRONI, consigliere nazionale del Consiglio nazionale del notariato. Buongiorno a tutti. Intanto rivolgo ringraziamenti di prammatica ma sentiti da parte del Consiglio nazionale del notariato per quest'occasione di confronto su un tema, quello dell'attuazione della delega sulle crisi di impresa, che tra l'altro si segnala per il fatto che il Governo abbia voluto dare attuazione a questa delega che nasce dal precedente Parlamento. Questo la dice lunga sull'importanza del tema.
  La legge fallimentare, come voi sapete, risale al 1942 e spesso negli ultimi anni c'è stata una serie di interventi che sono andati proprio ad aggiornare e ad adeguare la disciplina al mutato contesto socio economico del Paese.
  Oggi, ci confrontiamo con questo decreto legislativo avendo anche la consapevolezza che il testo prevede una vacatio legis di diciotto mesi, quindi particolarmente lunga, e che il Parlamento ha in discussione – mi pare sia stato approvato la settimana scorsa in Senato – un disegno di legge che fissa un termine di due anni per gli eventuali decreti correttivi. È, quindi, un tema importante e delicato, ma che tutto sommato si può affrontare con sufficiente tranquillità e attenzione.
  Noi non interverremo sui massimi sistemi di questo schema di decreto legislativo, proprio anche alla luce di quanto detto prima, ma anche perché l'impianto effettivamente ricalca ciò che era contenuto nella legge delega, e quindi il dibattito è stato fatto già un anno e mezzo fa. Pag. 88
  Segnaliamo alcuni aspetti specifici. Innanzitutto, ai nostri occhi viene in considerazione l'articolo 6 dello schema di decreto, il quale, con l'obiettivo di perseguire il contenimento dei costi delle procedure, riconosce agli oneri professionali dei professionisti intervenuti nella procedura la prededucibilità dei crediti, limitandola al 75 per cento, e condizionandola al fatto che la procedura venga effettivamente aperta, ma prevede che non siano prededucibili crediti professionali per le prestazioni rese su incarico conferito dal debitore durante le procedure di allerta e composizione assistita della crisi a soggetti diversi dall'Organico di composizione della crisi d'impresa (Ocri).
  Siccome tra le varie attività professionali connesse c'è la verbalizzazione delle decisioni degli organi amministrativi delle società di capitali che decidono di richiedere l'ammissione al concordato preventivo o all'accordo di ristrutturazione, ed evidentemente in questo caso è necessario l'intervento notarile, ed evidentemente il notaio non coincide con l'Organico di composizione della crisi d'impresa (Ocri), ci sembra un po’ asistematico, che richieda una correzione, l'esclusione dalla prededucibilità del credito del notaio chiamato a ricevere queste verbalizzazioni. La proposta è, quindi, di fare un'eccezione per questa tipologia di credito professionale.
  Una seconda osservazione riguarda l'evento della morte del debitore. Gli articoli 35 e 36 dello schema di decreto legislativo, in assoluta continuità con quanto attualmente stabilito dall'articolo 12 della legge fallimentare, prevedono che, in caso di morte del debitore, la procedura continui nei confronti degli eredi, anche se abbiano accettato con beneficio d'inventario, stabilendo che, in caso di pluralità di eredi, se gli stessi non designano un rappresentante per la prosecuzione della procedura, il rappresentante venga designato dal giudice delegato. Pag. 89
  Ripeto che è un tema in cui si riprende letteralmente la disciplina vigente. Ci sembra che si possa, però, cogliere l'occasione del decreto legislativo in argomento per aggiornare il discorso, soprattutto per adeguarlo ai princìpi generali del diritto ereditario.
  Sappiamo che il chiamato all'eredità, se è nel possesso dei beni ereditari, ha tre mesi per accettare l'eredità, eventualmente con beneficio d'inventario: fissare in quindici giorni il termine per questa dichiarazione parlando solo di erede, significa costringere il chiamato a decidere in quindici giorni dall'apertura della successione.
  Allora, il suggerimento è di esplicitare che la continuazione della procedura può essere nei confronti anche del semplice chiamato e che la designazione del rappresentante comune è un atto di natura conservativa, che quindi rientra nella previsione dell'articolo 460 del codice civile, quindi non implica accettazione dell'eredità. Nulla di travolgente, ma è un'occasione per aggiustare una questione.
  Procedure di liquidazione dell'attivo, articolo 216: questo è un tema importante. L'articolo 216 mantiene la distinzione tra le operazioni di vendita mediante procedure competitive, quelle oggi disciplinate dalla legge fallimentare, e invece le operazioni di vendita secondo le disposizioni del codice di procedura civile, quindi quelle generali dell'esecuzione civile. Il comma 4 di tale articolo precisa che entrambe dette operazioni debbano essere effettuate con modalità telematiche tramite il portale delle vendite pubbliche.
  L'osservazione è che, probabilmente, in considerazione della particolarità delle operazioni di vendita nell'ambito delle procedure concorsuali, possa essere opportuno consentire al giudice un ampio grado di elasticità. Pur indirizzando verso l'utilizzo delle procedure telematiche delle operazioni di vendita, Pag. 90 ci sembrerebbe opportuno consentire, come del resto fa anche il codice di procedura civile, che il giudice possa decidere di ricorrere a diverse modalità quando la modalità telematica possa essere pregiudizievole per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura.
  Immaginiamo che nel patrimonio della persona soggetta a procedura concorsuale ci sia una quota di comproprietà: probabilmente, può essere più utile una procedura competitiva, che consente di rivolgersi direttamente agli altri comproprietari per vendere tempestivamente alle migliori condizioni il bene, anziché utilizzare le procedure telematiche. Ci sembra, sostanzialmente, che questa scelta finisca per irrigidire il sistema, vincolando eccessivamente il giudice delegato, e quindi alla fine portando a un risultato che potrebbe essere negativo.
  Non vi sto a descrivere nel dettaglio la proposta. È nel testo che abbiamo depositato.
  Sempre con riferimento all'articolo 216, un altro aspetto che probabilmente può essere opportuno chiarire è quello dell'esito della vendita mediante procedura competitiva.
  Mentre nel codice di procedura civile è chiaro che l'esecuzione si conclude con il decreto del giudice, nelle procedure competitive – la legge fallimentare attualmente non chiarisce – di fatto spesso accade che il giudice delegato disponga che la vendita venga eseguita dal notaio, ma non c'è disciplina, c'è un po’ di buio su questa vicenda.
  La proposta è di chiarirlo, stabilendo appunto che nelle vendite competitive l'ordinanza del giudice delegato può disporre che la vendita competitiva si concluda con atto notarile sostitutivo del decreto del giudice. La prassi è già così; probabilmente, vale la pena di dare dignità legislativa a questa prassi, che è evidentemente una prassi utile. Pag. 91
  Nella liquidazione coatta amministrativa, l'articolo 312, riproducendo il testo del vigente 210 della legge fallimentare, anche qui sostanzialmente rinuncia a fornire chiarimenti sulle modalità per le operazioni di liquidazione nella liquidazione coatta amministrativa.
  La proposta è di specificare che la vendita venga effettuata con le modalità dell'articolo 216 del decreto legislativo, comma 2, quindi vendita con procedura competitiva, salvo che sia diversamente disposto con il provvedimento dell'autorità vigilante, sempre per consentire la flessibilità di queste operazioni.
  Vengo agli ultimi due accenni. Abbiamo intitolato questo paragrafo: «Il ruolo del notaio nelle procedure di cui al codice della crisi d'impresa». Partiamo da una riflessione.
  L'articolo 15 della legge n. 3 del 2012, relativa alle crisi da sovraindebitamento, conferisce un ruolo al notaio come soggetto cui può essere attribuita la funzione degli organismi di composizione della crisi.
  Con la riforma di cui stiamo discutendo, viene istituito l'albo dei gestori della crisi e dell'insolvenza delle imprese presso il ministero, e si prevede che possa iscriversi una serie di soggetti, tra i quali non sono compresi i notai.
  Ci si chiede quale sia il motivo – probabilmente, è solo una svista – e si domanda se non sia il caso di prevedere l'inserimento dei notai tra i soggetti che possono iscriversi all'albo dei gestori delle crisi di impresa, o quanto meno tra i soggetti compresi nella qualifica di professionista indipendente di cui all'articolo 2 dello schema di decreto, cioè quei professionisti che possono rendere una serie di attestazioni e di certificazioni funzionali al buon esito delle procedure.
  Infine, sulla parte III del decreto legislativo, quella relativo alla garanzia a favore degli acquirenti degli immobili da costruire, introdotta nella legge delega proprio con il recepimento Pag. 92di una proposta in sede parlamentare, recepita dall'allora relatore, che vedo qui presente anche quest'oggi, l'onorevole Bazoli, ci limitiamo a dire che ovviamente auspichiamo e siamo convinti che questo testo consenta finalmente di dare piena soddisfazione alla tutela della posizione degli acquirenti degli immobili da costruire e, per quanto ci riguarda, e cioè per il ruolo che il decreto legislativo affida alla categoria notarile, assicuriamo che verrà assunto e svolto con il consueto senso di responsabilità e di lealtà verso l'ordinamento. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Sironi.
  Dopo l'intervento del dottor Massimo Palazzo faremo delle domande, se ce ne saranno.

  MASSIMO PALAZZO, consigliere nazionale del Consiglio nazionale del notariato. Mi associo alle parole di ringraziamento del notaio Sironi.
  Veramente in due minuti, vorrei riprendere soltanto un tema generale, cioè quello che la riforma, così come impostata, giurisdizionalizza molto il tema delle procedure concorsuali e dell'insolvenza, cioè il giudice è messo al centro della procedura con ampia discrezionalità.
  Ora, è chiaro che la legge ha un ruolo fondamentale e la giurisdizione ha un ruolo fondamentale. C'è una sottovalutazione, però, di un terzo pilastro, quello dell'autonomia privata.
  Voi avete ben presente che quello dell'insolvenza delle imprese è un tema di grande delicatezza, perché 1.700.000 persone ogni anno in Europa perde il proprio posto di lavoro a causa delle crisi d'impresa e dei conseguenti fallimenti. È, quindi, un tema che va ben oltre i tecnicismi che possono riguardare i giuristi, è un tema di grande impatto sociale.
  In questa prospettiva, già Carnelutti negli anni Cinquanta diceva: tanto meno giudice, tanto più notaio o, viceversa, tanto Pag. 93più notaio, tanto meno giudice. Pensare al notariato come una risorsa, come una struttura civile di intermediazione della complessità del diritto postmoderno, forse è un profilo che è un po’ mancato nella visione generale della riforma.
  Calando al nostro tema di attenzione, pensiamo per esempio alla continuità aziendale, garantita dall'affitto di azienda, che è uno strumento negoziale estremamente duttile e che può salvare posti di lavoro. Qui non si tratta di salvare l'imprenditore, si tratta di salvare posti di lavoro. Altri strumenti negoziali che solo la professionalità del notaio può introdurre come strumenti di lavoro e poi dare loro una normatività generalizzata attraverso l'inserimento o nel registro delle imprese o nei registri immobiliari, sono il trust e gli atti di destinazione a servizio del concordato e delle altre procedure concorsuali.
  Naturalmente, il discorso andrà avanti, la direttiva europea sull'insolvenza sarà approvata probabilmente prima della primavera del 2019, e quindi ci sarà ulteriormente tema di discussione, e ancora i diciotto mesi di vacatio legis saranno importanti per le riflessioni, però la riflessione con la quale vorrei lasciarvi è che in questo così complesso diritto postmoderno, effettivamente, quando il mare è molto mosso, è ancora più necessario un timone che non si irrigidisca e che corrisponda con duttile energia alla mobilità delle onde. Quel timone – noi ne siamo certi – può essere la funzione notarile, che si presta a rivestire la pluralità e a disciplinarla senza soffocarla.
  Molte grazie per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Palazzo.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALFREDO BAZOLI. Ho una domanda molto semplice e molto breve. Pag. 94
  Prendo spunto dall'ultima considerazione che ci avete lasciato nel vostro documento, e cioè la parte che riguarda le garanzie in favore degli acquirenti di immobili, parte della riforma che solitamente viene un po’ trascurata, che invece può produrre effetti positivi e moralizzatori nella cessione dei beni immobili.
  Vorrei solo sapere se secondo voi, così come è scritta e strutturata, la norma è efficace o se, in realtà, meriterebbe un'ulteriore verifica per renderla ancora più efficace rispetto agli obiettivi che ci siamo dati.

  ENRICO MARIA SIRONI, consigliere nazionale del Consiglio nazionale del notariato. Grazie della domanda. Noi riteniamo che così sia soddisfacente e che possa davvero dare soluzione. Oggi, come voi sapete, il sistema prevede che, in sede di preliminare di vendita degli immobili da costruire, il costruttore debba fornire una fideiussione che garantisca il promissario acquirente per l'eventuale mancata conclusione del definitivo, e che quindi consenta di rimborsarlo di quanto ha versato.
  La norma è assistita da nullità relativa, che può essere fatta valere solo dal promissario acquirente. Nei fatti, credo che il 98-99 per cento dei preliminari di vendita di immobili da costruire venga fatto con scrittura privata, quindi con atto predisposto dal costruttore. L'acquirente ha in mente tutto tranne che questa cosa. Firma, corona il sogno della sua vita di avere una bella casa, si preoccupa delle piastrelle e di altro, e solo a fine corsa, quando magari ha già anticipato il 60 per cento o anche più del corrispettivo, succede l'incidente.
  A quel punto, invocare la nullità del preliminare per la mancanza della fideiussione non serve più a nulla: non essendoci la fideiussione, non c'è nessuno che ti rimborsa e la nullità del preliminare non ti aggiungere nulla. Pag. 95
  La soluzione di dire che la fideiussione costituisce elemento essenziale del preliminare e che il preliminare debba essere fatto in forma autentica, coinvolgendo la responsabilità del notaio, pubblico ufficiale nella verifica che la fideiussione ci sia e che corrisponda allo schema predisposto con decreto ministeriale, fa sì che nessun notaio metta a rischio la propria responsabilità professionale per fare un preliminare senza la fideiussione. Tutti i preliminari, a questo punto, saranno stipulati con la fideiussione.
  La fideiussione dovrà essere adeguata al modello e al contenuto predisposto con decreto ministeriale, e quindi direi che possiamo essere tranquilli. Tra l'altro, il decreto prevede che la fideiussione perda efficacia solo quando il fideiussore riceva copia autentica dell'atto definitivo di vendita da cui risulti che è stata consegnata anche la polizza decennale postuma. Ancora una volta, quindi, il notaio non fa più l'atto se non c'è la polizza decennale postuma, e finché non c'è l'atto con la polizza decennale postuma, la fideiussione rimane efficace, e il promissario acquirente è completamente tutelato.

  PRESIDENTE. Non essendoci altre domande, ringrazio i rappresentanti del Consiglio nazionale del notariato e autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione depositata. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di Stefano Ambrosini, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro» e di Marco Gambardella, professore di diritto penale presso l'Università di Roma «La Sapienza».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame dello schema Pag. 96di decreto legislativo recante codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di Stefano Ambrosini, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro» e di Marco Gambardella, professore di diritto penale presso l'Università di Roma «La Sapienza».
  Do la parola agli auditi.

  STEFANO AMBROSINI, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro». Buongiorno a tutti. Cercherò di contenermi in dieci o quindici minuti.
  Io mi sono focalizzato su alcuni punti – dopo averli condivisi con parecchie persone che si possono definire stakeholder in questo settore – che sono frutto – mi permetto di dire – più del buonsenso. Non vi sottoporrò riflessioni sofisticate. Quelle le ho scritte quest'estate nella rivista diretta dal Presidente del Consiglio dei ministri, professor Conte, e dal consigliere di cassazione, dottor Di Marzio. Le ha avute il ministero in largo anticipo, quindi rimando a quel testo scritto, che posso far avere poi alla Commissione. Queste sono proprio riflessioni, rispetto alle quali però io sono convinto, come è capitato in altri casi, e anche in quelli in cui indegnamente ero presente al vostro cospetto, che il Parlamento possa fornire un contributo molto importante.
  Alcuni aspetti sono, a mio sommesso avviso, sfuggiti sia alla Commissione Rordorf, di cui pure ho fatto parte (io ho fatto parte della prima Commissione Rordorf, mi riferisco invece alla seconda), sia agli uffici che hanno lavorato su queste norme.
  La premessa è che le finalità dichiarata schiettamente di queste osservazioni sono: migliorare la tutela delle imprese e dei posti di lavoro, perché ci sono norme in controtendenza contro questo pur declamato obiettivo; un più efficiente funzionamento Pag. 97 della giustizia nel settore delle crisi; alcuni chiarimenti a mio modo di vedere importanti sul piano applicativo.
  La norma più pericolosa – ad avviso di molte tra imprese, banche, giudici e secondo l'opinione pressoché unanime dei professionisti di questo nostro settore – è la sequestrabilità delle aziende. C'è una norma che non siamo riusciti a far togliere – ci potete riuscire solo voi – che è il comma 1 dell'articolo 54: un imprenditore si rivolge al tribunale per avere aiuto e supporto, e il tribunale, mentre pensa, sequestra tutto.
  Non credo che neanche l'ordinamento dell'Unione Sovietica prevedesse una norma di questo genere, quindi voglio sperare che la vostra saggezza contribuisca a porre rimedio a questo vulnus, anche perché questa norma si pone in flagrante controtendenza sia rispetto al fine della tempestiva emersione della crisi sia di quello di favorire le soluzioni negoziate diverse dal fallimento, che si chiameranno, come ben sapete, d'ora in poi liquidazione giudiziale. Il mio suggerimento è di abrogare senz'altro questo primo comma dell'articolo 54.
  Altro tema molto delicato – vi prego di credere – per gli operatori, e quindi con un rebound molto forte su imprese e posti di lavoro, è il termine oggettivamente troppo breve per costruire un piano, una domanda, un'attestazione. Improvvidamente, si è previsto un termine compreso tra i 30 e i 60 giorni. Non c'è bisogno di aver trascorso ventisei anni, come me o altri, in questo campo per sapere che in 30 giorni, ma neanche in 60, non si riesce a fare nulla di tutto ciò.
  Il precetto è tanto più pernicioso in quanto si soggiunge che non può esservi proroga quando vi sia un'istanza di liquidazione giudiziale. Sono a pagina 2 del mio elaborato. La norma è l'articolo 44, comma 1, lettera a). Questi termini andrebbero Pag. 98senz'altro aumentati, rispettivamente, a 60 e a 90 giorni, mentre il divieto di proroga andrebbe soppresso.
  Vi è poi una variazione rispetto alla bozza Rordorf che è stata introdotta da ultimo. Il fine è perspicuo e anche commendevole, ma anche qui si rischia la più classica delle eterogenesi dei fini. In tema di affitto del compendio aziendale, di cui parlavano prima anche i notai per la loro rilevanza pratica, si postula il conseguimento di un requisito eccessivamente rigoroso, che neppure i sindacati a mio modo di vedere coltivano come desiderio, e cioè l'obbligo di mantenere o addirittura riassumere – pur essendotene tu imprenditore dovuto privare – un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due anni precedenti.
  L'esperienza insegna che, purtroppo, i salvataggi qualche volta passano per un sacrificio occupazionale che è impossibile predeterminare in maniera rigida. Chiedere a priori e necessariamente il salvataggio di almeno la metà della forza lavoro a pena di inammissibilità della domanda di concordato, ripeto seppur improntato a finalità commendevoli, è una forzatura pericolosa e verosimilmente controproducente.
  Mi permetto, quindi, di suggerire l'abrogazione di questa norma – siamo al comma 2 dell'articolo 84 – in subordine un significativo abbassamento di queste soglie. Non a caso, la prima versione uscita dal ministero prevedeva il 30 per cento della forza lavoro. Io suggerisco il 25 per cento, ma comunque soglie di maggiore ragionevolezza.
  Anche il criterio della prevalenza, e sono a pagina 3 del mio piccolo appunto, – purtroppo arriva dalla legge delega e obbliga noi tutti a confrontarci con questa norma – è dettato da un criterio meramente e inopportunamente quantitativo. Ce lo portiamo dietro dalla legge delega, ma vi è un modo per favorire i salvataggi delle imprese, dunque la continuità: la previsione di Pag. 99cui al comma 3 dell'articolo 84 andrebbe integrata con la precisazione che dal calcolo di prevalenza vadano scomputate quelle risorse che, sebbene ricavate dalla vendita di beni, e quindi da attività dismissive, vengono reimmesse nel ciclo produttivo. In questo modo, anche se in astratto prevale la componente dismissiva, se il frutto delle dismissioni viene reinvestito, questo è un modo pratico molto efficace secondo me per supportare la continuità.
  Altro aspetto è la moratoria biennale per i creditori privilegiati che deve essere di massimo due anni. Anche qui, il criterio è troppo rigido e la soglia eccessivamente bassa. Ne ha già parlato forse al Senato il presidente del tribunale di Roma la Malfa. Anch'io, come molti, siamo dell'avviso di aumentare questo periodo di moratoria dei privilegiati ad almeno tre o quattro anni.
  Ancora, ed è interessante perché tocca la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e lo storico principio del nemo tenetur se detegere, qui c'è una norma, quella prevista dalla lettera d) del comma 1 dell'articolo 84, non voglio dire liberticida, ma certo molto afflittiva, perché (e sono a pagina 4 dell'appunto) si obbliga l'imprenditore, o meglio gli amministratori dell'impresa collettiva, ad autoaccusarsi in qualche modo. Meglio sarebbe lasciare la norma com'è oggi, peraltro modificata soltanto tre anni fa con la novella del 2015, demandando queste attività all'organo elettivamente preposto, che è, com'è noto, il commissario giudiziale.
  Il secondo blocco di osservazioni, e mi avvio alla conclusione in pochi minuti, attiene alle misure di allerta, di cui già molti altri vi hanno parlato, ma c'è una scelta di fondo, che compete al Parlamento, che è quella di decidere se deflazionare il carico della giustizia in questo campo. Pag. 100
  Le misure di allerta oggi si riferiscono anche alle imprese minori, con un eccesso del mezzo rispetto al fine. Chiunque abbia letto la disciplina delle misure di allerta sa che sono piuttosto complesse e procedimentalizzate. Applicarle anche alle imprese minori significa ingolfare un sistema che deve ancora partire e non è pronto per partire. Non a caso, da qui la vacatio legis di 18 mesi, senza dire dell'appesantimento del lavoro dei soggetti preposti alle segnalazioni, a cominciare dagli enti tributari e previdenziali, a inevitabile scapito della qualità complessiva del servizio.
  Altro aspetto che rischia concretamente di ingolfare è la richiesta, che diventa un obbligo, fatta alle banche, e siamo all'articolo 14, di segnalare al collegio sindacale, non soltanto, come avevo suggerito insieme ad altri, le revoche degli affidamenti bancari, il che – come sappiamo tutti – ha un preciso senso, ma tutte le variazioni o revisioni dei contratti. Ogni volta, cioè, che si esercita lo ius variandi, anche per uno 0,01 di tasso o di commissione, ciò va segnalato al collegio sindacale, che si trova in questo modo travolto da una valanga di documenti largamente inutili. Se partiamo con il piede sbagliato, precostituendo una situazione di sovraccarico anche documentale degli organi, a mio modo di vedere facciamo una cosa sbagliata.
  È stata poi inopportunamente espunta, e siamo sempre alle misure a mio modo di vedere deflattive di un sovraccarico, la previsione dell'attuale articolo 15, ultimo comma. Che cosa ci dice questa norma oggi e che cosa dovrebbe continuare a dire secondo molti di noi? Che non si fa luogo alla liquidazione giudiziale se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dall'istruttoria è complessivamente inferiore a 30.000 euro, perché non si giustifica l'inizio di una procedura lunga, complessa e costosa quando l'allarme ingenerato da debiti così modesti è oggettivamente basso. Pag. 101
  Sempre come misure deflattive, anche nel concordato preventivo non si è intervenuti, nonostante le numerose sollecitazioni di dottrina e giurisprudenza, sulla norma relativa alle gare per la vendita dei beni nel concordato. Si continua, cioè, a parlare, all'articolo 91, comma 1, dello schema di decreto legislativo all'esame della Commissione giustizia, di specifici beni, quindi di qualunque bene, anche di modico valore, con ciò ingenerando di nuovo quello che a scuola tanti anni fa si chiamava un ufficio complicazione affari semplici, perché i beni di modico valore non hanno evidentemente alcun bisogno di un bando di gara dei costi per la pubblicità e dell'espletamento di una procedura siffatta.
  L'ultimo punto attiene ad alcuni chiarimenti di aspetti della disciplina che sarebbero a mio modo di vedere forieri di importanti ricadute applicative.
  Ancora in tema di offerte concorrenti, articolo 91, ultimo periodo del comma 1, non si precisa, di nuovo in tema di affitto di azienda, se essa vada messa all'asta pendente il contratto di affitto o meno. Sarebbe una precisazione importante che il compendio va venduto con l'affitto pendente, e ciò in piena coerenza con i princìpi civilistici sulla permanenza dei vincoli negoziali legalmente contratti.
  Infine, vengo a due ultime notazioni brevissime. All'articolo 119, sempre in tema di concordato preventivo, nonostante l'oscillazione della stessa Cassazione sulla risoluzione del concordato, ci si è dimenticati di precisare che non può farsi luogo a fallimento oggi, a la liquidazione giudiziale domani, senza la previa risoluzione del concordato, questo anche per ragioni intuitive, come hanno scritto in molti, di coerenza sistematica.
  Quanto, infine, un fugace cenno, al sovraindebitamento, nella disciplina sul piano di ristrutturazione – articoli 67 e seguenti, vado a mente, e non l'ho scritto nell'appunto, e me ne Pag. 102scuso – manca una clausola di rinvio, ovviamente in quanto compatibile, alla disciplina sul concordato preventivo. Questo rinvio sarebbe, invece, molto opportuno per evitare incertezze interpretative sul punto.
  Io avrei terminato.

  PRESIDENTE. Grazie mille, professor Ambrosini.
  Passiamo ora la parola al professor Marco Gambardella, professore di diritto penale presso l'università di Roma «La Sapienza».

  MARCO GAMBARDELLA, Professore di diritto penale presso l'Università di Roma «La Sapienza». Anch'io cercherò di essere rapido. Ho mandato uno scritto più ampio. Mi preme moltissimo segnalare, però – il mio intervento sarà limitato solo agli aspetti penali – che, dal punto di vista del penalista, questa riforma del sistema delle procedure concorsuali crea secondo me grandi problemi. È paradossale.
  Da una parte, come dirò velocemente, il codice della crisi d'impresa, prima ancora che la legge delega, non prende in considerazione il diritto penale, se non limitatamente. Paradossalmente, invece, a mio avviso, come cercherò di argomentare, l'entrata in vigore di questo codice della crisi d'impresa sarà travolta dal punto di vista penalistico da una serie di dichiarazione di incostituzionalità. Incombono, allo stato, una serie di profili di chiarissima incostituzionalità di questo codice della crisi d'impresa in materia penale. È paradossale. Cercherò velocemente di argomentarlo anche semplicemente, se ci riesco.
  È chiaro, anzitutto, che si è persa un'occasione, proprio perché la legge delega sembrerebbe non affrontare per nulla il diritto penale, anzi, ma sappiamo come dal 1942, mentre il diritto civile fallimentare è stato più volte riformato, il diritto penale fallimentare resta sostanzialmente, tranne limitate modifiche Pag. 103 del 2002, quello della legge del 1942, la legge fallimentare. Si è persa, quindi, un'occasione.
  Qual è, però, il punto centrale da cui dobbiamo muovere? Muoviamo dalla legge delega, che all'articolo 2 per quanto riguarda il penale stabilisce che dal punto di vista lessicale dovranno farsi le necessarie modifiche, perché l'espressione «fallimento» sarà sostituita con l'espressione «liquidazione giudiziale», ferma restando la continuità delle fattispecie criminose.
  Questo vuol dire che il legislatore delegante con questa semplice frasetta sembrerebbe imporre, dal punto di vista legislativo, l'impossibilità di riscontrare successivamente dei fenomeni di tipo abolitivo. Per chi non è esperto di rito penale, «abolitivo» vuol dire revocazione di un'incriminazione. Siamo sicuri che il legislatore può imporre con una frase del genere la non abolizione successiva di incriminazione in presenza di un cambiamento epocale, in quanto il substrato costitutivo di queste fattispecie viene a cambiare, perché il fallimento viene sostituito dalla liquidazione giudiziale?
  Questo non lo può dire il legislatore, lo sappiamo benissimo, lo deve accertare più tardi il diritto vivente, alla luce delle modifiche nell'avvicendamento tra le fattispecie incriminatrici che si sostituiscono nel tempo.
  Abbiamo un solo precedente in questo campo, è del 2009, il processo ad Angelo Rizzoli, l'unico processo che è stato fatto alla P2. Sappiamo che in quel processo la sentenza di condanna è stata revocata dopo la sentenza definitiva, perché il legislatore sostituì la procedura di amministrazione controllata e l'unica sentenza che avevamo in questo campo, l'unica in cui è stata condannata e riconosciuta la P2 per bancarotta in amministrazione controllata, è stata successivamente revocata. Pag. 104
  Se, quindi, cambiano le procedure fallimentari e concorsuali, per le Sezioni unite la condanna definitiva deve essere revocata. In tale maniera, quindi, mettiamo a rischio tutte le sentenze di condanna in materia fallimentare, e questo lo dobbiamo sapere. Che il legislatore scriva nella legge delega «ferma restando la continuità delle fattispecie criminose» non vuol dire nulla, bisogna vedere nell'avvicendamento se gli elementi costitutivi delle fattispecie restano omogenei.
  Vediamo, quindi, se restano omogenei e quali sono i profili di criticità a livello di questioni di costituzionalità. In primo luogo (ne salto molti, vado a quelli più importanti) un errore secondo me assoluto è stata la mancata definizione a livello penalistico del concetto di dissesto. Il dissesto è elemento costitutivo di molte fattispecie e per i penalisti, a differenza che per i civilisti e i fallimentaristi, non coincide con lo stato di insolvenza.
  Mentre per l'insolvenza è stato codificato, per il penalista non coincide, basta vedere tutti i reati fallimentari. Se guardo il ricorso abusivo al credito (articolo 218), viene punito l'amministratore che continua a ricorrere al credito dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza; se vado a vedere la bancarotta impropria da reato societario, il reato più contestato in Italia, il legislatore ha messo il dissesto che precede l'insolvenza o fallimento. Per il penalista, quindi, a differenza del civilista, c'è una progressione tra dissesto, insolvenza e fallimento, che deve essere tenuta in considerazione perché le fattispecie non vengono cambiate.
  Oltretutto il dissesto nel codice della crisi d'impresa (vi segnalo perché forse vi è sfuggito) è stato inserito ex novo senza delega, con eccesso o carenza di delega, all'interno di un reato importante, la bancarotta societaria preterintenzionale. Processi fondamentali come il crack Cirio e il crack Parmalat sono Pag. 105tutti fondati su questa incriminazione – bancarotta societaria preterintenzionale –, che oggi è disciplinata dall'articolo 223, comma 2, numero 2.
  Qui, al posto del fallimento, il codice della crisi introduce il dissesto, ma se io guardo all'articolo 349, mi dice che il termine «fallimento» deve essere sostituito con «liquidazione giudiziale», mentre qui lo avete sostituito con il termine «dissesto», ma qui la delega non c'era, e nel diritto penale non è di poco momento scrivere «dissesto» al posto di «fallimento», il dissesto è un concetto graduabile, l'insolvenza no.
  L'insolvenza è definita dall'articolo 15 della legge fallimentare e dall'articolo 2 del codice, mentre il dissesto non è definito, quindi c'è un chiaro eccesso di delega e non si rispetta quanto prescritto dall'articolo 349, che vuole che il termine «fallimento» sia sostituito dall'espressione «liquidazione giudiziale».
  Veniamo ad un altro profilo importantissimo, la bancarotta nel concordato preventivo. La bancarotta nel concordato preventivo è già oggi critica, era l'articolo 236, comma secondo, oggi diventa l'articolo 341, comma 2. Come sapete, il concordato preventivo ha alla base lo stato di crisi, che quindi diventa requisito costitutivo della fattispecie di bancarotta nel concordato preventivo, ma, se nella precedente legge fallimentare era giustificata l'equiparazione fra bancarotta nel concordato preventivo e bancarotta fraudolenta, perché la crisi è collegata all'insolvenza dall'articolo 160 (crisi e insolvenza sono in un rapporto scalare), oggi nel nuovo codice crisi e insolvenza vengono nettamente distinte, anzi la crisi è prodromica all'insolvenza.
  Questa equiparazione è chiaramente incostituzionale, perché è irragionevole, voi punite con le stesse pene un soggetto che ha commesso una bancarotta con il presupposto di insolvenza Pag. 106e un soggetto che ha commesso una bancarotta con il presupposto elemento costitutivo dello stato di crisi, che nel nuovo codice vengono distinti nettamente, sono concetti molto distanti tra loro, quindi diventa irragionevole questa equiparazione sanzionatoria.
  Un altro punto fondamentale in cui c'è un chiaro eccesso di delega è che il comma 3 dell'articolo 341 punisce la bancarotta negli accordi di ristrutturazione e nella convenzione di moratoria (è il vecchio articolo 236, ultimo comma), ma, in assenza di delega, il nuovo codice cambia il reato, punisce la bancarotta negli accordi di ristrutturazione efficace estesa, ma i vecchi accordi per cui si veniva puniti erano solo gli accordi di ristrutturazione con le banche, e anche la convenzione di moratoria precedente era la convenzione di moratoria con le banche e con gli intermediari finanziari.
  In assenza di delega, quindi, si passa da accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e banche ad accordi di ristrutturazione efficace estesa, ma questo allargamento dell'incriminazione non era previsto e chiaramente eccede la delega, perché qui la delega non c'era.
  Altro punto fondamentale, all'articolo 236-bis della legge fallimentare, il delitto di falso in attestazioni e relazioni. Anche qui, in assenza totale di delega, nel codice viene messo un nuovo requisito costitutivo: «se espone informazioni false od omette di riferire informazioni, il professionista attestatore», come si diceva prima, è il 236-bis, ma oggi viene aggiunto un pezzo, «in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati».
  Quando nel diritto penale connoti, ossia aggiungi un elemento, riduci la denotazione, cioè riduci il campo di applicazione della fattispecie; più connoti, cioè più elementi costitutivi Pag. 107metti, meno il campo di applicazione è largo, cioè più connoti, meno denoti.
  Questo requisito quindi esclude il giudizio di fattibilità economica del piano presentato dal debitore. Prima la lettura dell'articolo 236-bis vedeva due punti, l'attestazione di veridicità dei dati presentati dal debitore e il giudizio di fattibilità economica del piano presentato dal debitore, oggi la fattibilità economica è stata espunta dalla fattispecie, perché è precisato che la veridicità è la veridicità dei dati, quindi la fattibilità economica è eliminata. Cosa succede? Abolitio criminis parziale senza delega, una chiara abolizione parziale in assenza di delega, ma è incostituzionale.
  Altro punto stravagante, la causa di non punibilità, che è la circostanza attenuante che era l'altro aspetto previsto dalla legge delega. Qui cosa è successo? Anche la legge delega era ambigua, perché la causa di non punibilità prende in considerazione il danno di speciale tenuità, ma attenzione: la bancarotta fraudolenta, la più contestata, di cui all'articolo 216, è un reato di pericolo, quindi costruire una causa di non punibilità su un danno di speciale tenuità non ha molto senso.
  Io il senso l'ho trovato nella relazione dove si capisce bene che chi ha scritto questo testo ha una visione completamente diversa del diritto penale fallimentare, una visione che vede tutti i reati di bancarotta come reati di danno e lesione effettiva, ma questo è stato smentito anche dalle Sezioni unite.
  Non voglio essere molesto, capisco che forse nella Commissione c'era qualcuno che invece aveva idee diverse, ma far diventare tutti i reati di bancarotta reati di danno, come si dice nella relazione, e puntare su un danno di speciale tenuità vuol dire restringere di molto il campo applicativo.
  I reati di bancarotta sono reati di pericolo concreto, cioè la distrazione non deve causare il fallimento o il dissesto, la Pag. 108distrazione deve essere pericolosa in se stessa, quindi se li faccio diventare reati di danno, poi occorrerà provare che la condotta di distrazione (processualmente lo deve provare il pubblico ministero) ha causato l'insolvenza fallimento.
  Come siamo oggi, invece, il pubblico ministero deve solo provare che la condotta di distrazione è concretamente pericolosa rispetto alla par condicio creditorum, rispetto al patrimonio del debitore che rappresenta l'interesse tutelato da questi reati.
  L'ultima osservazione, forse la più urgente, la disciplina transitoria. Avete capito bene che succede con il diritto penale, perché all'inizio non era chiaro, poi ho visto che è stato aggiunto un comma nell'ultima versione, nella parte transitoria che è importantissima, all'articolo 389, comma 3, che nelle vecchie versioni di questo articolato non c'era e che giustamente è stato aggiunto. Però bisogna riflettere che ci sarà una sorta di doppio binario.
  Questo codice entra in vigore entro 180 giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. In quei 180 giorni ci saranno molti procedimenti penali che continueranno con la vecchia legge fallimentare o vi faranno riferimento, perché si formerà una sorta di doppio binario, ci sarà chi sarà processato ai sensi dei nuovi reati del codice e chi sarà processato ancora ai sensi dei vecchi reati previsti dalla legge fallimentare.
  In questo codice abbiamo previsto sia la causa di non punibilità, sia la circostanza attenuante ad ampio raggio che abbatte la metà della pena, solo per reati contestati con il nuovo codice. Ai procedimenti penali che continuano con la vecchia legge fallimentare non si applica né la causa di non punibilità, né la circostanza attenuante, ma questo non è possibile perché c'è una chiara disparità di trattamento, quindi per il principio di uguaglianza e di ragionevolezza, e poi c'è una nettissima Pag. 109lesione del principio di necessaria retroattività della legge penale più favorevole.
  Qui bisogna necessariamente pensare di allargare la disciplina transitoria e inserirla anche in relazione ai reati che continuano ad essere contestati e processati in base alla vecchia legge fallimentare, perché non è possibile non dare loro la causa di non punibilità.
  Vi faccio solo un esempio: abbiamo la bancarotta fraudolenta post fallimentare, per cui un soggetto prima fallisce e poi commette la condotta di distrazione, ma in questi casi avremo condotte qualificate ai sensi della legge fallimentare che addirittura potrebbero essere commesse dopo l'entrata in vigore del nuovo codice della crisi d'impresa, dopo quei 180 giorni, ma a quelli non vogliamo riconoscere la causa di non punibilità, la circostanza attenuante? Diventa chiaramente una disparità di trattamento e una lesione della retroattività della lex mitior.

  PRESIDENTE. Grazie. Il professor Ambrosini ha chiesto un minuto per una rettifica.

  STEFANO AMBROSINI, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro». Non una rettifica, solo un ulteriore spunto di cui mi ero scordato, e me ne scuso, ma non sarà sfuggito agli onorevoli componenti della Commissione. Si attribuisce all'esperto attestatore (parlo sia dei piani attestati che degli accordi di ristrutturazione, articoli 56 e 57) un compito che francamente un pur bravo dottore commercialista o revisore dei conti non può assolvere, perché si parla non solo di fattibilità economica, il che è corretto nella nuova prospettiva del legislatore, ma anche di fattibilità giuridica, articolo 56, comma 4, e articolo 57, comma 4.
  È chiaro che un dottore commercialista può occuparsi della fattibilità economica, non già anche della fattibilità giuridica, Pag. 110soprattutto nel caso dell'accordo di ristrutturazione (articolo 57), in cui, come sappiamo tutti, vi è un giudizio di omologazione e quindi compete al tribunale e non già all'attestatore, ratione materiae, verificare la fattibilità giuridica.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

  ALFREDO BAZOLI. Solo una precisazione, professore Ambrosini, sul concordato preventivo. Mi pare che lei abbia parlato del comma 2 dell'articolo 84 dello schema di decreto legislativo in esame, che si riferisce alla continuità diretta, ma riguardo al comma 3, nel quale si precisa che la prevalenza della continuità aziendale è sempre presunta quando i ricavi derivano da un'impresa nella quale sia addetta almeno la metà dei lavoratori in forza al momento del deposito del ricorso, su questo criterio rigido previsto dal comma 3, non ho capito la sua valutazione.

  STEFANO AMBROSINI, professore di diritto commerciale presso l'Università degli Studi del Piemonte Orientale «Amedeo Avogadro». Qui non mi ero occupato della prevalenza relativamente ai rapporti di lavoro, perché la norma si limita a fissare – forse non inopportunamente – una presunzione assoluta, la prevalenza si considera sempre sussistente.
  Io mi ero incentrato sulla frase prima, quando si traccia lo spartiacque per individuare questo criterio della prevalenza e ci si limita ad affermare «ivi compresa la cessione del magazzino». Oltre alla cessione del magazzino, che mi pare una precisazione opportuna ma non indispensabile, andrebbe aggiunto qualcosa di molto più utile e molto più incentivante la continuità, che è quella frase che mi sono permesso di suggerire a pagina 3 del mio appunto: «le risorse che, seppur ricavate Pag. 111dalla vendita di cespiti, quindi da un'attività di missiva, vengano reimmesse nel ciclo produttivo», perché questa componente consentirebbe di salvare molte imprese, anche quelle che a un criterio puramente quantitativo avrebbero la componente decisiva prevalente, quindi sarebbero tutti concordati inammissibili, sarebbero perciò solo delle liquidazioni giudiziali, salvo l'apporto esterno che però non è francamente molto diffuso.
  Reinserendo nel ciclo produttivo le risorse rinvenienti dalle dismissioni, abbiamo uno spostamento del baricentro a favore della continuità e quindi a favore dei salvataggi industriali. Questo era lo scopo della proposta.

  MARIO PERANTONI. Professor Gambardella, vorrei chiederle un chiarimento in merito all'introduzione delle due nuove fattispecie di reato relative ai diritti di falso nel procedimento dell'esdebitazione e di falso nell'attestazione dei componenti dell'Ocri.
  Ricordo che, come lei ha già sottolineato, la legge delega non prevede la possibilità di inserire nuove fattispecie di reato, ma potrebbe essere ipotizzabile il rispetto della delega qualora si considerassero queste nuove fattispecie come conseguenza necessaria del coordinamento tra le nuove...

  MARCO GAMBARDELLA, Professore di diritto penale presso l'Università di Roma «La Sapienza». Grazie, onorevole, non le ho citate perché secondo me rientrano in quella precisazione del comma 2 dell'articolo 1, che dava la possibilità di coordinare le disposizioni vigenti anche modificando la formulazione, la collazione delle norme non direttamente investite dai princìpi e criteri direttivi della delega.
  Qui il legislatore invece ha fatto bene a inserire queste due figure di reato, quindi direi che qui non c'è un problema di eccesso di delega. Pag. 112
  Solo una precisazione: volevo far notare come nella bancarotta, in relazione agli accordi di ristrutturazione e convenzioni di moratoria, addirittura la rubrica non corrisponda al contenuto del reato. Se guardate l'articolo 341, si parla ancora di concordato preventivo e accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzioni moratorie; se vado a vedere poi il reato, si parla di accordi di ristrutturazione di efficacia estesa.
  Io non sono un fallimentarista però sono andato a leggere la disciplina degli accordi di ristrutturazione di efficacia estesa e non fanno più riferimento a debiti con banche, e la convenzione di moratoria non è più quella di una volta, perché è estesa, non è più in relazione a debiti con istituti finanziari o banche, quindi è una convenzione di moratoria che posso fare con qualsiasi debitore o creditore, quindi addirittura la rubrica è quella vecchia e il reato in assenza di delega è stato assolutamente esteso.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi. Autorizzo la pubblicazione della documentazione depositata dagli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, dell'Associazione italiana revisori contabili (ASSIREVI), del Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro e dell'Associazione nazionale revisori contabili (ANREV).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame dello schema di decreto legislativo recante codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, dell'Associazione Pag. 113 italiana revisori contabili (ASSIREVI), del Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro e dell'Associazione nazionale revisori contabili (ANREV).
  Sono presenti Andrea Foschi, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili; Riccardo Ranalli, rappresentante del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili; Mario Boella, Presidente dell'Associazione italiana revisori contabili (ASSIREVI); Sergio Giorgini, Vice Presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro; Laura Edvige Bordoli, Presidente dell'Associazione nazionale revisori contabili (ANREV) e Alain Devalle, consulente.
  Do la parola agli auditi.

  ANDREA FOSCHI, consigliere nazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Buongiorno a tutti, grazie della parola, premetto che ci divideremo i cinque minuti con il dottor Ranalli e che sono stato componente dell'ultima Commissione Rordorf, quindi ho partecipato ai lavori per l'elaborazione dello schema di decreto legislativo da parte della Commissione Rordorf, oggi codice della crisi dell'impresa e dell'insolvenza.
  Siamo sostanzialmente favorevoli all'impianto, soprattutto dopo le modifiche intervenute nell'estate, fatte con un intenso lavoro del capo dell'Ufficio legislativo del ministero, con cui comunque abbiamo cercato, seppure unilateralmente, di interloquire, nel senso che gli abbiamo «rotto un po’ le scatole», però comunque siamo soddisfatti di quello che è intervenuto, si sono messe a posto talune cose.
  Oggi siamo concentrati su alcuni punti, che sono fondamentalmente quello di cui all'articolo 13, che per la maggior parte credo che in questo periodo si stiano mettendo a posto, perché tutte le proposte che abbiamo avanzato anche nell'audizione Pag. 114della Commissione giustizia al Senato sono in corso di recepimento, perché abbiamo lavorato insieme al Cerved in maniera consapevole, anche modificando la relazione che appoggiava l'indicazione di questi indici che dovevano essere gli elementi per cui si caratterizzava l'accesso alle procedure di allerta.
  L'altro tema fondamentale è che dopo tutte queste verifiche, dopo questi accertamenti (su questo il dottor Ranalli sarà più preciso) siamo qui per cercare di farvi capire che dobbiamo renderci conto che la platea degli interessati è molto più ampia di quella che si possa pensare. A prescindere dalla valutazione fatta da Banca d'Italia sul potenziale numero di soggetti coinvolti, proprio perché siamo consapevoli di come sia una riforma epocale anche di comportamento – sia dei professionisti sia soprattutto delle aziende, che devono sviluppare una visione prospettica sulla quale ci siamo battuti pesantemente perché bisogna iniziare a parlare della sostenibilità futura della propria azienda e non pensare solo ai risultati effettivi del bilancio dell'anno – tutto il comparto deve essere pronto a questa riforma.
  Se lo schema di decreto legislativo in esame entrerà in vigore con questi paletti, nonostante la vacatio legis di diciotto mesi che abbiamo richiesto da dicembre ad oggi, i numeri non saranno compatibili con la forza di risposta del mercato delle professioni e con tutti gli operatori di questo mercato.
  Lascio i numeri al dottor Ranalli, ma è fondamentale capire che il nostro approccio per far funzionare la norma è quello di chiedere un ulteriore rinvio per un settore delle imprese, cercando un paletto mediano tra quanto utilizzato per l'inserimento del collegio sindacale dei 2 milioni e gli attuali 8,8 milioni e chiedendo che le aziende con un fatturato inferiore a 5 milioni abbiano l'approccio alla procedura d'allerta dopo ulteriori diciotto mesi dal decorso della vacatio legis prevista. Pag. 115
  Facendo questo, anche come elemento che caratterizza la nostra volontà partecipativa, riteniamo giusto prorogare anche per quella tipologia di aziende di un ulteriore anno la nomina del collegio sindacale.
  Lo vediamo come un cambio di mentalità e di comportamento e lo si deve fare sia nel comparto aziende, sia nel mondo professionale, che deve approcciare questo nuovo incarico in una maniera corretta e professionalmente adeguata.
  Lascio la parola al dottor Ranalli, che sarà più puntuale sui numeri.

  RICCARDO RANALLI, rappresentante del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Grazie. Affronterò due temi, uno è questo, l'altro è una modifica altrettanto importante, ma principalmente urgente (sono due modifiche caratterizzate dall'urgenza).
  La prima attiene al fatto che l'indagine svolta da Cerved e Bankit sulle 180.000 società di capitali che sarebbero interessate dalla norma porterebbe secondo Bankit a un'individuazione dei sintomi di allerta in 8.550 casi, mentre secondo Cerved in 43.000 casi. Si potrà essere più precisi nella costruzione degli indici e ridurre questo universo, però tenete conto che gli indicatori esterni di segnalazione da parte dei creditori pubblici qualificati, quindi delle agenzie della riscossione, dell'Erario per quanto riguarda l'Iva e dell'INPS, stimano 14.300 situazioni di segnalazione.
  Queste sono situazioni molto prossime all'insolvenza. Se vogliamo essere efficaci nell'allerta, il numero delle segnalazioni è significativamente superiore, è vicino ai 30.000 o probabilmente superiore e prossimo ai numeri di Cerved e Bankit. Qual è la platea dei professionisti che può affrontarla e che è chiamata a formare i collegi? Se prendiamo gli ultimi dieci anni di concordati preventivi e di accordi di ristrutturazione, arriviamo Pag. 116 a 14.000 situazioni, con un coinvolgimento per operazione di 4-5 professionisti. Lo allarghiamo anche un po’, perché teniamo anche conto dei team nell'ambito degli advisor dei commercialisti e dei legali dei collaboratori, arriviamo al massimo a 80.000 interventi in dieci anni, che ricadono più o meno sempre sulle stesse teste, su una platea relativamente contenuta.
  Se mediamente ciascun soggetto ha seguito 6, 7 o 8 operazioni, arriviamo a un numero di 5.000 – 10.000 professionisti che nella migliore delle ipotesi costituiscono 3.000 collegi, che sono la forza che può essere messa a disposizione per fronteggiare l'onda iniziale di 30.000 – 40.000 casi, il che vuol dire attribuire ad ogni collegio più di 10 ruoli.
  Se andiamo a considerare il contenuto e le attività che deve svolgere il Collegio dell'Organico di composizione della crisi d'impresa (Ocri), ci rendiamo conto che è praticamente impossibile, quindi rischiamo di trovare l'Ocri inadeguato a svolgere il proprio ruolo o addirittura un esito negativo della procedura d'allerta, con conseguenze devastanti, perché di lì si va alla segnalazione al pubblico ministero, poi c'è il dovere di iniziativa da parte del pubblico ministero, e a questo punto stiamo appiccando un incendio che non sappiamo poi spegnere.
  La nostra ipotesi non è quella di allargare la platea dei professionisti, perché questo significa portare a bordo soggetti che non hanno la competenza nei delicati temi concorsualistici o aziendalistici, che non sono in grado di individuare con efficacia gli strumenti aziendalistici e gli strumenti giuridici utilizzabili per fronteggiare le singole situazioni di crisi, ma che oltretutto devono anche essere consapevoli della bancabilità delle proposte che vanno a proporre al ceto bancario che è attore fondamentale. Pag. 117
  L'altra soluzione potrebbe essere elevare la soglia degli indici, ma a questo punto vado a prendere solo le situazioni di insolvenza. Ne rimane solo una: cerco di ridurre la platea dell'impresa. Come posso ridurla? Le imprese meno preparate oggi sono più distanti e hanno i dati meno in ordine, sono le piccole imprese, e le faccio entrare in un momento successivo, quando si sarà già formata una best practice di comportamento dell'Ocri.
  Il secondo tema è un tema lessicale riferito al comma 1 dell'articolo 13. Nel comma 1 dell'articolo 13 (sono stato portatore del tema che è emerso o comunque l'ho cagionato in qualche parte) la preoccupazione grossa è individuare un qualche principio che consentisse di dire che all'Ocri finiscono le situazioni di crisi che portano ad un'insolvenza molto prossima, molto vicina.
  Da lì è comparsa questa indicazione della sostenibilità del debito dei sei mesi, ma in realtà quello che doveva essere scritto (si era tutti convinti che dovesse essere quello il testo) era che erano da intercettare situazioni di insostenibilità del debito nei sei mesi e non di sostenibilità del debito per poter accedere all'allerta, come se nel caso opposto si dovesse automaticamente andare verso una soluzione diversa, che era quella della liquidazione giudiziale. Anche qui c'è una proposta di modifica.

  PRESIDENTE. Ringrazio i dottori Foschi e Ranalli. Passiamo ora all'Associazione italiana revisori contabili. Do il benvenuto agli avvocati Mario Boella, Aldo Sacchi e Gerolamo Treccani.

  MARIO BOELLA, presidente dell'Associazione italiana revisori contabili (ASSIREVI). Noi non siamo noti come il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti. Devo rubare un minuto per dire cosa è Assirevi: un'associazione che raggruppa attualmente Pag. 118 le principali società di revisione operanti in Italia. I professionisti che operano nel settore della revisione sono circa 6.000. Assirevi si interessa di tematiche tecnico-professionali, di analisi dell'evoluzione della normativa, di tutto ciò che riguarda la pratica professionale delle società di revisione.
  Ovviamente il tema della crisi d'impresa e, nella terminologia più vicina a quella del revisore, il problema della continuità aziendale è un tema assolutamente rilevante per noi, l'abbiamo studiato e lo stiamo studiando con grande attenzione.
  In nostro intervento sarà basato su aspetti puramente tecnici, mentre gli aspetti di problematica di mercato e di realizzazione pratica sono stati espressi molto chiaramente dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti.
  Noi abbiamo fatto un'analisi di ciò che oggi la norma richiede al revisore contabile nell'ambito della sua procedura d'allerta, quindi siamo nella fase preliminare, una fase ben definita. L'articolo 14 dello schema di decreto legislativo al vostro esame prevede che l'organo di controllo e il revisore debbano verificare che l'organo amministrativo valuti costantemente se l'assetto organizzativo dell'impresa sia adeguato e se sussista il suo equilibrio economico.
  Secondo punto, segnalare immediatamente all'organo amministrativo della società l'esistenza di fondati indizi di crisi e, in caso di omessa o inadeguata risposta dell'organo amministrativo, ovvero di mancata adozione delle misure ritenute necessarie, informare senza indugio l'Ocri. Sono attività che il revisore fa normalmente nello svolgimento dei suoi compiti, ma è interessante che si aggiunga «ciascuno nell'ambito delle proprie funzioni». Cosa si vuol dire? Differenziare la posizione dell'organo di controllo da quella del revisore o fare un richiamo specifico di quelle che sono le regole di comportamento previste dalle norme professionali in materia. Pag. 119
  Sappiamo tutti qual è la funzione del revisore – emettere un giudizio sulla correttezza del bilancio – e lo fa applicando dei princìpi previsti da una normativa (non sto dicendo cose nuove, il decreto legislativo n. 39 del 2010 introduce questi princìpi di revisione), ma è interessante vedere come nell'ambito dei princìpi di revisione uno sia specificamente dedicato all'attività che il revisore deve fare per accertare la sostenibilità e la continuità dell'attività dell'impresa. Questo è il principio ISA 570, che cito non per sfoggio di competenza (è il nostro mestiere, quindi ci mancherebbe che non conoscessi ISA 570), ma perché nel principio ISA 570 si stabiliscono le cose che deve fare il revisore.
  Questo principio dice che il revisore deve acquisire degli elementi probativi per accertare e valutare se sia correttamente applicato l'utilizzo del presupposto della continuità aziendale nel bilancio. Non vorrei eccedere nel tecnicismo, ma vi dico questo: se non c'è la continuità dell'attività dell'impresa, cambiano i princìpi contabili, cambia il modo di fare il bilancio, cambiano, quindi, anche le valutazioni che fa il revisore e pertanto c'è una connessione, un collegamento importante.
  Ricerca degli elementi probanti, analisi di tutti gli elementi che il revisore raccoglie ai fini di accertare questa continuità aziendale. Potrebbe essere che il revisore si trovi di fronte a delle incertezze significative sulla continuità aziendale. Vuol dire che esistono problematiche di inizio di crisi o addirittura che la crisi c'è già. Cosa fa il revisore in questo caso? Il revisore a questo punto riflette questa situazione nella sua relazione di revisione, ed è l'unico momento allo stato attuale in cui il revisore si esprime all'esterno, perché la relazione va all'esterno, sulla tematica della continuità aziendale, cosa che prima di arrivare a questa decisione ovviamente non viene fatta, ma Pag. 120viene fatta attraverso un colloquio continuo con gli organi di governance della società.
  Questo è importante per far capire quello che può essere stato un momento di sbandamento del revisore quando si è trovato davanti a una norma che afferma che si deve pronunciare e parlare della continuità anche durante il proprio lavoro, quindi non solo alla fine.
  Faccio un'altra osservazione. Oggi che cosa succede quando si fa la revisione e si trova un'azienda che ha problemi di continuità aziendale, cioè è in crisi aziendale? Per arrivare a dire «guardate, io devo denunciare, devo indicare questo stato di incertezza, con le conseguenze tecniche sulla mia opinione che esprimo», si aspetta fino all'ultimo. Infatti, quello che avviene nella pratica, salvo casi ovviamente disastrati e disperati, è che l'azienda ti dice «sta arrivando il cavaliere bianco con il cestino pieno di soldi, che può essere la banca, può essere un istituto diverso» e questo porta la decisione finale fino al momento ultimo in cui si firma la relazione di revisione, non per cattiveria di nessuno, ma perché gli elementi probativi devono essere raccolti fino all'ultimo.
  Questo è il quadro. Tenete presente che noi abbiamo fatto una specie di parallelo tra l'attività che facciamo oggi e quello che ci chiede la norma che verrà approvata prossimamente. Quali sono gli elementi nuovi o gli elementi di interesse? Il primo sono gli indicatori. Voi sapete che è richiesto che vengano definiti gli indicatori. Bene la soluzione di aver dato questo incarico al Consiglio nazionale. Teniamo presente che il famoso principio ISA 570 parla già degli indicatori e sono indicatori che sono stati definiti, seppure in modo esemplificativo, da uno standard che deriva da una conoscenza internazionale, quindi possiamo definirli indicatori di buon livello qualitativo. Allora bisogna di stare attenti a non avere la lista degli indicatori del Pag. 121principio ISA 570 e una lista di indicatori che sarà pubblicata. La banale osservazione che noi chiediamo è il coordinamento tra le due cose.
  Il coordinamento risulta anche facile, perché voi sapete che c'è un tavolo costituito dal Ministero dell'economia e delle finanze per la redazione dei princìpi di revisione, a cui partecipano il Consiglio nazionale, Assirevi e l'Istituto nazionale dei revisori legali. Ciò vuol dire che il Consiglio nazionale, nella sua definizione di questi indici, avrà sicuramente presente l'esperienza della tematica affrontata sul tavolo dei princìpi di revisione.
  Ciò che sarebbe auspicabile è che, senza mettere in piedi procedure di consultazione varie, nel lavoro del Consiglio nazionale venisse considerata anche la possibilità di contributo da parte degli altri componenti tecnici del tavolo.
  L'altro aspetto importante è quello del coinvolgimento dell'Ocri: la segnalazione che il revisore è chiamato a fare nei confronti dell'Ocri quando sussistono le condizioni. Abbiamo un problema di flussi informativi. Vi ricordo che il fatto che si attivi l'Ocri diventa un elemento probativo fondamentale per il revisore, con gli elementi probativi di cui vi ho parlato prima, per poter dare il proprio giudizio, e questo non è un fatto secondario. Infatti, cosa potrebbe succedere? Il revisore dice: «Va bene, c'è un caso di crisi aziendale, è stato attivato l'Ocri, che sta facendo i suoi lavori, continuerà a farli e avrà i suoi tempi tecnici». Siete sicuramente più esperti di me nello stimare quali possono essere i tempi tecnici di espressione della decisione finale dell'Ocri.
  La decisione finale dell'Ocri in questa impostazione assume un ruolo fondamentale, che è un punto di riferimento particolare per il revisore, perché io revisore che ho individuato una situazione di crisi ne ho parlato sicuramente con il collegio Pag. 122sindacale e ne ho parlato sicuramente con il consiglio di amministrazione, però tutti noi sappiamo che la soluzione di quella crisi sarà assunta dall'Ocri quando avrà chiuso tutta la procedura. Fino a tale momento come posso esprimermi io revisore su un bilancio che ha queste tematiche e che ha una situazione gestita dall'Ocri? Se volete, è quasi un beneficio per il professionista, che deve valutare la possibilità di applicare condizioni di continuità, avere un organismo esterno, però questo potrebbe portare ad avere un riflesso sulla relazione messa sul bilancio, cioè indicazioni di impossibilità di esprimere un giudizio. Questo è un altro aspetto tipico della revisione. Io ho finito. Avrei ancora molto, ma a questo punto vi ringrazio e rinvio al documento che abbiamo depositato.

  PRESIDENTE. Grazie. Avendo Assirevi un unico relatore, avete più tempo.

  MARIO BOELLA, presidente dell'Associazione italiana revisori contabili (Assirevi). Allora, l'ultima parola che ho detto era «grazie» e dico «buongiorno». Anche sul tema dei flussi informativi c'è una cosa interessante. L'Ocri lavora, diventa un elemento probativo importante per il revisore. Bisogna che il revisore sia informato di queste cose. Esaminando i flussi informativi noi avremmo individuato due o tre punti su cui facciamo una proposta di modifica o di aggiornamento della norma.
  Il primo è questo. Ci sembra che in realtà nello schema di decreto legislativo al vostro esame non ci sia un'indicazione che preveda espressamente che gli organi di controllo e il revisore siano tenuti a un reciproco scambio di informazioni relativamente alle segnalazioni effettuate all'organo di amministrazione e all'Ocri. Il revisore segnala all'organo di amministrazione e all'Ocri, l'organo di controllo segnala. Nella pratica i sani Pag. 123professionisti sappiamo tutti – guardo Andrea Foschi, che mi sta guardando «con gli occhiacci» – come si comportano, ma ci piace vederlo scritto, perché non sempre il professionista è attento. Qualcuno disattento ce lo troviamo. Dunque, il primo punto è cercare di prevedere questo nella norma.
  Un altro punto interessante è questo: il revisore non è destinatario di due fatti che ritengo piuttosto importanti. Non è destinatario delle comunicazioni cui sono tenute le banche e gli altri intermediari finanziari – leggo la norma – ai sensi dell'articolo 14, comma 4, dello schema di decreto legislativo, in caso di variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti. In altre parole, le banche segnalano, ma segnalano all'organo di controllo. Lo stesso avviene quando ci sono dei creditori pubblici qualificati (gli enti pubblici). Anche in questo caso la segnalazione arriva all'organo di controllo, non arriva al revisore.
  Non è che il revisore goda nel ricevere informazioni da tutte le parti. Il suggerimento sarebbe semplicemente di dire che l'organo di controllo si farà parte diligente a comunicare al revisore.
  Vediamo quali altri elementi scegliere, perché i tempi sono quelli che sono. Vi ho detto che le determinazioni assunte dall'Ocri rappresentano sempre un elemento probativo formidabile e fondamentale per il revisore. Quello che noi riterremmo opportuno è che fosse meglio indicato nella norma, quando cita ciascuno per le proprie funzioni, un riferimento specifico per quanto riguarda l'attività di revisione ai princìpi di revisione. Dico questo non perché siamo pessimisti sul fatto che poi ci possano essere altre interpretazioni, ma perché riteniamo giusto che questa sia un'occasione per definire esattamente quali sono i ruoli, in un momento così delicato come quello della crisi di impresa.

Pag. 124

  PRESIDENTE. Grazie. Passiamo al Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro. Sono presenti il dottor Sergio Giorgini e il dottor Dario Fiori.

  SERGIO GIORGINI, vice presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro. Grazie, presidente. Buonasera a tutti, onorevoli deputati.
  Vorrei soffermarmi su un punto in particolare. La norma sulla crisi d'impresa da sempre, dal 1942, dal vecchio fallimento, che è ancora vigente, si occupa principalmente di patrimonio, di crisi, di creditori, di ripartizione e di controllo, ma quasi mai si occupa delle tutele dei lavoratori. Le aziende sono fatte principalmente da persone.
  Sotto questo profilo noi cerchiamo di evidenziare un passaggio. Infatti, la legge delega in questo momento dice esattamente: «armonizzare le procedure di gestione della crisi e l'insolvenza del datore di lavoro con le forme di tutela dell'occupazione e del reddito dei lavoratori». Nello schema di decreto legislativo quasi nulla troviamo su questo profilo.
  Le aziende, come abbiamo detto prima, sono composte da lavoratori e quando vanno in crisi i lavoratori nella stragrande maggioranza sono i veri soggetti deboli, oltre chiaramente ai creditori sotto l'aspetto patrimoniale.
  Ci sono lavoratori di diversi tipi: c'è il lavoratore formato, c'è il lavoratore colto, c'è il lavoratore che è in grado di riorganizzarsi e ritornare sul mercato del lavoro, c'è il lavoratore disabile, c'è il lavoratore donna, ci sono i minori, ci sono gli over 50. Sotto tutti questi profili, questi lavoratori il più delle volte entrano in un tunnel che è diabolico e da cui non si riesce più a uscire. La stragrande maggioranza di quei lavoratori nelle procedure delle crisi d'impresa vengono dimenticati sotto questo profilo. Pag. 125
  Noi pensiamo che sia utile sottolineare questo aspetto. È necessario che partecipi alla crisi d'impresa un professionista specializzato quale il consulente del lavoro, per tutelare proprio questi lavoratori, per seguire queste procedure speciali, per seguire gli ammortizzatori sociali e le casse integrazioni, per seguire chiaramente il reinserimento in altre aziende e per seguire i trasferimenti d'azienda. Infatti, quando ci sono le crisi d'impresa vediamo che ci sono delle cessioni di rami di azienda e degli affitti di azienda. Tutti questi lavoratori vanno il più possibile tutelati.
  Noi non ci soffermiamo su tanti altri aspetti, però è molto importante tutelare quelle fasce di lavoratori, soprattutto i più deboli, come dicevo prima, ma i lavoratori in generale, e fare in modo il più possibile che quando c'è una crisi d'impresa non vengano lasciati a casa. Infatti, nelle procedure concorsuali, quelle classiche, per storia...
  La legge sul fallimento risale al 1942, prima dell'entrata in vigore della nostra Costituzione. Non c'erano tutte le norme, come l'articolo 35 e 40 della nostra Costituzione, sulla retribuzione dignitosa, la tutela delle donne, la tutela previdenziale, il diritto di sciopero, le relazioni sindacali. Tutte queste cose non c'erano prima, ma non c'erano nemmeno tutte le leggi intervenute successivamente. Pensiamo allo Statuto dei lavoratori e a tutte le altre leggi che sono intervenute nel tempo.
  Pertanto, noi chiediamo che all'articolo 358, oltre ad altri professionisti, quali professionisti specializzati in particolar modo su queste tematiche, siano inseriti anche i consulenti del lavoro. Questo è il nostro obiettivo, perché pensiamo che, al di là della questione economica, sia un valore altamente sociale.

  PRESIDENTE. La ringrazio, dottore. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  MARIO PERANTONI. Non so se avete avuto occasione di esaminare il provvedimento, in particolare la disciplina che viene dettata per quanto riguarda i rapporti di lavoro subordinato pendenti. È il coordinamento con la disciplina delle norme di lavoro. Parlo degli articoli 189 e 368.
  Vorrei chiedervi se avete delle osservazioni in merito a come è strutturata...

  SERGIO GIORGINI, vice presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro. Il collegamento va bene sotto questo profilo. Noi diciamo solo che per gestire quelle particolari procedure è necessario – perché a volte vengono abbandonate ad altri professionisti o delegate dal giudice ad altri professionisti – inserire specificamente nella gestione della crisi d'impresa i professionisti dei consulenti del lavoro.

  MARIO PERANTONI. Dunque, nella normativa non avete trovato nessuna criticità?

  SERGIO GIORGINI, vice presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro. Lì si parla di riferimenti generali alla disciplina del lavoro, alle tutele, quindi erga omnes. In pratica, è una disciplina che prende un po’ tutto. Noi chiediamo chiaramente e con forza questo inserimento.

  PRESIDENTE. Ringraziamo gli auditi.
  Passiamo all'Associazione nazionale dei revisori contabili, con la dottoressa Laura Edvige Bordoli e il professor Alain Devalle.

  LAURA EDVIGE BORDOLI, presidente dell'Associazione nazionale revisori contabili (Anrev). Io so che è stata una giornata lunga e pesante, quindi cercheremo di essere veloci e sintetici, Pag. 127ma di arrivare al punto: quali sono le nostre proposte e i nostri suggerimenti.
  Innanzitutto vorrei presentarmi molto velocemente. Noi siamo un sindacato di categoria dei revisori, nato nel 1999. Siamo un po’ vecchiotti, ma siamo ancora sul mercato. Facciamo parte di un sistema più ampio, che è quello di Confprofessioni, all'interno di tutte le professioni e del sindacato nazionale.
  Vogliamo ringraziare per l'opportunità di esprimere le nostre opinioni su una norma così importante per il sistema Paese. Era da tempo che questa norma si attendeva ed era da tempo che qualcosa doveva cambiare, perché tutte le procedure concorsuali non hanno dato assolutamente i risultati che si dovevano avere.
  Nello stesso tempo, noi come revisori in questi ultimi anni di grande crisi abbiamo accompagnato le aziende nelle loro scelte, ma soprattutto ci siamo trovati anche a dover spingere e decidere per loro e convincere questi imprenditori, che da generazioni magari facevano quello, erano sempre andati in modo splendido e avevano sempre dato lavoro a tantissime persone, ad arrendersi o quantomeno a rendersi conto che da soli non potevano più andare avanti.
  Questo cosa significa? Da un lato, noi abbiamo già dovuto accompagnarli a delle procedure concorsuali, ma nello stesso tempo abbiamo cercato di far cambiare loro la mentalità per aprirsi a mercati più ampi, ovviamente con soci, oppure cedendo l'azienda con grande sofferenza delle persone, per cui li abbiamo accompagnati in tutte queste scelte difficili. Adesso credo che noi dovremmo accompagnarli in un percorso ancor più complesso. Infatti, questa legge è ambiziosa: vuole cercare di identificare, trovare e capire quando c'è una crisi d'impresa e cercare di salvare il salvabile; se c'è ancora potenzialità per Pag. 128andare avanti, con questi sistemi come l'istituto dell'allerta, di cui noi siamo attori principali, cercare davvero di salvare queste aziende.
  Io faccio questa premessa. Ci sono nella norma tanti aspetti positivi: una maggior trasparenza anche nei compiti del curatore, un accorciamento della durata della procedura concorsuale. Comunque, troverete tutto nel documento che depositeremo, non voglio affliggervi.
  Adesso vorrei passare la parola dottor Devalle che è un nostro collega, professore associato all'Università di Torino, che ci aiuta, non solo nella stesura di queste cose, ma anche proprio nella formazione, perché ritengo che anche noi revisori abbiamo bisogno sempre di essere più presenti a fianco degli imprenditori, affrontando tutte le novità delle varie normative.
  Dunque, su tale proposta lascerei la parola a lui e poi farò una chiusura io, con un punto che vorrei discutere io.

  ALAIN DEVALLE, consulente. Buonasera. Noi abbiamo tre proposte concrete, che sono circoscritte all'articolo 378, che riguarda la nomina degli organi di controllo. In particolare, il comma 1 modifica l'articolo 2477 sulle fattispecie di nomina dell'organo di controllo revisore nell'ambito delle società a responsabilità limitata.
  In particolare, la prima proposta riguarda la lettera c). Nella modifica dell'articolo 2477 si prevede che debba essere nominato l'organo di controllo se per due esercizi consecutivi almeno uno dei seguenti limiti vengono superati. I limiti sono: totale del fatturato 2 milioni di euro, totale dell'attivo 2 milioni di euro e dieci dipendenti. È chiaro che oggi le soglie sono molto più alte (8,8 milioni di euro, 8,4 milioni di euro e 50 dipendenti), quindi l'abbassamento è visto molto positivamente, perché vuol dire che più società sono assoggettate a dei controlli e questo è estremamente positivo. Pag. 129
  Allo stesso tempo, sottolineiamo come il superamento solo di uno porti a delle fattispecie di imprese davvero molto piccole. Abbiamo fatto un'estrazione sulle varie banche dati: se prendiamo società che hanno meno di 2 milioni di euro di fatturato, meno di 2 milioni di euro di totale attivo, tra i dieci e i quindici dipendenti, ci sono migliaia di società. Questo vorrebbe dire che per una società che ha un milione di fatturato, tipo una società di servizi software o di ingegneria, che ha più di dieci dipendenti, ci troveremmo ad avere un organo di controllo su realtà che sono davvero molto piccole.
  Pertanto, la nostra proposta è di mantenere la formulazione attuale, che prevede ovviamente i limiti scritti nell'articolo 378, comma 1, ma aggiungendo alla lettera c) le parole «ha superato per due esercizi consecutivi almeno due dei seguenti limiti», che peraltro è la formulazione attuale dell'articolo 2477, dove si guardano sempre due parametri su tre e non uno su tre. Questo permetterebbe di togliere dalla platea una serie di società che sarebbero davvero molto piccole. Anche pensando ai segnali di allerta e al sistema di controllo delle imprese, sarebbero davvero molto piccole e sarebbe difficile pensare a un sistema di controllo per quel tipo di società.
  Il secondo punto concerne l'entrata in vigore. L'entrata in vigore avverrà sostanzialmente 30 giorni dopo la data in cui questo decreto legislativo verrà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, quindi vuol dire che l'articolo 378 è immediatamente applicabile.
  Nella riforma naturalmente si agisce, da un lato, sul sistema di controllo, cioè sui controllori, e, dall'altro, sul controllato. Infatti, l'articolo 2086, in cui si prevede che l'imprenditore si debba dotare di un sistema di controllo, fa sì che prima di tutto sia l'imprenditore che si debba attrezzare per aveva un sistema di controllo per monitorare i segnali d'allarme. Che situazione Pag. 130accadrebbe? All'efficacia di questo decreto legislativo, da un lato, all'amministratore si dà il compito di instaurare un sistema di controllo, ma contestualmente c'è già il controllore. Il controllore deve controllare un qualcosa che non c'è ancora, perché è previsto dalla norma che debba essere così. Naturalmente questo vale per le società di piccole dimensioni ed è dovuto al fatto che si abbassa la soglia, perché laddove c'erano già i controlli il problema non si pone.
  Dunque, la nostra proposta è di posticipare l'entrata in vigore per dar tempo alle imprese di piccole dimensioni di dotarsi di un sistema di controllo su cui poi l'organo di controllo evidentemente monitorerà, perché altrimenti è come mettere un controllore che già dice che c'è un problema, senza che l'imprenditore abbia avuto tempo di adeguarsi.
  L'entrata in vigore, a nostro avviso, dovrebbe essere legata alla riunione dell'assemblea di approvazione del bilancio. Infatti, se la norma entrasse in vigore a febbraio, vuol dire che a febbraio, se la norma è vigente, io dovrei nominare il revisore, perché non sono previsti periodi transitori. Tuttavia, se nomino il revisore a febbraio 2019, è chiaro che non può svolgere l'attività sul 2018, che non c'è già più, quindi la nomina dovrebbe decorrere dall'assemblea di approvazione del bilancio, che nominerà l'organo di controllo, che conseguentemente potrà svolgere le proprie funzioni, quindi almeno l'assemblea del 2019 o, seguendo l'impostazione del Consiglio nazionale, leggermente dopo.
  Arrivo al terzo e ultimo punto. A nostro avviso, questa è una grande opportunità per correggere una norma che ha un errore. Qual è l'errore? A seguito del cosiddetto «decreto semplificazione» del 2012, c'è una disparità nel trattamento delle società per azioni rispetto alle società a responsabilità limitata con riferimento al sistema dei controlli. Le società per Pag. 131azioni sono sempre obbligate ad avere la vigilanza come controllo e la revisione, che potrebbero essere svolte dallo stesso soggetto. Pensiamo alla verifica, cioè al controllo. Abbiamo la vigilanza e la revisione. Nel 2012, con la modifica dell'articolo 2477, la vigilanza nelle società a responsabilità limitata è sempre facoltativa, mentre è obbligatorio il solo revisore.
  Voi mettetevi nei panni di un imprenditore che deve nominare un organo di controllo e chiede: «Che controllore devo nominare?». Può scegliere se averne uno o averne due. Cosa sceglierà? Averne uno. Allora, non può essere una scelta: il controllore deve essere detto dalla legge.
  In particolare, è successo che noi abbiamo società a responsabilità limitata di grandissime dimensioni, anche società internazionali, che non hanno l'obbligo del collegio sindacale, mentre se fossero società per azioni da 10 milioni di fatturato avrebbero l'obbligo del collegio sindacale. Non si può per il solo fatto di essere una società a responsabilità limitata o una società per azioni avere una distonia così forte nell'ambito dei controlli.
  Dunque, la nostra proposta è che nell'ambito dell'articolo 2477 si reinserisca l'obbligo della vigilanza e, quindi, della nomina del vero organo di controllo, sia esso monocratico o il cosiddetto «sindaco unico» o il collegio sindacale, per le società che superano i limiti della redazione del bilancio in forma abbreviata di cui all'articolo 2435-bis. Per darvi un'idea, sono 8,8 milioni di euro di fatturato, stiamo pensando già a società di una dimensione significativa, quindi l'obiettivo non è quello di incrementare i costi per le società piccole, l'obiettivo è quello di ripristinare un'equivalenza nei controlli, che non possono essere scelti dal controllato, perché è ovvio che il controllato sceglierà sempre il meno peggio. Pag. 132
  Questa è un'opportunità, a nostro avviso, per correggere questa norma, che in questo momento presenta una notevole disparità. Peraltro, sarebbe molto coerente con il profilo della riforma, che è quello di aumentare e di rafforzare i controlli. Pensate che ci sono società a responsabilità limitata – e non faccio nomi – che hanno 100 milioni di euro di fatturato e non hanno il collegio sindacale, hanno solo il revisore; se fossero Società per azioni, avrebbero il collegio sindacale. A nostro parere, nell'ambito di sistemi di controllo, la legge non può permettersi questo e questa può essere l'occasione per correggerlo.

  LAURA EDVIGE BORDOLI, presidente dell'Associazione nazionale revisori contabili (Anrev). C'è un quarto punto che noi vogliamo segnalare, perché purtroppo se ne parla moltissimo fuori da queste aule fra di noi. Al di là di aver accolto favorevolmente la volontà di modificare una normativa ormai vecchia e nonostante ci siano delle criticità che vi hanno già esposto esperti delle procedure concorsuali, è necessario che tutti gli attori interessati da questo nuovo sistema normativo operino in modo adeguato e anche – parliamone – con il riconoscimento di compensi adeguati.
  Voi sapete che c'è una normativa, che prima era europea e che è stata recepita nella normativa italiana con il decreto legislativo n. 39 del 2010, dove si dice che il compenso del revisore deve essere adeguato agli impegni, al numero delle ore, all'esperienza del revisore stesso e ovviamente alla complessità dell'azienda che si va a revisionare.
  Noi non chiediamo nient'altro che venga in qualche modo garantita l'osservanza di questa norma. Se non si vuole creare una tabella di valori minimi, che comunque il tribunale dovrà elaborare, perché nel momento in cui la camera di commercio segnalerà le società che non hanno nominato il revisore e il Pag. 133tribunale nominerà, dovrà anche dire che compensi dare a queste persone. Dunque, comunque ne dovete parlare in qualche modo.
  Quello che vorrei far presente è la preoccupazione – ripeto – di poter svolgere in modo adeguato e vederselo anche riconosciuto, perché le responsabilità crescono esponenzialmente anche con questa normativa e riteniamo corretto che il revisore operi in modo sereno e possa svolgere il proprio lavoro in modo professionale.

  PRESIDENTE. Ringraziamo la dottoressa Bordoli e il professor Devalle. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della documentazione depositata dagli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 16.55, è ripresa alle 17.20.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), dell'Unione italiana delle camere di commercio (Unioncamere) e della Confederazione generale dell'agricoltura italiana (Confagricoltura).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame dello schema di decreto legislativo recante codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), dell'Unione italiana delle camere di commercio (Unioncamere) e della Confederazione generale dell'agricoltura italiana (Confagricoltura).
  Do la parola al dottor Torretta, componente del gruppo crisi d'impresa dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE).

  PIERO TORRETTA, componente del gruppo crisi d'impresa dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE). Ringrazio la Pag. 134Commissione per l'opportunità di intervenire su un tema oggi così importante come l'attuazione della legge delega n. 155 del 2017, che rappresenta l'occasione per avviare nel nostro Paese un importante processo riformatore, che non riguarda unicamente la modernizzazione di un sistema incapace sino ad oggi di tutelare le imprese e tutto il sistema socioeconomico, ma che può, se ben strutturato, accrescere in generale la competitività del sistema economico.
  In linea generale, l'ANCE condivide i princìpi ispiratori di questa riforma finalizzati al tema della continuità aziendale, che rappresenta un'esigenza primaria e da lungo tempo sentita dalla generalità delle imprese del settore delle costruzioni, e non solo.
  Il mantenimento in efficienza di un'azienda rappresenta, infatti, un valore fondamentale per la crescita del Paese, che deve essere salvaguardato soprattutto nei periodi in cui la gestione ordinaria incontra delle difficoltà oggettive e straordinarie, dovute anche a fattori esogeni non controllabili o condizionabili.
  Ecco perché, anche in fase di crisi di mercato, ove l'impresa non riesca più ad adempiere alle proprie obbligazioni, appare assolutamente indispensabile mantenere e promuovere, tutte le volte in cui ciò è possibile e non contrario a interessi superiori, l'esercizio dell'attività, anziché attivare le procedure giudiziali, che oltretutto possono dissolvere il patrimonio aziendale, minare l'esistenza dell'impresa stessa, le competenze e l'occupazione collegata.
  Garantire la prosecuzione dell'attività significa, infatti, salvaguardare tutte quelle componenti indispensabili al gettito dell'impresa, prima tra tutte il mantenimento dei posti di lavoro con le connesse retribuzioni, nonché la conservazione del patrimonio tecnologico e il know how acquisito negli anni. Pag. 135
  È solo partendo da queste premesse che può essere evitato il rischio della perdita della vocazione imprenditoriale, specie per le imprese strutturate e operanti da lungo tempo, tema che interessa anche le nuove generazioni, a oggi troppo spesso disincentivate dalle eccessive incertezze e relativi rischi.
  La ragione di tale insofferenza risiede in larga parte nella sfiducia degli strumenti oggi in vigore per la gestione dell'insolvenza, che appaiono fortemente inadeguati rispetto all'attuale quadro economico, caratterizzato da una crisi senza precedenti, in atto ormai da quasi un decennio.
  L'impatto economico della crisi sul settore delle costruzioni è stato drammatico. Tra il 2008 e il 2016, nel settore delle costruzioni hanno cessato l'attività oltre 120.000 imprese. Le perdite, per di più, hanno maggiormente colpito proprio le realtà più strutturate, incapaci di seguire i trend di un mercato turbolento, spesso interessato solo al massimo ribasso, facendo venir meno quelle competenze storiche e consolidate nel tempo necessarie a una ripresa sostenibile, economica, ambientale e sociale, dell'intero settore delle costruzioni.
  Il bilancio complessivo dei posti di lavoro persi in edilizia dall'inizio della crisi è imponente, 600.000 posti di lavoro dissolti. I dati si riferiscono alle sole imprese di costruzione di cui l'ANCE è portavoce, ma è di tutta evidenza che, specie nell'attuale congiuntura economica, ancora negativa, la generalizzata crisi ha prodotto un preoccupante effetto a livello sociale, in termini di impoverimento del tessuto imprenditoriale, in tutti i settori chiave della nostra economia. Nella filiera delle costruzioni si vedono quasi un milione di disoccupati.
  Nell'apprezzare, quindi, le linee essenziali e il lavoro fin qui svolto in sede parlamentare, l'ANCE ritiene indispensabile che nel processo attuativo sia fatto un ulteriore passo in avanti e sia prestata attenzione ad alcuni princìpi che rappresentano un Pag. 136passaggio essenziale per un risultato efficace della riforma, che si auspica possano essere recepiti nel decreto legislativo il cui schema è al vostro esame.
  Tra questi, si segnala la necessità di specificare la definizione dello stato di crisi, distinguendo tra insolvenza dovuta a un situazione economica generale straordinaria e insolvenza prodotta da grave negligenza o dolo nell'attività degli amministratori. Conseguentemente, occorre definire con maggior chiarezza le ipotesi di responsabilità degli amministratori, che vanno perseguite solo in caso di effettivi e comprovati comportamenti illeciti, a fronte invece della completa esclusione di qualsiasi addebito nel caso in cui il dissesto dell'impresa sia stato causato da fattori economici oggettivi, come la crisi di sistema di questi anni.
  Anche nella scorsa legislatura, sia alla Camera sia al Senato, l'ANCE ha più volte ribadito la necessità che fosse declinata la definizione di «fallimento onesto», volta a prevedere la distinzione appena enunciata. Principio, quello del fallimento onesto, contenuto in molte legislazioni di Paesi occidentali equivalenti al nostro.
  In secondo luogo, si segnala il coinvolgimento delle associazioni di categoria nell'elaborazione degli indicatori della crisi nell'ambito delle procedure d'allerta.
  In terzo luogo, il riconoscimento di un principio di buona fede dei creditori che devono essere tenuti, con il loro comportamento, alle regole di lealtà e correttezza, la compliance o la responsabilità sociale di cui si parla, senza pregiudicare in modo ingiustificato la posizione del debitore, in analogia con quanto stabilito dal codice civile in materia di adempimento delle obbligazioni.
  In quarto luogo, il contenimento dei costi professionali delle procedure concorsuali a seguito di provvedimento giudiziale da Pag. 137determinare al termine della procedura, in proporzione all'attivo realizzato e dentro il tetto del 3 per cento del valore della procedura.
  Infine, l'applicazione delle nuove regole di gestione dell'insolvenza, in attuazione alla legge delega, dei procedimenti pendenti, qualora ciò comporti un vantaggio per l'intera procedura.
  Occorre, inoltre, valutare l'opportunità di prevedere la rimodulazione dei privilegi erariali mediante l'attuazione della natura privilegiata per i crediti vantati dallo Stato e dagli enti locali, di certo per la componente delle sanzioni e degli interessi, nonché l'introduzione di una soglia predeterminata entro la quale i crediti si considerano privilegiati.
  Ciò consentirebbe maggiore disponibilità finanziaria per soddisfare i creditori chirografi e la loro stessa continuità aziendale. Inoltre, occorrerebbe rendere applicabile il privilegio generale, oggi limitato alle imprese artigiane, anche ai crediti delle piccole e micro imprese, così come definite dalla Commissione europea.
  Riteniamo poi indispensabile porre attenzione alle interferenze della disciplina sulle crisi d'impresa con il settore dei contratti pubblici e, per quanto ci riguarda da vicino, degli appalti dei lavori pubblici.
  Occorre, infatti, porre rimedio alla diffusa mancanza di armonizzazione tra le previsioni specifiche in tema di crisi aziendale e quelle del codice dei contratti sul medesimo tema, al fine di tutelare l'interesse pubblico superiore al completamento delle opere.
  A tal fine è necessario escludere la possibilità di far partecipare alle gare imprese fallite o in concordato in continuità, ad eccezione di coloro che perseguono realmente e realisticamente la continuità aziendale, sia per meglio tutelare l'interesse pubblico Pag. 138 o il completamento delle opere, sia per evitare l'alterazione di una leale concorrenza.
  Si potrebbe, a questo proposito, pensare al soddisfacimento dei crediti chirografari nella somma del 50 per cento.
  Tutelare nei raggruppamenti di imprese la posizione dei mandanti nei confronti delle mandatarie in crisi. In particolare, occorre prevedere che i crediti maturati dalla mandante nei confronti delle stazioni appaltanti e riscossi dalla mandataria non confluiscano nel passivo fallimentare né si confondano con il patrimonio della mandataria.
  I pagamenti successivi all'assoggettamento della mandataria alla procedura dovrebbero venire direttamente in capo ai mandanti.
  Nei raggruppamenti, nel caso di costituzione della società consortile a valle, prevedere che l'istituzione del curatore dei finanziamenti effettuati dalla suddetta società da parte delle imprese dell'associazione temporanea di imprese (ATI) avvenga solo dopo il completamento dell'opera ed il pagamento dei creditori della società consortile. Prevedere che ove ricorrano reiterati e significativi ritardi dei pagamenti della mandataria nei confronti dei mandanti anche nella fase di allerta e composizione assistita accertate dalla stazione appaltante si provveda al pagamento diretto alle mandanti dell'importo dovuto alle prestazioni dalle stesse eseguite.
  All'interno della riforma sono state inserite, pur rimanendo sostanzialmente estranee alla materia fallimentare, alcune modifiche di non scarsa importanza in materia di tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, aventi la finalità di rafforzare l'adempimento degli obblighi contenuti nel decreto legislativo n. 122 del 2005.
  Se da una parte si può condividere in via generale lo spirito di tutela della parte acquirente sotteso all'iniziativa governativa, Pag. 139dall'altra sarebbe stato auspicabile, come da tempo ANCE propone, intervenire in maniera più incisiva anche su altri aspetti della disciplina, quali, ad esempio, il rilascio di una fideiussione unica a garanzia di tutti gli acconti incassati e da incassare per venire incontro a notevoli difficoltà in ordine pratico ed economico; difficoltà se non impossibilità ad ottenere fideiussioni così ampie che si ripercuotono su tutti i soggetti chiamati ad adempiere.
  Proprio in considerazione della delicatezza dei temi trattati, chiediamo un coinvolgimento istituzionale nelle ulteriori fasi di attuazione che prevedono la definizione di questo problema.
  Ci auguriamo che le nostre proposte di modifica possano trovare accoglimento nel testo del decreto attuativo, sia in sede parlamentare che nella successiva e definitiva approvazione da parte del Governo.
  Vi ringrazio ancora per il tempo e l'attenzione riservataci. Nel documento depositato troverete gli approfondimenti delle questioni affrontate. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Torretta.
  Passiamo all'Unione italiana delle camere di commercio.
  Do la parola al dottor Giuseppe Tripoli, segretario generale. Ha dieci minuti.

  GIUSEPPE TRIPOLI, segretario generale dell'Unione italiana delle camere di commercio (Unioncamere). Buonasera a tutti. Grazie dell'invito a partecipare a questo importante lavoro. Noi consegniamo un documento che nella prima parte esprime la valutazione complessivamente positiva rispetto al provvedimento che state esaminando. È complessivamente positiva perché, ovviamente, una riforma del fallimento era attesa. Noi eravamo in ritardo su tanti altri ordinamenti rispetto alle modalità con cui lo Stato predispone gli strumenti di supporto Pag. 140alle imprese soprattutto nei momenti di maggior difficoltà delle imprese, che preludono alle crisi aziendali, ai possibili default.
  Siamo ancora indietro, finché il provvedimento non viene definitivamente approvato, su una serie di strumenti che consentono alle imprese di vedere una seconda chance dopo il fallimento, di avere il supporto dell'ordinamento quando vivono momenti di difficoltà, di avere la possibilità che le eventuali difficoltà emergano con anticipo, di avere un supporto per la possibilità di continuità aziendale.
  Mi soffermo, invece, rapidamente sul punto su cui il provvedimento chiama in causa le camere di commercio, che riguarda le procedure di allerta e di composizione assistita delle crisi. Noi ci rifacciamo a una valutazione complessiva anche di questo punto, che è già implicita in quello che ho detto, cioè le procedure previste dal nuovo provvedimento possono essere di grande ausilio per le aziende, soprattutto per la tipologia di aziende italiane che, come tutti sanno, sono di micro, piccola e media dimensione.
  Queste hanno utilizzato le procedure di composizione (ristrutturazioni, concordati preventivi) meno delle imprese di grandi dimensioni, che le hanno utilizzate con maggiore facilità anche in questi anni di dura crisi. Prevedere uno strumento, una procedura, delle modalità di supporto alle aziende, vista la particolare tipologia delle aziende italiane, ci sembra molto opportuno. Le camere di commercio ovviamente sono più che disponibili, essendo l'amministrazione più vicina alle imprese sui territori, a dare tutto il supporto necessario perché le gambe di questa parte del procedimento possano procedere velocemente.
  In questa preparazione della predisposizione degli strumenti per mettere a punto questa parte di attuazione del provvedimento ci siamo rifatti alle stime, che ancora sono molto Pag. 141sommarie, delle imprese che potrebbero utilizzare il sistema di allerta. Perché ancora molto sommarie? Perché dipenderà molto dagli indici che verranno predisposti, quindi ci rifacciamo a quella forbice che è grandissima, 35.000 e 266.000, che l'analisi d'impatto della regolamentazione (AIR) indica nel suo provvedimento.
  Diciamo che stiamo sulla cifra minima, 35.000, a nostro avviso probabilmente una cifra sottostimata, a seconda ovviamente di come saranno costruiti gli indicatori della crisi, sottostimata perché nella considerazione dell'AIR non entrano né le imprese sotto forma di società di persone, né le ditte individuali, perché ci sono rientrate solo quelle che hanno depositato i bilanci, le società di capitali.
  Diciamo che, se fossero 35.000 le imprese che si rivolgeranno alle camere di commercio anno su anno, 12-15.000 di queste andranno a chiudere con fallimento, stando agli ultimi dati degli ultimi anni (15.000 tre anni fa, 12-13.000 l'anno scorso). Si tratta di un numero di imprese che richiede una mole di lavoro importante per le camere di commercio, una mole di lavoro che abbiamo stimato anche qui approssimativamente in due o tre giorni di lavoro per ogni richiesta fatta da un'azienda e che ha comportato una stima anche dell'aspetto organizzativo della vicenda, perché, come voi ben sapete, si fanno le leggi, ma poi la parte vera è quella che accade il giorno dopo l'approvazione della legge, per far sì che la legge funzioni.
  Perché la legge possa funzionare con queste ancora molto larghe previsioni, quindi non precise previsioni, stimiamo di dover mettere in campo circa 400 persone sulle 60 camere di commercio (alla fine dell'anno le camere saranno 60). Questo comporta un costo rilevante, che abbiamo stimato complessivamente, tra costo del personale, spese generali, costo di acquisizione delle banche dati, in circa 22-23 milioni di euro. Pag. 142
  Dico questi dati perché secondo noi l'aspetto del come si gestisce l'attuazione della legge è fondamentale per il successo rispetto alle imprese, perché se le imprese si rivolgono ad una struttura indicata dalla legge e l'Ocri non è in grado di rispondere tempestivamente non solo perché deve rispettare i tempi stretti fissati dal provvedimento, ma perché deve farlo con efficacia, accompagnando le imprese, non gestendo burocraticamente una pratica che viene allo sportello, occorre predisporsi bene.
  Questo è il quadro complessivo che ci siamo fatti. Qui faccio una prima osservazione: quando l'Ordine dei commercialisti predisporrà l'analisi degli indicatori sulla base dei quali si potrà indicare lo stato di impresa rientrante in questa procedura (ci dichiariamo disponibili a dare una mano, non occorre prevederlo nel provvedimento, lo diciamo all'organo politico più importante, il Parlamento) a seconda di come verranno stabiliti gli indicatori su quei tre parametri, liquidità, solvibilità e solidità delle imprese, sarà possibile fare una stima quasi all'unità delle imprese che ricadranno nel perimetro della legge, cioè delle imprese che probabilmente saranno oggetto di segnalazione.
  Questo è importante saperlo per tempo. Nello schema che vi abbiamo consegnato abbiamo fatto anche un istogramma con le ipotesi numeriche, camera per camera, delle possibili situazioni di allerta che verranno segnalate, che ovviamente variano molto sul territorio, così come variano molto secondo i settori coinvolti. Tutti questi dati, che sono di stima di massima, potranno diventare di stima molto precisa non appena si cominceranno a concretizzare gli indicatori.
  Due proposte molto pratiche e chiudo, non entriamo nelle norme su cui tanti altri auditi (anche l'ANCE poco prima di me) hanno fatto delle osservazioni. Le due proposte riguardano Pag. 143modalità organizzative, la prima è un suggerimento. Chiederemmo che venisse previsto all'articolo 16 che l'ufficio che supporta il referente dell'Ocri – che, come sapete, è il Segretario generale della Camera di commercio – possa essere costituito in associazione tra più camere di commercio.
  La nostra idea infatti è che, laddove ci siano bacini omogenei di territorio, possa esserci il referente Camera per Camera, ma l'ufficio, il know how, tutto quello che gestisce i dati, le informazioni, l'istruttoria possa essere in forma associata tra più camere di commercio, formula che come camere di commercio abbiamo utilizzato e continuiamo a utilizzare su più servizi. È utile prevederlo perché, visto che in questo provvedimento tutto è molto formalizzato e proceduralizzato, venga ricompreso come facoltà possibile.
  Una seconda osservazione riguarda l'articolo 351, che prevede come si coprono i costi degli Ocri. Si prevede che ci sia un accordo con l'impresa debitrice che accede al servizio, secondo tre ipotesi di utilizzo, in base al quale il costo viene concordato e definito d'intesa con l'impresa, per coprire sia i costi amministrativi, cioè i costi delle camere di commercio, sia i costi dell’expertise, cioè del collegio.
  Facciamo due osservazioni di possibile miglioramento della stesura dell'articolo, con due logiche differenti tra loro che vi sottoponiamo entrambe. La prima è questa: per quanto riguarda l'attività delle camere di commercio c'è una parte che possiamo definire di costi fissi e una parte di costi variabili. I costi fissi sono quelli che dobbiamo sostenere come camere di commercio per tenere aperto l'ufficio, e questo è possibile stimarlo con precisione una volta che i commercialisti avranno individuato gli indicatori, perché, individuati gli indicatori, si sa già quale sia il numero dei soggetti che si rivolgeranno alla camera di commercio. Pag. 144
  Sappiamo quindi che dobbiamo servire questo numero di imprese e questo genera un costo fisso che è facilmente definibile, che potrebbe essere individuato e spesato con un diritto di segreteria, mentre nessuno oggi sa che tipo di attività si genererà, cioè se un'impresa viene, non viene, viene una volta, un'udienza, due udienze, occorre fare un percorso lungo di accompagnamento per la soluzione e la composizione della crisi. Questo non lo sappiamo, quindi è un puro costo variabile. Se si dovranno fare una, due, cinque, venti riunioni, non lo sappiamo stimare, credo che nessuno possa stimarlo.
  Noi quindi ipotizziamo che si possa integrare la norma, prevedendo dei costi fissi delle camere di commercio, che sono quelli la prevedibili ex ante sulla base della stima fatta sugli indicatori oggetto dello studio dell'Ordine dei commercialisti e del decreto del Ministero dello sviluppo economico, e che questi costi vengano spesati con dei diritti di segreteria che sono fissi per impresa, stabiliti a livello nazionale. Questa è una prima proposta, che quindi distingue costi fissi da costi variabili.
  Ne abbiamo una seconda in alternativa di miglioramento, che ha una logica più ampia, direi politica, cioè l'idea di considerare questo servizio, come questo che viene qui predisposto per l'allerta e la composizione delle crisi, un servizio che ha un interesse generale. Mi spiego meglio: è un interesse generale del sistema di imprese che le imprese abbiano un'assistenza nel momento della difficoltà, quindi è un costo che può essere pagato dalla fiscalità generale delle imprese, come la polizza sanitaria. Tutti pagano, infatti, la polizza sanitaria, la utilizza chi sta male, però il servizio viene reso possibile grazie al fatto che ciascuno dà un contributo in questo senso.
  Da questo punto di vista si può ipotizzare che il servizio reso dalle camere di commercio sia un servizio di interesse generale, che sia spesabile con il diritto annuale delle camere di commercio. Pag. 145 Faccio una breve parentesi, immagino che quello che sto per dire lo conosciate, ma, essendo componenti di una Commissione che non affronta abitualmente i temi relativi al sistema delle camere di commercio, faccio una precisazione. Il diritto annuale è fissato dal Ministro dello sviluppo economico d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze sulla base del fabbisogno annuo che le camere di commercio esprimono. Questo nuovo servizio della costituzione degli Ocri potrebbe benissimo rientrare nell'ambito del fabbisogno delle camere di commercio.
  La seconda ipotesi che vi sottoponiamo è quindi di riformulare l'articolo, prevedendo che i costi dell’expertise del Collegio vengano pagati, come previsto dall'articolo 351, i costi delle camere di commercio, i costi amministrativi, vengano invece spesati con un aumento del diritto annuale che pagano tutte le imprese, sulla base di un calcolo del fabbisogno che ovviamente da qui a quando, fra diciotto mesi, sarà reso vigente a regime il servizio potremmo ovviamente definire d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico.
  La norma è necessaria, perché occorre superare il divieto in questo momento fatto al Ministero dello sviluppo economico di poter utilizzare la leva del diritto annuale oltre una certa soglia, che è il 50 per cento di quella che era la misura nel 2014, quindi serve una norma di legge per questo motivo.
  Riepilogando, le nostre proposte sono sostanzialmente tre, una operativa, cioè ci rendiamo disponibili nella fase di definizione degli indicatori a dare una mano all'Ordine dei commercialisti e al Ministero dello sviluppo economico nel quantificare l'impatto effettivo della norma. La seconda proposta prevede la possibilità di fare degli uffici associati tra camere associate nella gestione del servizio di Ocri. Pag. 146
  La terza è una riformulazione delle modalità di pagamento di sostegno dei costi dell'Ocri o attraverso l'introduzione del diritto di segreteria per i costi fissi generali delle camere di commercio o – preferibilmente, oserei dire – trasformando il costo generale delle camere di commercio in un costo sopportato dalla generalità delle imprese, in una piccola aliquota aggiuntiva pagata da tutte le imprese alle camere di commercio sotto forma di diritto annuale. Grazie.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
GIULIA SARTI

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

  MARIO PERANTONI. Buonasera e grazie di essere qui. Vorrei chiedere due cose, la prima di carattere organizzativo: ritenete che sia sempre opportuno costituire un Collegio di tre esperti ai fini della risoluzione del procedimento?
  La seconda è di carattere più generale, per sapere se abbiate considerato l'ipotesi, così come previsto dalla legge, di sottoporre alla procedura di allerta e conseguentemente alle altre procedure tutta la platea delle società oppure se ritenete che temporaneamente, anche in fase di partenza di questa nuova disciplina, sia opportuno eventualmente sottoporre solamente le società di capitale e lasciar fuori le società di persone e le imprese individuali da questo tipo di procedura e poi prevedere un loro ingresso magari quando il regime sarà rodato.
  Vorrei sapere se avete fatto dei calcoli o delle ipotesi anche sotto questo aspetto, considerando l'enorme platea di imprese che tendenzialmente potrebbero essere interessate.
  Grazie.

Pag. 147

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Tripoli per la replica.

  GIUSEPPE TRIPOLI, segretario generale dell'Unione italiana delle camere di commercio (Unioncamere). Ringrazio l'onorevole Perantoni.
  Per quello che riguarda il collegio di tre, ci sono altri ordinamenti che hanno individuato altre formule. Per esempio, la Francia ha previsto, se non ricordo male, che ci sia un solo esperto che affianchi questi percorsi. Però, per esempio, la Francia ha costruito tutto un sistema un po’ diverso da quello italiano. Il fatto che il collegio sia plurimo presenta pro e contro. Presenta dei contro evidenti, che sono i costi, che si aggiungono soprattutto quando si tratta magari di aziende piccole. C'è la necessità, quindi, di dover calmierare un po’ i prezzi. Il pro è che dentro un collegio magari a più voci possono emergere anche più possibilità, più ipotesi, visto che il compito non è solo quello di valutare se l'azienda sia in prossimità del fallimento, ma di valutare anche le possibilità di fuoriuscita dalla crisi. È una valutazione.
  Obiettivamente, non avendo l'Italia esperienza su questo, si poteva cominciare con uno e si può fare con tre. Se il Governo, e il Parlamento lo avallerà, deciderà di cominciare con tre si proverà con tre. Ovviamente, bisogna stare attenti a calmierare i costi.
  Tutte le imprese o solo una parte delle imprese? Solo una parte delle imprese. Lei diceva le società. Le società sono le uniche di cui si dispone per quello che riguarda i bilanci, perché le altre non sono tenute a fare bilanci, a redigere i bilanci. C'è da dire che a volte è difficile distinguere gli effetti negativi di un default di una ditta individuale anche importante dagli effetti negativi di un default di una società. Quindi, dal punto di vista della sostanza il problema è identico in tutte e due le fattispecie. Pag. 148
  Dal punto di vista della gestibilità non nascondiamo il fatto che gestire la situazione di possibile default di una struttura come una società i cui dati sono resi in trasparenza sul registro delle imprese e in presenza di una serie di indicatori, sia più facile.
  Noi non riteniamo, però, che ci sia la necessità di fare un distinguo. Ci sembra che la scelta che è stata fatta, che si basa sulla dimensione dell'azienda, sia una scelta che ha una sua logica. Anche qui stiamo parlando di sperimentazione di modelli. I diciotto mesi che servono a farlo decollare serviranno anche a tarare bene ed eventualmente a correggere alcune cose che in corso di costruzione della fattibilità si dovessero vedere rese difficili da come è stato redatto il testo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Tripoli e Unioncamere.
  Do la parola all'avvocato Giorgio Buso, direttore area rapporti con il Parlamento della Confagricoltura.

  GIORGIO BUSO, Direttore Area Rapporti con il Parlamento della Confederazione generale dell'agricoltura italiana (Confagricoltura). Buongiorno. In questo intervento non intendo entrare nelle specificità del complesso del provvedimento, a cui guardiamo con favore. Mi riferisco a degli istituti che prima non riguardavano il settore agricolo, mi riferisco agli strumenti negoziali stragiudiziali, agli accordi di ristrutturazione dei debiti dell'imprenditore, al sovraindebitamento e anche agli articoli che riguardano il concordato minore.
  Sono tutti strumenti che apprezziamo e che sono il frutto, ovviamente, di un lavoro che si protrae ormai dalla scorsa legislatura, che ha avuto nell'Atto del Governo n. 53 una risposta abbastanza esaustiva.
  Qual è la peculiarità dell'aspetto agricolo che sono venuto a rappresentarvi? La legge delega prevedeva all'articolo 2, comma Pag. 1491, lettera e), che, ovviamente per la prima volta, l'imprenditore agricolo fosse assoggettato alle procedure. Prima non lo era affatto, perché non era possibile per un imprenditore agricolo fallire.
  Ciononostante non è che le procedure esecutive fossero qualcosa di diverso dal fallimento. Anzi, in alcune zone del nostro Paese, soprattutto al sud e in Sardegna, le procedure esecutive erano diventate estremamente «cattive» nei confronti in particolare delle imprese agricole di minori dimensioni che avevano meno capacità di potersi difendere, una situazione sociale molto più disgregata. Abbiamo assistito a fenomeni che coinvolgevano interi paesi, in cui aziende agricole valide venivano messe all'asta per pochi soldi, in cui il patrimonio personale dell'imprenditore agricolo non riusciva a far fronte alla crisi della sua impresa.
  Ricordo semplicemente che le imprese agricole strutturalmente sono delle imprese con scarsa liquidità, che hanno una liquidità che ha dei caratteri stagionali, come la stessa manodopera utilizzata stagionalmente. Ha, quindi, delle caratteristiche particolari.
  Inoltre, in Italia abbiamo una situazione in cui agricoltura e sociale molte volte si confondono, perché ci sono degli istituti che tutelano anche le micro imprese agricole, e mi riferisco a quelle che hanno un fatturato annuo inferiore a 7.000 euro, che sono considerate agricole, ma di fatto sono delle imprese che sono sostanzialmente esonerate dagli obblighi contabili fiscali, soprattutto con riferimento all'IVA.
  Mi avvicino al punto che più ci interessa. C'è una moltitudine di imprese agricole. Sono più di 400.000 quelle iscritte alla Camera di commercio che non raggiungono un fatturato che ce le possa far definire imprese vere e proprie, sono i cosiddetti «esonerati». Pag. 150
  Ci sono poi altre 400.000 aziende agricole che hanno dei fatturati molto bassi. Le imprese agricole in Italia che concentrano la produzione sono al di sotto di 100.000, e di queste 100.000 sono meno di 50.000 quelle agganciate al settore agroalimentare in termini strutturali.
  Confagricoltura non è qui per difendere le imprese grandi, anche se sappiamo che abbiamo la rappresentanza delle maggiori imprese agricole italiane legate all'agroalimentare, alla dimensione aziendale, all'occupazione di manodopera.
  Sono venuto a rappresentare la particolare caratteristica dell'80-85 per cento delle aziende agricole, che è quella secondo cui, in base all'articolo 2214 codice civile – non sto inventando una qualche leggina che nel tempo siamo riusciti a ottenere – le aziende agricole non sono sottoposte alla necessità di avere le scritture contabili, quali il libro giornale, il registro degli acquisti, il libro dei cespiti. Basta leggere l'articolo 2214, che si riferisce all'imprenditore, come lo definisce il codice civile, commerciale.
  La legge delega in un certo senso quando ha chiesto di prendere in considerazione le categorie dei debitori e le diversità dei settori, ha specificato che la situazione economica del nostro Paese è fatta di molte diversità.
  Di questo se n'era accorta anche la Commissione giustizia del Senato nella scorsa legislatura, perché aveva approvato un ordine del giorno – non sto adesso a darvi i numeri, per quello che valgono gli ordini del giorno – in cui dice esplicitamente: «È necessario sottolineare l'esigenza che nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1 del disegno di legge in discussione si introduca una adeguata disciplina relativa allo stato di crisi dell'imprenditoria agricola».
  Questo stato di crisi dell'imprenditoria agricola non è stato preso in considerazione. Il problema che crea questo schema di Pag. 151decreto legislativo è che pur contenendo degli istituti a cui noi guardiamo con favore, e che sono stati anticipati già nel 2011 e nel 2012 con dei provvedimenti legislativi che ci hanno fatto rimpiangere di non essere sottoposti alla disciplina fallimentare, perché ci davano degli strumenti per prevenirla, in questo caso, quando l'organo competente – noi abbiamo l'esperienza dei giudici – ci chiede di esibire la contabilità, di esibire il documento contabile, di avvalerci di questi istituti purché si generi una possibilità di indagine attraverso lo strumento contabile, i 400.000 esonerati IVA non tengono nemmeno la contabilità IVA.
  L'85 per cento delle aziende agricole paga le imposte dirette attraverso il catasto. Quale strumento contabile possiamo esibire? Dobbiamo trovare una norma che tenga presente questa peculiarità, e cioè la sottoposizione delle imprese agricole dal punto di vista dell'IRPEF all'accertamento catastale e dal punto di vista dell'IVA al regime speciale che c'è in agricoltura, che addirittura esonera oltre 400.000 soggetti dalla tenuta delle scritture contabili.
  Il nostro desiderio che volevo rappresentare è quello di poterci avvalere degli istituti previsti da questa nuova disciplina, a cui guardiamo con estremo interesse e valutiamo positivamente, che offrono all'imprenditore che ha delle problematiche aziendali di poter prevenire lo stato di dissesto e che non si adattano al settore agricolo.
  Pertanto, abbiamo visto che il Governo – è già passato in un ramo del Parlamento – vuol rivedere la disciplina e c'è già una nuova delega data dal Governo e approvata da un ramo del Parlamento.
  In questa fase, il nostro desiderio, il nostro suggerimento sarebbe quello che nel parere che voi esprimerete sull'Atto del Governo n. 53 possiate chiedere di ricordarsi dell'agricoltura, Pag. 152di ricordarsi che la delega prevedeva una disciplina speciale per i settori, per delle figure soggettive e che questo atto, richiedendo ovviamente in quasi tutti gli istituti una dimostrazione contabile, deve trovare nelle caratteristiche del settore agricolo, previste sia civilmente che fiscalmente, degli strumenti adatti.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Buso.
  Concludiamo il ciclo di audizioni previsto per oggi. Grazie a tutti gli auditi per aver accettato il nostro invito e grazie per i contributi che avete depositato, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Rammento che nel caso vogliate fare integrazioni, anche nel corso della prossima settimana, alle osservazioni che già avete fatto, la Commissione è pronta ad accoglierle perché il parere dovrà essere espresso entro il 14 dicembre prossimo.
  Siamo comunque in attesa del parere da parte del Consiglio di Stato e quindi potremmo eventualmente anche prorogare nel caso lo stesso non arrivasse. Sono ben accolte anche ulteriori osservazioni da parte vostra.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 18.

Pag. 153

ALLEGATO 1

Al Presidente della Commissione Giustizia
della Camera dei Deputati
On. Giulia Sarti

  A seguito della nostra audizione in data 4/12/2018, in rappresentanza del CeSPEC (associazione che raccoglie circa duecento magistrati che si occupano della materia della crisi d'impresa e delle procedure esecutive), abbiamo ritenuto che possa essere utile per il lavoro della Commissione inviare una nota scritta contenente le modifiche allo schema di decreto legislativo sulla disciplina della crisi d'impresa che a nostro avviso sono necessarie per le ragioni succintamente illustrate in relazione a ciascuna proposta. La presente nota sostituisce il primo contributo scritto depositato al momento dell'audizione.
  Preliminarmente crediamo opportuno richiamare succintamente alcune considerazioni riguardanti dei temi d'importanza fondamentale per il raggiungimento degli obbiettivi della riforma, che abbiamo già svolto nel corso dell'audizione, e che non abbiamo tradotto in specifiche ipotesi di diversa formulazione del testo, auspicando che possano essere di stimolo per un'approfondita discussione nell'ambito della Commissione.

QUESTIONE DELLA SPECIALIZZAZIONE DEI GIUDICI

  È essenziale per l'efficienza del sistema delle procedure concorsuali un altissimo livello di specializzazione da parte dei magistrati che se ne occupano nella funzione di giudici ma anche in quella di pubblici ministeri. Appare di tutta evidenza che solo magistrati dedicati in via esclusiva o quantomeno fortemente prevalente alla materia possa assicurare questo risultato. Tenuto conto inoltre che si tratta, in ragione della sua complessità e delicatezza, di materia collegiale, che la specializzazione deve necessariamente riguardare, affinché la collegialità sia effettiva, tutti i componenti dei collegi e che anche il sistema dei reclami richiede una specializzazione non circoscritta ad un solo magistrato, l'attuale disciplina della competenza territoriale non risulta compatibile con l'obbiettivo dell'adeguata specializzazione dei magistrati.
  Il legislatore con la legge delega ha compiuto la scelta della concentrazione delle competenze territoriali su un numero di tribunale ridotto rispetto a quelli esistenti. Questa scelta è attuativa di un principio stabilito dalla normativa europea.
  Nello schema di decreto legislativo si compie invece la scelta di tenere ferma l'attuale sistema delle competenze.
  Si tratta a nostro avviso di una scelta errata, la cui criticità sotto il profilo della compatibilità con la legge delega ci pare evidente, che è stata effettuata per rispondere ad un problema reale che però può trovare altra soluzione, coerente con le finalità della riforma.
  Posto che il problema non è certamente quello della distanza fisica dall'ufficio giudiziario, posto che il deposito degli atti nelle cancellerie avviene con le modalità telematiche del PCT e che il sistema sta Pag. 154evolvendo rapidamente verso la riduzione al minimo dei momenti di accesso fisico alla sede giudiziaria (ad es l'assemblea dei creditori nel concordato preventivo è sostituita dalla votazione telematica, le vendite sono in modalità telematica ed anche la formazione dello stato passivo avviene già ora attraverso una serie d'interlocuzioni telematiche), la questione vera è quella della valorizzazione adeguata delle competenze professionali che si sono formate e che dovranno continuare a formarsi nei circondari dei tribunali che perdono la competenza nella materia concorsuale a favore di uffici giudiziari limitrofi.
  Ebbene la soluzione ragionevole per rispondere alla legittima preoccupazione dei professionisti che operano in questi circondari non è quella del rinunciare alla specializzazione ma di enunciare nella norma di legge come criterio di scelta del professionista per la nomina a curatore o commissario quella dell'appartenenza all'ordine del circondario in cui ha la sede dell'impresa, salvo ragioni particolari che devono essere specificamente motivate ai fini della deroga.
  Questa soluzione assicurerebbe un adeguato contemperamento tra due esigenze senza intaccare un architrave della riforma.
  Laddove non si ritenesse tecnicamente più possibile varare la modifica delle competenze territoriali nel breve lasso di tempo residuo per l'esercizio della delega e risultasse soprattutto opportuno un adeguato approfondimento tecnico sarebbe auspicabile che questa parte mancate della riforma venisse attuata, utilizzando lo strumento dei già previsti correttivi, nel lungo periodo di vacatio legis.

QUESTIONE DELLA SEGNALAZIONE DEGLI INDIZI DI CRISI DA PARTE DEI CREDITORI PUBBLICI QUALIFICATI

  Risulta di tutta evidenza che il livello delle soglie ai fini dell'operatività del sistema delle segnalazioni individuato nello schema di decreto legislativo è del tutto incongruo rispetto alle finalità di emersione tempestiva della crisi d'impresa.
  Secondo la soluzione adottata l'Agenzia delle Entrate non potrebbe segnalare come situazione caratterizzata da sintomi di crisi una società che, con due o tre milioni di fatturato, risulti debitrice in forza di cartelle esattoriali già emesse ad esempio per un importo di €.800.000 euro, peraltro quattro volte superiore all'attuale soglia per l'esercizio dell'azione penale per reati tributari.
  È palese l'irragionevolezza della scelta così operata nel contesto di una legge la cui finalità enunciata è quella d'intercettare tempestivamente gli indici sintomatici delle situazioni di crisi prima che diventino insolvenza conclamata.
  Si tratta di una scelta che svuota sostanzialmente sul punto il principio di legge delega e come tale in contrasto con la legge delega.
  D'altro canto è paradossale questa scelta dal momento che l'Erario, il cui monte crediti insinuato nelle procedure concorsuali ammonta complessivamente a ca.150 miliardi di euro con recupero medio inferiore al 2% (come si evince dai dati comunicati ufficialmente alla Camera dei Deputati dall'Agenzia delle Entrate nel corso dei lavori della legge delega), è la principale vittima delle condotte di aggravamento del dissesto mediante posticipazione negli anni dell'apertura delle procedure concorsuali, peraltro con gravissimi effetti sistemici Pag. 155anche sul sistema della concorrenza delle imprese perché il procrastinarsi per anni di modalità di esercizio dell'impresa insolvente mediante la sistematica omissione del pagamento delle imposte e dei contributi previdenziali consente politiche dei prezzi distruttive per le imprese operanti correttamente.
  Riteniamo pertanto auspicabile un approfondito esame della questione al di là della suggestiva idea che una soluzione come quella adottata di sterilizzazione di fatto del sistema delle segnalazioni pubblici possa essere d'aiuto per il sistema delle imprese. È vero che schema di decreto prevede che dopo tre anni le soglie possano essere riviste con decreto ministeriale ma è opportuno che fin dall'inizio (che comunque sarà nella seconda metà del 2020) si parta con soglie, magari un po’ rialzate, in un'ottica di maggiore gradualità dei cambiamenti di sistema, rispetto a quelle individuate nella bozza dello schema varato dalla Commissione Ministeriale, ma comunque riconducibili ad un parametro di razionale coerenza con le finalità di emersione tempestiva della crisi.

QUESTIONE DELLE IMPRESE AGRICOLE E DELLE SOCIETÀ COOPERATIVE

  L'obbiettivo iniziale, quando venne avviato l'iter della riforma, era quello di pervenire ad un codice che contenesse l'intera disciplina del fenomeno della crisi d'impresa. Fin dal prime battute si è preferito separare il tema della riforma dell'amministrazione straordinaria con l'intento dichiarato di far procedere in parallelo due disegni di legge che comunque approdassero ad una riforma complessiva unitaria e coordinata. A posteriori l'esclusione della disciplina dell'amministrazione straordinaria dal disegno di legge delega sulla crisi d'impresa è risultata funzionale unicamente a portare il tema delle riforma dell'amministrazione straordinaria su un binario morto, non avendo avuto l'iter del relativo disegno di legge alcun concreto sviluppo.
  Pur dentro questo contesto già fortemente amputato rispetto al disegno di un unico codice della crisi d'impresa la scelta compiuta nella legge delega fu quella di superare da un lato l'antistorica esclusione delle imprese agricole dal sistema delle procedure concorsuali e di ridurre l'ambito delle procedure concorsuali amministrative, che di per sé rappresentano un'eccezione rispetto alla tendenziale universalità delle procedure concorsuali giudiziarie negli altri ordinamenti, alle banche ed alle assicurazioni applicando alle cooperative la disciplina prevista per a generalità delle imprese.
  Ora nello schema di decreto legislativo si ritorna all'assetto attualmente vigente per le imprese agricole e vi è una forte pressione per un analogo rivirement per le imprese cooperative.
  A nostro avviso si pone un problema di violazione della legge delega perché tecnicamente non si tratta di una scelta di non esercizio della legge delega su un punto ma d'introduzione di una normativa in contrasto con quanto espressamente previsto dalla legge delega riguardo alla disciplina applicabile a determinate tipologie d'impresa.
  Nel merito riteniamo che si tratti (quanto alle cooperative si tratterebbe se si andasse effettivamente in questa direzione) di un passo indietro fortemente lesivo per gli interessi dei creditori e più in generale nella prospettiva di un migliore funzionamento del sistema. Pag. 156
  Quanto alle imprese agricole è sufficiente osservare che si può trattare anche d'imprese d'importanti dimensioni con riferimento alle quali si sono anche verificati casi di dissesti di grandi dimensioni caratterizzati, quanto alla loro genesi, anche da gravi condotte depauperative dei patrimoni in danno dei creditori. Non vi è ragione per escludere tali imprese dalla disciplina concorsuale e dalla relativa disciplina penale, volta ad assicurare un'adeguata tutela penalistica della garanzia patrimoniale, queste imprese indipendentemente dalle dimensioni concretamente assunte. Sarebbe stato invece ragionevole introdurre per le imprese agricole una disciplina specifica delle soglie di accesso alle procedure concorsuali incentrata su parametri diversi rispetto a quelli delle normali imprese commerciali.
  Quanto al prospettato ritorno delle imprese cooperative nell'ambito delle procedure di liquidazione coatta amministrativa (a parte i già accennati profili di legittimità) si può rilevare: mentre banche e assicurazioni svolgono attività d'impresa che per dimensioni, complessità e rapporto con i creditori presentano caratteristiche radicalmente diverse dalla generalità delle imprese lo stesso non accade per le cooperative la cui specificità, quando si tratta di vere cooperative (posto che il fenomeno delle false cooperative, utilizzate come schermo per attività di sostanziale intermediazione di manodopera finalizzate ad una sistematica evasione contributiva e previdenziale in alcuni settori, come quello ad esempio della logistica, è divenuto di fatto prevalente con gravissima distorsione del mercato e gravissimi danni per Erario e Previdenza), attiene all'assetto proprietario e non all'attività (trattandosi per lo più di normali appalti di appalti di costruzioni o servizi o di svolgimento di attività commerciali) e l'assetto proprietario non pare elemento che possa giustificare una procedura concorsuale differente; l'accesso dei creditori anche ai fini del controllo sull'operato del curatore o commissario è più agevole e il controllo è, per la sua vicinanza, più efficace se l'autorità di riferimento è rappresentato dal tribunale anziché dal competente ufficio ministeriale in Roma; il più stretto collegamento con l'autorità giudiziaria del curatore nominato nell'ambito della procedura di liquidazione giudiziale è più funzionale anche ai fini dell'approfondimento delle cause dei dissesti e all'effettiva emersione dei profili di responsabilità civile e penale quando sussistenti.
  Sperando di aver offerto un utile contributo porgiamo distinti saluti.

Milano, 7-12-2018
Roberto Fontana
(Sost. Procuratore della Repubblica di Milano)
Giovanni Nardecchia
(Giudice del Tribunale di Monza)

1) Art. 25. Misure premiali

  Il sistema delle misure premiali prevede, oltre la non punibilità della condotta delittuosa quando il danno è di speciale tenuità, un'attenuante speciale con la riduzione della pena fino alla metà a condizione che l'attivo sia pari ad almeno un quinto del passivo. Pag. 157
  È opportuno escludere la misura premiale quando si è in presenza di un danno di rilevante gravità ai sensi dell'articolo 326 comma 1 per prevenire il concreto rischio che siano pianificate condotte distrattive o dissipative di grande entità, magari utilizzando anche prestanomi, a cui far seguire un «tempestivo» accesso all'Ocri o anche direttamente alla procedura concorsuale per beneficiare della misura premiale di enorme impatto sul piano sanzionatorio (tale ad esempio da poter rendere «accettabile» per il prestanome il concreto rischio penale nella forma di un patteggiamento ). Il rischio è quanto mai accentuato tenuto conto che rispetto ad una prima versione della bozza varata dalla Commissione Ministeriale sono stati espunti dall'articolo 25 i parametri di tempestività incentrati sui debiti verso erario ed enti previdenziali e verso banche. Pertanto è possibile che, evitando esposizioni verso dipendenti e fornitori, si possano accumulare gradi esposizioni per debiti scaduti verso ad esempio l'Erario rimanendo dentro i parametri della tempestività ai sensi dell'articolo 25. Si pensi al caso della cd. «cartiera» che non ha dipendenti e fornitori essendo costituita unicamente per frodare il fisco. Senza adeguati accorgimenti vi è il rischio di depotenziare gravemente la risposta penalistica in questi casi, risposta che in concreto come noto è più affidata alla disciplina dei reati fallimentari (per il maggior rigore sanzionatorio e la sostanziale non prescrittibilità) rispetto alla disciplina dei reati tributari.

TESTO ATTUALE

Art. 25
Misure Premiali

  1. All'imprenditore che ha presentato all'Ocri istanza tempestiva a norma dell'articolo 24 e che ne ha seguito in buona fede le indicazioni, ovvero ha proposto tempestivamente ai sensi del medesimo articolo domanda di accesso a una delle procedure regolatrici della crisi o dell'insolvenza di cui al presente codice che non sia stata in seguito dichiarata inammissibile, sono riconosciuti i seguenti benefici, cumulabili tra loro: a) durante la procedura di composizione assistita della crisi e sino alla sua conclusione gli interessi che maturano sui debiti tributari dell'impresa sono ridotti alla misura legale; b) le sanzioni tributarie per le quali è prevista l'applicazione in misura ridotta in caso di pagamento entro un determinato termine dalla comunicazione dell'ufficio che le irroga sono ridotte alla misura minima se il termine per il pagamento scade dopo la presentazione dell'istanza di cui all'articolo 19, comma 1, o della domanda di accesso ad una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza; c) le sanzioni e gli interessi sui debiti tributari oggetto della procedura di composizione assistita della crisi sono ridotti della metà nella eventuale procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza successivamente aperta; d) la proroga del termine fissato dal giudice ai sensi dell'articolo 44 per il deposito della proposta di concordato preventivo o dell'accordo di ristrutturazione dei debiti è pari al doppio di quella che ordinariamente il giudice può concedere, se l'organismo di composizione della crisi non ha dato notizia di insolvenza al pubblico ministero ai sensi dell'articolo 22; e) la proposta di concordato preventivo in continuità Pag. 158aziendale concorrente con quella da lui presentata non è ammissibile se il professionista incaricato attesta che la proposta del debitore assicura il soddisfacimento dei creditori chirografari in misura non inferiore al 20% dell'ammontare complessivo dei crediti.
  2. La tempestiva presentazione dell'istanza all'organismo di composizione assistita della crisi d'impresa ovvero della domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza di cui al presente codice, quando a seguito delle stesse viene aperta, su iniziativa del debitore, una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti, esclude, limitatamente alle condotte poste in essere prima dell'apertura della procedura, la punibilità dei reati di cui agli articoli 322, 323, 325, 328, 329, 330, 331, 333 e 341, comma 2, lettere a) e b), a condizione che il danno cagionato sia di speciale tenuità. La pena è ridotta fino alla metà quando, fuori dai casi di speciale tenuità del danno, alla data di apertura della procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza, il valore dell'attivo inventariato o offerto ai creditori supera il quinto dell'ammontare dei debiti.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 25.
Misure Premiali

  1. All'imprenditore che ha presentato all'Ocri istanza tempestiva a norma dell'articolo 24 e che ne ha seguito in buona fede le indicazioni, ovvero ha proposto tempestivamente ai sensi del medesimo articolo domanda di accesso a una delle procedure regolatrici della crisi o dell'insolvenza di cui al presente codice che non sia stata in seguito dichiarata inammissibile, sono riconosciuti i seguenti benefici, cumulabili tra loro: a) durante la procedura di composizione assistita della crisi e sino alla sua conclusione gli interessi che maturano sui debiti tributari dell'impresa sono ridotti alla misura legale; b) le sanzioni tributarie per le quali è prevista l'applicazione in misura ridotta in caso di pagamento entro un determinato termine dalla comunicazione dell'ufficio che le irroga sono ridotte alla misura minima se il termine per il pagamento scade dopo la presentazione dell'istanza di cui all'articolo19, comma 1, o della domanda di accesso ad una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza; c) le sanzioni e gli interessi sui debiti tributari oggetto della procedura di composizione assistita della crisi sono ridotti della metà nella eventuale procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza successivamente aperta; d) la proroga del termine fissato dal giudice ai sensi dell'articolo 44 per il deposito della proposta di concordato preventivo o dell'accordo di ristrutturazione dei debiti è pari al doppio di quella che ordinariamente il giudice può concedere, se l'organismo di composizione della crisi non ha dato notizia di insolvenza al pubblico ministero ai sensi dell'articolo 22; e) la proposta di concordato preventivo in continuità aziendale concorrente con quella da lui presentata non è ammissibile se il professionista incaricato attesta che la proposta del debitore assicura il soddisfacimento dei creditori chirografari in misura non inferiore al 20% dell'ammontare complessivo dei crediti. Pag. 159
  2. La tempestiva presentazione dell'istanza all'organismo di composizione assistita della crisi d'impresa ovvero della domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza di cui al presente codice, quando a seguito delle stesse viene aperta, su iniziativa del debitore, una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti, esclude, limitatamente alle condotte poste in essere prima dell'apertura della procedura, la punibilità dei reati di cui agli articoli 322, 323, 325, 328, 329, 330, 331, 333 e 341, comma 2, lettere a) e b), a condizione che il danno cagionato sia di speciale tenuità. La pena è ridotta fino alla metà quando, fuori dai casi in cui risulta un danno di speciale tenuità o un danno di rilevante gravità, alla data di apertura della procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza, il valore di realizzo dell'attivo inventariato o offerto ai creditori supera il quinto dell'ammontare dei debiti.

2) Art. 26 Giurisdizione italiana

  Nello schema di decreto legislativo risultano due articoli (l'articolo 11, intitolato «Attribuzione della Giurisdizione», e collocato nel Titolo I° «Disposizioni generali», e l'articolo 26, intitolato «Giurisdizione italiana» e collocato nel Titolo III) che riguardano la giuridizione.
  Si tratta di norme residuali in quanto si applicano nei casi in cui non trova applicazione il Regolamento UE 2015/848 sulle procedure di insolvenza.
  Il Regolamento UE 2015/848 si applica infatti quando il COMI si trova in uno Stato membro dell'Unione europea (quindi il COMI non è solo criterio di giurisdizione ma è anche criterio di applicazione del Regolamento). Pertanto le norme residuali del Codice della Crisi e dell'Insolvenza troveranno applicazione quando il COMI si trova in uno Stato non facente parte dell'Unione o in Danimarca (alla quale il regolamento non si applica).
  Per tutti i casi che non rientrano nella normativa europea l'articolo 11 accoglie, come criterio di giurisdizione residuale, il COMI del quale da una definizione all'articolo 2 corrispondente a quella del Regolamento UE. L'articolo 11 accoglie, sempre ai fini della disciplina dei casi che non cadono sotto il Regolamento UE, anche il criterio della dipendenza.
  Nell'articolo 11 però manca la previsione della presunzione semplice, fino a prova contraria, della corrispondenza del COMI con la sede legale che è invece contenuta nel Regolamento UE e non si da neppure la definizione di «dipendenza».
  Ciò posto, si ritiene anzitutto opportuno, alla luce del loro contenuto per evitare sostanziali duplicazioni, riunire le disposizioni di cui agli articoli n. 11 e 26 in un unico articolo sulla giurisdizione italiana.
  Si ritiene inoltre necessario introdurre una definizione di «dipendenza», mutuandola dal Regolamento UE (che da questa definizione: «La dipendenza è qualsiasi luogo di operazioni in cui un debitore esercita o ha esercitato nel periodo di tre mesi anteriori alla richiesta di apertura della procedura principale di insolvenza, in maniera non transitoria, un'attività economica con mezzi umani e con beni. Gli effetti di tale Pag. 160procedura sono limitati ai beni del debitore che si trovano nel territorio dello Stato della dipendenza») e specificare che si tratta di una procedura che ha effetti solo territoriali.
  Inoltre è opportuno introdurre, anche con riferimento ai trasferimenti verso paesi al di fuori dell'Unione Europea un sistema di presunzioni analogo a quelle previste dal Regolamento UE (per le società e persone giuridiche esso prevede: il COMI si presume sia nel luogo in cui si trova la sede legale; ma se si dimostra che il COMI si trova in un altro Stato dell'UE diverso da quello della sede, si può chiedere l'apertura della procedura principale in detto Stato membro; lo stesso vale se la sede è fuori dalla UE ma si prova che il COMI si trova in un uno Stato dell'UE; la presunzione della coincidenza del COMI con la sede legale si applica solo se la sede legale non è stata spostata in un altro Stato membro entro il periodo di tre mesi, che aumentano a sei mesi per le persone fisiche, precedenti la domanda di apertura, operando una presunzione, fino a prova contraria, della fittizietà dello spostamento).
  Quello del forum shopping è un gravissimo problema. Lo spostamento della sede in presenza già di una situazione d'insolvenza è utilizzato in Italia soprattutto nel caso di gravi condotte di bancarotta al fine di evitare, impedendo la dichiarazione di fallimento (e in futuro di aperura della liquidazione giudiziale), la responsabilità penale per i reati di bancarotta.
  Nell'ambito dell'UE a tutela dei creditori opera la regola della presunzione di fittizietà del trasferimento se effettuato nei tre mesi precedenti l'apertura della procedura. È un tempo molto ristretto ma se il creditore monitora costantemente il registro delle imprese, sia pure con molta difficoltà e chiedendo al tribunale eventualmente l'abbreviazione dei termini può arrivare a presentare l'istanza in tempo utile per avvalersi di questa presunzione.
  Questa presunzione non opera per i trasferimenti verso paesi fuori dalla UE non applicandosi ad essi il Regolamento UE. Pertanto o si introduce nel codice della crisi con riferimento a tali trasferimenti una presunzione analoga a quella prevista dal Regolamento UE (auspicabilmente un po’ più lunga come ad esempio un anno) oppure si porrà a carico dei creditori ricorrenti l'onere della prova quasi diabolico di provare la fittizietà del trasferimento per superare la presunzione di coincidenza tra sede legale e COMI. In tal modo si verrebbe a costruire un regime di assoluto favore per i bancarottieri che intendono sottrarsi ad ogni responsabilità mediante il repentino trasferimento della sede fuori dalla UE (negli ultimi sono risultati ad esempio frequenti in questa prospettiva trasferimenti in paesi caraibici o del Centro America), tenuto conto che per vanificare ogni concreta possibilità di concreta iniziativa dei creditori si è ricorso anche all'accorgimento, come è emerso in vari indagini, di creare qualche apparenza di effettività del trasferimento mediante l'intestazione di contratti di locazione, di utenze telefoniche e la più o meno formale assunzione di qualche dipendente.
  A fronte di questi gravi fenomeni la soluzione più efficace sarebbe l'introduzione di un regime di presunzione assoluta di fittizietà del trasferimento nell'anno precedente la richiesta di apertura della procedura concorsuale analogo alla disciplina sulla competenza territoriale. Pag. 161 Una disciplina simile a quella prevista dal Regolamento UE per i trasferimenti interni, anche se meno incisiva della presunzione assoluta, è quella della presunzione fino a prova contraria, ponendo a carico di chi eccepisce la carenza di giurisdizione l'onere di dimostrare l'effettività del trasferimento dell'impresa.
  L'articolo 26, 3° comma, nel testo attuale prevede: «Il trasferimento della sede dell'impresa all'estero non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana, se è avvenuto dopo il deposito della domanda di accesso alla procedura».
  È di tutta evidenza alla luce delle precedenti considerazioni l'inadeguatezza della previsione.
  In conclusione adottandosi il COMI come criterio di giurisdizione per essere allineati con la disciplina europea si deve introdurre un analogo sistema di presunzioni per ostacolare il forum shopping o meglio la ricerca dell'impunità penale per i fatti di bancarotta mediante trasferimento della sede dell'impresa fuori dall'Europa quando l'impresa versa in stato d'insolvenza.

TESTO ATTUALE

Art. 11
Attribuzione della giurisdizione

  1. Fatte salve le convenzioni internazionali e la normativa dell'Unione europea, la giurisdizione italiana sulla domanda di apertura di una procedura per la regolazione della crisi o dell'insolvenza disciplinata dalla presente legge sussiste quando il debitore ha in Italia il centro degli interessi principali o una dipendenza.
  2. Avverso il provvedimento di apertura di una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza è ammessa impugnazione per difetto di giurisdizione da chiunque vi abbia interesse. Si applica il procedimento di cui all'articolo 51. È sempre ammesso il ricorso per cassazione.
  3. La giurisdizione italiana di cui al comma 1 sussiste anche per le azioni che derivano direttamente dalla procedura.

Art. 26
Giurisdizione italiana

  1. L'imprenditore che ha all'estero la sede principale dell'impresa, può essere assoggettato ad una procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza nella Repubblica italiana anche se è stata aperta analoga procedura all'estero.
  2. Sono fatte salve le convenzioni internazionali e la normativa dell'Unione Europea.
  3. Il trasferimento della sede non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana, se è avvenuto dopo il deposito della domanda di accesso alla procedura.
  4. Il tribunale, quando apre una procedura di insolvenza transfrontaliera ai sensi del Regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20/5/2015, dichiara se la procedura è principale, secondaria o territoriale

Pag. 162

Art. 26 (che assorbe l'articolo 11)
«Giurisdizione internazionale»

  1. Fatte salve le convenzioni internazionali e la normativa dell'Unione europea, la giurisdizione italiana sulla domanda di apertura di una procedura sulla regolazione della crisi e dell'insolvenza disciplinata dalla presente legge sussiste quando il debitore ha in Italia il centro degli interessi principali o una dipendenza.
  2. La dipendenza è qualsiasi luogo di operazioni in cui un debitore esercita o ha esercitato nel periodo di dodici mesi anteriori alla richiesta di apertura della procedura principale di insolvenza, in maniera non transitoria, un'attività economica con mezzi umani e con beni. Gli effetti di tale procedura sono limitati ai beni del debitore che si trovano nel territorio dello Stato della dipendenza.
  3. Per la persona giuridica e gli enti, anche non esercenti attività di impresa, si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede legale. Tale presunzione si applica solo se la sede legale non è stata spostata in un altro Stato entro il periodo di dodici precedente la domanda di apertura della procedura di crisi o di insolvenza.
  4. Per le persone fisiche che esercitano una attività imprenditoriale o professionale indipendente si presume, fino a prova contraria, che il centro degli interessi principali sia il luogo in cui si trova la sede principale dell'attività. Tale presunzione si applica solo se la sede non è stata spostata in un altro Stato entro il periodo di dodici precedente la domanda di apertura della procedura di crisi o di insolvenza.
  5. Per le altre persone fisiche, si presume, fino a prova contraria, che il centro degli interessi principali sia il luogo in cui la persona fisica ha la residenza abituale. Tale presunzione si applica solo se la residenza abituale non è stata spostata in un altro Stato entro il periodo di dodici mesi precedente la domanda di apertura della procedura.
  6. Il trasferimento della sede dell'impresa all'estero non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana, se è avvenuto dopo il deposito della domanda di accesso alla procedura.
  7. Il tribunale, quando apre una procedura di insolvenza transfrontaliera ai sensi del Regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015, dichiara se la procedura è principale, secondaria o territoriale.
  8. Avverso il provvedimento di apertura di una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza è ammessa impugnazione per difetto di giurisdizione da chiunque vi abbia interesse. Si applica il procedimento di cui all'articolo 51. È sempre ammesso il ricorso per cassazione.
  9. La giurisdizione italiana di cui al presente articolo sussiste anche per le azioni che derivano direttamente dalla procedura.

3) Art. 41. Procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale

  Il procedimento unitario è improntato a particolare celerità, riflettendo l'attuale articolo 15 legge fallimentare, in punto di convocazione, contraddittorio d'udienza e fissazione della stessa. Proprio a Pag. 163tal fine sarebbe opportuno introdurre un termine entro il quale il debitore possa avanzare domanda di accesso al concordato preventivo o di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti. La prescrizione al debitore di indicare in modo precoce il proprio intento di accedere ad una soluzione alternativa alla liquidazione non impone peraltro che tale accesso avvenga subito e con tutti i documenti propri di quelle procedure, parendo equilibrato però esigere una completezza informativa in sede di costituzione. Essa produce infatti la conseguenza di precludere, interinalmente, l'apertura della liquidazione giudiziale, dunque un beneficio apprezzabile, oltre agli effetti legali e alle eventuali misure protettivi assunte su domanda. Tale prescrizione appare altresì diretta ad evitare un utilizzo meramente dilatorio e quindi abusivo dello strumento concordatario, al solo fine di ritardare l'apertura della liquidazione giudiziale a danno dei creditori, rischio ancor più evidente a fronte della reintroduzione di un automatic stay pressoché automatico a semplice richiesta di parte. Né d'altra parte tale soluzione appare eccessivamente lesiva dei diritti di difesa del debitore posto che la garanzia del diritto di difesa non può implicare che sia illegittimo imporre all'esercizio di facoltà o poteri processuali limitazioni temporali (Cost.106/1073). Nel caso di specie risulterebbero quindi correttamente contemperate le esigenze di difesa del debitore anche considerando da una parte che l'anticipata emersione della crisi comporterà che la domanda di liquidazione giudiziale sia l'epilogo di un percorso preventivo disatteso dal debitore, dall'altra che la predisposizione di una domanda di concordato con riserva del successivo deposito del piano, della proposta e della documentazione non comporta un'assistenza tecnica particolarmente complessa. Medesime considerazioni valgono per l'eccezione di incompetenza, Stante le esigenze di celerità e di tutela di interessi generali sottesa alla procedura e stante la volontà del legislatore di svalutare il rilievo dell'incompetenza e di ridurre al minimo l'impatto dell'eventuale vizio (come evincibile dal disposto dei commi primo e secondo dell'articolo 29 del Codice, laddove fanno salvi gli effetti degli atti precedentemente compiuti).

TESTO ATTUALE

Art. 41
Procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale

  1. Il tribunale con decreto convoca le parti non oltre quarantacinque giorni dal deposito del ricorso.
  2. Tra la data della notifica e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni.
  3. I termini di cui ai commi 1 e 2 possono essere abbreviati dal presidente del tribunale o dal giudice relatore da lui delegato con decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di urgenza. In tali casi, il presidente del tribunale o il giudice da lui delegato può disporre che il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza siano portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità degli stessi.
  4. Il decreto fissa un termine fino a sette giorni prima dell'udienza per la presentazione di memorie o un termine ridotto nel caso di cui Pag. 164al primo periodo del comma 3. Il debitore nel costituirsi, deve depositare i documenti di cui all'articolo 39.
  5. L'intervento dei terzi che hanno legittimazione a proporre la domanda e del pubblico ministero può avere luogo sino a che la causa non venga rimessa al collegio per la decisione.
  6. Il tribunale può delegare al giudice relatore l'audizione delle parti. In tal caso, il giudice delegato provvede all'ammissione ed all'espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio. Il giudice può disporre la raccolta di informazioni da banche dati pubbliche e da pubblici registri.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 41
Procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale

  1. Il tribunale con decreto convoca le parti non oltre quarantacinque giorni dal deposito del ricorso.
  2. Tra la data della notifica e quella dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni.
  3. I termini di cui ai commi 1 e 2 possono essere abbreviati dal presidente del tribunale o dal giudice relatore da lui delegato con decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di urgenza. In tali casi, il presidente del tribunale o il giudice da lui delegato può disporre che il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza siano portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità degli stessi.
  4. Il decreto fissa un termine fino a sette giorni prima dell'udienza per la presentazione di memorie o un termine ridotto nel caso di cui al primo periodo del comma 3. Il debitore nel costituirsi, deve depositare i documenti di cui all'articolo 39 e, a pena di decadenza, proporre l'eccezione di incompetenza nonché l'eventuale domanda di accesso al concordato preventivo o di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti.
  5. L'intervento dei terzi che hanno legittimazione a proporre la domanda e del pubblico ministero può avere luogo sino a che la causa non venga rimessa al collegio per la decisione.
  6. Il tribunale può delegare al giudice relatore l'audizione delle parti. In tal caso, il giudice delegato provvede all'ammissione ed all'espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio. Il giudice può disporre la raccolta di informazioni da banche dati pubbliche e da pubblici registri.

4) Art. 46. Effetti della domanda di accesso al concordato preventivo o al giudizio per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione

  Quanto alla rubrica dell'articolo: L'articolo 46, come si evince leggendo il testo dei cinque commi in cui si articola, disciplina gli effetti esclusivamente della domanda di accesso al concordato preventivo. Risulta quindi errato il riferimento in rubrica anche agli accordi di ristrutturazione. Pag. 165
  Quanto al testo dell'articolo: Dopo il deposito della domanda di accesso e fino al decreto di apertura di cui all'articolo 47, il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale. In difetto di autorizzazione gli atti sono inefficaci e il tribunale dispone la revoca del decreto di cui all'articolo 44, comma 1.
  Non è chiara la ragione che ha determinato l'eliminazione della previsione oggi contenuta nell'articolo 161 in forza della quale il debitore può compiere atti di ordinaria amministrazione? L'eliminazione crea soltanto incertezza ed appare in contrasto con la lettera m) dei principi generali della legge delega laddove il governo nell'esercizio della delega doveva «riformulare le disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento, in coerenza con i princìpi stabiliti dalla presente legge»; in quanto l'eliminazione del riferimento agli atti di ordinaria amministrazione non risolve ma crea un problema interpretativo, tanto più che all'articolo 6 è previsto che sono prededucibili:

   d) i crediti legalmente sorti durante le procedure concorsuali per la gestione del patrimonio del debitore, la continuazione dell'esercizio dell'impresa, il compenso degli organi preposti e le prestazioni professionali richieste dagli organi medesimi.

  È necessario coordinare le due norme perché è chiaro che vi possono essere atti di ordinaria amministrazione conservativi del patrimonio che in forza dell'articolo 6 sono prededucibili e quindi il debitore può compiere senza autorizzazione.

TESTO ATTUALE

Art. 46
Effetti della domanda di accesso al concordato preventivo o al giudizio per l'omologazione degli accordi di ristrutturazione

  1. Dopo il deposito della domanda di accesso e fino al decreto di apertura di cui all'articolo 47, il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale. In difetto di autorizzazione gli atti sono inefficaci e il tribunale dispone la revoca del decreto di cui all'articolo 44, comma 1.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 46
Effetti della domanda di accesso al concordato preventivo

  Dopo il deposito della domanda di accesso e fino al decreto di apertura di cui all'articolo 47, il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale. In difetto di autorizzazione gli atti sono inefficaci e il tribunale dispone la revoca del decreto di cui all'articolo 44, comma 1. Nello stesso periodo e a decorrere dallo stesso termine il debitore può altresì compiere gli atti di ordinaria amministrazione.

Pag. 166

5) Art. 54. Misure protettive

  È stato eliminato senza alcuna ragione il riferimento al divieto di acquisire diritti di prelazione non concordati, eliminazione che creerebbe sicuramente inutili dubbi interpretativi con violazione del già ricordato principio contenuto nell'articolo 2 lettera m) della legge delega..

TESTO ATTUALE

Art. 54
Misure cautelari e protettive

  1. Nel corso del procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale o della procedura di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione, su istanza di parte, il tribunale può emettere i provvedimenti cautelari, inclusa la nomina di un custode dell'azienda o del patrimonio, che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza che dichiara l'apertura della liquidazione giudiziale o che omologa il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
  2. Se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda di cui all'articolo 40, dalla data della pubblicazione della medesima domanda nel registro delle imprese, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio. Dalla stessa data le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano

  PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 54
Misure cautelari e protettive

  1. Nel corso del procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale o della procedura di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione, su istanza di parte, il tribunale può emettere i provvedimenti cautelari, inclusa la nomina di un custode dell'azienda o del patrimonio, che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza che dichiara l'apertura della liquidazione giudiziale o che omologa il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
  2. Se il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda di cui all'articolo 40, dalla data della pubblicazione della medesima domanda nel registro delle imprese, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio. I creditori non possono acquistare diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia autorizzazione del giudice. Dalla stessa data le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano.

Pag. 167

5) Art. 68. Ristrutturazione dei debiti del consumatore

  All'articolo 68, 2° comma, (in tema di contenuto della relazione dell'OCC) alla lettera c), dopo l'attuale testo «la valutazione sulla completezza ed attendibilità della documentazione a corredo della domanda», sembra opportuno aggiungere la frase «nonché sulla convenienza del piano rispetto all'alternativa liquidatoria», esattamente come accade nell'analoga disposizione di cui all'articolo 76, 2° comma, lettera d) relativa al concordato minore.
  È vero che qui non c'è il voto, tuttavia l'informazione sulla convenienza pare indispensabile per i creditori i quali devono decidere se promuovere la contestazione di cui all'articolo 70, 9° comma Conoscere l'opinione dell'OCC in argomento è fondamentale posto che i creditori possono contestare proprio la convenienza della proposta ed il giudice può omologare il piano solo «se ritiene che comunque il credito dell'opponente possa essere soddisfatto dall'esecuzione del piano in misura non inferiore all'alternativa liquidatoria». Integrazione che appare ancor più che necessaria ove si consideri che la domanda di ristrutturazione dei debiti del consumatore può essere presentata anche in pendenza di procedimento per apertura della liquidazione, ai sensi dell'articolo 271 del Codice.

TESTO ATTUALE

Art. 68
Presentazione della domanda e attività dell'OCC

  1. La domanda deve essere presentata al giudice tramite un OCC costituito nel circondario del tribunale competente ai sensi dell'articolo 27, comma 2. Non è necessaria l'assistenza di un difensore.
  2. Alla domanda, deve essere allegata una relazione dell'OCC, che deve contenere:

   a) l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell'assumere le obbligazioni;

   b) l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte;

   c) la valutazione sulla completezza ed attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda;

   d) l'indicazione presunta dei costi della procedura.

  3. L'OCC, nella sua relazione, deve indicare anche se il soggetto finanziatore, ai fini della concessione del finanziamento, abbia tenuto conto del merito creditizio del debitore, valutato in relazione al suo reddito disponibile, dedotto l'importo necessario a mantenere un dignitoso tenore di vita. A tal fine si ritiene idonea una quantificazione non inferiore a quella indicata all'articolo 283, comma 2.
  4. L'OCC, entro sette giorni dall'avvenuto conferimento dell'incarico da parte del debitore, ne dà notizia all'agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche degli enti locali, competenti sulla base dell'ultimo domicilio fiscale dell'istante, i quali entro quindici giorni debbono Pag. 168comunicare il debito tributario accertato e gli eventuali accertamenti pendenti.
  5. Il deposito della domanda sospende, ai soli effetti del concorso, il corso degli interessi convenzionali o legali fino alla chiusura della procedura, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio, salvo quanto previsto dagli articoli 2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, del codice civile.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 68
Presentazione della domanda e attività dell'OCC

  1. La domanda deve essere presentata al giudice tramite un OCC costituito nel circondario del tribunale competente ai sensi dell'articolo 27, comma 2. Non è necessaria l'assistenza di un difensore.
  2. Alla domanda, deve essere allegata una relazione dell'OCC, che deve contenere:

  a) l'indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell'assumere le obbligazioni;

  b) l'esposizione delle ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte;

  c) la valutazione sulla completezza ed attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda «nonché sulla convenienza del piano rispetto all'alternativa liquidatoria»;

  d) l'indicazione presunta dei costi della procedura.

  3. L'OCC, nella sua relazione, deve indicare anche se il soggetto finanziatore, ai fini della concessione del finanziamento, abbia tenuto conto del merito creditizio del debitore, valutato in relazione al suo reddito disponibile, dedotto l'importo necessario a mantenere un dignitoso tenore di vita. A tal fine si ritiene idonea una quantificazione non inferiore a quella indicata all'articolo 283, comma 2.
  4. L'OCC, entro sette giorni dall'avvenuto conferimento dell'incarico da parte del debitore, ne dà notizia all'agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche degli enti locali, competenti sulla base dell'ultimo domicilio fiscale dell'istante, i quali entro quindici giorni debbono comunicare il debito tributario accertato e gli eventuali accertamenti pendenti.
  5. Il deposito della domanda sospende, ai soli effetti del concorso, il corso degli interessi convenzionali o legali fino alla chiusura della procedura, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio, salvo quanto previsto dagli articoli 2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, del codice civile.

6) All'articolo 71. Esecuzione del piano.

  Poco convincente appare la previsione di esecuzione a cura del debitore, pur sotto la vigilanza dell'OCC, tra l'altro in aperta contraddizione Pag. 169 con gli obblighi di rendiconto in capo a quest'ultimo. Obbligo di rendiconto che appare incongruo addossare all'OCC cui non è affidata alcuna attività gestoria (medesime ragioni che, ad esempio, escludono la sussistenza di tale obbligo in capo al commissario giudiziale nel concordato preventivo, perché «organo cui la legge fallimentare attribuisce funzioni composite di vigilanza, informazione, consulenza ed impulso finalizzate al controllo della regolarità del comportamento del debitore ed alla tutela dell'effettiva informazione dei creditori» Cass. 25330/2017). Si consideri che quasi sempre i beni del debitore sono già oggetto di pignoramento, e quindi l'omologa avrebbe l'effetto di rimettere nella disponibilità del debitore tali beni. Il che determinerebbe il rischio di un utilizzo abusivo dello strumento (si pensi, ad esempio, al pignoramento di un conto corrente le cui somme tornerebbero nella piena disponibilità del debitore anche se astrattamente destinate alla soddisfazione dei creditori. La disposizione è inoltre priva di una pur minima disciplina della modalità delle vendite, che trattandosi di procedura concorsuale dovrebbero essere svolte con modalità competitiva e in forma telematica, con il potere di purgazione delle iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli. Modalità competitiva e forma telematica che richiedono sicuramente il possesso di una professionalità specifica che non appare lecito richiedere al debitore consumatore. Occorrerebbe un richiamo ad una norma generale, quale l'articolo 114, 4° comma. Tale ultima disposizione appunto renderebbe applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni in tema di cessione dettate in materia di liquidazione giudiziale, oggetto di richiamo da parte della disciplina del concordato preventivo.

TESTO ATTUALE

Art. 71
Esecuzione del piano

  1. L'OCC vigila sull'esatto adempimento del piano, risolve le eventuali difficoltà e le sottopone al giudice, se necessario. Il debitore è tenuto a compiere ogni atto necessario a dare esecuzione al piano omologato. Ogni sei mesi, l'OCC riferisce al giudice per iscritto sullo stato dell'esecuzione.
  2. Terminata l'esecuzione, l'OCC, sentito il debitore, presenta al giudice il rendiconto. Il giudice, se approva il rendiconto, procede alla liquidazione del compenso e ne autorizza il pagamento.
  3. Se non approva il rendiconto, il giudice indica gli atti necessari per l'esecuzione del piano ed un termine per il loro compimento. Se le prescrizioni non sono adempiute nel termine, anche prorogato, il giudice revoca l'omologazione, osservate, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 72.
  4. Nella liquidazione del compenso il giudice tiene conto della diligenza dell'OCC e può, nei casi più gravi, escludere il diritto al compenso.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 71
Esecuzione del piano

Pag. 170

  1. «L'OCC cura l'esatto adempimento del piano, risolve le eventuali difficoltà e le sottopone al giudice, se necessario. Il debitore è tenuto a collaborare allesecuzione del piano omologato...» Ogni sei mesi, l'OCC riferisce al giudice per iscritto sullo stato dell'esecuzione.
  «Si applica l'articolo 114, 4° comma»
  2. Terminata l'esecuzione, l'OCC, sentito il debitore, presenta al giudice il rendiconto. Il giudice, se approva il rendiconto, procede alla liquidazione del compenso e ne autorizza il pagamento.
  3. Se non approva il rendiconto, il giudice indica gli atti necessari per l'esecuzione del piano ed un termine per il loro compimento. Se le prescrizioni non sono adempiute nel termine, anche prorogato, il giudice revoca l'omologazione, osservate, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 72.
  4. Nella liquidazione del compenso il giudice tiene conto della diligenza dell'OCC e può, nei casi più gravi, escludere il diritto al compenso.

7) Art. 84. Finalità del concordato preventivo

  Ancora oggi, per espressa previsione legislativa si può ed anzi si deve ancora affermarsi con certezza che il concordato, anche quello con continuità aziendale abbia quale finalità primaria il miglior soddisfacimento dei creditori. Il risanamento dell'impresa in crisi e/o il mantenimento dei posti di lavoro, possono quindi essere perseguite se e in quanto compatibili, ma mai contro l'interesse dei creditori stessi, a differenza di quanto è previsto per l'amministrazione straordinaria. La continuità aziendale, di per sé indifferente al soddisfacimento dei creditori, può e deve pertanto trovare spazio esclusivamente in tale declinazione funzionale. Il che è reso manifesto dalla lettura del punto g) dei principi generali della legge delega: «dare priorità di trattazione, fatti salvi i casi di abuso, alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche tramite un diverso imprenditore, purché funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori e purché la valutazione di convenienza sia illustrata nel piano, riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta un'idonea soluzione alternativa». Nella prospettiva della Riforma, la scommessa sulla continuità come valore in sé potrebbe al contrario comportare la retrocessione dell'interesse dei creditori, oggi stella polare del concordato preventivo, al rango di una delle molteplici finalità da bilanciare reciprocamente, e neppure in posizione di priorità. La norma manifesto del concordato preventivo dovrebbe meglio chiarire che come appare chiaro dall'evoluzione normativa della disciplina concorsuale e dall'impianto complessivo del Codice, obbiettivo di ogni procedura concorsuale non è solo il soddisfacimento dei creditori ma il miglior soddisfacimento dei creditori (cfr. Cass. 9087/2018). Modifica che appare ancor più opportuna sol che si pensi che il riferimento alla miglior soddisfazione dei creditori è contenuto nell'articolo 87 con riferimento al piano in continuità. Con la conseguenza che, per assurdo, questo requisito potrebbe ritenersi non indispensabile nel concordato liquidatorio. Il terzo comma nel disciplinare il cosiddetto concordato misto pone una presunzione di prevalenza assoluta a favore della continuità nel caso in cui «i ricavi attesi Pag. 171dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un'attività d'impresa alla quale sono addetti almeno la metà dei lavoratori in forza al momento del deposito del ricorso». Appare necessario meglio coordinare la norma rispetto alla legge delega che era di chiara ed immediata interpretazione in relazione al criterio determinante per valutare se il concordato potesse o meno ritenersi in continuità aziendale ((2) che tale disciplina si applica anche alla proposta di concordato che preveda la continuità aziendale e nel contempo la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa, a condizione che possa ritenersi, a seguito di una valutazione in concreto del piano, che i creditori vengano soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale). In altre parole il parametro dei flussi di cassa derivanti dall'attività in cui siano occupati almeno la metà dei lavoratori dovrebbe al più aggiungersi alla regola dettata dalla legge delega e ripresa dal primo periodo del comma 3 ma non sostituirsi ad essa, come invece avviene con l'attuale formulazione, dove la presunzione assoluta di prevalenza (chiaramente espressa con l'avverbio sempre) fa si che si consideri concordato con continuità quello in cui i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un'attività d'impresa alla quale sono addetti almeno la metà dei lavoratori in forza al momento del deposito del ricorso anche se i creditori non sono sodisfatti in misura prevalente da tali ricavi. Sarebbe inoltre necessario chiarire che la regola si applica alla continuità diretta dato che altrimenti la norma sarebbe in contraddizione con quanto sancito al comma 2 con riferimento alla continuità indiretta.

TESTO ATTUALE

Art. 84
Finalità del concordato preventivo

  1. Con il concordato preventivo il debitore realizza il soddisfacimento dei creditori mediante la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio.
  2. La continuità può essere diretta, in capo all'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, in caso sia prevista la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto, stipulato anche anteriormente alla presentazione del ricorso, conferimento dell'azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo, ed è previsto dal contratto o dal titolo il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per i successivi due anni. In caso di continuità diretta il piano prevede che l'attività d'impresa è funzionale ad assicurare il ripristino dell'equilibrio economico finanziario nell'interesse prioritario dei creditori, oltre che dell'imprenditore e dei soci. In caso di continuità indiretta la disposizione di cui al periodo che precede, in quanto compatibile, si applica anche con riferimento all'attività aziendale proseguita dal soggetto diverso dal debitore. Pag. 172
  3. Nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino. La prevalenza si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un'attività d'impresa alla quale sono addetti almeno la metà dei lavoratori in forza al momento del deposito del ricorso. A ciascun creditore deve essere assicurata un'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile. Tale utilità può anche essere rappresentata dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa.
  4. Nel concordato liquidatorio l'apporto di risorse esterne deve incrementare di almeno il dieci per cento il soddisfacimento dei creditori chirografari, che non può essere in ogni caso inferiore al venti per cento dell'ammontare complessivo del credito chirografario.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 84
Finalità del concordato preventivo

  1. Con il concordato preventivo il debitore realizza il miglior soddisfacimento dei creditori mediante la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio.
  2. La continuità può essere diretta, in capo all'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, in caso sia prevista la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto, stipulato anche anteriormente alla presentazione del ricorso, conferimento dell'azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo, ed è previsto dal contratto o dal titolo il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per i successivi due anni. In caso di continuità diretta il piano prevede che l'attività d'impresa è funzionale ad assicurare il ripristino dell'equilibrio economico finanziario nell'interesse prioritario dei creditori, oltre che dell'imprenditore e dei soci. In caso di continuità indiretta la disposizione di cui al periodo che precede, in quanto compatibile, si applica anche con riferimento all'attività aziendale proseguita dal soggetto diverso dal debitore.
  3. Nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino. Nella continuità diretta ai fini della sussistenza della prevalenza è altresì necessario che i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivino da un'attività d'impresa alla quale sono addetti almeno la metà dei lavoratori in forza al momento del deposito del ricorso. A ciascun creditore deve essere assicurata un'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile. Tale utilità può anche essere rappresentata dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa. Pag. 173
  4. Nel concordato liquidatorio l'apporto di risorse esterne deve incrementare di almeno il dieci per cento il soddisfacimento dei creditori chirografari, che non può essere in ogni caso inferiore al venti per cento dell'ammontare complessivo del credito chirografario.

8) Art. 97. Contratti pendenti

  L'eliminazione del comma previsto nella bozza cosiddetta Rordorf in cui si chiariva che lo scioglimento non veniva meno in caso di revoca o mancata omologa del concordato rischia di creare un'inutile incertezza interpretativa, con violazione del già ricordato principio contenuto nell'articolo 2 lettera m) della legge delega

TESTO ATTUALE

Art. 97
Contratti pendenti

  1. Salvo quanto previsto dall'articolo 91, comma 2, i contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti alla data del deposito della domanda di accesso al concordato preventivo, proseguono anche durante il concordato. Il debitore può chiedere, con autonoma istanza, l'autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento di uno o più contratti, se la prosecuzione non è coerente con le previsioni del piano né funzionale alla sua esecuzione. Il debitore, unitamente all'istanza, deposita la prova della sua avvenuta notifica alla controparte.
  2. L'istanza di sospensione può essere depositata contestualmente o successivamente al deposito della domanda di accesso al concordato; la richiesta di scioglimento può essere depositata solo quando sono presentati anche il piano e la proposta.
  3. Salvo quanto previsto al comma 4, con l'istanza il debitore propone anche una quantificazione dell'indennizzo dovuto alla controparte della quale si tiene conto nel piano per la determinazione del fabbisogno concordatario.
  4. La controparte può opporsi alla richiesta del debitore depositando una memoria scritta entro sette giorni dall'avvenuta notificazione dell'istanza.
  5. Decorso il termine di cui al comma 4, fino al deposito del decreto di apertura previsto dall'articolo 47, provvede sull'istanza, con decreto motivato e reclamabile, il tribunale. Dopo il decreto di apertura, provvede il giudice delegato.
  6. La sospensione o lo scioglimento del contratto hanno effetto dalla data della notificazione del provvedimento autorizzativo all'altro contraente effettuata a cura del debitore.
  7. La sospensione richiesta prima del deposito della proposta e del piano non può essere autorizzata per una durata eccedente il termine concesso dal tribunale ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lettera a). Quando siano stati presentati proposta e piano, la sospensione può essere autorizzata anche per una durata ulteriore, che comunque non può essere superiore a trenta giorni dalla data del decreto di apertura, non ulteriormente prorogabile. Pag. 174
  8. Lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in esso contenuta.
  9. Nel caso in cui sia autorizzata la sospensione o lo scioglimento, il contraente ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento.
  10. In caso di mancato accordo sulla misura dell'indennizzo la sua determinazione è rimessa al giudice ordinariamente competente. Il giudice delegato provvede alla quantificazione del credito ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze ai sensi dell'articolo 109.
  11 L'indennizzo è soddisfatto come credito chirografario anteriore al concordato, ferma restando la prededuzione del credito conseguente ad eventuali prestazioni eseguite legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali dopo la pubblicazione della domanda di accesso al concordato e prima della notificazione di cui al comma 6.
  12. In caso di scioglimento del contratto di locazione finanziaria, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare al debitore l'eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato, dedotta una somma pari all'ammontare di eventuali canoni scaduti e non pagati fino alla data dello scioglimento, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l'esercizio dell'opzione finale di acquisto rispetto al credito residuo in linea capitale. La somma versata al debitore a norma del periodo precedente è acquisita alla procedura. Il concedente ha diritto di far valere verso il debitore un credito determinato nella differenza tra il credito vantato alla data del deposito della domanda e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato. La vendita o l'allocazione sono effettuate secondo i criteri e le modalità di cui all'articolo 1, comma 139, della legge 4 agosto 2017, n. 124.
  13. Le disposizioni del presente articolo non si applicano ai rapporti di lavoro subordinato, nonché ai contratti di cui agli articoli 173, comma 3, 176 e 185, comma 1.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 97
Contratti pendenti

  1. Salvo quanto previsto dall'articolo 91, comma 2, i contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti nelle prestazioni principali da entrambe le parti alla data del deposito della domanda di accesso al concordato preventivo, proseguono anche durante il concordato. Il debitore può chiedere, con autonoma istanza, l'autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento di uno o più contratti, se la prosecuzione non è coerente con le previsioni del piano né funzionale alla sua esecuzione. Il debitore, unitamente all'istanza, deposita la prova della sua avvenuta notifica alla controparte.
  2. L'istanza di sospensione può essere depositata contestualmente o successivamente al deposito della domanda di accesso al concordato; la richiesta di scioglimento può essere depositata solo quando sono presentati anche il piano e la proposta. Pag. 175
  3. Salvo quanto previsto al comma 4, con l'istanza il debitore propone anche una quantificazione dell'indennizzo dovuto alla controparte della quale si tiene conto nel piano per la determinazione del fabbisogno concordatario.
  4. La controparte può opporsi alla richiesta del debitore depositando una memoria scritta entro sette giorni dall'avvenuta notificazione dell'istanza.
  5. Decorso il termine di cui al comma 4, fino al deposito del decreto di apertura previsto dall'articolo 47, provvede sull'istanza, con decreto motivato e reclamabile, il tribunale. Dopo il decreto di apertura, provvede il giudice delegato.
  6. La sospensione o lo scioglimento del contratto hanno effetto dalla data della notificazione del provvedimento autorizzativo all'altro contraente effettuata a cura del debitore.
  7. La sospensione richiesta prima del deposito della proposta e del piano non può essere autorizzata per una durata eccedente il termine concesso dal tribunale ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lettera a). Quando siano stati presentati proposta e piano, la sospensione può essere autorizzata anche per una durata ulteriore, che comunque non può essere superiore a trenta giorni dalla data del decreto di apertura, non ulteriormente prorogabile.
  8. Lo scioglimento non viene meno in caso di revoca, mancata approvazione ovvero mancata omologa del concordato.
  9. Lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in esso contenuta.
  10. Nel caso in cui sia autorizzata la sospensione o lo scioglimento, il contraente ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento.
  11. In caso di mancato accordo sulla misura dell'indennizzo la sua determinazione è rimessa al giudice ordinariamente competente. Il giudice delegato provvede alla quantificazione del credito ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze ai sensi dell'articolo 109.
  12. L'indennizzo è soddisfatto come credito chirografario anteriore al concordato, ferma restando la prededuzione del credito conseguente ad eventuali prestazioni eseguite legalmente e in conformità agli accordi o agli usi negoziali dopo la pubblicazione della domanda di accesso al concordato e prima della notificazione di cui al comma 6.
  13. In caso di scioglimento del contratto di locazione finanziaria, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare al debitore l'eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato, dedotta una somma pari all'ammontare di eventuali canoni scaduti e non pagati fino alla data dello scioglimento, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l'esercizio dell'opzione finale di acquisto rispetto al credito residuo in linea capitale. La somma versata al debitore a norma del periodo precedente è acquisita alla procedura. Il concedente ha diritto di far valere verso il debitore un credito determinato nella differenza tra il credito vantato alla data del deposito della domanda e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato. La vendita o l'allocazione sono effettuate secondo i criteri e le modalità di cui all'articolo 1, comma 139, della legge 4 agosto Pag. 1762017, n. 14. Le disposizioni del presente articolo non si applicano ai rapporti di lavoro subordinato, nonché ai contratti di cui agli articoli 173, comma 3, 176 e 185, comma 1.

9) Prededuzione nel concordato preventivo

  È necessario mantenere la clausola di salvaguardia dei creditori ipotecari e privilegiati speciali. Invero appare una delle questioni più delicate nella distribuzione delle somme il rapporto tra crediti prededucibili e crediti ipotecari e privilegiati speciali. Una volta che si è scelta la strada del richiamo alle norme della liquidazione per il soddisfacimento dei crediti privilegiati speciali ed ipotecari deve conseguentemente disciplinarsi il rapporto tra tali crediti e quelli prededucibili.

TESTO ATTUALE

Art. 98
Prededuzione nel concordato preventivo

  1. I crediti prededucibili sono soddisfatti durante la procedura alla scadenza prevista dalla legge o dal contratto.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 98
Prededuzione nel concordato preventivo

  1. I crediti prededucibili sono soddisfatti durante la procedura alla scadenza prevista dalla legge o dal contratto, salvi i diritti dei creditori ipotecari, pignoratizi o con privilegio speciale.

10) Articolo 116. Trasformazione fusione o scissione

  La scelta del tutto condivisibile di concentrare nell'opposizione all'omologa tutte le possibili contestazioni di creditori e soci presuppone un'adeguata pubblicità della proposta e del piano che prevedano tali operazioni. Pubblicità che sulla scorta di quanto, ad esempio, oggi previsto per il concordato fallimentare nell'articolo 129 comma 2 e per il concordato preventivo nell'articolo 180 potrebbe incentrarsi sulla pubblicazione nel registro delle imprese del decreto di fissazione dell'udienza in quanto, come recentemente ricordato dalla suprema corte in tema di concordato fallimentare, «è proprio attraverso l'annotazione presso l'ufficio del registro delle imprese che viene garantita una forma di pubblicità legale circa la pendenza del giudizio di omologazione e la possibilità per qualsiasi interessato di proporre opposizione» (Cass.29116/2017).
  È inoltre necessario specificare che anche il piano e non soltanto la proposta possono prevedere operazioni di trasformazione, fusione o scissione.

Pag. 177

TESTO ATTUALE

Art. 116
Trasformazione, fusione o scissione

  1. Se la proposta prevede il compimento, durante la procedura oppure dopo la sua omologazione, di operazioni di trasformazione, fusione o scissione della società debitrice, la validità di queste può essere contestata dai creditori solo con l'opposizione all'omologazione.
  2. Gli effetti di tali operazioni, in caso di risoluzione o di annullamento del concordato, sono irreversibili, salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi ai sensi degli articoli 2500-bis, comma secondo, 2504-quater, comma secondo, e 2506-ter, comma quinto, del codice civile.
  3. Trovano applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nel capo X del titolo V del libro V del codice civile.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 116
Trasformazione, fusione o scissione

  1. Se la proposta e il piano prevedono il compimento, durante la procedura oppure dopo la sua omologazione, di operazioni di trasformazione, fusione o scissione della società debitrice, la validità di queste può essere contestata dai creditori solo con l'opposizione all'omologazione.
  2. Gli effetti di tali operazioni, in caso di risoluzione o di annullamento del concordato, sono irreversibili, salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi ai sensi degli articoli 2500-bis, comma secondo, 2504-quater, comma secondo, e 2506-ter, comma quinto, del codice civile.
  3. Trovano applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nel capo X del titolo V del libro V del codice civile.
  4. In tal caso il tribunale, nel provvedimento di fissazione d'udienza di cui all'articolo 48 comma 1, dispone che la proposta ed il piano siano pubblicati nel registro delle imprese del luogo ove hanno sede le società interessate dalle operazioni di trasformazione, fusione o scissione. Tra la pubblicazione e l'udienza fissata per l'omologa ai sensi dell'articolo 48 comma 1 devono intercorrere almeno trenta giorni.

11) Art. 129. Esercizio delle attribuzioni del curatore

  All'articolo 129 sono indicate le attribuzioni che il curatore non può delegare (adempimenti di cui agli articoli 198, 200, 203, 205 e 213). È assolutamente opportuno aggiungere anche il riparto e il rendiconto.

TESTO ATTUALE

Art. 129
Esercizio delle attribuzioni del curatore

Pag. 178

  1. Il curatore esercita personalmente le funzioni del proprio ufficio e può delegare ad altri specifiche operazioni, previa autorizzazione del comitato dei creditori, con esclusione degli adempimenti di cui agli articoli 198, 200, 203, 205 e 213. L'onere per il compenso del delegato, liquidato dal giudice, è detratto dal compenso del curatore.
  2. Il curatore può essere autorizzato dal comitato dei creditori a farsi coadiuvare da tecnici o da altre persone retribuite, compreso il debitore e gli amministratori della società o dell'ente in liquidazione giudiziale, sotto la sua responsabilità. Del compenso riconosciuto a tali soggetti si tiene conto ai fini della liquidazione del compenso del curatore.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 129
Esercizio delle attribuzioni del curatore

  1. Il curatore esercita personalmente le funzioni del proprio ufficio e può delegare ad altri specifiche operazioni, previa autorizzazione del comitato dei creditori, con esclusione degli adempimenti di cui agli articoli 198, 200, 203, 205, 213, 220 e 231. L'onere per il compenso del delegato, liquidato dal giudice, è detratto dal compenso del curatore.
  2. Il curatore può essere autorizzato dal comitato dei creditori a farsi coadiuvare da tecnici o da altre persone retribuite, compreso il debitore e gli amministratori della società o dell'ente in liquidazione giudiziale, sotto la sua responsabilità. Del compenso riconosciuto a tali soggetti si tiene conto ai fini della liquidazione del compenso del curatore.

12) Art. 222. Disciplina dei crediti prededucibili

  Nel secondo comma dell'articolo 222 è contenuto un evidente errore compiuto dal legislatore della novella del 2007 quando ha eliminato il riferimento alla proporzionalità delle masse inserendo il richiamo alle cause di prelazione, che è una ripetizione di quanto già contenuto nell'ultimo comma della norma. In sostanza oggi di dice due volte la stessa cosa (che se l'attivo è insufficiente valgono le cause di prelazione) ma non si specifica come tali crediti vanno pagati in rapporto alle singole masse. Errore che va corretto.

TESTO ATTUALE

Art. 222
Disciplina dei crediti prededucibili

  1. I crediti prededucibili devono essere accertati con le modalità di cui al capo III del presente titolo, con esclusione di quelli non contestati per collocazione e ammontare, anche se sorti durante l'esercizio dell'impresa del debitore, e di quelli sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione di compensi dei soggetti nominati ai sensi dell'articolo 123; in questo ultimo caso, se contestati, devono essere accertati con il procedimento di cui all'articolo 124. Pag. 179
  2. I crediti prededucibili vanno soddisfatti per il capitale, gli interessi e le spese con il ricavato della liquidazione del patrimonio mobiliare e immobiliare, tenuto conto delle rispettive cause di prelazione, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti. Il corso degli interessi cessa al momento del pagamento.
  3. I crediti prededucibili sorti nel corso della procedura di liquidazione giudiziale che sono liquidi, esigibili e non contestati per collocazione e per ammontare, possono essere soddisfatti al di fuori del procedimento di riparto se l'attivo è presumibilmente sufficiente a soddisfare tutti i titolari di tali crediti. Il pagamento deve essere autorizzato dal comitato dei creditori ovvero dal giudice delegato.
  4. Se l'attivo è insufficiente, la distribuzione deve avvenire secondo i criteri della graduazione e della proporzionalità, conformemente all'ordine assegnato dalla legge.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 222
Disciplina dei crediti prededucibili

  1. I crediti prededucibili devono essere accertati con le modalità di cui al capo III del presente titolo, con esclusione di quelli non contestati per collocazione e ammontare, anche se sorti durante l'esercizio dell'impresa del debitore, e di quelli sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione di compensi dei soggetti nominati ai sensi dell'articolo 123; in questo ultimo caso, se contestati, devono essere accertati con il procedimento di cui all'articolo 124.
  2. I crediti prededucibili vanno soddisfatti per il capitale, gli interessi e le spese con il ricavato della liquidazione del patrimonio mobiliare e immobiliare, secondo un criterio proporzionale, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti. Il corso degli interessi cessa al momento del pagamento.
  3. I crediti prededucibili sorti nel corso della procedura di liquidazione giudiziale che sono liquidi, esigibili e non contestati per collocazione e per ammontare, possono essere soddisfatti al di fuori del procedimento di riparto se l'attivo è presumibilmente sufficiente a soddisfare tutti i titolari di tali crediti. Il pagamento deve essere autorizzato dal comitato dei creditori ovvero dal giudice delegato.
  4. Se l'attivo è insufficiente, la distribuzione deve avvenire secondo i criteri della graduazione e della proporzionalità, conformemente all'ordine assegnato dalla legge.

13) Art. 275. Liquidazione controllata

  All'articolo 275 si ravvisano una serie di problematiche: a) non si prevede nulla in ordine alla formazione del programma di liquidazione; quantomeno occorre la sua approvazione da parte del giudice delegato, mancando qui il comitato dei creditori e nulla appunto disponendosi circa il contenuto; b) al 5° comma si prevede che il piano di riparto sia approvato «senza indugio» dal giudice; a parte la Pag. 180superfluità della precisazione, essa potrebbe far pensare agli interpreti che il giudice debba autorizzare senza operare alcun controllo, mentre ovviamente la verifica quantomeno dell'osservanza delle cause legittime di prelazione è dovuta; c) nulla si prevede per le modalità di cessione dei beni, mentre a maggior ragione qui si presentano le questioni già illustrate per le altre procedure; d) qui giustamente si prevede il potere di purgazione, ma inspiegabilmente solo in sede di decreto di chiusura (che in teoria potrebbe anche avvenire anni dopo l'atto di alienazione con il risultato di mantenere ferme tali iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli sul bene anche dopo l'aggiudicazione ed il pagamento del prezzo e quindi scoraggiare sicuramente la platea dei possibili acquirenti).

TESTO ATTUALE

Art. 275

  1. Il programma di liquidazione è eseguito dal liquidatore, che ogni sei mesi ne riferisce al giudice delegato. Il mancato deposito delle relazioni semestrali costituisce causa di revoca dell'incarico ed è valutato ai fini della liquidazione del compenso.
  2. Il liquidatore ha l'amministrazione dei beni che compongono il patrimonio di liquidazione.
  3. Terminata l'esecuzione, il liquidatore presenta al giudice il rendiconto. Il giudice verifica la conformità degli atti dispositivi al programma di liquidazione e, se approva il rendiconto, procede alla liquidazione del compenso del liquidatore.
  4. Il giudice, se non approva il rendiconto, indica gli atti necessari al completamento della liquidazione ovvero le opportune rettifiche ed integrazioni del rendiconto, nonché un termine per il loro compimento. Se le prescrizioni non sono adempiute nel termine, anche prorogato, il giudice provvede alla sostituzione del liquidatore e nella liquidazione del compenso tiene conto della diligenza prestata, con possibilità di escludere in tutto o in parte il compenso stesso.
  5. Il liquidatore provvede alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione secondo l'ordine di prelazione risultante dallo stato passivo, previa formazione di un progetto di riparto da comunicare al debitore e ai creditori, con termine non superiore a giorni quindici per osservazioni. In assenza di contestazioni, comunica il progetto di riparto al giudice che senza indugio ne autorizza l'esecuzione.
  6. Se sorgono contestazioni sul progetto di riparto, il liquidatore verifica la possibilità di componimento e vi apporta le modifiche che ritiene opportune. Altrimenti rimette gli atti al giudice delegato, il quale provvede con decreto motivato, reclamabile ai sensi dell'articolo 124.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 275

  1. Il programma di liquidazione è approvato dal giudice delegato ed è eseguito dal liquidatore. Ogni sei mesi il liquidatore riferisce al giudice per iscritto sullo stato dell'esecuzione. Il mancato deposito delle Pag. 181relazioni semestrali costituisce causa di revoca dell'incarico ed è valutato ai fini della liquidazione del compenso.
  2. Il liquidatore ha l'amministrazione dei beni che compongono il patrimonio di liquidazione.
  «Si applicano le disposizioni sulle vendite nella liquidazione giudiziale, in quanto compatibili. Il giudice ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento e delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo»
  3. Terminata l'esecuzione, il liquidatore presenta al giudice il rendiconto. Il giudice verifica la conformità degli atti dispositivi al programma di liquidazione e, se approva il rendiconto, procede alla liquidazione del compenso del liquidatore.
  4. Il giudice, se non approva il rendiconto, indica gli atti necessari al completamento della liquidazione ovvero le opportune rettifiche ed integrazioni del rendiconto, nonché un termine per il loro compimento. Se le prescrizioni non sono adempiute nel termine, anche prorogato, il giudice provvede alla sostituzione del liquidatore e nella liquidazione del compenso tiene conto della diligenza prestata, con possibilità di escludere in tutto o in parte il compenso stesso.
  5. Il liquidatore provvede alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione secondo l'ordine di prelazione risultante dallo stato passivo, previa formazione di un progetto di riparto da comunicare al debitore e ai creditori, con termine non superiore a giorni quindici per osservazioni. In assenza di contestazioni, comunica il progetto di riparto al giudice che senza indugio ne autorizza l'esecuzione.
  6. Se sorgono contestazioni sul progetto di riparto, il liquidatore verifica la possibilità di componimento e vi apporta le modifiche che ritiene opportune. Altrimenti rimette gli atti al giudice delegato, il quale provvede con decreto motivato, reclamabile ai sensi dell'articolo 124.

Conseguentemente l'articolo 276, che recita

  1. La procedura si chiude con decreto.
  2. Con decreto di chiusura, il giudice, su istanza del liquidatore, autorizza il pagamento del compenso liquidato ai sensi dell'articolo 275, comma 3, lo svincolo delle somme eventualmente accantonate e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento e delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo

Potrebbe essere così modificato

  1. La procedura si chiude con decreto.
  2. Con decreto di chiusura, il giudice, su istanza del liquidatore, autorizza il pagamento del compenso liquidato ai sensi dell'articolo 275, comma 3, lo svincolo delle somme eventualmente accantonate e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento e delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo

14) Art. 324 Esenzione dai reati di bancarotta.

  L'articolo 324 prevede l'esenzione dai reati di bancarotta semplice e di bancarotta preferenziale con riferimento a pagamenti ed operazioni Pag. 182 compiute in esecuzione di concordati e accordi di ristrutturazione ed ai pagamenti di crediti pregressi autorizzati dal giudice a seguito della domanda di concordato ai sensi dell'articolo 100 quando è prevista la continuità aziendale. Risulta irragionevole il mancato richiamo dell'articolo 99 che riguarda i finanziamenti autorizzati dal tribunale quando è prevista la continuità aziendale prima dell'intervenuta omologazione del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione. Occorre quindi, per identità di ratio, integrare l'articolo 324.

TESTO ATTUALE

Art. 324
Esenzioni dai reati di bancarotta

  1. Le disposizioni di cui agli articoli 322, comma 3 e 323 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni computi in esecuzione di un concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti omologati o degli accordi in esecuzione del piano attestato ovvero del concordato minore omologato ai sensi dell'articolo 80, nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma dell'articolo 100 e dell'articolo 101.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 324
Esenzioni dai reati di bancarotta

  1.Le disposizioni di cui agli articoli 322, comma 3 e 323 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni computi in esecuzione di un concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti omologati o degli accordi in esecuzione del piano attestato ovvero del concordato minore omologato ai sensi dell'articolo 80, nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma dell'articolo 99, dell'articolo 100 e dell'articolo 101.

15) Art. 341. Disposizioni penali applicabili nel caso di (...) accordi di ristrutturazione dei debiti (...)

  L'articolo 341 al comma 3 prevede che nel caso di accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa ai sensi dell'articolo 61 e di convenzione di moratoria ai sensi dell'articolo 62 si applichino le disposizioni penali stabilite nel comma 2 con riferimento alla procedura di concordato preventivo (ossia essenzialmente i reati di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice).
  La ratio dell'estensione come noto è individuabile nel fatto che negli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e nelle convenzione di moratoria, diversamente rispetto ai normali accordi ristrutturazione e analogamente a quanto si verifica invece nelle procedure di concordato preventivo, una parte dei creditori subisce la falcidia o comunque la modifica dei tempi di soddisfacimento del credito contro la propria volontà per l'effetto del consenso espresso da altri creditori. Pag. 183
  Questa omogeneità sostanziale sotto il profilo degli effetti con riferimento ad una parte dei creditori non aderenti ha indotto il legislatore, già nel 2015, ad equiparare sul piano penale questa tipologia di accordi al concordato preventivo.
  Ora all'articolo 48 comma 5 è stata introdotta (ed è una delle principali novità del testo dello schema di D.lgs rispetto a quello elaborato dalla Commissione Rordorf) la previsione che l'accordo di ristrutturazione che preveda la falcidia del credito erariale può essere omologato anche contro la volontà dell'amministrazione finanziaria.
  Risulta di tutta evidenza che si è in presenza di una fattispecie analoga a quella degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa.
  Ma oltre che ragioni di armonia del sistema l'estensione della disciplina penale del concordato preventivo (e degli accordi ad efficacia estesa) a questo caso è assolutamente necessaria perché sarebbe altrimenti prevedibile la strumentalizzazione dell'istituto dell'accordo di ristrutturazione per evitare le gravi conseguenze dell'applicazione della disciplina dei reati di bancarotta nei casi di dissesto dell'impresa generato attraverso gravi condotte di frode fiscale o comunque sistematiche omissioni di pagamento delle imposte.
  Oggi gli amministratori di una società che ad es. svolge funzione di «cartiera» oppure accumula debiti fiscali per milioni di euro omettendo sistematicamente il pagamento delle imposte nel corso degli esercizi rispondono, in caso di fallimento o di concordato preventivo, normalmente oltre che dei reati fiscali dei reati di bancarotta fraudolenta (in particolare del delitto di cagionamento del dissesto per effetto di operazioni dolose di cui all'articolo 223 comma 2 n.2 nonché, soprattutto nel caso di distrazione dell'iva non versata, del reato di bancarotta per distrazione) per i quali è prevista la severa pena dai tre ai dieci anni di reclusione aumentabile fino alla metà in caso di danno di rilevante entità.
  Con la nuova disciplina di cui all'articolo 48 comma 5 nel caso ad esempio di società con debiti fiscali per milioni di euro e senza alcun attivo o con attivo irrisorio il giudice dovrà omologare, nonostante la mancata adesione dell'Agenzia delle Entrate, un accordo di ristrutturazione che preveda il soddisfacimento dei debiti fiscali nella misura per ipotesi del 1% perché migliore di quella prevedibile in caso di liquidazione giudiziale. Risulta evidente che se non si estende a questa ipotesi di accordi di ristrutturazione la disciplina penale del concordato preventivo (che a sua volta rinvia a quella della liquidazione giudiziale) lo strumento dell'accordo di ristrutturazione sarà utilizzato, con un costo economico per chi lo propone quanto più modesto quanto più grave è il dissesto (posto che è sufficiente far avere all'Agenzia delle Entrate qualcosa in più di quanto avrebbe in caso di liquidazione giudiziale), per evitare le conseguenze penali.
  L'alternativa per evitare tutto questo, se non si estende la norma penale, potrebbe essere una riscrittura del comma 5 che lo limiti a casi in cui i crediti dell'Agenzia dell'Entrata non superino una determinata soglia, ad esempio il 10% dell'ammontare complessivo dei debiti dell'impresa

TESTO ATTUALE

Art. 341 Pag. 184
Concordato preventivo e accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria

  1. È punito con la reclusione da uno a cinque anni l'imprenditore, che, al solo scopo di ottenere l'apertura della procedura di concordato preventivo o di ottenere l'omologazione di un accordo di ristrutturazione o il consenso alla sottoscrizione della convenzione di moratoria, si sia attribuito attività inesistenti, ovvero, per influire sulla formazione delle maggioranze, abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti.
  2. Nel caso di concordato preventivo si applicano:

   a) le disposizioni degli articoli 329 e 330 agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società;

   b) la disposizione dell'articolo 333 agli institori dell'imprenditore;

   c) le disposizioni degli articoli 334 e 335 al commissario del concordato preventivo;

   d) le disposizioni degli articoli 338 e 339 ai creditori.

  3. Nel caso di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa o di convenzione di moratoria, si applicano le disposizioni previste al comma 2, lettere a), b) e d).

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 341
Concordato preventivo e accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria

  1. È punito con la reclusione da uno a cinque anni l'imprenditore, che, al solo scopo di ottenere l'apertura della procedura di concordato preventivo o di ottenere l'omologazione di un accordo di ristrutturazione o il consenso alla sottoscrizione della convenzione di moratoria, si sia attribuito attività inesistenti, ovvero, per influire sulla formazione delle maggioranze, abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti.
  2. Nel caso di concordato preventivo si applicano:

   a) le disposizioni degli articoli 329 e 330 agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società;

   b) la disposizione dell'articolo 333 agli institori dell'imprenditore;

   c) le disposizioni degli articoli 334 e 335 al commissario del concordato preventivo;

   d) le disposizioni degli articoli 338 e 339 ai creditori.

  3. Nel caso di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa o di convenzione di moratoria nonché nel caso di omologa dell'accordo di ristrutturazione in mancanza di adesione dell'agenzia delle entrate ai sensi dell'articolo 48, comma 5, si applicano le disposizioni previste al comma 2, lettere a), b) e d).

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16) Art. 356. Albo dei soggetti incaricati dall'autorità giudiziaria delle funzioni di gestione e di controllo nelle procedure di cui al codice della crisi e dell'insolvenza

  La norma contenuta nell'articolo 356 prevede che i soggetti (professionisti, associazioni e società) che intendono iscriversi nell'albo dei curatori, commissari e liquidatori devono dimostrare «di aver assolto gli obblighi di formazione di cui al decreto del Ministro della giustizia 24 settembre 2014, n. 202 e successive modificazioni».
  Il rinvio al DM 202/2014 rende applicabile il regolamento che concerne l'iscrizione nel registro degli organismi di composizione della crisi
  Il DM 202/14 rende obbligatorio (cfr articolo 4, comma 5, che riguarda l'iscrizione negli elenchi dei gestori della crisi) il possesso di:

   laurea magistrale in materie economiche e giuridiche;

   partecipazione a corsi di perfezionamento istituti a norma dell'articolo 16 DPR 162/1982, di durata non inferiore a 200 ore, ridotti a 40 ore per i professionisti (art. 4, comma 6);

   tirocinio presso un curatore o un professionista delegato per almeno 6 mesi (anche in concomitanza con la partecipazione ai corsi): la norma non si applica ai professionisti;

   aggiornamento biennale per almeno 40 ore, mediante corsi organizzati dagli Ordini professionali.

  Gli ordinamenti professionali possono prevedere esenzioni ai propri iscritti:

   sia per la formazione iniziale (di 40 ore);

   sia per l'aggiornamento biennale (di 40 ore).

  La complessità delle funzioni di curatore e commissario nelle procedure concorsuali richiede un livello di specializzazione molto alto con l'acquisizione di competenze che in parte rilevante fuoriescono dall'alveo delle normali competenze proprie del percorso professionale rispettivamente dell'avvocato e del dottore commercialista. Occorre quindi espressamente stabilire che il corso di formazione iniziale non può avere una durata inferiore alle 200 ore, posto che il richiamato DM 202/2014 prevede invece al riguardo la possibilità di durate inferiori. Al fine di assicurare la piena idoneità della formazione dei curatori e dei commissari al concreto svolgimento delle funzioni è indispensabile il contributo degli uffici giudiziari, i quali non possono disinteressarsi della formazione (iniziale e periodica) dei loro ausiliari, perché è essenzialmente attraverso l'opera di questi ultimi che, nella materia concorsuale, si attua la funzione giurisdizionale. Pertanto occorre prevedere che il contenuto dei corsi sia stabilito nell'ambito di convenzioni tra gli uffici giudiziari interessati, a livello di circondario o eventualmente a livello distrettuale, e le università incaricate.

TESTO ATTUALE

Art. 356

Pag. 186

Albo dei soggetti incaricati dall'autorità giudiziaria delle funzioni di gestione e di controllo nelle procedure di cui al codice della crisi e dell'insolvenza

  1. È istituito presso il Ministero della giustizia un albo dei soggetti, costituiti anche in forma associata o societaria, destinati a svolgere, su incarico del tribunale, le funzioni di curatore, commissario giudiziale o liquidatore, nelle procedure previste nel codice della crisi e dell'insolvenza. Il Ministero della giustizia esercita la vigilanza sull'attività degli iscritti all'albo.
  2. Possono ottenere l'iscrizione i soggetti che, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 358, comma 1, lettere a), b) e c), dimostrano di aver assolto gli obblighi di formazione di cui al decreto del Ministro della giustizia 24 settembre 2014, n.202 e successive modificazioni. Costituisce condizione per il mantenimento dell'iscrizione l'acquisizione di uno specifico aggiornamento biennale, ai sensi del predetto decreto. I requisiti di cui all'articolo 358, comma 1, lettera b), devono essere in possesso della persona fisica responsabile della procedura, nonché del legale rappresentante della società tra professionisti o di tutti i componenti dello studio professionale associato.
  3. Costituisce requisito per l'iscrizione all'albo il possesso dei seguenti requisiti di onorabilità:

   a) non versare in una delle condizioni di ineleggibilità o decadenza previste dall'articolo 2382 del codice civile;

   b) non essere stati sottoposti a misure di prevenzione disposte dall'autorità giudiziaria ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;

   c) non essere stati condannati con sentenza passata in giudicato, salvi gli effetti della riabilitazione:

    1) a pena detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l'attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di mercati e valori mobiliari, di strumenti di pagamento;

    2) alla reclusione per uno dei delitti previsti nel titolo XI del libro V del codice civile o nel presente codice;

    3) alla reclusione per un tempo non inferiore a un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l'ordine pubblico, contro l'economia pubblica ovvero per un delitto in materia tributaria;

    4) alla reclusione per un tempo superiore a due anni per un qualunque delitto non colposo;

   d) non avere riportato negli ultimi cinque anni una sanzione disciplinare più grave di quella minima prevista dai singoli ordinamenti professionali.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 356 Pag. 187
Albo dei soggetti incaricati dall'autorità giudiziaria delle funzioni di gestione e di controllo nelle procedure di cui al codice della crisi e dell'insolvenza

  1. È istituito presso il Ministero della giustizia un albo dei soggetti, costituiti anche in forma associata o societaria, destinati a svolgere, su incarico del tribunale, le funzioni di curatore, commissario giudiziale o liquidatore, nelle procedure previste nel codice della crisi e dell'insolvenza. Il Ministero della giustizia esercita la vigilanza sull'attività degli iscritti all'albo.
  2. Possono ottenere l'iscrizione nell'elenco i soggetti che, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 358, comma 1, lettere a), b) e c), dimostrano di aver assolto gli obblighi di formazione, di cui al decreto del Ministro della giustizia 24 settembre 2014, n. 202 e successive modificazioni. La durata del corso ai fini della formazione iniziale non può essere inferiore alle 200 ore. Costituisce condizione per il mantenimento dell'iscrizione l'acquisizione di uno specifico aggiornamento biennale, ai sensi del predetto decreto. I requisiti di cui all'articolo 358, comma 1, lettera b), devono essere in possesso della persona fisica responsabile della procedura, nonché del legale rappresentante della società tra professionisti o di tutti i componenti dello studio professionale associato. In deroga a quanto previsto dall'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162 e dall'articolo 92, secondo e terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, i corsi sono attivati esclusivamente a seguito di convenzioni stipulate con il tribunale o con la corte di appello. Nella convenzione sono individuati, per ciascun corso di ciascun anno, gli argomenti da trattare e le metodologie da seguire per l'insegnamento e per la verifica dell'apprendimento.
  3. Costituisce requisito per l'iscrizione all'albo il possesso dei seguenti requisiti di onorabilità:

   a) non versare in una delle condizioni di ineleggibilità o decadenza previste dall'articolo 2382 del codice civile;

   b) non essere stati sottoposti a misure di prevenzione disposte dall'autorità giudiziaria ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;

   c) non essere stati condannati con sentenza passata in giudicato, salvi gli effetti della riabilitazione:

    1) a pena detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l'attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di mercati e valori mobiliari, di strumenti di pagamento;

    2) alla reclusione per uno dei delitti previsti nel titolo XI del libro V del codice civile o nel presente codice;

    3) alla reclusione per un tempo non inferiore a un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l'ordine pubblico, contro l'economia pubblica ovvero per un delitto in materia tributaria;

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    4) alla reclusione per un tempo superiore a due anni per un qualunque delitto non colposo;

   d) non avere riportato negli ultimi cinque anni una sanzione disciplinare più grave di quella minima prevista dai singoli ordinamenti professionali.

17) Art. 388 ENTRATA IN VIGORE
Nell'articolo 388, comma 2, è prevista l'entrata in vigore immediata dell'articolo 374 che, aggiungendo un comma all'attuale articolo 2086 codice civile, prevede in via generale il dovere dell'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile funzionale anche ai fini della rilevazione tempestiva della crisi d'impresa, e non dell'articolo 376 che inserisce il rinvio all'articolo 2086 comma 2 codice civile tra le norme relative ai diversi tipi di società. Si tratta palesemente di un errore.

TESTO ATTUALE

Art. 388
Entrata in vigore

  1. Il presente decreto entra in vigore decorsi diciotto mesi dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, salvo quanto previsto ai commi 2 e 3.
  2. Gli articoli 27, comma 1, 350, 356, 357, 359, 363, 364, 366, 373, 374, 377 e 378 entrano in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto.
  3. Le disposizioni concernenti le garanzie in favore degli acquirenti di immobili da costruire di cui alla parte terza entrano in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto.

PROPOSTA DI MODIFICA

Art. 388
Entrata in vigore

  1. Il presente decreto entra in vigore decorsi diciotto mesi dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, salvo quanto previsto ai commi 2 e 3.
  2. Gli articoli 27, comma 1, 350, 356, 357, 359, 363, 364, 366, 373, 374, 376, 377 e 378, entrano in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto.
  3. Le disposizioni concernenti le garanzie in favore degli acquirenti di immobili da costruire di cui alla parte terza entrano in vigore il trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del presente decreto.

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ALLEGATO 2

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ALLEGATO 3

Roma, 4 dicembre 2018
Alla sig.ra presidente della Commissione Giustizia
della Camera dei deputati
On. Giulia Sarti

  Signora presidente,
  desidero anzitutto ringraziarLa per l'invito a partecipare a questa audizione, nella speranza di poter dare un utile contributo al lavori della Commissione da Lei presieduta.
  Come è noto, una prima commissione ministeriale, che ebbi la ventura di presiedere, redasse una bozza di legge delega per la riforma del diritto concorsuale, sulla base della quale è stata poi emanata la legge n. 155 del 2017; e poi una ulteriore commissione, anch'essa da me presieduta, provvide a redigere una bozza di decreti delegati, che fu consegnata al Ministro della Giustizia il 22 dicembre 2017. Quel testo, redatto in tempi davvero assai ristretti, abbisognava certamente di un'ulteriore revisione, che fu però impedita dalla scadenza della legislatura e dalle conseguenti dimissioni del Governo allora in carica (il testo elaborato dalla commissione fu a suo tempo reso pubblico, e quindi credo di poterlo qui dare per noto). Il Ministro della Giustizia entrato in carica dopo le elezioni del 4 marzo scorso ha inteso però portare a termine l'iter legislativo prefigurato dalla citata legge delega ed ha elaborato un testo di decreto legislativo, in cui è prevista l'emanazione di un Codice della crisi e dell'insolvenza, approvato da ultimo dal Consiglio dei Ministri ed ora sottoposto al parere delle competenti Commissioni parlamentari.
  Sia per la struttura generale sia per il contenuto della gran parte degli articoli il codice ora in esame non si discosta dal testo a suo tempo redatto dalla menzionata commissione ministeriale, ma vi apporta alcune modifiche, molte delle quali di ordine formale ed altre invece di portata sostanziale.
  Non mi sarebbe in questa sede possibile passare in rassegna tutte le disposizioni dell'emanando codice, e neppure le singole modifiche apportate al testo in precedenza redatto dall'anzidetta commissione ministeriale. Mi soffermerò quindi soltanto su alcuni aspetti, che mi paiono di maggiore importanza, senza pretesa di completezza e tralasciando di entrare in dettagli tecnici che richiederebbero un esame più specifico, incompatibile con la dimensione del presente contributo.
  Una delle innovazioni di maggiore importanza contenute nel Codice della crisi e dell'insolvenza consiste certamente nell'introduzione delle procedure di allerta e composizione assistita della crisi (Titolo II del codice).
  Tutti gli analisti concordano sul fatto che solo individuando e fronteggiando precocemente i sintomi di crisi si può sperare di conseguire l'obiettivo del risanamento e, quindi, al tempo stesso, di salvaguardare la continuità dell'impresa, evitando la dispersione di valore spesso insita nelle procedure meramente liquidatorie. Condizione, questa, che appare indispensabile anche per realizzare il miglior soddisfacimento dei creditori, costituente pur sempre lo scopo primario della regolamentazione. Si tratta di un'esigenza ormai riconosciuta da Pag. 200tutti gli ordinamenti e che si rispecchia anche nei principi elaborati dall'Uncitral e dalla Banca Mondiale, oltre ad essere esplicitamente richiamata nella Raccomandazione della Commissione dell'Unione europea del 12 marzo 2014, (2014/135/UE) e nella proposta di direttiva europea del 22 novembre 2016.
  Su questa strada si è dichiaratamente incamminato il legislatore delegante, onde non credo la si possa ulteriormente mettere in discussione in fase di attuazione della delega. Le criticità, a tal riguardo, concernono dunque non l'introduzione procedure di allerta e composizione assistita della crisi, ma, semmai, il modo col quale in concreto ci si è proposti di realizzarle. Occorre tuttavia dire subito che molte delle obiezioni che sono state sollevate investono, a ben vedere, scelte già compiute nella legge delega. Così è, ad esempio, per la scelta di incardinare tali procedure nelle camere di commercio, prevedendo la creazione in seno ad esse di nuovi appositi organismi, anziché affidarle ai già esistenti organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento; o per la previsione di coinvolgimento del pubblico ministero in caso di esito negativo della procedura di composizione (che attenua il carattere stragiudiziale dell'allerta); o per l'onere di segnalazione posto a carico di creditori pubblici fiscali e previdenziali, col rischio di perdita del privilegio dei rispettivi crediti, in presenza di rilevanti debiti fiscali o previdenziali dell'imprenditore (visto con preoccupazione anche dai funzionari di quegli stessi enti, oltre che da quella fascia di imprenditori che non disdegna di autofinanziarsi ritardando sistematicamente l'adempimento degli obblighi fiscali e previdenziali).
  Uno dei punti più critici è costituito dalle soglie di rilevanza dei debiti che implicano il dovere di dar corso all'allerta: soglie che sono state parzialmente elevate nel testo approvato dal Consiglio dei ministri, rispetto a quelle in precedenza previste nella bozza elaborata dalla commissione ministeriale. Ovviamente la misura di qualsiasi soglia quantitativa è sempre opinabile, ma occorre tener conto che, in questo ambito, soglie troppo elevate rischierebbero di vanificare l'obiettivo della precoce emersione della crisi. L'entità dei debiti fiscali e previdenziali ora indicati dall'articolo 15, comma 2, del Codice per far scattare l'onere di segnalazione da parte dei creditori qualificati ivi menzionati appare in effetti tale da far ragionevolmente presumere si sia ormai in presenza non già di sintomi precoci di una possibile crisi o futura insolvenza, bensì di un'insolvenza già ampiamente maturata e forse divenuta persino irreversibile. Credo perciò che una revisione al ribasso delle predette soglie sarebbe opportuna, considerato anche che gli indicatori interni della crisi sono modulati in maniera assai flessibile e rimessi all'elaborazione periodica di un ente tecnicamente ben attrezzato allo scopo, quale è il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (articolo 13).
  In termini più generali, mi sembra opportuno sottolineare che le procedure di allerta e composizione assistita, per un verso, andrebbero intese e fatte funzionare essenzialmente (non già come una minaccia incombente, bensì) come strumenti di supporto all'impresa in crisi, che valgano a metterla meglio in grado di confrontarsi con il ceto creditorio e soprattutto con quello bancario, rispetto al quale i debitori meno attrezzati sono altrimenti sempre in posizione di maggiore debolezza; e che, per altro verso, la maggiore responsabilizzazione che tali Pag. 201procedure implica per lo stesso imprenditore (cui si ricollega l'obbligo di un'organizzazione imprenditoriale adeguata alle esigenze di un tempestivo monitoraggio dei sintomi della crisi) è il giusto contrappeso di un'impostazione dell'intera disciplina dell'insolvenza che mira ad essere meno penalizzante per il debitore e ad offrirgli ulteriori chance imprenditoriali.
  Un secondo profilo critico risiede nella ripartizione della competenza giurisdizionale.
  L'articolo 2, comma 1, lettera n), della legge delega, muovendo dal dichiarato presupposto che si debba assicurare la specializzazione dei giudici addetti alla materia concorsuale ed anche perciò adeguare gli organici dei tribunali la cui competenza risulti ampliata, ha espressamente previsto tre diverse fasce di competenza: a) quella relativa alle procedure ed alle cause afferenti ad imprese in amministrazione straordinaria ed ai gruppi imprenditoriali di rilevante dimensione, attribuita ai tribunali sede di sezioni specializzate in materia di imprese; b) quella relativa alle procedure di crisi o insolvenza dei soggetti sovraindebitati (quindi non sottoposti alla procedura di liquidazione giudiziale che sostituirà l'attuale fallimento), attribuita a tutti i tribunali oggi esistenti secondo gli ordinari criteri di competenza; c) quella relativa alle procedure concorsuali cui sono assoggettati gli imprenditori attualmente suscettibili di esser dichiarati falliti, attribuita solo ad alcuni tra i tribunali esistenti, da individuare in base a parametri dimensionali dettagliatamente specificati dalla medesima disposizione della legge delega.
  La ragione di siffatta previsione è evidente: solo uffici giudiziari con un'adeguata dotazione di giudici possono davvero garantire la specializzazione. Nei tribunali più piccoli è inevitabile che ogni giudice si debba occupare di una molteplicità di materie ed è difficile perciò che acquisisca una sufficiente specializzazione in una sola di esse; e, quando pure per avventura ciò avvenga, basta che il giudice esperto si assenti, si ammali o sia trasferito altrove perché si perda l’expertise del tribunale in quella materia (per non dire, poi, che la materia concorsuale è per molti aspetti trattata in forma collegiale, onde se solo un singolo giudice ne è esperto la funzione di controllo e garanzia svolta dal collegio rischia di essere meramente formale). Da ciò dunque la scelta del legislatore delegante di accorpare la competenza in materia presso tribunali di maggiori dimensioni, pur lasciandola invariata per le procedure minori (da sovraindebitamento) per le quali può esser ragionevole privilegiare invece un criterio di maggiore prossimità del giudice. Ed in tal senso la più volte citata commissione ministeriale si era mossa, elaborando diverse ipotesi di accorpamento di competenza sulla base dei parametri indicati nella legge delega.
  Nel Codice ora approvato dal Consiglio dei Ministri, ferma restando la competenza dei tribunali ove han sede le sezioni specializzate in materia di imprese per quel che riguarda le procedure e le cause inerenti all'amministrazione straordinaria o riguardanti i gruppi imprenditoriali maggiori, è previsto che per ogni altro procedimento di regolazione della crisi o dell'insolvenza sia competente il tribunale del luogo ove si trova il centro principale degli interessi del debitore. Quindi scompare ogni ipotesi di accorpamento presso i tribunali di maggiori dimensioni e resta la competenza diffusa di tutti tribunali Pag. 202esistenti sia in caso di procedure riguardanti i sovraindebitati sia in caso di procedure riguardanti i debitori attualmente assoggettabili a fallimento (articolo 27, commi 1 e 2, del Codice). Una scelta, questa, che mi pare criticabile: anzitutto perché manifestamente in contrasto con il già ricordato criterio di delega (e quindi di dubbia legittimità costituzionale) e poi perché rischia – per le ragioni già evidenziale – di vanificare la specializzazione del giudice, sacrificandola ad un criterio di prossimità che, nella moderna società e con i moderni mezzi di comunicazione e trasporto, quando si tratta di imprese non piccolissime, non sembra invero così rilevante da prevalere sulla già sottolineata esigenza di affidare tali procedure a giudici sufficientemente esperti. Un'esigenza di specializzazione questa, sia detto per inciso, che appare tanto più impellente dal momento che in un campo delicato quale quello della praticabilità dell'istituto del concordato preventivo, innovando rispetto all'attuale assetto normativo e giurisprudenziale, si ampliano significativamente i poteri del giudice affidandogli anche il compito di vagliare la fattibilità economica del piano di concordato (articolo 47, comma 1, del Codice).
  Né va infine trascurato che un maggior grado di specializzazione del giudice, tanto più importante in una materia così complessa, delicata e pregna di profili interdisciplinari, inevitabilmente si riflette anche sulla celerità delle procedure, che sarà tanto maggiore quanto più esperta è la mano che le conduce. In presenza di una previsione come quella contenuta nell'articolo 8 del Codice – che fissa in dodici mesi la durata massima complessiva delle misure protettive, per ciò stesso implicando che entro tale orizzonte temporale debbano potersi concludere le procedure di concordato preventivo e di omologazione degli accordi di ristrutturazione del debito, le quali ovviamente che non potrebbero sopravvivere senza quell'ombrello protettivo – la celerità delle procedure appare ancor più un obiettivo irrinunciabile.
  L'articolo 13, comma 2, della legge delega prevede l'adozione di disposizioni volte a coordinare la disciplina concorsuale con quella dettata dal decreto legislativo n. 231 del 2001 in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, con particolare riguardo alle misure cautelari, dando prevalenza al regime concorsuale salvo quando ricorrano esigenze di tutela di interessi rilevanti sul piano penale. A questo scopo la commissione ministeriale aveva predisposto un apposito Capo, nell'ambito del Titolo VIII della bozza di codice, ma nel testo approvato dal Consiglio dei Ministri non ve ne è più traccia, onde risulta attuata la delega disposta dal primo comma del citato articolo 13, ma non anche quella di cui al secondo comma. Le ragioni di tale omissione non appaiono facilmente comprensibili, giacché l'esperienza ha dimostrato che il sovrapporsi della disciplina delle misure cautelari previste dal citato decreto legislativo 231/2001 e della disciplina concorsuale, quando l'impresa interessata alle suddette misure sia insolvente, determina seri problemi di coordinamento e talora ha anche generato lunghe controversie giudiziali non certo giovevoli alla celerità ed all'efficacia delle procedure medesime.
  Parrebbe perciò opportuno reintrodurre nel Codice le previsioni al riguardo contenute nella bozza elaborata dalla commissione ministeriale, di cui per comodità di si allega copia (con l'ovvia avvertenza che Pag. 203la numerazione degli articoli non corrisponde alla sequenza numerica del Codice approvato dal Consiglio dei Ministri).
  Mal si comprende la ragione per la quale le modifiche al codice civile, in attuazione dell'articolo 14 della legge delega, sono state inserite nel medesimo testo del Codice della crisi e dell'insolvenza. Parrebbe preferibile farne invece oggetto di un distinto e separato decreto delegato.
  Quanto al merito, alcuni hanno criticato la scelta di estendere ad ogni tipo d'impresa il dovere di instituire adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili anche in funzione della rilevazione tempestiva degli eventuali sintomi di crisi e della tempestiva conseguente reazione. Si è obiettato che una tale previsione sarebbe plausibile solo per le imprese di maggiori dimensioni e mal si attaglierebbe invece alle minori. Ma mi sembra si possa replicare che l'adeguatezza dell'organizzazione è un concetto relativo, che ovviamente va commisurato alla dimensione ed alla natura dell'impresa, onde è evidente che altro si richiederà a tal proposito ad una società per azioni, operante magari su scala internazionale a capo di un gruppo d'imprese, altro ad una piccola impresa su base familiare. Ma l'impresa è sempre un'attività economica organizzata (come espressamente indica il primo comma dell'articolo 2082 c.c.) e perciò qualunque imprenditore, quale che sia dimensione della sua impresa, deve comunque porsi in condizione di sapere per tempo se la sua attività è in grado di proseguire efficientemente o se vi siano sintomi di una crisi che potrebbe preludere all'insolvenza danneggiando così anche i suoi creditori.
  È da dire, invece, che la modifica dell'articolo 2475, primo comma, c.c. (come ora prevista dall'articolo 376, comma. 4, del Codice, e come in verità anche la bozza predisposta dalla commissione ministeriale prevedeva) va probabilmente oltre i limiti della delega laddove afferma che «La gestione dell'impresa ... spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale
  Mentre è coerente con l'impostazione della delega (ed è condivisibile per le ragioni appena esposte) la previsione che estende anche a chi amministra la s.r.l. il dovere di predisporre assetti adeguati a norma del precedente articolo 2086, secondo comma (come dovrebbe essere novellato dall'articolo 374, comma 2, del Codice), non v'è alcuna ragione per intervenire in termini generali sul modello amministrativo della s.r.l. Un simile intervento rischia di apparire estemporaneo, perché non ben coordinato con le altre norme disciplinanti l'amministrazione di questo tipo di società. Un discorso analogo potrebbe farsi per la corrispondente espressione che figura nella proposta di modifica dell'articolo 2257, primo comma, c.c. (articolo 376, comma 1, del Codice). In entrambi i casi, come già rilevato, dovrebbe però esser tenuto fermo il richiamo al novellato articolo 2086, secondo comma.
  Nella speranza che queste mie brevi osservazioni possano risultare di una qualche utilità per i lavori della Commissione da Lei presieduta, Le rinnovo, sig.ra Presidente, il mio sentito ringraziamento per l'attenzione prestatami e formulo il più sincero augurio per la miglior riuscita di questo progetto di riforma che – ne sono convinto – potrà costituire un'importante tappa nell'indispensabile processo modernizzazione del nostro ordinamento giuridico.

  Renato Rordorf

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ALLEGATO

Stralcio dal testo della bozza predisposta dalla Commissione ministeriale, concernente l'attuazione delle delega disposta dall'articolo 13, comma 2, della legge n. 155 del 2017

Art. 318
Sequestro preventivo

  1. La dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale prevale sulla misura cautelare reale del sequestro preventivo avente ad oggetto beni di cui all'articolo 147, ivi compreso il sequestro per equivalente, il sequestro di beni a confisca obbligatoria e il sequestro disposto ai sensi dell'articolo 53 decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
  2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica al sequestro preventivo che abbia ad oggetto beni di cui all'articolo 151 o beni dei quali, per espressa disposizione normativa, sia vietata la vendita o la detenzione, beni oggetto di abuso edilizio non sanabile o comunque beni non suscettibili di liquidazione.
  3. La misura cautelare del sequestro preventivo disposta prima apertura della liquidazione giudiziale perde efficacia dal momento della dichiarazione.
  4. La misura cautelare del sequestro preventivo non può essere disposta sui beni compresi nella liquidazione giudiziale.

Art. 319
Dichiarazione di inefficacia del sequestro preventivo

  L'inefficacia del sequestro preventivo è dichiarata, su richiesta del curatore, dall'autorità che procede in sede penale e contestualmente è ordinato il dissequestro in favore della liquidazione giudiziale e la consegna dei beni al curatore.

Art. 320
Legittimazione del curatore

  Il curatore è legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento cautelare di sequestro preventivo avente ad oggetto beni di cui all'articolo 147 nonché contro il diniego della declaratoria di inefficacia di cui all'articolo 319.

Art. 321

Revoca o chiusura della liquidazione giudiziale

  1. In caso di revoca o chiusura della liquidazione giudiziale il sequestro riprende efficacia relativamente ai beni non liquidati.
  2. L'efficacia è dichiarata con decreto del giudice penale competente a pronunciarsi nel merito, previa verifica delle condizioni di cui all'articolo 321, comma 1, del codice di procedura penale. Pag. 205
  3. Il provvedimento di cui al secondo comma è emesso a seguito di comunicazione del curatore al giudice penale. Nella comunicazione sono indicati gli estremi del sequestro preventivo, della dichiarazione dello stato di insolvenza e apertura della procedura della liquidazione giudiziale, del provvedimento di revoca o chiusura della liquidazione giudiziale, nonché l'elenco dei beni non liquidati oggetto dell'originario sequestro.
  4. Il decreto contenente le disposizioni necessarie ai fini dell'esecuzione del sequestro è comunicato al curatore e a colui al quale i beni sono stati originariamente sequestrati.
  5. Il giudice penale, qualora risultino mancanti le condizioni di cui all'articolo 321, comma 1, del codice di procedura penale, procede ai sensi dell'articolo 323 dello stesso codice.
  6. Nel caso in cui il procedimento penale sia stato definito, la comunicazione di cui al comma 3 è diretta al giudice dell'esecuzione che provvede ai sensi dell'articolo 676 del codice di procedura penale.

Art. 322
Sequestro conservativo

  Sui beni compresi nella liquidazione giudiziale non può essere disposta la misura cautelare del sequestro conservativo penale di cui all'articolo 316 del codice di procedura penale o di cui all'articolo 54 della legge 8 giugno 2001, n. 231.

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ALLEGATO 4

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ALLEGATO 7

MARCO GAMBARDELLA
(Professore di Diritto penale Università di Roma La Sapienza, Facoltà di Giurisprudenza)

IL CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL'INSOLVENZA
I RIFLESSI IN AMBITO PENALE

  1. Le considerazioni che seguono concernono gli aspetti penali dello «schema di decreto legislativo recante codice della crisi di impresa e dell'insolvenza», in attuazione della legge delega n. 155 del 19 ottobre 2017. L'atto del Governo (n. 53) è al momento sottoposto al parere parlamentare.
  Lo schema di decreto legislativo consiste in un corpo legislativo poderoso di ben 390 articoli; un codice di notevole complessità che quasi paradossalmente si chiude con la clausola di invarianza finanziaria: una riforma da compiersi quindi «a costo zero» «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (articolo 390 c.c.i).
  Il progetto di nuovo codice ha già dato vita ad un interessante dibattito sul versante penalistico; tra le prime occasioni di confronto si segnala l'importante Convegno organizzato presso l'Università Bocconi di Milano il 26 e 27 ottobre 2018.
  Ora, l'oggetto della delega e di conseguenza il nuovo codice della crisi di impresa nascono dall’esigenza di una riforma organica della materia dell'insolvenza e delle procedure concorsuali di cui alla legge fallimentare del 1942 (nonché della disciplina delle crisi da sovraindebitamento del 2012). Una risistemazione complessiva della materia concorsuale che mira a rendere organica e sistematica una normativa la quale risente di numerose modifiche sul piano, tuttavia, quasi esclusivamente civilistico (ad esempio, il decreto legislativo n. 5 del 2006 che ha novellato numerosi articoli della legge fallimentare e soppresso l'amministrazione controllata). Tra i principali obiettivi della nuova normativa vi è quello di far emergere tempestivamente la crisi d'impresa, per consentire alle imprese sane in difficoltà finanziaria di ristrutturarsi in una fase precoce al fine di evitare l'insolenza e proseguire l'attività.
  Il settore del «diritto civile fallimentare», al contrario del sistema penalfallimentare, ha vissuto una stagione di grande fermento: in virtù delle recenti riforme che ne hanno modificato la tradizionale fisionomia nella direzione di una razionalizzazione e modernizzazione dell'impianto complessivo delle procedure concorsuali. Tali modifiche nel campo civilistico del diritto fallimentare, sovente di natura episodica ed emergenziale, hanno generato difficoltà applicative e orientamenti giurisprudenziali non uniformi per l'esistenza di discipline riformate e discipline rimaste invariate difficilmente amalgamabili fra loro.
  Ma ancora di più negli ultimi anni si è determinata una forte incertezza applicativa connessa alla distanza che si è venuta a creare tra i reati fallimentari e il diritto civile fallimentare. Tra la disciplina penalistica e la sua base civilistica vi è ormai una frattura di vaste proporzioni. Uno iato che pone i soggetti operanti nella materia Pag. 238penalfallimentare in grande difficoltà per le incertezze applicative che ne discendono.
  Il versante civilistico ha dunque cambiato decisamente rotta rispetto all'impianto della ancora vigente legge fallimentare del 1942, orientandosi in maniera netta verso procedure che mirano non più alla liquidazione dell'impresa, bensì alla sua conservazione. Per secoli il diritto fallimentare (inclusi i profili attinenti alla sanzione criminale) è ruotato attorno all'istituto del fallimento quale prototipo delle procedure concorsuali, ossia ad uno strumento di natura spiccatamente liquidatoria ed espropriativa. Fin dal medioevo lo ius mercatorum – ovvero il diritto creato dagli stessi «mercanti» per regolare i rapporti commerciali – poneva al centro del sistema l'insolvenza, la quale veniva considerata un gravissimo danno per la società e che doveva essere repressa in maniera risoluta; in questo contesto, venne messa a punto la procedura di fallimento.
  Un sistema in tal guisa congegnato ha resistito per secoli, fino a che, con le profonde crisi dei tempi moderni, si è cambiata completamente prospettiva, comprendendo l'esigenza fondamentale di dissociare le sorti dell'imprenditore insolvente da quelle del complesso produttivo in crisi. La nuova disciplina sembra improntata a ricomporre la situazione di difficoltà economico-finanziaria dell'azienda, attraverso interventi di cosiddetta ristrutturazione dell'impresa evitando così l'insolvenza, ispirati al principio di autonomia privata. In quest'ottica, il legislatore ha introdotto, a mero titolo esemplificativo, gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all'articolo 182-bis l. fall., e il piano di risanamento di cui all'articolo 67, comma 3, lettera d) l. fall.
  All'interno di un tale rinnovato ambito, l'istituto del fallimento ha perso la sua storica centralità, a vantaggio della diversa procedura concorsuale del concordato preventivo, di cui agli articoli 160 e ss. l. fall. Quest'ultimo istituto ha subìto notevoli modificazioni, finalizzate ad aprire tale procedura alla concorrenza di mercato e ad agevolare il ricorso a soluzioni della crisi di impresa che non prevedano la liquidazione del patrimonio aziendale bensì la prosecuzione dell'attività.
  Dal canto suo, il versante penalistico, invece, risulta edificato intorno al perno costituito dal reato di bancarotta, che, per molti aspetti, è rimasto inalterato fino ad oggi a partire dal testo legislativo del 1942, il quale – nella sua versione originaria – riconosceva come principale forma di procedura concorsuale il fallimento stesso. Proprio nel tentativo di adeguarsi a siffatta nuova realtà, il legislatore penale, disattendendo tali propositi, è intervenuto recentemente: come, ad esempio, con la legge del 30 luglio 2010, n. 122 che ha introdotto l'articolo 217-bis l. fall.; oppure la legge del 7 agosto 2012, n. 134 che ha introdotto l'articolo 236-bis l. fall.; o, ancora, la legge del 6 agosto 2015, n. 132 che ha riformulato l'articolo 236 e il citato articolo 236-bis l. fall.
  In particolare, l’articolo 217-bis l. fall., al fine di rispettare il principio di non contraddizione dell'ordinamento e di incentivarne l'utilizzo, elenca una serie di operazioni che, se poste in essere, comportano la non applicazione dei reati di bancarotta preferenziale (articolo 216, comma 3, l. fall.) e di bancarotta semplice (articolo 217 l. fall.). Pag. 239
  L’articolo 236 l. fall., invece, parifica, ai fini della rilevanza del delitto di bancarotta, il decreto di ammissione al concordato preventivo alla sentenza dichiarativa di fallimento, non considerando tuttavia la diversità dei presupposti sostanziali: lo stato di crisi (articolo 160, comma 3, l. fall.) appare concetto eterogeneo rispetto allo stato di insolvenza (articolo 5 l. fall.).
  L’articolo 236-bis l. fall., dal canto suo, prevede una nuova fattispecie incriminatrice che punisce il professionista attestatore, il quale, nelle relazioni o attestazioni di cui agli articoli 67, terzo comma, lettera d), 161, terzo comma, 182-bis, 182-quinquies, 182-septies e 186-bis l. fall., espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti.
  Eppure, tali recenti modifiche non sono riuscite a cambiar volto alla materia, con la conseguenza di aver lasciato inalterato l'anacronismo della disciplina. Gli interventi, per lo più contingenti e parziali, hanno così contribuito a rendere tale settore privo di omogeneità e uniformità, cagionando una profonda incertezza nella prassi applicativa.
  Sembrava, dunque, ormai impellente l'esigenza di ripensare l'intera disciplina penale della crisi d'impresa, in modo da renderla più armonica e moderna, tenendo ben in considerazione gli esempi che si possono trarre dalle esperienze degli ordinamenti stranieri più avanzati, posto che in un'economia di mercato globalizzata, costruire discipline nazionali sempre più uniformi risulta utile tanto per l'equilibrio del mercato stesso quanto per essere concorrenziali sul piano internazionale.
  Ebbene, una riforma complessiva del diritto penalfallimentare, come vedremo, non è stata presa in considerazione dalla legge delega n. 155 del 2017: si è persa l'occasione di un ammodernamento della normativa penale in tale ambito. La delega al Governo sulla risistemazione complessiva delle procedure concorsuali – il cui contenuto è stato elaborato dalla cosiddetta «Commissione Rordorf» istituita dal Ministro della giustizia – non si occupa infatti della riforma del settore penale della crisi d'impresa (e delle sue incriminazioni), tranne che per i necessari adattamenti lessicali e per l'introduzione di una nuova causa di non punibilità nonché di una peculiare attenuante ad effetto speciale.
  Dopo l'approvazione della legge delega n. 155 del 2017, il Governo ha istituito la cosiddetta «seconda Commissione Rordorf», al fine di redigere un articolato contenente l'attuazione della delega. L'articolato, consegnato al Ministro della giustizia poco prima di Natale 2017, è stato poi riveduto e corretto nel febbraio 2018 (con la Relazione illustrativa).
  Un nuovo articolato (e conseguente Relazione illustrativa) come «Schema di decreto legislativo recante codice della crisi di impresa e dell'insolvenza» è stato presentato ad ottobre 2018; il testo poi lievemente modificato è stato assegnato alle competenti Commissioni delle camere per i pareri il 14 novembre 2018.
  Va tenuto presente che il termine per l'esercizio della delega legislativa, pur essendo fissato in origine al 14 novembre 2018, è stato prorogato di sessanta giorni ai sensi di quanto disposto dall'articolo 1, comma 3 ultima parte, della legge delega; e dunque l'esercizio della delega dovrà avvenire entro il 13 gennaio 2019. Pag. 240
  2. La legge delega n. 155 del 2017 all'articolo 2 – nei «principi generali» – chiede non solo di riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali sostituendo il termine fallimento e i suoi derivati con l'espressione «liquidazione giudiziale» al fine di superare il risalente «stigma» che colpisce la figura del soggetto fallito, ma altresì di adeguare «dal punto di vista lessicale anche le relative disposizioni penali, ferma restando la continuità delle fattispecie criminose».
  Come chiarito nella Relazione illustrativa al nuovo codice della crisi e dell'insolvenza la «legge delega esclude, quindi, la bancarotta dal campo d'intervento del decreto attuativo; per quanto si sia in presenza di una rivisitazione generale della materia cui è sotteso un diverso modo di porsi del legislatore di fronte al fenomeno dell'insolvenza, manca ogni indicazione volta alla riformulazione delle disposizioni incriminatrici della legge fallimentare» (Relazione illustrativa, p. 235 ss.).
  Va nondimeno tenuto presente che secondo l'articolo 1, comma 2, legge delega n. 155 del 2017, nell'esercizio della delega il Governo «cura altresì il coordinamento con le disposizioni vigenti, anche modificando la formulazione e la collocazione delle norme non direttamente investite dai principi e criteri direttivi di delega, in modo di renderle ad essi conformi, e adottando le opportune disposizioni transitorie».
  Si tratta perlopiù di disposizioni che riproducono sul piano delle condotte incriminate le corrispondenti previsioni della legge fallimentare (fanno eccezione le due nuove incriminazioni di cui agli articoli 344 e 345 c.c.i.). Le disposizioni in questione sono pertanto «riscritte» sostituendo l'espressione «fallimento» con quella di «liquidazione giudiziale» e il termine «fallito» con il sintagma «imprenditore in liquidazione giudiziale»; e al contempo sono stati aggiornati i rinvii ai singoli articoli che regolano i corrispondenti istituti della legge fallimentare (Relazione illustrativa, p. 235).
  A prima vista, dovrebbe essere una operazione neutra sulla fisionomia delle ipotesi di bancarotta: un semplice adattamento «linguistico». Ma colpisce la precisazione «estemporanea» del legislatore delegante sull'esito del restyling nel lessico: resta ferma la continuità delle incriminazioni. Nel senso che quest'adattamento non produce alcun fenomeno abolitivo, neppure minimo.
  Una ostentazione di sicurezza contenuta apoditticamente anche nella Relazione illustrativa al nuovo codice della crisi e dell'insolvenza: «è garantita di fatto continuità normativa, non contenendo la delega disposizioni che autorizzassero modifiche di natura sostanziale al trattamento penale riservato alle condotte di bancarotta e alle altre condotte contemplate oggi dal titolo sesto della legge fallimentare» (Relazione illustrativa, p. 236).
  L’articolo 349 del codice della crisi d'impresa, in attuazione della legge delega, stabilisce a sua volta che «nelle disposizioni normative vigenti i termini “fallimento”, “procedura fallimentare”, “fallito” nonché le espressioni dagli stessi termini derivate devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni “liquidazione giudiziale”, “procedura di liquidazione giudiziale” e “debitore assoggettato a liquidazione giudiziale” e loro derivati». Pag. 241
  Ciò che poneva dubbi nella prima versione dello schema di decreto legislativo (diffusa nell'ottobre 2018) era la rubrica dell'articolo 349 c.c.i. intitolata: «Abolizione dei termini fallimento e fallito». L'impiego del vocabolo «abolizione» nella rubrica appariva – come diremo tra un attimo – assai rischioso. Molto meglio è stato adoperare, nella versione inviata alle camere, all'interno della rubrica la parola «sostituzione». Si leggeva (e forse si legge ancora) tra le righe una certa furia iconoclasta dell'odierno legislatore: cancellare ogni traccia del fallimento per «evitare l'aura di negatività e di discredito, anche personale, che storicamente a quella parola si accompagna» (Relazione illustrativa, p. 3).
  Si tratta allora di un mero adattamento linguistico senza conseguenze sul sottosistema penale della bancarotta? È proprio così?
  Sgombriamo subito il campo da una evidente ingenuità. Non sembra possibile al legislatore imporre esiti intertemporali con la sola forza di una «frasetta» («ferma restando la continuità delle fattispecie criminose»).
  Bisogna invece cimentarsi sulla lettura e interpretazione delle disposizioni incriminatrici e (soprattutto) concorsuali/civilistiche dell’emanando codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza.
  L'obiettivo è quello di comprendere se l'esito è quello di una parziale riscrittura degli elementi di fattispecie (intesa quest'ultima in senso ampio), tramite la costruzione di nuove figure di illecito penale eterogenee, sotto il profilo strutturale, rispetto a quelle previgenti della legge fallimentare del ’42.
  Ebbene, oggi abbiamo la procedura fallimentare; per effetto poi del codice della crisi le figure di bancarotta faranno, invece, riferimento alla procedura di liquidazione giudiziale.
  Possiamo ritenere di essere in presenza di elementi di fattispecie in senso ampio eterogenei tra loro?
  A me sembra che la risposta corretta alla domanda vada desunta dagli elementi caratterizzanti le singole procedure concorsuali. Si deve capire se le nuove procedure presentino caratteri eterogenei, rispetto alle precedenti, tali da comportare vicende abolitive per eterogeneità strutturale. Per esempio, l'articolo 49 c.c.i. sembrerebbe riflettere in pieno il «vecchio» articolo 16 l. fall.: l'equiparazione parrebbe esserci tra la sentenza di fallimento e la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale; ovvero la sussistenza dello stato di insolvenza dell'imprenditore è requisito comune alla procedura fallimentare ex articolo 5 l. fall. e alla apertura della nuova liquidazione giudiziale ex articolo 121 c.c.i.
  Sorge allora il dubbio che, in realtà, vi sia un serio rischio di determinare fenomeni abolitivi per i fatti passati e «nuove incriminazioni» per quelli futuri, cui conseguono assoluzioni nei processi in corso, ex articolo 129 c.p.p., perché il fatto non è più previsto come reato e revoche delle sentenze definitive di condanna ai sensi dell'articolo 673 c.p.p.
  Abbiamo in proposito l'importante precedente delle Sezioni unite Rizzoli, le quali pochi anni addietro affermarono che l'abrogazione dell'istituto dell'amministrazione controllata e la soppressione di ogni riferimento ad esso contenuto nella legge fallimentare (articolo 147 decreto legislativo n. 5 del 2006) avessero determinato la totale abolizione Pag. 242 del reato di bancarotta societaria connessa alla suddetta procedura concorsuale (articolo 236, comma 2, l. fall.). Conseguentemente, qualora sia intervenuta condanna definitiva per tale reato, il giudice dell'esecuzione è tenuto a revocare la relativa sentenza (Cass., sez. un., 26 febbraio 2009, n. 24468, Rizzoli, in Cass. pen., 2009, p. 4113).
  Senza contare inoltre l'estrema difficoltà di inserire norme transitorie che deroghino al principio di retroattività della lex mitior in campo penale, per il sempre più stringente controllo di costituzionalità; dopo che la sentenza Scoppola della Corte di Strasburgo (Grande Camera, 2009) ha ricondotto la retroattività della legge più favorevole all'area della legalità convenzionale affermata dall'articolo 7 Cedu, e ha fatto assurgere di conseguenza il principio al rango di diritto fondamentale dell'uomo.
  In definitiva, la riforma del settore penale della crisi di impresa se, per un verso, è certamente da realizzare al più presto; dall'altro verso, non può tuttavia tralasciare i principi e la giurisprudenza penale interna e sovranazionale in tema di successione di leggi penali nel tempo, per evitare sconsiderati fenomeni abolitivi.
  Ora, certamente le vicende abolitive vanno colte sul piano normativo: il parametro di riferimento per accertare la presenza o meno di una abolitio criminis è rappresentato – come chiarito più volte dalle Sezioni unite penali (cfr. Cass., sez. un., 9 maggio 2001, Donatelli, in Cass. pen., 2002, p. 502 ss.; Cass., sez. un., 26 marzo 2003, Giordano, ivi, 2003, p. 3310 ss.) – dai modelli astratti di reato in successione cronologica, attraverso un rigoroso confronto fra gli stessi sotto il profilo logico-formale. Nelle riformulazioni delle incriminazioni per risolvere l'alternativa tra il fenomeno modificativo e quello abrogativo, bisogna considerare se gli elementi strutturali delle disposizioni in avvicendamento temporale – interpretati alla luce del bene giuridico protetto – diano luogo o meno ad ambiti eterogenei tra loro; cosicché si possa stabilire di essere in presenza della coppia abolitio criminis per il passato e nuova incriminazione per il futuro, oppure di una continuità normativa (almeno parziale).
  Se è vero quanto appena detto: che le questioni intertemporali vanno risolte in coerenza con i criteri strutturali adottati negli ultimi anni dalla giurisprudenza di legittimità, è anche vero che già in altre occasioni perfino le Sezioni unite (Cass., sez. un., 13 dicembre 2000, Sagone, in Cass. pen., 2001, p. 2054 ss.), pur ribadendo in linea di principio il criterio strutturale del rapporto di specialità, avevano lasciato spazio, in via eccezionale, al riemergere di istanze valoriali. E dunque – nel passaggio dalla legge fallimentare al nuovo codice della crisi d'impresa – sulla netta esclusione di vicende abolitive si potrebbe agevolmente convenire, argomentando per mezzo di un semplice «criterio di valore» unito alla chiarissima ed esplicita voluntas legis («criterio cosiddetto storico», della intenzione del legislatore), riguardo all’esito di piena continuità normativa come il più plausibile degli esiti della riformulazione delle figure di reato in successione.
  3. Per quanto concerne invece i soggetti attivi nei delitti di bancarotta, sappiamo che si tratta (di regola) di reati propri in cui il reo è un soggetto «qualificato»: l'imprenditore dichiarato fallito nella bancarotta propria, l'amministratore di società dichiarate fallite nella bancarotta impropria (o societaria). L'identificazione dei soggetti attivi Pag. 243avviene, al momento, attraverso l'articolo 1 l. fall.: destinatario della procedura fallimentare è l'imprenditore commerciale di natura privata (impresa individuale o societaria). Sono sottratti al fallimento, oltre gli enti pubblici, gli imprenditori commerciali sotto le soglie dimensionali identificate dall'articolo 1 l. fall., le società start-up innovative e gli imprenditori agricoli.
  Nel codice della crisi soggetto attivo della bancarotta propria è l'imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale (articolo 322 c.c.i.). Nella bancarotta impropria o societaria il reo è identificato nell’amministratore (direttore generale, sindaco, liquidatore) di società «in liquidazione giudiziale» (articolo 329 c.c.i.); da notare che nella bancarotta impropria o societaria semplice (articolo 330 c.c.i.) si parla di nuovo di amministratore (direttore generale, sindaco, liquidatore) di società «dichiarate» in liquidazione giudiziale.
  Ebbene, nella normativa riformata si deve far riferimento all'articolo 2 comma 1 lettera d) e all'articolo 121 codice della crisi. Quest'ultimo articolo stabilisce che le «disposizioni sulla liquidazione giudiziale si applicano agli imprenditori che non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all'articolo 2 comma 1 lettera d)»: ossia sono escluse dalla liquidazione giudiziale sia la cosiddetta «impresa minore» sia l’impresa agricola; entrambe le figure sono assoggettate a una specifica procedura semplificata denominata liquidazione controllata del sovraindebitamento.
  In particolare, l'articolo 121 codice della crisi fa da sintesi tra il vecchio articolo 1 e il vecchio articolo 5 della legge fallimentare, in quanto – oltre a identificare i soggetti a cui si applicano le disposizioni sulla liquidazione giudiziale – aggiunge anche il presupposto oggettivo per l'apertura della liquidazione giudiziale dell'essere «in stato di insolvenza» (in continuità con l'attuale disciplina).
  Coincidono le figure di soggetto attivo nei reati di bancarotta nel passaggio tra legge fallimentare e nuovo codice della crisi?
  Ora, come precisato anche nella Relazione illustrativa (sub articolo 2), si è voluto chiaramente distinguere la posizione dell'imprenditore insolvente, assoggettabile alla liquidazione giudiziale e dunque soggetto attivo dei delitti di bancarotta, dalla posizione dell'imprenditore sovraindebitato assoggettabile alla liquidazione controllata, che non è soggetto attivo di tali reati, giacché titolare di una «impresa minore» o di una impresa agricola.
  La nozione di «impresa minore» sembrerebbe coincidere quasi del tutto con quella di imprenditore «sotto-soglia» non assoggettabile al fallimento di cui all'articolo 1 l. fall. È stata però modificata l'espressione «ricavi lordi» in quella di «ricavi» tout court con chiaro rinvio alla disciplina civilistica degli articoli 2425 e 2425-bis c.c.
  La nozione di ricavo va quindi individuata ai sensi dell'articolo 2425 lettera a) n. 1 e n. 5 c.c. in totale coincidenza con l'interpretazione attuale del termine ricavo. La differenza sembrerebbe potersi rintracciare nel caso di applicazione dell'articolo 2425-bis c.c. il quale prescrive che i ricavi debbano essere indicati al netto degli sconti, abbuoni, premi nonché delle imposte direttamente connesse con la vendita dei prodotti e la prestazione dei servizi. Già da tempo, infatti, ci si interrogava se l'espressione «ricavi lordi» dovesse considerarsi comprensiva o meno di sconti e abbuoni, con soluzioni incerte. La Pag. 244modifica di tale sintagma ha quindi il pregio di eliminare tale ambiguità interpretativa con la possibilità però di modificare i soggetti attivi del reato. In concreto il calco al netto innalzerebbe di fatto la soglia della fallibilità ampliando la classe dei soggetti non fallibili.
  Al riguardo può essere utile segnalare che qualche anno addietro, in relazione agli effetti penali della modifica della definizione legale di piccolo imprenditore (decreto legislativo n. 5 del 2006) rilevante per l'individuazione del soggetto attivo dei delitti di bancarotta, le Sezioni unite penali hanno asserito che il giudice penale non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell'imprenditore; sicché tali modifiche non possono esercitare influenza ai sensi dell'articolo 2 c.p. (Cass., sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601, Niccoli, C.E.D. Cass., n. 239398).
  Rimane invariata la previsione di assoggettabilità alla procedura di liquidazione giudiziale anche dell’imprenditore cessato o defunto, con coincidenza quindi di quanto stabilito dagli articoli 10 e 11 l. fall. e dagli articoli 33 e 34 c.c.i.
  Identica anche la previsione dell'articolo 147 l. fall. che prevede il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, con quanto disciplinato dall’articolo 256 c.c.i. che prescrive: «la sentenza che dichiara l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile produce l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale anche nei confronti dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili».
  4. Anche nel codice della crisi, come d'altronde nella legge fallimentare, resta non definito il concetto di «dissesto».
  Attualmente, ad esempio, una definizione legislativa di dissesto (finanziario) può rinvenirsi nel decreto legislativo n. 267 del 2000 in tema di enti locali dissestati, il cui articolo 244 prevede che «si ha stato di dissesto finanziario se l'ente non può garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili [...]».
  Per contro, nel codice della crisi trova posto tra i concetti esplicitamente definiti quello di «insolvenza» (articolo 2 lettera b) c.c.i.); la nozione di insolvenza è descritta allo stesso modo dell'articolo 15 l. fall.: «lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni».
  Ma il concetto di dissesto, allo stesso modo che nella legge fallimentare, è testualmente presente nella parte penalistica del codice della crisi.
  Il concetto di dissesto è previsto nello schema di decreto legislativo esplicitamente in alternativa allo stato di insolvenza in riferimento al delitto di «ricorso abusivo al credito» (articolo 325 c.c.i.). Facendo ben comprendere che non si tratta di sinonimi: il dissesto non coincide con l'insolvenza, e neppure con il concetto di fallimento.
  La nozione di dissesto nell'ambito dei reati fallimentari o concorsuali può essere definita come uno squilibrio tra attività e passività, quale dato quantitativo graduabile e quindi anche «aggravabile» (lo si può ricavare facilmente dall'articolo 224 l. fall.: essendo aggravabile, allora deve essere considerato anche una nozione graduabile). Pag. 245
  I tre evocati concetti, pertanto, possono essere visti, nella prassi penalistica, come tre momenti di crisi dell'impresa posti in maniera di «gravità progressiva»: «dissesto – insolvenza – fallimento». L’«insolvenza» dunque come un quid maius rispetto al «dissesto», inteso quest'ultimo quale squilibrio aziendale serio ma tutt'altro che irreversibile e meno prossimo al «fallimento» rispetto allo stato di insolvenza.
  Sebbene va detto che talvolta in una parte della giurisprudenza penale e della dottrina si rinviene una graduazione della crisi di impresa opposta: che va dallo stato di insolvenza – ritenuto meno grave perché sovente denota una crisi di natura meramente finanziaria – alla nozione di dissesto più grave, la quale invece evocherebbe una crisi qualificata e caratterizzata dal fatto che il prevalere del passivo sull'attivo è frutto di uno sbilanciamento che, per la sua entità, appare irreversibile.
  Il legislatore comunque sembra essere stato impreciso e poco puntuale, confondendo sovente i concetti in parola nella descrizione delle fattispecie tipiche in materia concorsuale, il che contribuisce a creare forti incertezze applicative.
  Il termine dissesto (della società) è, inoltre, presente all'interno della parte penalistica del codice della crisi d'impresa ex novo nella bancarotta societaria preterintenzionale di cui all’articolo 329, comma 2, lettera b) c.c.i. Da notare che la distinzione in lettere non è presente nella legge fallimentare, perché i commi in quest'ultima non sono numerati; e dunque le due diverse ipotesi dell'articolo 223, comma 2, l. fall. sono contrassegnate dai numeri 1 e 2.
  Il dissesto nell'articolo 329, comma 2, lettera b) c.c.i. è stato inserito al posto del termine fallimento (della società). Ma ciò non era previsto dalla legge delega e non è congruente con quanto disposto dall'articolo 349 c.c.i., secondo cui l'espressione «fallimento» deve sostituirsi con l'espressione «liquidazione giudiziale».
  Detto in altro modo: attualmente nel delitto di cui all'articolo 223, comma 2, n. 2 l. fall. si fa espresso riferimento al termine «fallimento» (della società), il codice della crisi invece nell'articolo 329, comma 2, lettera b) lo sostituisce con il termine dissesto (della società). Variazione che non è stata prevista in nessun modo nella legge delega, né è riconducibile al disposto dell'articolo 1 legge delega nella parte in cui consente le modifiche della formulazione di disposizioni non direttamente investite dalla legge delega qualora sia necessario ai fini di un migliore coordinamento con le disposizioni vigenti (cfr. retro § 2).
  Il dissesto è comunque, pure nel codice della crisi, l’evento naturalistico nella configurazione della bancarotta impropria da reato societario (articolo 329, comma 2, lettera a); quindi sarebbe stata un'ottima occasione per far chiarezza attraverso una definizione esplicita del concetto di dissesto per capire anche la sua distinzione con i concetti affini dell'insolvenza e della crisi che sono stati oggetto di puntuale descrizione legislativa all'articolo 2 c.c.i. lettere a), b).
  5. E veniamo adesso alle cosiddette misure premiali «penali» delineate dall'articolo 25 c.c.i.: la causa di non punibilità del danno di speciale tenuità e la circostanza attenuante ad effetto speciale. Nello stesso articolo sono individuate inoltre misure premiali «non penali», che riguardano gli interessi e le sanzioni fiscali. Pag. 246
  Ebbene, una delle principali novità della riforma è la previsione di strumenti di allerta, che si sostanziano tanto in «obblighi di segnalazione» degli indizi di crisi posti a carico di soggetti qualificati, quanto in «obblighi organizzativi» incombenti sull'imprenditore (articolo 12 c.c.i.). Gli obblighi posti dalle misure di allerta concorrono al perseguimento dell'obiettivo di arrivare ad una precoce rilevazione della crisi d'impresa, al fine della tempestiva adozione di misure idonee a superarla o regolarla.
  Benché gli strumenti di allerta non si applichino alle grandi imprese, ai gruppi di impresa di rilevante dimensione e alle società quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in misura rilevante, tali tipologie di imprese sono comunque ammesse a godere delle misure premiali di cui all'articolo 25 c.c.i., se ricorrono le condizioni di tempestività previste dall'articolo 24 c.c.i.; e dunque anche della causa di non punibilità del danno di speciale tenuità esaminata nel prosieguo.
  In particolare, nell'ambito delle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, la legge delega n. 155 del 2017 ha previsto, sul piano della responsabilità penale, l'inserimento di una nuova causa di non punibilità per la bancarotta semplice e per tutti gli altri reati fallimentari quando hanno provocato un danno di speciale tenuità.
  Tale esplicito riferimento nella legge delega alla bancarotta semplice aveva fatto propendere qualche commentatore per l'esclusione dell'applicabilità della causa di non punibilità alla bancarotta fraudolenta. In effetti, la legge delega impiega un'espressione ambigua con riferimento ai reati cui applicare la causa di non punibilità: «bancarotta semplice e altri reati».
  Il nuovo codice della crisi ha invece sciolto il dubbio interpretativo, optando con chiarezza per una estensione massima del campo di operatività della fattispecie di non punibilità, rendendola applicabile in pratica a tutte le figure di bancarotta (sulla disciplina transitoria, cfr. § 12).
  Stabilisce l'articolo 25, comma 2, c.c.i. che la «tempestiva presentazione dell'istanza all'organismo di composizione assistita della crisi d'impresa ovvero della domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza di cui al presente codice, quando a seguito delle stesse viene aperta, su iniziativa del debitore, una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti, esclude, limitatamente alle condotte poste in essere prima dell'apertura della procedura, la punibilità dei reati di cui agli articoli 322 [bancarotta fraudolenta], 323 [bancarotta semplice], 325 [ricorso abusivo al credito], 328, 329 [fatti di bancarotta fraudolenta], 330 [fatti di bancarotta semplice], 331 [ricorso abusivo al credito], 333 [reati dell'institore] e 341, comma 2, lettere a) e b) [bancarotta nel concordato preventivo], a condizione che il danno cagionato sia di speciale tenuità».
  La Relazione illustrativa (p. 48) chiarisce in tale direzione che si è ritenuto «di operare nel senso più ampio prevedendo norme premiali con riguardo alle condotte anche più gravi tutte le volte che l'imprenditore abbia azionato quei meccanismi di allerta di nuova introduzione volti proprio a controllare e mitigare il fenomeno dell'insolvenza». Pag. 247
  Oltre alla causa di non punibilità, nella parte finale del comma 2 dell'articolo 25 c.c.i. è contemplata altresì una circostanza attenuante ad effetto speciale, che s'impernia su un criterio quantitativo di raffronto fra l'attivo e il passivo della procedura; attenuante la quale opera allorché la condotta non abbia cagionato un danno di speciale tenuità. La pena è ridotta fino alla metà, qualora alla data di apertura della procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza, il valore dell'attivo inventariato o offerto ai creditori superi il quinto dell'ammontare dei debiti.
  Ma qual è il campo di operatività dell'attenuante in questione? La legge delega ha già previsto la sua applicazione per tutti i delitti di bancarotta (articolo 4 lettera h). Il codice della crisi sembra riferirla agli stessi reati a cui si applica la causa di non punibilità, giacché non vi è alcuna precisazione e soprattutto per la presenza nell'enunciato della clausola «fuori dai casi di speciale tenuità del danno» che ne segna una continuità di area applicativa. E pertanto viene confermata l’applicazione generalizzata a tutte le figure di bancarotta. L'attenuante in parola dovrà poi essere coordinata con quella contemplata all'articolo 326 c.c.i. ult. comma (attenuante quest'ultima sovrapponibile a quella dell'articolo 219 l. fall.).
  Tornando alla nuova causa di non punibilità, essa sembrerebbe costituire una ipotesi speciale della figura di cui all'articolo 131-bis c.p. («esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto»); non sono tuttavia previsti la maggior parte dei requisiti stabiliti in proposito dalla disciplina codicistica (ad esempio, l'abitualità del comportamento).
  Senonché la nuova causa di non punibilità è collegata alla ricorrenza del requisito che la condotta posta in essere cagioni un danno di speciale tenuità. Ma il delitto di bancarotta fraudolenta propria (articolo 322 c.c.i.) è un reato di pericolo (concreto). Come per il nuovo falso in bilancio (articolo 2621-ter c.c.), sarebbe stato meglio inserire nella causa di non punibilità il riferimento anche all'esiguità del pericolo per il bene tutelato (la garanzia patrimoniale dei creditori) ovvero al concetto di genere della «offesa» comprensivo pure del pericolo (come d'altronde è previsto per l'articolo 131-bis c.p. per determinare la tenuità del fatto).
  Questo ambiguo riferimento al «danno» (di speciale tenuità), in un contesto in cui sono presenti reati di pericolo, potrebbe trovare tuttavia una sua spiegazione nell'idea che, a ben vedere, appare sottesa alla Relazione illustrativa, secondo cui anche la bancarotta fraudolenta propria dovrebbe essere ricostruita quale delitto di lesione effettiva, anziché di pericolo concreto come asserisce oggi la giurisprudenza di legittimità e una parte consistente della dottrina.
  La Relazione sembra invero ricostruire (o meglio trasformare) i delitti di bancarotta fraudolenta secondo lo schema dei reati di evento: e ciò quando spiega l'introduzione della causa di non punibilità, specificando che essa si applica quando la condotta abbia «effetti depauperativi del patrimonio» estremamente modesti e con una incidenza minima sul soddisfacimento dei creditori; per evitare altresì in tal modo che condotte poste in essere anche in epoca assai risalente assumano, a seguito dell'apertura della procedura concorsuale, rilevanza come reati di bancarotta fraudolenta (p. 48). Si evoca, anche dal Pag. 248punto di vista lessicale, un profilo eziologico tra la condotta distrattiva e l'insolvenza dell'impresa assolutamente non contemplato nell'attuale delitto di bancarotta fraudolenta propria (articolo 216 l. fall.; articolo 322 c.c.i.), né in quello di bancarotta fraudolenta impropria ex articolo 223, comma 1, l. fall. (articolo 329, comma 1, c.c.i.)
  Peraltro nella bancarotta impropria da reato societario (articolo 223, comma 2, n. 1 l. fall.; articolo 329, comma 2, lettera a) c.c.i.) in cui, a seguito della modifica del 2002, è ormai collocato tra gli elementi costitutivi un evento naturalistico (il dissesto) collegato alla condotta (fatto di reato societario) attraverso un vero e proprio nesso di causalità, l'ipotesi di non punibilità per la speciale tenuità del danno è di difficile configurazione, richiedendo tale incriminazione appunto che la condotta (il fatto di reato societario) sia la causa (o concausa) del dissesto societario.
  Se si effettua il parallelo con l'articolo 131-bis c.p., anche questa nuova causa di non punibilità esclude l'applicazione delle pene accessorie della inabilitazione all'esercizio di impresa commerciale e dell'incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa: pene accessorie previste nei delitti di bancarotta (articoli 322 comma 4 e 329 comma 3 c.c.i.); ciò in virtù del fatto che non si tratta di una vera e propria sentenza di condanna nonostante l'accertamento di responsabilità.

  6. In questo paragrafo si cercherà di mettere a fuoco due tematiche di particolare complessità: i rapporti tra la definizione dello «stato di crisi» e la bancarotta nel concordato preventivo; la bancarotta negli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e nella nuova convenzione di moratoria.
  Come sappiamo l'attuale articolo 236, comma 2, n. l. fall. parifica, ai fini della rilevanza del delitto di bancarotta, il concordato preventivo al fallimento. L'ultimo comma dell'articolo 236 l. fall. estende, inoltre, le disposizioni sulla bancarotta impropria agli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e alla convenzione di moratoria.
  Non si considera tuttavia, come si dirà nel prosieguo, la diversità dei presupposti sostanziali tra fallimento da una parte e concordato preventivo e accordi dall'altra: lo stato di crisi, infatti, appare concetto eterogeneo rispetto allo stato di insolvenza. Una difformità accentuata e ben evidenziata dal nuovo codice della crisi d'impresa che fissa all’articolo 2 autonome e distinte definizioni dei concetti di crisi (lettera a) e insolvenza (lettera b).
  Invero, la bancarotta impropria nel concordato preventivo è figura autonoma di reato realizzabile sia nella forma «pre» che «postfallimentare»: il decreto di ammissione (apertura) (o la sentenza di omologazione del concordato preventivo) al concordato preventivo si sostituisce così alla sentenza di fallimento nella bancarotta fallimentare sia come condizione obiettiva di punibilità sia come presupposto del fatto tipico.
  Nello specifico, la disposizione prevista dall'articolo 236, comma 2, n. 1 l. fall. si riferisce anche ai fatti di bancarotta preconcorsuali: nella struttura di tale fattispecie incriminatrice, dunque, il decreto di ammissione al concordato preventivo assume la stessa funzione ed efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento (così Cass., sez. V, 7 giugno 1984, n. 7144, in C.E.D. Cass., n. 165475). Conseguentemente, Pag. 249ogni condotta rivolta a commettere i reati previsti dagli articoli 223 e 224 l. fall. in qualunque momento posta in essere – prima dell'ammissione alla procedura concordataria o durante lo svolgimento della stessa – è perseguibile penalmente tramite l'articolo 236 l. fall. (cfr. Cass., sez. V, 6 ottobre 2016, n. 50675, in Cass. pen., 2017, p. 3726).
  Occorre, ad ogni modo, premettere come l'equiparazione in parola presenti numerose incertezze, già a partire da quale deve essere il provvedimento giudiziale da tenere in considerazione: ovvero si deve sciogliere il dubbio se ad essere equiparato alla sentenza dichiarativa del fallimento sia il decreto di ammissione alla procedura di concordato o la sentenza di omologazione dello stesso. A tal riguardo, la giurisprudenza, in effetti, sembra dare rilevanza al decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo, senza che sia necessaria la sentenza di omologazione passata in giudicato (in tal senso Cass., sez. V, 5 febbraio 1993, n. 3330, in C.E.D. Cass., n. 193843).
  Il problema fondamentale, però, è rappresentato dal fatto che se, da un lato, gli effetti sono gli stessi, dall'altro i presupposti risultano ormai nettamente distinti.
  Nella vigenza dell'originario testo della legge fallimentare del ’42, infatti, per poter accedere al concordato preventivo era richiesto che l'imprenditore versasse in «stato di insolvenza»; ossia che si fossero già manifestati quelle condizioni di oggettiva impotenza continuata nel tempo ad adempiere alle proprie obbligazioni (articolo 5 l. fall.). Pertanto, l'equiparazione delle conseguenze penali poggiava su un comune presupposto sostanziale.
  Senonché, il legislatore ha successivamente introdotto riformato l'articolo 160 l. fall., introducendo la nozione di «stato di crisi» in tema di concordato preventivo e nell'articolo 182-bis l. fall. riguardo agli accordi di ristrutturazione.
  Con la riforma del 2005, in particolare, si è attribuito rilevanza allo stato di crisi quale presupposto oggettivo per l'accesso alla procedura di concordato preventivo: «l'imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo [...]» (articolo 160 l. fall.). Dopo le riforme del 2005, dunque, presupposto oggettivo per l'ammissione al concordato preventivo è che l'imprenditore commerciale si trovi in uno «stato di crisi».
  Con una successiva modifica, poi, il legislatore, per definire i difficili rapporti tra il concetto di stato di insolvenza e quello di stato di crisi, è intervenuto per aggiungere un nuovo comma all'articolo 160 l. fall. stabilendo che per «stato di crisi s'intende anche lo stato di insolvenza».
  Lo stato di crisi allora non può che intendersi come un concetto che «ingloba» lo stato di insolvenza, ma che con esso non si identifica. Una relazione in cui il concetto di «crisi» è generale rispetto a quello di «insolvenza» che risulta speciale.
  La definizione dell'articolo 160, comma 3, l. fall. secondo cui «per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza» impedisce, dunque, la completa sovrapposizione dei due concetti (crisi/insolvenza). Invero, già allo stato attuale si pongono evidenti le difficoltà di tracciare l'esatta linea di confine tra stato di crisi e insolvenza. Sembrerebbe doversi ammettere una maggiore ampiezza della nozione di stato di crisi, quale concetto più ampio dello stato di insolvenza, perché la Pag. 250«crisi» ricomprende sia la difficoltà temporanea e reversibile per l'imprenditore nella soddisfazione dei propri creditori, sia lo stato di insolvenza vero e proprio che giustifica la dichiarazione di fallimento.
  Se non si considera, dunque, l'oscura formula dell'articolo 160, comma 3, l. fall., lo «stato di crisi» nella legge fallimentare deve reputarsi espressione atecnica – non definita dal legislatore a differenza, come si è detto, dello stato di insolvenza – che designa una condizione economico-finanziaria del debitore, non necessariamente coincidente con lo stato di insolvenza, potendo accedere al concordato anche l'imprenditore che si trovi solo in pericolo di insolvenza. In questo senso, l'imprenditore si trova in una situazione di oggettiva probabilità di non riuscire, nel breve periodo, ad adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni.
  Siamo in presenza di una situazione di squilibrio economico-finanziario che può non essere ancora insolvenza: lo stato di crisi può essere cioè prodromico alla vera e propria insolvenza. Di conseguenza, l'articolo 236, comma 2, n. 1 l. fall. pone il delicato problema di rendere applicabili le figure di bancarotta impropria fraudolenta e semplice (articoli 223 e 224 l. fall.) a prescindere da uno stato di insolvenza dell'impresa societaria.
  Con l'introduzione del presupposto dello stato di crisi per l'ammissione al concordato preventivo, il binomio bancarotta/insolvenza sembra essersi dissolto, in ragione del fatto che l'amministratore possa essere chiamato a rispondere di bancarotta anche se la società non si sia mai trovata in uno stato di reale insolvenza. Il paradosso appare evidente: è possibile pensare una punibilità di tipo fallimentare nei confronti di chi non versa in stato di insolvenza.
  L'insolvenza quindi non costituisce più l'unico stato patologico aziendale che assume rilevanza nel diritto penale fallimentare con specifico riferimento alla bancarotta impropria. Si è spezzata pertanto la omogeneità dei presupposti che forniva la base su cui si fondava la ratio dell'estensione della punibilità delle condotte poste in essere nell'ambito del concordato preventivo ai corrispondenti fatti di bancarotta.
  È pertanto su tale instabile equilibrio che viene ad incidere il codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, in modo da rendere ancora più evidente – qualora non lo fosse – la frattura della disciplina.
  L’articolo 2, comma 1, lettera a) c.c.i., infatti, ha previsto una esplicita, e autonoma rispetto all'insolvenza, definizione dello stato di crisi. S'intende per «crisi» «lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza del debitore, e che si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate».
  Inoltre, nel codice della crisi l'accesso alla procedura di concordato è consentito all'imprenditore sia che sussista lo stato di crisi che quello di insolvenza. Ai sensi dell'articolo 85 c.c.i. l'imprenditore per proporre il concordato «deve trovarsi in stato di crisi o di insolvenza».
  La precisazione della netta distinzione tra crisi e insolvenza quali presupposti per accedere al concordato preventivo si rende necessaria nel nuovo codice poiché la nozione di crisi, alla luce della distinzione operata – a livello definitorio – con l'articolo 2 c.c.i., ha acquisito una Pag. 251propria dimensione autonoma e non può più dirsi comprensiva dell'insolvenza come nella legge fallimentare (cfr. Relazione illustrativa, p. 90).
  Da questo punto di vista sembra potersi riflettere come la definitiva distinzione dei concetti in parola senza un adeguamento delle fattispecie incriminatrici rischi dunque minare ulteriormente il già precario sistema fallimentare.
  A ben vedere, però, i profili problematici non si esauriscono qui.
  L’ultimo comma dell'articolo 236 l. fall., inserito nel 2015, stabilisce che nel caso di accordo di ristrutturazione con banche e intermediari finanziari o di convenzione di moratoria si applichino le disposizioni relative alla bancarotta impropria fraudolenta e semplice agli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società (articoli 223 e 224 l. fall.). Unicamente questi «accordi» vengono presi in considerazione, e non anche la figura più generica prevista dall'articolo 182-bis l. fall, la quale pertanto è esclusa dall'area applicativa della incriminazione; con un trattamento sotto il profilo penale differenziato, che non può di certo essere recuperato attraverso l'argomento analogico qui in malam partem.
  Il presupposto oggettivo per la stipulazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti o per la moratoria è anche qui lo «stato di crisi» dell'imprenditore (debitore) che presenta un prevalente indebitamento verso banche o intermediari finanziari (creditori).
  Nella legge fallimentare la convenzione di moratoria essendo possibile soltanto con banche e intermediari è stata equiparata nell'articolo 236, ult. comma, l. fall. agli accordi di ristrutturazione con banche e intermediari finanziari ai fini della realizzazione dei delitti di bancarotta impropria.
  Invero, in assenza di delega, il nuovo codice della crisi all’ultimo comma dell'articolo 341 (senza tuttavia modificare la rubrica dell'articolo 341 c.c.i. rispetto a quanto previsto in quella dell'articolo 236 l. fall.) sostituisce gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari (articolo 182-septies l. fall.) con i cosiddetti accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (articolo 61 c.c.i.). Inoltre, per incentivare l'impiego dell'istituto in questione, il nuovo codice ha previsto che lo strumento debba essere esteso a tutte le ipotesi di ristrutturazione del debito e non soltanto – come prima – alle ipotesi in cui l'ammontare dei debiti sia costituito, per almeno la metà, da debiti verso banche e intermediari finanziari.
  Dal canto suo, nel nuovo codice, anche l'istituto della convenzione di moratoria temporanea dei crediti ha visto ampliare il suo campo di applicazione: non è più limitato alle convenzioni stipulate con banche o intermediari finanziari, ma regola ora tutte le convenzioni di moratoria intervenute tra un imprenditore, anche non commerciale, e i suoi creditori.
  Pertanto, se, da un lato, tale equiparazione fra accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e la novellata convenzione di moratoria è ancora ragionevole alla luce del medesimo campo di applicazione di questi strumenti previsti dal nuovo codice; dall'altro lato, sembra tuttavia estendere l'area del penalmente rilevante ad ambiti che, nella vigenza della legge fallimentare, ne risultano estranei. Pag. 252
  7. Altro aspetto che merita sicuramente una riflessione, per il suo rilievo in ambito penale, è la disciplina che viene destinata al fenomeno dei gruppi di imprese, cui viene dedicato il Titolo VI del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza; e tale fenomeno va posto poi in connessione con la disciplina dei cosiddetti vantaggi compensativi.
  Nello specifico, l’articolo 2, lettera h), c.c.i. ne dà una precisa ed esplicita definizione. In questo senso, il «gruppo di imprese» viene definito come «l'insieme delle società, delle imprese e degli enti, escluso lo Stato, che ai sensi degli articoli 2497 e 2545-septies del codice civile sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica, sulla base di un vincolo partecipativo o di un contratto; a tal fine si presume, salvo prova contraria, che: (a) l'attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci; (b) siano sottoposte alla direzione e coordinamento di una società o ente le società controllate, direttamente o indirettamente, o sottoposte a controllo congiunto, rispetto alla società o ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento».
  Come noto, nel diritto penale, l'esistenza di un gruppo di società collegate tra loro pone, anzitutto, la questione fondamentale della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale impropria (ai sensi degli articoli 216 e 223, comma 1, l. fall.) rispetto alle condotte distrattive nelle operazioni infragruppo.
  Da questo punto di vista, l'espresso riconoscimento del valore giuridico del «gruppo di imprese» assume indubbia importanza, in quanto viene portato a compimento il percorso tracciato dal decreto legislativo n. 6 del 2003 e dal nuovo articolo 2634 c.c.
  A ben vedere, occorre riconoscere come la giurisprudenza di legittimità, negli ultimi tempi, era giunta a simile riconoscimento. In questo senso si è espressa affermando che in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale è configurabile un «gruppo di imprese» anche tra enti che abbiano differente natura giuridica (società ed associazioni senza fini di lucro), purché tra loro si instauri un rapporto di direzione nonché di coordinamento e controllo delle rispettive attività facenti capo al soggetto giuridico controllante (cfr. Cass., sez. V, 6 marzo 2018, n. 31997, in C.E.D. Cass., n. 273635).
  Profilo collegato è, invero, il tema dell'applicazione all'ambito fallimentare della cosiddetta clausola dei vantaggi compensativi. Anche a tal riguardo, il nuovo codice della crisi di impresa e dell'insolvenza ha deciso di intervenire in maniera esplicita, in maniera da fugare ogni dubbio.
  Infatti, l'articolo 290 c.c.i. richiama espressamente l'articolo 2497, comma 1, c.c. imponendo che nel valutare la dannosità di un'operazione infragruppo si deve tener conto proprio degli eventuali vantaggi compensativi. Conseguentemente, la presunzione relativa di conoscenza del pregiudizio da parte della società beneficiaria appare pienamente giustificata dalla stessa esistenza del rapporto di gruppo (cfr. Relazione illustrativa, p. 223).
  Sul punto si deve riconoscere come si è sempre presentato con problematicità il discorso riguardante l'estensione, anche ai reati fallimentari, della clausola dei vantaggi compensativi in forma esimente Pag. 253della responsabilità, che risultava prevista, in ambito penale, solo per il reato di infedeltà patrimoniale ex articolo 2634 c.c.
  Pertanto, tale questione dovrebbe essere ormai definitivamente risolta in senso positivo, in virtù dell'espresso riferimento all'articolo 2497 c.c., il quale asserisce che «non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette».
  In realtà, anche in questo caso, si può affermare come il «diritto vivente» già fosse giunto a conclusioni simili. In effetti, pur non assegnando in modo palese alla clausola dei vantaggi compensativi una valenza generale, la giurisprudenza di legittimità ammette che, al cospetto di un'operazione infragruppo apparentemente dannosa per la società fallita o in stato di insolvenza, sia necessario tenere in considerazione i presumibili vantaggi derivanti alla compagine sociale dell'appartenenza al gruppo.
  In ogni caso, occorre indicare come il punto fermo dell'attuale elaborazione giurisprudenziale è comunque costituito dall'affermazione che, l'introduzione nel nostro ordinamento dell'articolo 2634, comma 3, c.c. non permette di ritenere che la presenza di un gruppo societario legittimi per ciò solo qualsiasi condotta di asservimento di una società all'interesse delle altre società del gruppo (cfr. Cass., sez. V, 22 ottobre 2008, n. 39546, in Fall., 2009, p. 313).
  8. Ulteriori profili che, senza dubbio, rilevano ai fini penalistici sono costituiti dalla modifica degli obblighi degli amministratori (articolo 374 c.c.i.), nonché dalla previsione di obblighi di segnalazione per gli organi di controllo societari con l'introduzione di una causa di esonero della responsabilità solidale (articolo 14 c.c.i.).
  In particolare l'articolo 374, comma 2, del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza riformula il titolo della rubrica dell’articolo 2086 c.c. («Gestione dell'impresa») e, in attuazione di uno specifico principio di delega, vi inserisce un secondo comma. Quest'ultimo, da un lato, impone all'imprenditore di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile al fine di favorire l'emersione tempestiva della crisi; dall'altro lato, obbliga l'imprenditore ad attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.
  A questo riguardo, si deve notare come simile implementazione degli obblighi degli amministratori comporti l'emersione di nuovi contenuti delle posizioni di garanzia, con la conseguente estensione della possibilità di contestare un concorso in forma omissiva nei delitti di bancarotta.
  Notoriamente, l'obbligo giuridico presupposto per la responsabilità penale degli amministratori declinata in forma omissiva ai sensi dell'articolo 40 cpv. c.p. è rinvenibile nella disposizione civilistica di cui all'articolo 2392, comma 2, c.c. In particolare, tale obbligo si specifica come «obbligo di garanzia» gravante sugli amministratori e capace di legittimare un'imputazione a titolo di concorso omissivo per il mancato impedimento dell'evento di reato.
  Se l'articolo 2392 c.c. costituisce il punto di riferimento essenziale per l'imputazione oggettiva del reato in capo agli amministratori, Pag. 254sembra che ora si debba altresì far riferimento al nuovo comma 2 dell'articolo 2086 c.c. quale fonte ulteriore di obblighi di garanzia.
  Dal canto suo, invece, l'articolo 14 del codice della crisi dell'impresa e dell'insolvenza pone a carico degli organi di controllo societari dei cosiddetti obblighi di segnalazione. Viene loro attribuito l'obbligo di verificare che l'organo amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l'assetto organizzativo dell'impresa è adeguato, se sussiste l'equilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l'esistenza di fondati indizi della crisi.
  In questo modo, dunque, potrebbe verificarsi un rafforzamento della posizione di garanzia con riferimento ai sindaci, di modo che anche in questo caso potrebbe verificarsi l'estensione della possibilità di contestare un concorso in forma omissiva nei reati di bancarotta.
  Vi è da evidenziare, tuttavia, che la giurisprudenza di legittimità già era arrivata a configurare il concorso dei sindaci in forma omissiva nei reati fallimentari (da ultimo, si veda Cass., sez. V, 11 maggio 2018, n. 44107). Si è detto, invero, che i «poteri impeditivi» necessari a configurare una responsabilità per omesso controllo, non sono i poteri capaci di evitare, in assoluto, la commissione dei reati da parte degli amministratori ma i poteri, senz'altro appartenenti al sindaco, di ricognizione e di segnalazione, che stimolano la reattività dei soggetti legittimati ad agire per la tutela del patrimonio sociale.
  La posizione di garanzia dei sindaci, anche a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 6 del 2013, viene fatta risiedere negli articoli 2403 e 2407 c.c. Tali previsioni pongono a carico del sindaco obblighi di «vigilanza», stabilendo che il collegio sindacale vigili sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento. Essi saranno responsabili per fatti o omissioni degli amministratori quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità ai loro obblighi. Inoltre, ove previsto dallo statuto, i sindaci esercitano altresì il controllo contabile.
  Insomma, il sindaco, essendo destinatario dell'obbligo giuridico di controllo e vigilanza stabilito dagli articoli 2403 e 2407 c.c. nonché dei nuovi obblighi di segnalazione di cui all'articolo 14 c.c.i., sembra essere investito di una posizione di garanzia fondante la responsabilità penale omissiva ex articolo 40 cpv. c.p. in caso di omesso controllo e segnalazione delle azioni degli amministratori nella gestione della società.
  Vi è, inoltre, da aggiungere che l'articolo 14, comma 3, c.c.i. introduce, in caso di tempestiva segnalazione all'organo amministrativo dell'esistenza di segnali di crisi, l’esonero da responsabilità solidale dei sindaci per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dal predetto organo. Anche tale previsione normativa potrebbe avere una ricaduta di natura penale ai sensi dell'articolo 40 cpv. c.p., poiché potrebbe circoscrivere la posizione di garanzia se non persino escludere del tutto la responsabilità penale.
  Invero, potrebbe, per un verso, ritenersi che la nuova disposizione comporti un esonero dalla responsabilità penale giacché manca qui la violazione dell'obbligo di vigilanza, considerata dalla giurisprudenza Pag. 255esclusivo fondamento della responsabilità penale (si veda, ad esempio, Cass., sez. V, 22 marzo 2016, n. 14045); dall'altro verso, potrebbe privilegiarsi l'idea che essa delimiti solamente la posizione di garanzia poiché, sebbene la vigilanza sia stata svolta correttamente, è necessario vagliare, ai fini dell'affermazione della responsabilità penale, se l'esercizio dei poteri riconosciuti ai sindaci avrebbe potuto impedire l'evento.
  Infine, sembra comunque rimanere ferma la precisazione che l'obbligo di vigilanza del sindaco non abbraccia altresì l'obbligo di denuncia all'autorità giudiziaria dei fatti di reato, posto che la funzione sindacale è di natura privatistica.

  9. Ulteriore spunto di riflessione è rappresentato dall'articolo 324 del nuovo codice della crisi di impresa, che regola le cosiddette esenzioni dai reati di bancarotta, disciplinate attualmente dall'articolo 217-bis l. fall.
  Come è noto, la disposizione in parola elenca una serie di pagamenti e operazioni, effettuati in esecuzione di uno degli strumenti concordati della crisi d'impresa, che sono «esenti» dall'applicazione delle figure criminose fallimentari, segnatamente la bancarotta preferenziale e la bancarotta semplice.
  La funzione dell'istituto, invero, è quella di creare un «raccordo» tra le fattispecie incriminatrici della disciplina fallimentare e le innovazioni nel campo delle procedure concorsuali (soprattutto le soluzioni negoziali dell'impresa) per incentivarne l'uso.
  In effetti, l'articolo 324 del codice della crisi sembra cercare di mantenere lo stesso assetto dell'attuale articolo 217-bis l. fall., in quanto richiama il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati, gli accordi in esecuzione del piano attestato ovvero del concordato minore omologato ai sensi dell'articolo 80 c.c.i., i pagamenti e le operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma degli articoli 100 e 101 c.c.i.
  Conseguentemente, uno dei principali problemi che potrebbe porsi, sarebbe quello della «coerenza» con il nuovo volto che sembra assumere la disciplina della crisi di impresa, la quale, infatti, appare incentrata sull'ampliamento del «momento giurisdizionale» a scapito di tutti quegli strumenti che hanno natura maggiormente privatistica.
  Il riferimento in particolare è ai cosiddetti piani di risanamento di cui all'articolo 67, comma 3, lettera d) l. fall., che, secondo quest'ottica, dovrebbero essere eliminati. A tal proposito, però, sembra difficile poter concludere in questo modo, in quanto, a ben vedere, il nuovo articolo 324 c.c.i. richiama espressamente il piano attestato di cui all'articolo 56 c.c.i., che disciplina gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento, i quali sono veri e propri «strumenti negoziali stragiudiziali».
  Tuttavia, se si confronta l'attuale articolo 217-bis l. fall con il nuovo articolo 324 c.c.i. forse si può sviluppare una ulteriore riflessione.
  Una delle maggiori critiche che vengono mosse all'attuale istituto di «esenzioni fallimentari» consiste proprio nella stranezza di ritenere rilevanti solo talune operazioni, escludendone altre, seppure largamente permesse in ambito civilistiche (si pensi, a mero titolo esemplificativo, all'accordo di cui all'articolo 182-septies l. fall., oppure alle operazioni di cui all'articolo 67, comma 3, lettere a, b, c, f, g l. fall.). Pag. 256
  Tale lettura si basa sul fatto che il citato articolo 217-bis l. fall. si riferisce espressamente al concordato preventivo di cui all'articolo 160 l. fall., all'accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis l. fall., al piano di cui all'articolo 67, comma 3, lettera d) l. fall., all'accordo di composizione della crisi omologato ai sensi dell'articolo 12 della legge n. 3 del 2012, nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma dell'articolo 182 quinquies, e alle operazioni di finanziamento effettuate ai sensi dell'articolo 22-quater, comma 1, d.l. n. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 del 2014.
  Da questo punto di vista, si deve notare come la «precedente» versione dell'articolo 324 c.c.i. così come era stata licenziata dal Ministero di giustizia faceva riferimento alle seguenti figure: ai pagamenti e alle operazioni computi in esecuzione di un concordato preventivo di cui all'articolo 84 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 48 o del piano di cui all'articolo 56 ovvero del concordato minore omologato ai sensi dell'articolo 80, nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma dell'articolo 100 e dell'articolo 101.
  Conseguentemente, verrebbe da domandarsi cosa abbia spinto il legislatore a decidere di eliminare la specificazione di talune particolari operazioni: in particolare, gli accordi di ristrutturazione e gli accordi in esecuzione del piano attestato, che non sono più limitati, rispettivamente, agli articoli 48 e 56 c.c.i.
  Pertanto, sulla base di una «prima riflessione» in merito all'attuale versione del codice della crisi (Atto n. 53 della Camera dei deputati), sembra potersi individuare una serie di oscurità e interrogativi che potranno riversarsi sul delicato istituto delle esenzioni; soprattutto in virtù del sostanziale mutamento che vede protagoniste le procedure e le operazioni di composizione della crisi di impresa.
  10. Ulteriore tema su cui si deve porre attenzione è, senza dubbio, quello concernente il delitto di falso in attestazioni e relazioni, soprattutto con riferimento ad eventuali fenomeni di abolitio criminis parziale.
  Il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza disciplina all’articolo 342 il delitto di falso in attestazioni e relazioni, precedentemente regolato dall’articolo 236-bis l. fall.: ebbene sussistono differenze rimarchevoli oppure scaturiscono veri e propri potenziali spazi abolitivi nella riformulazione del delitto di falso in attestazioni e relazioni?
  Nonostante la Relazione illustrativa (p. 239) asserisca che il nuovo articolo 342 c.c.i. «riproduca sostanzialmente sul punto il contenuto del vigente articolo 236-bis della l. fall.», a ben vedere così non sembra.
  Anzitutto, occorre rimarcare l'espressa definizione all'articolo 2 lettera o) c.c.i. della figura del «professionista indipendente», soggetto attivo qualificato di questo delitto. Il nuovo codice lo designa – sulla falsariga di quanto già stabilito nella legge fallimentare (articolo 67 comma 3 lettera d) – come il professionista incaricato dal debitore nell'ambito di una delle procedure di regolazione della crisi d'impresa che soddisfi congiuntamente determinati requisiti enucleati nella citata lettera o). In pratica: i) essere iscritto all'albo dei gestori della crisi o dei revisori; ii) il possesso dei requisiti di cui all'articolo 2399 c.c.; iii) Pag. 257non avere rapporti professionali o personali con l'impresa o le altre parti interessate all'operazione di regolazione della crisi.
  In secondo luogo, e soprattutto, è stata aggiunta una connotazione ulteriore, segnatamente il sintagma «in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati».
  Al riguardo, si pone anzitutto un problema di cosiddetta ambiguità sintattica: tale nuova porzione di enunciato, infatti, sembrerebbe potersi riferire sia unicamente alla sottofattispecie dell'omissione di riferire informazioni rilevanti, sia ad entrambe le sottofattispecie criminose e quindi pure a quella commissiva di «esporre informazioni false».
  In effetti, anche per il requisito della «rilevanza» in relazione all'articolo 236-bis l. fall si è posto lo stesso quesito, in quanto esso viene previsto, apparentemente, solo per la condotta omissiva.
  Invero, tale questione è stata risolta dalla dottrina nel senso di estenderne il predicato anche alla condotta commissiva, al fine di ovviare sia alla irragionevolezza della soluzione contraria sia alla carenza di offensività che determinerebbe per la condotta attiva.
  Allo stesso modo, dunque, la situazione di ambiguità sintattica che concerne il nuovo sintagma di cui all'articolo 342 c.c.i. potrebbe essere risolta ritenendola riferita tanto alla condotta omissiva, quanto a quella commissiva di esporre informazioni false; non si comprenderebbe, infatti, il senso di una limitazione alla sola condotta omissiva della rilevanza del giudizio di veridicità dei dati aziendali.
  Al contrario, tuttavia, la stessa Relazione illustrativa sembra prendere una diversa posizione, in quanto afferma che, attraverso l'introduzione dell'articolo 342 c.c.i., viene descritta meglio la condotta incriminata, essendo precisato «il contenuto delle informazioni rilevanti la cui omissione costituisce reato» (cfr. Relazione illustrativa, p. 239).
  Pertanto, il professionista verrebbe ad essere punito qualora ometta di riferire informazioni rilevanti (ovvero esponga informazioni false) in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati.
  Tale scelta, in effetti, se, dal un lato, appare coerente con l'intero impianto riformatore – lo stesso articolo 6, lettera e) della legge delega n. 155 del 2017 sembra voler sottrarre al professionista il giudizio di fattibilità, consegnandolo al Tribunale fallimentare, il quale in questo modo si troverebbe a sindacare non solo la fattibilità giuridica, ma anche quella economica del piano –, dall'altro lato, tuttavia, potrebbe causare conseguenze rilevanti sul piano penalistico.
  Da questo punto di vista, si deve considerare che il «professionista attestatore» ad oggi svolge un ruolo che comprende un duplice ordine di giudizi: in un primo momento, infatti, questo ha il compito di attestare la «veridicità dei dati» presentati dal debitore; in un secondo, ha il compito di giudicare anche il profilo della «fattibilità economica» del piano presentato dal debitore.
  Conseguentemente, la nuova formulazione della disposizione incriminatrice (articolo 342 c.c.i.) sembra connotare maggiormente il profilo della condotta tipica, limitandola unicamente al piano del cosiddetto giudizio di veridicità e, in pratica, escludendo dall'area del Pag. 258penalmente rilevante l'altra tipologia di giudizio, ovvero il giudizio di fattibilità economica.
  In questo senso, sembra allora potersi chiamare in causa il fenomeno dellabolitio crimins parziale, in quanto apparirebbe abolita proprio la condotta dell’attestatore concernente il giudizio di fattibilità, con applicazione dell'articolo 2, comma 2, c.p. per questa classe di fattispecie.
  11. Nonostante la legge delega si limiti a indicare la sostituzione del termine «fallimento» con l'espressione «liquidazione giudiziale», «adeguando dal punto di vista lessicale anche le relative disposizioni penali, ferma restando la continuità delle fattispecie criminose», lo schema di decreto legislativo prevede due nuove fattispecie incriminatrici; segnatamente agli articoli 344 e 345 c.c.i.: i delitti di falso nel procedimento della esdebitazione e di falso nelle attestazioni dei componenti dell'Ocri.
  Con riferimento alla prima delle citate disposizioni incriminatrici, occorre preliminarmente notare che il primo comma dell’articolo 344 c.c.i. riproduce, sia per struttura che per sanzioni, l'articolo 16 della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (così come modificata dalla legge n. 221 del 2012) regolante la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento. Il secondo comma, invece, ha un vero e proprio contenuto di novità, in quanto viene prevista la responsabilità penale del debitore incapiente, il quale abbia prodotto documentazione falsa o contraffatta al fine di ottenere l'accesso alla procedura di esdebitazione ovvero, una volta ammesso ad usufruire di tale beneficio, non adempia agli obblighi informativi a suo carico. Dal canto suo il terzo comma, sulla scia di quanto attualmente prevede l'articolo 16, comma 2., l. n. 3 del 2012, incrimina il componente dell'organismo di composizione della crisi che attesti il falso con riguardo alla consistenza del patrimonio del debitore, estendendone però la punibilità anche con riferimento alla nuova procedura di cui all'articolo 283 c.c.i. (cfr. Relazione illustrativa, p. 237).
  Nello specifico, dunque, l'articolo 344, comma 1, c.c.i. risulta volto ad incriminare le condotte di falso commesse al fine di ottenere l'accesso alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento o al cosiddetto concordato minore (articolo 344, comma 1, lettere a e b c.c.i.); le condotte di effettuazione di pagamenti in violazione del piano di ristrutturazione dei debiti o del concordato minore omologati (lettera c); le condotte di aggravio della posizione debitoria (lettera d) ; ed infine quelle di non rispetto intenzionale dei contenuti del piano di ristrutturazione dei debiti o del concordato minore (lettera e). Unica ipotesi di reato non riprodotta sembrerebbe quella di cui alla lettera c) dell'articolo 16 l. n. 3 del 2012 e successive modifiche, che prevede la punizione per il «debitore che omette l'indicazione di beni dell'inventario di cui all'articolo 14-ter, comma 3, l. n. 3 del 2012, nella domanda al tribunale di liquidazione del suo patrimonio».
  Un aspetto su cui si deve riflettere, invero, è rappresentato dalla possibilità di accesso alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento da parte dei soci illimitatamente responsabili (ovvero quei soggetti che sono soci di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto Pag. 259del codice civile, per debiti estranei a quelli societari, così come si evince dalla definizione di «consumatore» di cui all'articolo 2, comma 1, c.c.i.).
  In effetti, occorre notare come tale innovazione – espressamente indicata dall'articolo 9, comma 1, lettera a), della legge di delega n. 155 del 2017 – era stata già anticipata da alcune pronunce giurisprudenziali (cfr. Trib. Rimini, 13 marzo 2018. Pres. Miconi, n. 19346).
  A tal proposito, la principale conseguenza è rappresentata dal fatto che i soci illimitatamente responsabili possono diventare, in tal modo, soggetti attivi del reato di cui all'articolo 344 c.c.i.
  Tuttavia, ciò potrebbe porre dei problemi di coordinamento con i reati di bancarotta. Si devono, dunque, considerare due disposizioni: in primo luogo, l'articolo 256 c.c.i., che – riprendendo l'articolo 147 l. fall. – prescrive che «la sentenza che dichiara l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile produce l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale anche nei confronti dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili»; in secondo luogo, l'articolo 328 c.c.i., che – confermando l'articolo 222 l. fall. – asserisce che le disposizioni di bancarotta si applicano anche ai soci illimitatamente responsabili dichiarati in liquidazione giudiziale.
  Tale costruzione normativa, sembrerebbe far emergere problemi di interferenza tra norme penali. Nello specifico, nell'ipotesi in cui, mentre il socio sia ammesso alla procedura di composizione della crisi di sovraindebitamento, la società venga contestualmente dichiarata in liquidazione giudiziale, siamo difronte a un caso in cui il soggetto sta già soddisfacendo alcuni creditori personali con il patrimonio a garanzia anche di quelli sociali, di fatto alterando la par condicio creditorum. Bisogna, quindi, interrogarsi se l'esenzione di cui all'articolo 324 c.c.i. possa estendersi per analogia in bonam partem anche a siffatte operazioni. Si segnala, che l'esenzione attualmente contempla esplicitamente solo l'articolo 80 c.c.i., ossia l'omologazione del cosiddetto concordato minore; procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento alla quale i soci a responsabilità illimitata non possono essere ammessi.
  Altro problema rilevante si segnala in merito alla possibilità del concorso di norme tra l'articolo 344 c.c.i. e gli articoli 322 e ss. c.c.i., nel caso in cui il socio realizzi condotte di falso o di aggravio della posizione debitoria, le quali, in caso in cui venga dichiarato in liquidazione giudiziale, costituiscano e integrino il reato di bancarotta. Il dubbio sembra potersi sciogliere grazie alla clausola di riserva posta nell'articolo 344 c.c.i., la quale esclude l'applicabilità dello stesso quando il fatto costituisce più grave reato, facendo quindi propendere per l'applicazione esclusiva del delitto di bancarotta.
  Invece, il secondo comma dell'articolo 344 c.c.i., come si è detto, prevede effettivamente una nuova figura criminosa, volta a sanzionare penalmente le falsità del debitore incapiente nel procedimento della esdebitazione.
  L'inserimento di tale nuova ipotesi di reato trova giustificazione nel fatto che l'esdebitazione del debitore incapiente è un istituto nuovo e sarebbe irragionevole immaginare che lo stesso, ammesso a godere del Pag. 260beneficio della esdebitazione senza nulla corrispondere ai propri creditori, vada esente da pena quando abbia attestato il falso per poter accedere al beneficio (cfr. Relazione illustrativa, p. 236).
  Anche con riferimento alla fattispecie criminosa di cui all’articolo 345 c.c.i., si deve sottolineare come il legislatore abbia inteso introdurre una nuova figura incriminatrice, al fine di punire il falso nelle attestazioni compiuto dal componente dell'organismo di composizione della crisi (Ocri).
  Nello specifico l'articolo 345 c.c.i. punisce il componente dell'organismo di composizione della crisi che renda dichiarazioni false sui dati aziendali del debitore che intenda presentare domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti o di apertura del concordato preventivo.
  Tale reato di falso, a ben vedere, risulta modellato sullo schema proposto dal delitto di falso in attestazioni e relazioni ex articolo 342 c.c.i. con riferimento alla procedura del concordato preventivo.
  Coerentemente con le innovazioni propugnate dal codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, viene data quindi rilevanza alla circostanza che al concordato preventivo si possa addivenire anche all'esito del procedimento di composizione assistita della crisi. In tale ambito fanno capo ai componenti del suddetto organismo obblighi di verità nell'esposizione della situazione patrimoniale del richiedente; motivo per cui si è deciso di sanzionare l'esposizione di dati falsi, non diversamente dalle ipotesi in cui analoghi obblighi sono imposti al professionista indipendente nell'ambito della procedura concorsuale (in tal modo si esprime la Relazione illustrativa, p. 239).
  12. L'ultima parte del nuovo codice della crisi di impresa contiene le «disposizioni finali e transitorie».
  È stabilito nell’articolo 388 c.c.i. che il decreto legislativo entra in vigore decorsi 18 mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
  Soltanto poche norme entrano «eccezionalmente» in vigore 30 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta del decreto legislativo: tra queste vanno annoverate le espresse abrogazioni nel settore penale, sancite dall'articolo 373 c.c.i., dagli articoli 221 (fallimento con procedimento sommario), 235 (omessa trasmissione dei protesti bancari) e 241 l. fall. (riabilitazione civile del fallito); nonché, con qualche possibile rilievo penale, le norme sugli assetti organizzativi dell'impresa (articolo 374 c.c.i.), sulla responsabilità degli amministratori (articolo 377 c.c.i.) e sulla nomina degli organi di controllo (articolo 378 c.c.i.).
  Come si evince dalla disciplina transitoria (articolo 389, comma 3, c.c.i.) – che tuttavia nella versione dello schema di decreto legislativo diffusa nell'ottobre 2018 non menzionava il settore penale – ed è ben chiarito nella Relazione illustrativa (pp. 236-237), al momento dell'entrata in vigore del codice della crisi e dell'insolvenza, per i fatti di bancarotta commessi antecedentemente e non ancora definitivamente giudicati, le imputazioni non dovranno essere modificate e comunque si dovrà far riferimento agli illeciti penali contenuti nella legge fallimentare, quando vengano in considerazione condotte collegate a procedure concorsuali per le quali è stabilita ancora l'applicazione della disciplina «anteriore» (fallimentare e delle crisi da sovraindebitamento) ai sensi della disposizione transitoria di cui all'articolo 389, Pag. 261commi 1 e 2 c.c.i. (disposizione inserita per ragioni di semplificazione e per evitare difficoltà organizzative).
  In particolare, stabilisce il comma 3 dell'articolo 389 c.c.i. che quando, in relazione alle procedure di cui ai commi l e 2 dell'articolo 389 c.c.i., sono commessi i fatti puniti dalle disposizioni penali della legge fallimentare del 1942 nonché dalle disposizioni penali della crisi da sovraindebitamento del 2012, ai medesimi fatti si applicano le predette disposizioni.
  Senonché – nonostante il silenzio della Relazione illustrativa –– anche per i fatti di bancarotta posti in essere dopo l'entrata in vigore del nuovo codice della crisi d'impresa, come ad esempio condotte distrattive nella bancarotta postfallimentare, potrà aversi l'applicazione della vecchia disciplina penalfallimentare, qualora si tratti di condotte di bancarotta collegate a procedure concorsuali da definirsi secondo la «legge anteriore», ai sensi della disposizione transitoria ex articolo 389 c.c.i. (in quanto, ad esempio, procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo).
  In altre parole, i fatti di bancarotta postfallimentare, posti in essere successivamente all'effettiva entrata in vigore del nuovo codice della crisi d'impresa, dovranno essere pur sempre qualificati alla stregua delle vecchie ipotesi di bancarotta ex articoli 216 e ss. l. fall., se si tratta di condotte concernenti procedure concorsuali che devono ancora essere definite – per effetto della disciplina transitoria – secondo la legge anteriore (fallimentare e crisi da sovraindebitamento).
  Sulla scorta di quanto appena osservato, le disposizioni penali della legge fallimentare rimangono applicabili nei limiti di quanto disposto dalla disciplina transitoria ex articolo 389 c.c.i. Mentre le condotte di bancarotta (o concorsuali) successive alla vigenza del nuovo codice andranno ricondotte ai reati previsti da quest'ultimo decreto legislativo che – in materia penale – così abroga in modo tacito per incompatibilità le vecchie norme incriminatrici (cosiddetta abrogazione per nuova disciplina ex articolo 15 preleggi c.c.).
  Con l'eventualità, per un certo periodo, di una coesistente duplice normativa penale nel settore della crisi d'impresa e dell'insolvenza (nuovo codice della crisi/legge fallimentare); «doppio binario» che opererà fino al momento in cui troverà applicazione la disciplina penalistica della legge fallimentare in relazione a dichiarazioni di fallimento anteriori all'entrata in vigore del nuovo codice o le cui procedure siano pendenti alla medesima data. Le disposizioni penali della legge fallimentare del ’42 sono destinate così ad esaurire la loro efficacia nel tempo, quando saranno chiuse in via definitiva le relative procedure secondo la previgente normativa (cfr. Relazione illustrativa, p. 234 ss.).
  In proposito, non sembra tuttavia superfluo rammentare come – alla luce dei nostri principi intertemporali – le norme incriminatrici della legge fallimentare possono continuare ad applicarsi anche dopo l'entrata in vigore del codice, sempre che siano in continuità normativa con quelle del nuovo codice della crisi d'impresa. A tal fine, attraverso il metodo del confronto strutturale tra le fattispecie non si devono evidenziare fenomeni abolitivi, fratture tra le incriminazioni che si avvicendano nel tempo per la loro eterogeneità. Pag. 262
  Bisogna adesso domandarsi se sia sufficiente questa esigua disciplina transitoria nel nuovo codice, oppure sia necessario in qualche modo integrarla. Ebbene, per evitare possibili profili di incostituzionalità, rinvenibili soprattutto nella violazione dei principi di ragionevolezza-eguaglianza e della necessaria applicazione retroattiva della legge penale più favorevole, il legislatore dovrebbe invero aggiungere un'ulteriore porzione alla disciplina transitoria. Quest'ultima dovrebbe consentire l'operatività di alcune importanti innovazioni normative favorevoli – contenute nel nuovo codice della crisi d'impresa sul piano penale – anche alle condotte di bancarotta che continuano ad essere assoggettate alla disciplina della legge fallimentare, per effetto di quanto previsto dall'articolo 389 c.c.i.
  Per raggiungere tale obiettivo, sono necessari tuttavia degli opportuni adattamenti, in sede transitoria, riguardo agli istituti che nel nuovo codice della crisi introducono normative favorevoli sotto il profilo delle conseguenze penali.
  Anzitutto, si dovrebbe pensare ad un esplicito regime transitorio che preveda l'applicazione delle nuove «misure premiali» per i fatti di bancarotta da giudicare ancora secondo la legge fallimentare del 1942.
  In pratica una disciplina per i reati fallimentari analoga a quella stabilita nel nuovo codice della crisi d'impresa all'articolo 25, con la previsione di una causa di non punibilità contenuta in una disposizione transitoria, imperniata sul presupposto della «tempestiva» iniziativa del debitore volta a prevenire l'aggravarsi della crisi facendola emergere in modo precoce, nonché sul presupposto della speciale tenuità del danno cagionato.
  Inoltre, una disposizione transitoria che consenta di tenere in considerazione la circostanza attenuante ad effetto speciale (pena ridotta fino alla metà) di cui all'articolo 25 c.c.i., incentrata su un criterio quantitativo di raffronto fra l'attivo e il passivo della procedura.
  Non tutte le innovazioni in mitius sul piano penale del nuovo codice della crisi necessitano però di una indispensabile ed esplicita disciplina transitoria, per estenderle anche ai casi di persistente applicazione della legge fallimentare; né la mancanza in questi casi di una disciplina transitoria può condurre a un vizio di legittimità costituzionale.
  Alcune di queste innovazioni in bonam partem potranno essere «recuperate» tramite l’interpretazione giurisprudenziale, la quale valorizzi a tal fine i profili di irragionevolezza e di disparità di trattamento consistenti nella scelta di precludere al reo una disciplina favorevole applicabile, viceversa, ad un soggetto che ha realizzato la stessa condotta storica nel medesimo periodo temporale. Si pensi, ad esempio, alle modifiche favorevoli concernenti il nuovo istituto della tempestiva segnalazione all'organismo di composizione della crisi da parte degli organi di controllo societari quale causa di esonero della responsabilità di cui all'articolo 14 c.c.i.

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