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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 12 di Martedì 17 novembre 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Perantoni Mario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 2435 GOVERNO, RECANTE DELEGA AL GOVERNO PER L'EFFICIENZA DEL PROCESSO PENALE E DISPOSIZIONI PER LA CELERE DEFINIZIONE DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI PENDENTI PRESSO LE CORTI D'APPELLO

Audizione, in videoconferenza, di Francesco Bretone, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Bari, Alfredo Mantovano, magistrato della Corte di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino, e Domenico Airoma, procuratore aggiunto della Procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli Nord.
Perantoni Mario , Presidente ... 3 
Bretone Francesco , sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Bari (intervento da remoto) ... 3 
Perantoni Mario , Presidente ... 6 
Mantovano Alfredo , magistrato della Corte di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino (intervento da remoto) ... 6 
Perantoni Mario , Presidente ... 9 
Airoma Domenico , procuratore aggiunto della Procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli Nord (intervento da remoto) ... 9 
Perantoni Mario , Presidente ... 12 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 12 
Perantoni Mario , Presidente ... 14 
Vitiello Catello (IV)  ... 14 
Perantoni Mario , Presidente ... 15 
Vitiello Catello (IV)  ... 15 
Perantoni Mario , Presidente ... 15 
Bretone Francesco , sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Bari (intervento da remoto) ... 15 
Perantoni Mario , Presidente ... 16 
Mantovano Alfredo , magistrato della Corte di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino (intervento da remoto) ... 16 
Perantoni Mario , Presidente ... 17 
Airoma Domenico , procuratore aggiunto della Procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli Nord (intervento da remoto) ... 17 
Perantoni Mario , Presidente ... 18 

(La seduta, sospesa alle 16.55, riprende alle 17) ... 18 

Audizione in videoconferenza di Guglielmo Scarlato, esperto, e Enrico Marzaduri, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Pisa.
Perantoni Mario , Presidente ... 18 
Scarlato Guglielmo , esperto (intervento da remoto) ... 19 
Perantoni Mario , Presidente ... 19 
Marzaduri Enrico , professore di procedura penale presso l'università degli studi di Pisa (intervento da remoto) ... 19 
Perantoni Mario , Presidente ... 24 
Conte Federico (LeU)  ... 24 
Perantoni Mario , Presidente ... 24 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 24 
Perantoni Mario , Presidente ... 25 
Vitiello Catello (IV)  ... 25 
Perantoni Mario , Presidente ... 25 
Scarlato Guglielmo , esperto (intervento da remoto) ... 25 
Perantoni Mario , Presidente ... 27 
Marzaduri Enrico , professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Pisa (intervento da remoto) ... 27 
Perantoni Mario , Presidente ... 29 

Allegato 1: Documentazione depositata da Alfredo Mantovano, magistrato della Corte di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino ... 30 

Allegato 2: Documentazione depositata da Guglielmo Scarlato, esperto ... 37

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare (AP) - Partito Socialista Italiano (PSI): Misto-AP-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO PERANTONI

  La seduta comincia alle 15.35

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  L'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza dei deputati, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella seduta del 4 novembre scorso. A tal proposito, ricordo che per i deputati partecipanti da remoto è necessario che essi risultino visibili alla Presidenza, soprattutto nel momento in cui essi svolgono il loro eventuale intervento, il quale deve ovviamente essere udibile.

Audizione, in videoconferenza, di Francesco Bretone, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Bari, Alfredo Mantovano, magistrato della Corte di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino, e Domenico Airoma, procuratore aggiunto della Procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli Nord.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di Francesco Bretone, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Bari, Alfredo Mantovano, magistrato della Corte di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino, e Domenico Airoma, procuratore aggiunto della Procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli Nord.
  Ringrazio gli auditi per aver accolto l'invito della Commissione. Chiedo loro cortesemente di contenere l'intervento in circa quindici minuti, in modo tale da dar spazio ai quesiti che eventualmente verranno loro rivolti dai commissari, ai quali seguirà la replica, e avviso che potranno inviare, qualora non l'avessero già fatto, un documento scritto alla Segreteria della Commissione. Tale documentazione, in assenza di obiezioni, sarà pubblicata sul sito Internet della Camera dei deputati e resa disponibile agli stessi attraverso l'applicazione GeoCamera.
  A questo punto do la parola al dottor Francesco Bretone, sostituto procuratore presso la presso la Procura della Repubblica di Bari. Buonasera, dottor Bretone, a lei la parola.

  FRANCESCO BRETONE, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Bari (intervento da remoto). Buonasera, presidente. Grazie per avermi invitato. Io ho fatto parte del gruppo di lavoro dell'Associazione nazionale magistrati nel 2009 sui carichi esigibili e anche della Commissione sugli standard di rendimento del Consiglio superiore della magistratura nel 2019. Conosco dunque un po' la macchina processuale, e anche i numeri degli uffici giudiziari.
  Vorrei dire che è inesatto sostenere, nella relazione al disegno di legge in esame, che i reati oggi si prescrivono durante la fase delle indagini preliminari. Le Procure Pag. 4hanno risolto da tempo i loro problemi, creando uffici affari semplici o di pronta definizione – ognuno li chiama come vuole – che con schiere di viceprocuratori onorari (VPO) hanno smaltito una grande mole di lavoro riversandola, però, purtroppo sul dibattimento, sia perché i decreti penali vengono spesso opposti sia perché vanno a dibattimento tutti gli avvisi di conclusione indagini che i VPO preparano.
  Il problema quindi non è tanto nelle procure, dove si lavora tanto e anche male; piuttosto il carico di lavoro oggi riguarda il dibattimento, soprattutto quello a composizione monocratica, che è completamente paralizzato. A questo proposito si possono pensare soltanto due soluzioni: o si aumentano gli organici dei giudici – ed è una soluzione da scartare per tempi e costi – oppure si riducono i processi.
  Il legislatore lo ha intuito, mirando alla riduzione dei processi attraverso l'aumento dei riti alternativi e attraverso un parziale blocco della prescrizione. Purtroppo a mio giudizio queste soluzioni sono assolutamente insufficienti. I riti alternativi oggi funzionano – è scritto nella relazione – soltanto per l'11 per cento dei casi. E io sono convinto che quell'11 per cento attiene quasi esclusivamente ai riti direttissimi, perché quando l'imputato viene arrestato e si trova in udienza il giorno dopo, senza alcuna speranza che il reato vada in prescrizione, il rito alternativo funziona quasi nel 100 per cento dei casi.
  Allora la mia opinione è che bisogna avere due regole auree per garantire un processo veloce. La prima regola è che il fattore tempo non deve andare a vantaggio di una parte, perché se c'è una parte che ha interesse a perdere tempo, non ci sarà mai un processo veloce. La seconda regola è che ogni scelta difensiva deve comportare un rischio. Non ci devono essere biglietti della lotteria gratis, come avviene oggi per il grado di appello. Per quanto riguarda i riti alternativi, il disegno di legge prevede il patteggiamento fino a otto anni di pena – e questo mi sembra corretto, anche se non lo limiterei ad alcuni reati – e una timida riforma del giudizio abbreviato, che secondo me invece andrebbe estesa nel modo che descriverò tra poco. L'altro nodo – il cuore del problema – è rappresentato dalla prescrizione. Qui io trovo la riforma legislativa – perché non si tratta di una delega al Governo, quindi presumo che la norma entrerà in vigore in questo modo – estremamente farraginosa, perché si prevede un blocco della prescrizione per le sentenze di condanna, prescrizione che continuerebbe invece a decorrere, salvo alcune sospensioni, per le sentenze di assoluzione. Capisco il fine. Il fine è quello. La sentenza di assoluzione di primo grado finisce in una specie di limbo, maturerà la prescrizione e tutto si concluderà lì, mentre si faranno i processi in appello per le sentenze di condanna.
  Io ho paura che possa succedere esattamente il contrario, perché nel sistema attuale – e ciò sarebbe devastante – i magistrati rischieranno i procedimenti disciplinari se si faranno prescrivere in mano i processi. Oltre ad avere un sistema farraginoso, si rischia che le corti d'appello, per non far prescrivere i processi, fissino prima le sentenze di assoluzione, che invece si volevano eliminare dal sistema. Quindi, o si prevede un criterio di priorità delle sentenze di condanna, vale a dire che si autorizzano le corti d'appello a fissare prima i processi di condanna, o si va incontro al caos.
  Io direi di lasciare le cose come stanno, oppure – forse sarebbe la soluzione più semplice – di aumentare i termini minimi di prescrizione, portandoli da sei a dieci anni. Dico questo perché oggi in sei anni non si riesce a fare le indagini e a completare l'iter processuale (primo grado, secondo grado, Cassazione), e soprattutto non è sempre colpa nostra. Per esempio, le truffe ai danni dello Stato o dell'Unione europea vengono scoperte dalla Guardia di finanza già con due o tre anni di ritardo, e noi avremmo soltanto tre o quattro anni per fare le indagini e completare l'intero iter processuale. Un limite minimo di dieci anni potrebbe risolvere il problema, invogliando peraltro le persone a patteggiare non avendo la prospettiva della prescrizione.Pag. 5
  Un altro suggerimento che mi sento di dare, sulla base della mia esperienza, è quello di non trattare i patteggiamenti e i riti abbreviati nello stesso modo. Chi patteggia chiude il processo. Chi sceglie l'abbreviato, invece, gioca la partita: fa una discussione, spera di essere assolto, ricorre in appello, e poi in Cassazione. Allora, perché non prevedere per il patteggiamento una riduzione fino alla metà della pena, mantenendo per il rito abbreviato la riduzione di un terzo?
  L'altro aspetto importante è relativo all'udienza preliminare, che con la riforma del 1988 nelle intenzioni del legislatore doveva essere il momento principale, il fulcro del processo. È stato un fallimento totale. Questo avviene perché il giudice dell'udienza preliminare non studia le carte relative ai processi, avendo molto da fare; le studia soltanto nei casi in cui è previsto il rito abbreviato. Non può inoltre dichiarare il non luogo a procedere per una sciagurata interpretazione della Corte di Cassazione estremamente restrittiva e alla fine rinvia tutto a giudizio.
  Nel disegno di legge in esame è prevista un'udienza filtro da parte del giudice monocratico. Questa udienza filtro, che dovrebbe permettere al giudice monocratico di emettere una sentenza di non luogo a procedere, è destinata al fallimento, per lo stesso motivo per cui è fallita l'udienza preliminare. Il giudice, che è diverso da quello che farà il processo, non avrà interesse a studiarsi le carte per dichiarare una sentenza di non luogo a procedere.
  Il mio suggerimento, che può sembrare rivoluzionario ma in realtà è dettato dal buonsenso, è di rendere il giudizio abbreviato la regola, a meno che l'imputato non si presenti personalmente in udienza o deleghi qualcuno con procura notarile (non il difensore), e chieda che si faccia il dibattimento. Questo permetterebbe di concludere nell'udienza preliminare tutta una serie di processi di persone che hanno eletto domicilio e poi sono sparite, di bancarottieri e via dicendo. In questo modo il giudice dell'udienza preliminare studierà le carte e molti procedimenti verranno terminati in quella fase.
  L'altro momento importante, in cui tra poco si verificherà quello che è successo in primo grado, è il grado di appello. È vero che voi introducete limiti all'appellabilità delle sentenze, ma a mio giudizio si tratta di limiti insufficienti. Le sentenze di assoluzione, soprattutto per quanto riguarda il giudizio monocratico, sono poco appellate dai pubblici ministeri.
  Io ritengo, proprio per il principio di cui vi ho parlato in precedenza, che ogni scelta difensiva debba comportare un rischio. L'appello oggi non rappresenta un rischio, perché non c'è la possibilità di avere una pena superiore. Io suggerirei di abolire il divieto della reformatio in peius. Se ci si rivolge alla corte d'appello, lo si deve fare con il rischio che quella corte d'appello rivaluti la condanna in senso peggiorativo per l'imputato. Credo che sia il sistema adottato in Francia. E sarebbe un deterrente enorme. Noi dobbiamo invogliare a ricorrere in appello le persone che ritengono veramente di essere condannate in modo ingiusto o a una pena esagerata. Sono quelle le persone che devono fare appello.
  Le sentenze di assoluzione per quanto riguarda i reati sottoposti a giudizio monocratico per me possono essere ricorribili anche solo per Cassazione, considerato che si tratta di reati minori, per i quali un giudice comunque si è espresso.
  Sono contrario, invece, al controllo sull'iscrizione della notizia di reato da parte del giudice. Dico questo non perché le procure abbiano problemi. La notizia di reato oggi viene iscritta all'istante perché tutte le procure sono dotate di uffici posta a ciò deputati. Allora, dove si può verificare il ritardo? Il ritardo si verifica quando nel corso dell'indagine arriva un'informativa della Polizia giudiziaria in cui, oltre agli imputati già iscritti, vengono indicati altri imputati, altre persone che sarebbero responsabili di reati. Quell'informativa, per impegni vari del pubblico ministero, può essere letta dopo un mese, dopo un mese e mezzo. Io mi chiedo qual è il ritardo che determina l'inutilizzabilità degli atti. O lo scrivete con estrema chiarezza – trenta giorni, sessanta giorni – oppure anche in questo caso si rischiano decisioni contrastantiPag. 6 dei giudici: ci sarà chi riterrà determinante un ritardo di dieci giorni, chi invece quello di un mese.
  Avanzo un altro suggerimento. Avete previsto – e mi sembra giusto – che l'udienza in appello diventi monocratica. Questo permette di velocizzare l'appello, ma bisogna anche pensare ai ruoli delle Procure generali, che a questo punto sarebbero del tutto sottostimati. Se le udienze si triplicano, analogamente vanno incrementati anche i ruoli delle Procure generali.
  Suggerisco – conosco i numeri per i lavori che ho svolto – una revisione delle piante organiche. Soprattutto in alcune regioni, come la Calabria, la Sicilia, il Piemonte, vi sono uffici piccoli. Si può ottenere economia di scala a costo zero semplicemente accorpando uffici che sono distanti non più di cinquanta chilometri.
  Per quanto riguarda le notifiche attraverso sistemi informatici, ben vengano; è sicuramente un risparmio di tempo e di costi, ma non si velocizzano i processi. Il giudice penale oggi può scrivere cento sentenze all'anno? Se i processi sono più veloci, non riuscirà neanche a fissarli. Non sperate di avere grandi risultati dalle misure organizzative o dai calendari del processo, perché sono soluzioni già esistenti; le adottiamo quotidianamente, e purtroppo non producono risultati. Occorre assolutamente ridurre il numero delle carte.
  L'ultimo suggerimento che mi permetto di avanzare è relativo alla motivazione a pagamento. Anche questo può sembrare un po' estraneo alla nostra cultura giuridica, ma io credo che dobbiamo inventare qualcosa per avere un processo giusto e nello stesso tempo veloce. Chi sarà veramente interessato a fare impugnazione pagherà marche di 300 o 500 euro, che in caso di capovolgimento del verdetto potrebbero anche essere restituiti perché in quel caso il soggetto interessato aveva ragione. Questo indurrebbe a presentare appello soltanto le parti che hanno interesse ad avere una revisione della sentenza.
  Vi ringrazio per avermi ascoltato. Ho predisposto una relazione scritta, che tuttavia necessita di revisione; la invierò nei prossimi giorni. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Bretone. Attenderemo il suo contributo scritto che sarà assolutamente utile. Do ora la parola al dottor Alfredo Mantovano, magistrato della Corte di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino. Buonasera, dottor Mantovano. A lei la parola.

  ALFREDO MANTOVANO, magistrato della Corte di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino (intervento da remoto). Buonasera a voi. Grazie, presidente. Ringrazio la Commissione e i componenti per questa audizione. Ho già inviato una relazione scritta che illustra in modo più articolato quello che nel tempo disponibile cercherò di sintetizzare. L'intervento riformatore al vostro esame è ampio, è complesso, è ambizioso; non può dirsi altrettanto organico o sistematico. Per questo motivo io limiterò il più possibile le valutazioni sui singoli articoli e proverò a fermarmi su taluni profili di particolare rilievo, cercando di privilegiare le considerazioni di carattere generale.
  La prima considerazione riguarda lo strumento della delega. Nel disegno di legge i principi di ordine generale appaiono talora affermati in modo generico – dirò qualcosa sul punto tra qualche istante – talora specificati con eccessivo dettaglio. Penso per esempio alle disposizioni di cui all'articolo 4. Non si comprende, rispetto a questa seconda tipologia di norme, cosa il legislatore delegato dovrebbe aggiungere o precisare. In altri casi ancora, si prospetta l'introduzione di disposizioni che sono già previste nell'ordinamento e che non paiono modificate nella sostanza. È così, per esempio, per il giudizio abbreviato condizionato. Io francamente non riesco a cogliere in cosa sia differente l'attuale configurazione dell'articolo 438, comma 5, del codice di rito con quella che viene proposta dall'articolo 4, comma 1, lettera b), del disegno di legge.
  Ulteriori disposizioni sembrano in contrasto con altre esistenti, per esempio quelle relative ai criteri di priorità nella trattazione dei processi. Per conseguire gli obiettivi che emergono dal contenuto di tali disposizioni, sarebbe sufficiente una continuativa azione di buon governo anche internaPag. 7 agli uffici giudiziari. Penso alla nuova formulazione dell'articolo 125 delle norme di attuazione del codice di procedura penale o alla fissazione dei termini delle indagini e dei vari gradi di giudizio.
  Nell'insieme l'impressione è che il disegno di legge immagini un effetto taumaturgico derivante dalle norme che propone. Il rischio è che, pur cambiando termini ed espressioni nei singoli articoli, in assenza di una saggia azione di governo del settore il prodotto resti inalterato.
  Per concludere con questa introduzione, viene da chiedersi se non convenga lasciare da parte lo strumento della delega per preferire norme chiare che, una volta approvate, siano direttamente operative. Tra le numerose problematiche che il disegno di legge pone all'attenzione, vorrei fare qualche cenno soltanto alla questione telematica del processo penale, ai criteri di priorità, ai riti alternativi e alla disciplina del dibattimento, rinviando per il resto alla relazione.
  La questione telematica è trattata dall'articolo 2 e risponde, nelle disposizioni che vengono prospettate, a un intento certamente condivisibile. Tuttavia, chiunque ha avuto e ha a che fare con l'informatica gestita dal Ministero della giustizia nel corso degli anni – non è ovviamente soltanto una questione degli ultimi anni – ha fatto esperienza di disagi e di disservizi. Sarebbe opportuno allora affiancare a questo disegno di legge una relazione dettagliata e obiettiva sul funzionamento attuale della Direzione generale sistemi informativi autorizzati (DGSIA) e su come si intendono superare i problemi che il sistema finora ha manifestato. Parlare di notifiche e di depositi di atti e documenti con il mezzo telematico fa sperare in cambiamenti significativi a condizione di essere in grado di realizzarli.
  In tal senso non rassicura il passaggio della relazione tecnica che precede l'articolato, al cui interno, a margine dell'articolo 2, si parla di disposizioni non suscettibili di determinare oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, e anzi idonei a garantire i risparmi. È vero che a regime ci potranno essere risparmi, a condizione però che da subito ci sia un grosso investimento che renda finalmente efficiente il sistema informatico della giustizia.
  Quanto ai contenuti, rimanendo sempre sulle questione telematica, io credo che vadano operate alcune scelte perché, secondo quanto si legge nella delega contenuta all'articolo 2, occorre prevedere che «il deposito di atti e documenti possa essere effettuato anche con modalità telematiche». Non è troppo generico? Non è il caso di individuare un ordine di priorità? Se io penso al punto di osservazione nel quale ho la fortuna di trovarmi, vale a dire la Corte di Cassazione, che tratta sia le misure cautelari sia il merito, il primo urgente livello di trasmissione di atti per via telematica è quello delle misure cautelari, reali e personali, e dei relativi ricorsi.
  Propongo un unico esempio. Facciamo il caso che oggi, nonostante l'epidemia da Covid-19, io abbia a carico una misura cautelare del giudice per le indagini preliminari (GIP) di Roma, risiedendo in un'altra circoscrizione giudiziaria, e la impugni, depositando il ricorso nella cancelleria dell'ufficio giudiziario del luogo nel quale risiedo, diverso da Roma. Intanto, il deposito deve essere cartaceo e diventa inammissibile se, pur essendo avvenuto nei termini previsti nel luogo dove mi trovo, perviene al GIP di Roma oltre il termine di scadenza per la proposizione dell'atto.
  È per questa ragione che non pochi ricorsi contro provvedimenti cautelari sono dichiarati inammissibili. È evidente che la trasmissione per via telematica risolve questi problemi che appaiono al momento insuperabili. In una sentenza recentissima le Sezioni Unite della Cassazione hanno ribadito il principio che ho cercato di sintetizzare, forse in modo troppo rozzo.
  Quanto ai criteri di priorità, mi pare che il concetto sia stato sottolineato in più d'una delle audizioni già svolte. Uno snodo certamente problematico dell'articolo 3 è rappresentato dalla lettera h). È problematico perché la norma di riferimento è l'articolo 132-bis delle disposizioni di attuazione del codice di rito, che già individua le tipologie di reati in ordine ai quali – è detto nella norma – è assicurata la priorità Pag. 8assoluta. La modifica che viene proposta dal disegno di legge rende concreto il pericolo di quello che potremmo definire una sorta di «federalismo giudiziario», o peggio, di «anarchia territoriale», al cui interno ogni distretto, se non ogni circondario, definisca propri criteri di priorità in deroga a quanto previsto dalla norma delle disposizioni di attuazione prima citata.
  Il fatto che già oggi questo accada in più di un territorio non vuol dire che vada esteso ovunque, consegnando all'autorità delle singole corti di appello scelte discrezionali che in quanto tali competono alle istituzioni politiche, in particolare al Parlamento, perché determinano le responsabilità egualmente politiche che sono estranee a quelle delle istituzioni giudiziarie.
  Peraltro trovo singolare che all'articolo 5 del disegno di legge si faccia riferimento esplicito all'articolo 132-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale per introdurre un'ulteriore fascia di reati che devono avere la priorità assoluta, i delitti colposi di comune pericolo, e che poi il medesimo articolo 132-bis nel suo insieme venga in qualche modo contrastato dalla disposizione dell'articolo 3 prima menzionato.
  Tra gli altri, merita una riflessione anche l'articolo 4, dedicato ai riti alternativi.
  Devo dire che personalmente, avendo sperimentato qualche anno di applicazione del codice di rito precedente, fin da quando è entrato in vigore quello attuale non ho mai guardato con particolare entusiasmo al cosiddetto «patteggiamento», perché resto perplesso di fronte allo scambio tra la rinuncia al giudizio da parte dell'imputato e lo sconto di pena concesso dallo Stato. Mi sembra che non si tratti di una materia nella quale la contrattazione sia ammissibile. Tuttavia, questo è un discorso ampiamente superato dai trenta e più anni di applicazione del codice del 1989.
  Ciò che trovo singolare è che, intrapresa con il codice del 1989 la strada dell'applicazione della pena su richiesta, ampliata la sua estensione con l'incremento del limite di pena a cinque anni di reclusione con la riforma del 2003, oggi da un lato si prospetti, con l'articolo 4 del disegno di legge, un ulteriore limite della pena applicabile che permette il patteggiamento, arrivando a otto anni, e dall'altro si introducano però nuove eccezione dei titoli di reato ai fini dell'accesso al rito speciale.
  Io ho l'impressione che si continui a far confusione tra l'istituto, il cui scopo è quello di ridurre il carico giudiziario attraverso l'accettazione dell'accusa con l'accordo sulla pena, e la preoccupazione politica o mediatica circa l'adeguatezza dell'entità della sanzione rispetto alla gravità del reato. Una scelta va fatta. Se la logica è quella di alleggerire con il patteggiamento il peso delle udienze premiando l'imputato che a ciò collabora, questa scelta non deve conoscere eccezioni. Se, viceversa, non ci si vuole assumere la responsabilità, politica anzitutto, che i colpevoli ottengano uno sconto di pena, questo non può valere soltanto per alcune tipologie di reati. Peraltro l'equilibrio del sistema del patteggiamento regge sul consenso o dissenso del pubblico ministero e sulla decisione del giudice allorché la sanzione proposta dall'imputato sia valutata al primo e al secondo filtro quale sproporzionata. L'incremento dell'eccezione alla praticabilità del rito è un chiaro segnale di sfiducia verso le valutazioni del pubblico ministero e del giudice, ma a questo punto diventa un segnale di sfiducia nei confronti dell'istituto nel suo insieme, contraddittoriamente nel momento in cui si eleva il limite di pena che rende l'istituto stesso praticabile.
  Anche la disciplina del giudizio, contenuta nell'articolo 5, patisce in più punti la distonia tra intenzioni apprezzabili e risultati discutibili che caratterizza altri passaggi del testo di legge. Quando la lettera a) pone a carico del giudice, nell'ipotesi in cui preveda che il dibattimento duri per più udienze, la comunicazione alle parti del calendario delle udienze per l'istruzione dibattimentale e per lo svolgimento della discussione, la norma ricorda un'incombenza che dovrebbe essere già praticata nel rispetto del lavoro del pubblico ministero e dei difensori, perché essi possano organizzare al meglio i propri impegni, e anche nel rispetto degli altri soggetti coinvolti nel Pag. 9giudizio, per evitare al testimone o lunghe attese o l'eventualità di dover tornare più volte.
  La lettera a) tuttavia va correlata con la lettera e) dello stesso articolo 5, che introduce una pesante deroga al principio dell'immutabilità del giudice con l'estensione della regola di cui all'articolo 190-bis, comma 1, del codice di procedura penale anche ai processi nei quali, a seguito del mutamento della persona fisica di uno dei componenti del collegio, è richiesto l'esame di un testimone o di un coimputato di reato connesso.
  Mi fermo su un ultimo punto perché vedo che il tempo è quasi del tutto trascorso. Io credo sia superfluo ricordare che i cardini del processo del 1989 sono l'oralità, la concentrazione e l'immediatezza. Trasformare un giudizio tendenzialmente orale, nel quale la prova si forma obbligatoriamente davanti al medesimo giudicante che poi sarà chiamato a decidere, in un giudizio che vede ampliare le deroghe scritte, con un giudicante che, seppure in parte, è diverso da quello davanti al quale le prove sono state raccolte, significa percorrere una strada diversa da quella del rito oggi in vigore. Si va molto oltre l'esegesi sia della Cassazione che della Corte costituzionale, le cui sentenze sono state opportunamente riportate nel dossier realizzato dall'ufficio studi della Camera. Se non si intende ritornare a un processo prevalentemente scritto com'era nel codice del 1931, disposizioni come quella della lettera e) vanno fortemente ridimensionate, perché l'esigenza assolutamente condivisibile di evitare di ripetere la prova in giudizi di particolare delicatezza – penso a un testimone a rischio in un processo di mafia – va perseguito in altro modo. Cosa osta, nel momento in cui programma le udienze ai sensi della lettera a), a che il giudice rediga un calendario temporalmente ravvicinato? Nella prima fase di applicazione del codice del 1989 questa era la prassi. Poi, non dappertutto, si è diffusa una prassi contraria di udienze del medesimo giudizio fissate anche a mesi di distanza l'una dall'altra. È evidente che questo incrementa l'eventualità che il giudicante a un certo punto non sia più lo stesso. Ma quand'anche restasse lo stesso, verrebbero comunque lesi i requisiti di concentrazione e di immediatezza che costituiscono i corollari irrinunciabili dell'oralità. Il fatto che questa prassi diventi il pretesto per derogare all'immutabilità del giudice rappresenta a mio avviso un danno peggiore del rimedio.
  Nei suggerimenti formulati nella sua audizione, il presidente emerito della Cassazione, Giovanni Canzio, ha ipotizzato, al fine di definire il giudizio, applicazioni endo-distrettuali ed extra-distrettuali del magistrato che nel frattempo è stato trasferito. Sono ipotesi assolutamente condivisibili e di principio, però sappiamo quanto esse siano difficili nella realizzazione concreta, nel rapporto tra l'ufficio giudiziario di provenienza e quello di destinazione.
  Appare preferibile, in aggiunta e non in alternativa, prevedere che il trasferimento ad altro incarico di un giudice sia realizzato quando egli abbia completato la trattazione dei processi nei quali era impegnato nella sede che lascia, ma prima ancora – questa sarebbe la via maestra – che le udienze siano cadenzate in tempi ravvicinati l'una con l'altra.
  Per il resto rinvio alla relazione (vedi allegato 1) e vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Mantovano. Adesso do la parola al dottor Airoma. Prego, dottor Airoma. Buonasera.

  DOMENICO AIROMA, procuratore aggiunto della Procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli Nord (intervento da remoto). Buonasera a lei, presidente. La ringrazio per l'invito. E ringrazio tutti per la pazienza che avranno nell'ascoltarmi. Ho preparato una breve nota scritta che provvederò a inviare alla Commissione.
  Il senso di queste mie riflessioni tiene conto della natura conoscitiva dell'indagine che state svolgendo. Il mio obiettivo è dunque quello di fornire a voi elementi di conoscenza che traggo – lo dico con grande serenità – dalla mia esperienza, sia lungamente come pubblico ministero che come giudice, e vorrei anche aggiungere come difensore nei giudizi disciplinari.Pag. 10
  Vorrei soffermarmi con voi soprattutto su alcuni aspetti che attengono alla fase delle indagini preliminari. Vorrei soprattutto fare qualche riflessione sul fatto che le scelte del pubblico ministero incidono notevolmente non soltanto sull'an del giudizio, vale a dire se vi sarà un giudizio, ma anche sul «quando vi sarà un giudizio», quindi sui tempi del processo.
  Devo dire che personalmente condivido l'affermazione contenuta negli atti in esame, secondo la quale la fase delle indagini preliminari ha assunto una obiettiva centralità nel sistema generale del processo penale, da più punti di vista. Credo che dobbiamo affrontare la questione partendo dal suo avvio, vale a dire dall'iscrizione della notizia di reato. A tale proposito vorrei chiarire un punto fondamentale. Capisco l'esigenza che muove il proponente nel momento in cui pensa a un controllo più incisivo da parte del giudice sulle iscrizioni delle notizie di reato, vale a dire sul provvedimento del pubblico ministero. Temo tuttavia che sia una strada poco funzionale rispetto all'obiettivo prefissatosi. Per quale ragione? In realtà, quand'è che sorge l'obbligo del pubblico ministero di iscrivere la notizia di reato? Che vi sia un obbligo di iscrizione immediata della notizia di reato, è fuori discussione, oltre ad essere ribadito dalla giurisprudenza di legittimità e anche in sede disciplinare. Ma questo è il punto: quand'è che sorge un obbligo di iscrizione della notizia di reato? Quando si è al cospetto di una notizia di reato, vale a dire quando abbiamo un fatto che viene presentato secondo caratteristiche che lo rendono sussumibile a un paradigma normativo definito e attribuibile a determinati soggetti. Lì sorge l'obbligo del pubblico ministero di iscrivere la notizia di reato. Qual è l'obiettivo che a mio parere occorre porsi? Qui mi permetto di trasferire la mia esperienza da pubblico ministero, anche e soprattutto con riguardo alla gestione degli strumenti applicativi che presiedono alla trasmissione delle notizie di reato – il portale delle notizie di reato – e ai rapporti con la polizia giudiziaria. Credo che la via da percorrere sia quella di responsabilizzare maggiormente la polizia giudiziaria. Vi è uno spazio «pre-procedimentale» che è occupato dalla polizia giudiziaria e che è descritto dagli articoli 347 e 348 del codice di procedura penale, uno spazio che peraltro – come anche la Cassazione ha di recente ribadito – è occupato legittimamente in via autonoma dalla polizia giudiziaria. A mio giudizio – tenendo conto delle carte che vedo passare nel mio ufficio –, occorre, da un lato, alleggerire la rigidità temporale connessa alla trasmissione della notizia di reato dalla polizia giudiziaria al pubblico ministero e, dall'altro, attribuire alla polizia giudiziaria l'onere di trasmettere la notizia di reato nel momento in cui essa ha acquisito tutti gli elementi che la rendono vestita e che quindi radicano l'obbligo del pubblico ministero di iscrivere la notizia di reato. Dunque, in sintesi, si tratta di valorizzare la fase che precede le indagini preliminari in modo da avere – lo dico davvero con grande serenità – sul tavolo del pubblico ministero comunicazioni di notizie di reato complete di tutti gli elementi e non superficiali, consentendo così un'iscrizione immediata e l'avvio del termine delle indagini preliminari.
  Il secondo aspetto è il problema di quali notizie di reato vadano istruite. Già si è parlato della problematica dei criteri di priorità, quindi non aggiungo cose a quelle già dette in maniera esaustiva da chi mi ha preceduto. Tuttavia vorrei richiamare la vostra attenzione sul lato oscuro della questione. Qual è? Noi parliamo spesso di criteri di priorità – si tratta di scelte del pubblico ministero – il che in sostanza significa stabilire che alcuni procedimenti vengono trattati prima di altri. Questo comporta anche un'altra cosa, ovvero che vi sono procedimenti che vengono ritenuti non prioritari. Che fine fanno? Di fatto vengono accantonati. A tale problema si è cercato di porre rimedio, con l'avocazione. Si è detto infatti che il pubblico ministero non può lasciare lì questi procedimenti. E anche il Consiglio superiore della magistratura in alcune risoluzioni ha sostenuto che non si poteva accantonarli. Cosa si fa di questi procedimenti? Si è stabilito un timing, un termine, scaduto il quale la procura generale può avocare il procedimento. Pag. 11Ma la procura generale non ha le strutture e le risorse per avocare decine e decine di migliaia di procedimenti. Voi fate un'indagine conoscitiva – lo ribadisco – e quindi avete bisogno di elementi di conoscenza. La realtà dei fatti è che le avocazioni non si verificano e quindi questi procedimenti rimangono accantonati nelle procure, che – mi spiace dirlo – presentano una percentuale di archiviazione per prescrizione nella fase delle indagini preliminari tuttora molto elevate. Quando si parla del 40 per cento dei procedimenti conclusi per archiviazione, ciò ha un unico significato, ovvero che io ho accantonato alcuni procedimenti perché non prioritari, nei fatti facendoli prescrivere. E dunque poi ne chiederò evidentemente l'archiviazione per prescrizione. Questo è il problema. I procedimenti non prioritari rappresentano la vera cifra della mancata osservanza del principio della obbligatorietà dell'azione penale. La questione è quella dell'accantonamento dei procedimenti, perché non prioritari. Allora, cosa occorre fare? Io non ho – ci mancherebbe – alcuna bacchetta magica. Faccio soltanto due rilievi sul discorso delle priorità, il primo dei quali di carattere generale. Partecipo annualmente alle riunioni in sede circondariale e distrettuale sulla condivisione dei criteri di priorità. In quelle sedi vengono indicati i criteri di priorità che puntualmente determinano il fatto che alcuni procedimenti siano assegnati ad una corsia preferenziale e quindi precedano gli altri. Io mi chiedo: tutto questo con quale legittimazione democratica avviene? Permettetemi la domanda, lo dico nell'interesse della stessa giurisdizione: come magistrato, non voglio assumermi questa responsabilità, perché non mi compete. Tutto qui. Allora, perché non prevedere che i criteri di priorità, una volta determinati in sede distrettuale o anche con il contributo degli organi apicali della giurisdizione, conoscano un passaggio parlamentare? Occorre un passaggio non governativo, ma parlamentare, perché la giustizia venga amministrata non in vece del popolo italiano, ma in nome del popolo italiano. Avverto ciò come esigenza - lo ripeto ancora una volta – da uomo di diritto, da magistrato. Sarei molto più tranquillo, perché priorità significa anche assenza di priorità. E per quale motivo devo dire a vittime e persone offese che i procedimenti che le coinvolgono non sono prioritari? L'ho deciso io, un capo dell'ufficio? Con quale legittimazione? Credo che questo sia un problema serio da affrontare. E se vorrete affrontarlo, credo che farete un'opera di grande sistemazione istituzionale e ordinamentale.
  Quanto al secondo aspetto, vi è un problema di filtro della giurisdizione. A questo punto, relativamente a tutti i procedimenti che finiscono in qualche modo per subire gli effetti dell'applicazione del principio di priorità, venendo accantonati, perché non ampliare le ipotesi della richiesta di archiviazione che in qualche modo è già prospettata nel disegno di legge, con riguardo all'articolo 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale? Si potrebbe pensare a una richiesta di archiviazione del procedimento, perché è verosimile che non si giunga a una sentenza di condanna di primo grado prima del decorso del termine della prescrizione. Io penso che questa soluzione avrebbe anche una portata molto importante in termini di garanzie, perché trovo francamente ingiusto che il soggetto venga iscritto sine die nel registro degli indagati o ancora che subisca la qualifica di imputato per un tempo indefinito, nonostante si sappia che verosimilmente non si arriverà mai ad una sentenza di condanna in primo grado. Lo si diceva prima, giustamente, che oggi il collo di bottiglia è rappresentato del giudizio monocratico. Ancora oggi ricevo da parte dei colleghi del rito monocratico richieste di non fissare giudizi, perché non verranno mai celebrati. In questo momento presso il tribunale di Napoli Nord vengono fissate al 2025 le prime udienze di giudizi monocratici. Mi dite che senso ha? Non ha alcun senso. A questo punto preferisco di gran lunga archiviare i procedimenti. Perché lasciare una persona nella qualità di imputato per un tempo indefinito, ben sapendo che il processo non verrà mai trattato?
  Un altro aspetto che vorrei affrontare – e poi non vi annoio più – riguarda il Pag. 12passaggio dalla fase delle indagini preliminari al giudizio. Uno snodo importante, che però nella pratica appesantisce gli uffici giudiziari, è rappresentato dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari, di cui all'articolo 415-bis del codice di procedura di procedura penale. Io mi chiedo – con grande rispetto anche delle garanzie della difesa – che senso abbia l'applicazione dell'articolo 415-bis quando il pubblico ministero, ad esempio, non ha fatto alcun'altra attività di indagine rispetto ad atti già depositati? Mi riferisco a un provvedimento di sequestro, nel caso in cui vi sia stata un'indagine della polizia giudiziaria recepita dal pubblico ministero con atti depositati, cui non è seguito altro. Perché applicare anche in questo caso l'articolo 415-bis che ha soltanto l'effetto di appesantire i tempi dell'indagine e di ritardare il passaggio alla fase del giudizio? Perché prevedere l'avviso della conclusione delle indagini preliminari per tutti i reati puniti con la sola pena pecuniaria o, in alternativa, con la pena detentiva? Peraltro questa modifica normativa sarebbe in linea con quanto già previsto all'articolo 6 del progetto di riforma nella parte in cui viene prevista un'udienza filtro dinanzi al giudice monocratico. Se viene prevista l'udienza filtro, a maggior ragione diventa pressoché superflua l'applicazione dell'articolo 415-bis del codice di procedura penale. E vi assicuro che ciò comporterebbe una notevolissima riduzione dei tempi delle indagini preliminari.
  Mi consentirete un'ultimissima considerazione. L'ambiziosa riforma che si intende fare, come è stato già detto da chi mi ha preceduto, prevede rilevanti interventi di natura organizzativa. Pongo molto brevemente due questioni. La prima attiene alla scelta dei dirigenti degli uffici giudiziari. Se molte delle misure prevedono interventi organizzativi importanti, il tema della scelta dei dirigenti di uffici giudiziari è centrale; e in qualche modo ciò significa anche aprire una finestra di riforma del Consiglio superiore della magistratura con riferimento a questo profilo. La seconda questione – consentitemi di dire – riguarda la cornice organizzativa. Mi perdonerete la parentesi localistica. Sento sottolineare l'importanza delle risorse, che la stessa Procura generale richiama quando parla di esercizio realistico dell'azione penale, che deve tener conto delle risorse a disposizione. Ma quando io mi trovo a gestire, sia pure con un incarico semi direttivo, un ufficio così delicato come quello di Napoli Nord – che raccoglie il peggio della zona, con competenza su Santa Maria Capua Vetere e Casal di Principe – e dispongo di sole 26 unità di polizia giudiziaria rispetto alle 60 che dovrei avere, capite bene che qualsiasi ragionamento finisce con l'essere soltanto un esercizio dialettico. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Noi ringraziamo lei, dottor Airoma. A questo punto chiedo chi tra i colleghi intenda sottoporre questioni, chiarimenti o sollecitazioni ai nostri auditi. Onorevole Bazoli, prego, a lei la parola.

  ALFREDO BAZOLI (intervento da remoto). Grazie, presidente. Ringrazio gli auditi. Non ho ascoltato tutti in realtà, perché del dottor Bretone ho sentito soltanto la parte finale, quindi può darsi che mi sia sfuggito qualcosa. Volevo sottoporre agli auditi alcune questioni che sono state in parte affrontate e che tuttavia secondo me necessiterebbero di qualche chiarimento ulteriore.
  In primo luogo, sui criteri di priorità, ho sentito molte critiche alla proposta contenuta nel disegno di legge, come peraltro già avvenuto in occasione di precedenti audizioni. Si dice di fare attenzione, perché i criteri di priorità rischiano di comportare molta frammentarietà nell'esercizio dell'azione penale, dovuta alle diverse scelte dei procuratori generali. Bisogna inoltre stare attenti anche perché i criteri di priorità – come ha detto giustamente il dottor Airoma – alla fine si trasformano in una sorta di meccanismo attraverso il quale si decide cosa va avanti e cosa invece rimane fermo, e corre il rischio di prescriversi nella sostanza. Noi sappiamo infatti, come è stato ricordato, che tra il 40 e il 50 per cento dei procedimenti penali si prescrive nella fase delle indagini preliminari per Pag. 13una ragione molto semplice, ovvero perché è impossibile perseguire tutte le notizie di reato. Pur considerando attentamente queste critiche, continuo a ritenere che introdurre un principio di legge che impone agli uffici delle procure generali di individuare i criteri di priorità rappresenti un grande passo in avanti rispetto allo status quo. Lo status quo comporta infatti una sorta di frammentarietà dell'azione penale che non è distrettuale, ma è relativa al singolo sostituto procuratore, perché oggi, non essendoci una previsione legislativa dei criteri di priorità, ma essendo tutto lasciato alle iniziative singole dei singoli uffici, in realtà vi è una discrezionalità quasi assoluta da parte dei sostituti nella scelta delle azioni da perseguire e di quelle da lasciare indietro. Questo secondo me non è un criterio corretto nell'esercizio dell'azione penale, perché comporta anche un'incertezza nell'applicazione del diritto. Penso che l'individuazione dei criteri di priorità affidata agli uffici delle procure generali sarebbe comunque un passo in avanti nella trasparenza e nella responsabilizzazione degli uffici rispetto a quanto accade oggi. Certo, c'è il problema dell'uniformità, perché non si può neanche puntare ad una sostanziale regionalizzazione dell'esercizio dell'azione penale. E c'è anche bisogno nella scelta dei criteri di priorità di una sorta di responsabilità, che non voglio definire politica – forse questo sarebbe un po' troppo – ma che dovrebbe essere un po' più diffusa. Mi chiedo dunque e vi chiedo se, per fare un passo in avanti rispetto all'attuale polverizzazione della scelta nell'esercizio dell'azione penale, garantendo nel contempo una responsabilità più diffusa, non si potrebbe immaginare che le priorità siano decise dalle procure generali, in conformità a criteri uniformi definiti dal Consiglio superiore della magistratura (CSM). Si potrebbe quindi prevedere un ruolo importante del CSM nelle definizione di criteri uniformi. Si tratta comunque dell'organo che dovrebbe avere un certo rilievo anche nelle scelte di politica criminale, in qualche modo: è l'unico organo che può avere la parola in questo ambito. Parallelamente a ciò, si potrebbe fare in modo che le scelte dei criteri di priorità vengono assunte dai capi degli uffici, magari dopo una consultazione un po' più ampia rispetto a quella prevista dal disegno di legge, vale a dire avendo sentito non soltanto i procuratori della Repubblica, ma anche – come suggerito peraltro dal dottor Morosini nell'audizione di qualche giorno fa – i consigli giudiziari ed eventualmente qualche rappresentante del territorio, in modo da essere in grado di fare una scelta a ragion veduta e, in qualche modo, responsabile anche di fronte all'opinione pubblica. Non potrebbe essere questa la strada per coniugare le diverse esigenze, fermo restando che a mio parere l'individuazione dei criteri di priorità rappresenta comunque un grande passo in avanti rispetto allo status quo? Quindi, questa è la prima domanda.
  La seconda riguarda invece il criterio di giudizio di cui all'articolo 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. In questo disegno di legge si prova a ridurre un po' il fiume in ingresso delle azioni penali, immaginando che, se si restringe il criterio di valutazione dei pubblici ministeri per l'esercizio dell'azione penale, ciò può portare a una riduzione dei rinvii a giudizio e quindi del carico sugli uffici giudiziari, deflazionando il procedimento. Qualcuno ha proposto addirittura di trasformare la regola prognostica in una regola diagnostica, vale a dire che i pubblici ministeri non dovrebbero limitarsi a valutare se il materiale probatorio è idoneo a fondare la possibilità di condanna, ma addirittura dovrebbero apprezzare se, allo stato degli atti raccolti, potrebbe davvero intervenire una condanna, come se tutte le azioni potessero concludersi con un giudizio abbreviato in buona sostanza. Si dice che questo consentirebbe in qualche modo ai pubblici ministeri di archiviare molto di più di quanto non facciano oggi e quindi di ridurre significativamente il carico degli uffici giudiziari. Parallelamente a questo si pone tuttavia il tema del giudice dell'udienza preliminare. Secondo alcuni, se noi trasferiamo una regola diagnostica di questa natura sull'udienza preliminare, rischiamo di trasformarla in un pre-giudizio, in una sorta di marchio per il giudice di Pag. 14merito, con il quale si manderebbe a giudizio un imputato che è già considerato per metà colpevole. Si verrebbe pertanto a determinare una sorta di presunzione di colpevolezza dopo l'udienza preliminare. Allora, qualcuno ha proposto di rendere differenti le due regole di giudizio, introducendo una regola diagnostica più severa per il pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale e lasciando inalterata la regola oggi prevista per il giudice dell'udienza preliminare. Anche su questo aspetto mi piacerebbe avere una valutazione degli auditi.

  PRESIDENTE. Onorevole Vitiello, prego.

  CATELLO VITIELLO (intervento da remoto). Grazie, presidente. Ho due domande per il procuratore Bretone ed una richiesta di puntualizzazione al procuratore Airoma, condividendo invece tutto quello che ha detto il presidente Mantovano.
  Dottor Bretone, io l'ho ascoltata attentamente. Lei ha fatto riferimento alla regola di giudizio – e mi riallaccio anche all'ultima domanda del collega Bazoli – e alla possibilità che l'udienza preliminare diventi un giudizio abbreviato. Si tratterebbe di strutturare l'udienza preliminare come se fosse un abbreviato, facendo in pratica tutti giudizi abbreviati, se non ho capito male. Dottor Bretone, se questa dovesse essere la regola che lei ritiene risolutoria delle problematiche, in particolare di quelle connesse al lavoro che il giudice dell'udienza preliminare (GUP) è chiamato a fare al momento del filtro fra le indagini e il dibattimento, non ritiene che in tal modo si darebbe la stura a un'ipotesi di giudice istruttore? In pratica, faremmo un passo indietro rispetto alla struttura del processo, creando un ulteriore grado di giudizio che renderebbe ancora più difficoltoso il dibattimento. Oggi il dibattimento ha già perso la centralità voluta nel 1988. E lo vediamo perché le indagini hanno un interesse anche mediatico e suscitano un'attenzione molto più elevata. Il dibattimento ha perso d'interesse. Non crede che un'udienza preliminare costruita come un giudizio di merito possa rendere ancora più superfluo il dibattimento? Se si aggiunge a questo anche la trasformazione in regola dibattimentale comune delle disposizioni dell'articolo 190-bis del codice di procedura penale, si finirà per assistere a un dibattimento ante 1988, quando i testimoni si presentavano e confermavano quanto detto in precedenza. La mia preoccupazione è che venga snaturato il processo accusatorio. Può anche andare bene, però dovrebbe essere il frutto di una discussione separata, volta a scegliere quale modello giurisprudenziale vogliamo all'interno del nostro sistema democratico. Questa è la prima domanda.
  Quando ha fatto riferimento all'appello, ha proposto di abolire il divieto di reformatio in peius. Naturalmente, facendo l'avvocato, posso pensarla diversamente; si tratta secondo me di un problema culturale. Ci si può ragionare, arrivando eventualmente ad un'ipotesi di questo tipo. Il problema che mi pongo riguarda invece le sentenze del giudice monocratico, per le quali secondo lei, dottor Bretone, sarebbe sufficiente il solo ricorso per Cassazione. Ha fatto tale considerazione anche ricordando i tanti delitti colposi che vengono valutati davanti a un giudice monocratico e che meriterebbero, non soltanto un appello pieno, ma addirittura la decisione collegiale? La riforma non prevede tale ipotesi, e io non sono d'accordo perché secondo me la collegialità rappresenta sempre un presidio e una garanzia di verifica nel merito di quello che è stato discusso. I profili colposi sono molto delicati, lei me lo può insegnare, dottor Bretone. Sa che è la materia più ostica; secondo me, limitarsi alla Cassazione, priverebbe il cittadino di un grado di giudizio importante per la verifica di quello che è successo in dibattimento.
  Vengo invece alle considerazioni del dottor Airoma. Condivido tutto quello che ha detto sull'iscrizione della notizia di reato, sul problema delle indagini e soprattutto sul fatto che – e sono assolutamente d'accordo – occorre responsabilizzare la procura generale nella fase dell'intuizione del reato, prima ancora della sua sussunzione da parte del pubblico ministero. Dottor Pag. 15Airoma, per quanto mi riguarda sfonda una porta aperta, e sono assolutamente d'accordo con lei. Un altro è il problema che mi pongo, e che le pongo. Ho ascoltato attentamente la parte relativa al filtro della giurisdizione e all'ipotesi di ampliare le richieste di archiviazione. Chiedo quindi al dottor Airoma se la sua proposta valga soltanto per il momento attuale, in conseguenza del carico giudiziario, oppure se possa costituire una soluzione strutturale. Faccio questa domanda perché, nel momento in cui ampliamo le richieste di archiviazione con una riforma, è innegabile che ciò varrà per sempre. Non ci possiamo aspettare fra cinque anni una riforma che ponga un limite alle richieste di archiviazione avanzate dai pubblici ministeri – se non ho capito male – sulla scorta della prognosi di prescrizione. Proprio perché apprezzo il sacrificio che il dottor Airoma compie nell'individuare una soluzione compatibile con il sistema, mi chiedo se non sarebbe auspicabile, in questo momento, un ragionamento su amnistia e indulto affinché le ipotesi bagatellari possano essere azzerate. In tal modo si imporrebbe un reset del sistema, facendo ripartire la macchina giudiziaria, soprattutto alla luce di un carico di lavoro che non è problematico soltanto con riguardo all'oggi. Sulla scorta delle sospensioni che l'emergenza sanitaria ha imposto, nel 2021 e nel 2022 celebreremo nel 90 per cento dei casi processi di rinvio, perché non si potrà fare di più in conseguenza dell'ingolfamento della macchina giudiziaria. Visto che si tratterebbe della risoluzione immediata dell'attuale momento problematico, mi chiedo se non sarebbe meglio pensare a un'ipotesi di amnistia e indulto. Mi riferisco ad entrambi gli istituti, perché nel 2006 si ricorse al solo indulto, commettendo un gravissimo errore. Si tratta di un sovraccarico enorme per la macchina giudiziaria.

  PRESIDENTE. Onorevole Vitiello, mi scusi. Le chiedo se cortesemente può cercare di condensare il suo intervento, considerato che alle 17 è previsto un altro ciclo di audizioni. Grazie.

  CATELLO VITIELLO (intervento da remoto). Grazie a lei, presidente. Mi rivolgo al dottor Airoma, perché ha fatto una considerazione correttissima con riguardo all'articolo 415-bis del codice di procedura penale, laddove con la legge Carotti si è intervenuti non per un problema di procedura penale, ma per la necessità di deflazionare il carico giudiziario. Si diceva che, se i pubblici ministeri non l'hanno fatto prima, lo fanno con l'incursione difensiva al momento della conclusione delle indagini. Secondo me ciò è sbagliato, perché io parto dal presupposto che esiste l'articolo 358 del codice di procedura penale e che il pubblico ministero deve fare riferimento anche agli elementi a favore dell'indagato. Quindi, in quel momento con la legge Carotti si è fatta, secondo me, un'operazione sbagliata, perché si è intervenuti senza responsabilizzare le parti del processo. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Vitiello. La prego di scusarmi se mi sono permesso di richiamarla al rispetto dei tempi ma, come dicevo, alle 17 abbiamo un'altra sessione di audizioni. Vorrei quindi lasciare il tempo per le repliche ai nostri auditi, ai quali do la parola nell'ordine nel quale sono intervenuti in precedenza, per rispondere alle sollecitazioni dei colleghi. Dottor Bretone, prego.

  FRANCESCO BRETONE, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Bari (intervento da remoto). Per quanto riguarda l'udienza preliminare, mi devo essere espresso male. Io ho detto non che si aggiunge al dibattimento, ma che lo sostituisce: nell'udienza preliminare, il processo verrebbe definito con il rito abbreviato, a meno che l'imputato non si presenti personalmente a chiedere il dibattimento orale in primo grado. Questa soluzione fa in modo che chi abbia effettivo interesse alla celebrazione di un processo orale, lo chieda, con un risultato deflattivo per il dibattimento.
  Per quanto riguarda il grado di appello, sicuramente la collegialità è utile per alcuni reati gravi, anche per esempio per le colpe Pag. 16mediche. Tuttavia ci dobbiamo chiedere se, con una riforma come quella che ho cercato di delineare, anche fornendo qualche suggerimento deflattivo, riusciamo a ridurre gli appelli, per esempio – come ho detto – con una motivazione a pagamento oppure abolendo il divieto della reformatio in peius, vale a dire facendo in modo che ricorra in appella chi ne abbia effettivo interesse. In questo modo l'appello, che diventa effettivamente un momento di riflessione, può avere tre giudici: si discute in punta di fatto e in punta di diritto con maggiore tranquillità rispetto al giudizio di primo grado. Se invece sul grado di appello si rovesciano centinaia di migliaia di processi, come avviene attualmente – perché tanto tutti ricorrono in appello perché non c'è rischio, ma si cerca di far prescrivere il reato e, male che vada, viene confermata la pena del giudizio di primo grado – allora è chiaro che la soluzione non può che essere quella che suggerisce il disegno di legge, vale a dire quella di suddividere i processi tra giudici monocratici per accelerare la definizione dei procedimenti. È vero quello che dice l'onorevole Vitiello con riguardo alle colpe mediche. Esistono tanti reati molto delicati che vengono decisi da giudici monocratici, ma è anche vero che ci sono reati a mio giudizio semplici che vengono decisi dai giudici collegiali. Faccio l'esempio delle bancarotte. La bancarotta in sé e per sé, tranne quando si tratta di centinaia di milioni di euro, è un reato estremamente semplice: c'è un imprenditore che ha fatto fallire la società e si è messo in tasca i soldi. Questa, nella maggior parte delle ipotesi, è una bancarotta. Basterebbe un giudice monocratico e invece abbiamo un collegio. Allora, andrebbe rivisto un po' tutto, in senso decisamente più logico e più equilibrato.
  Per quanto concerne i criteri di priorità, i sostituti non decidono più nulla, perché lo fanno i procuratori tramite accordi con la Procura generale. Almeno a Bari è così. Faccio soltanto presente che, fatta una circolare sui criteri prioritari, è già in uscita un'altra circolare sui criteri super prioritari: questo per dirvi che anche il limite dei criteri prioritari non era sufficiente per andare incontro alle esigenze dei sostituti.
  Per quanto riguarda poi l'articolo 125 delle disposizioni attuative del codice di procedura penale, la riforma è giusta, perché un orientamento della Cassazione, che ho definito «sciagurato», ha ritenuto che bisognasse rinviare il giudizio ogni volta che un dubbio potesse essere chiarito nel dibattimento, di fatto impedendo al GUP, se non in casi eclatanti, di dichiarare il non luogo a procedere. Anche qui bisogna intendersi, perché molti processi delicati si basano sulla testimonianza di un'unica persona. E penso alle violenze sessuali. Quindi, molto spesso un unico testimone non viene ritenuto sufficiente in processi di corruzione, diversamente da quanto accade per la violenza sessuale. E si hanno sentenze di condanna. Quindi alla fine spetta alla giurisprudenza determinare, con l'equilibrio necessario, cosa va in giudizio e cosa non ci va. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Bretone. Dottor Mantovano, prego.

  ALFREDO MANTOVANO, magistrato della Corte di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino (intervento da remoto). Grazie, presidente. Procedo in termini molto sintetici per non sottrarre tempo ai vostri lavori. A proposito dell'articolo 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, rispetto a quanto prospettato dall'onorevole Bazoli, e avendo letto e riletto il disegno di legge, mi pare che l'intento principale sia non tanto quello di anticipare da parte del giudice dell'udienza preliminare la valutazione che sarà fatta dal giudice monocratico o collegiale in primo grado, quanto quello di spingere il più possibile verso l'archiviazione, con intenti deflattivi, ciò che arriva davanti al GUP, tant'è vero che, per quello che mi sembra di capire, viene spostato il baricentro da ciò che non è valutato sufficiente a reggere a un dibattimento a ciò che non è valutato sufficiente a sostenere una sentenza di condanna. Mi sembra di aver capito così, correggetemi se sbaglio. Se questo è l'obiettivo della riscrittura dell'articoloPag. 17 125, forse andrebbe ripensata qualcuna delle formulazioni adoperate, perché si parla di archiviazione quando risultano insufficienti o contraddittori gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari. Se gli elementi raccolti nel corso delle indagini risultano insufficienti o contraddittori, il grado di sufficienza o lo scioglimento della contraddizione compete al pubblico ministero, il quale, una volta che ritiene completata l'indagine, non prospetta elementi insufficienti o contraddittori. Non vorrei che questo creasse qualche problema di natura applicativa. Analogamente potrebbero intervenire problemi di natura applicativa anche per il fatto che, se la formulazione non è chiara, l'effetto potrebbe essere l'incremento delle opposizioni all'archiviazione da parte delle persone offese dal reato, per cui il lavoro che si ritiene di risparmiare per un verso, poi torna indietro per altro verso. Quindi una maggiore chiarezza nella formulazione, rispetto a un intento condivisibile, non guasta.
  A proposito dei criteri di priorità e dell'ipotesi che essi vengano formulati dal CSM, mi permetto di ricordare che, ai sensi dell'articolo 105 della Costituzione, spettano al CSM le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati. Già così, è un bel carico di lavoro. Se vogliamo affidare al CSM anche il concorso nella determinazione della politica giudiziaria o della politica criminale, rendendo quindi il CSM concorrente rispetto alla responsabilità propria del Governo, che la esercita con il vaglio del Parlamento, la soluzione è abbastanza semplice: basta cambiare il citato articolo della Costituzione. Con tale norma in vigore mi pare infatti un po' complicato immaginare un ulteriore allargamento di competenze rispetto a quelle che di fatto il CSM ha già assunto in aggiunta alla previsioni della Costituzione.
  Se mi è consentita un'ultima parola, vorrei affrontare rapidamente il tema del giudizio di appello, che ho trascurato nella prima esposizione, ma che è stato sollecitato dagli interventi degli onorevoli deputati. Se in primo grado il giudizio in composizione monocratica è abbastanza diffuso, nell'iter giurisdizionale ci deve essere un momento per una valutazione collegiale. E sappiamo bene che, se la collegialità viene derogata per una fascia delimitata di reati, poi i confini sono portati ad allargarsi sempre di più. Visto che tutto sommato il quadro procedimentale e processuale lo consentirebbe, mi permetto di suggerire per l'appello l'istituzione – che potrebbe trovare sede anche in questo disegno di legge – di qualcosa di simile a quello che nella Corte di cassazione è rappresentato dalla settima sezione penale. Come tutti loro sanno, le sezioni penali in Cassazione sono sei, ma da qualche anno ne è stata introdotta una settima, composta a rotazione dai consiglieri delle altre sezioni, che svolge esclusivamente la funzione di dichiarare con sentenza o con ordinanza le inammissibilità a fronte di ricorsi che sono meramente dilatori e che servono semplicemente a far decorrere il tempo. La settima sezione copre un carico pari a circa il 40 per cento di ciò che arriva in Cassazione: su 60 mila fascicoli penali all'anno, il 40 per cento del totale viene smaltito, con una media di 200 o 250 fascicoli per udienza, dalle udienze della settima sezione. Immaginare qualcosa di simile all'interno delle Corti d'appello, con i criteri di inammissibilità già previsti per l'appello dal codice di procedura penale, certamente potrebbe apportare maggiori risultati rispetto alla ripartizione del collegio, con la trasformazione da uno a tre dei giudicanti in sede di appello. Quest'ultima soluzione a mio parere stride con l'intero sistema, che esige che almeno una volta vi sia un esame del merito ponderato e collegiale. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Mantovano. Dottor Airoma, prego.

  DOMENICO AIROMA, procuratore aggiunto della Procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli Nord (intervento da remoto). Molto rapidamente, sulla questione delle priorità, faccio soltanto rilevare che non intendo minimamente mettere in secondo piano lo sforzo che è stato fatto dai procuratori, dai procuratori generaliPag. 18 e dal procuratore generale della Cassazione per ricondurre in qualche modo all'unità il discorso delle priorità. Rilevo che in realtà esiste già una copertura normativa per il discorso delle priorità e non è soltanto l'articolo 132-bis delle disposizioni di attuazione; vi è l'articolo 6 del decreto legislativo n. 106 del 2006, in materia di riorganizzazione degli uffici del pubblico ministero, che attribuisce appunto alla Procura generale presso la Corte di cassazione il compito di assicurare l'uniformità relativamente all'esercizio dell'azione penale. È sulla base di questo articolo che noi veniamo interpellati per render conto dei criteri che seguiamo. Quindi vi è già una copertura normativa che riguarda l'elaborazione dei criteri di priorità. Dico di più, la violazione dei criteri di priorità da parte per esempio del sostituto è materia di responsabilità disciplinare – e quanti ne ho difesi? Se il procuratore di Napoli Nord, non è il caso fortunatamente, che è la Terra dei fuochi, decidesse per avventura che i reati ambientali non sono una priorità, un sostituto procuratore si troverebbe nella paradossale condizione di dover accantonare questo tipo di reati, che mi sembra veramente non soltanto paradossale, ma contrario alle aspettative di tutela del territorio. Quindi non vedrei nulla di male che questo percorso di elaborazione in sede distrettuale e poi anche con l'avallo della procura generale della Cassazione trovasse poi uno sbocco in una sorta di legge di stabilità giudiziaria. Esiste una legge di stabilità sotto il profilo chiaramente delle entrate e delle uscite dello Stato, perché non pensare ad una legge di stabilità giudiziaria che in qualche modo darebbe copertura e legittimazione democratica alla scelta di questi criteri?
  Per quanto riguarda l'articolo 125, io sono d'accordo e condivido la scelta fatta dal progetto di riforma di ampliarne l'ambito di applicazione... E credo che sia necessariamente una soluzione prognostica e non diagnostica per un semplice motivo, ovvero perché la prova nel nostro processo si forma nel giudizio e quindi questa valutazione non può che essere necessariamente prognostica. Nonostante nella mia esperienza abbia apprezzato le amnistie, perché hanno comportato la rottamazione dei procedimenti, come quello delle cartelle, per i quali si aspettava l'amnistia perché si svuotavano finalmente gli armadi, devo dire che è una soddisfazione molto egoistica. Non mi ha mai convinto troppo; lo dico con grande serenità, preferisco sempre la trasparenza. Siccome questo è un processo accusatorio in cui c'è un'accusa e una difesa, se l'accusa ha tardato e cioè non ha fatto in tempo a esercitare la pretesa punitiva, a questo punto è bene dichiararlo, quindi chiedere al giudice di valutare il fatto che la pretesa punitiva è tardata e, a questo punto, approssimandoci alla prescrizione, è bene che chi è iscritto come indagato ovviamente non patisca ulteriormente questa propria condizione. Questo è il mio orientamento, ripeto, basato sulla mia esperienza. E credo che possa anche essere, in qualche modo, una riforma strutturale che va in linea con quanto già prevedete sull'ampliamento dell'articolo 125 delle disposizioni di attuazione. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Benissimo. A questo punto non posso fare altro che ringraziare il dottor Bretone, il dottor Mantovano e il dottor Airoma per i contributi che hanno fornito ai lavori della Commissione. Nell'autorizzare la pubblicazione della documentazione depositata dal dottor Alfredo Mantovano, ringrazio ancora una volta tutti gli auditi, in attesa dei contributi che vorranno inviare per documentare ancora meglio il proprio intervento. Ricordo ai colleghi che alle 17 iniziamo un altro ciclo di audizioni e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 16.55, riprende alle 17.

Audizione, in videoconferenza, di Guglielmo Scarlato, esperto, e Enrico Marzaduri, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Pisa.

  PRESIDENTE. L'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto, in videoconferenza dei deputati, Pag. 19secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella seduta del 4 novembre scorso.
  In proposito ricordo che per i deputati partecipanti da remoto è necessario che essi risultino visibili alla Presidenza, soprattutto nel momento in cui essi svolgono il loro eventuale intervento, il quale deve ovviamente essere udibile.
  L'ordine del giorno reca l'audizione, in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 2435 Governo, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello, di Guglielmo Scarlato, nella sua qualità di esperto della materia, e di Enrico Marzaduri, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Pisa.
  Ringrazio gli auditi per aver accolto l'invito della Commissione e chiedo cortesemente di contenere il proprio intervento in circa quindici minuti, in modo tale da dar spazio ai quesiti che vorranno essere loro rivolti dai commissari, quesiti ai quali seguirà la replica degli auditi, i quali potranno comunque inviare, qualora non l'avessero già fatto, un documento scritto alla segreteria della Commissione. Tale documentazione, in assenza di obiezioni, sarà pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati e resa disponibile ai deputati stessi attraverso l'applicazione GeoCamera. Do quindi la parola al dottor Guglielmo Scarlato.

  GUGLIELMO SCARLATO, esperto (intervento da remoto). Presidente, nell'intento di semplificare il lavoro della Commissione, ho mandato questa mattina per posta elettronica una nota scritta (vedi allegato 2) a cui mi riporterei integralmente in modo da poter dedicare tutto il mio tempo alla risposta alle domande che mi saranno formulate dai componenti della Commissione.

  PRESIDENTE. La ringrazio. La nota scritta è stata già pubblicata su GeoCom, quindi i colleghi ne avranno sicuramente visto il contenuto. Direi che a questo punto possiamo dare la parola al professor Marzaduri. Prego, professore.

  ENRICO MARZADURI, professore di procedura penale presso l'università degli studi di Pisa (intervento da remoto). Intanto ringrazio per questa occasione. I temi che vengono sottoposti alla nostra attenzione dal disegno di legge C. 2435 sono svariati e non possono essere neanche accorpati tutti all'interno di quella ricerca di una celerità processuale, di una celere definizione dei procedimenti giudiziari che compare nell'intitolazione del disegno di legge, proprio perché coinvolgono, a mio avviso, da un punto di vista sistematico buona parte delle problematiche del procedimento penale. È solo su alcuni dei temi che vengono così sottoposti alla nostra attenzione che incentrerò il mio rapido intervento, rinviando, ma sono stato assai meno diligente dell'avvocato Scarlato, a un supporto scritto qualche ulteriore considerazione. Cercherò di farlo pervenire nei tempi più brevi possibili alla Commissione Giustizia.
  I temi sui quali mi vorrei soffermare sono temi eminentemente processual-penalistici, quindi comincerei a esaminare le problematiche che attengono alle indagini preliminari, in particolare concentrando l'attenzione sulla nuova regola di giudizio che dovrebbe essere introdotta in luogo dell'attuale articolo 125 delle disposizioni di attuazione, così pure, per quanto riguarda l'udienza preliminare, la nuova regola di giudizio dell'articolo 425 del codice di procedura penale, per poi passare alla disamina dei procedimenti speciali con ulteriori considerazioni sulla prospettiva del giudizio e dell'impugnazione con riferimento specifico al mezzo dell'appello.
  Per quanto riguarda le tematiche delle indagini preliminari, indubbiamente c'è stata la ricerca di un'accelerazione, almeno in questi termini sembrerebbe doversi apprezzare lo sforzo espresso nel disegno di legge. Anche se, a mio avviso, come già è stato detto - e richiamo le considerazioni del collega Giulio Garuti - questi tentativi di riformulare la tematica e la durata delle indagini appaiono timidi e per certi versi addirittura controproducenti. Cominciamo con il considerare che il nostro processo Pag. 20penale vede quella che doveva essere una sorta di inchiesta preparatoria – che era finalizzata ed è tuttora finalizzata, alla luce dell'articolo 326, solo a sciogliere l'incertezza inerente all'esercizio dell'azione penale – diventare un qualcosa di assai più complesso, tanto che non a caso alcuni hanno parlato di un'istruttoria mastodontica che viene a sovrapporsi, da un punto di vista sia di incidenza temporale sia di acquisizioni probatorie, al dibattimento, che doveva essere il momento centrale, non soltanto da un punto di vista ideologico, ma anche da un punto di vista costituzionale, ai fini della formazione della prova nel contraddittorio tra le parti. Indubbiamente, il tema della dilatazione temporale delle indagini penali è un tema che non si apprezza soltanto sul piano dell'estensione temporale delle indagini preliminari, ma anche sul piano qualitativo del significato che vengono ad assumere le indagini preliminari. Un sistema che ipotizza almeno tendenzialmente una rilevanza solo endofasica del materiale acquisito nelle indagini preliminari è un sistema che con difficoltà riesce a mantenere fermo questo principio, quando le indagini preliminari hanno un'estensione temporale e qualitativa analoga a quella che, soprattutto negli ultimi anni, siamo stati portati a conoscere sulla base dell'esperienza forense. Io svolgo anche l'attività di avvocato e diciamo che è un dato incontestabile. Questo a cosa ci porta? Ci porta a osservare quale può essere il significato sistematico della modifica che viene ipotizzata nell'articolo 125 delle disposizioni di attuazione, cioè la sostituzione dell'idoneità o inidoneità probatoria come spartiacque tra la richiesta di archiviazione e l'esercizio dell'azione penale con un'altra formula che è una formula, come è stato osservato anche in una precedente audizione dal collega torinese Francesco Caprioli, che sembra richiamare abbastanza da vicino la formula che lo stesso articolo 125, in una redazione precedente, aveva avuto nel corso dei lavori preparatori del codice del 1988. La formula alla quale ci si richiama, cioè la ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria nel giudizio, è una formula che, ancor più forse dell'attuale articolo 125 delle disposizioni di attuazioni, apre uno spazio di discrezionalità e quindi di incertezza operativa. A mio avviso, infatti, quando si parla di ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria nel giudizio non si può fare riferimento a una vera e propria anticipazione della condanna e quindi anche della regola del giudizio, che nell'articolo 533 del codice di procedura penale richiama il superamento di ogni ragionevole dubbio. Laddove si ipotizzasse una soluzione interpretativa diversa e quindi una sorta di anticipazione dell'articolo 533, noi individueremmo un onere investigativo del pubblico ministero veramente impressionante, perché non solo da un punto di vista pratico ben poche situazioni procedimentali consentirebbero davvero di raggiungere questo livello, ma soprattutto perché si creerebbe una sorta di anticipazione di giudizio basata su atti che tendenzialmente, come sappiamo, non dovrebbero entrare nel procedimento penale nella fase del giudizio, almeno nel giudizio dibattimentale. A mio avviso il rischio è non solo quello di inserire una formula abbastanza ambigua da un punto di vista dell'applicazione concreta, ma soprattutto quello di accentuare anche nella lettura meno impegnativa, cioè quella per cui non si deve chiedere un'anticipazione della regola di giudizio della condanna ma una ragionevole probabilità della condanna. Ebbene, anche in questo caso si verrebbe a incidere ulteriormente sul significato delle indagini preliminari nell'equilibrio complessivo del procedimento penale. Di questo si deve essere consapevoli. Si può anche modificare il sistema processuale, anche se, come ho accennato prima, dopo la riforma costituzionale dell'articolo 111 ci sono dei vincoli che devono essere considerati. Nella misura in cui il legislatore va verso un ulteriore potenziamento del significato delle indagini preliminari – che già a mio avviso la Corte costituzionale con un'errata lettura del principio di completezza delle indagini ritiene che debbano portare il pubblico ministero all'acquisizione di un materiale idoneo a consentire a un giudice, quello del giudizio abbreviato, l'emissione Pag. 21di una sentenza - quest'onere probatorio è a mio avviso eccessivo rispetto non solo alle potenzialità effettive delle procure, ma anche al significato sistematico che devono avere le indagini preliminari all'interno dell'attuale sistema processuale così come delineato anche a livello costituzionale. Quindi, io sarei molto perplesso rispetto a questa modifica, che, non solo dal punto di vista della lettura del significato della formula lascia fin troppi spazi di incertezza – e sappiamo che gli spazi di incertezza quando vengono a incidere su formule che riguardano l'esercizio dell'azione penale, creano non poche perplessità alla luce della tenuta costituzionale rispetto all'articolo 112 della Costituzione – ma lo fa anche sul piano sistematico, perché in maniera surrettizia si verrebbe ad assecondare questa crescita del peso delle indagini preliminari su un sistema che almeno da un punto di vista delle linee programmatiche dovrebbe lasciare un significato al contraddittorio per la formazione della prova, così come indicato nell'articolo 111, quarto comma, della nostra Costituzione. L'inserzione di questa regola di giudizio all'esito dell'udienza preliminare altrettanto non mi pare un'inserzione che merita di essere condivisa. È vero che le udienze preliminari, come sappiamo, in una percentuale assai ridotta di casi, consentono di arrivare a una sentenza ex articolo 425. Il significato dell'udienza filtro non si avverte nella prassi applicativa, ma è anche vero che questo avviene perché troppo spesso, a mio avviso e non solo a mio avviso, la lettura che è stata data alla prassi applicativa è una lettura fin troppo severa e restrittiva dell'odierna regola di giudizio. Tutt'oggi, nel valutare l'insufficienza e la contraddittorietà della prova, è vero che il giudice dell'udienza preliminare deve mettere in considerazione quelle che possono essere le novità che possono discendere dal dibattimento e le novità che possono seguire anche semplicemente al diverso modo di escutere i testimoni, i consulenti, i periti e le parti medesime, ma è anche vero che nella realtà quotidiana – e chi svolge la professione di avvocato può averlo constatato in maniera abbastanza chiara – la lettura che viene data dai giudici dell'udienza preliminare è una lettura ancora più restrittiva. Non voglio dire che la non motivazione del rinvio a giudizio favorisce delle decisioni pigre, però indubbiamente la facilità con la quale si emette un decreto che dispone il giudizio in qualche modo incide anche sul dato statistico nettamente a favore di questa decisione, anche quando le considerazioni che devono essere formulate sulla base del materiale probatorio dovrebbero condurre a un'emissione di una sentenza ex articolo 425.
  Per quel che concerne la tematica dei giudizi speciali e dei procedimenti speciali, mi soffermerò in particolare sul patteggiamento allargato fino agli otto anni di pena detentiva e sul giudizio abbreviato. Sono sempre stato abbastanza contrario all'inserzione di momenti non cognitivi nell'ambito del procedimento penale. Si tratta di un male necessario. Gli stessi sistemi anglosassoni che hanno un'esperienza assai più consistente della nostra nell'utilizzazione di questi strumenti processuali riconoscono questo significato del patteggiamento, cioè di male necessario. Anche per un ordinamento assai più flessibile fin dall'inizio – pensate alle forme di disponibilità nell'esercizio dell'azione penale e di valorizzazione di interessi che il nostro pubblico ministero non può considerare ai sensi dell'articolo 112 – il patteggiamento è un male necessario. Un male necessario che a questo punto però ci porterebbe a ipotizzare le emissioni di sentenze per la quasi totalità delle fattispecie penali, se non quelle, e devo dire che non sono poche, che sono escluse espressamente e sono escluse peraltro spesso più sulla base di una valutazione di allarme sociale e di reazione sociale che di una considerazione dei disvalori che vengono ad essere coinvolti dalle singole fattispecie. Un esempio per tutti è l'atteggiamento nei confronti del reato di stalking che è indubbiamente un reato grave ed è un reato che in questi ultimi anni, del resto è da pochi anni che è previsto, spesso viene a essere oggetto dell'attenzione dei mass media, ma che, forse, da un punto di vista di comparazione rispetto ad altre fattispecie penali, non considerate sul piano delle esclusioni tassative, Pag. 22potrebbe giustificare qualche perplessità. La mia maggiore perplessità sta proprio nel fatto che il nostro ordinamento in questa maniera accetta l'idea che si possa arrivare a chiudere un procedimento senza accertamento, ed arrivare non a un accertamento pieno, ma solo a quell'accertamento sommario che anche con fatica la giurisprudenza riconosce essere presupposto necessario del patteggiamento. Il semplice accertamento negativo dei presupposti per l'applicazione dell'articolo 129 del codice di procedura penale non è rassicurante rispetto a un sistema che riconosce l'inviolabilità della libertà personale, quindi almeno per le pene detentive e in particolare per le pene detentive non sospendibili, quelle che quindi vanno al di là dell'originaria sfera di operatività del patteggiamento, possono essere irrogate con questo strumento. La crescita fino a otto anni poi non è assolutamente detto che assicuri un aumento dei casi di patteggiamento. Si sarà notato - e anche nell'ambito di queste audizioni mi pare già sia emerso - come la riforma del 2003, che ha portato fino a cinque anni il tetto di pena irrogabile con il patteggiamento, non ha avuto come corrispondenza una crescita dei casi di patteggiamento. Anzi i dati che ci sono forniti e che sono stati pubblicati e diffusi ci insegnano purtroppo che ciò non avviene. Forse bisogna abbandonare logiche molto intuitive, ma non sempre l'intuito porta alla soluzione corretta, quella per cui facendo crescere la sfera di operatività del patteggiamento, si aumenta anche la sua appetibilità e la sua applicazione concreta. Questo peraltro, ripeto, con un costo pesantissimo. È già pesante quello che è avvenuto con la riforma del 2003. Ora la situazione si accentua con questa ipotizzata applicazione del patteggiamento fino a otto anni di pena detentiva. Tra l'altro, mi pare che proprio il professor Preziosi, che è già stato sentito da questa Commissione, osservava come manchi un elemento di ricerca che sarebbe anche a mio avviso determinante, ovvero - questa è una mia idea ormai da oltre trent'anni - se non possiamo fare a meno di riconoscere che la pena applicata con il patteggiamento non è la pena giusta. Francesco Palazzo in un suo splendido intervento di alcuni anni fa distingueva tra la pena giusta discendente dall'applicazione dei criteri di commisurazione dell'articolo 133 del codice penale e la pena congrua che è quella richiesta dall'articolo 444 del codice penale. La pena congrua, per essere considerata tale, deve essere, a mio avviso, verificata sul piano pratico, nel senso che noi dovremmo avere la possibilità, sulla base dei dati statistici, di verificare per esempio se quella pena congrua, risultante dall'applicazione del patteggiamento, è una pena che ha avuto un significato sul piano della recidiva. Dovremmo verificare se questa pena ha avuto un significato su un piano di prevenzione speciale: se guardiamo anche cosa dice la Corte europea circa l'identificazione dei fini della sanzione penale, si tratta dell'elemento distintivo della pena in senso stretto. Laddove non ci siano questi dati, si naviga un po' a vista e a mio avviso invece sarebbe necessario avere dei dati rispetto ai quali poter misurare ciò che è avvenuto e poter prevedere in maniera razionale – prevedere ovviamente e non sapere con sicurezza – quelli che potrebbero essere gli impatti di modifiche così significative rispetto a elementi strutturali dal punto di vista garantistico del sistema sostanziale, processuale e penale.
  Passando poi al giudizio abbreviato, quest'ultimo viene a essere oggetto di una modifica che, a mio avviso, porta sostanzialmente a eliminare il significato del riferimento all'incidenza sul piano della tempistica dell'integrazione probatoria. Del resto basta ricordare cosa ha detto la Corte costituzionale nella sentenza n. 115 del 2001 quando, a proposito del giudizio abbreviato, ha sostanzialmente riconosciuto che il giudizio abbreviato comporta e determina sempre un'accelerazione dei tempi rispetto al giudizio dibattimentale, nella misura in cui mi si dice che nel procedimento per il giudizio abbreviato, laddove la richiesta sia condizionata dall'integrazione probatoria, questa integrazione sarà consentita se produce un'economia processuale in rapporto ai tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale. A mio avviso è Pag. 23quasi inevitabile che ciò avvenga sempre, anzi è inevitabile, e quindi questo sostanzialmente vuol dire eliminare la condizione. Diventa quindi una sorta di diritto al giudizio abbreviato condizionato. Basta esserne consapevoli e, sulla base di quello che ci diceva la Corte costituzionale nella sentenza n. 115 del 2001, forse è più saggio e più onesto eliminare questa condizione. A mio avviso, piuttosto, nella prospettiva delle alternative al giudizio ordinario, manca l'attenzione alle forme di mediazione e di conciliazione che possono incidere a vari livelli sull'intero procedimento penale. Possono incidere sui momenti iniziali, quindi evitando anche un esercizio dell'azione penale e possono incidere sui momenti di applicazione di istituti premiali. Per esempio, perché non condizionare, come in parte è avvenuto nel nostro ordinamento, il patteggiamento a forme di riparazione e a forme di conciliazione o anche semmai a percorsi mediativi all'interno dei quali si possa verificare il comportamento dell'imputato? Si potrebbe recuperare anche, per esempio, la sospensione del processo con affidamento alla prova non sempre e soltanto nella logica di estinzione del reato, ma anche in una logica di verifica dell'idoneità di un trattamento avvantaggiato sul piano delle conseguenze penali rispetto all'esito che sarebbe seguito a un giudizio ordinario. Quindi, vi è questa disattenzione nei confronti della mediazione, quando invece proprio dall'estero ci arrivano dati esperienziali che ci rassicurano sul piano della recidiva. Si ricorderà un articolo recentemente pubblicato dal professore Ciro Grandi, in cui si chiarisce come, addirittura nelle fasi successive all'applicazione della pena, il momento mediativo e conciliativo ha un significato sul piano deflattivo, perché viene a ridurre le ipotesi di recidiva e quindi le ipotesi di un nuovo procedimento.
  Vado avanti rapidamente, facendo solo un accenno al tema che è inserito nell'articolo 5 del disegno di legge riguardante il giudizio, in particolare alla lettera e) del comma 1, dove si prevede che la regola di cui all'articolo 190-bis, comma 1, del codice di procedura penale venga estesa anche all'audizione dei testimoni e dei coimputati ex articolo 210 quando ci troviamo in un caso di cambiamento dei componenti del collegio. Il problema è stato affrontato anche recentemente dalla Corte costituzionale e dalle Sezioni unite della Corte di cassazione. A mio avviso però ci si dimentica una cosa, ovvero qual è il male che si realizza in questi casi. Il male è la perdita della presenza dello stesso giudice, monocratico o collegiale, che aveva partecipato alla formazione della prova. Questo è il male. Invece di incidere sul male riducendo i casi in cui ciò si realizza, moltissimi lo hanno detto, perché non incidere per esempio sulla possibilità di rinviare un trasferimento laddove vi sia ancora un contenzioso particolarmente significativo da esaurire? Purtroppo ho visto anche procedimenti penali che sono durati per anni e poi nel momento della discussione il giudice si trasferisce e lascia la palla ad un altro giudice o addirittura a un altro collegio e ciò avviene più volte nel corso dello stesso procedimento. Indubbiamente, bisogna incidere sugli istituti interni alla carriera del magistrato e ai giusti trasferimenti che possono essere richiesti, ma che non possono incidere in maniera così diretta sulla funzionalità della giustizia. Invece di considerare il male, si cerca di inserire dei momenti di attenuazione, se non talvolta addirittura di spoliazione delle garanzie processuali. Qui si dimentica completamente il significato dell'immediatezza mentre alcuni autori, tra cui Ferrua e De Caro, che è già stato sentito da questa Commissione, riconoscono una valenza costituzionale al principio. Indubbiamente, anche se non fosse di valenza costituzionale, questo è un principio che non può essere messo da parte così facilmente o quanto meno può essere messo da parte dopo aver tentato tutte le altre soluzioni che da un lato lo mantengono e dall'altro assicurano una ragionevole celerità processuale.
  Un'ultima considerazione proprio su questo punto. Quando si dice che il nuovo giudice in fondo possiede i verbali e attraverso le videoregistrazioni potrebbe anche avere conoscenza di quel linguaggio espressivo cui spesso si fa riferimento per distinguere il giudice che ha partecipato direttamentePag. 24 all'istruzione dibattimentale e il giudice che la apprezza successivamente, si dimentica qualcosa di fondamentale. La partecipazione diretta alla formazione della prova, e chi ha un minimo di esperienza processuale non lo può negare, è completamente diversa da quella che è la conoscenza successiva a procedimento ormai avanzato, semmai con tutta una serie di elementi ulteriori. È la posizione in cui si viene a trovare il giudice che subentra a colui che, o per ragioni personali o per ragioni professionali o per ragioni di pensionamento, non è più facente parte del collegio o non è il giudice di quel processo. Vi ringrazio e rinvio quindi al contributo scritto le altre considerazioni, specialmente quelle in materia di impugnazione. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professore. Dovrebbero esserci dei colleghi che vogliono intervenire. Onorevole Conte, prego.

  FEDERICO CONTE (intervento da remoto). Buonasera, presidente e buonasera a tutti, commissari ed esperti auditi. Io voglio porre tre questioni. Quanto al primo punto, mi rivolgo in particolare all'avvocato Scarlato, che si è richiamato al suo elaborato e che su questi tre punti dà indicazioni puntuali, ma sintetiche.
  Il primo ha appena finito di trattarlo il professore Marzaduri, che ha espresso una delle posizioni più autorevolmente sostenute in dottrina sull'estensione dell'applicabilità dell'articolo 190-bis, comma 1. L'avvocato Scarlato invece, pur citando alcuni precedenti, riferendosi tra gli altri a De Caro, a Morosini, ma in particolare al presidente Canzio, non ha puntualizzato in che termini specifici egli ritiene non del tutto, almeno questa è la lettura che io faccio del suo elaborato scritto, da censurarsi questa ipotesi.
  La seconda questione che voglio porre riguarda la possibilità della celebrazione del grado di appello di processi con il rito monocratico. La collegialità è un valore, ma è sacrificabile rispetto a processi che già in primo grado sono stati celebrati da un solo giudice. È sacrificabile almeno per una parte dei reati, per un certo novero dei reati trattabili in primo grado davanti al giudice monocratico. Per essere più esplicito, si potrebbe immaginare una deroga al valore della collegialità per i reati minori, mantenendolo invece per reati pure di rito monocratico ma di particolare significato e rilevanza? Penso tra gli altri alla lottizzazione abusiva, una contravvenzione che ha prodotto una giurisprudenza particolarmente complessa e qualificata.
  La terza ed ultima questione è relativa agli interventi che questo disegno di legge delega prevede in termini deflattivi di depenalizzazione in particolare, non deflattivi del rito. Si è già detto tanto sul patteggiamento, ma ovviamente ogni altro contributo è rilevante sul patteggiamento super allargato. Invece qualcosa vorrei sentire dire sui meccanismi deflattivi che riguardano i meccanismi di estinzione, non solo delle contravvenzioni, ma anche eventualmente dei diritti. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Conte. Onorevole Bazoli, prego.

  ALFREDO BAZOLI (intervento da remoto). Buonasera. Ho una domanda molto veloce e molto semplice che mi è stata stimolata dall'ultima considerazione del professor Marzaduri, perché nel disegno di legge delega c'è, all'articolo 10, un'estensione del principio dell'archiviazione condizionata per le contravvenzioni. Qualche altro audito ha ipotizzato che sarebbe il caso di estendere questo principio dell'archiviazione condizionata – quindi la valorizzazione proprio della giustizia riparativa con un'archiviazione che è condizionata all'adempimento di alcuni obblighi ripristinatori, restitutori o risarcitori – perché questo potrebbe essere un ottimo sistema deflattivo, che insieme consente anche una forma di riparazione del danno commesso. Si tratterebbe quindi di un'applicazione molto moderna dello strumento della sanzione penale e della repressione penale, in linea con i sistemi più avanzati. Ci è stato riferito che in altri ordinamenti, in particolare in Germania, questo sistema funziona benissimo e consente un'enorme deflazione dei procedimenti davanti agli uffici Pag. 25giudiziari. A me pare che questa sia una cosa molto interessante, che sarebbe utile approfondire e perseguire. Mi pare che l'indicazione che ci veniva dal professor Marzaduri fosse più o meno in questa direzione. Mi chiedo se non si potrebbe cogliere, dal disegno di legge, l'opportunità offerta dall'articolo 10, provando a estendere in modo calibrato, ma ragionato e più diffuso possibile, lo strumento di archiviazione condizionata per far fare un grande salto di qualità non solo al nostro sistema penale, ma anche probabilmente all'obiettivo che ci siamo assegnati, che è quello di consentire una deflazione significativa del lavoro degli uffici giudiziari che oggi comporta tempi lunghissimi e via dicendo. Quindi, su questo volevo un'opinione e una valutazione anche dall'altro audito, se ha voglia di intervenire. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bazoli. Onorevole Vitiello, prego.

  CATELLO VITIELLO (intervento da remoto). Grazie, presidente. In maniera molto sintetica, voglio rivolgere una domanda al professore Marzaduri, ma mi rivolgo naturalmente anche al professor Scarlato, qualora ritenga di darci un contributo in merito.
  La grande assente di questa riforma è la cautela. Ho ascoltato con estremo piacere il suo intervento, professor Marzaduri, perché ha fatto riferimento agli equilibri processuali e a come, nel momento in cui si incide su un passaggio, si alterano questi equilibri e si va in un senso o nell'altro naturalmente rispetto ai modelli processuali di riferimento. Le chiedo, posto che sappiamo tutti qual è il peso di un'ordinanza di custodia cautelare, qual è il suo peso all'interno della regola di giudizio attuale dell'udienza preliminare e qual è il peso che avrà nel dibattimento, come incide questa riforma sulle regole che noi sappiamo ormai cristallizzate dalla giurisprudenza in termini di cautela? Che tipo di peso si avrà del giudicato cautelare rispetto alla decisione invece del procedimento principale, cioè quello del giudizio di merito vero e proprio? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Vitiello. Non essendoci altri interventi, do la parola all'avvocato Scarlato per la replica.

  GUGLIELMO SCARLATO, esperto (intervento da remoto). Rispondo subito alla sollecitazione in tema di strategie connesse a condotte ripristinatorie producenti l'effetto estintivo del reato. Io ne parlo a pagina 4 del mio elaborato scritto, ritenendo che questa possa essere una sollecitazione da introdurre sistematicamente nell'ordinamento, perché già adesso rivela una particolare efficacia laddove è contemplata e cioè negli articoli 318-bis e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006, il cosiddetto «Codice dell'ambiente». Le contravvenzioni in materia ambientale, laddove vi sia una ripristino dello status quo ante del territorio segnato dall'intervento costitutivo di reato, insieme con il pagamento di un quarto del massimo previsto per l'ammenda, determinano l'estinzione del reato. Si può addirittura evitare l'esercizio dell'azione penale, perché alcune, non tutte, procure della Repubblica italiana hanno adottato linee guida attraverso le quali gli organi chiamati all'accertamento dei fatti costitutivi di reato in materia individuano prescrizioni da imporre ai soggetti sottoposti a un procedimento virtuale e non ancora scattato integralmente, per poter indurre ad adottare queste condotte ripristinatorie, a versare la somma prevista a titolo di virtuale oblazione e quindi a estinguere lo sviluppo del procedimento. Perché circoscrivere tutto questo solo alla materia delle contravvenzioni ambientali? Ove tra le altre cose questa previsione non è limitata alle contravvenzioni che contemplano una pena alternativa o una pena esclusivamente pecuniaria, per cui alcune sedi giudiziarie ritengono di applicare questo tipo di previsione anche alle ipotesi di contravvenzione che contempli una pena congiunta. Credo che invece un'estensione di questo tipo di soluzione pre-procedimentale possa essere estremamente propizia per evitare che si ingolfino gli uffici giudiziari di procedimenti che potrebbero essere utilmente risolti prima.Pag. 26
  Tra le altre cose io ipotizzo altre soluzioni di questo genere per evitare un impatto troppo stringente sugli uffici giudiziari. Per esempio, io immagino che la condotta riparatoria di cui all'articolo 162-ter del codice penale non debba essere circoscritta solo ai reati perseguibili a querela, come adesso è previsto dalla norma, perché è immaginabile che attraverso la valutazione di congruità dell'offerta reale fatta dal giudice procedente, questa possa essere una soluzione di forte impatto pratico senza nessuna conseguenza lesiva per gli interessi specifici e concreti della persona offesa. Ancora, io credo che si possa estendere la portata dei reati perseguibili a querela. Allargando l'ipotizzabilità di una platea più ampia dei reati perseguibili a querela, si potrebbe evitare un impatto troppo pesante negli uffici giudiziari di procedimenti che attraverso la composizione tra le parti potrebbero trovare un approdo meno ingolfante. È, inoltre, possibile immaginare un'estensione più granitica e radicale del procedimento relativo all'oblazione, estendendolo a questo punto in maniera netta anche alle contravvenzioni che contemplano pena congiunta o addirittura ai delitti che sono abbinati soltanto a sanzioni pecuniarie.
  In buona sostanza, io immagino che l'intervento tendente a evitare un ingolfamento degli uffici giudiziari non debba essere fatto solo sul versante del processo penale, ma possa essere fatto anche sul versante del codice di diritto sostanziale attraverso un'ampia depenalizzazione e attraverso la scelta di soluzioni alternative rispetto a quelle attualmente previste per la definizione delle situazioni o in attesa di sviluppo giudiziario o comunque già approdate nelle aule di giustizia.
  Quanto alla sollecitazione che mi veniva dall'onorevole Conte, a proposito di un'opinione più nettamente espressa in relazione all'ampliamento della portata dell'articolo 190-bis introdotto dall'articolo 5 del disegno di legge in esame, devo dire che, per quanto si possa discutere del principio di immediatezza e della sua costituzionalizzazione, resta inteso che la ratio fondante del nostro sistema processuale è data dalla regola secondo cui il giudice che giudica è colui che ha visto sfilare davanti a sé la prova, non colui che l'ha letta. Se fosse così, noi finiremmo addirittura per tradire un principio che abbiamo travasato con la sentenza Dasgupta in Cassazione e successivamente con gli interventi sull'impianto normativo in sede d'appello e cioè quello secondo il quale, quando è ipotizzabile la riforma di una sentenza di primo grado in senso peggiorativo rispetto agli interessi dell'imputato, questa non può essere fatta attraverso una semplice rivalutazione scritta della prova posta a base della sua assoluzione, ma occorre ripetere la prova stessa al cospetto del collegio decidente. Se si è voluto che anche il giudice d'appello, che è un giudice che rilegge, debba vedere scoronciata davanti a sé la prova decisiva prima di pervenire a una reformatio in peius su impugnazione del pubblico ministero di una sentenza liberatoria di primo grado, allora viva Dio, noi non possiamo immaginare che il primo grado sia sviluppato da magistrati, alcuni dei quali, se si tratta di problemi di processo davanti al collegio, hanno avuto una percezione diretta dello sviluppo della prova e altri invece si inanellano avendo una narrazione scritta o il racconto verbale di essa che ne fanno i colleghi in camera di consiglio. Posto tutto questo, dopo gli interventi abbondantemente citati della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo, che hanno fornito qualche eccezione al principio trasfuso nelle nostre corde, ho immaginato che la possibilità di ripetere la prova solo quando essa fosse importante e determinante e la sua importanza e la sua determinatezza rispetto al decidere fossero adeguatamente dimostrate dall'istante, sia in qualche modo trasfusa nel testo normativo come presupposto per contemplare l'applicazione modulata e calibrata dell'articolo 190-bis in maniera più ampia. Io immaginavo che con questo, raccordandomi alla soluzione ipotizzata dal presidente Canzio, potessimo dare un colpo al cerchio ed uno alla botte. Resta inteso però che occorre ribadire con forza che il principio è quello dell'immediatezza, è quello dell'unicità del giudice, è quello dell'oralità Pag. 27e della prova che si forma di fronte al giudice che è chiamato a decidere. Una volta che questo fosse il principio scultoreamente fissato e se ne immaginasse una timida eccezione perfettamente circoscritta nel contesto normativo, allora forse potremmo immaginare una compatibilità del sistema con le ragioni legate al cambio di rotta che di tanto in tanto si verifica nei collegi o al cambio di giudice che di tanto in tanto si verifica al cospetto dell'esperienza del rito monocratico.
  Voglio dire un'ultima cosa, perché altrimenti rischio il profluvio. Una cosa che ritengo debba essere radicalmente rimossa è l'udienza filtro davanti al giudice monocratico che sarebbe una sterile ripetizione dell'udienza preliminare di cui tutti abbiamo celebrato il clamoroso e costante insuccesso e anziché intervenire pesantemente su di essa per darle un significato, finiremo per riproporla anche davanti al giudice monocratico, per di più determinando un profluvio di incompatibilità che soprattutto nelle piccole sedi giudiziarie rischierebbe davvero di determinare la paralisi della giustizia.
  Non vado oltre perché i temi sono tanti e la mia inadeguatezza è palese.

  PRESIDENTE. Ci mancherebbe anche. Grazie, avvocato Scarlato. Professor Marzaduri.

  ENRICO MARZADURI, professore di procedura penale presso l'Università degli studi di Pisa (intervento da remoto). Io non posso che condividere quanto ha ottimamente già detto l'avvocato Scarlato, su tutti i piani, con forse un atteggiamento ancora più preoccupato rispetto all'utilizzazione dello schema dell'articolo 190-bis, anche perché tale articolo, come ben sappiamo, elimina ogni momento di riconoscimento del diritto alla prova, perché gli spazi nei quali si inserisce l'intervento della parte è sempre subordinato ad una valutazione discrezionale del giudice. L'articolo 190-bis, comma 1, si conclude con riferimento alla possibilità che il giudice o taluna delle parti ritengano necessario l'esame diretto sulla base di specifiche esigenze; ma mentre il giudice valuterà autonomamente la sussistenza o meno delle specifiche esigenze e disporrà l'esame dei soggetti che altrimenti non verrebbero esaminati, la parte potrà soltanto sollecitare, ma non ha uno spazio di riconosciuto diritto alla prova. Quindi qualche preoccupazione io la manterrei comunque.
  Per quanto attiene al tema delle contravvenzioni, non posso che ripetere che sono pienamente d'accordo con l'avvocato Scarlato. Mi pare che anche il professor Masucci fosse intervenuto in una precedente audizione e io non posso che condividere il suo pensiero, anche per un'estensione a fatti delittuosi all'interno dei quali si possa apprezzare il disvalore integralmente in una prospettiva patrimoniale e quindi attraverso una selezione che deve essere fatta sul piano delle sotto fattispecie penali. Faccio un esempio: non tutte le truffe, ma alcune truffe potrebbero essere anche trattate in questo modo o alcune forme di insolvenza fraudolenta, laddove non emergano profili di disvalore che invece sopravvivono alle soluzioni riparative che vengono a essere prospettate oggi soltanto per le contravvenzioni. Quindi, con una certa attenzione alla rilevanza che può avere la condotta concreta e quindi affidando alla saggia discrezionalità del giudice l'individuazione nei casi in cui si possa utilizzare uno strumento che merita sicuramente di essere potenziato, come del resto anche l'esperienza di altri ordinamenti ci può insegnare.
  Quanto alla collegialità, si tratta di un bene costituzionale nella misura in cui nell'articolo 106, secondo comma, della Costituzione, si consente la nomina di giudici onorari per le funzioni che vengono riconosciute ai giudici singoli. Evidentemente questa disposizione implicitamente individua per la collegialità uno spazio di intervento riguardante le vicende di maggiore rilievo; e il momento del controllo è, a mio avviso, uno dei momenti di maggiore rilievo. Del resto, come è stato anche osservato recentemente da un giovane dottorando pisano, Agostino, se noi applicassimo questa regola, ci troveremmo con un giudizio collegiale per esempio in sede di riesame o di appello cautelare anche su un Pag. 28sequestro di minima importanza e dovremmo invece constatare un giudice collegiale anche per fatti di rilevanza penale cui sono conseguite sanzioni non indifferenti. Il fatto che in primo grado ci sia stato soltanto un giudice monocratico, invece che giustificare un controllo di secondo grado anch'esso monocratico, dovrebbe spingere a pensare che un giudice collegiale sia più che mai opportuno, se non necessario. La collegialità non è semplicemente una questione di numeri, ma, come meglio di me sanno i magistrati, è un momento di dialettica interna che consente talora, anzi, di superare prima, sul piano della tempistica, certi problemi che un giudice monocratico giustamente coscienzioso, ma senza riferimenti immediati, può coltivare per più tempo. Quindi, la collegialità non si traduce in un aggravio inutile. Del resto, come è stato rilevato anche in precedenti audizioni, bisogna osservare che, laddove si seguisse la logica dell'appello monocratico, il carico di lavoro non potrebbe poi mutare molto, perché all'interno del collegio c'è un giudice relatore ed estensore della motivazione della sentenza ed è quel giudice monocratico su cui gravano gli appelli. Di fatto, come è stato già detto, le capacità di lavoro rimarrebbero le stesse, mentre ci sarebbero difficoltà logistiche non indifferenti per assicurare lo sviluppo di procedimenti in appello monocratici - laddove davvero si volesse coltivare questa ipotesi - sul piano delle aule, delle assistenze e dei segretari e cancellieri in udienza. Questa cosa non è da poco, ma si aggiunge alla perdita del valore della collegialità che noi abbiamo avvertito non essere cosa da poco, proprio quando sono state fatte le scelte nella distribuzione con la riforma del giudice unico tra giudice monocratico e giudice collegiale. Semmai, vista l'attuale distribuzione che vede una grande maggioranza delle pendenze penali gravare sul tribunale monocratico, addirittura andrei in una direzione opposta rispetto a quella che emerge dal disegno di legge e sarei anzi per riflettere sull'attribuzione al collegio di alcune delle importanti fattispecie penali che vengono riservate oggi al giudice monocratico.
  Quanto poi al discorso delle cautele, è vero, non si parla delle cautele né di quelle reali né di quelle personali. Secondo me un riflesso potrebbe discendere proprio da quella diversa regola di giudizio che viene ipotizzata all'esito delle indagini preliminari per l'esercizio dell'azione penale e all'esito dell'udienza preliminare, in particolare la prima, poiché il campo di esistenza dei proventi cautelari è innanzitutto la fase delle indagini preliminari. Faccio questa riflessione: se si innalza, come si vuole fare, la severità della regola di giudizio e quindi l'esercizio dell'azione penale è subordinato a una ragionevole valutazione dell'accoglimento dell'impostazione accusatoria in giudizio, la valutazione di gravità indiziaria all'articolo 273 del codice di procedura penale dovrebbe essere qualcosa di ancora più significativo e ancora più rigoroso. Del resto in questo caso, e non è un paradosso, la crescita della severità del giudizio per introdurre una misura cautelare personale non va contro le esigenze di tutela della libertà personale. Lo riconosceva in maniera molto chiara la Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 1980, quella sentenza che ha praticamente sdoganato la finalità di prevenzione speciale per le misure cautelari personali. In questa sentenza si osservava come più rigoroso è il giudizio per introdurre una misura cautelare personale, minori sono le possibilità che questa misura venga a gravare sulla libertà personale di un soggetto che possa essere prosciolto all'esito del processo con un'evidente violazione del principio di proporzionalità di cui all'articolo 275. In questo caso, sia pure in maniera indiretta, forse quella giurisprudenza, che oggi non sempre ma in maniera abbastanza significativa sul piano statistico allude all'articolo 273 come a una disposizione che impone una ragionevole probabilità di condanna, potrebbe diventare anche qualcosa di più che una ragionevole probabilità come valutazione prognostica e come valutazione che deve essere un presupposto necessario di una misura cautelare personale. Semmai, ci sarebbe da recuperare un'altra considerazione che venne fatta nel corso di elaborazione del codice del 1988, vale a Pag. 29dire se questo elemento di fumus commissi delicti deve valere per tutte le misure cautelari personali negli stessi termini o se, per esempio, potrebbe essere una soluzione – proprio alla luce di questa crescita sul piano della severità dell'articolo 273 – riservare la gravità indiziaria intesa in questi termini per le misure detentive o paradetentive e lasciare rispetto alle altre una valutazione meno impegnativa, dal momento che non si viene a restringere la libertà personale in senso stretto, anche se si restringono delle libertà fondamentali, come la libertà di circolazione. Io mi fermerei qui.

  PRESIDENTE. Bene, professor Marzaduri, ringrazio lei e l'avvocato Scarlato per i contributi forniti. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione depositata dall'avvocato Scarlato. Ricordo ai colleghi che ci vediamo alle 18.30 per proseguire i lavori della Commissione. Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 18.

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