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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 20 di Mercoledì 20 ottobre 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mura Romina , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE NUOVE DISUGUAGLIANZE PRODOTTE DALLA PANDEMIA NEL MONDO DEL LAVORO

Audizione del professor Pasquale Tridico, presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS).
Mura Romina , Presidente ... 3 
Tridico Pasquale , presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) (intervento da remoto) ... 3 
Mura Romina , Presidente ... 7 
Cubeddu Sebastiano (M5S)  ... 7 
Mura Romina , Presidente ... 8 
Cubeddu Sebastiano (M5S)  ... 8 
Mura Romina , Presidente ... 8 
Tridico Pasquale , presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ... 8 
Mura Romina , Presidente ... 10 

Audizione del professor Tiziano Treu, presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL):
Mura Romina , Presidente ... 10 
Treu Tiziano , presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) (intervento da remoto) ... 10 
Mura Romina , Presidente ... 14 
Treu Tiziano , presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) (intervento da remoto) ... 14 
Mura Romina , Presidente ... 14 
De Lorenzo Rina (LeU)  ... 14 
Mura Romina , Presidente ... 15 
Treu Tiziano , presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL ... 15 
Mura Romina , Presidente ... 16 

ALLEGATO 1: Documentazione trasmessa dal presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ... 17 

ALLEGATO 2: Documentazione trasmessa dal presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) ... 56

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ROMINA MURA

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web tv.

Audizione del professor Pasquale Tridico, presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle nuove disuguaglianze prodotte dalla pandemia nel mondo del lavoro, l'audizione del professor Pasquale Tridico, presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020. Nel ringraziare il professor Tridico per la sua disponibilità, gli cedo immediatamente la parola, ricordando che la sua relazione dovrebbe avere una durata orientativa di quindici minuti.
  Prego, professore.

  PASQUALE TRIDICO, presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) (intervento da remoto). Grazie presidente. Nella mia relazione illustrerò una specifica presentazione di diapositive, che chiedo di depositare agli atti, concentrandomi su chi è stato maggiormente colpito dal COVID-19 in termini economici. Cercherò anche di dare uno sguardo all'aumento della mortalità, quindi all'impatto sanitario. Ovviamente, parlerò di ciò che l'INPS ha fatto su richiesta del Governo e del Paese, in termini di politiche di contrasto delle conseguenze della pandemia nonché dell'effetto di tali politiche, dagli ammortizzatori sociali fino al Reddito di cittadinanza, nel mitigarne l'impatto.
  Chi è stato colpito maggiormente dalla crisi? Dal grafico si vede bene che sono stati colpiti soprattutto i lavoratori precari, ovvero i collaboratori che non hanno un contratto da dipendente privato né da dipendente pubblico: si tratta soprattutto di collaboratori, lavoratori a tempo determinato, lavoratori dello spettacolo, operai agricoli. Tuttavia, vedete dal grafico che, a partire dai mesi di marzo e aprile del 2021, si è registrata una forte ripresa del numero di tali lavoratori nonché dei lavoratori dipendenti privati, che, ovviamente, nella primavera e nell'autunno del 2020 hanno utilizzato la cassa integrazione e quindi hanno subito una riduzione del reddito. Nella seconda parte di questa pandemia, ovvero dalla primavera del 2021, c'è stata una forte ripresa dei dipendenti privati, dei collaboratori e dei lavoratori del settore dello spettacolo. Il 49 per cento dei rapporti di lavoro interrotti a causa del COVID-19 è riconducibile ai cosiddetti settori non essenziali, che si sono dovuti fermare a seguito dei provvedimenti del Governo, ovvero il 57 per cento delle imprese, che corrisponde quasi alla metà dei lavoratori. Prevalentemente, tra questi lavoratori ci sono coloro che presentano le fragilità più marcate, ovvero le donne e i giovani. Dalla tabella emerge come i lavoratori bloccati nei settori non essenziali sono essenzialmente Pag. 4 le donne, per una percentuale superiore al 50 per cento, i lavoratori part-time e i lavoratori temporanei, oltre che i giovani. Sono invece prevalentemente lavoratori adulti coloro che, lavorando nei settori essenziali, non sono stati colpiti economicamente dalla crisi perché hanno continuato a lavorare. Dalla tabella si vede anche che nei settori bloccati i salari sono decisamente più bassi: si tratta di operai con salari più bassi che lavorano nei settori bloccati e che, qualora lavoratori dipendenti, hanno avuto accesso, nella quasi totalità, alla cassa integrazione. Si vede, inoltre, come le madri, e quindi le donne, abbiano subìto una riduzione salariale più marcata rispetto agli uomini e, quindi, ai padri. Nel grafico proiettato vedete che le linee blu verso il basso, che rappresentano le lavoratrici madri, sono maggiormente negative rispetto alle linee arancioni, che indicano i lavoratori padri. La riduzione del salario per le donne è stata del 50 per cento, mentre per gli uomini è stata del 35 per cento.
  Possiamo dire che limitare le attività ha avuto un importante ruolo positivo nel contenimento del COVID-19. L'altra faccia della medaglia, tuttavia, è stato l'effetto negativo causato dal mancato blocco dei settori essenziali, come si vede soprattutto nel grafico proiettato. La linea blu rappresenta i lavoratori contagiati nelle province con più settori considerati essenziali, ovvero settori che non sono stati bloccati durante i lockdown. Questo impatto è stato del 25 per cento maggiore: possiamo dire che le province con una presenza prevalente di settori essenziali hanno avuto un tasso di contagio più alto del 25 per cento. Riferendoci alla mortalità, ricaviamo tale dato dal numero di cessazioni delle pensioni. Abbiamo avuto due grossi picchi di cessazioni, che corrispondono ai picchi di mortalità nella primavera e nell'autunno del 2020: nella primavera del 2020 il picco di cessazioni, e quindi dei decessi, è stato superiore del 97 per cento rispetto alla baseline dei cinque anni precedenti; nell'autunno del 2020, c'è stato un aumento del 59 per cento della mortalità, che ha causato la corrispondente cessazione delle pensioni di lavoratori autonomi e di lavoratori dipendenti. A proposito del tasso di mortalità, dobbiamo dire che nel 2020 c'è stata anche una significativa riduzione della speranza di vita dei lavoratori – che riteniamo verrà riassorbita e recuperata negli anni successivi al 2022 – pari a circa il 4-5 per cento in media. A questo proposito, dobbiamo anche aggiungere che nelle nostre analisi riscontriamo che i lavoratori più ricchi – ovvero il quinto quintile di reddito – vivono in media circa due anni in più dei lavoratori poveri del primo quintile. Sono 3,3 gli anni che vivono in più gli uomini ricchi e 1,7 gli anni in più che vivono le donne ricche rispetto agli uomini e alle donne poveri. Parliamo di questo aspetto perché è un aspetto importante per la stessa sostenibilità pensionistica. Come sappiamo, oggi nel nostro Paese l'età pensionabile non è proporzionata all'aspettativa di vita delle categorie reddituali e men che meno delle categorie professionali. Probabilmente una riflessione a tale riguardo – lo dicevamo anche nel Rapporto annuale dell'Istituto relativo allo scorso anno – dovrebbe essere fatta. Dal momento che le donne e gli uomini più poveri vivono di meno e che anche le categorie che fanno lavori più gravosi e manuali vivono di meno, è probabilmente più equo considerare un accesso alla pensione per queste categorie di persone più vantaggioso, quantomeno anticipato di un po'.
  Andando avanti nella rassegna di dati, notiamo che le donne sono state più resilienti: pur se le loro condizioni socio-economiche sono state più colpite dalla crisi, sono più resilienti in termini di mortalità, e questo è, ovviamente, un dato positivo per le donne. Vediamo che in tutte le regioni c'è stato un aumento della mortalità, soprattutto in Lombardia, Piemonte e Liguria – e non è una novità – ma in tali regioni le donne hanno resistito di più e la differenza con i maschi è più forte. A livello nazionale, la riduzione della speranza di vita a 65 anni è stata del 4-5 per cento.
  Come ci siamo difesi? Innanzitutto ci siamo difesi con la batteria di ammortizzatori sociali, esistenti o nuovi, che il Governo ha messo in campo. Si tratta di una Pag. 5spesa che, soltanto nel 2020, è stata di circa 45 miliardi di euro e che ha interessato oltre 15 milioni di lavoratori, tra bonus di 600 euro – diventati 1.000 –, estensioni dei congedi parentali, bonus baby-sitter, estensione della legge n. 104 del 1992, cassa integrazione, in deroga e ordinaria, reddito di emergenza, bonus ai lavoratori domestici, Reddito di cittadinanza o Pensioni di cittadinanza – che sono state fortemente incrementate del 25 per cento nell'anno della pandemia. Nello specifico, abbiamo pagato oltre 32 miliardi di euro per prestazioni di cassa integrazione a circa 7 milioni di lavoratori. Abbiamo raggiunto circa 3,7 milioni di individui con il Reddito di cittadinanza, oltre al reddito di emergenza aggiuntivo per coloro che non erano coperti da altri strumenti di sostegno del reddito, per quasi un milione di persone, sulla base delle modifiche introdotte dall'ultimo decreto «Sostegni bis». La cassa integrazione è stata lo strumento più usato: abbiamo autorizzato oltre 6 miliardi di ore, per una spesa di circa 14 miliardi di euro e il punto di picco, ovviamente, è stato nella primavera del 2020. Soltanto per un confronto, nel biennio 2020-2021 abbiamo raggiunto 6 miliardi di ore di cassa integrazione; l'anno di crisi più grande della storia italiana prima della crisi pandemica è stato il 2009, quando abbiamo raggiunto 1,2 miliardi di ore di cassa integrazione. A confronto con la crisi finanziaria del 2009, le ore autorizzate di cassa integrazione sono state circa cinque volte di più. Le spese tra il 2019 e il 2020 sono, quindi, decuplicate rispetto a un periodo normale, i beneficiari nel 2019 sono stati circa 620.000 mentre, durante la crisi pandemica, abbiamo dato la cassa integrazione a circa 6,7 milioni di lavoratori. Il picco massimo di dipendenti in cassa integrazione a zero ore si registra nell'aprile del 2020, con una quota superiore al 45 per cento del totale dei beneficiari, mentre nell'inverno di quest'anno tale quota si è ridotta al 7 per cento. Per fortuna, i dati attuali mostrano una forte discesa delle ore di cassa integrazione autorizzate: durante l'estate, infatti, le ore autorizzate sono state pari a 180 milioni. Anche dal grafico si vede la riduzione molto forte dell'utilizzo di cassa integrazione già nell'inverno del 2021, che si riduce ulteriormente, fino a raggiungere il picco più basso, nell'estate del 2021, con circa 180 milioni di ore utilizzate. Le aziende che hanno utilizzato la cassa integrazione nel 2020 sono state 781.000, pari al 54 per cento del totale. Il numero nel corso del tempo è variato, ma si è attestato a un numero medio, fino a oggi, di circa 170.000 aziende che in qualche modo hanno utilizzato la cassa integrazione, da zero o da più ore. L'ammortizzatore ha funzionato in quanto ha ridotto la perdita di reddito che i lavoratori avrebbero altrimenti subito. Lo si vede chiaramente nel grafico proiettato, dove le linee verdi indicano la caduta del reddito che ci sarebbe stata, mentre la linea rossa indica quella effettiva dovuta agli effetti della cassa integrazione. La perdita di reddito è stata sostanzialmente dimezzata con la cassa integrazione guadagni) e anche l'indice di Gini, ovvero la disuguaglianza, è stato mitigato: l'aumento è stato del 55 per cento, ma sarebbe potuto essere del 93 per cento senza la cassa integrazione. L'impatto è stato più marcato per le donne e per i giovani, come risulta da ulteriori grafici, su cui non mi soffermo, anche per motivi di tempo. Chi ha utilizzato maggiormente la cassa integrazione? Anche questo è un dato interessante: maggiormente i lavoratori più precari, cioè quelli che rientrano nei quintili di reddito più bassi e che sono associati a indici di stabilità lavorativa più bassi, cioè coloro che non sono da lungo tempo nell'azienda. Maggiore è la disuguaglianza salariale, maggiore è stato l'utilizzo della cassa integrazione per tali lavoratori. L'altro blocco di sostegno importante che il Governo, attraverso l'Istituto, ha deciso di dare riguarda gli 8,8 milioni di pagamenti per i lavoratori autonomi, ovvero professionisti, collaboratori e lavoratori autonomi, per i lavoratori stagionali, i lavoratori agricoli, i lavoratori dello spettacolo, i lavoratori intermittenti e anche i lavoratori a tempo determinato nei settori del turismo e delle terme, oltre a altre categorie meno numerose, come quella dei lavoratori porta a porta. Si tratta di circa 4,2 milioni di lavoratori, che hanno Pag. 6avuto il bonus di 600 euro, poi incrementati a 1.000 euro. Si tratta, anche in questo caso, di lavoratori che hanno perso del reddito, integrato dall'Istituto attraverso questi bonus. Nel 2020 ha perso di più chi aveva bassi livelli di imponibile, ovvero chi aveva bassi livelli di reddito. Nel caso dei professionisti non ordinistici, la differenza percentuale fra l'imponibile dichiarato nel 2020 e quello dichiarato nel 2019, senza considerare l'indennità, è stata più marcata per i livelli di reddito più bassi, tra il 25 e il 30 per cento, e si riduce notevolmente per livelli di imponibile più alti, tra il 15 e il 20 per cento. Il tasso di adesione, o take-up, al bonus per i lavoratori autonomi è stato tanto maggiore quanto minore è la distanza dall'ultimo anno di contribuzione. Abbiamo ricevuto domande anche da lavoratori autonomi silenti, perché la legge lo permetteva, però il loro tasso di adesione è stato minore, mentre, ovviamente, il tasso di adesione è stato maggiore soprattutto nelle regioni del Nord. La Lombardia è stata la prima regione a utilizzare questi bonus per ovvie ragioni: non solo perché, purtroppo, era più diffusa la malattia, ma anche perché è maggiore il numero di lavoratori autonomi residenti. Il take-up più basso tra le regioni si è registrato in Campania e il take-up è più basso per gli immigrati (soltanto il 64 per cento). In media, il take-up è stato dell'85 per cento.
  Hanno funzionato queste altre misure di contrasto? Anche per queste categorie di lavoratori, insieme con il Ministero dell'economia e delle finanze, abbiamo calcolato una caduta di reddito inferiore del 50 per cento a quella che sarebbe potuta essere senza l'introduzione delle misure. Vedete a sinistra nel grafico lo scenario senza le misure introdotte: la perdita di reddito per il totale dei lavoratori – la vedete rappresentata dagli istogrammi blu – sarebbe stata maggiore del 15-16 per cento circa; invece, nello scenario integrato dalle misure introdotte, vediamo che le perdite sono molto più contenute: intorno al 5 per cento per il secondo quintile, ma quasi azzerate (anzi, azzerate) per il primo quintile. I lavoratori più poveri sono stati sostenuti – ed è giusto che sia stato così – in modo più efficace.
  Vediamo adesso il Reddito di cittadinanza: anche questa misura è stata straordinariamente importante proprio per sostenere coloro che da tempo erano fuori dal mercato del lavoro. Ricordiamo che, in analisi già pubblicate, l'Istituto ha dimostrato che i due terzi dei percettori del Reddito non hanno una carriera lavorativa, ovvero non hanno accrediti di contributi negli anni precedenti alla percezione del sussidio. Si tratta di anziani over 60, disabili e minori, pari a circa due terzi degli oltre 3 milioni di individui che percepiscono il Reddito. Il 64 per cento di questi percettori, in termini di nucleo familiare, è al Sud e il 36 per cento è al Nord. Si tratta di una misura che, secondo le nostre analisi, va a colmare i gap socio-economici laddove esistono – quindi al Sud – perché tali divari al Sud sono più marcati rispetto al Nord. Sulla base di tali dati socio-economici, non c'è un fenomeno di abuso, nel Sud rispetto al Nord. Questo risultato è il frutto di un'analisi che il nostro Centro studi ha fatto in occasione del Rapporto annuale, pubblicato sul sito internet, e la slide è un estratto dell'analisi pubblicata in quel Rapporto. Gli under 18 oggi sono circa 962.000, gli over 60 sono oggi circa 529.000, i nuclei con minori sono oltre 400.000 e i nuclei con i disabili sono oltre 200.000. Dicevo che la maggior parte di coloro che percepiscono il Reddito non ha una carriera lavorativa: soltanto il 33 per cento ha avuto almeno nove settimane di lavoro negli anni precedenti all'introduzione del Reddito, ovvero nel 2018, nel 2017 e nel 2016. Tra gli attuali percettori del Reddito – come dimostra il grafico – il 20 per cento è rappresentato da lavoratori, ovvero da persone a cui l'INPS integra il reddito con il Reddito di cittadinanza. Il Reddito medio che percepiscono questi lavoratori è di circa 571 euro, distinti in circa 230 euro a titolo di Pensione di cittadinanza e 580 euro a titolo di Reddito di cittadinanza.
  Il Governo ha introdotto – e vado verso le conclusioni – come ultima misura di emergenza ciò che chiamiamo Reddito di emergenza, che ha interessato, con i rinnovi Pag. 7 della misura che si sono susseguiti, circa 561.000 nuclei familiari ovvero oltre un milione e mezzo di individui. Se sommiamo il milione e mezzo di individui interessato da questa misura e i tre milioni e mezzo di individui interessati dal Reddito di cittadinanza, raggiungiamo quella fascia di povertà assoluta che di solito viene stimata intorno a oltre 5 milioni di soggetti. Il Reddito di emergenza ha un importo medio mensile di circa 544 euro. Nel grafico successivo si vede come si è evoluta la diffusione del Reddito di cittadinanza dalla primavera del 2019 e cioè da quando è stato introdotto. Come tutte le misure di reddito minimo, il Reddito di cittadinanza è una misura che si espande nel tempo: all'inizio, il take-up è intorno al 50 per cento, poi, prima della pandemia, si espande verso l'80 per cento. Con la pandemia, il take-up è cresciuto anche di più, per ovvie ragioni. Gli istogrammi gialli che si sovrappongono a quelli grigi, che rappresentano il Reddito di cittadinanza, corrispondono al reddito di emergenza erogato mensilmente nel 2020 durante la pandemia e che è tuttora erogato.
  La Nuova assicurazione sociale per l'impiego (NASpI) è l'altro strumento che è stato prorogato per diversi mesi durante la pandemia. Le domande presentate per tipo di contratto a settembre del 2021 sono circa 1.153.000, di cui 216.000 per lavoratori a tempo determinato; nel 2020 erano state 1.300.000 e nel 2019 erano state 1.200.000. Si tratta di lavoratori più vicini al mercato del lavoro, ai quali si dovrebbero fornire soprattutto supporto e politiche attive, proprio perché sono quelli più vicini al mercato del lavoro. Vi faccio vedere questa tabella soprattutto per dimostrare che non c'è stata un'esplosione di NASpI rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Le ipotesi che si erano fatte su un'ondata di licenziamenti per fortuna non si sono verificate. Lo avevamo già detto in una precedente audizione, io stesso l'avevo ribadito: sulla base dei dati, riuscivamo a intercettare un numero non anomalo di percettori di NASpI, che non cresceva in modo spropositato. Questo ci faceva supporre che l'andamento sarebbe stato comunque costante, come l'anno precedente a quello della pandemia, e tuttora questa è la realtà e questo confermano i dati. L'ultima cosa che vorrei dire è che, sebbene durante la pandemia il COVID-19 sia stato «democratico», in quanto ha colpito tutti, non tutti si sono difesi allo stesso modo: è come se fossimo tutti nello stesso mare, ma non sulla stessa barca. Ci sono persone che, come abbiamo visto, purtroppo sono più vulnerabili: sono i giovani, le donne, i lavoratori precari e quelli che hanno contratti a termine. Uno studio fatto da colleghi inglesi riporta che nella loro società i neri, gli indiani, i cinesi, i cittadini del Bangladesh e del Pakistan hanno sofferto di più in termini di mortalità rispetto ai bianchi e agli anglosassoni. Noi non abbiamo fatto questa analisi per il nostro Paese e ci piacerebbe farla. Lo stesso studio dimostra che nelle contee dell'Inghilterra dove ci sono maggiori deprivazioni e quindi minori diritti in termini sociali e maggiori difficoltà in termini di servizi sanitari, la mortalità è stata più alta. Sarebbe interessante fare lo stesso studio anche per il nostro Paese, pur sapendo che la crisi pandemica ha colpito maggiormente in termini di mortalità – soprattutto nella prima fase – le regioni del Nord, tradizionalmente più sviluppate rispetto alle regioni del Sud. Con questo mi fermo e vi ringrazio per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Prego, onorevole Cubeddu.

  SEBASTIANO CUBEDDU. Grazie, presidente. Vorrei ringraziare il professor Tridico e tutta la struttura dell'INPS. Quando si apprende che ci sono state erogazioni a titolo di ammortizzatori sociali di 45 miliardi di euro per oltre 15 milioni di lavoratori destinatari, erogazioni per tre milioni e mezzo di nuclei familiari a titolo di Reddito di cittadinanza, 1.800.000 erogazioni a titolo di NASpI e 561.801 erogazioni a titolo di Reddito di emergenza, si comprende bene il lavoro enorme svolto da tutta la struttura dell'INPS, per il quale ringrazio di cuore il presidente e tutta l'INPS. Poiché ho, appunto, apprezzato le Pag. 8diverse misure che sono state messe in campo nel periodo di emergenza per fare fronte alla crisi economico-sociale determinata dalla pandemia, dal Reddito di cittadinanza, alla cassa integrazione, agli altri ammortizzatori sociali di varia natura, vorrei chiedere se anche il «decreto Dignità» abbia costituito una salvaguardia per tutti quei rapporti di lavoro trasformati a tempo indeterminato grazie a questo provvedimento legislativo, che mi risulta siano stati circa 500.000. Vorrei chiedere se questi posti sono stati mantenuti e se il «decreto Dignità» ha rappresentato una salvaguardia al pari dei sostegni economici di emergenza in questo periodo, grazie.

  PRESIDENTE. Non essendoci altri colleghi che intendono intervenire, vorrei aggiungere una riflessione. Anch'io credo che il contributo che avete portato oggi lei e il suo staff sia preziosissimo perché, innanzitutto, costruisce una cornice anche rispetto a tutte le altre audizioni che abbiamo svolto, finalizzando attraverso numeri, precisazioni e dettagli ciò che abbiamo sentito durante questa lunga indagine conoscitiva. Il titolo riassuntivo dell'audizione potrebbe essere: «i ricchi vivono, oltre che meglio, anche di più rispetto ai poveri». Questo ci consente di accendere un faro su un tema che spesso viene anche un po' strumentalizzato – e non dovrebbe essere così – che è quello della povertà e delle disuguaglianze, che nel Paese si sono allargate nel corso della pandemia. L'altro tema posto all'attenzione è che l'intervento dello Stato è stato massiccio e determinante per consentire alle fasce più deboli della popolazione di rialzarsi o, perlomeno, di sopravvivere, perché sappiamo che alcune situazioni sono ancora in emergenza. Vorrei chiederle innanzitutto – lei lo ha accennato, presidente – se sia possibile, da qui a breve, avere il dettaglio delle singole realtà territoriali. Sappiamo che alcuni territori sono stati colpiti di più, però credo che la ricostruzione avvenga meglio e le disuguaglianze si possano superare se partiamo anche dalle differenze fra territori e fra contesti urbani e rurali. Questo è fondamentale perché, se trattiamo tutto il Paese allo stesso modo, rischiamo di non fare interventi efficaci. Ci sono due dati che mi hanno colpito molto, il primo dei quali è quello relativo alla resilienza femminile. Ho notato che la resilienza femminile è più alta in quasi tutte le regioni, eccetto che in tre, che sono a statuto speciale, la mia Sardegna, il Trentino-Alto Adige e la Valle d'Aosta, e me ne chiedo il motivo. Questo dato è curioso anche perché, ripeto, sono tre regioni a statuto speciale. L'altro dato interessante è quello relativo ai beneficiari del Reddito di cittadinanza. Lei ha detto che il 29 per cento dei percettori è al di sotto dei vent'anni e vorrei avere qualche dettaglio in più. Sono minori componenti di nuclei familiari? Vorrei capire come si distribuisce tale classe di percettori. Poi, ovviamente, c'è la domanda di rito, ma oggi più che mai le chiedo di farci avere le slide che ha presentato, perché sono preziosissime ai fini di questa indagine nonché per tutto il lavoro che facciamo e che faremo. L'onorevole Cubeddu vuole aggiungere un'altra cosa.

  SEBASTIANO CUBEDDU. C'è un'ultima cosa che mi incuriosisce. A fronte del massiccio intervento che c'è stato, vorrei sapere se si può quantificare l'aumento del lavoro svolto dall'INPS rispetto al periodo precedente la pandemia e se si può quantificare di quanto è aumentata in percentuale l'attività dell'INPS in questo periodo di pandemia. La ringrazio molto.

  PRESIDENTE. Prego, presidente.

  PASQUALE TRIDICO, presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) (intervento da remoto). Per un attimo fatemi tornare alla mia vecchia professione nel dare queste risposte, ovvero fatemi fare un po' di analisi da economista. Io penso che lo Stato abbia dimostrato la sua fondamentale importanza durante la pandemia da COVID-19 da tutti i punti di vista. Abbiamo riscoperto il ruolo centrale dello Stato nella società e nell'economia. La crisi del 1929 fu così profonda, drammatica e tragica nel mondo proprio perché non c'era ancora uno Stato come lo intendiamo oggi. Non c'era un Welfare State moderno; Pag. 9non c'era la tanto vituperata burocrazia, ovvero non c'erano i pubblici impiegati che mantenevano elevato il reddito disponibile del Paese; non c'erano infrastrutture sanitarie create dallo Stato e non c'era la ricerca pubblica, anch'essa creata dallo Stato. Cito queste cose, che oggi per fortuna ci sono e che sono state rivitalizzate dalla crisi. Il PNRR rappresenta l'occasione politica di ripresa che il Paese si appresta a implementare e rimette di nuovo al centro lo Stato nella transizione ecologica, nell'economia, nella ripresa, nel sostegno ai lavoratori e alle imprese, oltre che – e sono particolarmente interessato – nella modernizzazione e nella digitalizzazione della pubblica amministrazione. Con questo che cosa voglio dire, presidente? Non solo siamo tornati al ruolo dello Stato come veniva inteso precedentemente dalla scuola keynesiana, capace di fare politiche di sostegno al reddito, e come stabilizzatore automatico in caso di disoccupazione, ma anche come attore importante dell'economia.
  Ora risponderei invece puntualmente alle domande che sono state fatte dalla presidente e dall'onorevole Cubeddu. Il «decreto Dignità» nella fase precedente alla pandemia ha consentito di stabilizzare oltre 500.000 rapporti di lavoro, dice bene l'onorevole Cubeddu. Come sapete, questi rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono i rapporti di lavoro che altrimenti sarebbero scaduti e non avrebbero consentito di beneficiare, ad esempio, della cassa integrazione. Sarebbero stati i rapporti di lavoro di quei lavoratori più precari che abbiamo cercato di sostenere attraverso il Reddito di emergenza e attraverso il Reddito di cittadinanza, ma con più difficoltà rispetto, invece, a coloro il cui rapporto di lavoro è stato sospeso ed è stato sostenuto con la cassa integrazione. Io penso che, in questo senso, certamente c'è stato un ruolo positivo del «decreto Dignità».
  Le domande della presidente Mura sono molto interessanti. Innanzitutto, anche a me piacerebbe analizzare quei dati di cui parlava ed è un nostro obiettivo quello di studiare in modo diversificato il comportamento delle regioni. Come dicevo, ci siamo difesi in modo diseguale e vogliamo capire perché ci siamo difesi in modo diseguale da regione a regione, da contesto a contesto, da categoria professionale a categoria professionale. Il caso della mancata resilienza in quelle tre regioni è interessante. Non ho la risposta, ma mi sembrava importante evidenziare quella statistica. Quanto ai minori beneficiari del Reddito di cittadinanza, ci sono i cosiddetti minori precoci, che sono i sedicenni e diciassettenni che non hanno una famiglia e che per qualche motivo hanno deciso di costituire un nucleo familiare anche avendo un'età minore, ma si tratta di una percentuale ridotta. Gli altri sono prevalentemente i minori presenti nel nucleo familiare. Oggi abbiamo circa un milione di bambini e ragazzi fino a 18 anni presenti nel nucleo che per legge non lavorano. Sono quelli che definiamo non occupabili e che, invece, contribuiscono ad incrementare la povertà, soprattutto quella infantile, che andrebbe invece contrastata in tutti i modi, a partire da un sussidio monetario.
  L'onorevole Cubeddu chiedeva la quantificazione di quanto è aumentato il nostro lavoro.
  Abbiamo applicato una decina di decreti legati al COVID-19, con prestazioni aggiuntive per circa 50 miliardi di euro per 15 milioni di utenti. Il nostro lavoro, in relazione, ad esempio, alla cassa integrazione, è decuplicato rispetto all'anno precedente, pur con gli stessi uomini e con le stesse macchine. Questo è stato possibile grazie a una fortissima operazione di innovazione tecnologica che l'Istituto ha fatto nel 2020, lanciando nuove procedure, nuovi prodotti e, soprattutto, semplificando – anche con i ritardi che abbiamo avuto – tutto quello che era possibile semplificare, nel rispetto comunque della legge. La burocrazia e le procedure amministrative spesso servono a implementare le intenzioni del legislatore o, meglio, le leggi approvate dal legislatore stesso. Il nostro lavoro è decuplicato rispetto al 2019 e la nostra produttività è cresciuta del 13 per cento, nonostante le risorse siano rimaste le stesse, ma soprattutto, dicevo, nonostante un massiccio utilizzo del lavoro da remoto o del cosiddetto smart working. L'Istituto ha avuto Pag. 10punte di utilizzo di smart working di oltre il 92 per cento nel 2020: in media l'utilizzo dello smart working è stato tra il 47 e il 48 per cento durante tutto il periodo della pandemia, fino a poco tempo fa. Questa modalità di lavoro è stata efficacemente utilizzata perché l'Istituto è capace di controllare le performance dei propri dipendenti e riesce a far lavorare un dipendente attraverso un collegamento da remoto come se fosse in ufficio, perché ha il portale davanti a lui. Riusciamo a verificare il lavoro del dipendente attraverso il cosiddetto «loggaggio». Per questo, nonostante... Anzi, potrei dire che, soprattutto nella prima fase, anche grazie allo smart working la nostra produttività è stata molto elevata e siamo riusciti a ottenere quelle performance che poi si sono tradotte nelle prestazioni che abbiamo citato prima.

  PRESIDENTE. Bene, presidente. Io la ringrazio ancora una volta per il contributo fornito all'indagine conoscitiva e per la documentazione depositata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati). Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

Audizione del professor Tiziano Treu, presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), professor Tiziano Treu, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle nuove disuguaglianze prodotte dalla pandemia nel mondo del lavoro. Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza dei deputati secondo le modalità stabilite dalla giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020. Nel ringraziare il professor Treu, gli cedo immediatamente la parola, ricordando che la sua relazione dovrebbe avere una durata orientativa di quindici minuti. Prego, professore.

  TIZIANO TREU, presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) (intervento da remoto). Grazie, presidente, e grazie a tutti. Voglio dire che il CNEL ha un particolare interesse per questa indagine e l'ha seguita fin dall'inizio. Anzi, con la presidente Serracchiani, prima, e con la presidente Mura, poi, abbiamo pensato a come meglio indirizzare le nostre analisi per trarne il massimo risultato. Ho letto i resoconti di quasi tutte le interessantissime audizioni e ne traggo una considerazione generale, che non è mai abbastanza sottolineata. Le diseguaglianze che erano già diffuse e in crescita prima dell'epidemia da COVID-19 sono state non solo aggravate da questa pandemia, ma si sono anche differenziate nelle loro dimensioni. Sono diventate multidimensionali al loro stesso interno, con impatti diversi; quindi sono emerse diseguaglianze nelle diseguaglianze.
  Per di più, i vari aspetti di queste diseguaglianze sono tra di loro legati con nessi che sono stati indicati nelle audizioni svolte e che vanno approfonditi. Sono state viste le diverse dimensioni, come il reddito, l'apprendimento, il lavoro, cui si aggiunge (e anche il CNEL condivide) la mobilità sociale, che è sempre stata scarsa nel nostro Paese e che ha avuto un'ulteriore battuta di arresto.
  Un punto politico fondamentale che va sottolineato è che il tema delle diseguaglianze, il loro carattere multidimensionale e il loro intreccio sono la vera questione trasversale del Paese.
  Nel PNRR si sottolineano alcuni aspetti salienti – per esempio, le priorità trasversali, l'occupazione dei giovani e delle donne e le diversità del territorio – ma credo che vada sottolineata una questione trasversale di carattere generale. Una lettura necessaria del futuro del Piano e della sua implementazione dovrebbe avere questo focus. Noi – il CNEL in primis – faremo di tutto, grazie anche alle risultanze di questa indagine conoscitiva, per sottolinearlo.
  La sostenibilità, come sappiamo, non è solo economica e neanche solo ambientale – anche se questi sono aspetti importanti – ma è sociale. Questo è un aspetto importante: non c'è sostenibilità sociale se crescono le diseguaglianze. Questo è il punto che dobbiamo avere davanti. Gli interventi Pag. 11di emergenza che sono stati adottati nel 2020-21 sono stati necessari, ma non hanno impedito questa crescente gravità della questione. Ho sentito molte delle vostre audizioni dalle quali risulta un'ampia evidenza dell'andamento qualitativo di queste diverse dimensioni della diseguaglianza, e anche delle loro relazioni. Tuttavia – come è stato detto già, in particolare dal professor Boeri, con cui noi abbiamo discusso su come impostare le nostre analisi –, non è sufficiente avere analisi di dati qualitativi per vedere quali sono le determinanti delle diseguaglianze e i loro nessi in modo da poter intervenire a ragion veduta. Abbiamo bisogno di dati sistematici e rappresentativi; quindi, occorre mettere insieme – nella misura in cui ciò sia possibile – i dati delle diverse agenzie pubbliche: l'INPS, il cui presidente è stato audito nella giornata odierna, ma anche l'Agenzia delle entrate, l'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione (INVALSI), con riferimento al settore della scuola, e, ovviamente, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ciò al fine che siano documentati in modo analitico i vari aspetti delle diseguaglianze, le loro tendenze e i loro rapporti reciproci. Questa è un'operazione che abbiamo cominciato a fare su indicazione anche della Presidenza della Commissione nei mesi passati, avvalendoci dell'aiuto dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), che ha una banca dati ricchissima e che ha avviato una ricerca innovativa, di composizione dei dati provenienti dalle diverse fonti. Io sono un ricercatore di lunga data e sono rimasto sorpreso, perché tradizionalmente le indagini di questo tipo sono molto approfondite, ma di carattere settoriale. Una analizza il lavoro, un'altra la scuola, un'altra l'aspetto abitativo e un'altra ancora il fisco. Le analisi incrociate di queste importanti determinanti del nostro vivere civile sono scarse. L'ISTAT si è impegnato, anche su sollecitazione di questa Commissione per cominciare a incrociare queste fonti. In altri Paesi questo si fa da tempo, perché così si riesce a capire meglio e a contrastare un fenomeno complesso, non in modo semplicistico e squilibrato.
  Questa attività di incrocio dei dati è ancora in corso e, quindi, non sono in grado di dare risultati in questa sede. Ma ci riserviamo di fornire informazioni in futuro.
  Per fare alcuni esempi – questo emerge anche dalle nostre analisi – una delle questioni critiche, come diciamo sempre, è la formazione. Il livello di educazione e di formazione ha un impatto – si vede dai primi dati – su moltissime determinanti e variabili. Non solo sul lavoro, (quantità e qualità), sul reddito e sulla mobilità sociale, ma anche sull'aspettativa di vita. Rispetto alle condizioni abitative ci sono analisi specifiche che mostrano quanto tali condizioni incidano sulla possibilità di avere un uso effettivo dello smart working. Chi ha buone condizioni abitative ne fruisce bene e chi ne è privo soffre. Per non parlare del digital divide e delle abitazioni più o meno attrezzate nei diversi territori del Paese che influiscono sulla possibilità di insegnamento a distanza.
  L'effetto del COVID-19 non riguarda solo la salute, ma si differenzia a seconda dell'età delle persone.
  C'è un altro aspetto che è stato poco affrontato, ma che noi ci riserviamo di approfondire, ovvero l'effetto e la variabilità dell'impatto a seconda della caratteristica dell'impresa: va valutato l'impatto sul rischio dell'impresa, che permette di orientare un futuro intervento di politica industriale.
  Gli effetti sull'apprendimento sono più noti e ne sono stati forniti esempi anche in precedenti audizioni. Così come è noto l'impatto sulla povertà del Reddito di cittadinanza e, in generale, dei sistemi di sostegno del reddito, che sono stati anche implementati nell'anno passato. Su tale tema, nell'audizione del professor Blangiardo sono stati evidenziati alcuni elementi quantitativi molto importanti emersi dalle indagini dell'ISTAT.
  Faccio questi esempi per ribadire che dobbiamo arricchire questo modo di conoscere le realtà complesse, così da avere la possibilità di coordinare le politiche di contrasto in modo verificabile. Questa è un'operazione che si sta facendo anche a livello Pag. 12europeo e il CNEL è impegnato con il Consiglio economico europeo (CESE) nel fare analisi del genere.
  Le mie indicazioni sono essenzialmente di metodo, ma servono per far capire l'importanza di questo approccio.
  Adesso dico qualcosa di più specifico e di merito, per quanto riguarda, in particolare, l'impatto delle diseguaglianze e la loro manifestazione in conseguenza della pandemia. Questo è uno dei punti chiave dell'impegno del CNEL, anche in risposta ai quesiti che la Commissione ha posto alla base del programma di questa indagine conoscitiva. Il CNEL, come credo sappiate dal momento che è stato più volte audito dalla Commissione, ha una esperienza, testimoniata da analisi periodiche, come i rapporti sul mercato del lavoro, che danno conto delle tendenze, sia in materia di mercato del lavoro sia per quanto riguarda l'impatto della contrattazione collettiva.
  In collaborazione con gli analoghi Istituti europei, il CNEL è impegnato a monitorare l'applicazione del PNRR, con particolare riguardo alla verifica delle sue ricadute sul lavoro. L'investimento enorme che ha fatto l'Europa con il Next Generation EU non serve solo a studiare la crescita e a qualificarla; il test fondamentale del suo successo riguarda anche le ricadute sulla quantità e sulla qualità del lavoro. In proposito vorrei dare alcune indicazioni che già emergono da un'indagine svolta da Unioncamere e ANPAL sulle ricadute occupazionali qualitative e quantitative previste per i prossimi anni.
  Anzitutto rilevo che, non solo la crescita che si prospetta, già quest'anno, è sostenuta dal punto di vista quantitativo, con un aumento del 6 per cento e forse di più, e che il temuto scenario di una jobless growth, una crescita senza lavoro, sembra che non si verificherà. Anzi, gli obiettivi del PNRR al riguardo sono ambiziosi e mi auguro che l'implementazione sia all'altezza, perché siamo fermi da anni, come sicuramente i parlamentari sanno, a un tasso di occupazione del 58 per cento. L'obiettivo che pone il PNRR è di arrivare, alla fine del periodo di previsione, a un tasso di occupazione del 63,5 per cento con un salto di cinque punti mai verificatosi prima nella nostra storia. Per andare in tale direzione bisogna che tutto funzioni nella attuazione dei progetti del Piano. Però secondo l'indagine che citavo prima, che faremo avere ai componenti della Commissione, tale scenario sembra al momento avvalorato dalle previsioni delle imprese sulle loro prospettive occupazionali e sulla qualità del lavoro che esse pensano di offrire. Si immagina che nei prossimi anni – ripeto, se tutto funziona – ci sarà una quantità consistente di lavori nuovi; si parla cioè di un'espansione, secondo uno standard adottato a livello europeo, di oltre un milione di posti di nuova occupazione, un po' più o un po' meno a seconda delle metodologie di previsione adottate. Inoltre ci sarà una notevole quantità di posti che andranno rimpiazzati, replaced, in settori declinanti, che devono essere sostenuti per transitare in settori emergenti. Parliamo anche qui di oltre un milione di posti.
  In sostanza ci sarà una mobilitazione del lavoro di grande dimensione, ma differente per settori e anche qui ne vengono implicazioni di policy. Ci sono aree in cui il «tiraggio», per così dire, dei nuovi lavori sarà particolarmente accentuato. Sono tutti i settori green, che richiedono, tra l'altro, una qualificazione medio-alta per cui entrano in gioco gli strumenti di formazione; sono anche i cosiddetti white jobs, cioè quelli che riguardano la formazione, la cultura, il turismo, che ruotano attorno alle istituzioni di carattere sociale. Queste sono opportunità che si verificheranno anche in altri Paesi, ma che vanno sfruttate implementando come si deve i contenuti del Piano. Vorremmo che tutti collaborassimo per verificare che si va in questa direzione e il CNEL sta monitorando l'andamento. Ovviamente, c'è un problema di qualità del lavoro. La ripresa attuale delle attività mostra ancora troppa precarietà e troppa frammentazione. Alcuni dati del Rapporto che trasmetteremo alla Commissione evidenziano che il grado di frammentazione del lavoro di un lavoratore singolo è aumentato, cosicché la percentuale di persone che lavorano in modo continuativo nell'anno è scesa drasticamente dal 90 per cento dei Pag. 13tempi della stabilità fordista al 60-65 per cento o anche meno, a seconda del settore. Questo comporta perdite di reddito evidenti. Riguardo al problema della parità tra uomo e donna si dice sempre che la parità è abbastanza vicina, perché nel settore pubblico la differenza salariale è del 3-4 per cento, un po' di più nel settore privato. Ma se non si prende in considerazione solo la retribuzione oraria per una data mansione, ma si considera anche la quantità di lavoro fatto nell'anno, quindi il part-time e il lavoro intermittente, la distanza tra uomo e donna è oltre il 20 per cento. L'Italia su tale aspetto non è certo tra i best performer.
  La stessa situazione riguarda l'impatto della povertà. Sappiamo ormai che anche i working poor, ovvero i lavoratori poveri, sono aumentati, e sono aumentati in particolare proprio in questi casi: nei lavori precari, part-time e intermittenti.
  Dai dati a disposizione risulta che, ormai, un lavoratore su tre è povero: una situazione agghiacciante. Noi pensavamo che essere povero fosse una caratteristica di chi era senza lavoro. Ora che un terzo dei lavoratori in questo momento sia sotto la linea della povertà, è una realtà che dobbiamo assolutamente combattere.
  A proposito di qualità, il tema delle skills, ovvero delle competenze necessarie, è fondamentale. Il mismatch, di cui tutti parlano, non è solo un accidente e una sfasatura, per cui non si capisce bene in questo momento come si incrociano la domanda e l'offerta di lavoro; sta diventando un fattore strutturale. A questo si aggiunge lo skill shortage, cioè la mancanza complessiva di competenze all'altezza di queste prospettive di crescita. Lo studio di ANPAL e Unioncamere che ho citato prima mostra la gravità del difetto delle nostre competenze, specie se legato al fatto che ci sarà una richiesta di competenze medio-alte, sia nei settori green sia nei settori digitali. In particolare si prevede una crescente richiesta di formazione terziaria, universitaria e similare. La situazione è drammatica, perché nei prossimi anni avremo bisogno di più di quei 300 mila posti di formazione che il sistema mette a disposizione. Invece, paradossalmente, il livello intermedio del diploma tradizionale, soprattutto in certi settori è molto abbondante e c'è un surplus: per esempio i licei producono il doppio delle posizioni che vengono richieste, il che è un vero dramma per chi segue tali indirizzi scolastici.
  Il terzo livello, quello dell'istruzione professionale, continua ad evidenziare una grandissima carenza di offerta, insufficiente a raggiungere gli obiettivi, soprattutto nei settori che sono più in crescita e nelle professioni tecniche. Quello che colpisce è proprio la sfasatura, che non è un mismatch occasionale.
  Su tale punto, l'Europa fissa ambiziosi obiettivi: il Digital Education Action Plan europeo pone l'obiettivo della formazione digitale degli adulti all'80 per cento, lontano dai nostri standard; e l'obiettivo del 60 per cento di lavoratori occupati, che dovrebbero essere ogni anno in formazione continua, per stare al passo delle trasformazioni del mercato del lavoro. Si può vedere dunque che ci sono prospettive positive, ma che c'è anche una grande necessità di più qualità per consolidare la crescita e la sua sostenibilità, che sono ingredienti importanti della stabilità del lavoro. Infatti, è difficile che gli incentivi e le regole rendano il lavoro stabile se non c'è una solidità della crescita. Noi stiamo monitorando questi aspetti e vi terremo informati.
  Mi soffermo su altri due punti specifici, che sono noti, ma in relazione ai quali voglio sottolineare alcuni aspetti specifici. Dicevo prima che tra le priorità trasversali del PNRR c'è l'occupazione femminile e dei giovani, cioè la necessità di recuperare quei particolari deficit, che sono anche più gravi di quelli generali.
  Per quanto riguarda l'occupazione femminile, nel PNRR sono previste diverse azioni volte a rafforzare la normativa già esistente in materia di parità con un approccio nuovo, che sarà importante monitorare, perché si basa sulla trasparenza, sulla certificazione da parte delle imprese. La certificazione e il rafforzamento, io aggiungo, dell'efficacia delle norme sulla parità si devono basare, come avviene in altri Pag. 14Paesi, anche sulla responsabilità delle Istituzioni.
  Per quanto riguarda poi i giovani, la situazione si è aggravata moltissimo come dimostrano i dati...

  PRESIDENTE. Professor Treu mi scusi, mi dispiace interromperla perché sta dicendo cose interessanti e l'argomento è molto importante, ma vorrei chiederle di avviarsi alle conclusioni.

  TIZIANO TREU, presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) (intervento da remoto). Voglio fare due brevi cenni per concludere. Non dimentichiamo che su questi due punti, l'occupazione femminile e l'occupazione dei giovani, c'è una clausola sociale nel PNRR che è passata sotto silenzio finora, ma che credo voi ben conosciate.
  Tutti i lavori che vengono finanziati con le risorse del PNRR dovranno garantire un incremento delle assunzioni a tempo indeterminato del 30 per cento per le donne e del 30 per cento per i giovani. Questa norma richiede di essere implementata con linee guida ministeriali, attualmente in fase di elaborazione, ma che non sono state ancora adottate. Dare seguito a tali indicazioni è necessario per non perdere occasioni di lavoro che stanno per essere avviate grazie agli investimenti del PNRR e per aumentare le performance occupazionali di queste due categorie, le donne e i giovani.
  C'è un ultimo punto che voglio sottolineare: la contrattazione collettiva e l'esistenza di regole valide per tutti è fondamentale per seguire questo percorso, per affermare i diritti, da quello alla formazione a quello alla sicurezza, su cui il Governo ha recentemente introdotto modifiche normative. La contrattazione collettiva contribuisce a rafforzare la normativa sulla sicurezza. Quella esistente è stata nel passato uno strumento fondamentale per la tutela di tutti i lavoratori, ma occorre il controllo sociale e la presenza dei rappresentanti dei lavoratori anche nelle piccole aziende. Inoltre, occorre prevedere regole affinché la contrattazione sia genuina e non al ribasso. Questo è un punto che il CNEL ha sempre sottolineato. È importante, come dimostrano i fatti di questi giorni, garantire che le regole sulla sicurezza siano effettivamente rispettate per contrastare questa crescita drammatica di infortuni e di morti sul lavoro. Questa è una nostra prima testimonianza. Sarò più ricco di dettagli nel testo che trasmetteremo alla Commissione e sono a disposizione per rispondere a eventuali quesiti.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Treu. Do la parola alla collega De Lorenzo, prego.

  RINA DE LORENZO. Grazie, presidente, e grazie al professor Treu per la puntuale ed esaustiva esposizione, che mi consente di fare una serie di riflessioni. I lavoratori maggiormente colpiti dal lockdown erano caratterizzati da una fragilità socio-economica prima ancora della pandemia, che ha accentuato il virus delle diseguaglianze e che ha prodotto conseguenze catastrofiche per le donne impiegate proprio nei settori professionali più duramente colpiti dalla pandemia. La crisi pandemica offre però al Paese un'occasione straordinaria per l'adozione di politiche in grado di promuovere sistemi economici più equi e più inclusivi. Lei ha fatto riferimento a uno dei settori, a mio avviso, più importanti: mi riferisco al settore della formazione e dell'istruzione. La scuola, da sempre, adempie a una fondamentale funzione nazionale, ma è anche inserita in un contesto territoriale. Mi riferisco al diritto all'istruzione e al diritto alla formazione e all'educazione degli adulti, che, secondo indagini specifiche, risultano ancora per il 70 per cento non in possesso delle competenze adeguate per vivere nel mondo di oggi.
  La povertà educativa va fronteggiata attraverso ogni strumento utile a rafforzare la formazione, perché la povertà educativa non si trasformi in povertà economica. A tale proposito, le chiedo se gli strumenti messi in campo dal PNRR sono a suo avviso sufficienti a contrastare il fenomeno della povertà educativa e, in caso affermativo, quale di essi debba essere implementato Pag. 15 e potenziato per raggiungere il risultato. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole De Lorenzo. Non essendoci altri colleghi che intendono intervenire, io aggiungerei velocemente una riflessione. Innanzitutto quella di oggi, come ha detto bene il professor Treu, è un'anticipazione del rapporto più dettagliato che potremo analizzare insieme al professor Treu nel momento in cui verrà pubblicato. La ricchezza e la novità di questa indagine conoscitiva stanno proprio nel fatto che essa, oltre a fornire dati, li inserirà – come diceva il professore – in uno scenario multidimensionale, in modo tale che la loro lettura sia il passo fondamentale per costruire risposte ugualmente multidimensionali. Per cui quella di oggi è una prima anticipazione di un momento di confronto che faremo più in là. Dico questo perché si tratta di un passaggio fondamentale, anche perché stiamo arrivando alla conclusione della nostra indagine. Prego, professore, a lei la parola.

  TIZIANO TREU, presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) (intervento da remoto). Grazie, presidente, di aver richiamato questo punto. Non sottovalutiamo l'importanza delle cose che avete sentito, perché provengono da persone che le hanno sperimentate. Anch'io, nell'ultima parte del mio intervento, ho parlato di quello che abbiamo documentato specificamente sul settore dell'occupazione, della sua qualità, della sua quantità e del suo legame con l'istruzione. La quantità di dati in elaborazione della ricerca ISTAT – che è stata sostenuta e, in parte, promossa dalla vostra Commissione – è enorme. C'è una quantità di dati incredibile, perché, per la prima volta, si mettono insieme le banche dati dell'INPS, dell'ISTAT, dell'INVALSI, dell'Agenzia delle entrate. Sono dati di grande ricchezza, che vanno combinati per ricostruire questo fenomeno complesso. Credo che fra qualche tempo saremo in grado di contribuire utilmente ai fini della definizione di una policy all'altezza della sfida.
  Per quanto riguarda la prima domanda, condivido le indicazioni che ha dato la deputata De Lorenzo con il suo intervento. Abbiamo già avviato il recupero dell'importanza della scuola con gli investimenti previsti nel PNRR e con l'assunzione di personale. La scuola ha ripreso valore, anche se non ancora all'altezza di quello che dovrebbe essere, perché dobbiamo recuperare un ritardo storico che ci divide da decenni dai Paesi vicini. Però abbiamo un'occasione importante e, se non è subito sufficiente a produrre risultati, è un inizio che dobbiamo cogliere.
  Ripeto, come ha detto anche nel suo intervento l'onorevole De Lorenzo, che non mancano solo competenze per l'occupazione immediata, le competenze tecniche in particolare, ma mancano anche le conoscenze di base. C'è un problema di conoscenze prima ancora che di competenze. Le conoscenze servono proprio per vivere in questo mondo complesso, diverso da quello del passato. Per questo occorre cominciare a combattere la povertà educativa fin dai bambini e poi fino all'età avanzata. Il Piano dà un'indicazione su tale aspetto, però occorre fare molto di più. Non basta metterci i soldi, se non si assumono più persone per insegnare con modalità nuove.
  Come settanta anni fa ci fu il salto dell'alfabetizzazione, ora occorre un'alfabetizzazione digitale e conoscitiva, perché il digitale non è solo una tecnica, ma anche un nuovo linguaggio e un nuovo strumento di conoscenza. Occorre fare molto di più.
  Ad esempio a livello sia di scuola superiore sia di scuola media dobbiamo formare migliaia di insegnanti per questo nuovo contesto. Occorre fare di più sull'educazione dei formatori a tutti i livelli, sia nella formazione di base sia per quella professionale.
  In ogni caso, al CNEL seguiamo l'implementazione del PNRR e abbiamo un tavolo specifico sulla scuola nelle sue varie caratteristiche. Ancora prima di tornare in audizione per commentare risultati dell'analisi dell'ISTAT, potremmo fare avere alla Commissione le risultanze dei lavori di questo tavolo, che credo possano essere utili, perché, come ho detto prima, la formazione è la chiave, il fattore determinante di quasi tutte le diseguaglianze, di reddito, Pag. 16di opportunità di lavoro e, persino, della qualità e della lunghezza della vita. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Treu per il contributo fornito all'indagine conoscitiva e per la documentazione depositata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati). Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.

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ALLEGATO 1

Documentazione trasmessa dal presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS)

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ALLEGATO 2

Documentazione trasmessa dal presidente del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL)

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