Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Vai all'elenco delle sedute >>

XVIII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Mercoledì 4 novembre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Perantoni Mario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 2435 GOVERNO, RECANTE DELEGA AL GOVERNO PER L'EFFICIENZA DEL PROCESSO PENALE E DISPOSIZIONI PER LA CELERE DEFINIZIONE DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI PENDENTI PRESSO LE CORTI D'APPELLO.

Audizione di Francesco Caprioli, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino (in videoconferenza), di Agostino De Caro, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise e di Mauro Ronco, professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova (in videoconferenza).
Perantoni Mario , Presidente ... 3 
Caprioli Francesco , professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino ... 3 
Perantoni Mario , Presidente ... 6 
Caprioli Francesco , professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino ... 6 
Perantoni Mario , Presidente ... 6 
De Caro Agostino , professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise ... 6 
Perantoni Mario , Presidente ... 9 
Ronco Mauro , professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova ... 9 
Perantoni Mario , Presidente ... 12 
Sarti Giulia (M5S)  ... 12 
Perantoni Mario , Presidente ... 12 
Vitiello Catello (IV)  ... 12 
Perantoni Mario , Presidente ... 13 
De Caro Agostino , professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise ... 13 
Perantoni Mario , Presidente ... 13 
Caprioli Francesco , professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino ... 13 
Ronco Mauro , professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova ... 13 
Perantoni Mario , Presidente ... 13 

Allegato 1: Documentazione depositata da De Caro Agostino, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise ... 14 

Allegato 2: Documentazione depositata da Ronco Mauro, professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova ... 34

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO PERANTONI

  La seduta comincia alle 15.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Francesco Caprioli, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino (in videoconferenza), di Agostino De Caro, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise e di Mauro Ronco, professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova (in videoconferenza).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di Francesco Caprioli, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino (in videoconferenza), di Agostino De Caro, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise, in presenza, e di Mauro Ronco, professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova (in videoconferenza).
  Ringrazio gli auditi per aver accolto l'invito della Commissione e chiedo cortesemente di contenere il proprio intervento in dieci minuti circa. È una preghiera che sottolineo, perché purtroppo siamo in ritardo e alle 16 riprenderanno i lavori dell'Assemblea. Abbiamo quindi tempi veramente stretti. In questo modo possiamo dare spazio ai quesiti che saranno rivolti dai commissari, ai quali seguirà la replica degli auditi, che potranno inviare un documento scritto alla segreteria della Commissione, qualora non lo abbiano già fatto. Tale documentazione, in assenza di obiezioni, sarà pubblicata sul sito Internet della Camera dei deputati e resa disponibile ai deputati stessi attraverso l'applicazione GeoCamera. Non vedo opposizioni in merito da parte di nessuno. Vi ringrazio.
  Do a questo punto la parola a Francesco Caprioli, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino, che svolgerà l'audizione in videoconferenza. Buonasera, professore. Prego, a lei la parola.

  FRANCESCO CAPRIOLI, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino. Grazie, Presidente. Sono stato invitato ad esprimere la mia opinione su due specifiche disposizioni contenute nel disegno di legge di delega. Si tratta di due disposizioni simmetriche, contenute nella lettera a) e nella lettera i) dell'articolo 3, sulle quali mi pare finora si sia discusso poco, visti i precedenti interventi in Commissione Giustizia. Alludo alla proposta di modificare i presupposti, che sono speculari, dell'archiviazione e del rinvio al giudizio, vale a dire alla proposta di modificare la formula attualmente contenuta nell'articolo 125 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e nell'articolo 425 del codice di procedura penale – che oggi così recitano: si esercita l'azione penale Pag. 4 e si decreta il rinvio a giudizio in presenza di elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio – con la formula che invece richiama l'assenza di una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria nel giudizio. È una scelta che, nella relazione al disegno di legge, si giustifica con l'intento «di evitare inutili esperienze processuali destinate sin dall'origine ad avere esiti assolutori scontati». E, sempre nella relazione, si offre una prima possibile lettura di questa nuova formula. Si dice che il pubblico ministero e il giudice dell'udienza preliminare devono essere in grado di prevedere che il giudizio dibattimentale si concluderà con una sentenza di condanna. L'intento è quello di ridurre il numero delle richieste di rinvio a giudizio e dei decreti di rinvio a giudizio che sfociano in un proscioglimento dibattimentale. Da tempo si dice che tale numero rimane troppo elevato. Lo ha detto nel febbraio scorso il presidente del Tribunale di Torino in un'intervista che ha fatto molto scalpore e in cui egli caldeggiava proprio la soluzione di cui stiamo discutendo. In realtà si tratta di numeri che andrebbero valutati attentamente per capire per esempio di che tipo di proscioglimento stiamo parlando. Io ho fatto parte fino a qualche settimana fa del consiglio giudiziario della Corte d'appello di Torino, nell'ambito del quale ci eravamo ripromessi di raccogliere questi dati. Dopo le interazioni del presidente Terzi, l'emergenza sanitaria ha indirizzato altrove le nostre attenzioni. Il criterio per l'esercizio dell'azione penale e per il passaggio al dibattimento diventa quello della ragionevole prognosi di condanna. Non si tratta di una novità assoluta, perché nella sostanza è il criterio che figurava già nell'articolo 115 del progetto preliminare delle norme di attuazione del codice di procedura penale, poi divenuto l'articolo 125 che oggi conosciamo. In quell'articolo 115 delle norme di attuazione si diceva proprio che il pubblico ministero può chiedere l'archiviazione se gli elementi acquisiti nel corso dell'indagine non sono sufficienti al fine della condanna.
  Se noi leggiamo ancora oggi l'articolo 256 delle disposizioni transitorie del codice, si parla dei criteri per il rinvio a giudizio nei processi che proseguivano con le vecchie regole, cioè con l'applicazione del codice di procedura penale del 1930. Ormai non ce ne sono più naturalmente, ma troviamo scritto nell'articolo 256 che l'ordinanza di rinvio a giudizio va pronunciata quando il giudice istruttore ritiene che gli elementi di prova raccolti siano sufficienti a determinare all'esito dell'istruttoria dibattimentale la condanna dell'imputato.
  Dico subito che secondo me, se si voleva riesumare la logica della prognosi di condanna, sarebbe stato probabilmente più opportuno ispirarsi a queste formule più sobrie e anche più esplicite piuttosto che introdurre l'anomalo concetto di prospettazione accusatoria e alludere anche alla ragionevolezza della revisione.
  So che in una precedente audizione l'Unione delle Camere penali ha parlato di una formula di stile destinata a legittimare la soggettivizzazione dei parametri di decisione. «Prospettazione accusatoria» suona sinceramente piuttosto atecnico; sembra quasi mutuato dal gergo giornalistico.
  Io ho qualche esperienza di drafting legislativo. Ho fatto parte di Commissioni di riforme. So che quando ci si può comodamente riferire a un precedente testo normativo conviene approfittarne. Io direi, semmai, di utilizzare una formula come «elementi sufficienti a determinare all'esito del dibattimento la condanna dell'imputato», o qualcosa di simile.
  Premesso questo, io personalmente sono molto critico sul recupero del criterio della prognosi di condanna. Qui lo ha ricordato il dottor Cafiero De Raho: la giurisprudenza costituzionale, in particolare con una sentenza del 1988, ha detto che l'azione penale obbligatoria ha un limite; il processo non deve essere instaurato quando si appalesi oggettivamente superfluo. Quindi, idoneità a sostenere l'accusa in giudizio significa ragionevole previsione di non superfluità del dibattimento. Il problema è tutto qui. Pag. 5
  Quand'è che il dibattimento è superfluo? Qui da sempre ci sono due modi di ragionare. Qualcuno dice che è superfluo il processo che non si chiude con una condanna e che quindi l'azione penale va esercitata quando sia probabile la condanna, perché altrimenti facciamo girare a vuoto la macchina processuale. Altri invece hanno sempre detto che il dibattimento serve a fare chiarezza su situazioni di possibile rilevanza penalistica che sono rimaste dubbie all'esito delle indagini e dell'udienza preliminare. Quindi, un dibattimento che si chiude con il proscioglimento non necessariamente è stato superfluo; magari ha offerto un prezioso contributo di chiarificazione.
  Non dimentichiamo che il dibattimento è il luogo di formazione della prova nel contraddittorio delle parti. E non dimentichiamo che il contraddittorio non è solo una garanzia individuale ma è una tecnica di accertamento dei fatti che il nostro legislatore ha adottato e che poi la Costituzione, con la riforma dell'articolo 111, ha consacrato come la tecnica di accertamento più affidabile dei fatti di reato.
  Questo è il criterio che è stato individuato dalla Corte costituzionale e che oggi è ripreso molto correttamente da quella giurisprudenza della Cassazione che ho visto citata nella scheda illustrativa del disegno di legge.
  Quand'è che si va a giudizio? Quand'è che si va a dibattimento? Quando il dibattimento, grazie alle superiori risorse cognitive attivabili con l'impiego del contraddittorio nella formazione della prova, apporterebbe elementi rilevanti ai fini della decisione del merito. Questo è il criterio, che correttamente applicato non significa affatto, per citare la relazione del disegno di legge, «esperienze processuali destinate fin dall'origine a esiti assolutori». Non c'è nulla di scontato; c'è una situazione dubbia che il dibattimento può risolvere, in un senso o nell'altro.
  Io faccio sempre un esempio ai miei studenti quando parlo di questo argomento. Nella vita le cose non vanno mai così semplicemente: immaginiamo tuttavia che al termine di un'indagine ci siano due testimonianze d'accusa da parte di persone informate sui fatti, credibili, lucide, disinteressate, coerenti nella loro ricostruzione dei fatti, ma ci siano anche due testimonianze d'alibi apparentemente allo stesso modo coerenti, disinteressate, precise. Qualcuno mente o qualcuno si sta sbagliando, o ricorda male.
  In una situazione come questa noi non diremmo che è probabile la condanna; diremmo il contrario, casomai. Potremmo dire che è superfluo il dibattimento. Ma non abbiamo sempre detto che è a questo che serve il dibattimento, che è a questo che serve l'esame incrociato, per capire tramite l'esame e il controesame qual è il testimone che dice la verità e qual è il testimone che mente, oppure che ricorda male? Se c'è un dibattimento non superfluo è proprio questo. Eppure, non possiamo fare una prognosi di condanna.
  Ieri sentivo il medico di una residenza per anziani dire che loro sono autorizzati a utilizzare i tamponi molecolari per diagnosticare il Coronavirus solo dopo che ai pazienti sia stato effettuato un primo test con il tampone rapido, il tampone antigenico, e questo test abbia dato un risultato positivo. Il medico si lamentava dicendo: «Ma come, io posso fare il molecolare solo quando l'antigenico ha già dato risultati positivi? Il tampone antigenico non è così affidabile; rileva la malattia solo quando la carica virale è particolarmente alta. Se la carica virale è bassa si rischia il falso negativo.»
  A me pare che noi stiamo parlando esattamente della stessa cosa. La colpevolezza è la malattia, le indagini preliminari sono il tampone rapido e il dibattimento è il tampone molecolare. Abbiamo uno strumento diagnostico raffinatissimo, il dibattimento, e lo utilizziamo solo quando la carica virale della colpevolezza è molto elevata e per rilevarla bastano già gli strumenti diagnostici ordinari. Ha senso ciò? Non mi pare. Non ci interessano i falsi negativi della colpevolezza che emergono dalle indagini preliminari? Si dirà che quello strumento diagnostico costa e che va usato con parsimonia. D'accordo, ma proprio perché Pag. 6 costa parecchio, ha senso usarlo quando serve meno? Non mi sembra.

  PRESIDENTE. Mi scusi, professor Caprioli. La pregherei di avviarsi alle conclusioni perché purtroppo abbiamo tempi strettissimi. La ringrazio molto.

  FRANCESCO CAPRIOLI, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino. Sì, certo. Presidente, provvedo comunque a depositare un testo scritto. Il punto alla fine è solo questo: davvero crediamo al contraddittorio nel momento di formazione della prova? Ci crediamo davvero? Davvero crediamo che il dibattimento sia questa raffinatissima macchina cognitiva e che le indagini preliminari siano invece uno strumento rozzo e poco attendibile per l'accertamento dei fatti? Forse no. Molti non lo credono affatto, non lo credono più; però è una domanda che non ci possiamo nemmeno porre, perché esiste l'articolo 111, quarto comma, della Costituzione, che ci costringe a credere al dibattimento e alla formazione della prova come tecnica più affidabile.
  Sorvolo sul fatto che in realtà, per certe dinamiche conseguenti all'eliminazione del consenso del pubblico ministero nel giudizio abbreviato, oggi quella regola, quella dettata dall'articolo 125 delle norme di attuazione, contiene già per la verità una prognosi di condanna, perché bisogna fare i conti con il rischio che venga chiesto il giudizio abbreviato. L'idoneità a sostenere l'accusa in giudizio nell'articolo 125 allude anche al giudizio abbreviato; mentre l'articolo 425 del codice di procedura penale allude soltanto al dibattimento.
  Dico solo che dettare quella regola per il passaggio al dibattimento significa davvero dimostrare che non si crede affatto al dibattimento come luogo privilegiato di formazione della prova; significa concepirlo come una fastidiosa appendice garantistica di un accertamento dei fatti, quello compiuto in indagini preliminari, che è già più che sufficiente. Questa è la logica.
  Se voi andate a leggere l'intervista del presidente del Tribunale di Torino, vedrete che egli, dopo aver detto che il criterio andrebbe cambiato nel senso in cui lo si vuole cambiare, sostiene che si potrebbe fare una cosa ancora migliore: prevedere il giudizio abbreviato come giudizio ordinario e il dibattimento come una sorta di rito alternativo a richiesta dell'imputato.
  Dopodiché, può anche darsi che ci siano rinvii a giudizio inutili. Se questo accade, è perché i giudici applicano male quel criterio – intendo il giudice dell'udienza preliminare –, vale a dire mandano a dibattimento situazioni che il dibattimento non contribuisce affatto a chiarire.
  Qui sì, sono d'accordo che c'è una patologia. E qualcuno maliziosamente sostiene che per i giudici dell'udienza preliminare la soluzione del rinvio a giudizio è molto più comoda perché non si deve motivare. Il decreto che dispone il giudizio non è motivato; la sentenza di non luogo a procedere richiede spesso faticose motivazioni. La tendenza quindi è quella di rinviare tutto a dibattimento, e non è detto che sia una tendenza che cambierebbe con il mutamento della regola. Ma lo ripeto: il fatto che ci siano troppi rinvii a giudizio, e anche rinvii a giudizio inutili, non è un buon motivo per fare una scelta che sarebbe apertamente contraria alla logica del processo accusatorio. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professore. Do quindi la parola ad Agostino De Caro, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise. Prego, professore.

  AGOSTINO DE CARO, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise. Buonasera a tutti, cerco di essere rapido. Ho fatto pervenire ieri una relazione scritta. In più, il giorno prima mi sono permesso di mettere a disposizione della Commissione Giustizia alcuni file audio che riproducono gli interventi di un recente convegno tenuto con modalità online all'Università Tor Vergata proprio sul disegno di legge di cui stiamo discutendo, che mi sembrano contenere spunti di estremo interesse e riflessione per i vostri lavori.
  Le mie considerazioni partono da un'idea di fondo: l'efficienza del sistema processuale Pag. 7 si misura soprattutto attraverso l'effettivo rispetto di tutte le garanzie del giusto processo, nessuna esclusa. State molto attenti al fatto che la strada della compensazione delle garanzie condurrà il processo penale italiano verso un precipizio; non lo condurrà certamente alla soluzione dei suoi problemi.
  Ciò detto, mi sono concentrato su tre direttrici o su tre gruppi di direttrici. Quanto alla prima, l'articolo 4, lettera a), propone ai numeri 1 e 2, in materia di richiesta di applicazione sulla pena, da un lato, l'allargamento del patteggiamento fino a otto anni di reclusione, dall'altro, l'aumento considerevole dei casi di esclusione oggettiva di ricorso al patteggiamento. È una contraddizione assoluta. Peraltro, nel catalogo di reati ci sono fattispecie di oggettiva ridotta gravità. Non è spiegata la ragione di tale scelta. Nulla è detto. Probabilmente non c'è una motivazione per la quale queste fattispecie di reato debbano essere escluse dal patteggiamento.
  Se il patteggiamento è un istituto che va utilizzato in maniera più massiccia, le esclusioni oggettive sono irrazionali; ma vi è un'irrazionalità che non è stata eliminata e che dovreste eliminare. Rifletteteci, se è possibile. Non è pensabile che una sentenza fino a otto anni di reclusione non sia la conseguenza di una valutazione sulla responsabilità penale. Ciò è contrario ai principi fondamentali della giurisdizione, della Costituzione, della Convenzione europea dei diritti umani.
  Il solo riferimento all'articolo 129 del codice di procedura penale è un riferimento meramente formale che nella sostanza non equivale a una valutazione sul merito della responsabilità. Mi sono permesso di suggerire una modifica. Nel testo si dice che il limite di pena applicabile su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale è aumentato fino ad otto anni di reclusione. Bisognerebbe prevedere, nell'ambito delle direttive, che il giudice applichi la pena se dopo aver verificato gli atti ritenga, sentite le parti, provata la penale responsabilità secondo le indicazioni dell'articolo 533 del codice di procedura penale.
  Se non si percorre questa strada, il patteggiamento finirà per giustificare condanne sommarie; e se era legittima una condanna sommaria fino a due anni di reclusione (impianto originale del codice), fino a cinque (schema del patteggiamento allargato) e fino a otto anni (nuovo patteggiamento allargato) essa è profondamente ingiusta e irrazionale.
  Quanto al secondo gruppo di direttrici, mi riferisco alla riforma del giudizio. Agli articoli 5 e 6, il testo di legge reintroduce o vuole reintrodurre la relazione illustrativa: è un ritorno al passato, del tutto inutile, che appesantisce la fase introduttiva del giudizio. Se le parti oggi vogliono, possono tranquillamente spiegare al giudice le ragioni per cui chiedono un determinato corredo probatorio, per cui si affidano a una determinata piattaforma probatoria per dimostrare le loro tesi. Peraltro, prevedere ciò come un obbligo significa introdurre una prassi che già conosciamo a proposito della lettura della imputazione, vale a dire che la diamo per fatta. Francamente, mi pare una precisazione inutile.
  Ma il punto di maggiore criticità – sul quale vi invito veramente con il cuore, con la mente, con tutto me stesso a riflettere – risiede nella scelta di trasformare in regola l'eccezione oggi contemplata dall'articolo 190-bis del codice di procedura penale. Ciò è estremamente pericoloso. Significa dare il colpo mortale al principio di immediatezza, che a mio giudizio – so di essere accompagnato non dalla totalità della dottrina, ma solo da parte della dottrina – fa parte integrante dell'articolo 111 della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti umani.
  Già questo principio è stato falcidiato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 132 del 2019 e dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione cosiddetta Bajrami Klevis del 2019. Non lo mortifichiamo ulteriormente, perché corriamo il rischio di trovarci al cospetto di un collegio che cambia cinque, sei o sette volte. E nella prassi un collegio o un giudice monocratico cambia cinque, sei o sette volte prima di arrivare ad una sentenza di condanna; e l'ultimo che arriva può decidere Pag. 8senza avere assunto la prova. Peraltro, spiegatemi quale coerenza ci sarà col meccanismo introdotto due anni fa (e non diciotto anni fa) con il comma 3-bis dell'articolo 603 del codice di procedura penale che prevede per il giudice d'appello l'impossibilità di condannare la prima volta, quando quindi si passa da una sentenza di assoluzione a una possibile condanna, senza avere assunto la prova dichiarativa su cui poi la decisione di assoluzione fonda. In base al testo di legge, il giudice di primo grado può condannare per la prima volta senza avere assunto la prova dichiarativa, quindi in dispregio del principio di immutabilità del giudice. Mi sembra francamente una strada da non percorrere. Inoltre – e illustro rapidamente le mie riflessioni – si prevede che il procedimento davanti al giudice monocratico con citazione diretta debba essere preceduto da un'udienza filtro di controllo, una sorta di «udienzina» preliminare fatta avanti a un giudice diverso da quello che celebrerà il dibattimento. Perdonatemi, ma così si pensa che si possa perseguire la ragionevole durata del processo? Vi rendete conto che così si appesantisce notevolmente la durata del processo? Peraltro, nell'ambito dei reati di cui all'articolo 550 del codice di procedura penale in cui l'azione penale è esercitata con citazione diretta, vi sono anche contravvenzioni edilizie, infortuni sul lavoro, reati di inquinamento, che risentirebbero di quel «buco nero» che è l'udienza preliminare, perché l'udienza preliminare in termini di durata del processo divora un pezzo significativo del tempo, così come un pezzo significativo del tempo è divorato dall'avviso di conclusione delle indagini. Introdurre questa udienza filtro nei processi con rito monocratico e citazione diretta significa allungare i tempi del processo. Io mi rendo conto che si potrebbe dire: «Va bene, ma qual è il problema? Tanto alla fine, dopo la sentenza di primo grado, la prescrizione non decorre più, quindi non abbiamo problemi di durata del processo.» Però dareste ragione a chi, come me, ha sempre ritenuto che la riforma della prescrizione del 2019 incida negativamente sulla durata del processo. Vi accorgerete che questa riforma inciderà negativamente sulla durata del processo. Viceversa, va salutata con estremo favore – e ringrazio per aver pensato a una soluzione del genere – la direttiva prevista alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 5, dove si prevede la possibilità di affrontare e risolvere il processo in un'unica udienza, oppure di predisporre un calendario all'inizio molto stringente. Per completare il quadro occorre tuttavia risolvere due problemi, la cui soluzione secondo me è indispensabile. Quanto al primo problema: come si fa a imporre al giudice di concludere, per quanto possibile, il processo in un'udienza? Occorre vietare assolutamente al giudice del dibattimento, al giudice monocratico soprattutto, di portare in udienza più di un numero contingentato e limitato di processi. Oggi in alcune udienze vengono portati quaranta, cinquanta processi ed è impossibile solo pensare di definire un processo in un'unica udienza. Quanto al secondo profilo, quali sono le scansioni del calendario? Già oggi i giudici virtuosi predispongono un calendario nei processi complessi. Ma se il calendario ha scansioni di tre mesi tra un'udienza all'altra, non si risolverà il problema; quindi, limitare il perimetro temporale può essere utile. Con riguardo al giudizio di appello, svolgo tre considerazioni veloci. Quanto alla prima considerazione, viene reintrodotto lo specifico mandato a impugnare rilasciato dopo la sentenza. Perdonatemi, anche questo è un ritorno al passato assolutamente incongruo. Innanzitutto, la situazione andrà a peggiorare la condizione dell'imputato debole, dell'imputato irreperibile, dell'imputato povero, dell'imputato che non ha un difensore di fiducia, dell'imputato che non si relaziona col difensore, per privilegiare invece le situazioni difensive molto più importanti e rilevanti. Poi, come è possibile pensare che al difensore venga sottratto un autonomo diritto di controllo della sentenza ingiusta? È il difensore che sa se la sentenza è ingiusta; e se il difensore non riesce a contattare, soprattutto per le motivazioni contestuali, il suo cliente perché è un difensore di ufficio, la situazione determinerà guasti irreparabili. La seconda considerazione Pag. 9 riguarda il ricorso al rito monocratico in appello. Io sono tra quelli che ritiene che la collegialità sia un valore. La collegialità è un valore nel controllo di merito, in particolare. Non si può pensare di affidare il controllo a un giudice monocratico, anche perché la motivazione che viene fornita è una motivazione pericolosa. Si dice: noi prevediamo la monocraticità in appello per i reati a citazione diretta perché – è questa logica della compensazione che disapprovo – abbiamo inserito l'udienza filtro. Considerate che questo meccanismo condurrà a estendere successivamente l'appello monocratico anche agli altri casi in cui c'è un'udienza filtro, che si chiama «udienza preliminare». In questo modo il valore della collegialità subirà un colpo mortale. L'ultima riflessione riguarda una direttiva – perdonatemi, lo dico con rispetto enorme nei confronti vostri e del Parlamento intero – che non si può approvare. «La previsione del rito non partecipato in appello quando ne facciano richiesta l'imputato e il difensore non è necessaria alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale». Innanzitutto, come si fa a dire prima che non è necessaria la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale? Significherebbe anticipare una valutazione che può essere fatta solo nel corso del processo. In secondo luogo, veramente si pensa che il contraddittorio sia una cosa alla quale si possa rinunziare? Avete considerato che il contraddittorio è un diritto del giudice prima ancora che un diritto delle parti? Il principio del contraddittorio non è scritto nell'articolo 24 della Costituzione. C'è una ragione se è scritto nell'articolo 111: è un principio cardine della giurisdizione, e la giurisdizione riguarda non solo le parti ma soprattutto il giudice. È il giudice che deciderà meglio a seguito di contraddittorio. La medesima norma è prevista nel testo di legge anche per il caso in cui si procede in camera di consiglio, ex articolo 599 del codice di procedura penale. In questo ambito rientrano anche casi gravi. Pensate, per esempio, all'appello avverso il rito abbreviato anche per reati molto gravi, che è un'ipotesi prevista dal citato articolo 599. In questi casi si consente al difensore o all'imputato di rinunziare al contraddittorio, sottraendo al giudice il contributo fondamentale che le parti e la difesa daranno al contraddittorio. Mi sembra francamente un'idea da non coltivare. Concludo invece con una nota favorevole. Credo che la previsione, per la prima volta, di termini definiti per la celebrazione dei vari gradi processuali sia di estremo interesse. Se fosse possibile fare un salto in avanti, potremmo arrivare all'idea della prescrizione dell'azione che io ho coltivato e che alcuni studiosi, non tutti, coltivano. Potrebbe essere la soluzione di molti problemi. Grazie, e scusate per il tempo che ho sottratto.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professore. Il tempo è stato speso bene. Diamo la parola al professor Mauro Ronco, in videoconferenza. Buonasera, professore.

  MAURO RONCO, professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova. Buonasera, signor presidente. La ringrazio dell'invito della Camera dei deputati e della Commissione Giustizia. Io ho provveduto a inviare un testo questa mattina che prende posizione su tutti gli articoli del disegno di legge delega. In questa sede, mi soffermerò soltanto su alcuni aspetti, tendendo a mettere in disparte le questioni già svolte egregiamente dai colleghi, su cui sono peraltro d'accordo.
  Anzitutto vorrei rilevare che l'articolo 2, che introduce modifiche al regime delle notificazioni per l'efficienza dei procedimenti penali, da un canto non prevede alcuna normativa precisa in relazione al nuovo sistema telematico; quindi è un disegno di legge delega perfettamente vuoto, perché rinvia a un sistema che ancora non esiste. In secondo luogo, mi pare che il testo di legge sposti sul difensore il compito di mantenere collegato l'imputato al processo, con la previsione che tutte le notificazioni successive alla prima dell'imputato non detenuto siano eseguite mediante consegna al difensore. Questa previsione presenta due aspetti di criticità; in via di principio, perché assegna al difensore un compito che spetta all'organo processuale Pag. 10che dà impulso al processo, togliendo al difensore la facoltà di non accettare l'elezione di domicilio; e in via di fatto perché non c'è alcuna garanzia che l'imputato mantenga un domicilio stabile, e il difensore viene gravato di un impegno di ricerca dell'imputato senza avere a disposizione i poteri e i mezzi della Polizia giudiziaria. È una norma che toglie garanzia in particolare all'imputato debole, all'imputato difeso dal difensore di ufficio o dal difensore a spese dello Stato.
  Per quanto riguarda l'articolo 3 del testo, c'è una novità, oltre a quella già menzionata a proposito dell'udienza filtro di cui si sono interessati i colleghi, a cui sono contrarissimo. L'attuale udienza filtro viene svolta dallo stesso giudice che poi dovrà giudicare, e serve a preparare lo schema scansionale delle successive udienze e a evitare il ritorno alle questioni preliminari, alle questioni relative alle parti civili e ai responsabili civili, e via dicendo. Quindi sono contrarissimo alla nuova previsione, così come ha già detto il collega De Caro che mi ha preceduto. Vi è anche un'altra norma che è perfettamente contraria al principio dell'economia procedurale, vale a dire quella relativa alla discovery anticipata, introdotta dalla lettera e) dell'articolo 3, in caso di ritardo nella conclusione delle indagini. È una norma che non ha immediata efficacia pratica e che contribuisce anche alla creazione di problemi, con riguardo alla responsabilità disciplinare dei magistrati. È una norma che potrebbe anche provocare, come ha detto il procuratore De Raho, problemi in relazione all'anticipata esposizione di atti che potrebbero avere invece notevole interesse e importanza.
  La norma sulla discovery anticipata è senza immediate conseguenze, se non quella di poter consentire una richiesta di chiusura immediata entro trenta giorni; ma anche questa possibilità è sottoposta alla discrezionalità del pubblico ministero, il quale sarà responsabile soltanto disciplinarmente. Tutto questo crea dunque una complicazione enorme, e non favorisce affatto né l'accelerazione del procedimento, né le indagini.
  Per quanto riguarda i procedimenti speciali vorrei ricordare qualcosa. Sono d'accordo con le considerazioni svolte dal collega De Caro sul giudizio per patteggiamento e sulla contraddittorietà dell'aver previsto limitazioni al patteggiamento allargato dai cinque agli otto anni, con riferimento anche a reati che addirittura sono puniti con pene inferiori agli otto anni, di cui agli articoli 612-bis e 612-ter del codice penale.
  Al di là di questo, però, vorrei sottolineare come per il giudizio abbreviato – che è un giudizio che dà un notevole impulso al processo, essendo globalmente molto più rapido di un giudizio dibattimentale – si ponga un limite ulteriore alla sua celebrazione, sottoponendo l'ammissibilità di una richiesta di abbreviato condizionato ad una valutazione comparativa di maggiore vantaggio in termini di economicità rispetto al giudizio dibattimentale, quando è l'intero giudizio abbreviato ad essere molto più vantaggioso in termini di economicità rispetto a quello ordinario. Anche in questo caso mi pare ci sia un passo indietro particolarmente grave rispetto alla situazione attuale.
  Per quanto riguarda l'articolo 5 – mi pare che l'abbia già detto il collega De Caro – l'aspetto più grave è rappresentato dalla previsione, di cui alla lettera e), relativa all'applicazione dell'articolo 190-bis, comma 1, del codice di procedura penale ai casi di mutamento della persona fisica di uno dei componenti del collegio. Tale previsione è fortemente criticabile perché dà per normalmente verificabile un evento che dovrebbe essere assolutamente eccezionale, per il quale peraltro già la Corte costituzionale e la Corte di Cassazione a sezioni unite si sono pronunciate, rendendo possibile come situazione eccezionale questo mutamento. Rendere però tale regola un istituto di sistema significa creare una normalità che è assolutamente contraria al principio dell'immediatezza dell'assunzione della prova. In molti casi di cambiamento di ufficio, i componenti del collegio si fanno encomiabilmente scrupolo di permanere nel ruolo di giudicante allo scopo di evitare il vulnus al processo. Finora tale regola è Pag. 11stata applicata in maniera abbastanza ridotta. Rendendo normale il ricorso al comma 1 dell'articolo 190-bis, potremmo consentire le porte girevoli dei giudici, che sono prima giudici del dibattimento, poi si spostano, cambiano due o tre volte. Ciò sarebbe assolutamente grave.
  Per quanto riguarda l'appello, di cui all'articolo 7 del disegno di legge, direi che la cosa più grave di questa previsione è il vulnus arrecato con il giudice monocratico in grado di appello. Peraltro, se coordiniamo questa previsione con quella relativa alle sezioni stralcio, anche in ambito penale e via dicendo, avremmo una situazione nella quale le sezioni stralcio verranno chiuse attraverso il giudizio di un giudice – peraltro un giudice a riposo, oppure un avvocato a riposo, persone che potranno essere validissime – la cui prestanza al giudizio di controllo non sarà certamente delle migliori, delle più elevate. Pensiamo a un avvocato a riposo. Gli avvocati tendono a non andare a riposo fino a quando sono capaci di svolgere la loro attività. Vanno a riposo quando non si sentono più in grado di svolgere la loro attività. Quindi avremmo come giudici degli avvocati a riposo. Non critico i giudici a riposo, per non voler sembrare troppo favorevole alla categoria degli avvocati. Affidarsi agli avvocati a riposo mi pare una cosa assurda. Viene meno una garanzia fondamentale. Come è stato detto, siamo sulla via dell'abolizione dell'appello. Si fa un primo passo verso l'abolizione dell'appello, che invece è la sede di giudizio incomparabilmente più adatta a evitare le storture che possono verificarsi nel primo giudizio di merito; e le corti d'appello italiane nella loro grandissima maggioranza, se non nella quasi totalità o nella totalità, hanno mostrato in tutti questi anni, di fronte a carichi notevoli dal punto di vista giudiziario, un equilibrio straordinario. Quindi, credo che affidare il giudizio d'appello a un giudice monocratico sia assolutamente sbagliato.
  Avanzo ancora qualche rilievo, in particolare sui termini di durata del processo. Io su questo punto non sono tanto d'accordo con il collega che mi ha preceduto e che si compiace della norma introdotta. Questa è una norma simbolica, non è una norma effettiva. Se si trattasse di introdurre termini prescrizionali all'azione sarei d'accordo; ma qui non si introduce alcun termine prescrizionale all'azione, nei casi di violazione dei termini di durata del processo. Si prevedono invece misure disciplinari che aggravano il conflitto e vittimizzano impropriamente i magistrati, tanto più tenuto conto del fatto che le sanzioni disciplinari sono già attualmente previste per le negligenze gravi. Non c'è bisogno di inserire un'ulteriore norma. È una norma ad pompam, introdotta per far vedere che si è fatto qualche cosa di utile. Ma non è una norma che troverà concreta applicazione. Sarà inefficace completamente. Le responsabilità disciplinari per negligenze effettive sono già previste; non c'è bisogno di inserire ulteriori disposizioni che sanzionino negligenze dell'azione volta alla preparazione e alla predisposizione di modelli organizzativi. Siamo di fronte a norme che vittimizzano, che appaiono vessatorie, che verranno criticate giustamente dai magistrati e che non saranno comunque efficaci. Sono introdotte soltanto ad pompam.
  In conclusione, per quanto riguarda le disposizioni per la trattazione dei giudizi di impugnazione delle sentenze di condanna, si prevede all'articolo 13 un intervento acceleratorio dei difensori delle parti, una volta che siano decorsi i termini di durata dei giudizi di appello in Cassazione.
  Anche questo intervento è presidiato da sanzioni disciplinari. Si tratta di una nuova disposizione, introdotta ad pompam per significare: «Vi abbiamo dato qualche misura per accelerare.» Ma in realtà le cose rimarranno esattamente come prima, rilasciate a quella che potrà essere la capacità dei magistrati delle corti di appello di svolgere il loro lavoro degnamente, così come in linea di massima stanno facendo in questa fase storica.
  Grandi preoccupazioni, invece, desta l'articolo 14 in materia di prescrizione. Qui si conferma la disciplina attuale, che la dottrina, e anche la politica, hanno giudicato incongrua. Questa disposizione, entrata in vigore nel gennaio 2020, che non sospende Pag. 12la prescrizione, ma la taglia via dopo una sentenza di primo grado, viene mantenuta, e resa definitiva introducendo un'assurdità, vale a dire una discriminazione tra la sentenza di primo grado di assoluzione e la sentenza di primo grado di condanna. È una cosa completamente assurda, perché non ha alcun senso discriminare tra l'una e l'altra sentenza di primo grado. Si introducono inoltre difficoltà particolari nel calcolo e, quindi, elementi ulteriori di confusione e di perplessità nell'applicazione concreta. Anche da questo punto di vista esprimo la mia opinione critica nei confronti di questo disegno di legge delega, il quale in definitiva erode le garanzie difensive con riguardo all'imputato non difeso dal difensore fiduciario.
  Dirò due ultime cose, la prima delle quali relativa al fatto che i criteri di priorità degli affari penali verranno fissati dai capi dei singoli uffici della procura della Repubblica. Questo compito, che incide sulla politica criminale dello Stato, spetta al Parlamento. È un compito fondamentale che spetta al Parlamento, e non alle procure. Peraltro nel testo di legge tale compito è attribuito al singolo procuratore, sentito il procuratore generale del distretto: è una cosa assolutamente incredibile, perché almeno si sarebbe dovuta prevedere la condivisione da parte del consiglio dell'ordine del distretto intero, in modo da creare elementi di uniformità tra le varie circoscrizioni. Non vi è nulla di tutto questo. Questa è una cosa di una gravità enorme.
  L'altro aspetto di una gravità enorme riguarda il fatto che i criteri relativi alle singole fasi del processo – che verrebbero fissati in un anno per la Cassazione, in due anni per il processo appello e via dicendo – potranno essere modificati dal Consiglio superiore della magistratura. Parliamo di attribuzione di un potere normativo primario al Consiglio superiore della magistratura. Questo potere è della legge; infatti la legge fissa i termini, che poi non verranno rispettati per tutte le ragioni che abbiamo precedentemente visto, e che sono legate all'estrema difficoltà di gestire il funzionamento degli affari penali in questa fase storica, che è una fase di grande crescita e implementazione dal punto di vista penalistico. È gravissimo attribuire poteri normativi primari al Consiglio superiore della magistratura, in relazione al luogo, ai tempi e alle circostanze. No. Sono assolutamente contrario. Grazie, ho concluso.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professore. Faccio presente che alle 16 iniziano i lavori pomeridiani dell'Assemblea. Chiederei quindi ai colleghi che vogliono intervenire di porre domande telegrafiche; e mi auguro risposte telegrafiche anche da parte dei nostri auditi. Vi ringrazio. Prego, onorevole Sarti.

  GIULIA SARTI. Grazie, presidente. Ci scusiamo con gli auditi per il poco tempo a disposizione. Comunque li ringraziamo tantissimo per i loro contributi. Io vorrei avere una loro valutazione anche sulle disposizioni contenute all'articolo 2, e in particolare sul sistema delle notificazioni, per sapere se condividano l'impianto o comunque se abbiano ulteriori suggerimenti e critiche da sottoporci.
  Poi, chiederei al professor Caprioli – dato che non ne ha fatto menzione, mentre il dottor De Caro ne ha parlato – se ha una valutazione sull'estensione della regola dell'articolo 190-bis del codice di procedura penale. Mi riferisco alla lettera e) dell'articolo 5 del disegno di legge. Chiederei pertanto al professor Caprioli se ha una valutazione che vuole esporci su questo punto per noi molto importante. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Sarti. Onorevole Vitiello, prego.

  CATELLO VITIELLO. Io svolgo un intervento di trenta secondi sull'ordine dei lavori. Mi rendo conto che abbiamo un problema di tempi, legato ai lavori dell'Assemblea e alle votazioni che dovremo fare. Visto e considerato che i professori Caprioli e Ronco sono stati auditi a distanza, chiedendo anche al professore De Caro la cortesia di intervenire in videoconferenza, sottopongo all'attenzione del presidente la proposta di rinviare le domande ad una seconda occasione, così da rendere un po' più Pag. 13agevole la risposta degli auditi e anche lo svolgimento delle nostre considerazioni. Altrimenti, la situazione diventa molto difficile. La mia è una mozione d'ordine che rimetto alla sua sensibilità, presidente. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Vitiello. Se i nostri ospiti non hanno obiezioni, potremmo aggiornarci per concludere l'audizione, con le domande e le osservazioni dei colleghi, alla prossima settimana, a un giorno e a un'ora da concordare, sempre in videoconferenza, o comunque in presenza se il professore De Caro lo riterrà. Siamo d'accordo?

  AGOSTINO DE CARO, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi del Molise. Io sono assolutamente d'accordo. Ovviamente, se fosse possibile, per la prossima volta preferirei intervenire in videoconferenza per evitare di venire a Roma; ma sono a vostra disposizione in qualunque momento lo riteniate.

  PRESIDENTE. Professor Caprioli, professor Ronco, possiamo aggiornarci ad altra seduta per concludere l'audizione con le domande dei deputati, in modo da consentirvi di rispondere più tranquillamente? Che ne dite?

  FRANCESCO CAPRIOLI, professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino. Certamente, senz'altro.

  MAURO RONCO, professore emerito di diritto penale presso l'Università degli studi di Padova. Anch'io sono d'accordo, naturalmente concordando l'orario.

  PRESIDENTE. Allora, ringrazio gli auditi per questa ulteriore manifestazione di disponibilità e sensibilità alle esigenze dei nostri lavori. Nel dichiarare conclusa la prima parte dell'audizione, autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione depositata dagli auditi (vedi allegati). Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 16.

Pag. 14

ALLEGATO 1

Pag. 15

Pag. 16

Pag. 17

Pag. 18

Pag. 19

Pag. 20

Pag. 21

Pag. 22

Pag. 23

Pag. 24

Pag. 25

Pag. 26

Pag. 27

Pag. 28

Pag. 29

Pag. 30

Pag. 31

Pag. 32

Pag. 33

Pag. 34

ALLEGATO 2

Pag. 35

Pag. 36

Pag. 37

Pag. 38

Pag. 39

Pag. 40

Pag. 41

Pag. 42

Pag. 43

Pag. 44

Pag. 45

Pag. 46