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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SULL'ATTUAZIONE DELL'AGENDA 2030 PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Martedì 30 luglio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Quartapelle Procopio Lia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'AZIONE INTERNAZIONALE DELL'ITALIA PER L'ATTUAZIONE DELL'AGENDA 2030 PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE.
Quartapelle Procopio Lia , Presidente ... 3 
Stoppioni Elena , presidente della onlus ... 4 
Quartapelle Procopio Lia , Presidente ... 8 
Stoppioni Elena , presidente della onlus ... 8 
Ehm Yana Chiara (M5S)  ... 9 
Stoppioni Elena , presidente della onlus ... 9 
Cabras Pino (M5S)  ... 10 
Stoppioni Elena , presidente della onlus ... 10 
Quartapelle Procopio Lia , Presidente ... 11 
Stoppioni Elena , presidente della onlus ... 11 
Quartapelle Procopio Lia , Presidente ... 11 

ALLEGATO: Documentazione depositata dalla Presidente della onlus Save the Planet, Elena Stoppioni ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO

  La seduta comincia alle 13.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti
della onlus
Save the Planet .

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della presidente della onlus Save the Planet, Elena Stoppioni, nell'ambito dell'indagine conoscitiva di questo Comitato sull'azione internazionale dell'Italia per l'attuazione dell'Agenda 2030.
  Saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori la dottoressa Stoppioni, accompagnata dall'ingegner Luca Ciulli, dalla dottoressa Clarissa Mattioli e da Francesca Petrini.
  Il 3 febbraio 2019 si è svolta la prima convention di Save the Planet con lo scopo di raccontare e diffondere il progetto, partito nel 2016, finalizzato a incentivare la responsabilità individuale delle persone testimoniando come le singole azioni abbiano un notevole peso a livello planetario.
  Nei suoi tre anni di attività, infatti, Save the Planet ha documentato tutti quei mutamenti che, direttamente o indirettamente, imprimiamo al paesaggio, all'ambiente o alle città, i quali, seppure inscritti nella nostra vita individuale, lasciano un segno destinato a permanere molto più a lungo nel tempo.
  L'impegno costante nella tutela delle specie viventi, nella salvaguardia dell'ambiente, nella diffusione dell'importanza delle singole azioni, ha permesso la trasformazione, il 20 dicembre 2018, di «Salviamo il pianeta» nell'associazione Save the Planet. La ristrutturazione come onlus ha consentito a Save the Planet di perseguire finalità di solidarietà sociale, attraverso attività nei settori della tutela e valorizzazione della natura, dell'ambiente e della beneficenza.
  I suoi associati sono sia singoli sia aziende, che possono essere valutate e certificate dall'organizzazione in base alla conformità ambientale ed ecologica dei beni e servizi che offrono. A tutti i soci vengono riservate opportunità di crescita e di partecipazione attiva a contests, surveys, progetti ed eventi. In particolare, grazie ai sondaggi è possibile sensibilizzare gli individui, nella speranza di poter modificare qualitativamente e quantitativamente le abitudini e gli stili di vita in una chiave più ecologica e sostenibile.
  Credo che l'audizione di oggi sia particolarmente interessante, anche perché ieri era il cosiddetto «Earth Overshoot Day», il giorno in cui si smettono di consumare le risorse del pianeta dell'anno in corso e si cominciano a consumare quelle dell'anno successivo. Dieci anni fa, l’Earth Overshoot Day cadeva il 29 settembre, quindi due mesi dopo. Comunque, già dieci anni fa si viveva a credito dell'anno successivo, ma la rapidità con cui questo fenomeno è peggiorato negli ultimi dieci anni rende l'audizione di oggi particolarmente tempestiva e interessante.
  Credo che sia interesse di tutti i membri della Commissione capire come possiamo – individualmente e anche politicamente, perché siamo comunque in una sede istituzionale – contrastare un modello di sviluppo Pag. 4 che, purtroppo, troppe volte non è abbastanza sostenibile.
  Do la parola alla dottoressa Stoppioni per la sua relazione.

  ELENA STOPPIONI, presidente della onlus Save the Planet. Grazie, presidente, grazie a tutti e ben trovati.
  Tra l'altro, l'Italia ha un triste primato sull’Overshoot Day, perché solo per l'Italia esso è stato il 15 maggio. Non siamo neanche particolarmente virtuosi a livello globale.
  In realtà, oggi non sono qui a parlare di Armageddon – vorrei impostare con voi un discorso completamente diverso – ma sono qui a parlarvi di cambiamento climatico in tema di opportunità e di convenienza.
  Mettiamo due o tre tasselli iniziali. Il giornale della Protezione civile l'altro giorno ha riportato una recentissima ricerca che arriva da Berna. Nella slide 1 sono illustrate le incidenze a livello globale dell'aumento di temperatura. Come si vede, dall'anno 1 dopo Cristo al 2000, il 98 per cento della Terra è stato investito da un cambiamento climatico in tema di incremento della temperatura, come nei periodi precedenti non era mai successo. Questo, unito al fatto che la rivista Nature Geoscience ha pubblicato qualche giorno fa la ricerca del professor Raphael Neukom dell'Università di Berna, ha fugato ogni dubbio sul fatto che il cambiamento climatico sia responsabilità dell'uomo, nel senso che il riscaldamento degli ultimi decenni è totalmente senza precedenti e la variabilità climatica di cui vi dicevo prima – vi ho fatto vedere le mappe – adesso è estesa al 98 per cento del globo.
  Questi fattori hanno solo un modo per essere spiegati dal punto di vista scientifico- matematico: l'incidenza antropica. Pertanto, tutti i modelli sono coerenti con il passato e la grande diatriba che c'è in questo momento – basta aprire i social e vedere quello che succede – tra chi dice che il pianeta si salva da solo, che in realtà l'uomo non c'entra niente e siamo solo spettatori di un fenomeno, e gli altri di diversa posizione, pare non essere scientificamente fondata. L'uomo ha toccato il termostato del pianeta, con la sua attività, con la sua vita, e questo porta delle conseguenze.
  Come vi dicevo all'inizio, non sono tuttavia venuta a parlarvi di fine del mondo. Vorrei piuttosto parlare di inizio di un mondo nuovo. Come ci collochiamo in questo mondo nuovo? Ho ancora qualche numero per voi, dal Global Footprint Network e dalla ricerca dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), che ha stimato con i suoi scienziati che per salvarci dovremmo rientrare entro il grado e mezzo di aumento di temperatura, mentre rischiamo anche i 6-8 gradi di aumento di temperatura.
  Quattro miliardi di persone da qui al 2050 vivranno in zone aride. Questo creerà dei grandi problemi di migrazioni. C'è un grandissimo problema di biodiversità, perché il 18 per cento dei mammiferi è già in via di estinzione. Ieri, tra l'altro, era anche il giorno della tigre. Rimangono meno di 4 mila tigri in tutto il pianeta; un mammifero bellissimo, iconico, eppure anche lui da preservare.
  Inoltre, il degrado del suolo darà grandi problemi dal punto di vista della produzione agricola. Insomma, circa la questione dell’Overshoot Day di cui parlavamo prima, è stato stimato che per soddisfare il nostro tenore di vita a livello Italia servirebbero le risorse di 4,3 Italie. Tutto ciò, contando anche il fatto che le città da qui al 2050 ospiteranno almeno il 70 per cento della popolazione mondiale.
  È interessante fare una piccola ricerca linguistica. In italiano si dice «ambiente», che è una parola molto aperta. In francese e in inglese si parla di «environment», che sono due parole chiuse, che fanno capire come le risorse siano limitate. In realtà, quello che noi in questo momento stiamo gestendo come tenore di vita illimitato si scontra con il fatto che le risorse non sono infinite.
  La questione delle migrazioni, focus su quello che si diceva prima: la Caritas italiana comunica che dal 2008 al 2017 sono migrate più di trenta milioni di persone. La cosa molto interessante da vedere è che venticinque di questi trenta milioni non sono migranti a causa di conflitti armati, Pag. 5ma sono migranti ambientali. Quindi, il problema di aiutare queste persone in un mondo che per loro non sarà più quello di adesso, perché la loro casa non ci sarà più, è un punto che sicuramente va tenuto in considerazione per il prossimo futuro. Questo ha un grandissimo impatto economico: la FAO ha riportato che i disastri naturali hanno già fatto spendere, dal 2005 ad oggi, 96 miliardi di dollari a causa delle colture andate distrutte, e che ancora 250 milioni di persone si muoveranno all'interno del proprio Paese e passeranno i confini, per i cambiamenti climatici, da qui al 2050.
  Se leghiamo questi dati alla slide 7, che si commenta da sola, capiamo che vuol dire che siamo all'inizio di un mondo nuovo. Questa è la variazione del PIL stimata dalla FAO entro il 2050, a causa cambiamento climatico, a livello globale.
  Prima commentavamo con i miei colleghi le slides. Tra l'altro, guardando l'Europa, vi dico una cosa significativa: la Svizzera è in verde. La Svizzera ha fatto un bellissimo piano sulla sostenibilità del Paese che si chiama «Società a 2 mila Watt». Hanno stimato che se ciascuno di noi avesse una spina e potesse attaccarsi alla presa della corrente per alimentarsi, ciascuno di noi consuma 7 mila watt, in questo momento, e la popolazione svizzera nello specifico. Hanno allora deciso, da qui al 2030, di portare la società a 2 mila watt, incidendo su edilizia, trasporti, alimentazione. Tutti i ministri si sono ritrovati, hanno siglato un cartello comune e stanno facendo una grande azione di mobilitazione della popolazione sulla convenienza di passare da 7 mila a 2 mila watt.
  Cosa ci chiedono i giovani? La slide 8 è una bella immagine che viene da Fridays for Future, una delle giornate indette da questo movimento globale che è nato su impulso di questa coraggiosa bimba svedese. I nostri ragazzi ci dicono: il clima sta cambiando, perché noi no?
  È una domanda che io, come presidente di Save the Planet, sinceramente mi faccio tutti i giorni guardando i miei figli, guardando i miei giovanissimi collaboratori. Le risposte da dare loro non sono proprio banali, perché, se ci si pensa, come dice Saul Bellow, un uomo vale quanto le cose che ama.
  La slide 9 è una foto di un ambasciatore di Save the Planet, Luca Bracali, fatta in Nuova Caledonia. È una foto reale, nel senso che c'è un cuore di foresta in Nuova Caledonia che è stato ripreso dall'elicottero. Come dicevamo all'inizio, noi ci rivolgiamo alla società civile ma anche agli imprenditori. Un uomo vale quanto le cose che ama e un'impresa, in tempo di CSR (Corporate social responsibility), sicuramente vale quanto gli ideali sui quali è fondata e come risponde alle domande del suo tempo.
  Allora, perché far nascere un'associazione? Essenzialmente per due motivi. In primo luogo, le persone hanno bisogno di un luogo fisico in cui andare a fondo delle domande e stare sulle domande, per verificare le risposte. Così come le agorà in Grecia, servono delle piazze fisiche dove poter stare sulle domande. Inoltre, serve anche un luogo dove poter parlare a una voce sola all'opinione pubblica, ai media e alle istituzioni. In un mondo così social e così disgregato, avere dei luoghi che si possano confrontare con le istituzioni è sicuramente un punto di partenza.
  Per rispondere alla domanda su cosa ciascuno di noi possa fare, noi abbiamo fatto nostra, come Save the Planet, la leggenda del colibrì. In breve, essa racconta che scoppia un grandissimo incendio nella foresta e tutti gli animali si allontanano molto impauriti; c'è solo un piccolo colibrì – vi segnalo che il colibrì è l'uccellino più piccolo del mondo, grande quanto un calabrone – che con una goccia d'acqua nel becco se ne va verso l'incendio. Il leone, re della foresta, che è responsabile di tutti, lo ferma e gli chiede dove vada. Il colibrì risponde serio: «vado a spegnere l'incendio». La sua risposta è il nostro motto: io faccio la mia parte e questo fa la differenza. Non c'è una goccia d'acqua che, messa insieme alle altre, non possa contribuire a spegnere l'incendio. Le gocce d'acqua possono avere dimensioni diverse – basti pensare al singolo, all'imprenditore o al decisore – ma ciascuno può assolutamente fare la sua parte. Pag. 6
  Se c'è forse un punto sul quale siamo distanti dai negazionisti non è tanto la diatriba scientifica sulla responsabilità o meno, ma dire che il cambiamento climatico sia una cosa rispetto alla quale l'uomo è spettatore è una non assunzione di responsabilità. Noi vogliamo fare il colibrì, quindi abbiamo un obiettivo ambizioso: motivare il cambiamento facendo vedere la convenienza del nuovo mondo attraverso economia circolare e il fatto che la società carbon neutral possa davvero rilanciare l'economia.
  Il 20 dicembre 2018 nasce la onlus Save the Planet. Tra l'altro, è una data per noi molto significativa, perché voluta da Ban Ki-moon come la Giornata mondiale della solidarietà umana. Ban Ki-moon stesso ha detto che, in un momento di divisioni su molte questioni globali chiave, dai conflitti armati alle migrazioni forzate, la gente ha bisogno di unirsi nel nome di una causa comune e non di distanziarsi nella paura. Altro approccio che non ci piace tantissimo è che non si può parlare solo di paura parlando di cambiamenti climatici, non si può solo agire sulla paura della gente, perché noi, come esseri umani, siamo programmati per rifuggire dalla paura. Invece, ci muoviamo solo per attrazione. Come nel magnetismo, non si può né spingere né tirare, si può solo attrarre.
  Quelli che vedete nella slide 15 sono i soci fondatori. Sono quattro imprenditori che hanno fatto della green economy il loro stile di vita, anche imprenditoriale e aziendale. Da questo direttivo di imprenditori virtuosi è nata una onlus che vuole aiutare la transizione da società lineare a società circolare low-carbon; aumentare la consapevolezza attraverso la misurabilità dello sviluppo sostenibile, quindi non solo filosofia, ma anche ampliare la coscienza delle certificazioni ambientali e di come si possa misurare la convenienza della green economy e dare a tutti la possibilità di fare il colibrì.
  Dove vanno a finire le donazioni? Noi siamo anche una onlus che sostiene progetti benefici a scopo ambientale. Ne ho portati tre esemplificativi. Sono tornata da pochi mesi dall'Amazzonia, dove ho visitato una scuola a 40 chilometri da Manaus, che si chiama «Rainha dos Apostolos», dove marito e moglie – due eroi – stanno tirando su 400 ragazzi indios in una scuola agricola. Gli indios, in questo momento, sono talmente vessati a livello governativo ma anche dalla povertà, che per loro l'unica possibilità di sussistenza sarebbe deforestare la foresta amazzonica e vendere tutto il vendibile per sopravvivere. Questa scuola, invece, insegna a questi ragazzi a diventare uomini dal punto di vista dello sviluppo sostenibile, quindi a curare l'ecosistema amazzonico in modo ecologico, e a scoprire dentro questo modo sostenibile di vivere anche la propria persona.
  Il secondo progetto riguarda Orbetello, in Toscana. Nel 2015 l'innalzamento della temperatura della laguna di Orbetello produce un'anossia, e tutti i pesci vengono completamente uccisi da questa mancanza di ossigeno. La cooperativa dei pescatori sta faticosamente cercando di recuperare e sta cercando di costruire il primo villaggio di pesca ecosostenibile al mondo, e non potevamo non essere presenti in un progetto di questo tipo.
  Terzo progetto: è già il secondo anno che nel varesotto, durante le vacanze di Natale, prende fuoco la foresta bellissima del Parco Campo dei Fiori. Lì c'è un problema di riforestazione ma c'è anche un problema di fragilità del territorio. Dunque, noi stiamo proponendo alle aziende di aiutare il Parco Campo dei Fiori acquistando dei piccoli crediti di CO2: dalla carbon footprint, dalla certificazione dell'incendio, togliere un po’ di CO2 e andare a risistemare il territorio del Campo dei Fiori.
  Nella slide 19 si illustrano, rispetto all'Agenda 2030, quelle che per noi sono le due azioni principali con le quali Save the Planet vuole fare la sua parte, soprattutto rispetto al goal 11 – il tredicesimo, ovviamente, per noi è trasversale – quello sulle città. Per noi si riparte dall'edilizia e dalle città. È dato acclarato che l'edilizia produca il 40 per cento delle emissioni di gas climalteranti che causano il surriscaldamento globale, secondo dati ONU. Pag. 7
  Se ci pensate, in questo momento l'edilizia ha molte e molto valide certificazioni ambientali, tutte sugli edifici, quindi a edificio finito, ma che non contemplano il processo produttivo. Stiamo già lavorando con l'Associazione nazionale costruttori per una sperimentazione finalizzata a lanciare i «cantieri green». I costruttori stessi, tra l'altro, in questo momento sono particolarmente sensibili al tema; proprio per questo abbiamo organizzato questo tavolo di lavoro e abbiamo avviato la sperimentazione.
  Il nostro Centro studi ha fatto il calcolo che se un cantiere passasse a carbon neutral, cioè alimentasse il cantiere con energia rinnovabile, si produrrebbe un risparmio medio del 40 per cento di CO2 globale. Un cantiere produce circa 300 chilogrammi di CO2 al giorno: un volo di andata e ritorno di 2 mila chilometri in aereo oppure tre automobili che percorrono mille chilometri. Pensate a quanti cantieri sono aperti in Italia e a quanto bisogno c'è di dialogare con l'istituzione e i cittadini sull'impatto di quel cantiere. Pensate ai cantieri in pieno centro città. Per un costruttore poter dire che ha fatto la sua parte e che sta facendo un cantiere green con un'azione concreta è un primo passo per prendere una parte della società imprenditoriale e condurla verso la convenienza della green economy.
  Abbiamo finito adesso un tour in venti città italiane, dove siamo andati a incontrare 10 mila professionisti dell'edilizia – ingegneri, architetti, geometri e periti – portando loro essenzialmente un messaggio. Abbiamo regalato a tutti un manuale operativo dello sviluppo sostenibile in edilizia, che vuol rispondere alla domanda «come la green economy può aiutarmi veramente a fare meglio la mia professione». Il messaggio che abbiamo dato, attraverso i cinque punti per noi chiave, è stato il seguente: si può ripartire personalmente e professionalmente dallo sviluppo sostenibile, come l'intende l'ISO (International Organization for Standardization)? Nella slide 23, in alto a sinistra trovate la schematizzazione di quello che l'ISO definisce «sviluppo sostenibile». Si tratta dell'intersezione di tre aspetti, e se ne manca uno dei tre non si può parlare di sviluppo sostenibile: aspetto ambientale, quindi ecologico; aspetto sociale, persone; aspetto economico, quindi crescita e profitto. Se manca uno di questi tre aspetti, si tratta di altre cose, come vivibilità e altro, ma non di sviluppo sostenibile.
  Goal 11: città. Abbiamo detto all'inizio che da qui al 2050 circa il 70 per cento delle persone vivrà nelle città. Capiamo, pertanto, che abbiamo un grandissimo strumento in mano, che sono proprio le nostre città. È per questo che Save the Planet ha deciso di fare un'azione di investimento proprio, per poter fare una prima classificazione delle città sostenibili italiane. Una città sostenibile innanzitutto è attrattiva e, vista la definizione ISO di sviluppo sostenibile che vedevamo prima, qual è il parametro chiave dell'attrattività di una città? La felicità dei suoi abitanti.
  C'è uno strumento internazionale che consente già la misurabilità di questo dato: la ISO 37120, che fa parte del pacchetto ISO 37101 relativo alle comunità sostenibili. La ISO 37120 si basa proprio sulla sostenibilità delle città. Sono 150 indicatori studiati dal World Council on City Data, che consentono essenzialmente in primo luogo di poter finalmente – scusate se mi permetto – smettere di parlare di smart city, laddove questa parola ormai è diventata banalizzante, perché tutto è smart e niente è smart, e tra l'altro schiaccia tutto sul digitale e basta, e consente di parlare invece di sustainable city; in secondo luogo, permettono di avere uno strumento di confronto univoco fra tutte le città del mondo che vogliano seguire questa certificazione ISO.
  Peraltro – questa è la prima volta che lo dico pubblicamente, per cui avete uno spoiler elevato – lanceremo in autunno la nostra prima classificazione a norma ISO 37120 delle città sostenibili con un portale che si muoverà per mappe. Oggi viviamo in una società estremamente visiva, quindi abbiamo proprio bisogno di vedere. Visivamente, riprodurre gli indicatori di sostenibilità delle nostre città può essere uno strumento utile a tutte le stratificazioni: ai cittadini, ai decisori, agli amministratori Pag. 8locali, ai decisori pubblici, anche a livello vostro, internazionale, di governo.
  In questo momento, non c'è una città italiana che rientri dentro questa classificazione. Pertanto, lanciamo anche un primo sasso nello stagno, perché anche i nostri piccoli comuni possono seguire le buone pratiche e fare delle politiche di sostenibilità e di sviluppo di sostenibilità che vadano a intercettare non solo gli asset su cui ormai siamo abbastanza ferrati – dall'illuminazione pubblica a LED alla raccolta differenziata – ma anche parametri più ampi, quindi utilizzo dell'energia, monitoraggio della CO2, nonché edilizia residenziale sociale, quindi rigenerazione urbana, condizioni sociali, marketing territoriale e quindi attrattività del luogo stesso.
  Per noi ripensare la città vuol dire realizzare una nuova economia, decarbonizzare edilizia e mobilità, e passare da lineare a circolare. È inutile che vi stia a ripetere ancora una volta questa definizione, però l'economia circolare è composta da due fattori. In questo momento noi viviamo in economia lineare: prendiamo risorse, le lavoriamo, produciamo rifiuti, e i rifiuti sono il problema di qualcun altro. L'economia lineare è l'economia della deresponsabilizzazione: io produco scarti da dare ad altri che se ne debbano occupare. Siamo molto legati, in economia lineare, ai combustibili fossili.
  Economia circolare vuol dire invece che il rifiuto continua a essere di mia responsabilità – e cerco di renderlo rifiuto solo alla fine, quando le ho tentate tutte – e cerco di decarbonizzare il più possibile il processo produttivo sfruttando le energie rinnovabili che già ci sono, perché la ricerca ha fatto passi da gigante in questo periodo.
  Vi do appuntamento alla presentazione della classificazione delle città sostenibili italiane, un bellissimo evento che noi sosteniamo: il Forum italiano delle Costruzioni, che si terrà per la seconda volta il 19 e 20 novembre a Milano, al Palazzo del ghiaccio. Tra l'altro, il pay off è significativo: «vivi l'esperienza del futuro». Anche qui vi do uno spoiler perché so che sono sei sale contemporanee sulla modalità dei TED, però quest'anno hanno voluto fortemente che una di queste sale si chiamasse «Care generazioni future». Non potevamo non esserci. Che cosa lasciamo ai nostri ragazzi? Verrebbe da dire: debito, aumento della CO2, aumento delle temperature. Forse non è ancora così. Sul nostro sito, savetheplanet.green, noi abbiamo un contatore, per cui pare che manchino circa 126 mesi al 2030, che è il punto di non ritorno. Noi però siamo convinti che ancora, facendo il colibrì e facendo la nostra parte, questi 126 mesi ce li possiamo giocare per lasciare qualcosa di più alle generazioni future.
  Grazie. Sono disponibile alle vostre domande.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Nel dare la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni, comincio subito io con una domanda. Come mai le città italiane non sono ancora iscritte a quel registro? È un problema temporale, e c'è qualcosa che noi possiamo fare per facilitare l'adesione al registro, o sono indietro?

  ELENA STOPPIONI, presidente della onlus Save the Planet. Ci sono essenzialmente due fattori. La norma è relativamente recente, perché la prima revisione è partita nel 2014 e l'ultima release è di agosto 2018, per cui è veramente recente. Inoltre, comunque il confronto internazionale è una cosa su cui il Paese ancora deve essere un po’ educato, soprattutto su questi temi.
  Oggi non vi ho parlato, e non voglio farlo, di emergenza climatica. Però, se vedete, mentre tutti gli altri Stati si sono mossi a livello Stato, noi ci stiamo muovendo a livello di comune, regione e via dicendo. Se poi volete la mia opinione, lo stato di emergenza climatica va benissimo, però si può risolvere unicamente in una grande conferenza stampa, se non dà seguito a niente. Molto meglio, probabilmente – e rispondo alla sua domanda, presidente – cercare di aiutarci a sensibilizzare gli amministratori, quanto meno a monitorarsi.
  La classificazione delle città sostenibili non è un contest, non si vince qualcosa alla Pag. 9fine, però che un'amministrazione comunale possa sapere a che punto sta con la sostenibilità, rispetto al rapporto amministrazione-cittadini, può dare anche uno strumento utile di dialogo fra le varie amministrazioni, e anche un punto di formazione dei decisori e dei funzionari pubblici potrebbe innescare un lavoro positivo.
  Il portale sarà aperto, noi pubblicheremo uno studio e, da questo punto di vista, se poi vorrete approfondire, una volta usciti tutti i dati – sui singoli indicatori e sulle singole città – noi siamo a disposizione anche per rivederci quando volete.

  YANA CHIARA EHM. Ringrazio molto per questa audizione. Personalmente credo che ci siano tantissime parole che si sentono quasi quotidianamente. La sua ultima frase – su cui concordo – che molto spesso ci si riduce a una conferenza stampa, mentre a livello di fatti succede poco, è reale.
  A mio parere, un punto molto importante è che il cambiamento climatico e queste tematiche riguardanti l'ambiente ci collegano a livello mondiale. È quasi impossibile che un singolo Paese riesca a fare dei cambiamenti. È certamente ottimo che ogni Paese, come diceva anche Lei, faccia la sua parte, ma è chiaro che l'intervento deve essere a livello globale.
  Questo vale sia per azioni più piccole sia per tutte le azioni che sono collegate. Lei citava giustamente la questione della migrazione ambientale, la questione di come i Paesi cambiano. Ho la fortuna di essere un'appassionata di viaggi e mi è capitato di tornare in alcuni luoghi, dopo circa sette-otto anni, e di vederli effettivamente molto cambiati, in termini di costruzioni ma anche in termini di desertificazione. Tutto questo, in un cittadino normale, che semplicemente lo vede a occhio nudo, dovrebbe fare subito scattare un campanello d'allarme.
  Sulla questione ambientale e su che cosa si possa realmente fare nel nostro Paese, personalmente credo che il Ministro Costa stia lavorando tantissimo sulla questione dell'economia circolare, e ne sono ovviamente molto contenta. È chiaro che si deve fare ancora tanto e, in generale, il compito è molto arduo, è una sfida molto grande. Tuttavia, credo che effettivamente abbiamo imboccato la strada giusta e consapevole.
  Un altro punto che mi ha sorpreso molto è l'azione che in questo momento stiamo portando avanti in tema di plastic free. Non so se è una nota positiva o negativa, ma ho visto che va un po’ di moda in questo momento parlare di plastic free. A me le cose di moda di solito non piacciono. In questo caso, mi auguro che vada di moda il più possibile. Questa può essere un'azione molto valida.
  Ultimo punto: secondo me è importante fare uno scambio di best practices tra i vari Paesi. Io sono per metà tedesca e mi viene sempre in mente l'esempio delle bottiglie: in Germania si fa riciclo delle bottiglie, in Italia, da quanto ho capito, lo si faceva negli anni Settanta e Ottanta, ma poi si è interrotta questa pratica perché la plastica monouso è diventata una moda. Potrebbe essere probabilmente la strada giusta riuscire a prendere dagli altri Paesi le best practices, oppure offrire quello che stiamo facendo noi e agire insieme.
  Vi ringrazio per l'azione di mantenere alta l'attenzione su queste tematiche, uno sforzo che dobbiamo sostenere, specialmente per le nuove generazioni. Grazie.

  ELENA STOPPIONI, presidente della onlus Save the Planet. Sul tema della plastica se volete vi regalo una perla. A casa mia si dice – parlo da toscana irriverente – che si chiude la stalla quando i buoi sono già scappati. Va benissimo rendere le spiagge plastic free, essere tutti plastic free, ma magari bisognerebbe anche occuparsi dei milioni di tonnellate di rifiuti di plastica che sono già nel mare e che comunque vanno smaltiti.
  Come dicevo, vi regalo una perla. La plastica è nata per un motivo ecologico: alla fine dell'Ottocento, quando l’hobby collettivo dei nobili dell'epoca era giocare a biliardo, e il biliardo si gioca con le palle di avorio; quindi, grandi mattanze di rinoceronti, elefanti, tartarughe per realizzare le palle d'avorio.
  Ci fu un imprenditore illuminato che indisse un premio – tra l'altro, elevatissimo per quel periodo, 10 mila sterline – in Pag. 10Gran Bretagna, fra chimici, per creare un materiale che fosse resistente quanto l'avorio e che però risparmiasse gli animali. Vinse un chimico che, mettendo insieme celluloide e una resina, inventa la cellulosa, e da lì nasce la plastica. È uno dei materiali più utili al mondo, diciamoci la verità, perché ha permesso delle innovazioni tecnologiche senza precedenti.
  Dov'è l'aberrazione? Il contrario di innovazione non è tradizione, bensì aberrazione, cioè utilizzare una cosa positiva a fini negativi. L'aberrazione è che il materiale più resistente al mondo viene utilizzato per l'usa e getta. È lì che va assolutamente bandita la metodologia, ma la plastica di per sé è un materiale che dentro le pareti delle case ha permesso di risparmiare kilowatt di energia, perché è un isolante. È un materiale che in scienza medica è assolutamente usato. Ma si torna al tema della responsabilità: economia lineare, i rifiuti sono di qualcun altro; economia circolare, mi tengo i rifiuti finché ne ho responsabilità.
  Sappiate che la Svezia è l'unico Paese europeo che, in questo momento, all'atto del permesso di costruire di un edificio, chiede il piano di smaltimento finale. Lì si può arrivare. Se considerate che il regolamento europeo per i prodotti da costruzione conta che la durabilità media di un edificio è di circa cinquant'anni, ci si preoccupa già di quello che accadrà fra cinquant'anni. Contando che lì lo smantellamento selettivo degli edifici sta diventando una prassi anche a causa di questa richiesta, operare con lungimiranza a volte permette anche di fare grandi innovazioni e di far passare una mentalità che poi cambia veramente la società.

  PINO CABRAS. Queste ultime considerazioni mi fanno pensare a un detto particolare: qualsiasi invenzione è anche l'invenzione dei problemi che ne derivano. Quando inventi l'elettricità hai inventato anche il blackout, e questo succede anche in molte tecnologie innovative. Penso ai LED, che fanno risparmiare, però lo smaltimento richiede di considerare tutto il ciclo di vita, come anche per il fotovoltaico e altro.
  Quindi, il concetto di economia circolare in realtà è molto più ampio di quello che sembra a una prima visuale. Gunter Pauli, una delle figure che riflette molto su questi temi, ormai da decenni, fa una distinzione: esiste la green economy, ma c'è qualcosa di più, ed è la blue economy. Voi avete usato in più punti il termine «green», ma, rispetto a queste definizioni che rischiano di essere solo teoriche, voi come vi collocate? Cercate di vedere un aspetto più olistico, più integrale, più esteso, o cercate dei compromessi pragmatici con quello che c'è attualmente?

  ELENA STOPPIONI, presidente della onlus Save the Planet. Mi piace molto la parola «olistica» perché la utilizzava sempre il mio primo maestro, Norbert Lantschner, che ha inventato l'Agenzia CasaClima ormai qualche anno fa. Egli utilizzava la parola «olistica» addirittura per lo sviluppo sostenibile in edilizia. In realtà, quando si parla di «olistico» si parla di medicina, ma è uguale, nel senso che, così come non si può curare il corpo se non si cura l'anima – la medicina olistica – è esattamente la stessa cosa per il pianeta.
  Si è parlato di compromessi. Compromessi no, se si intende un significato discutibile dal punto di vista della moralità; ma è anche vero che le medicine servono a chi è malato e non a chi è sano. È anche vero che si fanno azioni positive per portare a casa i cattivi, non i buoni. A me piace molto il fatto di iniziare a lavorare con i costruttori, con le utilities dell'energia, con chi fa azioni estremamente inquinanti, molto più che lavorare con chi è già bravo e fa la raccolta differenziata a casa, perché non ha bisogno di noi.
  In realtà, c'è molta più attenzione, in questo momento, in certi settori dell'economia altamente inquinanti, piuttosto che in altri molto più green, un po’ perché dal Protocollo di Kyoto è stato messo un tetto alle emissioni di CO2, quindi le aziende molto inquinanti sono in regime ETS, cioè devono acquistare dei crediti di carbonio per poter rientrare delle loro emissioni; un po’ perché in realtà – basti vedere quello che sta succedendo anche nella finanza – Pag. 11c'è un grandissimo movimento, ad esempio, di green bond, di finanza verde.
  Ecco, sarà perché da irriverente toscana curiosa mi piace andare anche a mettere le mani dentro quello che è il chiaroscuro, a me piacerebbe molto iniziare a parlare di finanza verde e di crediti di carbonio non solo per i Paesi sottosviluppati, ma ad esempio per l'Italia. Una cosa come «cantieri green» l'abbiamo pensata anche perché l'Italia stessa può iniziare a creare il proprio registro di crediti di carbonio e il nostro Paese è totalmente in grado, in questo momento, di portarsi al livello degli altri Paesi europei e del mondo facendo vedere che fa concrete azioni virtuose proprio a partire da quel livello dell'economia sul quale non scommetterebbe nessuno. Noi ci vorremmo scommettere.

  PRESIDENTE. Ho un'altra domanda: come mai per l'Italia l’Earth Overshoot Day è arrivato prima? È più dispendiosa da un punto di vista climatico? È perché siamo poveri di materie prime, o perché siamo in ritardo su una serie di interventi di mitigazione o di contrasto?

  ELENA STOPPIONI, presidente della onlus Save the Planet. Ai livelli top della classifica ci sono ovviamente Australia e USA. Lì è un problema di stile di vita, elevatissimo.
  Noi abbiamo una serie di problemi. Sicuramente non abbiamo tante materie prime, e questo ci porta abbastanza in alto nella classifica. Vi faccio sempre degli esempi su quello che conosco molto bene; venendo dal mondo dell'edilizia, quello è un tema che ho sviscerato. Pensate di passeggiare per strada, in questo momento di caldo afosissimo, e guardate sui terrazzini dei condomini: troverete almeno uno split per terrazzino (gli split sono le macchine che vengono messe fuori, cioè il condizionatore per raffrescare l'abitazione). I nostri condomini hanno due problemi: sono dei colabrodi energetici, e pertanto d'inverno si mette energia per riscaldare casa e si immette calore al di fuori; inoltre, problema ancora più grave, in termini energetici di risorse raffrescare costa molto di più che riscaldare; pertanto, anche questo innesca un procedimento per niente virtuoso, perché se le temperature salgono avremo sempre più bisogno di condizionamento, avremo sempre più bisogno di energia per condizionare quelle abitazioni, sprecheremo risorse sempre prima.
  L'Italia, tra l'altro, è un Paese dove la proprietà è parcellizzatissima. I condomini che da noi sono di trenta, quaranta, ottanta proprietari diversi, magari in Germania sono di un unico proprietario, che è un fondo che fa un'azione globale di rigenerazione urbana e mette a posto tutta quella situazione. Ecco, questo è un tema delicatissimo: la questione dell'utilizzo delle risorse sulla frammentazione della proprietà e anche sull'educazione della popolazione italiana stessa a vivere in maniera sostenibile. Non intendo dire che debbano stare d'inverno in casa a 16 gradi e d'estate a 35 gradi, ma che magari possano fare banali riunioni di condominio dove cominciare a pensare come quel condominio, tutto insieme, può iniziare a fare un'opera di retrofit energetico, e di sostenibilità della comunità.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto la presidente Stoppioni anche per la documentazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato) e i suoi collaboratori e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.50.

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ALLEGATO

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