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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Giovedì 5 novembre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Perantoni Mario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 2435 GOVERNO, RECANTE DELEGA AL GOVERNO PER L'EFFICIENZA DEL PROCESSO PENALE E DISPOSIZIONI PER LA CELERE DEFINIZIONE DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI PENDENTI PRESSO LE CORTI D'APPELLO

Audizione di Alfonso Celotto, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli studi «Roma Tre», di Tullio Padovani, professore di diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa – Accademico dei Lincei (in videoconferenza) e di Serena Quattrocolo, professoressa di diritto processuale penale presso l'Università del Piemonte orientale (in videoconferenza).
Perantoni Mario , Presidente ... 3 
Celotto Alfonso , professore di diritto costituzionale presso l'Università degli studi «Roma Tre» ... 3 
Perantoni Mario , Presidente ... 6 
Quattrocolo Serena , professoressa di diritto processuale penale presso l'Università del Piemonte orientale ... 6 
Perantoni Mario , Presidente ... 8 
Padovani Tullio , professore di diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa – Accademico dei Lincei ... 9 
Perantoni Mario , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO PERANTONI

  La seduta comincia alle 14.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Alfonso Celotto, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli studi «Roma Tre», di Tullio Padovani, professore di diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa – Accademico dei Lincei (in videoconferenza) e di Serena Quattrocolo, professoressa di diritto processuale penale presso l'Università del Piemonte orientale (in videoconferenza).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso la Corte d'appello, di Alfonso Celotto, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli studi «Roma Tre», di Tullio Padovani, professore di diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa – accademico dei Lincei, che darà il suo contributo in videoconferenza, e di Serena Quattrocolo, professoressa di diritto processuale penale presso l'Università del Piemonte orientale, che darà il suo contributo in videoconferenza. Ringrazio quindi gli auditi per aver accolto l'invito della Commissione e chiedo cortesemente di contenere il proprio intervento in dieci, quindici minuti, in modo tale da dare spazio ai quesiti che saranno loro rivolti dai commissari e ai quali seguirà la replica degli auditi stessi, i quali auditi ovviamente potranno inviare, qualora non lo abbiano già fatto, alla segreteria della Commissione un documento scritto. Tale documentazione, in assenza di obiezioni, sarà pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati e resa disponibile ai medesimi attraverso l'applicazione GeoCamera. Do ora la parola al professor Alfonso Celotto, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di «Roma Tre» e preavviso che, modificando quella che è l'usuale prassi, inviterei i colleghi che eventualmente volessero porre delle domande al professor Celotto, a farle dopo la sua audizione: lo stesso professore risponderà subito dopo, perché non potrà trattenersi fino alla fine delle audizioni stesse. Quindi, ringraziandolo per la presenza, do la parola al professor Celotto.

  ALFONSO CELOTTO, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli studi «Roma Tre». Grazie, Presidente. Per noi accademici è sempre un onore essere chiamati dal Parlamento a fornire un contributo. Ovviamente la mia ottica rispetto al processo penale è un'ottica parziale, un'ottica diagonale potremmo dire, perché io, da costituzionalista, vedo l'impianto costituzionale della materia. Quello che da costituzionalista mi stupisce soprattutto è vedere - e questo viene evidenziato molto bene anche dai numeri del dossier che la Camera ha predisposto sul disegno di legge - che in Italia esistono troppi processi che durano troppo. Leggere che ci sono un milione e mezzo di Pag. 4processi, due milioni di processi, ti fa capire che sicuramente il tema merita di essere riformato. Sempre attenendomi alla teoria generale, io non credo che la riforma da fare sia quella di modificare le regole del processo; prima ancora, a mio avviso, ci sarebbe da diminuire il numero dei reati, perché, da costituzionalista, a me sembra che negli ultimi decenni si sono create troppe nuove fattispecie penali anche su materie minori. «Minori» in che senso? Nel senso che è stata presidiata anche dal reato penale tutta una serie di fattispecie e previsioni in materia ambientale, in materia urbanistica, dove l'idea che la fattispecie sia anche un reato è stata apposta per creare un deterrente ulteriore rispetto alla violazione amministrativa. Tuttavia, questa secondo me è una delle ragioni che poi ingolfa il sistema del processo penale perché ci sono troppe fattispecie. Quindi, a mio avviso, prima ancora di modificare il codice di procedura penale, andrebbero modificati il codice penale e le leggi speciali, nel senso di eliminare un po' di reati. Perché? Perché se, per esempio, commetto un piccolo abuso edilizio urbanistico, la sanzione amministrativa della demolizione e di una multa molto seria già sono un deterrente sufficiente, anche perché molto spesso questi processi, quando vanno in sede penale, si concludono semplicemente con un'ammenda, quindi con un'ulteriore multa economica, creando tuttavia un costo di sistema notevole. Quindi la mia prima idea generale è quella di operare sulla depenalizzazione dei reati, soprattutto delle fattispecie di reato minori. Al di là di questo io ho letto con interesse il disegno di legge e, per fare alcune considerazioni, vorrei ricordare che la Costituzione parla di processo penale in due sedi diverse: ne parla nella prima parte sui diritti e nella seconda parte sulla divisione dei poteri. Qualcuno potrebbe anche stupirsi, dicendo che i costituenti sbagliarono, furono frettolosi, perché gli articoli 13, 24, 25 e 27 nella prima parte e poi l'articolo 111 soprattutto, nella seconda parte della Costituzione, contengono disposizioni sul processo penale. Invece no, non è un caso. Perché? Perché noi abbiamo nella prima parte della Costituzione le norme che riguardano i diritti del cittadino, ovvero i diritti del cittadino rispetto al processo e quindi è lì che noi abbiamo la legalità delle pene, la tassatività, la presunzione di non colpevolezza, perché sono disposizioni relative all'individuo rispetto al processo. Quindi sono veri e propri diritti fondamentali di libertà. Invece, nella seconda parte, relativa all'organizzazione dei poteri, abbiamo le regole che riguardano la magistratura - che, come ricordiamo, secondo l'articolo 101 è un ordine, cioè un potere organizzato in maniera particolare - e le garanzie che riguardano il funzionamento non più della posizione individuale nel processo, ma il funzionamento del processo. È così che noi spieghiamo l'obbligatorietà dell'azione penale, la separazione delle funzioni o ancora, regole come il contraddittorio o il giusto processo o la ragionevole durata, che sono invece garanzie di buon funzionamento del sistema e non del cittadino. Per esempio, questo è evidentissimo rispetto a un tema che anche il disegno di legge affronta e su cui mi riservo una battuta, avendo poi il tempo finale, ovvero la prescrizione. La prescrizione ha due facce, perché da una parte riguarda la presunzione di non colpevolezza, di cui all'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, ma dall'altro riguarda soprattutto la rieducatività della pena, perché giustamente l'interesse del cittadino rispetto allo Stato è di essere punito tempestivamente. Perché? Perché deve essere rieducato in maniera tempestiva. Allo stesso tempo la prescrizione spesso viene abbinata alla ragionevole durata, che invece è garanzia non del cittadino e della finalità punitiva della prescrizione, ma soltanto del buon funzionamento dell'ordinamento. Ho voluto fare questa premessa, perché secondo me è importante andare a vedere come il disegno di legge si colloca rispetto alle due diverse parti della Costituzione, proprio perché gli effetti sono molto diversi. Da una parte sono i diritti dei cittadini da garantire, dall'altra invece è il sistema del processo da far funzionare. Mi intrattengo soprattutto su due punti. Il primo punto è l'articolo 3, comma 1, lettere a) e d) del disegno di legge, che riguarda la ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria del giudizio. Una delle grandi esigenze di questo disegno di legge, come dicevamo, è quella di rendere il Pag. 5processo più funzionale e più rapido, giustamente, perché - come abbiamo detto - i processi sono troppi e troppo lunghi. Quindi uno dei meccanismi proposti in sede di delega è quello di creare nell'udienza preliminare una specie di filtro, per dire - anche plausibilmente come idea - che noi dobbiamo mandare avanti i processi seri, plausibili e solidi. Quindi nella prospettazione che fa il giudice dell'udienza preliminare si dovrebbero individuare i casi in cui esista, potremmo dire, un fumus boni iuris, vale a dire vi sia una presunzione di ragionevole accoglimento del reato. Si rischia in questo modo quasi di preordinare l'andamento: sappiamo che il processo ha comunque una fase preliminare e poi c'è il processo vero e proprio. Mi chiedo quindi se creare questo filtro, e quindi valutare in quella sede la probabilità di accoglimento, non significhi praticamente invertire l'onere della prova, perché chi entra con questa valutazione preliminare forse non rispetta né la parità delle armi di cui all'articolo 111, né la presunzione di non colpevolezza dell'articolo 27, secondo comma, tenendomi sui due piani costituzionali. Faccio un esempio con il processo amministrativo che conosco meglio. Il processo amministrativo oggi è un processo molto rapido, che però ha essenzialmente due udienze, perché è un processo di legittimità. Nell'udienza di sospensiva, l'udienza preliminare, che è anche molto vicina ai fatti, normalmente la cautelare valuta il fumus boni iuris e il periculum in mora. L'ordinanza cautelare ormai nel giudizio amministrativo diventa quasi sostitutiva della sentenza finale, perché quando il collegio riconosce una sussistenza del fumus è già deciso. Non vorrei che un criterio del genere nel ben più delicato processo penale possa creare lo stesso slittamento di valutazione, come se fosse invertito l'onere della prova, perché diventerebbe veramente molto pericoloso: a quel punto poi l'imputato non è più così libero di difendersi. Quindi ritengo questo un punto costituzionalmente meritevole di riflessione e di approfondimento. Quanto al secondo punto, l'altro meccanismo di sveltimento è quello di stabilire all'interno delle procure dei criteri di priorità, di selezione dei procedimenti penali da trattare (articolo 3, comma 1, lettera h) e articolo 5, comma 1, lettera f)). Qui si va soprattutto contro l'articolo 112 della Costituzione. Noi sappiamo bene come nasce l'impianto accusatorio costituzionale, cioè come, per ragioni essenzialmente storiche, si scelse di creare un'azione penale obbligatoria, fatta da un pubblico ministero non dipendente dal Governo. La scelta risiede nel fatto che nell'ordinamento precedente era successo quello che era successo. Cosa voglio dire? Ora è criterio di buona norma che nelle procure - e sappiamo che ciò accade - ci siano direttive annuali, semestrali, periodiche, in cui si stabilisce che è il momento di perseguire i reati ambientali o quelli urbanistici o i fatti di sangue. Tuttavia, prevedere che sia la legge a identificare i criteri di priorità secondo me è molto pericoloso, anche perché si creerebbero zone di differenziazione irragionevoli rispetto al principio di legalità, considerato che invece sono tutti reati formalmente identici, e si andrebbe a violare l'obbligatorietà dell'azione penale, affievolendo quindi l'articolo 112 della Costituzione. A mio avviso, dal punto di vista costituzionale, si potrebbe aprire un dibattito serio per modificare l'articolo 112 o la previsione sulla separazione delle carriere, anche perché sono norme nate storicamente per un determinato contesto e quindi, come in altri ordinamenti europei, potrebbero essere superate. Ovviamente anche lì ne conseguirebbe una deflazione, conforme però alla Costituzione. Faccio un'ultima battuta, così rispetto i tempi, sulla prescrizione. Dicevamo che la prescrizione è biforme, perché riguarda sia il diritto all'educazione, sia la ragionevole durata del processo. Attualmente la prescrizione è stata riformata profondamente con la cosiddetta «legge spazzacorrotti», che l'ha sostanzialmente cancellata per certe fasi; molto probabilmente tutto ciò arriverà alla Corte costituzionale. Come sappiamo, essendo tale riforma in vigore di fatto per i reati commessi a partire da quest'anno, non c'è ancora stato il caso per arrivare alla Corte costituzionale. A mio avviso, quella tipologia di disciplina della prescrizione rischia di essere dichiarata incostituzionale, perché contrasta direttamente soprattutto con l'articolo 27, terzo comma, della Costituzione. Quindi, io sarei prudente prima di intervenire su questo tema, nell'attesa dei criteri Pag. 6 della Corte costituzionale. Peraltro l'articolo 14 è norma di diretta applicazione e non criterio di delega. L'idea di differenziare la sentenza di assoluzione e la sentenza di condanna in primo grado è plausibile, tuttavia crea comunque una serie di difficoltà. Concludendo, ritengo che una buona riforma del processo penale debba passare innanzitutto da una seria depenalizzazione e debba comunque rispettare i principi costituzionali, perché altrimenti si rischia di fare ciò che accadde con il codice di procedura penale del 1988, che nei primi anni venne falcidiato dalla Corte costituzionale. Io mi fermerei qui, per mantenermi nei tempi. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Professore, la ringrazio molto anche per la sua attenzione alle tempistiche. Chiedo se ci sono colleghi, anche da remoto, che intendano intervenire per porre domande al professore. Non essendoci interventi, la ringrazio professore. Abbiamo così terminato la sua audizione. Se vuole far pervenire un contributo scritto alla segreteria della Commissione, sarà ben accetto. Quindi proseguiamo con le altre audizioni. Do la parola a Serena Quattrocolo, professoressa di diritto processuale penale presso l'Università del Piemonte orientale, collegata in videoconferenza. Professoressa, grazie per essere intervenuta.

  SERENA QUATTROCOLO, professoressa di diritto processuale penale presso l'Università del Piemonte orientale. La ringrazio, Presidente. Non sono degna di parlare prima del professor Padovani, che ho sentito essere collegato in videoconferenza. Mi è stato chiesto di occuparmi in questa audizione orale specificamente dell'articolo 5 del disegno di legge sottoposto alla vostra attenzione. Farò pervenire - è già pronto - uno scritto con considerazioni più generali sull'intero disegno di legge, per concentrarmi più specificamente sui profili della riforma che riguardano il giudizio. Mi riservo soltanto una piccola premessa che dà più senso a quello che cercherò di dirvi. Nello scritto che vi farò pervenire si sottolinea come in questo progetto di riforma, per quanto ambizioso e ampio, perché tocca tutte le fasi del procedimento penale, non si riesca a reperire una linea di fondo coerente. Sebbene infatti - e su questo mi dilungo nello scritto e non qui - l'oggetto della delega sia l'efficienza del processo penale, e nello scritto avanzo qualche dubbio sul concetto di efficienza del processo penale, nell'ambito delle singole disposizioni contenute nel testo che stiamo esaminando in realtà ci sono numerose soluzioni contraddittorie, che tendono non ad accelerare i tempi, ma ad avvitarli su sé stessi e, in verità, a legittimare in qualche modo, senza accelerarli, i tempi eccessivamente lunghi che il processo oggi ha. Quindi questa è la premessa di fondo che mi permetto di fare prima di scendere nello specifico. E la faccio anche perché proprio qui si annida uno dei maggiori problemi del testo che stiamo esaminando, cioè l'assenza di una visione complessiva che porta a proporre interventi singoli sui diversi pilastri, sulle diverse strutture fondamentali del processo penale, senza un'attenzione complessiva al risultato finale. Il processo penale è una struttura complessa per cui – come ha ricordato poco fa anche il professor Celotto – l'intervento su un punto, su uno dei pilastri, rischia di far crollare o quantomeno di sottoporre a pressioni non previste altre parti della struttura. La parte a me assegnata, cioè il giudizio, fa proprio le spese di questa visione, secondo me, priva di organicità. L'articolo 5, di cui appunto andiamo a parlare, prevede una serie di punti, che io seguirò. Voi sapete che il giudizio è la sede dell'attività istruttoria principale nella struttura del processo penale del 1988, che rimane salda da questo punto di vista. È la sede dell'attività istruttoria: la raccolta, la presentazione e la discussione delle prove avviene in questa fase, nella fase del giudizio. Dunque gli interventi spot che l'articolo 5 propone sono interventi che vanno a incidere proprio su questo momento, sul cuore dell'attività istruttoria. È l'attività che si fa qui, nel giudizio, e che semina i suoi effetti su tutte le altre fasi del processo penale. È importante tenere bene a mente questo aspetto, anche solo per comprendere quali sono le critiche. Il primo punto è la lettera a) del comma 1, che forse è la meno problematica dal mio punto di vista, perché in fondo, come Pag. 7tante altre parti del nostro disegno di legge, non fa che fotografare la realtà attuale e darle, diciamo così, un mantello normativo. Si prescrive infatti di «prevedere che quando non è possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza,» - praticamente mai - «dopo la lettura dell'ordinanza con cui provvede all'ammissione delle prove, il giudice comunichi alle parti il calendario delle udienze per l'istruzione dibattimentale e per lo svolgimento della discussione». Tutti coloro che hanno messo piede in un'aula di tribunale sanno che questo accade normalmente, accade in tutti i processi, dai più gravi e ai meno gravi, in tutte le sedi giudiziarie. Come dicevo, questa è quindi l'investitura istituzionale di una prassi virtuosa, a mio avviso, che normalmente viene sempre rispettata. Direi che gli aspetti positivi, per quanto mi riguarda, finiscono qui. Infatti, nella successiva lettera b) riemerge, dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, la relazione illustrativa delle parti sulla richiesta di prove. Qui confesso che, essendo io «nata professionalmente con il codice del 1988», sono dovuta andare a scavare un po' nel passato per capire esattamente di cosa parliamo. La relazione illustrativa delle parti sulla richiesta di prove è, infatti, un istituto già conosciuto in qualche maniera e si può qui analizzare sotto due diversi punti di vista. Quando è entrato in vigore il codice di procedura penale del 1988, un acutissimo collega come Renzo Orlandi aveva sottolineato l'importanza che le parti svolgano un'attività narrativa nel momento introduttivo, nel momento in cui chiedono le prove. Questo potrebbe essere uno spunto per leggere positivamente la proposta di reintrodurre la relazione introduttiva sulla richiesta di prove. Chiederei l'attenzione su questo punto: in quale contesto si inserirebbe questa relazione introduttiva? Si inserirebbe in un contesto di mutata regola decisoria dell'udienza preliminare che ci ha mandati al dibattimento con un macigno sulle spalle. La nuova regola di giudizio infatti - come credo il collega Caprioli vi abbia già detto molto meglio di quanto possa fare io - è una regola di giudizio che carica il decreto che dispone il giudizio, che è un atto meramente organizzativo del procedimento penale, di un significato accusatorio enorme. Allora, la relazione introduttiva sulle richieste di prove in quel nuovo contesto - forse non così tanto nell'attuale - rischia di essere un ulteriore aggravamento del macigno che già abbiamo appoggiato sulle spalle dell'imputato, dimenticandoci almeno parzialmente della presunzione di innocenza, come diceva poco fa il professor Celotto. Passando ad altro punto, la successiva lettera c) dispone di «prevedere che la rinunzia di una parte all'assunzione delle prove ammesse a sua richiesta non sia condizionata al consenso delle altre parti». Ecco, non riesco veramente a trovare una ratio a questa previsione. Come sapete, si tratta di un meccanismo - quello dell'ammissione delle richieste probatorie - nel quale le parti interagiscono tra di loro, hanno addirittura il diritto di conoscere le richieste probatorie rispettive attraverso il termine di deposito delle liste testimoniali fino a sette giorni prima dell'udienza dibattimentale. È fondamentale conoscere cosa le altre parti chiedono nella propria lista e quali testimoni chiedono che siano ammessi. È del tutto impensabile che si possa dar luogo alla rinuncia di una parte alla prova senza il consenso delle altre parti, le cui richieste probatorie crollerebbero le une sulle altre, perché si sono basate sulla conoscenza delle prove e delle testimonianze richieste in ammissione dalle altre parti. Non può mancare questo aspetto, non può mancare perché rischia di distruggere completamente la strategia probatoria di una o più parti. Quindi, questo è davvero un elemento che, da un lato, non riesco a capire come possa in qualche maniera accelerare il dibattimento, e dall'altro, rischia di mandare all'aria tutto il meccanismo. La successiva lettera d) – e cercherò di stare nei dieci minuti – dispone di provvedere al deposito delle consulenze tecniche e della perizia entro un termine congruo precedente all'udienza fissata per l'esame. La perizia e la consulenza tecnica sono prove orali, non sono prove scritte. Nel nostro codice di procedura penale sono mezzi di prova orali. La perizia e la consulenza tecnica non sono la relazione dell'esperto, sono l'esame dibattimentale dell'esperto. Certamente può essere utile il deposito anticipato, ma quella non è la prova. La prova di riferimento è la Pag. 8prova orale che avviene nell'escussione dibattimentale del perito e del consulente tecnico. Quindi, certamente, tale disposizione può essere prevista, ma è molto maggiore il rischio di trasformare le perizie e la consulenza tecnica in prove scritte da orali quali sono, rispetto al vantaggio che può derivare, a mio avviso, dal deposito anticipato della relazione. La lettera e) del comma 1 dell'articolo 5 del disegno di legge in esame dispone di «prevedere che la regola di cui all'articolo 190-bis, comma 1, del codice di procedura penale sia estesa, nei procedimenti di competenza del tribunale, anche ai casi nei quali, a seguito del mutamento della persona fisica di uno dei componenti del collegio, è richiesto l'esame di un testimone o di una delle persone indicate nell'articolo 210 del codice di procedura penale». Il professor Spangher vi ha già detto – ho letto la sua relazione – che il principio di immediatezza, che ha subìto un certo numero di attacchi recentemente sia da parte della Corte costituzionale con la sentenza n. 132 del 2019, sia da parte delle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza Bajrami, è un principio così radicato e così importante nel nostro ordinamento da configurare, ai sensi dell'articolo 525, comma 2, del codice di procedura penale, una delle due sole nullità speciali assolute. Sono nulli gli atti che conseguono - questa è la regola generale - alla sentenza deliberata da un giudice che non ha partecipato all'assunzione della prova. Garanzia presieduta da una nullità speciale assoluta, insanabile, rilevabile in ogni stato e grado del processo. Non mi dilungo perché non posso, ma estendere l'applicazione dell'articolo 190-bis del codice di procedura penale, che già rappresenta un vulnus significativo alla costituzionalità del nostro processo, che abbiamo sempre accettato perché riguarda la lotta alla criminalità organizzata - rientra in un ambito di doppio binario processuale che abbiamo finito per accettare –, al contesto della necessità di rinnovazione della prova quando sia mutato un componente del collegio, garanzia che addirittura è presieduta da una nullità speciale assoluta, mi sembra una contraddizione in termini. Abbiamo l'articolo 190-bis e lo sopportiamo nell'ambito dei procedimenti di criminalità organizzata. È veramente inimmaginabile pensare di estenderlo in questi termini. Peraltro è pur vero che l'orientamento della Corte costituzionale nella sentenza n. 132 del 2019 per certi versi può trovare agganci in qualche sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Tuttavia ricordiamo che le decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo intervengono sul caso concreto, su casi specifici. Ricordiamo anche che la Corte di giustizia dell'Unione europea, proprio pochi mesi dopo, nella sentenza Gambino del 2019, ha chiaramente affermato che l'articolo 525, comma 2 – mi permetto di leggervi soltanto questo passaggio e poi mi avvio alla conclusione – «sembra idoneo a garantire il rispetto dei diritti della difesa e l'equità del procedimento che implicano un sistema giuridico di tipo accusatorio in cui il giudice è incaricato di statuire sull'innocenza o sulla colpevolezza dell'imputato» e questo giudice deve essere quello dinanzi al quale si è svolta in linea di principio l'audizione del testimone. Il caso specifico riguardava la rinnovazione di una prova, la rinnovazione di una dichiarazione testimoniale di una vittima particolarmente vulnerabile. In questo caso, la Corte di giustizia ha ritenuto comunque compatibile con la direttiva 2012/29/UE la previsione dell'articolo 525 del codice di procedura penale. Passo all'ultimo punto, e vado a concludere. La lettera f) del comma 1 dell'articolo 5 del disegno di legge, richiamata anche prima, prevede che nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi debba essere assicurata la priorità assoluta anche ai processi relativi ai delitti colposi di comune pericolo. A parte il fatto che la formula «la priorità assoluta anche ai processi», non è assoluta perché evidentemente la si condivide con altre fattispecie, perché si dice «processi relativi ai diritti colposi di comune pericolo»? Non riesco a leggere la ratio univoca di questa previsione, quindi mi fermo qui. Ho analizzato l'articolo 5 come mi era stato richiesto. Rimango a disposizione per rispondere alle vostre domande. Tutte le mie altre considerazioni sono nel rapporto scritto. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professoressa Quattrocolo. Darei ora la parola al professor Tullio Padovani, che saluto. Invito Pag. 9 anche lui a contenere il suo intervento in dieci, quindici minuti, ovviamente con la riserva eventualmente di far pervenire contributi scritti alla Commissione. Grazie di essere qui con noi. Prego, a lei la parola.

  TULLIO PADOVANI, professore di diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa – Accademico dei Lincei. Grazie a lei, presidente. Sono felice di essere con voi. Cercherò di intrattenervi negli stretti limiti di tempo che mi sono stati assegnati. Non ho un tema preciso sul quale sia stato invitato a trattare, quindi ho «spigolato» liberamente, in funzione dell'interesse che certi aspetti del disegno di legge hanno suscitato in me. Mi soffermerò pertanto su tre punti precisi: la priorità nell'esercizio dell'azione penale, la pena pecuniaria e la questione delle contravvenzioni e della loro estinzione. Comincerei dalla priorità dell'esercizio dell'azione penale. Mi riferisco precisamente all'articolo 3, comma 1, lettera h), del disegno di legge. Rilevo che attualmente risulta pendente al Senato un disegno di legge costituzionale sulla disciplina di attuazione dell'articolo 112 della Costituzione. Si tratta di un disegno di legge molto elaborato e molto complesso sul quale ho avuto occasione di essere audito e del quale non so se si è tenuto conto in sede di redazione di questo testo. Questo testo ha ambizioni meno elevate, ma è tuttavia un testo che si ispira alla linea di fondo propria del disegno di legge costituzionale. In sostanza, la disposizione si muove lungo due assi: si tratta di disciplinare l'esercizio dell'azione penale, modulandolo secondo criteri di priorità, e di definire, almeno in linea di principio, il contenuto di questi criteri di priorità. Per quanto riguarda il primo punto, ovvero la disciplina dell'azione penale secondo criteri di priorità, vorrei far osservare che in questa materia parlare di priorità è sostanzialmente un'ipocrisia, perché lascia supporre che alla fine tutti i processi saranno trattati, quale prima, quale dopo, così come avviene per le priorità sui voli per cui tutti i passeggeri alla fine salgono sull'aereo. Ma qui non tutti i procedimenti potranno arrivare all'esito conclusivo. Non ci sarà per tutti un prima e un dopo, perché alcuni vivranno e molti moriranno. Infatti, è noto a tutti che il sistema non è in condizione di trattare l'intero carico dei procedimenti penali che si affacciano all'orizzonte. E la riprova è data dalla circostanza indubitabile che la gran parte delle prescrizioni, quasi la metà mi pare, matura durante il corso delle indagini preliminari. Quindi, la trattazione cosiddetta «prioritaria» pone una scelta tra il procedere e il prescrivere. Quindi la lettera h) del comma 1 dell'articolo 3 rappresenta in sostanza, sia ben chiaro, una disciplina surrettizia della prescrizione in fase di indagine preliminare. E la prescrizione del resto è, per così dire, la valvola di sfogo subentrata all'amnistia per eliminare il peso incombente di un carico penale eccessivo. Qui, questo carico incombente viene smistato sotto le mentite spoglie della priorità. Il bello è che in realtà questa priorità, supposta tale, nel microsistema delineato con il disegno di legge finisce con l'entrare in rotta di collisione con la rigidità dei termini che vengono fissati per le indagini preliminari, alla cui osservanza presiedono ora sanzioni di natura disciplinare. Mi chiedo quindi come farà il pubblico ministero che iscrive un certo procedimento - perché lo deve iscrivere - a regolarsi quando quel procedimento non è prioritario e quindi non potrà evidentemente trovare un esito corrispondente a quello degli altri, in quanto, evidentemente, il pubblico ministero tutto non può fare? Quindi, ci troveremo in una situazione di conflitto latente nel sistema, un po' paradossale ma non tanto, perché si vorrebbe, mi si consenta l'espressione, «la botte piena e la moglie ubriaca». Non è possibile. D'altro canto, questa disciplina surrettizia della prescrizione, perché tale è, ha un contenuto pessimo, in quanto è costituita da criteri che non sono congruenti con lo scopo che dichiarano di perseguire e che sono addirittura inammissibili, perché - non sto a leggerli - si fa riferimento a specifiche realtà criminali e territoriali, risorse tecnologiche, umane e via dicendo. È già stato obiettato, credo fondatamente, che si tratta di criteri che compete al legislatore governare, in quanto aspetti tipici della politica penale. Vorrei soggiungere che questi hanno il difetto di essere criteri non solo generali e astratti, ma a priori, stabiliti prima della commissione del reato, proprio come avviene per una vera e propria normazione. Pag. 10Vedete, si verificherebbe il paradosso che, se il delitto di appropriazione indebita, tradizionalmente «una Cenerentola», sta in fondo alla scala delle priorità, tale resta anche quando, per esempio - è un caso che è capitato -, un commercialista disinvolto si appropri delle somme di una vasta serie di piccole aziende, scardinando l'economia di un intero comparto territoriale, a fronte magari di una modesta corruzione per ottenere una prestazione anticipata. La corruzione infatti, per carità, sarà in cima alla lista. Che criteri sono questi stabiliti in astratto? Sono evidentemente criteri non ammissibili e anche francamente assurdi, se pensiamo, che so, alle risorse tecnologiche. Scherziamo? Perseguire in funzione delle risorse tecnologiche disponibili è come un invito ai criminali a collocare le loro attività illecite nei luoghi dove le risorse tecnologiche non permetteranno di accertarle. Qui non siamo in grado di perseguire le frodi informatiche, perché non abbiamo gli strumenti per svolgere indagini efficienti. Vorrà dire che in quel comparto territoriale si verificheranno tutte le frodi informatiche della Repubblica. Non è possibile davvero. In realtà quando si parla di criteri - non dico di priorità - di scelta, bisogna pensare ad altro. E mi riferisco alla raccomandazione del Consiglio d'Europa del 1987 che sollecitava selezioni nella scelta dei procedimenti da portare a compimento in funzione della gravità concreta e dell'offensività del fatto, dell'interesse obiettivo della persona offesa e della comunità, della qualità personale dell'autore del reato – il plurirecidivo, per esempio, sarà bene tenerlo maggiormente d'occhio –, del pregiudizio derivante dal ritardo nella formazione della prova per l'accertamento dei fatti. I criteri devono essere tutti collegati a riscontri in concreto sui fatti accaduti, non stabiliti a priori in astratto. È un'assurdità. Alla fine tutti i salmi finiscono in gloria. Se si vuole affrontare questo problema, bisogna intervenire sul nodo vero, che è il problema della obbligatorietà dell'azione penale. Questo è il punto. Poi ci si può girare intorno, ma così facendo si ottengono risultati francamente piuttosto deludenti, e non solo deludenti, ma preoccupanti. Il secondo punto è la pena pecuniaria. La pena pecuniaria è oggetto di una riforma apparentemente - direi - marginale: abbassiamo la misura dagli attuali 250 euro al giorno a 180 euro, o meglio ad una somma non superiore a 180 euro. Cosa significhi «non superiore» non è ben chiaro. Quello che è abbastanza chiaro è che non si incide sul difetto fondamentale della pena pecuniaria nel nostro ordinamento. Si tratta di un difetto storico. Permettetemi un ricordo personale: ho iniziato la mia modesta collaborazione da consulente per il Ministero della giustizia nel 1979 sulla pena pecuniaria, a seguito della famosa sentenza della Corte costituzionale. Quindi si tratta di un tema a cui sono affezionato. Da allora, direi, non si è fatta molta strada. Tuttavia un po' di strada è stata fatta: abbiamo introdotto la pena pecuniaria per tassi nel decreto penale. L'articolo 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale vigente ha la pena pecuniaria per tassi, cioè il valore giornaliero delle capacità economiche del reo moltiplicato per i giorni di pena detentiva. E la pena per tassi la troviamo, con un sistema ordinario, nella responsabilità degli enti per il reato commesso dai vertici all'articolo 11 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. Questa è l'occasione, quindi, per introdurre la pena per tassi in ogni sede di conversione e, quindi, in via generale. È il momento giusto. Non si tratta di abbassare il tasso, ma di dire che la pena pecuniaria si determina partendo dalla pena detentiva e calcolando ogni giorno in funzione delle capacità economiche del reo. Tutto qua, si tratta del vecchio sistema che i portoghesi hanno preso dal diritto islamico: una tradizione islamica che è penetrata in Svezia e che si è diffusa in Europa. E da noi ancora non c'è. Siamo proprio gli ultimi ad arrivare. Per carità, è un'occasione storica, non perdetela. L'abbassamento della misura giornaliera è senza senso. Sei mesi equivarranno a 32 mila euro, invece di 45 mila euro: ma se si tratta di un poveraccio sono comunque troppi. Non ha alcun valore, alcun significato. Bisogna incidere sul meccanismo. Lo abbiamo già fatto. Ci siamo già, anzi abbiamo indicazioni normative precise. Il passo successivo è lì, è il momento di compierlo. Permettete che io spezzi con entusiasmo - diciamo - particolare una lancia per qualcosa che è in ritardo di quaranta anni. Quaranta Pag. 11 anni di ritardo, colmateli. Infine, due parole sulle contravvenzioni, di cui all'articolo 10. L'articolo 10 è una strana disposizione, perché, vedete, parla di una causa di estinzione fondata sul pagamento di una frazione del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa, una volta che si siano adempiute tempestivamente le prescrizioni stabilite dall'autorità. È il meccanismo del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758. Si tratta di un provvedimento che ha funzionato benissimo. Mi sia consentito dirlo: presiedevo la Commissione che ne ha composto la bozza, quindi lo conoscerò. Qui che c'entra? Cosa c'entra l'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa? A quale contravvenzione ci riferiamo? Non alle contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda, perché in questo caso già si applica l'articolo 162 del codice penale, che è molto più favorevole, dal momento che dà il diritto all'oblazione. Allora, ci riferiamo alle contravvenzioni punite con pena alternativa, arresto o ammenda? Abbiamo già l'articolo 162-bis del codice penale, che è più favorevole, anch'esso fondato implicitamente sull'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose, perché in presenza del persistere delle conseguenze non si è ammessi all'oblazione. È già un meccanismo che funziona benissimo. Quindi, a quali contravvenzioni si riferisce? A quelle punite con pena congiunta? Lasciamo fuori l'arresto? Guardate che le contravvenzioni punite con pena congiunta sono poche e sono relative a reati piuttosto gravi. Ce la possiamo cavare pagando una frazione del massimo dell'ammenda stabilita, e ci scordiamo della pena detentiva. E abbiamo trasformato tutte le contravvenzioni a pena congiunta in contravvenzioni a pena alternativa, né più, né meno. Allora, è questo il meccanismo. Questa disposizione ha anche un padre. È il malaugurato articolo 318-quater del testo unico ambientale introdotto nel 2015 che ha lo stesso difetto: parla del massimo dell'ammenda e ha dato già da scervellarsi alla dottrina, perché ci si chiede cosa significhi. Il problema in materia ambientale è circoscritto, perché ci si riferisce soltanto alle contravvenzioni ambientali, tra le quali ci sono anche le contravvenzioni punite con pena congiunta. In dottrina c'è chi dice che si applica anche lì, c'è chi dice che non si applica. Un caos. Dobbiamo inaugurare un meccanismo caotico? È questo che serve a dare snellezza al sistema? Per carità. Pensiamoci un momento. Ho concluso. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professor Padovani. Chiedo se tra i colleghi c'è qualcuno che intenda intervenire e porre questioni ai nostri auditi. Mi pare che le esposizioni fatte sono ampiamente esaurienti, per cui ringrazio la professoressa Quattrocolo, ringrazio il professor Tullio Padovani, li saluto e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.