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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Mercoledì 8 maggio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Grande Marta , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE DINAMICHE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE E INTERESSE NAZIONALE

Audizione del sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Manlio Di Stefano.
Grande Marta , Presidente ... 3 
Di Stefano Manlio (M5S) , sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale ... 3 
Grande Marta , Presidente ... 11 
Scalfarotto Ivan (PD)  ... 11 
Suriano Simona (M5S)  ... 14 
Fassino Piero (PD)  ... 14 
Cabras Pino (M5S)  ... 15 
Fassino Piero (PD)  ... 16 
Grande Marta , Presidente ... 16 
Cabras Pino (M5S)  ... 16 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 16 
Grande Marta , Presidente ... 16 
Di Stefano Manlio (M5S) , sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale ... 16 
Fassino Piero , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARTA GRANDE

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, nonché la trasmissione sul canale della web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Manlio Di Stefano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle dinamiche del commercio internazionale e interesse nazionale, l'audizione del sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Manlio Di Stefano.
  Saluto e ringrazio il sottosegretario Di Stefano per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori. L'audizione odierna riveste particolare interesse rispetto ad uno scenario internazionale in cui i conflitti tra Stati, e soprattutto tra i grandi attori globali, assumono sempre di più il carattere di guerre commerciali, i cui strascichi in termini di tragedie umane, povertà e mancato sviluppo sono di difficile misurazione, ma del tutto paragonabili a quelli propri dei conflitti armati.
  Penso al rapporto tra l'attuale Amministrazione degli Stati Uniti e la Cina, ma anche tra Serbia e Kosovo, per segnare una crisi in atto nel nostro quadrante regionale. È pertanto significativo approfondire il posizionamento del nostro Paese in questo contesto, nella consapevolezza di quanto le dinamiche del commercio internazionale siano cruciali, certamente per l'evoluzione dell'economia nazionale, come è emerso in occasione dell'ultimo Documento di economia e finanza, e per lo stesso mantenimento di pace e sicurezza a livello globale.
  Non vi è dubbio che l'audizione di oggi è di grande interesse anche alla luce delle recenti intese tra Italia e Cina nel quadro del rafforzamento del partenariato strategico globale e bilaterale istituito quindici anni orsono.
  Nel comunicato congiunto, diramato al termine del vertice, le due parti sottolineano, in tema di commercio internazionale, la necessità di difendere un'economia mondiale aperta e inclusiva e si impegnano a lavorare di concerto per combattere ogni forma di protezionismo, promuovere la liberalizzazione e la facilitazione del commercio e degli investimenti, mantenere la centralità dell'Organizzazione mondiale per il commercio.
  L'audizione ci consentirà dunque di acquisire ulteriori elementi informativi sul complesso di questi accordi nonché sulle ulteriori iniziative che il Governo italiano intende assumere per consolidare e promuovere le potenzialità del nostro sistema di export, da sempre settore trainante dell'economia nazionale nel contesto delle dinamiche attuali del commercio internazionale.
  Sono lieta di dare la parola al sottosegretario Di Stefano affinché svolga il suo intervento. Grazie.

  MANLIO DI STEFANO, sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale. Grazie, presidente. Ringrazio tutti voi per la presenza e per l'attenzione Pag. 4 a questo tema di assoluto rilievo per i nostri interessi nazionali.
  Il commercio multilaterale, come citato dalla presidente, è oggetto di intenso e complesso dibattito in questi ultimi mesi e forse anche anni. Investe per l'Italia un valore strategico quale motore tra i più potenti nella crescita dell'occupazione.
  Il dibattito, ovviamente, riverbera inevitabilmente sul ruolo di leadership che l'Unione europea svolge e deve svolgere in materia commerciale per promuovere i suoi obiettivi fondanti.
  Rappresenta, tra l'altro, quella che dovrebbe essere una voce unitaria di 500 milioni di cittadini europei consumatori, imprenditori, operatori commerciali e rappresentanti della società civile.
  Sono proprio i cittadini europei, e in particolare gli italiani, a chiedere con sempre maggiore frequenza e intensità risposte e rassicurazioni sui benefici del libero commercio.
  Se guardiamo ai numeri, ci confrontiamo con un impatto tradizionalmente significativo per l'Italia alla luce del forte grado di internazionalizzazione del nostro Paese. Siamo nono esportatore mondiale e sesto Paese per avanzo della bilancia commerciale.
  Nel 2018 le nostre esportazioni hanno registrato un incremento del 3,1 per cento e un valore di circa 463 miliardi di euro, pari a circa il 26 per cento del PIL.
  Gli accordi di libero scambio conclusi con Corea del Sud e Canada hanno segnato un trend positivo. Tra il 2011 e il 2018 l'Italia ha aumentato le esportazioni verso la Corea del Sud del 56,2 per cento, mentre nel 2018, primo anno solare di applicazione provvisoria del CETA (Comprehensive economic and trade agreement), le relazioni commerciali italo-canadesi hanno esibito un saldo commerciale a nostro favore che supera i 2,6 miliardi di euro.
  In un'ottica di laica analisi dei dati, non abbiamo, però, riferimenti scientifici sulla diretta correlazione tra il trend positivo consolidato ormai da anni con il Canada e il CETA e abbiamo, invece, evidenti perplessità su alcune criticità dell'accordo che stiamo analizzando con tutti i portatori di interesse in una specifica task force istituita al Ministero dello sviluppo economico, all'interno di una più ampia serie di incontri legati ai propri accordi di libero scambio.
  Continuiamo a lavorare con gli altri Paesi UE, a Bruxelles, con Ottawa per assicurare la gestione delle criticità che riteniamo impediscano ancora la piena attuazione dell'accordo. L'occupazione collegata alle esportazioni extra UE ha raggiunto nel 2017 la quota di 3,2 milioni di posti di lavoro, il 13 per cento del totale, con un aumento superiore al 50 per cento rispetto al 2000.
  Di questi, 2,7 milioni di posti di lavoro sono creati direttamente da esportazioni italiane, mentre altri 500 mila sono originati dalle esportazioni extra UE di altri Stati membri in virtù dell'integrazione, particolarmente elevata per l'Italia, nelle catene di valore globale: sostanzialmente i prodotti italiani che vanno a comporre merce poi venduta da altri Paesi europei.
  La cifra di 3,2 milioni di posti di lavoro, collegata alle esportazioni extra UE, attesta l'Italia quale quarto Paese per occupazione collegata all’export extra UE dopo la Germania, il Regno Unito e la Francia.
  Tali dati positivi si inseriscono, tuttavia, in uno scenario più generale di decelerazione del commercio internazionale.
  Secondo le stime del Centraal Planbureau, nel 2018 la crescita del commercio mondiale in volume si è attestata al 3,3 per cento contro il 4,7 del 2017. Ovviamente, se volete, sono disponibili le fonti di tutti questi dati che vi sto fornendo, così da poter avere accesso anche ad altre informazioni.
  Ciò è confermato dal World Trade Outlook Indicator (WTOI), pubblicato il 19 febbraio 2019, che indica un durevole rallentamento del commercio mondiale. Anche secondo le ultime prospettive economiche dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), pur rimanendo forte la crescita economica globale confrontata con rischi crescenti, tra i quali l'aumento delle tensioni commerciali e il peggioramento dei trend finanziari di alcuni Paesi – la crisi finanziaria del 2008 e le successive difficoltà di aggiustamento in Pag. 5molti Paesi hanno inciso sui ritmi di espansione del commercio internazionale, fortemente ridimensionati rispetto a quelli precedenti – con un costo anche per l'Italia.
  Tuttavia, nonostante il ridimensionamento del commercio mondiale e un generale rallentamento dell'economia del nostro Paese, secondo il rapporto sull’export di SACE, le esportazioni hanno fornito l'unico apporto positivo alla crescita economica del Paese. Negli ultimi sette anni senza il contributo dell’export il PIL italiano sarebbe inferiore di oltre 6 punti percentuali.
  Infine, sul rallentamento delle nostre esportazioni nell'ultimo anno, che registrano una crescita del 3,1 per cento rispetto all'incremento del 7,6 nel 2016, potrebbe avere influito l'impatto indiretto delle misure protezionistiche dovute, ad esempio, agli effetti sulle esportazioni italiane di acciaio e alluminio verso la Germania, primo esportatore europeo di prodotti in metallo verso gli Stati Uniti. Tale dato appare comunque, allo stato attuale, di difficile quantificazione.
  L'attuale delicato passaggio congiunturale si salda con la crisi più profonda mai registrata dall'Organizzazione mondiale del commercio e resta evidente dagli esiti della ministeriale del dicembre 2017 di Buenos Aires, che ha certificato uno stallo riconducibile alla mai decollata Agenda di Doha del 2001.
  Il forte rischio di marginalizzazione e irrilevanza dell'Organizzazione è acuito dal fatto che, a differenza dei precedenti passaggi di crisi delle sole funzioni negoziali, sono oggi minacciate l'attività ordinaria di amministrazione e monitoraggio degli accordi multilaterali e plurilaterali di competenza, nonché il meccanismo di soluzione delle controversie, tradizionale pilastro posto a garanzia del rispetto degli impegni commerciali degli Stati membri.
  Sullo sfondo permane la tradizionale divaricazione tra i Paesi in via di sviluppo, alfieri di una visione dell'Organizzazione mondiale del commercio riparatrice delle ingiustizie subite e di un approccio di inclusività, di specialità e trasferimento di adeguate tecnologie, e i Paesi avanzati, interessati a estendere le norme dell'Organizzazione mondiale del commercio ai nuovi settori in rapida crescita, come l’e-commerce, la regolamentazione domestica del settore dei servizi, le piccole e medie imprese (PMI), temi sui quali l'Italia ovviamente ha sostenuto un profilato impegno dell'UE.
  È proprio in tale fase, che porta i segni della crisi del 2008, che sta incubando crescenti spinte protezionistiche e che riflette il disagio crescente dell'opinione pubblica per l'impatto più critico della liberalizzazione commerciale, che appaiono urgenti il rilancio e il rafforzamento della leadership europea in materia commerciale a tutela della capacità produttiva e tecnologica dell'Unione.
  Nel 2050 nessuna economia europea sarà fra le otto maggiori a livello globale. Per salvaguardare l'occupazione e crescere, le imprese dovranno assicurarsi un accesso ai mercati più dinamici nell'ottica di un modello di scambio aperto e regolato a livello multilaterale, con la UE protagonista.
  Si tratta di consolidare ed espandere un processo che è stato, peraltro, già avviato. Fin dal maggio 2017, la presentazione del Reflection Paper On Harnessing Globalisation della Commissione europea ha segnato un passaggio decisivo nel rilancio dell'UE come attore globale che protegge i propri interessi e promuove i propri valori.
  È stata pertanto varata la definizione di efficaci strumenti difensivi mirati a tutelare i princìpi del multilateralismo commerciale, aggredire le misure distorsive del mercato e favorire un'equa ripartizione dei benefici della globalizzazione. Il programma di interventi europeo ha incluso l'approvazione del nuovo metodo di calcolo del margine anti-dumping introdotto il 20 dicembre 2017, predisposto a fronte della richiesta di Pechino di riconoscimento dello status di economia di mercato.
  Al fine di evitare che il suddetto riconoscimento sterilizzasse le difese commerciali contro le importazioni cinesi sottocosto, l'UE ha introdotto un sistema neutrale che consente di aggredire ogni rilevante distorsione di mercato indipendentemente dall'origine geografica dei beni importati, Pag. 6in linea con le previsioni degli accordi OMC. È tuttora in corso, peraltro, un contenzioso UE-Cina, in seno all'OMC, proprio sulla concessione dello status di economia di mercato.
  L'avvio della cooperazione sul tema dei sussidi distorsivi per il commercio, lanciata a Buenos Aires a margine della ministeriale del dicembre 2017, con la dichiarazione congiunta Unione europea, Giappone e Stati Uniti è mirata a consentire un'azione condivisa in una cornice OMC, rivolta ai grandi sussidiatori come la Cina.
  Terzo punto: la modernizzazione degli strumenti di difesa commerciale finalizzata ad assicurare una più efficace tutela dell'Unione rispetto al dumping ambientale e sociale.
  Grazie a questa normativa l'UE ha gli strumenti per fissare dazi più elevati sulle importazioni che configurano dumping e sussidi distorsivi, per ridurre la durata delle indagini sui casi di anti-dumping, per garantire la partecipazione dei sindacati e maggiore assistenza alle piccole e medie imprese grazie alla creazione di un help-desk dedicato, per assicurare agli importatori europei un quadro informativo completo ed efficace mediante l'obbligo di un preavviso informativo di tre settimane sulle misure anti-dumping che saranno adottate.
  Inoltre, c'è l'adozione di numerosi dazi anti-dumping con prodotti cinesi e l'attivazione il 1° giugno della richiesta di consultazioni con la Cina sulla protezione dei segreti commerciali e sul trasferimento forzato di tecnologie per ribadire l'imprescindibile rispetto del multilateralismo disciplinato da regole certe contro il protezionismo e contro la concorrenza sleale.
  Sempre con riferimento ai rapporti con la Cina, il ruolo proattivo svolto da Bruxelles per coinvolgere Pechino in un'azione a sostegno del multilateralismo commerciale ha portato all'impegno cinese a collaborare per la riforma dell'OMC, annunciato in occasione del ventesimo vertice UE-Cina del 17 luglio 2018 e da ultimo ribadito in occasione del ventunesimo vertice UE-Cina del 9 aprile 2019, nonché a lavorare alla ricerca di una soluzione condivisa sulla questione della sovraccapacità di produzione globale di acciaio, e sul rilancio della riforma dell'Organizzazione mondiale del commercio, con particolare riferimento alla necessità di una profonda revisione del regolamento dell'organizzazione al fine di assicurare pari opportunità e pari accesso agli operatori commerciali.
  In occasione del vertice G20 di Buenos Aires, l'Unione europea e i suoi Stati membri hanno svolto un ruolo di primo piano per lanciare un forte messaggio di sostegno del G20 al processo di riforma come riflesso del comunicato finale adottato dai leader. Lo spettro degli investimenti auspicati e riflessi nel documento predisposto dalla Commissione a seguito del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno, particolarmente ampio, investe i temi dei sussidi, delle imprese di Stato, dell'accesso al mercato e alle barriere tariffarie e della tutela della proprietà intellettuale.
  Sull’impasse di funzionamento, determinata dal potere di veto di parte della membership sul processo negoziale, la Commissione propone un approccio di multilateralismo flessibile. Qualora sia verificata l'impossibilità di esiti multilaterali su determinati temi, si prevedono discussioni negoziali plurilaterali da parte di coalizioni di volenterosi – così definite – a composizione variabile. Al centro dell'azione della Commissione vi è anche l'attuale crisi dell'organo di appello nel sistema di risoluzione delle controversie, che vede il numero di membri giudicanti operativi sceso da sette a tre, che è il numero minimo, per lo stallo del processo di sostituzione dei membri provocato dalla rigida posizione americana, con il rischio concreto di una paralisi dell'organo dal dicembre 2019, quando scadrà il mandato di altri due giudici.
  La Commissione intende proporre uno sblocco delle designazioni, reso possibile da una maggiore efficienza delle procedure, da una maggiore interazione tra i membri dell'OMC e l'organo di appello e dal rafforzamento dell'indipendenza di tale organo.
  Prioritaria per la Commissione è poi una riflessione sull'impatto dei nuovi equilibri economici e in particolare della rapida Pag. 7crescita di alcuni Paesi in via di sviluppo ai fini della ricalibratura della concessione dei trattamenti speciali e differenziati previsti dagli accordi OMC.
  Sul punto si registrano le resistenze di alcuni Paesi che, ad oggi, mantengono la qualifica di Paesi in via di sviluppo – soprattutto grandi economie, quali la Cina – i quali non intendono rinunciare alle condizioni di favore previste dagli accordi OMC indistintamente per tutti i Paesi in via di sviluppo e assumere impegni in linea con il loro reale status economico.
  L'avvio di una collaborazione UE-USA, formalizzata nella dichiarazione congiunta Junker-Trump del 25 luglio 2018, mira ad affrontare, anche nella cornice della riforma OMC, pratiche commerciali sleali tra le quali il furto di proprietà intellettuale, il trasferimento forzato di tecnologie, i sussidi industriali e le distorsioni create dalle imprese statali, la sovraccapacità.
  L'adozione il 5 marzo scorso del regolamento UE riguardante lo screening degli investimenti diretti esteri è intesa a dotare l'UE e gli Stati membri di un meccanismo per schermare i settori strategici europei da possibili iniziative predatorie da parte di investitori esteri, spesso emanazione diretta o indiretta di economie stataliste alimentate da risorse non reperite in condizioni di mercato.
  Anche gli accordi commerciali dell'Unione europea riflettono un nuovo approccio. I cosiddetti accordi di nuova generazione superano le sole riduzioni tariffarie e offrono piattaforme strutturate per affrontare in dettaglio gli aspetti di governance, nonché gli standard sociali, lavorativi e ambientali nel segno della sostenibilità.
  Ad esempio, con riferimento agli accordi già conclusi, gli accordi con il Canada e con il Giappone, fermo restando quanto affermato precedentemente, contengono misure di carattere innovativo relative alla tutela avanzata dei diritti dei lavoratori e all'impegno ad una stretta cooperazione delle parti sui temi della protezione dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile grazie alla previsione di disposizioni vincolanti in materia.
  Gli accordi integrano gli obblighi delle parti in merito all'osservanza delle norme internazionali in materia di diritti dei lavoratori e di protezione dell'ambiente e conferiscono alla società civile un ruolo importante nel monitoraggio e nell'attuazione degli impegni assunti; inoltre, istituiscono una procedura di risoluzione delle controversie che comprende consultazioni governative e la costituzione di un gruppo di esperti.
  L'orientamento italiano a favore della conclusione dei negoziati commerciali è in linea con la proiezione internazionale del nostro sistema produttivo, che vanta il secondo avanzo commerciale nel comparto manifatturiero in Europa e il quinto nel mondo.
  Tale orientamento include, tuttavia, l'imprescindibile e risoluta richiesta di assicurare nei processi di liberalizzazione il rispetto delle regole concordate, la necessaria parità di condizioni degli operatori, l'equa distribuzione dei benefici derivanti dalla globalizzazione, i sostegni a tutti gli attori economici interessati dai processi e l'attuazione di politiche di sostenibilità sociale e ambientale. Ciò nella consapevolezza della necessità ineludibile di dare tangibile conferma ai cittadini europei dei sensibili, benefici effetti degli accordi di libero scambio in termini di occupazione, crescita e aumento della concorrenza.
  Facciamo un piccolo focus sulla Cina, che credo sia un argomento di interesse degli ultimi mesi. Riteniamo che l'approccio di cui abbiamo parlato sia tanto più valido con riferimento allo sviluppo dei rapporti commerciali equilibrati e mutuamente vantaggiosi con i principali players globali, tra cui figura la Cina, ovviamente.
  La recente visita di Stato del Presidente della Repubblica Popolare Xi Jinping in Italia, seguita poi dalla visita a Pechino del Presidente del Consiglio Conte il 26 aprile scorso, ha rappresentato un'utile occasione di incontro per l'avanzamento delle priorità italiane anche nell'ambito del commercio.
  Nel corso della visita a Roma sono state firmate diciannove intese istituzionali e dieci accordi commerciali. L'auspicio è che queste Pag. 8 intese contribuiscano a intensificare, in modo sempre più bilanciato e con mutui benefici, la nostra collaborazione economica e commerciale con la Cina. In particolare, merita una menzione la sottoscrizione del memorandum bilaterale sulla collaborazione nell'ambito della Belt and Road Initiative. Si tratta di uno strumento che fornisce un quadro di riferimento per lo sviluppo della connettività basato sui princìpi e sugli standard consolidati a livello europeo, come trasparenza, inclusività e sostenibilità.
  Tra le altre intese firmate segnalo, inoltre, i protocolli per le esportazioni di agrumi, carne suina congelata e seme bovino, che potranno avere significative ricadute per le nostre aziende di settore. Ricordo anche la conclusione di un accordo di collaborazione sul commercio elettronico che favorirà lo sviluppo dei rapporti bilaterali in un ambito di particolare interesse per l'espansione delle PMI italiane e per la promozione del made in Italy sul mercato cinese.
  Di notevole importanza anche l'accordo sulle doppie imposizioni.
  Come primo mercato di destinazione delle esportazioni italiane in area Asia-Pacifico, la Cina rappresenta un partner strategico per l'Italia. L'interscambio ha sfiorato i 44 miliardi nel 2018 – più 4,8 per cento – con una leggera contrazione dell’export italiano, attestatosi sui 13,1 miliardi – in calo del 2,4 per cento – e con una crescita delle importazioni dalla Cina – più 8,2 per cento – quindi un aumento che ha sfiorato i 31 miliardi.
  Tale dinamica genera qualche preoccupazione, ovviamente, a fronte di un costante aumento del disavanzo commerciale a nostro sfavore, che ha totalizzato 17,6 miliardi nel 2018.
  Riteniamo pertanto prioritario intensificare la nostra cooperazione economica bilaterale, anche con l'obiettivo di ridurre lo squilibrio della nostra bilancia commerciale, intensificando gli sforzi volti alla rimozione delle barriere tariffarie e non tariffarie per semplificare l'accesso al mercato dei nostri prodotti, in particolare agroalimentari, e al rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, rafforzando le norme internazionali sui sussidi industriali e combattendo le pratiche della cessione forzata di tecnologia.
  In questo contesto l'Italia si adopera anche a livello europeo affinché ambiziosi accordi tra Unione europea e Cina per la protezione degli investimenti e per la tutela delle indicazioni geografiche possano vedere la luce quanto prima. Anche attraverso tali accordi ci aspettiamo un miglioramento della collaborazione bilaterale con Pechino in ambito economico-commerciale. La formalizzazione di un impegno condiviso dalle due parti a lavorare insieme per raggiungere tali obiettivi è stata confermata da ultimo in occasione del ventunesimo vertice Ue-Cina del 9 aprile 2019.
  In base a questo approccio l'Italia ha assicurato un decisivo contributo in seno ai competenti gruppi consiliari UE per la predisposizione di efficaci strumenti difensivi. L'approvazione del nuovo metodo di calcolo del margine anti-dumping riflette il successo della campagna di sensibilizzazione condotta dall'Italia sulla Commissione.
  Allo stesso modo l'approvazione della modernizzazione degli strumenti di difesa commerciale, che prevede maggiore trasparenza in particolare riguardo ai dazi provvisori, nonché maggiore assistenza alle piccole e medie imprese, rappresenta l'esito di un'incisiva azione italiana che ha assicurato una versione finale sicuramente migliorativa rispetto al compromesso presentato nel 2016 in Consiglio.
  Anche la proposta di regolamento europeo sullo screening degli investimenti diretti esteri nasce da un'iniziativa italiana, promossa insieme a Francia e Germania, al fine di offrire una tutela europea agli asset strategici per l'Unione europea.
  L'astensione dell'Italia in occasione dell'ultimo voto in Consiglio nasce dalle perplessità relative all'esito finale dei negoziati, considerato non adatto a garantire che tutti gli Stati membri si dotino della capacità di bloccare le acquisizioni predatorie.
  L'Italia intende, pertanto, con il coinvolgimento del Parlamento nazionale, vigilare attivamente sulla fase attuativa del regolamento Pag. 9 e ha chiesto alla Commissione di svolgere analoga attività.
  Parimenti per gli accordi di libero scambio l'Italia sta svolgendo una costante e puntuale attività di monitoraggio richiamando la Commissione a fare altrettanto al fine di verificare che essi rispettino gli impegni assunti dalle parti e perseguendo la piena tutela degli standard di sicurezza ambientali e sociali europei.
  Il nostro obiettivo è di guardare a ogni accordo di libero scambio non già come un totem, ma come uno strumento operativo concreto e familiare per le nostre aziende, in modo che esse possano beneficiare delle enormi potenzialità nel maggior numero possibile ed in particolare riferimento per le PMI.
  Per l'accordo CETA, ad esempio, in occasione della prima riunione del Comitato misto dell'accordo tenutasi a Montreal il 26 settembre ultimo, grazie agli interventi di sensibilizzazione esperiti, sono entrati a far parte dell'agenda i seguenti dossier di nostro specifico interesse.
  Il primo è la questione delle quote di ingresso nel mercato canadese di prodotti caseari che, in virtù della frammentazione del sistema canadese di licenze di importazione, con uno squilibrio a favore di micro-produttori canadesi e una marginalizzazione degli importatori nazionali, ha comportato criticità di accesso per i nostri prodotti.
  La seconda è la corretta attuazione delle previsioni dell'accordo in materia di indicazioni geografiche, nel senso di una maggiore e necessaria condivisione di informazioni da parte di Ottawa per l'individuazione dei marchi canadesi preesistenti rispetto ai quali è stabilita la coesistenza per alcune indicazioni protette e in merito alle azioni per il perseguimento di fenomeni di contraffazione e indicazioni fallaci, il cosiddetto Italian sounding.
  Con questo spirito, ovviamente, intendiamo affrontare i negoziati in corso con i Paesi del Mercosur, e anche con il Cile, il Messico, l'Australia e la Nuova Zelanda. Ribadisco che proprio per trattare questo spirito e questa visione delle cose si è istituito al Ministero per lo sviluppo economico un tavolo sugli accordi di libero scambio, che si riunisce periodicamente e al quale, ovviamente, siete tutti invitati a partecipare. Sono sessioni aperte alla partecipazione sia di operatori sia di portatori di interessi, quindi soggetti industriali, categorie di impresa, ma in generale tutti gli stakeholder che possono essere interessati a farlo.
  È con questo spirito, ovviamente, che abbiamo anche sostenuto, in seno all'Unione europea, l'adozione dei mandati negoziali UE-USA decisa dal Consiglio dell'UE il 15 aprile scorso, in linea con la specialità e la dimensione globale nel rapporto transatlantico e con le esigenze di scongiurare la spirale ritorsiva nei nuovi dazi, i cui potenziali sviluppi continuiamo a monitorare quotidianamente anche alla luce della forte esposizione della nostra industria.
  In linea di principio – qui forse possiamo dare un taglio più di visione politica complessiva della questione – viviamo un momento di squilibrio globale dal punto di vista della tenuta dei capisaldi del commercio internazionale, con l'Italia che, ovviamente, insieme ad altri partner europei, è tra i Paesi più esposti al rischio di una guerra dei dazi e di una guerra commerciale in generale.
  L'azione che si sta facendo è su due assi principali. Il primo è quello di rinforzare, in un senso concreto e non soltanto di facciata – lasciatemi usare questo termine – l'azione e la leadership dell'Unione europea, perché, ovviamente, per sua stessa costituzione, ha la diretta competenza per quanto riguarda il commercio.
  Quello che purtroppo notiamo è, a volte, una incapacità di avere un'azione a livello europeo davvero non solo efficace, quindi quasi la comprensione stessa del suo ruolo di potenza se agisse in modo unitario, ma anche a volte la divisione interna tra i Paesi membri nel fare – ovviamente, non dobbiamo neanche nasconderlo – i propri interessi nazionali, a volte a discapito anche degli interessi della comunità stessa.
  La divisione tra blocchi magari più di orientamento filoatlantico e altri più orientati verso l'Oriente – lasciatemi passare Pag. 10questo termine – si riscontra anche nell'azione dell'Unione europea stessa.
  Un argomento, che è l'altro pilastro forse di quello che stiamo cercando di affrontare quotidianamente, è quello di provare a trarre, in questo sistema non molto equilibrato in questo momento, il maggiore vantaggio possibile con l'azione diretta bilaterale dell'Italia perché se è vero che la materia commerciale è appannaggio dell'Unione europea, la materia della promozione commerciale, invece, è appannaggio pienamente nazionale.
  In quest'ottica vanno inquadrate alcune operazioni come gli accordi con la Cina che, di fatto, sono accordi di promozione commerciale, ovviamente, non potendo essere altro, che anche dal feedback che riceviamo dalle organizzazioni di categoria – quindi imprenditori e associazioni – sta dando un vantaggio commerciale competitivo in questa prima fase di attuazione.
  Il messaggio che mi sento di veicolare anche al Parlamento è che dobbiamo provare a sfruttare al meglio questa prima fase di attuazione degli accordi, perché tutti i nostri partner e quindi competitor a livello di promozione commerciale a livello di Unione europea stanno andando nella stessa direzione. Ovviamente, noi possiamo sfruttare un vantaggio temporale che abbiamo nell'aver attuato alcuni accordi e alcune intese con anticipo rispetto ad altri nostri partner.
  Questo lo sottolineo, ovviamente, ma lo diamo per scontato, mantenendo al centro di queste riflessioni aspetti come la sicurezza, il rispetto del diritto dei lavoratori e tutto quello che abbiamo voluto inserire negli accordi con la Cina, ad esempio, che hanno avuto – spero che abbiate avuto modo anche di leggere le conclusioni del secondo Forum sulla Belt and Road Initiative, cui ha partecipato il Presidente Conte – una forte connotazione europea. È la prima volta, lo possiamo dire tranquillamente, che la Cina ha scelto di scendere su un terreno più di nostra familiarità, che è quello del wording europeo, che normalmente veniva escluso categoricamente sia dagli accordi che dalle conclusioni di iniziative come il Belt and Road Forum.
  Basta guardare alle conclusioni del primo Belt and Road Forum e a quelle di quello appena chiusosi per comprendere che in questa fase si registra una convenienza diretta cinese ad essere più vicina alle istituzioni internazionali come l'Unione europea e le Nazioni Unite dove la sua azione, infatti, è preminente: forse questa convenienza di avvicinarsi e la pressione sicuramente dell'Europa – e dell'Italia in particolare, visto che era la più avanzata dal punto di vista di questi accordi – ha fatto sì che la Cina abbia scelto di aderire a un linguaggio e a un modo di porsi molto più europeo che – lo voglio ribadire – era l'unica opzione possibile per l'Italia.
  L'Italia non avrebbe accettato nessun altro tipo di accordo, se non con quel linguaggio e con quelle parole specifiche, chiave per noi, tipo level playing field, procurement aperto e trasparente e tutte le definizioni che trovate negli accordi.
  L'Unione europea dovrà fare uno sforzo enorme, secondo noi, in questo ambito, cioè quello di avere una visione unitaria, anche per quanto riguarda, ad esempio, l'accordo che è stato portato avanti dalla Commissione sull’investment screening, cioè fare in modo che sia uno strumento davvero utile all'Unione e non uno strumento per acuire il vantaggio competitivo di alcuni Paesi su altri, perché potrebbe esserlo. C'è una circolazione di informazioni legate agli investimenti esteri sul proprio Paese che può favorire altri partner europei. Bisogna, ovviamente, monitorare. Prima ho rivolto un invito – e lo rivolgo nuovamente – al Parlamento ad avere un'azione chiara e diretta per fare pressione anche in questo senso.
  Con questo spirito rinnovo l'invito al Parlamento a essere protagonista in questo senso, anche partecipando agli incontri che stiamo portando avanti sia al Ministero per lo sviluppo economico sia al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per questa nuova visione globale delle relazioni che abbiamo. L'obiettivo – mi sembra abbastanza evidente a chiunque segua questa materia – è quello di provare ad aprire un po’ di più le prospettive economiche delle imprese italiane in un momento Pag. 11 nel quale la media del fatturato aziendale è per oltre il 60 per cento legato all’export. È un trend storico, ovviamente. Questo, da una parte, non ci deve lasciar puntare solo su quello, perché la domanda interna è fondamentale; dall'altra parte, segna la necessità di cercare di avere un multilateralismo economico che ci garantisca da eventuali crisi ancora maggiori, che purtroppo sono all'orizzonte, con il probabile fallimento – per quello che vediamo, ovviamente – degli accordi tra Stati Uniti e Cina e l'intensificazione della guerra commerciale, ad esempio con l'Iran e con tutta l'area di sostegno politico all'Iran. L'Italia, con il ruolo che tutti le riconoscono, di un multilateralismo concreto, può provare – e lo stiamo facendo – a trovare nuovi sbocchi commerciali, mantenendo fermi i suoi capisaldi di partnership internazionale. Su questo stiamo lavorando.
  Resto, naturalmente, a completa disposizione per fornirvi altri dettagli.

  PRESIDENTE. La ringrazio per l'intervento, sottosegretario.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  IVAN SCALFAROTTO. Presidente, grazie per la parola.
  La ringrazio, sottosegretario Di Stefano. Non nascondo un certo compiaciuto stupore a seguito della sua relazione. Mi è sembrata una relazione in assoluta continuità con le politiche svolte dai Governi precedenti e con la tradizione italiana di grande Paese esportatore. Da qui viene il compiacimento. Non posso negare, francamente, lo stupore legato al fatto che si tratta di una narrazione che rappresenta una discontinuità sostanziale, drammatica direi, rispetto alle cose che ci siamo detti nella scorsa legislatura. In ogni caso, è sempre meglio cambiare opinione che non cambiarla.
  Ho apprezzato il fatto che il sottosegretario abbia sottolineato che l'Italia è il sesto Paese al mondo per avanzi della bilancia commerciale, che è il nono Paese esportatore al mondo, che è il quarto per produzione di posti di lavoro legati all’export, che – come giustamente dice la SACE – se negli anni tra il 2010 e il 2017 non ci fossero state le esportazioni il nostro prodotto interno lordo sarebbe diminuito di 6,4 punti percentuali. Possiamo dire che in quegli anni, mentre importazioni, investimenti, spesa delle famiglie e spesa pubblica diminuivano, l'unica voce che ha tenuto in piedi il nostro prodotto interno lordo sono state le esportazioni. Perché dico questo? Apprezzo che il Governo si stia muovendo in questa direzione. Se noi andassimo a boicottare o a limitare la potenzialità delle nostre esportazioni, la prosperità delle nostre famiglie, del nostro Paese, delle nostre imprese ne sarebbero nettamente colpite, che era poi la politica portata avanti dalle opposizioni nella scorsa legislatura, che hanno fatto di tutto, per quanto possibile, per dare messaggi anche legati a una certa pericolosità del commercio internazionale, della globalizzazione.
  È evidente che la globalizzazione va gestita e che bisogna fare in modo che tutti gli accordi che vengono stipulati e le iniziative che vengono messe in piedi abbiano ricadute gestite dalla politica, per evitare che vi siano sperequazioni e differenze. Alcune parti della società sono colpite, però vero è che noi, Italia, senza un sistema di esportazioni forte non abbiamo possibilità di crescere, né abbiamo possibilità di sopravvivere. Ricordiamo che non siamo soltanto un grande Paese esportatore, ma, essendo un Paese sostanzialmente privo di materie prime, siamo anche un grande Paese importatore. Noi siamo un Paese che trasforma. Quindi, nel momento in cui si creano delle barriere – tariffarie o non tariffarie – nel commercio internazionale noi non soltanto non siamo in grado di vendere i nostri prodotti, ma neanche di acquistare le materie prime che ci servono per creare il famoso made in Italy.
  Detto questo, quello che non si capisce, però, è per quale motivo non siano prese misure conseguenti. Faccio un esempio. Apprezzo moltissimo quando il sottosegretario Di Stefano dice che bisogna rafforzare urgentemente la leadership europea e fare in modo che l'Unione europea agisca Pag. 12in modo unitario per rappresentare 500 milioni di consumatori, quindi uno tra i mercati più grandi del mondo. Tuttavia, mi chiedo se le nostre politiche nazionali vadano nella direzione di rafforzare l'Unione europea. I messaggi che il Governo dà nella sua politica generale, ma anche nella sua politica commerciale sono tutto il contrario di un rafforzamento dell'Unione europea. Mi perdoni, sottosegretario. Nel momento in cui Lei viene qui, giustamente, a lodare l'iniziativa italiana dello scorso Governo, che ha portato allo strumento dello screening degli investimenti esteri per proteggere le nostre imprese da investimenti predatori, e poi mi dice che l'astensione italiana – unico Paese dei ventisette, sottolineiamolo; c'è stato un solo voto non favorevole, ed è stato del Governo italiano, in questo caso in totale discontinuità con il lavoro precedente – non può limitare il peso politico di quella posizione, perché evidentemente si andava a rompere l'unità europea, soprattutto su un fronte, quello cinese, del quale parlerò tra poco. È chiaro che quello screening era sgradito al Governo cinese. Quella decisione è stata presa soltanto pochi giorni prima della famosa firma del memorandum e della visita del Presidente Xi Jinping. Lo stesso memorandum, preso in totale solitudine, senza accordi con i nostri partner europei, ha rappresentato evidentemente una rottura del fronte europeo e un indebolimento nei confronti del partner cinese sul fronte europeo. Questo è ovvio.
  Aggiungo, peraltro, che su questa vicenda del memorandum bisognerà fare presto chiarezza. Vi è un problema che voglio sottolineare. Il Presidente Conte era al secondo Belt and Road Forum. Il Presidente Gentiloni era al primo Belt and Road Forum. In entrambi i casi, l'Italia era rappresentata a livello altissimo. Nessuno discute il fatto che bisogna avere rapporti con la Cina e lavorare con quel grandissimo mercato, il più grande mercato asiatico e una delle economie che crescono di più. Figuriamoci se un Paese come il nostro non può lavorarci. Segnalo che il precedente sottosegretario allo sviluppo economico, ossia io, durante gli anni del Governo Gentiloni è stato in Cina dieci volte. Apprezzo il lavoro che il sottosegretario Geraci fa sulla Cina.
  Il problema che mi pongo è se, dal punto di vista politico, ci sia un bilanciamento tra le cose che facciamo e quello che otteniamo. Nel momento in cui ci siamo, sostanzialmente, genuflessi alla Cina in diretta televisiva mondiale, essendo l'unico grande Paese che firma un memorandum di questo tipo, ci si chiede quali siano i ritorni. Davanti a un prezzo politico così forte, per il quale noi ci leghiamo mani e piedi al gigante cinese, irritando, peraltro, gli alleati storici (non soltanto quelli europei; penso anche agli Stati Uniti), quando scopriamo che dopo pochi giorni il Presidente Macron vende trenta Airbus per 30 miliardi e noi siamo riusciti – finalmente, abbiamo fatto bene – a vendere il seme bovino congelato e i pezzi di suino che non possono essere direttamente commestibili, ci si chiede se ne valesse la pena.
  Lei ci ha detto che nel 2018 le nostre esportazioni con la Cina sono scese del 2,4 per cento. Nel 2017 erano salite di oltre il 20 per cento. Lo ripeto: nel 2017 le esportazioni italiane in Cina sono +20 per cento e nel 2018 sono –2,4 per cento. Qual è il premio che noi diamo ai cinesi? Quello di firmare un memorandum of understanding che non era necessario e che non produce direttamente alcun effetto sulle nostre esportazioni. Allora viene il dubbio che la gestione del rapporto con i cinesi sia una gestione sulla quale non sappiamo lavorare.
  A tal proposito, vorrei chiedere alla presidente di programmare con urgenza un incontro con il sottosegretario Geraci. Questa è la Commissione affari esteri, però sappiamo benissimo che le competenze sul commercio internazionale stanno prevalentemente in capo al Ministero dello sviluppo economico, presso il quale sono stanziati anche i fondi per quello che riguarda la promozione commerciale, oltre al fatto che l'ICE evidentemente riporta direttamente al sottosegretario Geraci. Quindi, è necessario parlare anche con lui.
  Mi ha fatto molto piacere sentir dire che l'accordo con la Corea – lo riconoscete – Pag. 13ha fatto aumentare di oltre il 50 per cento le nostre esportazioni e che l'accordo con il Giappone è vantaggioso. Addirittura sento dire – lo sapevo, ma mi fa piacere sentirglielo dire – che avete dato il via libera al mandato negoziale per un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, sia pure diverso dal TTIP (Transatlantic trade and investment partnership). Io non posso non ricordare la retorica patriottarda e protezionistica per la quale il TTIP era più o meno un girone dell'inferno dantesco, se non altro. Sto pensando al fatto di avere osservato banalmente che gli Stati Uniti sono il nostro più grande mercato extraeuropeo e che, quindi, con gli Stati Uniti, se riuscissimo ad abbassare i dazi e a migliorare anche gli standard normativi – per cui, per esempio, la piccola e media impresa per esportare negli Stati Uniti non ha bisogno di due linee di produzione parallele, che non si può permettere, ma gli standard normativi vengono omogeneizzati, quindi si può vendere quello stesso prodotto sia in Europa che negli Stati Uniti – questo sarebbe un bene.
  Lo stesso discorso vale quando ci parla del CETA. Considerate le cose che ha detto, sottosegretario, e visto che voi vi sedete al tavolo del CETA e portate dossier importanti per noi, questo è un riconoscimento del fatto che il CETA serve. Altrimenti non vi siedereste a quel tavolo. Se il CETA serve e, come ci ha detto anche Lei, le nostre esportazioni in Canada sono aumentate, benedetto iddio, ci vuole spiegare un motivo logico per il quale questo accordo con il CETA non si vuole ratificare? Oppure abbiate il coraggio di non ratificare il CETA e vedete che cosa vi dirà il consorzio del parmigiano reggiano, il consorzio del gorgonzola, che cosa vi diranno tutti i nostri esportatori nel momento in cui farete saltare un accordo che elimina tutti i dazi e aumenta le nostre esportazioni.
  Abbiamo sentito fare una retorica molto dannosa per gli interessi nazionali nei cinque anni precedenti. Il messaggio che oggi ha dato il sottosegretario Di Stefano è che questo Governo ripudia le sue tentazioni protezionistiche, riconosce la vocazione all'esportazione dell'Italia e riconosce l'interesse nazionale. Non dimentichiamo che il titolo di questa indagine conoscitiva è «dinamiche del commercio internazionale e interesse nazionale». Il Ministro Tria ieri ha dichiarato chiaramente – come ha detto, del resto, anche il sottosegretario Di Stefano; lo stanno dicendo tutti i componenti del Governo – che, se ci sarà una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, l'Italia ci andrà di mezzo. Si parla di una flessione possibile del 2 per cento delle nostre esportazioni, pari a un importo di 9 miliardi di euro.
  Mettiamo via, per favore, ripeto, questa retorica del giardinetto, del «Not in my back yard», dei piccoli popoli, delle piccole patrie, del fatto che, come dice Lei, purtroppo l'Europa è divisa tra quei Paesi che sono più orientati all'Alleanza atlantica e quei Paesi che sono più orientati all'est europeo. Scusi, sottosegretario, l'Italia dove sta? Purtroppo tra i secondi, ma questa è la novità. Ce la state portando voi, però. Il Vicepresidente del Consiglio Salvini è appena tornato dall'Ungheria. Le cose che ha dichiarato le abbiamo lette tutti, ossia che l'Ungheria ha favorito la pace nel mondo e che le cose come stanno non vanno. Non siamo noi ad aver parlato con i Paesi di Visegrád e a fare il filo a Putin. È una cosa che fa questo Governo. Se lei oggi ci sta annunciando che finalmente l'Italia torna a una posizione filo-europeistica e ritorna nel novero delle sue storiche alleanze, questo anche al fine di sostenere la nostra economia, evidentemente, è musica per le mie orecchie.
  Giustamente, tutti gli accordi di libero scambio vanno monitorati. Ascolto anche la celebrazione che Lei ha fatto del nuovo sistema anti-dumping dell'Europa, che ha consentito di non riconoscere lo status di economia di mercato alla Cina. È stata una battaglia che l'Italia nella scorsa legislatura ha fatto in completa solitudine. Voglio segnalare che a metà aprile il WTO, in una decisione preliminare, ha già dato ragione all'Unione europea rispetto alla Cina sul mancato riconoscimento dell'economia di mercato. Va benissimo che tutto questo sia successo. Secondo me, varrebbe la pena spiegare al Paese in modo più chiaro e definito che la retorica protezionistica per Pag. 14cui la globalizzazione è il demonio, per cui il CETA è una disgrazia, per cui il TTIP è l'invasione delle multinazionali che ammazzano il povero consumatore, andrebbe corretta. Dal punto di vista dell'onestà intellettuale, sarebbe più sincero dire: «Vi abbiamo detto una montagna di frottole e, adesso che stiamo lavorando al Governo, ci siamo...». Così come ve le avevamo dette sull'Ilva, sulla TAP, sulla TAV e su una serie di altri dossier, come quello sulla xylella, l'ultimo che abbiamo portato in Aula. Abbiamo sentito, infatti, dalla voce del Movimento 5 stelle quali erano le tesi precedenti. C'è stata una vostra collega che ha parlato molto chiaramente e che ha spiegato che, evidentemente, c'è stata un'inversione a «U». Questa inversione a «U», che sicuramente è la benvenuta, al di là della retorica, che vi dovrebbe portare ad approvare e ratificare il CETA quanto prima, andrebbe chiarita agli italiani. Spero di averlo fatto almeno in parte io con questo mio intervento.

  SIMONA SURIANO. Grazie, sottosegretario. È stato abbastanza esaustivo e ha soddisfatto molte delle mie curiosità. Sarò brevissima. Voglio solo sapere se il Governo italiano, in questa nuova sfida che si sta profilando a est, quindi sul mercato cinese, ha previsto misure di sostegno anche per le piccole e medie imprese per affacciarsi a questo grande mercato.
  In particolare, mi interessava sapere come l'Italia intende avere un ruolo, come intende affrontare soprattutto le guerre commerciali, la guerra dei dazi e le varie problematiche che possono minacciare il nostro export.

  PIERO FASSINO. Ringrazio anch'io il sottosegretario. Anch'io, ovviamente, da vecchio Ministro del commercio estero, ho apprezzato una serie di considerazioni. Non aggiungo altro alle cose dette dal collega Scalfarotto, che condivido. Pongo due questioni. La prima: è del tutto evidente che il nodo che ha di fronte ogni Paese è il rapporto tra bilateralità degli scambi e multilateralità e, per quello che riguarda l'Europa, comunitarizzazione.
  Su questo, senza ripetere le considerazioni che ha fatto il collega Scalfarotto, dobbiamo avere messaggi univoci. Il suo è un impianto assolutamente condivisibile, quello di un Paese che colloca la tutela dei suoi interessi – che, naturalmente, fa valere in primo luogo nel rapporto bilaterale – in un quadro più ampio: o la multilateralità degli accordi con Paesi terzi, aree terze, oppure dentro la dimensione della comunitarizzazione. Se è così – ed è così – bisogna che questo abbia una coerenza anche negli atteggiamenti politici del Governo.
  È evidente che se noi abbiamo questo approccio non possiamo, poi, dichiarare tutti i giorni – come è successo ieri da parte di uno dei due Vicepresidenti del Consiglio – che siamo stufi di questa Europa, che non ne possiamo più, che ci mette vincoli eccetera. Le due cose non stanno insieme: o si sta dentro o si sta fuori. Dentro bisogna far valere i propri interessi, ed è quello che facciamo tutti i giorni e che tutti i Governi che guidano questo Paese fanno, ma bisogna sapere che è lì dentro che fai valere i tuoi interessi, non fuori.
  Da questo punto di vista, manifesto non la contrarietà, ma qualche riserva sulla valutazione tutta positiva che Lei ha dato del nostro rapporto con la Cina, non perché non sia importante, ovviamente, tutto quello che si fa con la Cina, ma perché – attenzione – il rapporto con la Cina richiede, se non altro per ragioni dimensionali e geopolitiche, che il nostro muoverci non sia solitario e isolato e che ci sia un rapporto con l'Unione e con gli altri Paesi europei. È un punto fondamentale.
  Secondo me, quello che non ha funzionato, in occasione della visita del Presidente cinese, riguardo agli accordi sottoscritti – che nel merito sono accordi importanti, di promozione, come Lei ha detto – è che hanno avuto tutto il sapore di un rapporto privilegiato bilaterale – a prescindere da ciò che l'Europa fa e da come si muove – che secondo me nuoce a noi. Siccome noi siamo un grande Paese esportatore, visto che la materia è comunitarizzata, avere un rapporto che non sia conflittuale Pag. 15 o di diffidenza con gli altri Paesi europei è assolutamente fondamentale per la tutela dei nostri interessi. Questa è la prima questione.
  Seconda questione. La morfologia del sistema imprenditoriale italiano, che vede il 95 per cento delle imprese italiane avere meno di trenta dipendenti – il che è un punto di forza, ma anche, ovviamente, di fragilità – determina uno squilibrio strutturale nel rapporto con i mercati internazionali. Noi siamo un grande Paese esportatore con un grande divario tra ciò che esportiamo e gli investimenti diretti all'estero. Guardiamo la Francia, la Germania, i nostri competitori: il rapporto è più equilibrato. Per una piccola impresa esportare, tutto sommato, è relativamente facile; fare un investimento in Cina per un'impresa che ha ventotto dipendenti è obiettivamente complicato. È chiaro che abbiamo questo squilibrio. Attenzione. I Paesi che comprano – proprio a partire dalla Cina, ma non solo – non sono più disposti a comprare solo merci. Sono sempre più interessati a comprare investimenti, a comprare tecnologie.
  Mi avvio alla conclusione. È una questione che, oltre che il Ministero degli affari esteri, riguarda soprattutto il Ministero dello sviluppo economico, evidentemente, che ne ha competenza in termini economici. Il rafforzamento di tutti gli strumenti di sostegno e di accompagnamento agli investimenti all'estero, contrariamente a quanto si pensa, non riduce l'esportazione. Un'impresa che esporta e fa un investimento anche sul mercato verso cui esporta non riduce le esportazioni. Esiste l'esempio assolutamente clamoroso di un'azienda che è stata molto preveggente, ossia la Ferrero. La Ferrero ha capito che non bastava esportare. Non oggi, ma all'inizio degli anni Sessanta. Accanto a correnti esportative fortissime, perché è un grande produttore globale nel settore alimentare, ha fatto investimenti in quaranta Paesi del mondo. Ferrero ha insediamenti produttivi in quaranta Paesi del mondo. Questi quaranta insediamenti produttivi non hanno ridotto la capacità esportativa, ma l'hanno rafforzata.
  Il punto su cui insisto è quello di avere questa attenzione. Per esempio, al tavolo che Lei ha insediato, e che è molto utile, questo è un punto, secondo me, dirimente. Da qui deriva come si muove la SIMEST, come si muove la SACE, come si muove l'ICE, gli strumenti di accompagnamento e di sostegno, come noi incentiviamo, sosteniamo e accompagniamo fortemente le imprese a investire, proprio perché solo esportare non basta più. Noi siamo il quinto, sesto, settimo – dipende dagli anni – esportatore su scala mondiale. Quindi, per noi è una forza. Il 70 per cento, come Lei ha detto, della nostra capacità produttiva va sui mercati internazionali. Benissimo.
  Vi faccio un altro esempio. Noi siamo grandi esportatori di vino, ovviamente, anche verso la Cina. I francesi rappresentano il nostro principale concorrente. Ce la battiamo ogni anno su chi è primo. Quest'anno siamo noi e l'anno scorso erano loro. La differenza tra noi e loro sul mercato cinese, ad esempio, è che noi esportiamo una quantità gigantesca di vino in Cina e i francesi stanno comperando gigantesche quantità di appezzamenti di terra per impiantare vigneti, cosa che rafforza, ovviamente, la loro presenza.
  Il tema di lavorare su un riequilibrio tra investimenti diretti all'estero e export, secondo me, è un punto strategico della nostra politica di commercializzazione internazionale.

  PINO CABRAS. C'è una tecnica di polemica retorica che si chiama «straw man argument», argomento dello spaventapasseri, che consiste nel rappresentare la posizione di un avversario in modo somigliante, perché si mettono vestiti simili a quelli che indossa normalmente la persona reale, però in una versione debole: vengono illustrati gli argomenti in modo da renderli più vulnerabili, più colpibili.
  L'intervento di prima del collega Scalfarotto – che adesso non vedo, mi dispiace – è stato un esempio classico di straw man argument. Il modo di rappresentare la posizione del Movimento 5 stelle in relazione all'argomento del commercio estero era assolutamente caricaturale. Il Movimento 5 stelle ha, invece, un impegno, che viene da Pag. 16molti anni, per cambiare la catena di valore in cui è inserita l'Italia. Se si guarda al programma ufficiale presentato per le elezioni nel...

  PIERO FASSINO. Chiedo scusa, collega Cabras. Noi siamo qui per un'audizione con il Governo, non per discutere del programma del Movimento 5 stelle.

  PRESIDENTE. Lasciamo concludere il collega Cabras.

  PINO CABRAS. C'è stato un dibattito e c'è stata l'esposizione di una posizione in cui veniva rappresentato il rapporto del Movimento 5 stelle in relazione alla politica del Governo sul commercio estero come qualcosa di lunare e di sorprendente, che arrivava dal nulla. No. Arriva da un programma approvato nel gennaio 2018, che era frutto di un'elaborazione di anni, in cui uno dei punti era proprio la valorizzazione e la tutela del made in Italy in relazione a un'altra questione, cioè una serie di investimenti produttivi nei settori strategici.
  Non è un caso, quindi, che si cerchi di unire un elemento di continuità – certo, questo deve essere un tipico argomento di continuità nella politica di una nazione – con un impegno per cambiare anche la catena di valore. In questo contesto, il rapporto con la Cina non è quello che è stato disegnato. È fondamentale. Non esiste una posizione dell'Europa in contrasto con quella dell'Italia nei termini in cui è stata presentata. Ci sono ben sedici Paesi europei che hanno fatto accordi con la Cina in relazione alla Belt and Road Initiative e sono tutti contigui territorialmente. Non sono Paesi che stanno cercando un cambio di campo rispetto agli Stati Uniti. Alcuni di questi sono i Paesi più atlantisti in questo momento sullo scenario europeo. Sono Paesi che stanno perseguendo il loro interesse, ad esempio per sganciarsi da un circuito che li chiude all'interno della catena di valore tedesca, nel quale rischiamo di rimanere chiusi anche noi come Italia. Nel momento in cui ci sono auto tedesche che hanno il 70 per cento di componenti italiani, da un lato è un fatto positivo; dall'altro, lega l'economia italiana a una fase tecnologica che non è la più avanzata del mondo in questo momento, e non lo è in prospettiva.
  Noi dobbiamo giocare su più tavoli. Il tavolo cinese è importante ed è un tavolo che non è in contraddizione rispetto ai nostri rapporti storici con gli Stati Uniti d'America. Non è un caso che Trieste sia uno dei porti fondamentali della Belt and Road Initiative. Trieste è lo sbocco naturale di tutta quell'area, anche dei sedici Paesi europei. È bene che su questi tavoli noi giochiamo con una certa autonomia, senza paura del ruolo dell'Europa. Il ruolo dell'Europa lo possiamo determinare anche noi, visto che questa Europa, a volte, va per conto suo. Per il trattato di Aquisgrana non ci è stato chiesto il permesso rispetto a cosa si deve fare in Europa.

  PAOLO FORMENTINI. Sarò brevissimo. Intervengo solo per dire, ricollegandomi all'ultimo ragionamento dell'onorevole Cabras, che prima abbiamo assistito a un'esaltazione del multilateralismo dell'Europa. Mi sembra non sia il Governo italiano a mettere in difficoltà, in dubbio l'esistenza stessa dell'Italia, ma siano altri a perseguire, in una finta cornice multilaterale, gli interessi dei propri Stati. L'accordo di Aquisgrana è un perfetto esempio. È stato anche evocato negli interventi precedenti quanto è successo negli stessi giorni in Italia e in Francia, ovvero la firma del memorandum in Italia e l'acquisto di trecento Airbus da parte della Cina nell'accordo siglato con la Francia.
  Stiamo, quindi, davvero attenti, perché a volte quest'esaltazione cieca dell'Europa non credo faccia bene al nostro Paese, ma anzi l'azione del Governo penso sia volta proprio a riaffermare il ruolo del nostro Paese che da decenni ormai veniva calpestato.

  PRESIDENTE. Non essendoci altri interventi da parte dei colleghi, do la parola al sottosegretario Di Stefano per la replica.

  MANLIO DI STEFANO, sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione Pag. 17internazionale. Ringrazio tutti i colleghi che sono intervenuti per le affermazioni, ma soprattutto per le domande, così da poter dare qualche dettaglio in più.
  Risponderò non in ordine, ma per argomenti, così cerchiamo di omogeneizzare un po’ il messaggio. E vorrei partire dando qualche risposta alla collega Suriano.
  Il sostegno alle piccole e medie imprese è la vera scommessa che ci siamo posti sia col nuovo piano industriale di Cassa depositi e prestiti, presentato recentemente, sia in generale con l'azione al Ministero dello sviluppo economico e anche alla Farnesina. È l'argomento centrale della cabina di regia sull'internazionalizzazione che si è tenuta l'11 settembre, che ovviamente ha centrato sulle piccole e medie imprese la maggior parte della sua azione promozionale.
  In particolare, l'intesa con Cassa depositi e prestiti è proprio quella, da una parte, sempre rimanendo nei princìpi di rischio accettabili per un sostegno finanziario alle imprese, di essere un po’ più coraggiosi – lasciatemi usare questo termine – non soltanto nel tipo di esposizione, ma anche nei Paesi di esposizione. Vi faccio un esempio di mia attività diretta, quasi quotidiana: il centro Asia.
  L'Italia ha un enorme potenziale incentrato in tutti i Paesi «-stan», per intenderci, che ad esempio necessitano fortemente di tutti i macchinari di trasformazione alimentare e tessile, per la produzione di cotone. Le nostre aziende, però, hanno uno scarsissimo accompagnamento finanziario, perché sono Paesi valutati in lista di rischio rossa, se non addirittura nera. Lì si sta cercando di fare un piano specifico, perché in realtà – lo possiamo dire tranquillamente – sono Paesi in cui serve una forte azione politica per avere anche una garanzia economica. Purtroppo, funzionano così.
  Si sta cercando, quindi, con un'intensificazione anche di visite politiche, di fare in modo che ci siano le condizioni per le nostre imprese di operare in serenità e potendo espandere la loro presenza su quel territorio, laddove – torniamo all'argomento che trattavo all'inizio del mio discorso – la concorrenza di Paesi europei partner fondatori, come la Germania, se vogliamo dire un nome, è spietata. Anche i tassi di interesse sui prestiti e altro sono totalmente di un'altra specie, e quindi hanno un vantaggio competitivo enorme, con fenomeni che potremmo quasi definire di dumping interno all'Unione europea stessa, per i quali si è allertata già anche la Commissione europea, perché ci sono dei fenomeni distorsivi delle pari condizioni di accesso al mercato.
  In particolare, però, al di là dell'accompagnamento del gruppo SACE-SIMEST, quindi Cassa depositi e prestiti, una serie di incentivi è stata già attuata e c'è la creazione del portale incentivi.gov.it, secondo me molto importante, perché mette insieme tutti gli strumenti utili, soprattutto alla piccola e media impresa.
  È importante, perché richiama un po’ l'argomento Cina, tutto l'impegno che si sta mettendo nella lotta alla contraffazione. Proprio ieri, ero al Tuttofood di Milano, una delle più grandi fiere mondiali del cibo e del beverage, e i dati, che ovviamente non dovevamo aspettare da Tuttofood – purtroppo, li conosciamo benissimo da anni – sono veramente allarmanti: a fronte di 42 miliardi di export in quel settore, circa 100 sono contraffazione, cioè esiste il doppio del prodotto contraffatto rispetto a quello che esportiamo.
  Su questo devo sinceramente ringraziare il Presidente Conte, che ha avuto anche il coraggio di affrontare un argomento che esiste e che spesso non viene trattato, e cioè la contraffazione anche interna al nostro Paese, l’Italian sounding fatto in Italia, uno dei drammi che purtroppo abbiamo.
  Lì si sta lavorando in modo concreto. C'è uno stanziamento iniziale di 45 milioni di euro in tre anni, quindi 15 all'anno, con il tavolo «blockchain» al Ministro dello sviluppo economico. L'obiettivo è di avere una tracciabilità piena della filiera italiana: se parliamo di vino, dall'acino fino alla bottiglia, integrando realtà avanzate, intelligenza artificiale e, ad esempio, etichette parlanti in termini di realtà avanzata. Tutto quello che può servire, specialmente in mercati molto giovani come la Cina, come Pag. 18l'Oriente in generale, per garantire al consumatore di verificare il prodotto.
  Noi stiamo cercando di tenere un approccio non di paura – sono d'accordo qui col collega Cabras – ma di opportunità, e cioè vediamo quei 100 miliardi di contraffazione come potenziali 100 miliardi in più per i nostri imprenditori. Quella di made in Italy non è una domanda di made in Italy contraffatto, ma una domanda di prodotti originali. Se riusciamo a contrastare il contraffatto, aumentiamo le esportazioni dirette delle nostre imprese.
  C'è poi il fondo innovazione, visto che parlavamo di piccole e medie imprese. Ci mettiamo finalmente al passo con la Francia, che ha iniziato quattro anni fa col fondo innovazione. Devo dire che iniziamo in maniera consistente, perché si partirà – Cassa depositi e prestiti dovrebbe annunciarlo entro un mese, o meglio l'abbiamo già annunciato, ma dovrà attuarlo entro un mese circa – con un fondo iniziale dotato di un miliardo di euro, e si stima che un altro miliardo possa arrivare da privati, in modo da avere un fondo iniziale di 2 miliardi per l'innovazione tecnologica.
  Ripeto che l'argomento centrale, oggi, di tutti i consorzi di imprenditori è innovare, anche in campi tradizionali, come l’agrifood, dove si stanno sperimentando, grazie anche al lavoro delle università, delle tecniche nuove che ci permettono ad esempio di esportare anche in Paesi lontani, dove a volte avevamo difficoltà a essere esposti.
  Per andare su argomenti trattati sia dal collega Fassino sia da Scalfarotto, in generale, senza voler rispondere con pari retorica – siamo qui per un'audizione che preferisco tenere sul piano tecnico – non c'è nessuna discontinuità tra l'azione del Governo e quello che si dice. Noi rifiutiamo – e lo dico ufficialmente in questa sede – in modo chiaro il dogma, come affermato dall'ex sottosegretario Scalfarotto, del «o sei dentro o se fuori le istituzioni». Se accetti l'approccio «o sei dentro o sei fuori», hai già perso in partenza. Bisogna stare dentro, se ci credi, e noi abbiamo ripetuto a tutti i massimi livelli che crediamo di essere atlantisti ed europeisti.
  Se stai dentro, però, ci devi stare con la voglia, essendo Paese fondatore, di cambiare le cose nell'interesse nazionale. Noi siamo chiamati a portare avanti l'interesse nazionale. Il resto è veramente retorica. Dire di essere europeisti tanto per dirlo, senza pensare all'interesse nazionale, è retorica per me e per il Governo.
  Di conseguenza, relativamente all'Unione europea, si parla della contrapposizione tra l'azione dei Governi e l'unità dell'Unione: per me, le vere minacce non sono state le dichiarazioni italiane in questi mesi, che anzi hanno lavorato nella Commissione poi per far funzionare le cose, ma ad esempio il trattato di Aquisgrana, di cui si è parlato, che sancisce nero su bianco una doppia velocità dell'Unione europea nell'intesa tra due dei più importanti Paesi dell'UE, ovvero Germania e Francia.
  Io credo che si debba avere tutti la coerenza di capire, e quindi anche di esprimere – facciamo gli interessi degli italiani esprimendo le cose giuste nel modo giusto – che noi, Parlamento e Governo, abbiamo, o dovremmo almeno avere, una missione comune, che è quella di trarre il maggior beneficio per l'Italia dalla partecipazione agli organismi internazionali di cui siamo membri fondatori. È quello che stiamo cercando di fare.
  Non è il mio ruolo attuale, ma evidentemente le azioni del Governo sono influenzate dalla visione dei partiti di maggioranza – questo è chiaro nelle votazioni, in quello che succede in Parlamento – e io non vedo una discontinuità neanche dal punto di vista delle posizioni dei due partiti di maggioranza verso il Governo. Non ho mai sentito, visto o inteso da parte di qualcuno dichiarazioni contrarie all'aumento delle esportazioni italiane, come ha indicato l'onorevole Scalfarotto. Mai sentito. Sarebbe una pazzia pensare che qualcuno sia contro l'aumento delle esportazioni italiane.
  Forse questa riflessione nasce dal cattivo intendimento di un altro dogma: tutti gli accordi di libero scambio vanno bene. Non è così. Non avremmo creato un tavolo al Ministro dello sviluppo economico se fosse così. Ogni accordo ha sue specificità, Pag. 19tant'è che il Governo italiano, sia il precedente sia l'attuale, erano d'accordo sul trattato di libero scambio con il Giappone (JEFTA). Altrettanto d'accordo non siamo con il CETA, ad esempio, perché ha delle caratteristiche totalmente differenti dallo JEFTA.
  Neanche quello, però, è un dogma. Si è creato un tavolo al Ministero dello sviluppo economico per studiare il CETA, a cui ripeto che siete tutti invitati, per trovare la possibilità di modificarlo.
  L'onorevole Scalfarotto ha riferito una frase che suonava bene o male così: se il CETA ha fatto aumentare il trend, allora serve, quindi se ci sediamo a quei tavoli del CETA, tanto vale ratificarlo. Non è così.
  Il trend, come ho detto nel mio discorso introduttivo – sarebbe stato bene ascoltarlo prima di rispondere a quello che ho detto – è in crescita, ma non esistono dati scientifici sulla relazione diretta tra l'attuazione provvisoria del CETA e quel trend positivo. Stiamo studiando questi dati. L'obiettivo è di avere una matrice per ogni accordo che ci dica costi/benefici e valore aggiunto possibile, ma teniamo a quei tavoli proprio perché, per come funziona l'Unione europea, l'accordo è già in essere in modo provvisorio. Se non ci sedessimo, staremmo perdendo l'opportunità di influire sull'attuazione di quell'accordo, anche se non lo ratifichiamo. E ripeto che a oggi non abbiamo intenzione di ratificarlo alle condizioni attuali.
  Potrei dire, se a qualcuno fa piacere, che ho lodato, come qualcuno ha detto, l'iniziativa del Governo precedente. Sinceramente, non mi interessa né lodarlo né criticarlo. Io credo che tutti i Governi facciano cose buone e cose brutte. Bisogna sempre lavorare per fare quelle buone.
  Messaggio sull'Unione europea: credo che l'Unione europea rafforzata sia una necessità di tutti i Paesi che ne fanno parte, altrimenti – ripeto – tanto vale non farne parte. Ma noi vogliamo farne parte.
  Quanto alla Cina, sempre Scalfarotto, che purtroppo è andato via, parlava dell’investment screening e, in generale, del monitoraggio degli investimenti esteri diretti sul nostro Paese.
  Non sarà sfuggito che si è inserito nel decreto Brexit – che tra l'altro arriva in conversione proprio in questi giorni alla Camera dei deputati – il rafforzamento della golden power proprio per questo. Non sarà sfuggito nemmeno che sull’investment screening – rispetto al quale, con l'astensione in sede di Consiglio dell'UE, avremmo spaccato la continuità dell'Unione europea – io ho detto nel mio discorso iniziale che abbiamo forti perplessità sul fatto che la sua attuazione possa essere in linea con le nostre aspettative di creare un mercato davvero bilanciato anche dal punto di vista degli investimenti. Su quello si sta lavorando, chiaramente.
  Sull'ultimo aspetto rispondo un po’ come per gli altri, ovvero che i dogmi non vanno bene per il nostro Governo: si spaccherebbe l'unità europea nel votare in modo diverso rispetto agli altri partner europei. Non ci sarebbero le votazioni se dovessimo avere sempre l'unanimità. Votare in discontinuità con alcuni princìpi significa cercare di imporre una nuova linea all'Unione europea, cosa che siamo tenuti a fare in quanto – ripeto e lo sottolineo, e lo riaffermerò fino alla morte – siamo tenuti a portare avanti gli interessi italiani in seno alla Commissione europea. Questo per me è un concetto assolutamente fondamentale da ribadire.
  A chi dice che l'Unione europea non era d'accordo sul memorandum of understanding con la Cina sulla Belt and Road Initiative do qualche numero, poi magari voi farete le vostre valutazioni: la Francia, oltre a firmare accordi miliardari da sempre, non da oggi, con la Cina, ha 50 distaccati economici di stanza in Cina, che seguono proprio gli sviluppi della Belt and Road Initiative. Non avrà firmato un memorandum of understanding – come tra l'altro secondo me farà anche abbastanza a breve – ma ha 50 distaccati che fanno esattamente gli stessi interessi. Della Germania non parliamo nemmeno.
  Credo che una volta tanto bisognerebbe avere un'unità di intenti tra Governo e Parlamento nel trarre, come dicevo all'inizio del mio discorso, il maggior beneficio possibile dal vantaggio temporale che abbiamo Pag. 20 sull'attuazione di questi accordi. Secondo me, è una priorità.
  Le aziende lo stanno già facendo. Proprio ieri, ho incontrato sia il distretto degli agrumi di Sicilia sia quello della pesca e, in generale, tutto il mondo Confindustria e camerale italiano, e tutti stanno spingendo su quegli accordi per avere il massimo vantaggio.
  Stiamo cercando di piazzarci nel settore che ci compete, quello dell'alta qualità e della fascia alta anche con prodotti che sembrano di basso profilo, come le arance, perché crediamo che si possa avere un vantaggio competitivo con i nostri partner europei andando su quella fascia. Questo sta funzionando. Credo che l'obiettivo sia molto chiaro da parte nostra.
  Sempre per tornare sull'unità europea, la Svizzera, nonostante non sia europea, ha firmato un accordo simile, ma senza il wording europeo, il che è penalizzante; il Lussemburgo ha firmato un accordo esattamente uguale a quello dei Paesi del sud-est asiatico, quindi fregandosene dello standard europeo, che invece a noi era richiesto e che abbiamo imposto negli accordi con la Cina.
  Credo che si debba accettare – poi ognuno fa la sua retorica politica, ci mancherebbe altro – che si è cercato di fare uno scatto in avanti nell'interesse nazionale senza compromettere in alcun modo i rapporti con i partner internazionali, tant'è che quelli tra Italia e Stati Uniti sono forse tra i più solidi di sempre in questo momento. Questo porterà, probabilmente, un vantaggio diretto per gli italiani, che è quello che ci interessava ottenere.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PIERO FASSINO

  PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Di Stefano.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.55.