Sulla pubblicità dei lavori:
Corda Emanuela , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SUL PROCESSO DI ATTUAZIONE DEL «REGIONALISMO DIFFERENZIATO» AI SENSI DELL'ARTICOLO 116, TERZO COMMA, DELLA COSTITUZIONE
Audizione del Ministro per il Sud e la coesione territoriale, Giuseppe Luciano Calogero Provenzano.
Corda Emanuela , Presidente ... 3
Provenzano Giuseppe Luciano Calogero , Ministro per il Sud e la coesione territoriale ... 3
Corda Emanuela , Presidente ... 6
Parolo Ugo (LEGA) ... 6
Granato Bianca Laura ... 7
Gariglio Davide (PD) ... 8
Bond Dario (FI) ... 9
Abate Rosa Silvana ... 9
Rivolta Erica ... 10
Quarto Ruggiero ... 11
Mollame Francesco ... 12
Toffanin Roberta ... 12
La Mura Virginia ... 12
Corda Emanuela , Presidente ... 13
Provenzano Giuseppe Luciano Calogero , Ministro per il sud e la coesione territoriale ... 13
Corda Emanuela , Presidente ... 16
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
EMANUELA CORDA
La seduta comincia alle 8.30.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione del Ministro per il Sud e la coesione territoriale, Giuseppe Luciano Calogero Provenzano.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul processo di attuazione del «regionalismo differenziato» ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, l'audizione del Ministro per il Sud e la coesione territoriale, Giuseppe Luciano Calogero Provenzano.
Ringrazio il Ministro Provenzano per la sua presenza e gli cedo immediatamente la parola per la sua relazione.
GIUSEPPE LUCIANO CALOGERO PROVENZANO, Ministro per il Sud e la coesione territoriale. Grazie, Presidente. Proverò ad essere sintetico, così da lasciare spazio a eventuali domande anche su questioni specifiche.
Procedo per punti. Vorrei, in primo luogo esprimere un giudizio di carattere generale. Ritengo che il lavoro del Governo, in particolare del Ministro Boccia, finalizzato all'adozione di un disegno di legge sul «regionalismo differenziato» sia un'acquisizione importante, perché ci offre la possibilità di discutere di una legge-quadro, che superi la logica bilaterale dell'intesa tra lo Stato e le regioni, che è stata, a mio avviso, nei mesi passati, il principale limite del processo di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Da questo punto di vista, il disegno di legge rappresenta un importante passo in avanti. Successivamente indicherò le ulteriori linee su cui si può lavorare affinché il Parlamento trasformi questo disegno di legge in una vera e propria legge di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Carta fondamentale.
All'interno di questo testo sono trattate importanti questioni di merito. Premetto che, a mio avviso, il principale punto di merito sia l'avere espunto dalla discussione ogni riferimento a residui fiscali, un concetto peraltro altamente discutibile anche in letteratura, che riporterebbe l'attenzione della nostra discussione soltanto sulle risorse, mentre qui stiamo parlando della definizione complessiva dei rapporti tra lo Stato, le regioni e le autonomie locali.
L'ulteriore elemento positivo che trovo in questo processo è l'insistere sull'importanza dei livelli essenziali delle prestazioni in vista del superamento della spesa storica, perché noi sappiamo, in particolare dal punto di vista meridionale, che i divari territoriali si caratterizzano sempre più per divari nella garanzia, nella tutela dei diritti di cittadinanza. Devo dire che questo fenomeno, nel corso degli anni, ha assunto una connotazione territoriale che va oltre la frattura storica tra Nord e Sud e si estende ad altre divaricazioni territoriali che stanno sempre più emergendo: c'è una grande questione appenninica che ha a che fare con le aree interne, quindi con la distanza tra aree urbane e aree interne, i rapporti tra centri e periferia, città e campagne deindustrializzate. Pag. 4
I meccanismi anche di perequazione fondati sulla spesa storica, come sappiamo, hanno avuto invece effetti cumulativi di queste disuguaglianze, anche nell'attribuzione delle risorse; quindi la fissazione dei LEP diventa un fondamento essenziale di costruzione dei nuovi rapporti tra lo Stato, le regioni e le autonomie locali. Oggi, a dispetto dei luoghi comuni, abbiamo circa un 20 per cento di svantaggio nell'assegnazione della spesa storica tra Nord e Sud, al netto della previdenza, e, dunque, abbiamo la necessità di mettere in piedi un meccanismo complessivo di perequazione delle risorse nel nostro Paese che affronti – questo ce lo consente solo la fissazione dei livelli essenziali – un tema che è sempre stato anche nella nostra discussione un po’ trascurato: quello delle risorse di parte corrente.
Ci siamo sempre molto concentrati, anche nel rapporto tra Nord e Sud, nella letteratura meridionalistica, sulle risorse in conto capitale, su come queste devono essere perequate, lo abbiamo fatto anche nella legge di bilancio rafforzando la cosiddetta clausola del 34 per cento, lo facciamo dando attuazione alle risorse aggiuntive previste dalle politiche di coesione europee e quelle nazionali che discendono dal quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione, che sono state in questi anni un vero e proprio «braccio» completamente rimosso e trascurato della politica di coesione. Mi riferisco al Fondo sviluppo e coesione che invece va riattivato e questo è uno degli elementi fondamentali del lavoro del mio Ministero, che si occupa di Sud, ma anche di coesione territoriale, quindi dei divari territoriali in tutto il Paese.
Tale lavoro sarebbe monco se noi non accompagnassimo questi interventi a una perequazione delle risorse di parte corrente, che ci consentirebbe, ad esempio, di ovviare al limite «da manuale» per cui noi costruiamo un nuovo asilo nido e non abbiamo le risorse poi per farlo funzionare. Spesso ci dedichiamo all'infrastrutturazione per l'offerta dei servizi, ma focalizziamo troppo poco l'attenzione, invece, sull'offerta del servizio, che è l'unica cosa che riesce a intercettare la domanda. Se non si ha mai l'offerta del servizio, non si riesce a intercettare la domanda e nemmeno a crearla.
I LEP possono diventare anche un parametro di efficienza. Nella nostra discussione sul rapporto tra lo Stato e le autonomie locali, sull'autogoverno delle comunità, il tema dell'efficienza nell'impiego delle risorse pubbliche è essenziale, però molto spesso questo tema dell'efficienza è affrontato con una certa approssimazione e anche con una qualche retorica. Dobbiamo fissare dei parametri oggettivi sui quali misurare l'efficienza dell'amministrazione pubblica. In quest'ottica, fissare i livelli essenziali delle prestazioni, quindi avere non soltanto un costo standard ma dei fabbisogni standard rispetto ai quali misurare la capacità dell'amministrazione pubblica di offrire servizi ai cittadini, a risorse date, può determinare un vero e proprio parametro di efficienza. In fondo, il nuovo articolo 119 della Costituzione, ma anche l'articolo 120 e il 117, che assegna una riserva di legge esclusiva allo Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, ci dicono proprio che si vuole andare in questa direzione. L'importanza dei livelli essenziali delle prestazioni è, infatti, testimoniata, dal fatto che una delle cause di attivazione dei poteri sostitutivi dello Stato attiene proprio a tale materia. Queste sono le ragioni per cui dobbiamo focalizzare molto l'attenzione su questo tema.
Riguardo alle metodologie di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che è l'altro aspetto affrontato dal disegno di legge, osservo che nella discussione che stiamo facendo anche in queste ore nel Governo, si sconta un limite di fondo: la mancata attuazione della complessa normativa relativa al federalismo fiscale. Qui la bussola deve essere orientata provando a contemperare due criteri: da un lato, evitare il rischio di far prevalere un criterio ragionieristico nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che, a mio avviso, non è coerente con l'impianto costituzionale e che finirebbe per far prevalere un approccio top-down alla fissazione dei livelli essenziali delle Pag. 5prestazioni in cui a farla da padrone sono esclusivamente i vincoli finanziari; dall'altro lato, abbiamo però la necessità di garantire un percorso efficace, che non produca la stasi di tutti questi anni e una transizione infinita nella fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni, perché abbiamo la necessità di avere tempi certi per farlo.
Nel disegno di legge c'è un punto di equilibrio condiviso dalle regioni. Credo che dobbiamo lavorare per il contestuale avvio dell'autonomia e della fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni, perché altrimenti le fasi transitorie rischiano di cristallizzare i divari esistenti. Tali divari devono essere colmati non solo in una logica di giustizia, ma più propriamente in una logica di maggiore efficienza complessiva del sistema. Le ultime statistiche dell'Eurostat che ci consegnano agli ultimi posti in Europa per disuguaglianze sociali, che hanno anche una ricaduta territoriale – le regioni più indietro sono, infatti, anche le regioni più diseguali – ci dimostrano come ci sia un nesso molto stretto tra coesione sociale e competitività dei Paesi. I Paesi che hanno maggiore competitività sono i più coesi, quindi il criterio di ridurre le distanze, di riattivare l'equilibrio va esattamente in questa direzione.
Credo che rispetto al disegno di legge abbiamo la necessità, nel procedimento, di rafforzare il coinvolgimento del Parlamento, di precisare alcuni passaggi procedimentali nel perfezionamento dell'intesa, perché al Parlamento non si può lasciare l'alternativa tra prendere o lasciare. Questa è una discussione in corso e io sono tra quelli che ritengono che, per i rilevanti interessi pubblici nazionali, generali, che l'avvio di un processo di intesa, anche con una singola regione, richiama, sia necessario proprio un maggiore coinvolgimento del Parlamento.
C'è un ultimo aspetto su cui vorrei soffermarmi prima di fare qualche considerazione conclusiva: il tema della perequazione infrastrutturale. Questo è un passo avanti molto importante rispetto agli accordi, alle bozze di intese precedenti che, invece, assegnavano una programmazione infrastrutturale sostanzialmente regionale. Oggi noi sappiamo che dobbiamo lavorare verso una programmazione infrastrutturale almeno di rango europeo per avere reti di connessione in grado di rispondere alle sfide competitive del nostro tempo e rafforzare nuovamente non solo una programmazione nazionale, ma anche una perequazione nelle infrastrutture. È un tema importante.
Sul tema delle infrastrutture vi sono alcune lacune ordinamentali. Noi abbiamo avuto un decreto ministeriale che dava attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 (cosiddetta legge Calderoli), che fissava le procedure per la perequazione infrastrutturale a fronte di una ricognizione dei deficit delle infrastrutture. Le norme contenute in tale decreto erano molto positive, perché, anche in questo caso, partivano da una ricognizione dei deficit materiali e non dal vincolo finanziario delle risorse. Aggiungo che nel disegno di legge attuale – ma ne abbiamo discusso in questi giorni con il Ministro Boccia nell'ambito di un lavoro di ulteriore affinamento del testo prima che sia presentato al Parlamento – il fondo di perequazione infrastrutturale in realtà è un fondo ulteriormente aggiuntivo rispetto a una programmazione infrastrutturale esistente che deve seguire alcuni criteri: da un lato, deve essere più coerente con le norme di attuazione della perequazione infrastrutturale come previsto dalla legge Calderoli; dall'altro, deve essere coerente con questo processo di rafforzamento della cosiddetta clausola del 34 per cento, perché quella è la perequazione degli investimenti, quindi quelle risorse incidono sullo stesso tema, al quale, come sapete, come Governo stiamo dando un forte impulso. Dall'altro lato, deve essere coerente con il rafforzamento della strategia nazionale per le aree interne, perché sul tema della perequazione infrastrutturale, sullo spezzare l'isolamento, dobbiamo lavorare per avere meccanismi perequativi efficienti non solo tra le diverse regioni, ma anche all'interno di ciascuna regione. Quindi quello è un altro aspetto decisivo del disegno di legge. Pag. 6
Per riassumere, potrei dire che siamo di fronte a un passo importante: l'accordo raggiunto nella Conferenza Stato-regioni all'unanimità è un'occasione che non va sprecata per andare avanti e concludere il processo di autonomia che è stato sempre disatteso nelle aspettative. Credo che questo processo di autonomia e il lavoro che dobbiamo fare debba muoversi all'interno della cornice costituzionale, che debba garantire i grandi pilastri della cittadinanza su tutto il territorio nazionale, e la premessa per la costruzione di questo palazzo è individuare meccanismi complessivi e coerenti di perequazione che forniscano la garanzia di diritti di cittadinanza uniformi su tutto il territorio nazionale.
In questo quadro, a mio avviso, resta un ulteriore lavoro da svolgere sul disegno di legge su cui al momento sta discutendo il Governo e che potrà fare il Parlamento nell'ottica di rendere questo testo una vera e propria legge di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Io, in particolare, sono convinto che uno degli elementi su cui si deve lavorare è l'individuazione dei criteri di accesso della singola regione alle diverse materie rispetto al richiamato articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Questo è stato un tema molto dibattuto anche nei mesi scorsi per la definizione e la circoscrizione di quello che la Costituzione definisce «ulteriori forme e condizioni di autonomia», che non necessariamente significa competenza legislativa.
Il lavoro di definizione di questo processo è molto importante; il Governo deve sfruttare questo accordo con le regioni per licenziare al più presto un disegno di legge che poi il Parlamento deve affinare secondo questa ottica. Credo che questo lavoro debba essere accompagnato anche da una discussione politica che anche il Parlamento deve affrontare. Nel 2020 ricorreranno i cinquant'anni dell'approvazione della legge n. 281 del 1970 sull'istituzione delle regioni a statuto ordinario, questo ci consente di fare anche un bilancio, secondo me politico, di cosa ha significato il regionalismo nel nostro Paese, un bilancio che può essere anche differenziato rispetto alle diverse performance dei territori, ma che deve portarci a svolgere una discussione non astratta e non ideologica. Abbiamo bisogno di sapere, di volta in volta, per le diverse materie, per le diverse competenze, qual è il livello più efficiente ed efficace per offrire servizi ai cittadini e prospettive di sviluppo ai territori. Su questo tema una discussione informata, libera e aperta deve essere sicuramente uno stimolo per accompagnare questo processo di definizione di autonomia differenziata.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questioni o formulare osservazioni.
UGO PAROLO. Grazie, Presidente. È troppo stimolante la presenza del Ministro per il Sud e la coesione territoriale per non approfittare immediatamente dell'opportunità di intervenire.
Signor Ministro, voglio ringraziarla per la pacatezza con cui ha espresso le sue opinioni; peraltro, molte delle cose che lei ha detto personalmente posso anche condividerle.
Certamente il tema del superamento del criterio della spesa storica per arrivare a definire il livello essenziale delle prestazioni, che devono essere garantite a tutti i cittadini italiani, è sicuramente condivisibile, stimolante ed è al centro – credo – sia del progetto di autonomia che questo Governo sta portando avanti, ma – mi permetto di dire, signor Ministro – era al centro anche del percorso iniziato dal precedente Governo.
Vengo al nocciolo della questione. La prima cosa che lei ha detto, Ministro, nella sua relazione è che state superando la questione del residuo fiscale. Le do una notizia: anche nel progetto di riforma costituzionale di autonomia del precedente Governo, e di quello ancora precedente, questo tema era stato accantonato. Dunque, questa non è una scelta che viene fatta dall'attuale Esecutivo, perché era una scelta consolidata anche dai precedenti Governi. Il fatto che il residuo fiscale non sia al centro del dibattito non significa che la questione non esista. È molto difficile, infatti, Pag. 7 spiegare a un cittadino della Lombardia che versa mediamente 12.300 euro di tasse all'anno, a fronte di una media nazionale di 9.200 euro, come mai ci sono regioni che versano meno della metà.
Questo sarebbe ancora il meno, se a fronte di tale diseguaglianza dal punto di vista contributivo non si verificasse un divario anche rispetto alla restituzione dello Stato, perché noi siamo di fronte a un Paese dove c'è qualcuno che paga più del doppio delle tasse di altri e, in termini di restituzioni statali, riceve meno della metà di quanto ha versato. Analizzando la situazione dal punto di vista del residuo fiscale, che dobbiamo comunque tenere presente, anche se lei dice che non dobbiamo considerarlo perché è superato nel progetto a cui il Governo sta lavorando, sappiamo tutti che ogni cittadino lombardo ha un residuo fiscale attivo di 5.200 euro. Traduco: 5.200 euro dei 12.300 euro che il cittadino lombardo paga allo Stato non vengono restituiti ai lombardi. Questo vale anche per un cittadino emiliano, che non si vede restituire 4.300 euro; vale anche per un cittadino veneto, che non si vede restituire 3.140 euro. Di contro, per esempio, un cittadino calabrese che paga 5.500 euro di tasse all'anno riceve, oltre alle tasse che paga, 3 mila euro all'anno in più. Questo vale naturalmente per molte altre regioni.
Questo divario è un'ingiustizia sociale, oltre che fiscale, e va risolto, ma in che modo? Attraverso un percorso vero di autonomia differenziata, progressiva, che noi abbiamo avviato. Ovviamente non può essere risolto nell'immediato; è un progetto che deve tendere a garantire una equità a tutti i cittadini italiani. Il primo passo da fare è proprio quello di avviare un percorso di responsabilità rispetto alla gestione delle risorse che possa portare poi a un livellamento progressivo dal punto di vista anche dell'equità fiscale su tutto il territorio italiano.
Condivido quando lei afferma che il nostro è un territorio diviso a macchia di leopardo. Signor Ministro, non deve, indurci in inganno il fatto che, ad esempio, in Lombardia ci sia una contribuzione fiscale di 12.300 euro pro capite. Se andassimo ad analizzare questo dato nel dettaglio, ci accorgeremmo che probabilmente mezza Lombardia paga 20.000 euro di tasse e l'altra metà ne paga 5.000 o 6.000; quindi mezza regione probabilmente è a livello di alcune regioni del Sud dal punto di vista contributivo. Probabilmente la stessa cosa varrebbe, in parte, anche per il residuo fiscale. Quindi è veramente un Paese a macchia di leopardo, però ci sono regioni che hanno dimostrato, con i fatti, che sono in grado di autoamministrarsi e che lo possono fare meglio rispetto a una gestione centralizzata. Quindi noi dobbiamo investire su questa scommessa.
Peraltro, l'ultimo dato che voglio ricordarle, signor Ministro, che lei sicuramente conosce meglio di me, è che di questi 9.200 euro di prelievo fiscale medio a livello nazionale circa l'85 per cento finisce nelle casse dello Stato centrale e solo un 15 per cento rimane alle regioni e agli enti locali. Questo vale al Nord e vale anche al Sud. Se esiste questo divario dal punto di vista delle prestazioni, dei servizi garantiti, dell'efficienza, dobbiamo anche interrogarci rispetto a tale dato. Probabilmente, il fatto che la maggior parte delle tasse finiscano nelle casse dello Stato centrale non è un elemento di per sé garantista rispetto alla possibilità di garantire un equilibrio dal punto di vista dei servizi e dello sviluppo su tutto il territorio nazionale.
Quindi, a maggior ragione, signor Ministro, è necessario, sia per il Nord che per il Sud, avviare con convinzione e concludere questo percorso di autonomia, naturalmente con tutte le garanzie che lei ha voluto ricordare soprattutto per i territori che sono più impreparati e che più temono un percorso di questo genere, che noi vogliamo condividere e sostenere.
BIANCA LAURA GRANATO. Grazie, Presidente. Sono arrivata un po’ in ritardo, però mi sono premurata di aggiornarmi sulla prima parte del suo intervento, Ministro, che ha riguardato la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. Vorrei chiederle se effettivamente lei è d'accordo ad accogliere questa bozza di legge-quadro così come è attualmente formulata, che prevede che per individuare i livelli essenziali Pag. 8 delle prestazioni si debba avviare un processo entro dodici mesi dalla stipula dell'intesa, quindi dall'attuazione della stessa, senza poi prevedere un eventuale meccanismo di revisione dell'intesa.
Inoltre, signor Ministro, a noi interessava che questa bozza di legge-quadro stabilisse cosa dare, a chi e a quali condizioni rispetto a tutte le possibili materie oggetto di un'eventuale autonomia potenziata; questo testo, invece, non lo prevede. Quindi, fondamentalmente, questa bozza di legge-quadro ha delle criticità evidenti. Lei pensa, Ministro, che tali criticità possano essere risolte con un intervento parlamentare o che non sia il caso, invece, di risolverle a monte, prima che questo testo sia presentato al Parlamento?
Ho capito che le regioni sono d'accordo su questa bozza, però ritengo che il testo non rispecchi gli interessi del Paese nella sua interezza. Mi risulta, peraltro, che non tutti i rappresentanti delle singole regioni abbiano partecipato alla riunione della Conferenza Stato-regioni che l'ha esaminato; per esempio il rappresentante della Calabria non vi ha partecipato. Quindi ci sono dei ragionevoli dubbi sulla condivisione di questo impianto all'interno del Paese, perché ci sono anche dei dibattiti in corso che sarebbe opportuno seguire.
DAVIDE GARIGLIO. Grazie, Presidente. Ringrazio il Ministro, per la sua relazione.
Come gruppo del Partito Democratico noi ovviamente siamo pienamente a favore della realizzazione del disposto dell'articolo 116, terzo comma della Costituzione. Ricordo che questa norma è frutto di un emendamento introdotto nella Costituzione nel 2001, alla fine di un percorso durato cinque anni in cui si riuscì a cambiare la Costituzione prima con il federalismo amministrativo e poi con la riforma costituzionale del 2001. Tra l'altro, all'epoca, ero seduto proprio in quest'Aula e quindi ho avuto modo di vedere la genesi di questa riforma, partorita, in particolare, dall'allora vicecapogruppo del PD, onorevole Bressa.
All'avvio della legislatura abbiamo assistito a un anno di balletti sull'attuazione di questa norma. Nonostante la solerzia, l'impegno e la serietà del Ministro Stefani, la posizione delle regioni non è mai stata mediata efficacemente dal Governo e, quindi, si è arrivati a un nulla di fatto. Ritengo che questo Esecutivo – lo dico fuori da ogni faziosità – abbia operato bene e credo che il Ministro Boccia abbia avuto la capacità di sedersi in una logica di dialogo e di confronto con gli esecutivi regionali, perché non si può pensare di bloccare questo procedimento. C'è, infatti, una parte del Paese che spinge per poter correre più velocemente, ma non si può fare partire questo processo, che per sua natura è irreversibile, senza avere riguardo alle difficoltà e alle disparità che ci sono all'interno del Paese. Quindi, giustamente, credo sia indispensabile riprendere la questione dei livelli essenziali delle prestazioni, che è un tema emerso, peraltro, in un'interessante audizione dei rappresentanti della SOSE Spa –. Bisogna creare le condizioni per un'equità nella ripartizione di fondo delle risorse.
Come bene lei ha ricordato, signor Ministro, non è solo una questione di risorse per gli investimenti, ma di risorse di parte corrente. Bisogna superare la logica dei meccanismi storici, che, fondandosi sulla storia, si portano dietro delle disparità. Occorre mettere tutti nelle condizioni di poter partire dallo stesso punto, però non si può pensare di imbrigliare nessuno.
Del resto, è anche una questione di classi dirigenti. Abbiamo, in alcuni casi, delle classi dirigenti che hanno saputo amministrare meglio alcune parti del Paese rispetto ad altre. Non è una questione di colore politico; probabilmente una serie di accadimenti hanno portato a una realtà in cui oggi talune aree del Paese sono più efficienti di altre. Lo dico appartenendo a un'area del Nord del Paese che non è sicuramente tra le più efficienti d'Italia. Credo, quindi, pur provenendo da un'area che non si può definire «campione» in questo senso, che si debbano creare le condizioni per far sprigionare pienamente le energie dei territori in un quadro di garanzia e di equità per tutti.
Vi ringrazio, Ministro, per il lavoro che avete fatto e credo che si debba procedere Pag. 9celermente con il coinvolgimento del Parlamento su questa legge-quadro. Penso che questa Commissione, che ha sempre saputo ragionare in maniera pulita, obiettiva e con un confronto efficace tra le parti, possa dare, e darà, un grande aiuto per andare avanti e realizzare questa riforma nell'arco di questa legislatura.
DARIO BOND. Grazie, Presidente. Grazie, Ministro per la sua relazione.
All'articolo 30 del decreto-legge n. 162 del 2019 (cosiddetto proroga termini) è prevista l'attuazione della cosiddetta clausola del 34 per cento per le regioni del Mezzogiorno, che lei nel suo intervento ha citato spesso come se fosse una clausola di sicurezza per le regioni del Sud nell'avere i giusti investimenti e le giuste risorse finanziarie. La domanda che le pongo, che in parte il collega Gariglio ha anticipato, è la seguente: dentro questo meccanismo di regionalismo differenziato non crede vi sia una grande carenza di classe dirigente? Glielo chiedo perché quando in Commissione e in Assemblea abbiamo esaminato il decreto-legge sulla sanità in Calabria si è visto effettivamente lo spaccato del Paese, un Paese completamente diverso in termini di gestione della sanità, di capacità della classe dirigente, anche dal punto di vista della professionalità nel gestire le risorse pubbliche.
Quando parliamo di livelli essenziali delle prestazioni e di altro dovremmo avere tutta la classe dirigente italiana, tutti i dirigenti generali della sanità, tutti i primari, tutti i direttori generali, di strutture complesse o meno, allo stesso livello. E questa non è la situazione italiana. Non sto dicendo che il dirigente meridionale è inferiore a un dirigente settentrionale, perché probabilmente avrà una cultura superiore a quella dei suoi omologhi del Nord, però la tradizione, gli usi, le consuetudini, la gestione e la sua storia hanno portato a risultati completamente diversi.
Nel suo intervento lei, Ministro, ha in qualche maniera giustificato – capisco anche la sua posizione – una compensazione tra Nord e Sud attraverso una serie di meccanismi, ma le chiedo: cosa sta facendo per portare la qualità della classe dirigente del Sud a un livello medio? I livelli essenziali delle prestazioni dovrebbero essere messi anche sulla qualità delle prestazioni dei dirigenti, sulla qualità della prestazione della pubblica amministrazione, sulla qualità della prestazione dei medici, sulla qualità della prestazione di una serie di soggetti che poi fanno veramente i costi e la differenza nella qualità della vita. Su questo io le chiedo, Ministro, cosa stia facendo, perché anche questo rientra nel «regionalismo differenziato».
Concordo, infine, in pieno con l'intervento del collega Parolo, ma non voglio ripetere i numeri da lui citati perché fanno venire i brividi.
ROSA SILVANA ABATE. Grazie, Presidente. Ringrazio il Ministro. Ho perso la prima parte del suo intervento, però vorrei rivolgerle delle domande e rispondere poi al collega Bond.
È vero che in questo momento dobbiamo occuparci di autonomia, perché c'è una forte richiesta delle regioni ed è un processo richiesto da tantissimo tempo e delineato dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Tutto ciò che riguarda la richiesta di autonomia delle regioni deve avvenire purché non in contrasto con i principi fondamentali della Carta costituzionale, quindi i LEP vengono assunti come presupposti.
Ho ascoltato anche il collega Parolo che citava dei dati pro capite relativamente alle tasse versate: non metto in dubbio la sua fonte, la andrò a verificare perché io avevo altri dati.
È chiaro che le autonomie si muovono, e devono necessariamente muoversi, nel rispetto di quanto stabilito dall'articolo 116 della Costituzione; in questo momento, però, la politica deve fare anche il suo ruolo, e in questo mi riallaccio a quello che diceva il collega Bond.
Il decreto-legge cosiddetto Calabria ha fatto emergere non solo una diversità di gestione nella sanità, che è una materia importantissima, ma anche come la politica possa imbrigliare la regolare e virtuosa gestione di un servizio. Mi spiego meglio. Io provengo da quella regione e so bene quello che dico, e rappresento – consentitemi – la Pag. 10parte buona che vuole uscire da quella gestione scellerata. Ebbene, se noi approviamo un decreto-legge ad hoc per la Calabria –, e poi io mi trovo un presidente di regione che, al netto del partito a cui appartiene, non si vuole nemmeno sedere ai tavoli per individuare quali sono i professionisti che possono tirare fuori la Calabria da una situazione così disastrosa della sanità, capiamo tutti che sia il dettato costituzionale sia i decreti-legge che possono essere adottati non servono assolutamente a nulla.
Questo per dire che le autonomie oramai si muovono su due canali: dalla Costituzione non possiamo prescindere, e tutti siamo d'accordo che bisogna fare i LEP, perché, se è vero che ci sono state delle gestioni scellerate delle competenze in alcune materie, è anche vero che una regione non può chiedere l'autonomia su tutte le ventitré materie e gestire anche quelle che è impossibile gestire a livello regionale. Mi riferisco, ad esempio, alla materia dell'ambiente che non si ferma a una regione, non ha limiti e confini territoriali, ma è qualcosa che va al di là. Poi bisogna capire se queste regioni – lo dico chiaramente – vogliono rimanere nello Stato o meno, perché l'autonomia è una cosa, avere un'autonomia che crea uno Stato nello Stato è un'altra cosa, ma questo discorso è stato superato.
Lo strumento della legge-quadro è quello che noi avevamo auspicato, perché abbiamo discusso anche con docenti universitari, che ci avevano indicato che il percorso della legge-quadro era l'unica soluzione possibile. Chiedo al Ministro, perché segue i tavoli di lavoro a livello governativo, se si può arrivare o se c'è l'intenzione di arrivare in Parlamento con una legge condivisa anche da noi parlamentari, perché arrivare con una legge-quadro che poi potrebbe essere stravolta diventerebbe un'ulteriore difficoltà in questo percorso delicato e importante per il nostro Stato. Le domando, quindi, Ministro, se c'è questa possibilità di arrivare in Parlamento con un disegno di legge i cui princìpi siano condivisi, in modo che non si stravolga il testo.
ERICA RIVOLTA. Grazie, Presidente. Ringrazio il Ministro per la sua presenza in Commissione bicamerale. Anch'io vorrei aggiungere al dibattito qualche osservazione, partendo dalle posizioni dei colleghi Bond e, soprattutto, Parolo.
C'è un grande gap da colmare. È stato chiesto anche dai colleghi e le chiedo anch'io, Ministro, quale pensa sia il passo che le persone del Sud – non parliamo di Sud, perché si parla sempre di persone che governano, che hanno una responsabilità – dovrebbero fare per cominciare a far diminuire questo gap. Mi spiego meglio. Una delle grandi sfide, a mio avviso, è quella della produttività e dell'efficienza della pubblica amministrazione e, in generale, del settore pubblico. I Comuni per primi dovrebbero avere personale efficiente, anche se non mancano in tutta Italia esempi di comuni che hanno difficoltà a capire che il lavoro va fatto in un certo modo. Occorre assicurare, invece, efficienza, perché già a partire dal comune occorre dare delle risposte. Registriamo anche numeri completamente sbilanciati in relazione ai dipendenti di alcuni enti locali e al fatto che negli enti nei quali si dovrebbero riscontrare elevatissimi livelli di efficienza, questo non accade. Non solo, nonostante le tante indagini avviate e i processi in corso, ci sono ancora persone che fanno timbrare il cartellino ad altri, che è una cosa inconcepibile, dal mio punto di vista, sotto tutti i profili. Come ho già detto anche in precedenti audizioni di altri Ministri e di altri soggetti, è necessario creare le condizioni per permettere alle tantissime persone meridionali con una grande formazione di rimanere nella propria regione per fare un buon lavoro. In tutti gli organismi dello Stato, all'estero e in tutte le regioni abbiamo persone che provengono dal Sud con professionalità altissime, che si sono dovute trasferire semplicemente perché nella loro regione non avrebbero potuto esprimerle.
Quindi, occorre lavorare affinché gli ospedali, ad esempio, siano più efficienti. Non è concepibile che non ci sia un bilancio della sanità come capita in Calabria; non è compatibile che ci siano otto primari, quando ne basterebbero tre, e che non ci Pag. 11siano, invece, servizi di risposta ai cittadini. Questo è veramente colpevole e non è ammissibile.
Cosa possiamo fare noi? Io ritengo che sia giusto, come è stato detto anche dal collega Gariglio, che il processo vada avanti. Non dimentichiamo che in alcune regioni del Nord (il Veneto e la Lombardia) i cittadini si sono espressi a favore dell'autonomia. Quindi penso che ogni regione debba andare avanti con il proprio passo, secondo la propria cultura. Non possiamo frenare le regioni che stanno andando più forte e che hanno già maturato questo processo, ma vanno stimolate fortemente quelle regioni che hanno bisogno di mettersi al passo, perché penso seriamente che questo Paese debba andare avanti con un avanzamento di tutte le sue parti.
Io auspico, pur abitando in Lombardia a pochi chilometri dal confine con la Svizzera, che anche le regioni più a Sud abbiano un altro passo, perché abbiamo il mondo da conquistare, mercati nei quali affermarci e le intelligenze che ci sono da far fiorire. Occorre lavorare sulle condizioni di base, sulle condizioni culturali e sulle difficoltà oggettive, che in certi casi sono anche fragilità. Si dice che al Sud ci sono regioni particolarmente fragili sotto il profilo ambientale, ma lo stesso accade anche al Nord: l'alta valle del Lario, ad esempio, ha una grande debolezza e una fragilità ambientale. Occorre veramente un cambio di passo, perché il percorso avviato non si può bloccare.
Il collega Gariglio ricordava il passaggio compiuto dall'onorevole Bressa; io ricordo quanto prevedeva il documento finale di allora riguardo all'impossibilità di emendare il testo. Io dico: non perdiamo ulteriore tempo. Bisogna definire i LEP, ma è un'operazione che può essere infinita; troviamo il modo per farlo nella maniera più intelligente, che non sia la scusa per rallentare. Dobbiamo trovare una mediazione, però non possiamo permetterci, soprattutto in questo momento storico di grandi cambiamenti, ma anche di grandi spostamenti di masse di persone, di difficoltà in generale di un'Europa che non è mai stata così debole come adesso, di avere un Paese nel pantano, quando invece ha tutte le possibilità per tornare ad essere un grandissimo Stato. Visto che siamo noi i legislatori, non possiamo perdere tempo e non fare la nostra parte. Spero che anche lei, Ministro, dalla sua posizione, faccia tutto il possibile per smuovere la situazione e cambiare qualcosa.
RUGGIERO QUARTO. Grazie, Presidente. Il collega Parolo ha citato dei numeri che sicuramente sono impressionanti, però sarebbe bello citare i numeri a monte, più che quelli a valle. È effettivamente preoccupante quella differenza tra i circa 12 mila euro versati di tasse dai cittadini lombardi e i circa 5 mila euro di residuo fiscale attivo, ma, se c'è una differenza, è perché non si parte da uno stesso reddito lordo. Quindi penso che valga la pena analizzare i numeri che sono a monte di quello che poi si versa, numeri che indicherebbero una forte sperequazione nel reddito pro capite, che è quello che sinceramente a me preoccupa di più e che penso sia la preoccupazione principale del Ministro per il Sud e la coesione sociale. Quindi effettivamente la coesione è alla base dello sviluppo armonico di una Nazione, quindi della sua competizione sui mercati a livello internazionale. Vorrei chiedere, pertanto, al Ministro cosa sta facendo per cercare di mettere allo stesso livello i redditi a monte, perché se i redditi a monte sono simili, alla fine anche il livello di tassazione sarà simile.
Sono un po’ preoccupato dell'avvio contestuale, che il Ministro ha dichiarato di condividere, tra il processo di autonomia e la definizione dei LEP, anche se a termine. Vorrei ricordare al Ministro che la legge n. 132 del 2016, che ha istituito il Sistema nazionale a rete per la protezione ambientale (SNPA), prevede i LEPTA (i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali), che sono estremamente importanti. Non mi voglio dilungare su questo, perché ci sono delle sperequazioni fortissime tra le regioni per le loro caratteristiche ambientali e territoriali, che attengono quindi al dissesto idrogeologico, al rischio sismico, al rischio vulcanico. Quindi, poiché ci sono delle differenze, dobbiamo garantire a tutti Pag. 12i cittadini uno stesso trattamento. Questi LEPTA avrebbero dovuto essere definiti entro i primi mesi del 2017 e, invece, sono ancora in via di definizione: sono passati oltre tre anni e non sono stati ancora del tutto definiti. Per questo sono preoccupato e penso che sarebbe probabilmente il caso di definire prima i LEPTA o quantomeno prevedere un avvio contemporaneo, ma, prima ancora che si parta con una vera autonomia regionale, che vi sia una prioritaria definizione dei LEPTA. Vorrei qualche garanzia in più su questo.
FRANCESCO MOLLAME. Grazie, Presidente. Grazie, signor Ministro, per la sua relazione e anche per i toni che mi sono sembrati assolutamente scevri da pregiudizi e fondati su princìpi che potrebbero portare il processo in corso a un buon esito.
Parlo da meridionale che da trent'anni gira l'Italia per lavoro e che quindi ha conosciuto quelle divisioni a macchia di leopardo a cui si è fatto cenno. Ho conosciuto il dissesto dell'amministrazione, spesso della burocrazia meridionale piuttosto che di quella lombarda, e voglio fare una riflessione a voce alta, e la invito a farla insieme a me. In questo testo che abbiamo in discussione, che auspichiamo venga varato dopo una discussione del Parlamento, c'è una parola che temo ed è: «differenze». Di differenze e di differenziato già in Italia abbiamo tanto, dai tempi della Questione meridionale, sono problematiche che affrontiamo da centocinquant'anni. Tra le differenze ci sono state anche quelle che hanno portato questo Paese, attraverso fenomeni migratori anche consistenti, a crescere in maniera assai positiva. Parlo del dopoguerra, degli anni Cinquanta e degli anni Sessanta. Oggi noi siamo in un momento in cui l'Europa, da una parte, la globalizzazione, dall'altra, e la stagnazione economica stanno creando seri problemi al sistema Paese. Le chiedo pertanto: le problematiche conseguenti a questi nuovi fenomeni, uno per tutti la globalizzazione, le vogliamo affrontare cercando di trovare una soluzione unitaria, e quindi rafforzando il sistema Paese, o aumentando le differenze, parlando anche di banali numeri?
ROBERTA TOFFANIN. Grazie, Presidente. Grazie, Ministro. Sarò molto rapida.
Il divario c'è, non si può nasconderlo, è sotto gli occhi di tutti, però io credo che questa maggioranza e questo Governo non stiano andando nella direzione giusta per cercare di diminuire questo divario, ma, che, anzi, lo stia aumentando. Comprendo la ragione per la quale nel provvedimento sulle crisi aziendali si prevede una proroga per i lavoratori socialmente utili, si parla di 6.500 lavoratori di pubblica utilità e socialmente utili in Calabria e in Campania: il lavoro pubblico serve in questo caso per cercare di aiutare i lavoratori che hanno perso il lavoro, che sono in difficoltà per essere reinseriti nell'ambito privato. Osservo, però, che quando poi nella legge di bilancio si dà il via libera per le assunzioni a tempo indeterminato negli enti locali di questi lavoratori, ciò significa non dare efficientamento alla pubblica amministrazione, ma soltanto provvedere a creare posti di lavoro là dove magari possono non servire.
Queste sono le questioni che vorrei sottolineare. Non si può andare sempre in questa direzione, perché altrimenti non si troverà una soluzione per cercare di evitare che questi gap aumentino ma, anzi, si renderanno le discrepanze ancora maggiori.
VIRGINIA LA MURA. Grazie, Presidente. La ringrazio, Ministro, per la sua esposizione molto chiara che ha messo in evidenza alcuni aspetti che tutti noi abbiamo sempre provato a promuovere: la mitigazione del conflitto sociale. La Repubblica è una e la Costituzione, oltre che all'articolo 116, in tutte le sue disposizioni esprime il concetto dell'uguaglianza e del bene della nostra Nazione, cercando di colmare i divari laddove ci sono. È vero che la coperta è corta, che l'Italia è molto diversa dal punto di vista paesaggistico e quindi dal punto di vista culturale e anche economico, ma abbiamo sempre detto che questo poteva essere una forza e non un problema. Quindi bisogna puntare su quello. Pag. 13
Sicuramente l'Italia è fragile, sta franando, l'economia è al collasso e, di conseguenza, è giusto anche cambiare gli indicatori, come diceva lei, Ministro, ad esempio facendo riferimento alle risorse di parte corrente, indicatore che trovo molto utili, come anche alla perequazione infrastrutturale. Qualunque siano gli strumenti, comunque alla base deve esserci la voglia di fare qualcosa che serva a tutti i cittadini. Questa è la cornice costituzionale e questo era quello che ci aveva anticipato, quando venne in audizione la prima volta, il Ministro Boccia, ma poi alla fine il risultato è stato che il tutto veniva risolto in un emendamento alla legge di bilancio. Questo è stato un colpo basso per noi, e non l'abbiamo accettato. Quindi spero che il Parlamento e il Governo possano lavorare al meglio. È vero che abbiamo necessità di intervenire rapidamente, ma questo percorso dura da cinquant'anni e, considerato, tra l'altro, che ci sta portando in una nuova dimensione a livello internazionale, dobbiamo avere il tempo di capirlo, perché il mondo è cambiato e noi dobbiamo adeguarci. Quindi prendiamoci anche qualche mese in più, ma svolgiamo bene il nostro lavoro.
Infine, la ringrazio, Ministro, perché il suo un intervento è stato estremamente interessante, almeno per me.
PRESIDENTE. Do ora la parola al Ministro per le risposte.
GIUSEPPE LUCIANO CALOGERO PROVENZANO, Ministro per il sud e la coesione territoriale. Grazie, Presidente. Le sollecitazioni che sono venute da questa discussione, a partire dalla Questione meridionale, che mi ha appassionato nel corso degli anni e che ha segnato il mio impegno politico, aprirebbero un discorso politico che mi interessa molto e che meriterebbe forse più tempo di quello che abbiamo a disposizione.
Inizio rispondendo a un'osservazione dell'onorevole Parolo. Io davvero non voglio mettermi qui a fare le classifiche, dico soltanto che nelle versioni precedenti delle intese, sia quelle del Governo Gentiloni che del Governo Conte I, c'erano delle previsioni che, ad esempio, prevedevano, sul tema del residuo fiscale, che ulteriori risorse legate ai miglioramenti di efficienza oppure a un aumento della capacità fiscale del territorio fossero esclusivo appannaggio di quelle regioni. Questo avrebbe determinato uno slittamento verso la territorializzazione delle imposte che nei fatti avrebbe riaperto le porte al tema del residuo fiscale.
Io contesto alla radice questo concetto del residuo fiscale, perché finché noi siamo in un ordinamento unitario, il rapporto tra cittadino e Stato e lo stesso residuo fiscale va calcolato a livello individuale, cioè quanto il singolo cittadino versa allo Stato e quanto riceve in termini di servizi. Il cittadino milanese o il cittadino calabrese, a cui faceva riferimento lei, è un cittadino fittizio, è una media, ma finché l'imposizione fiscale è segnata dai princìpi costituzionali della progressività fiscale – che secondo me dovrebbe essere aumentata nel nostro Paese e non diminuita – un residuo fiscale complessivo che somma i singoli individui non fa altro che rispecchiare i divari di reddito che esistono nel nostro Paese. Sa anche perché lo contesto? Perché in letteratura le modalità di calcolo del residuo fiscale sono molto variabili. Ad esempio, questa entità del residuo fiscale e i numeri a cui faceva riferimento lei, cambiano molto se noi consideriamo solo la spesa statale o la spesa del settore pubblico allargato, perché la spesa del settore pubblico allargato diminuisce molto questo gap.
Non solo, nel calcolo del residuo fiscale c'è una voce di spesa che viene sempre espunta dal calcolo, che è invece la principale voce di spesa pubblica nel nostro bilancio dello Stato, che è la spesa per gli interessi. Se noi calcolassimo la titolarità degli interessi rispetto alla dimensione territoriale, probabilmente questo residuo fiscale si annullerebbe ancora di più. Ma questa è una contabilità nella quale io non voglio entrare, perché in un ordinamento unitario, come ancora noi siamo, e in un rapporto anche federale in cui alla base del federalismo c'è l'idea del patto, credo che dobbiamo uscire da questa contabilità reciproca un po’ misera, mi verrebbe da dire. Pag. 14Aggiungo, anche che, a mio giudizio, questo è un piano inclinato pericoloso, perché una volta che siamo usciti dal perimetro regionale del calcolo del cosiddetto «residuo fiscale» e andiamo al perimetro provinciale, magari lei, onorevole Parolo, si accorgerà che tra l'area metropolitana di Milano e la provincia di Sondrio – faccio per dire – c'è un residuo fiscale, e allora come facciamo? Cristallizziamo anche questa situazione? È un'idea, a mio avviso, che, se inserita nell'ordinamento, potenzialmente è disgregante.
Detto questo, la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni – l'ho detto prima e lo ribadisco adesso – a mio avviso può diventare un parametro oggettivo di misurazione dell'efficienza, anche nella gestione delle risorse, che invece è un tema fondamentale quando si parla di intervento pubblico e di spesa pubblica.
Aggiungo una nota. Se invece devo fare riferimento al cittadino medio, io mi pongo anche il problema di un cittadino del Sud che magari, per livello di reddito, paga un certo livello di tassazione che è uguale rispetto al cittadino milanese e che poi, per inefficienze del passato, ha addizionali che sono maggiorate nella propria regione e non solo ha un livello di servizi più basso, ma anche un'erogazione di spesa pubblica, come registrata dalla contabilità della Ragioneria generale dello Stato, dal sistema dei conti pubblici territoriali, che è più bassa. Però questo è solo un aspetto che fotografa l'inefficienza complessiva del sistema. Noi, invece, dobbiamo andare verso l'efficienza e l'efficacia del sistema.
Rispetto alle notazioni critiche avanzate sul disegno di legge originario dall'onorevole Granato, dall'onorevole Quarto e dall'onorevole Abate, penso che noi siamo ancora nella fase di definizione del disegno di legge che prevede un ruolo anche del Parlamento. Non solo: io sono convinto che questo ruolo poi in tutto il processo vada rafforzato e ho detto che questo è uno degli elementi sui quali il disegno di legge può essere migliorato.
Quando mi riferivo alla contestuale fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni intendevo proprio questo: che quella è una priorità, quindi che il processo di autonomia va costruito sui livelli essenziali delle prestazioni. Questo prevede il disegno di legge. Poi lo stesso disegno di legge stabilisce che se livelli essenziali delle prestazioni non vengono fissati nei dodici mesi, può partire l'autonomia per una prima fase.
Io penso, invece, che noi dobbiamo concentrarci esclusivamente sulla migliore determinazione delle procedure per arrivare alla fissazione dei livelli essenziali, proprio perché quella è una priorità, ma allo stesso tempo – come è stato detto, mi pare anche dall'onorevole Rivolta – non possiamo consentire di rimandare alle calende greche la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni, come è avvenuto in tutti questi anni. Quindi dobbiamo contemperare queste due esigenze, tenendo conto che i livelli essenziali delle prestazioni sono prioritari per la costruzione dei processi di autonomia differenziata, come previsti dalla Costituzione. Io ho delle riserve sul processo, che ho espresso a titolo personale e non del mio partito che ha un'idea diversa sulla riforma del Titolo V. Io ho espresso delle critiche su questo, ma è quanto è previsto dalla Costituzione e dunque va attuato.
Detto questo, il punto è che noi non possiamo avere una transizione infinita, cioè nel momento in cui si parte dall'autonomia eventualmente senza i livelli essenziali, perché questo cristallizzerebbe i divari.
L'altro aspetto su cui ho detto che secondo me è necessario apportare un miglioramento rispetto al testo del disegno di legge che avete esaminato e di cui stiamo discutendo anche in Consiglio dei Ministri per arrivare a un celere – perché a mio avviso deve essere celere – licenziamento del disegno di legge, è quello di rendere più coerenti le norme della perequazione infrastrutturale con il resto.
Questi sono i temi su cui c'è bisogno di lavorare ulteriormente prima di arrivare all'approvazione del disegno di legge in Consiglio dei Ministri.
L'onorevole Gariglio e l'onorevole Bond hanno posto un tema che aprirebbe una discussione enorme: quello delle classi dirigenti. Pag. 15 Nella letteratura meridionalistica il tema delle classi dirigenti è uno dei temi essenziali, affrontato da Salvemini a Gramsci, allo stesso Giustino Fortunato. Io sono convinto che il processo di divergenza e di divario debba essere visto dal punto di vista non solo della politica, in generale, ma, soprattutto, delle politiche, perché dopo centosessant'anni di Questione meridionale siamo convinti che questo sia un destino ineluttabile, segnato dalla storia, invece, ci sono state epoche nel nostro Paese in cui non solo il divario non si è allargato, ma addirittura si è accorciato. Questo è dovuto anche alle politiche che sono state messe in campo dalle classi dirigenti, rispetto alle quali penso che ci siano responsabilità sul ritardo di sviluppo delle «questioni meridionali» che siano condivise tra le classi dirigenti locali e quelle nazionali. Spesso c'è una divisione nella discussione meridionalistica se è colpa nostra, di noi meridionali, o se è colpa degli altri, dello Stato, oggi dell'Europa. Ritengo che ci siano delle responsabilità condivise, che ci siano state gravi inefficienze delle classi dirigenti locali, ma che la responsabilità nel superamento dei divari e nell'unificazione economica e sociale del Paese arrivi, in ultima istanza, in capo alle classi dirigenti nazionali.
Il processo di disinvestimento pubblico che c'è stato nel Mezzogiorno, lo smantellamento di politiche che andavano migliorate e non del tutto cancellate, secondo me è stata una delle cause che ha determinato l'avvitamento di alcuni meccanismi di inefficienza al Sud.
L'unico modo per avere anche una domanda di buona politica dai cittadini meridionali è quello di avere un processo di sviluppo che liberi le persone dal ricatto del bisogno in cui molto spesso si trovano. Questo si fa attraverso delle politiche pubbliche, politiche anche industriali del XXI secolo che vanno migliorate e rilanciate e si realizza con una precondizione che molti di voi hanno posto: il rafforzamento della qualità della pubblica amministrazione. Su questo sto provando ad andare avanti con un impegno specifico del Ministero per il Sud e la coesione territoriale, in particolare offrendo un supporto a quel livello di governo, che molto spesso trascuriamo nella discussione sull'autonomia, ma che, invece, è quello più prossimo ai cittadini, che sono gli enti locali. A livello di enti locali abbiamo bisogno, in particolare al Sud, di operare un rafforzamento amministrativo anche delle competenze, cosa che si può fare con i fondi europei, a differenza di quello che spesso ci hanno detto in passato, e di fare in modo che i meccanismi di reclutamento nella pubblica amministrazione seguano maggiormente i fabbisogni, orientando anche l'amministrazione pubblica ad essere più «amica» dello sviluppo, più capace di gestire le politiche di sviluppo.
Si parla sempre dell'alternativa se c'è troppo Stato o se ce n'è poco: spesso al Sud noi abbiamo troppo Stato dove non c'è bisogno e troppo poco, invece, dove ci sarebbe bisogno; quindi avere un'analisi dei fabbisogni delle amministrazioni orientate a questo va nella determinazione di un rafforzamento amministrativo.
Un altro tema su cui stiamo lavorando è quello della semplificazione delle procedure di legalizzazione degli investimenti. Questo, da un lato, avrebbe un vantaggio in termini di accelerazione dell'investimento pubblico, dall'altro, mi verrebbe da dire che – cosa di cui qui non abbiamo parlato, ma che è essenziale – migliorerebbe la trasparenza del processo di realizzazione degli investimenti e questo aiuterebbe nella lotta alla corruzione e alle mafie, che però oggi è un tema che, purtroppo, unifica l'intero Paese e che abbiamo bisogno di affrontare con determinazione in tutti i nostri territori.
Mi avete chiesto cosa si sta facendo per la riduzione dei divari. Vi chiedo di ascoltarmi in un'audizione in un'ulteriore occasione per avere la possibilità di raccontarvi il lavoro che già è stato avviato con la legge di bilancio e che perfezioneremo in queste settimane con il Piano Sud annunciato dal Presidente del Consiglio Conte, a cui sto lavorando.
Vorrei sottolineare però che l'obiettivo di questo lavoro sul Sud e la coesione territoriale è un deciso rilancio degli investimenti Pag. 16 pubblici e privati nel nostro Paese. Nella legge di bilancio, nel capitolo «Misure per il Sud» trovate norme che vanno in questa direzione, proprio perché è anche da lì, accanto al miglioramento della qualità dell'amministrazione pubblica, che noi dobbiamo recuperare quel gap di produttività che è il vero tema che ha condannato l'Italia a una stagnazione economica e il Sud a una recessione.
Questo è l'orizzonte verso cui ci muoviamo, con una logica di fondo, sulla quale mi soffermo, visto che in questa sede hanno preso la parola onorevoli provenienti da diverse aree territoriali. Onorevole Parolo, io sono cresciuto e mi sono formato in un'associazione che si chiama «Per lo sviluppo del Mezzogiorno», che è stata fondata da tre meridionalisti valtellinesi, la cui idea di fondo che lo sviluppo del Sud non rispondesse a una logica di giustizia territoriale, se non in parte, è anche la mia logica.
Credo che il rilancio e lo sviluppo del Sud risponda davvero all'interesse del Paese, un Paese di cui abbiamo raccontato nei decenni, soprattutto nella Seconda Repubblica, soltanto la contrapposizione territoriale, il regolamento di conti continuo, anche di contabilità territoriale, mentre è un Paese fortemente interdipendente sul piano economico e sul piano commerciale e l'investimento pubblico al Sud è un investimento che attiva domanda di beni e servizi nel Centronord ancora in larga parte. Questa è una delle idee su cui si è fondato il miracolo economico nel nostro Paese, che non è stato un miracolo, è stato il frutto di questa precisa scelta con questa precisa logica di interdipendenza e di accendere tutti i motori dello sviluppo per aumentare le potenzialità di un Paese, che invece declina in tutte le sue regioni e in tutte le sue aree.
Ricordo che, purtroppo, nel ranking di competitività delle regioni europee, purtroppo, le regioni meridionali sono a livelli molto bassi, ma negli ultimi anni abbiamo avuto anche un declino delle regioni del Centronord. Questo, a mio avviso, non è legato – come è stato detto per troppi anni – alla «zavorra» meridionale, ma all'incapacità di avere un disegno di sviluppo che tenesse insieme il Paese e che attivasse il potenziale di crescita, anche laddove rimaneva inespresso. Questa è la filosofia di fondo che ispira il lavoro che stiamo portando avanti rispetto al quale, forse, in un'altra occasione, potremmo entrare meglio nel merito.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro che si è reso anche disponibile per partecipare a un'altra audizione, ovviamente considerati i suoi impegni. Dichiaro, quindi, conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 9.50.