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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

IV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Giovedì 24 gennaio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Rizzo Gianluca , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PIANIFICAZIONE DEI SISTEMI DI DIFESA E SULLE PROSPETTIVE DELLA RICERCA TECNOLOGICA, DELLA PRODUZIONE E DEGLI INVESTIMENTI FUNZIONALI ALLE ESIGENZE DEL COMPARTO DIFESA

Audizione del professor Michele Nones, Consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI).
Rizzo Gianluca , Presidente ... 3 
Nones Michele , Consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 3 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 9 
Aresta Giovanni Luca (M5S)  ... 9 
Chiazzese Giuseppe (M5S)  ... 9 
Ferrari Roberto Paolo (LEGA)  ... 10 
Deidda Salvatore (FDI)  ... 10 
Tondo Renzo (Misto-NcI-USEI)  ... 11 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 11 
Nones Michele , Consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 11 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 13 

ALLEGATO: Presentazione informatica illustrata dal Professor Michele Nones, Consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero-Sogno Italia: Misto-MAIE-SI;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANLUCA RIZZO

  La seduta comincia alle 9.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del professor Michele Nones, Consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla pianificazione dei sistemi di difesa e sulle prospettive della ricerca tecnologica, della produzione e degli investimenti funzionali alle esigenze del comparto difesa, l'audizione del professor Michele Nones, Consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI).
  Saluto e do il benvenuto al professor Nones, che ringrazio per la sua presenza all'incontro di oggi. Il professor Nones è accompagnato dal dottor Andrea Aversano Stabile.
  Ricordo che, dopo l'intervento del professor Nones, darò la parola ai colleghi che intendano porre domande o svolgere osservazioni. Successivamente il professor Nones potrà rispondere alle domande poste.
  Lascio, dunque, la parola al professor Nones.

  MICHELE NONES, Consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI). Buongiorno. Vorrei ringraziare il presidente e tutta la Commissione per avermi dato l'opportunità di parlarvi del sistema difesa, tema cui ho dedicato 36 anni di vita, più della metà della mia vita, quindi lasciatemi dire che mi fa piacere poter condividere alcune riflessioni su quello che spero e penso di aver imparato.
  La prima riflessione riguarda il sistema della difesa. Ovviamente mi limiterò a darvi alcuni spunti di riflessione, perché il tema è talmente vasto che richiederebbe ben più del tempo che abbiamo a disposizione. Tuttavia, vorrei all'interno di questi temi, andando veloce sulla presentazione, presentarvi più in dettaglio due o tre iniziative, sulle quali penso che potreste trovare degli spunti per la vostra attività.
  La prima riguarda lo schema descritto nella slide n. 1 «sistema di difesa». Parlerò della capacità tecnologica e industriale, ovviamente altri potranno parlare delle capacità militari e, in generale, della politica militare meglio di quanto possa fare io.
  Quello che mi interessa (tenete presente che utilizzo questa slide da vent'anni, oggi è un po’ scontata, ma vi assicuro che vent'anni fa non lo era) è capire che stiamo parlando di un sistema: quindi, qualsiasi intervento che venga fatto da parte di chiunque su una delle parti di questo sistema richiede necessariamente l'adeguamento delle altre parti, perché sono legate tra di loro.
  Come in tutti i sistemi, l'efficienza è legata al fatto che il sistema sia equilibrato. Un sistema non equilibrato è per sua natura inefficiente: quindi, si può intervenire sulla parte Forze armate, ma bisogna tenerne conto. Poi, per quanto riguarda le capacità tecnologiche e industriali, si può intervenire sulla politica militare, ma bisognerebbe Pag. 4 automaticamente e insieme intervenire sulle altre parti.
  La complessità del sistema è legata al fatto che questo sistema si muove non in uno scenario statico, ma in uno scenario dinamico, in rapido movimento. Quindi, questo equilibrio che si cerca di raggiungere deve essere mantenuto tenendo conto che il contesto di riferimento è in continua e rapida evoluzione.
  Un'altra complicazione, per quanto riguarda l'Italia e i Paesi europei, è legata al fatto che noi parliamo di sistemi nazionali, ma in realtà questi sistemi nazionali si muovono in un più ampio e generale sistema europeo, il quale a sua volta si muove nel sistema internazionale. Quindi, oltre alla dinamica nazionale, dobbiamo tener conto di questa dinamica europea.
  Il mercato dell'aerospazio, sicurezza e difesa, come noi lo definiamo, ha subìto e sta subendo in questi anni, soprattutto in questo millennio, una rapida trasformazione. Vorrei dire solo due parole sul secondo e sul terzo elemento. Il primo di questi due elementi è la pervasività dell'elettronica, processo che va avanti da molto tempo. Tutti i sistemi d'arma vedono al loro interno crescere la parte elettronica, e nella produzione di questi sistemi d'arma la parte elettronica cresce a sua volta: quindi, è elettronica che la fa da padrone in generale in tutti i sistemi.
  Con quella che viene definita rivoluzione industriale 4.0 noi stiamo allargando ai prodotti e ai sistemi della difesa quella rivoluzione, che si sta verificando in tutti gli altri mercati, di connessione fra i sistemi e i fornitori. Questo sicuramente è un aspetto positivo, quando comperiamo una nuova lavatrice le informazioni della lavatrice tendenzialmente saranno acquisite dal produttore, che potrà tenerne conto per il miglioramento della lavatrice, per individuarne i punti di criticità e anche le caratteristiche di funzionamento.
  Qui, però, stiamo parlando di sistemi d'arma, quindi questo tipo di rivoluzione dovrà trovare un modo di rapportarsi alla rivoluzione 4.0, tenendo conto del tema della riservatezza. Le informazioni su come funziona un aereo sicuramente servirebbero a migliorarne le caratteristiche, ma nello stesso tempo, a differenza degli aerei civili, devo limitarne il trasferimento al fornitore, per evitare che siano utilizzate contro di me, e non vi nascondo che questo è uno dei grandi temi per i quali ad oggi non abbiamo ancora una soluzione.
  Sicuramente però, perlomeno per le parti meno sensibili dei sistemi militari, si comincia a realizzare questo tipo di trasferimento dei dati in tempo quasi reale fra l'utilizzatore e il fornitore, e questo accresce ulteriormente l'importanza di questa rivoluzione elettronica.
  L'altro aspetto riguarda lo sviluppo di tecnologie, componenti e apparati con applicazioni duali. Questo a sua volta può essere visto in due modi: crescono sul mercato prodotti, tecnologie e componenti con applicazioni duali, che quindi possono essere utilizzate anche all'interno dei sistemi della difesa; viceversa ci sono tecnologie, componenti e apparati che sono stati sviluppati per applicazioni militari che possono trovare, con certe limitazioni, anche delle applicazioni civili.
  Per quanto riguarda la prima parte, ossia l'utilizzo delle componenti duali nei sistemi della difesa, vi è un problema che va tenuto presente: quello legato all'affidabilità e disponibilità di queste componenti. In generale, possiamo dire che dove il mercato civile sta facendo crescere notevolmente questo tipo di componenti e apparati è pensabile che non ci sia una grossa limitazione legata alla necessità di avere sicurezza delle forniture e del funzionamento di questi sistemi, perché sostanzialmente abbiamo una tale competizione sul mercato che, se perdo un fornitore, ne trovo un altro; se non riesco più ad utilizzare quel prodotto particolare, ne posso trovare uno analogo.
  Va però in ogni caso monitorato con grande attenzione e credo che, da questo punto di vista, una delle sfide che hanno di fronte il Ministero della difesa e le Forze armate non sia tanto quella di padroneggiare le tecnologie strettamente militari, quanto quella di avere sempre più una capacità di monitorare lo stato di sviluppo e di innovazione della tecnologia in generale, Pag. 5 proprio per poter vedere quando e come poter inserire nei sistemi della difesa questo tipo di componenti.
  Su questo tema, peraltro, è casualmente appena uscito sulla rivista Affari esteri un mio saggio sul duale e oltre, che spero possa esservi utile in qualche modo.
  Non mi soffermo sulla slide n. 3 «costo della non-Europa della difesa». Ve la ripropongo solo perché nel 2013, nell'ambito di una ricerca fatta dal nostro istituto, abbiamo cercato di spiegare cosa significa non aver realizzato un'Europa della difesa, quali sono gli aspetti negativi e le conseguenze che questa mancata integrazione dell'Europa nel campo della difesa ha portato e, cinque anni dopo, sta portando esattamente come allora.
  Lo ricordo solo a me stesso: noi continuiamo a parlare di un'Europa della difesa che non c'è, perché l'integrazione del mercato e dell'Unione europea è andata avanti esclusivamente nel campo civile. Faccio notare che è andata avanti così per ragioni storiche; perché all'inizio nessuno si fidava, nessuno voleva, nessuno poteva permettersi di parlare di integrazione europea nel campo della difesa.
  Oggi se ne parla non tanto e non solo perché è cambiato lo scenario politico, ma perché in un mondo sempre più globalizzato è cresciuta la consapevolezza che, se l'Europa vuole contare, pesare e garantirsi un minimo di sovranità tecnologica e militare, deve portare avanti anche delle iniziative nel campo dell'integrazione europea.
  In realtà, qualcosa si è fatto, perché soprattutto dal 2006 (vi faccio notare che dal 2006 sono trascorsi solo 12 anni, non 50, 60 o 70) è cominciato concretamente un processo di integrazione perlomeno dalla parte del mercato, ma con una limitazione: quella che nei primi nove anni l'approccio è stato di tipo normativo perché si è pensato che fissando delle regole, imponendo delle norme il mercato avrebbe accettato e vissuto una fase di integrazione.
  La verità è che, utilizzando l'esempio del bastone e della carota, non si può gestire nessun fenomeno usando solo il bastone; può servire in certi momenti, ma alla fine deve esserci la carota, e la carota in questo caso non poteva che essere l'incentivo finanziario. In altre parole, se le istituzioni europee vogliono favorire questo processo di integrazione, non possono limitarsi a dare delle regole, devono anche creare degli incentivi, e gli incentivi in questo campo sono mettere mano al portafoglio della cassa europea e cominciare a cofinanziare dei programmi nel campo della difesa.
  Si è partiti nel 2017 con la PRADA, (Preparatory Action on Defence Research), un programma minimo perché stiamo parlando di 90 milioni, quindi noccioline, che però è servito per cominciare ad avviare programmi congiunti europei di ricerca. Si è passati poi al DIDP (Defence Industrial Development Plan); quindi al Fondo per lo sviluppo che sta sviluppandosi in questo biennio e che è dotato di 500 milioni e, soprattutto, a partire dal 2021 dovrebbe prendere vita l’European Defence Fund, che con 13 miliardi potrebbe rappresentare un forte incentivo a portare avanti programmi congiunti.
  Vi presento, quindi, la prima proposta che mi sento di sottoporvi, cioè l'Italia cosa può fare? Credo che l'Italia e il nostro Governo in questo possano fare molto, anche in linea con le proposte che erano state presentate, al fine di rendere questa Unione europea meno attenta ai problemi del pareggio di bilancio e del contenimento delle spese e farla diventare più un motore di sviluppo. È una soluzione abbastanza banale: cominciamo a far riconoscere che se questi programmi europei che verranno avviati nei prossimi anni sono programmi fatti nell'interesse dell'Unione europea, è logico e conseguente sostenere che il cofinanziamento nazionale, cioè la parte di programma che dovrà essere finanziata dai singoli Paesi, non deve essere considerata ai fini del Patto di stabilità.
  Non è una misura sconvolgente, perché sicuramente non andremo ad alterare nessuno degli indicatori economici né europei, né nazionali; si tratta veramente di poco, ma credo che sarebbe un bel messaggio da parte dell'Unione europea sia per sostenere lo sviluppo tecnologico e industriale dell'Unione Pag. 6 stessa, sia per dimostrare che c'è sensibilità sul fatto che i temi della sicurezza e della difesa sono importanti, devono essere gestiti a livello europeo e, proprio per questo, meritano di essere considerati sotto forma di eccezione alle normali regole che vengono applicate ai programmi di investimento.
  Vi dico subito che personalmente sarei già contento che venisse fatto esclusivamente per i programmi europei; altra cosa è pensare che tutte le spese di investimento o le spese di difesa siano portate fuori. Mi rendo conto che questo secondo passo potrebbe essere in futuro importante e utile, ma credo che in una politica pragmatica sarebbe già importante muoversi con un primo passo.
  Per l'Italia questo sarebbe particolarmente importante perché, stante i nostri problemi di finanza pubblica, poter finanziare determinati programmi di ricerca e innovazione senza andare a carico del debito potrebbe rappresentare una soluzione.
  Nella slide n. 5 «Spesa europea per la difesa 2018» il dato italiano è quello della quarta colonna. Lo conoscete: noi abbiamo un livello di spesa per la difesa molto basso rispetto ai nostri principali partner europei. Abbiamo circa 20-21 miliardi di euro, considerando il bilancio della difesa comprese le spese per i Carabinieri e non considerando invece i finanziamenti erogati dal Ministero dello sviluppo economico. Se però togliete i Carabinieri e mettete dentro i finanziamenti del Mise, non ci muoviamo molto da questi valori, quindi possiamo tenerli buoni per un confronto internazionale.
  L'altro dato eclatante è il fatto che noi siamo all'1,18-1,20 per cento del Prodotto interno lordo. In tutti questi anni, prima ancora di questa legislatura in cui magari qualcuno di voi è entrato per la prima volta, il dibattito è stato veramente kafkiano, cioè stiamo a discutere se il nostro bilancio aumenta di centesimi, non di decimi, quindi siamo a 1,18 o 1,17, ma a me sembra veramente poco interessante. Il problema è che noi ci siamo impegnati (volenti o nolenti, si può rimettere in discussione) e attualmente siamo impegnati come Paese a puntare al 2 per cento, all'interno del quale dovremmo garantire come minimo il 20 per cento di investimento. È chiaro che, partendo dall'1,19, siamo lontanissimi.
  Credo, quindi, che realisticamente si debba dire: «la nostra rotta punta a quell'obiettivo, però dobbiamo renderci conto che oggi non ci sono grandissimi margini». Di sicuro, però, bisogna rimanerne consapevoli.
  A mio avviso, più interessante è vedere, nella slide n. 6, come è ripartita la spesa per la difesa, perché i valori che vedete sulla destra sono diversi in quanto scontano il fatto che abbiamo tolto le spese per i Carabinieri, quindi restano le spese per la difesa reali, tolta la sicurezza interna. Se noi consideriamo questi valori, ci accorgiamo che (mi limito ad osservare le percentuali inserite nelle tabelle) siamo ancora molto lontani da quello che è il modello ideale per un Paese come l'Italia, che ha una limitata spesa per la difesa (e con questo bisogna convivere) e ha un ruolo di potenza regionale; quindi, nello stesso tempo non ha le esigenze e le spese che può avere una potenza che abbia ambizioni mondiali.
  Le percentuali sono molto semplici, noi dovremmo scendere per quanto riguarda il personale e puntare al 40 per cento (siamo al 60 per cento delle spese della funzione difesa); dovremmo puntare al 30 per cento per l'esercizio, il che significa soprattutto addestramento del personale, addestramento e manutenzione, e rimanere intorno al 30 per cento per quanto riguarda l'investimento.
  L'unica percentuale giusta dal mio punto di vista è quella dell'investimento, sono le altre due che sono sballate. Questo vuol dire che o noi aumentiamo il totale, quindi destiniamo nuove risorse all'esercizio, oppure siamo costretti a porci il problema delle dimensioni dello strumento militare.
  O diminuiamo il numeratore o aumentiamo il denominatore; siccome non mi sembra che ci siano chiari di luna per cui si può puntare nel breve periodo ad aumentare realisticamente il totale della spesa, dobbiamo puntare per forza a un contenimento delle dimensioni dello strumento militare, altrimenti l'investimento per uomo, Pag. 7quello che si calcola per vedere se il sistema stia funzionando, resta basso, e rischiamo di avere delle Forze armate come ci sono state durante il ventennio, tanti uomini e pochi mezzi, e soprattutto tanti uomini non addestrati, che è la cosa più grave.
  Passo velocemente alla seconda parte. Vi ripropongo alcuni spunti che ho preso dal Libro bianco della difesa; per la precisione dal capitolo 9, quello a cui ho personalmente collaborato. Sono passati pochi anni, sinceramente non ho molto da aggiungere, mi limito a dire che innanzitutto ritengo ancora corretto dire che bisogna continuare a puntare su programmi europei e internazionali, con quei due caveat che erano già previsti.
  Innanzitutto ci vogliono nuove soluzioni dei programmi internazionali: come europei non possiamo permetterci di continuare a gestire i programmi nella logica del cosiddetto cost sharing – work sharing, tanto pago tanto prendo, perché all'interno di ogni programma questo significa alterare l'efficienza del mercato. Per prendere tanto lavoro quanto pago rischio, infatti, di creare in Europa continuamente sopra-capacità produttive perché devo comperare 50 aerei e voglio lavoro per 50 aerei (non faccio questo esempio a caso) ma magari le mie vere capacità sono nel settore navale, non nel settore aeronautico. Quindi, per prendere tanto lavoro nel settore aeronautico, potenzio la mia capacità aeronautica.
  Questo lo fanno tutti i Paesi europei e, alla fine, noi ci ritroviamo nella triste situazione europea per cui rischiamo di mandare avanti programmi per mantenere le imprese e non perché servono i risultati di questi programmi.
  È quindi necessario uno sforzo di coraggio per cui principali Paesi dicano una volta per tutte cosa vogliono fare da grandi (non possiamo fare tutto tutti). Come Italia abbiamo delle capacità; valorizziamole, pretendiamo che gli altri ce le riconoscano, però nello stesso tempo dobbiamo accettare una logica per cui all'interno dei programmi vanno adottati dei correttivi.
  Ad esempio, la lead nation, quello che nella slide n. 7 è indicato in basso a sinistra, è uno dei sistemi che si sta cercando di attuare: invece di essere tutti uguali all'interno dei programmi, c'è un Paese che guida l'intero programma.
  Competenze tecnologiche. Continuo a pensare che anche lì dobbiamo fare delle scelte, cioè capire dove possiamo e dobbiamo mantenere delle capacità tecnologiche e dove, invece, possiamo accettare di condividerle con gli altri Paesi. Questo non significa che siano più importanti e meno importanti, perché per poterle mantenere vuol dire che le abbiamo.
  Le capacità sovrane sono quelle che abbiamo e vogliamo mantenere, quelle che invece non abbiamo o riteniamo di poter condividere le dobbiamo condividere, ma questa è una scelta che va fatta, perché altrimenti non sappiamo come gestire efficacemente le nostre risorse. Per mantenere le capacità sovrane, per mantenere quelle che vogliamo che restino in Italia, dobbiamo per forza privilegiare negli investimenti quel tipo di attività, non possiamo distribuirle a pioggia, dobbiamo fare delle scelte.
  A questo fine la difesa ha fatto quello che era previsto: ha predisposto un documento, peraltro credo sconosciuto perché non è nemmeno pubblicato sul sito della difesa, (è stato distribuito, quindi, a prescindere dal fatto che ci ho lavorato, non diffondo nessuna informazione riservata) che si chiama Strategia tecnologica industriale della difesa e che ancora non richiede ulteriori implementazioni, in cui si cerca di fare il quadro di come la difesa dovrebbe gestire la sua strategia tecnologica industriale.
  Questo chiarisce un aspetto secondo me fondamentale, quello che questa strategia tecnologica industriale (SIT) deve servire per definire le priorità del Governo e delle amministrazioni coinvolte. In altre parole, alla fine, si dovrebbe scrivere: «noi riteniamo che il settore navale rappresenti un'area di eccellenza per l'Italia» (faccio un esempio a caso, ma comunque credo lo sia), quindi come difesa dobbiamo tenere conto di questa scelta, ne dovrà tener conto il Ministero dello sviluppo economico finanziando i programmi di sviluppo; ne Pag. 8dovrà tener conto tutta l'amministrazione nel momento in cui va a cercare accordi internazionali. Se è un'area di eccellenza tecnologica va salvaguardata.
  Questo vuol dire non che chiudiamo la porta a tutti gli altri, ma che dovremo avere un occhio di riguardo per questa area. Questo non è un segreto di Stato, è una cosa che altri Paesi hanno già fatto, hanno già detto cosa vogliono fare. I tedeschi, ad esempio, hanno fatto un elenco e hanno detto: «noi vogliamo rimanere qua», quindi hanno detto cosa vogliono fare da grandi, mentre sinceramente non so ancora cosa il nostro Paese voglia fare da grande.
  La seconda proposta che emerge da quello che abbiamo scritto e detto negli anni scorsi riguarda il problema della pianificazione delle spese per la difesa. Confesso che ad oggi, 24 gennaio, a chi mi domanda quanto spenderà l'Italia nel 2019 rispondo che in valore totale sì, ma non so quanto investirà l'Italia per la difesa, non so quali sono i programmi che saranno finanziati nel 2019; può darsi che sia perché non sono più all'interno dell'attività al Governo, ma temo che ad oggi non lo sappia ancora nessuno, perché mi dicono che molto dipenderà dalla distribuzione del Fondo comune.
  In ogni caso, perché non possiamo dotarci, come quasi tutti i principali Paesi, di una pianificazione a 6 anni, rivedibile ogni tre, quindi allineata ai cicli delle leggi di stabilità, che offra stabilità delle risorse dal punto di vista dei pianificatori delle Forze armate e dell'industria, che sia anche per il Parlamento un elemento di chiarezza e trasparenza?
  So che voi vi trovate a dover esaminare in sede di parere i programmi che vi vengono proposti, programma per programma, dal Ministero della difesa. Io li ho sempre seguiti con attenzione, ma non ha senso. Come si fa a dire se quel programma va bene o male, se è giusto prevedere l'acquisto di 20, 50 o 35 mezzi? Dipende dal complesso della pianificazione del sistema della difesa.
  La mia domanda, quindi, è questa: non sarebbe meglio avere un'occasione ogni anno per fare il punto sul quadro completo dei programmi in corso e dei programmi di previsto avvio? Voi come Parlamento date giustamente il vostro parere; da quel momento, fino all'anno successivo si va avanti su quel programma. Ovviamente questo vuol dire un grande sforzo di trasparenza da parte dell'amministrazione, perché deve esservi fornito un quadro non dettagliato, infatti nei particolari ci perdiamo tutti, ma complessivo sullo stato di attuazione dei programmi.
  Altrimenti succede quello che è successo negli ultimi trent'anni: voi esaminate un programma, date un parere di solito favorevole sul programma, con delle limitazioni, dei suggerimenti, delle osservazioni, dopodiché quello va nel dimenticatoio, perché nessuno viene a riferirvi che hanno lasciato perdere quel programma perché è cambiato il contesto, perché non si sono realizzati gli obiettivi, perché mancavano i soldi o è stato cambiato e fatto slittare.
  Questa seconda parte, quindi, non c'è e potete costruirvela solo se (è un lavoro da pazzi) andate a vedere nell'ambito dei vari Documenti Programmatici Pluriennali qual è lo stato di attuazione del programma. Invece, dovrebbe esserci un momento in cui questo tipo di valutazione, che è una valutazione politica importante perché riguarda la politica di difesa del Paese, viene fatto in una sessione particolare delle Commissioni che ricevono dati chiari, trasparenti e facilmente interpretabili.
  Il terzo e ultimo punto è quello che riguarda l'organizzazione di quella parte dell'amministrazione della difesa che gestisce la politica industriale, il procurement, gli acquisti, i finanziamenti.
  Noi ci portiamo dietro ancora una struttura arcaica, perché ha visto sommare nella persona dell'allora Segretario generale della difesa anche la funzione di Direttore nazionale degli armamenti. Sono passati ventun anni e credo che possiamo permetterci di eliminare la sbarra e dire che il Segretario generale della difesa è un'altra persona e offrire in questo modo, a mio avviso, un giusto riconoscimento anche al personale civile della difesa, che non deve essere mortificato avendo un impedimento formale ad acquisire determinati incarichi. Pag. 9
  Il Direttore nazionale degli armamenti, a mio avviso, potrebbe essere anche un civile. Non si capisce perché da noi possa essere solo un militare e negli altri Paesi possa essere anche un civile. Facendo il consulente del Segretario generale della difesa e Direttore nazionale degli armamenti per un certo numero di anni, partecipando alle riunioni vedevo che dall'altra parte del tavolo ci stavano dei civili, quindi non è una cosa così strana.
  A parte questo, è importante che il nostro Direttore nazionale degli armamenti si concentri sulla realizzazione di questa strategia industriale e tecnologica della difesa. Siccome noi presumiamo che anche per quanto riguarda i prodotti bisogna considerare il ciclo di vita del prodotto, dal momento in cui viene impostato al momento in cui finisce, penso che chi si rapporta a questo tipo di ciclo di vita deve avere in sé la possibilità di seguire dall'attività di ricerca fino all'attività di supporto logistico e di eliminazione del prodotto.
  La proposta che era stata fatta e che io continuo a condividere è quella di garantire che il nostro Direttore nazionale degli armamenti segua anche il supporto logistico, ovviamente escluso tutto quello che riguarda le attività direttamente operative, perché non si può pensare che all'interno di una missione, mentre una nave si trova nell'Oceano Indiano, le riparazioni e la manutenzione siano gestite da Roma. Quindi è chiaro che bisogna dividere fra operatività del supporto logistico e supporto logistico programmato, ma credo che questo sia un tema che possa essere facilmente risolto.
  Mi scuso per la lunghezza, ma avevo troppe cose da dire.

  PRESIDENTE. La ringrazio, professore.
  Lascio la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIOVANNI LUCA ARESTA. Grazie, presidente. La ringrazio, professore, per averci dato questa opportunità di acquisire un quadro immediato di quella che è la situazione.
  Sicuramente PESCO ed European Defence Fund rappresentano i due principali sviluppi verso l'Europa della difesa (oggi abbiamo parlato più volte di un'Europa della difesa), ma non solo certamente gli unici. Lei mi darà atto anche della recente istituzione di un primo accenno di un quartier generale a livello europeo, dove verranno pianificati i meccanismi a livello di politica della difesa in Europa, in particolare per quanto riguarda le missioni.
  In questo notevole contesto evolutivo, che presenta quindi opportunità e sfide per l'Italia, riteniamo necessario che il Governo e il Parlamento mantengano alta l'attenzione (di questo siamo consapevoli) per promuovere una sorta di maggiore impegno in chiave di politiche europee della difesa.
  Le voglio chiedere come valuti l'aver stimolato (lo abbiamo fatto anche recentemente in Commissione) una sorta di collaborazione nel settore della ricerca in materia di difesa e di rapporti con le università e i centri di ricerca a livello nazionale e internazionale, da cui viene uno sviluppo omogeneo tra gli Stati membri di prodotti e tecnologie della difesa.
  Concludo segnalando (è una notizia recente) che la Commissione europea in questi giorni ha inviato alla Camera dei deputati e, in particolare, alla nostra Commissione, una lettera di compiacimento per il lavoro svolto proprio nell'ambito dell'analisi dell’European Defence Fund e del parere che questa Commissione ha reso. Grazie.

  GIUSEPPE CHIAZZESE. Grazie, professor Nones, per la sua esposizione molto chiara ed esaustiva.
  Lei accennava al fatto che in Italia l'investimento per uomo è percentualmente molto più basso rispetto a quello della Gran Bretagna, della Francia e della Germania. In virtù della sua più che trentennale esperienza nel campo, per quale motivo in Italia si è arrivati ad un punto per cui da un lato siamo così fortemente sbilanciati e gli investimenti tecnologici sul sistema difesa sono così esigui? La ringrazio.

Pag. 10

  ROBERTO PAOLO FERRARI. Ringrazio anch'io il professore per la relazione.
  Da ciò che abbiamo potuto capire, la sua posizione guarda il comparto difesa, gli investimenti e il futuro di questo settore dal punto di vista delle politiche europee.
  Lei ha fatto anche riferimento ad uno degli ultimi strumenti che abbiamo esaminato in questa Commissione, il Fondo europeo degli investimenti. In merito a questo, però, la compartecipazione del nostro Paese ai programmi che con il Fondo verranno sviluppati prevede un impegno finanziario. Poiché nel comparto della difesa, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti, le politiche di riduzione della spesa hanno inciso pesantemente, vorrei sapere quali potrebbero essere i riflessi sulla capacità della nostra industria della difesa nel competere a livello europeo con gli altri competitors dei Paesi europei.
  Sempre in quest'ottica di visione europea, vorrei sapere come vede la posizione della Francia e della Germania in merito alla acquisizione Fincantieri dei cantieri navali STX di Saint-Nazaire, dato che ha fatto riferimento anche a una nostra possibile concentrazione nel settore navale. Il recentissimo accordo franco-tedesco di Aquisgrana non mina le prospettive di sviluppo di un sistema integrato della difesa europeo?
  Da ultimo, lei ha giustamente posto l'accento sullo sbilanciamento del nostro sistema di spesa per la difesa sulla parte del personale; quindi, se non si va ad investire sul fronte dell'esercizio, il bilanciamento sarà sempre sproporzionato.
  Nelle audizioni dei Capi di stato maggiore delle Forze armate è stato però sottolineato che, se vogliamo mantenere l'attuale capacità operativa anche nei teatri internazionali in cui siamo presenti, piuttosto che la nostra presenza nel teatro mediterraneo, un'ulteriore contrazione, anche nell'ottica delle previsioni della legge n. 244 del 2012, non potrà non incidere sulla nostra operatività. Rischiamo, quindi, di compromettere l'operatività sotto il piano del personale e degli strumenti che deve utilizzare. Quali suggerimenti ritiene di poter fornire alla Commissione per adottare dei correttivi in una situazione che sembra avvitata in una spirale negativa? Grazie.

  SALVATORE DEIDDA. Grazie, professore, abbiamo molto apprezzato la sua relazione, perché ha toccato dei punti fondamentali. Uno è quello sul Patto di stabilità. Questa Commissione, nel parere espresso sulla Comunicazione congiunta della Commissione europea e dell'Alto rappresentante al Parlamento europeo e al Consiglio relativa al piano d'azione sulla mobilità militare, ha proposto di escludere le spese riguardanti la difesa comune, quindi strade, infrastrutture, armamenti, e spero che questo sia preso in considerazione dall'Unione europea.
  Quello che mi preoccupa è che, come lei ha evidenziato, abbiamo un sistema di aziende che si occupano di difesa che sono all'avanguardia, vanno a velocità elevata, procurano un indotto economico rilevante (ieri sono stato alla Vitrociset), hanno prodotti notevoli, anche se sono purtroppo in sofferenza. Al riguardo, sarebbe opportuno che il Governo facesse chiarezza sul mancato passaggio a Leonardo, nello scorso mese di dicembre, di Vitrociset, azienda di cui non si conosce quale possa essere il futuro.
  Noi vendiamo all'estero prodotti della difesa, tutti i Paesi si riforniscono da noi (Qatar, Indocina) perché siamo molto apprezzati, ma purtroppo lamentano che l'Italia stia investendo poco e stia arretrando. Temo che, continuando così, non potremo mai entrare da protagonisti nel Fondo comune della difesa, perché se su tre Paesi, due investono 5 mentre noi investiamo 1, raccoglieremo sempre le briciole e saremo sempre considerati la Cenerentola.
  Vorrei chiederle se possa esserci, per via del Fondo comune europeo o per il patto Francia/Germania, una fuga delle multinazionali della difesa italiane per mancanza di armamenti. Rischieremmo di essere schiavi di altre nazioni anche per quanto riguarda gli armamenti e, soprattutto, di assistere ad una fuga di cervelli che non trovano spazio e fondi, perché non è lei a non saperlo, ma è un fatto acclarato che si ignorino le intenzioni del Governo riguardo Pag. 11alla politica di difesa e degli armamenti nel 2019.
  Se ci si vanta di tagliare fondi alla difesa, bisogna ricordare che tali fondi servono per le richieste dei Capi di stato maggiore che ci dicono di non avere più un carrarmato adeguato alle loro esigenze, che deve essere progettato e per realizzarlo ci vogliono anni. La stessa cosa si potrebbe dire per gli aerei o altre strumentazioni; quindi, corriamo veramente un serio rischio.

  RENZO TONDO. Sarò brevissimo, anche perché tra poco dobbiamo tornare in Aula. Ho una considerazione e una domanda.
  Quando vogliamo parlar bene dell'Europa, chi vuole farlo dice che da 70-80 anni siamo senza guerre, ma poi dobbiamo verificare che non abbiamo fatto nulla per integrare gli eserciti. Quindi, c'è qualcosa che non mi torna rispetto a questo. Una delle cose su cui bisogna insistere è quella da cui è partito il professore illustrandoci i temi della mancata coesione o della lenta collaborazione europea su questo nodo politico da sciogliere.
  Passo all'altra questione che non capisco. Dalla slide sulla spesa europea per la difesa, appare (lo sapevamo già) che spendiamo meno degli altri. Abbiamo un bilancio della difesa inferiore a quello degli altri, però siamo i primi al mondo dopo gli Stati Uniti per partecipazione alle missioni militari all'estero (il Ministro ha detto che siamo i più forti come missioni all'estero), abbiamo un sistema di ricerca tra i più elevati e una truppa troppo anziana. C'è qualcosa che non mi torna: se abbiamo meno soldi degli altri, siamo i primi all'estero, investiamo molto in ricerca, tutto ciò significa che abbiamo meno carrarmati e missili?
  Vorrei capire quale sia la differenza rispetto agli Stati che possono essere paragonati al nostro, quindi soprattutto l'Inghilterra, la Germania e la Francia.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Nones per la replica.

  MICHELE NONES, Consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (IAI). Forse, più che una replica, visti i tempi stretti, presidente, farei qualche spunto di riflessione, e mi scuso perché le domande che mi avete fatto sono di grande interesse, ma non riesco evidentemente ad esplicitarle tutte.
  Vorrei partire dalla prima riflessione. Ho seguito con attenzione e ho molto apprezzato il lavoro che è stato fatto dal Parlamento in merito alle iniziative europee. Credo che sia una delle best practices, uno degli esempi virtuosi che spesso, come italiani, riusciamo nonostante tutto a dare agli altri Paesi su come i Parlamenti dovrebbero seguire le attività non solo nazionali (quello è un po’ scontato). Avete seguito con grande attenzione, competenza ed efficacia le iniziative a livello europeo.
  Forse – lasciatemi dire – c'è un solo momento di scollamento, nel senso che voi avete fatto una serie di attività per chiarire e avete preso una posizione, dopodiché però la posizione va riportata concretamente. Gli uffici evidentemente trasmettono al Parlamento europeo e alla Commissione le vostre riflessioni, però poi bisogna che a Bruxelles i nostri uomini e il Governo da Roma seguano la questione da vicino, altrimenti succede quello che è successo con il discorso dell'esclusione dal Patto di stabilità (non è un'invenzione mia, se ne parla da anni).
  Qualcuno deve quindi portarle al tavolo, perché alla fine le decisioni vengono prese nei Consigli: quello dei Presidenti del Consiglio e quello dei Ministri degli esteri (non c'è purtroppo un Consiglio dei ministri della difesa). Quindi vadano lì, portino un documento (non occorre fare un dossier, bastano due pagine) e dicano: «siamo attorno al tavolo, siamo 27, siete d'accordo?», dopodiché le strutture dell'Unione europea dovranno implementare questa decisione, altrimenti uno va lì e scopre che non è successo assolutamente niente.
  L'investimento è un nostro grosso problema; torno a ripetere che voi avete la possibilità di cambiare le cose (questo mi fa invidia, perché io posso solo dirlo). Tanto per cominciare ci vuole un'operazione di trasparenza. Basta con questa storia che una parte dei fondi utilizzati per gli acquisti Pag. 12 di prodotti della difesa vengono gestiti da un altro Ministero (l'ho detto già al Governo precedente, quindi non c'è alcuna implicazione politica, solo istituzionale); se sono fondi per acquisti di prodotti della difesa che vengano gestiti dal Ministero della difesa. Perché devono essere tenuti sotto controllo?
  Un conto è l'innovazione tecnologica, perché posso capire che ci sono attività e programmi legati alla difesa che hanno un valore di innovazione tecnologica così importante per cui transitano nella generale attività di politica industriale; ma per quanto riguarda il resto stiamo parlando di acquisti, e questi li fanno i militari per esigenze dei militari.
  Attenzione: l'unica differenza è che, se li spostiamo al Ministero delle difesa, sicuramente prevarranno le esigenze militari. Se restano allocati al Ministero dello sviluppo economico, come minimo le esigenze militari dovranno convivere con un'altra serie di esigenze, e questo è sbagliato e non è neanche trasparente.
  Adesso è addirittura ridicolo, perché negli ultimi tre documenti programmatici pluriennali le spese del Ministero dello sviluppo economico sono indicate dalla difesa, che giustamente dà conto di questi fondi, però non sono i dati che noi forniamo. Ci facciamo anche del male perché poi non lo diciamo nemmeno in ambito internazionale, quindi risultiamo ancora più indietro di quanto in realtà siamo.
  Quindi un'operazione di trasparenza, per cui si dica quanto spende l'Italia per la difesa, in modo che tutti, voi, l'opinione pubblica e gli elettori, sappiano quanto sta spendendo realmente la difesa, e – credetemi – in nessun caso è allineato con quello che spendono gli altri (ci sono ragioni storiche, non entro nel merito).
  Credo che dovremo convivere ancora per un certo periodo con questo basso livello di spesa, quindi dovremo intervenire sotto il profilo dell'efficienza, non sull'aumento della spesa.
  Il problema della PESCO. Lo IAI ha presentato uno studio su questa attività, è molto bello che l'Italia partecipi allo stesso numero di progetti della PESCO, ventuno, cui partecipa la Francia, perché ci collochiamo al top dei Paesi più impegnati. Se però questi vanno avanti, c'è un punto interrogativo che riguarda i soldi necessari per finanziarli.
  In questo settore, la stabilità, l'affidabilità, la credibilità di un Paese nel fare determinate scelte è un fattore non irrilevante, perché nessuno affida o condivide la sua sicurezza con un Paese che non sia più che affidabile, perché è la sua sicurezza. Dobbiamo dare a tutti la certezza che se partecipano a un programma PESCO a guida italiana, poi metteremo le risorse per portarlo avanti e che non succeda che dobbiamo ammettere di esserci sbagliati, di non avere le risorse, perché questo farà crollare in modo drammatico il nostro livello di affidabilità. Mi dicano dove sono i soldi per finanziare ventuno progetti; mi va benissimo, ma vorrei capirlo.
  Vorrei rassicurare l'onorevole Deidda sul rischio di fuga industriale. Innanzitutto siamo l'Italia, non un Paese del terzo mondo. Credo che chiunque terrà conto del ruolo, della storia, del peso che il nostro Paese ha sullo scenario internazionale. In secondo luogo è vero che noi non abbiamo grandi risorse, però in Unione europea vale il principio che tanti piccoli investimenti fanno un grande investimento; nessuno ha la capacità di fare un investimento così grande in maniera autonoma e nessun Paese dovrebbe dimenticare che se l'Unione europea, insieme ai principali Paesi interessati dell'Unione, non riescono a condividere determinate scelte, nessuno potrà sopravvivere sul mercato globale. Questo vale per noi che siamo più piccoli, ma vale anche per i più grandi. Noi abbiamo bisogno di loro, ma loro hanno bisogno di noi.
  Questa è per fortuna la grande forza dello stare insieme nell'Unione europea; se non ci fosse questo avrei qualche dubbio, ma questa consapevolezza ci fa sperare che, nonostante tutto, si possano trovare ancora occasioni di accordo.
  Antitrust europeo. In Italia si è conclusa una discussione politica interna. Si può esprimere disappunto sull'Antitrust francese e tedesco, però fino a prova contraria sono francesi e tedeschi, ma sono anche Pag. 13autorità indipendenti, per cui se il Governo italiano attuale alza al telefono, se il Presidente del Consiglio chiama il Presidente dell'Antitrust italiano e gli dice «fai questo, così la cosa potrebbe funzionare», non credo che valga negli altri Paesi. Tantomeno vale per l'Antitrust europeo, che è un organismo multinazionale in cui stanno anche gli italiani, indipendentemente dal fatto che il presidente sia francese, tedesco, olandese o svedese e ha una sua autonomia.
  Io guarderei con fiducia il fatto che l'Antitrust europeo convenga sul fatto che l'operazione ha senso. Quello che semmai va posto in discussione è il fatto che le normative Antitrust (non l'Autorità) forse sono un po’ vecchie, perché sono state pensate quando si riteneva che il valore della competizione nel mercato europeo fosse un valore a cui non si poteva rinunciare, ma oggi il mercato è globale.
  Io riconosco che l'operazione Fincantieri-STX creerà un livello di concentrazione nel settore della cantieristica escluse le super navi (va fatta questa precisazione) che non è compatibile con una competizione intraeuropea. Tuttavia la competizione è mondiale, quindi è a quello che si deve guardare. D'altra parte, Airbus è Airbus, ma non perché è franco-tedesca o spagnola. È così perché l'Europa non potrebbe permettersi di avere un competitore europeo nel settore dei veicoli commerciali. I grandi lanciatori li fa ArianeGroup; lasciamo perdere che dentro c'è una serie di parti italiane, però di fatto ce ne possiamo permettere uno.
  MB Diana, nel campo missilistico, è l'unica società europea: una ce ne possiamo permettere! Qualcuno discute addirittura se persino nel campo elicotteristico ci possiamo permettere due grandi player come Airbus e Leonardo; però, per ora, ci possono stare. Sicuramente nel campo delle navi da crociera, che è un settore socialmente ed economicamente rilevante. Ma non potete pensare che sia strategicamente rilevante, stiamo parlando delle navi da crociera.
  Penso che tutti, se potessimo, ci andremmo volentieri, ma per divertirci; non è che da queste dipende la nostra sopravvivenza o la sopravvivenza del sistema Paese. Giustamente l'Italia, che ha raggiunto la leadership mondiale nel settore di tutte le navi, escluso quello delle super navi, sta cercando attraverso Fincantieri di crescere ancora per competere meglio.
  Se dovessimo arrivare a dire che l'applicazione delle regole europee penalizza questa iniziativa, vuol dire che le regole europee sono sbagliate; ma è lì che bisogna intervenire. Quindi, che si diano da fare il Consiglio europeo e il Parlamento europeo per cambiare la normativa.
  Non vorrei abusare del vostro tempo, presidente. Vi ringrazio a nome del mio istituto per il tempo che ci avete dedicato e anche in modo assolutamente informale siamo sempre a disposizione del Parlamento per qualsiasi approfondimento vi potesse servire.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professore, anche per la disponibilità per ulteriori approfondimenti e la presentazione informatica che ci ha lasciato e di cui autorizzo la pubblicazioni in allegato al resoconto stenografico dell'audizione (vedi allegato).
  Nel ringraziare il nostro ospite, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.40.

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