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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Mercoledì 11 dicembre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zoffili Eugenio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'ATTUALITÀ DELL'ACCORDO DI SCHENGEN, NONCHÉ AL CONTROLLO E ALLA PREVENZIONE DELLE ATTIVITÀ TRANSNAZIONALI LEGATE AL TRAFFICO DI MIGRANTI E ALLA TRATTA DI PERSONE

Audizione del Ministro degli affari esteri
e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio.

Zoffili Eugenio , Presidente ... 3 
Di Maio Luigi (M5S) , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 3 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 8 
De Falco Gregorio  ... 8 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 8 
Silli Giorgio (Misto-C10VM)  ... 8 
Pacifico Marinella  ... 8 
Ravetto Laura (FI)  ... 9 
Zuliani Cristiano  ... 9 
Galizia Francesca (M5S)  ... 10 
Tuzi Manuel (M5S)  ... 10 
Iwobi Tony Chike  ... 10 
Di Muro Flavio (LEGA)  ... 11 
De Falco Gregorio  ... 11 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 12 
Di Maio Luigi (M5S) , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 12 
Zoffili Eugenio , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
EUGENIO ZOFFILI

  La seduta comincia alle 8.35.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri
e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, accompagnato dall'ambasciatore Ettore Francesco Sequi, capo di gabinetto del Ministro, e dal Ministro plenipotenziario, Luigi Maria Vignali, direttore generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, con particolare riferimento all'attualità dell'accordo di Schengen, nonché al controllo e alla prevenzione delle attività transnazionali legate al traffico di migranti e alla tratta di persone.
  È stato richiesto al Ministro di informare il Comitato delle politiche che il Governo intende porre in essere verso i Paesi da cui originano i principali flussi migratori nel Mediterraneo, con particolare riferimento agli accordi di riammissione e ai rimpatri.
  Avverto, dato che alle 9.30 interverrà in aula alla Camera il Presidente Conte, termineremo i lavori di questo Comitato alle 9.15.
  Ministro, la ringrazio per la presenza e le do la parola.

  LUIGI DI MAIO, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente. Per il Governo italiano la gestione dei fenomeni migratori nel Mediterraneo si deve fondare su una strategia integrata e multilivello che coinvolga, a fianco dell'Italia, l'Unione europea, l'Organizzazione delle Nazioni Unite e la Comunità internazionale.
  Tre gli elementi chiave: rafforzamento della cooperazione con i Paesi africani di origine, transito e destinazione dei flussi migratori; condivisione in ambito europeo delle responsabilità nella ripartizione degli oneri derivanti dai flussi regolari; progressi in materia di rimpatri e di una più rapida definizione dello status legale in Italia dei migranti che fanno domanda di protezione internazionale.
  Comincio proprio dal decreto Paesi sicuri anche perché l'efficienza e la rapidità delle procedure di asilo sono prima di tutto una garanzia proprio per quei migranti che ne hanno diritto, le cui domande scontano tempi di elaborazione assai lunghi a causa della mole di richieste di chi non ha palesemente i requisiti per ottenere la protezione internazionale. È questo il principio che ha ispirato l'adozione del nostro decreto sui Paesi sicuri lo scorso 4 ottobre, la cui base giuridica – desidero ricordarlo – è la direttiva dell'Unione europea n. 32 del 2013, che consente a tutti i Paesi dell'Unione di istituire liste di questo tipo. I principali Paesi europei come Germania, Pag. 4Francia e Regno Unito ne dispongono da tempo, mentre altri come la Grecia sono in procinto di redigerle. Il nostro decreto stabilisce che le domande d'asilo presentate in Italia dai migranti provenienti da tredici Paesi, considerati sicuri per i propri cittadini, siano esaminate con una procedura accelerata. I Paesi inclusi nel decreto sono: Albania, Algeria, Bosnia Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina. Ciò non toglie che l'analisi delle domande d'asilo continuerà ad essere effettuata dalle commissioni territoriali, nel pieno rispetto dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione e dal diritto internazionale. Qualora sussistano gravi motivi per cui uno di quei tredici Paesi non possa essere considerato sicuro per uno specifico richiedente, si continuerà ad effettuare un'analisi caso per caso, anche prendendo eventualmente in considerazione eccezioni relative a parti di territorio o a categorie di persone vulnerabili. Per dare una misura dell'impatto positivo che questo decreto avrà, bisogna considerare che più di un terzo di tutti i migranti arrivati regolarmente in Italia quest'anno viene da uno dei tredici Paesi adesso definiti sicuri.
  Proprio perché i numeri sono importanti, lasciatemi evidenziare sin da subito sinteticamente alcuni dati relativi al fenomeno migratorio. Nel corso del 2019 sono arrivati in Europa, attraverso il Mediterraneo, oltre 110 mila migranti irregolari, di cui il 10 per cento in Italia. L'andamento degli arrivi nel nostro Paese è stato quello di una continua diminuzione: siamo passati dal picco di oltre 180 mila arrivi nel 2016 ai circa 11 mila sbarcati nel 2019, a pochi giorni dalla fine dell'anno, il 53 per cento in meno rispetto al 2018, quando già avevamo assistito ad una fortissima diminuzione. La composizione dei flussi si è modificata nel tempo per quanto riguarda i porti di partenza. Se nel 2017 e nel 2018 la grandissima maggioranza dei migranti si era imbarcato in Libia, nel 2019 Tunisia e Libia risultano ugualmente importanti, ciascuno per circa un terzo del totale di arrivi. Se si guarda ai Paesi di origine dei migranti irregolari, nel 2019 il numero maggiore ha la nazionalità tunisina, seguito da quella pakistana e ivoriana. Differenti dinamiche sono invece state registrate sulle rotte orientale e occidentale del Mediterraneo. In Spagna gli arrivi sono stati circa la metà rispetto a quelli del 2018, più o meno in linea con quanto accaduto in Italia. Mentre la situazione nell'est del Mediterraneo appare tuttora problematica, con 65 mila migranti irregolari arrivati in Grecia, in aumento di circa il 50 per cento rispetto al 2018. Quest'ultimo dato testimonia che i flussi migratori, soprattutto le reti criminali che li controllano presentano un'estrema adattabilità al mutare delle condizioni. L'approccio da seguire non può dunque essere esclusivamente nazionale, ma tutti i Paesi dell'Unione devono cooperare per gestire i movimenti di persone che interessano il mar Mediterraneo.
  Servono innanzitutto risorse adeguate, a cominciare da un efficace piano di sostegno all'Africa. Come sapete, siamo il secondo Paese europeo, dopo la Germania, per contributo volontario nazionale al Fondo fiduciario dell'Unione europea per l'Africa. Uno strumento da 4,6 miliardi di euro che ha scadenza nel 2020, con cui si finanziano progetti che aiutano i Paesi africani nella gestione sostenibile dei flussi migratori. Come Italia chiediamo e siamo fortemente impegnati nel contesto del negoziato per il prossimo quadro finanziario pluriennale dell'Unione per il periodo 2021-2027, affinché una quota rilevante di risorse venga destinata al settore dell'emigrazione. Al contempo a livello nazionale il cosiddetto «Fondo per l'Africa», istituito presso il Ministero degli esteri, ha già permesso di finanziare progetti per 226 milioni di euro in circa venti Paesi africani, tra cui prioritariamente Libia, Niger e Tunisia. Gli interventi, attuati in gran parte attraverso la presenza sul terreno delle principali organizzazioni dell'ONU, in particolare l'Organizzazione internazionale per le migrazioni e l'Alto Commissariato per i rifugiati, hanno riguardato iniziative di protezione e assistenza a favore di rifugiati e migranti, rimpatri volontari dai Paesi africani di transito verso i Paesi di origine, progetti di sviluppo a favore delle comunità locali, campagne Pag. 5informative sui rischi delle migrazioni irregolari, assistenza tecnica alle istituzioni dei Paesi africani per lo smantellamento delle reti criminali di trafficanti di essere umani. Si tratta di uno strumento chiave per una strategia migratoria italiana che sia credibile ed efficace. Per questo motivo abbiamo nella legge di bilancio, attualmente all'esame del Parlamento, rafforzato il Fondo Africa con una dotazione di 30 milioni per il 2020, 30 per il 2021 e 40 milioni per il 2022, e istituito il Fondo per interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi di importanza prioritaria per i movimenti migratori. Con queste nuove proprietà il fondo sarà più versatile e ci permetterà di intervenire in tutti i Paesi di importanza prioritaria per i movimenti migratori, certamente l'Africa ma anche ad esempio Bangladesh e Pakistan. Auspico la collaborazione del Parlamento affinché tale fondo possa continuare a ricevere un livello di risorse economiche adeguato alle ambizioni e ai traguardi che ci prefiggiamo.
  Vorrei ora soffermarmi sui rapporti bilaterali che abbiamo intessuto con i principali Paesi africani, da cui originano i flussi verso l'Italia e che tanto hanno contribuito alla riduzione degli arrivi. Lo scorso primo novembre, ad esempio, ho svolto una missione a Rabat volta a rilanciare il rapporto bilaterale con il Marocco, dandogli un più ampio orizzonte attraverso la conclusione di un partenariato strategico multidimensionale. La visita ha anche permesso di consolidare il lavoro congiunto nella gestione di migrazione e rimpatri, e di esortare le autorità marocchine ad una rapida ratifica dell'accordo bilaterale sulle riammissioni e l'apertura di un tavolo bilaterale per gestire i flussi migratori provenienti dal Marocco in Italia, sulla base dello stesso meccanismo che il Marocco adotta già con la Spagna. Analogo e importante lavoro stiamo facendo con la Tunisia: stiamo negoziando un nuovo accordo-quadro migratorio, che avrà ad oggetto anche meccanismi di riammissione più efficienti. Inoltre continuiamo a fornire assistenza alle autorità tunisine in vari campi, anche con l'aiuto delle Nazioni Unite, per aiutarli a far fronte alle conseguenze della crisi libica in termini di maggiori flussi di migranti verso il Paese. Al contempo, in un'ottica di lungo periodo e di rimozione della spinta alla migrazione per i giovani tunisini, abbiamo finanziato progetti destinati a promuovere la formazione, l'inclusione sociale e la creazione di lavoro.
  L'ultima tornata elettorale in Tunisia si è svolta in un clima e con forme sostanzialmente corrette. Si è trattato di un segnale della maturità democratica del Paese che ora va sostenuto, anche nel difficile cammino di consolidamento economico per una crescita inclusiva. Come testimoniato dal vertice intergovernativo dell'aprile scorso, l'Italia intende garantire al Paese ogni possibile forma di sostegno. Vi sono infatti ampi spazi di cooperazione in ambiti per noi strategici: antiterrorismo, Libia e altre questioni securitarie. Conto, pertanto, di recarmi molto presto in Tunisia non appena si sarà formato il nuovo Governo. In merito alla cooperazione giudiziaria l'Italia ha recentemente promosso una revisione degli accordi bilaterali in materia, in particolare quelli di estradizione e di assistenza giudiziaria risalenti agli anni Sessanta, nonché la conclusione di un terzo accordo sul trasferimento dei detenuti. I negoziati sono in dirittura d'arrivo.
  Con l'Algeria abbiamo una forte partnership strategica e intendo effettuarvi presto una missione dopo le elezioni presidenziali previste per domani, 12 dicembre. L'Italia ha mantenuto una posizione di equilibrio e rispetto per la sovranità algerina nell'attuale fase di evoluzione del quadro politico locale. Auspichiamo che possa essere individuata una soluzione di compromesso tra le istanze di riforma avanzate dalla piazza e la stabilità del Paese. La cooperazione bilaterale è particolarmente proficua in materia giudiziaria. In particolare la convenzione giudiziaria in materia penale costituisce uno strumento particolarmente utile e funzionale nella lotta al terrorismo, criminalità organizzata e traffico di stupefacenti, che, insieme al contrasto all'immigrazione irregolare, rappresentano i principali settori di cooperazione bilaterale in materia di sicurezza. La cooperazione Pag. 6 con Algeri è costante anche sul fronte dei rimpatri e della gestione dei flussi migratori.
  Siamo consapevoli e monitoriamo il fenomeno dei cosiddetti «sbarchi fantasma», in particolare sulle coste della Sardegna, con imbarcazioni di piccola stazza in provenienza dall'Algeria. I numeri degli sbarchi in Italia di algerini sono sotto le mille unità. Il primo Paese di sbarco dei migranti algerini rimane la Spagna. Al contempo si assiste all'incremento degli algerini che utilizzano la rotta dei Balcani occidentali, anche alla luce della facilità di ottenere un visto per la Turchia. La già ottima collaborazione bilaterale sarà inoltre sicuramente potenziata dal distacco presso l'ambasciata ad Algeri di un esperto per la sicurezza del Ministero dell'interno.
  In continua riduzione sono anche gli arrivi dalla Nigeria: circa duecento nel 2019. Una frazione assai ridotta rispetto al 2017, quando rappresentavano la prima nazionalità di origine dei migranti irregolari in Italia. La cooperazione migratoria bilaterale rimane efficace e costante, così come il dialogo con le autorità nigeriane in materia di cooperazione di polizia. Continuiamo a finanziare progetti prevalentemente a valere sul Fondo Africa per il rafforzamento delle capacità istituzionali della Nigeria nel contrasto al terrorismo, ai traffici illeciti e ai flussi migratori irregolari attraverso l'erogazione di corsi di formazione a beneficio delle forze di sicurezza nigeriane, a cura dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza e della Polizia di Stato.
  La presenza in Italia di gruppi criminali organizzati di origine nigeriana rappresenta una seria minaccia alla sicurezza del nostro territorio, in particolare al Sud. Anche per questo ci siamo mossi per rafforzare la cooperazione in materia giudiziaria e penale. Il Parlamento italiano ha ratificato lo scorso 6 novembre tre accordi per l'estradizione, il trasferimento delle persone condannate e la mutua assistenza in materia penale. Una volta entrati in vigore, a seguito della ratifica da parte nigeriana, le nostre autorità giudiziarie e di polizia potranno agire, di concerto con le controparti nigeriane, in maniera più incisiva contro la criminalità organizzata. Inoltre, grazie alle risorse del Fondo Africa, abbiamo facilitato il distacco di un magistrato nigeriano in Italia, prima in Sicilia e poi presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, per meglio strutturare le indagini e gli scambi in materia di traffico di esseri umani.
  Ho lasciato per ultima la Libia, la cui stabilizzazione continua a essere una priorità assoluta per l'Italia. Il nostro Paese resta fermamente impegnato per l'unità, la sovranità, l'integrità territoriale e la stabilità duratura e sostenibile della Libia, declinando la propria azione nell'ambito del convinto appoggio alle Nazioni Unite, al rappresentante speciale Ghassan Salamé, e nel sostegno delle istituzioni libiche. Solo un dialogo politico autentico e inclusivo può garantire l'individuazione di una soluzione condivisa e, quindi, durevole per la Libia. Per questo motivo continuiamo a sostenere con lealtà il Processo di Berlino, importante strumento per l'auspicata rivitalizzazione del processo politico a guida ONU. Per questo, in occasione dei MED Dialogues della scorsa settimana, ho riunito a Roma i Ministri degli esteri dei Paesi vicini della Libia (Algeria, Ciad, Egitto, Marocco, Niger, Sudan e Tunisia) e il collega libico, per dare un segnale di attenzione a quei Paesi più direttamente colpiti dalla crisi libica e al momento, tranne l'Egitto, esclusi dal formato di Berlino. Un incontro che hanno molto apprezzato e che vuole rappresentare un contributo costruttivo al sostegno del Processo di Berlino, il cui successo rappresenta per noi un obiettivo prioritario. Durante i MED Dialogues ho anche potuto discutere direttamente di Libia, tra gli altri, con i Ministri degli esteri di Russia e Turchia e con il rappresentante speciale Salamé.
  Continueremo a lavorare con le autorità libiche nel contrasto all'immigrazione irregolare e al traffico di esseri umani. Abbiamo di fatto avviato con la controparte libica consultazioni per il miglioramento del Memorandum of understanding in materia migratoria. Per l'Italia è un'intesa che dal 2017 si è mostrata efficace e utile, ha consentito di ridurre drasticamente il numero Pag. 7 degli arrivi irregolari dalla Libia e, di conseguenza, delle morti in mare. È quindi nostro interesse mantenerla operativa migliorandola. Consapevoli dei limiti emersi in questi anni nella gestione dei campi che hanno accolto i migranti e richiedenti asilo, abbiamo tuttavia chiesto ai libici, contestualmente al rinnovo del Memorandum, di lavorare assieme su una serie di aspetti, con l'obiettivo principale di favorire il miglioramento delle condizioni nei centri di detenzione ufficiali. Le stime parlano, nel complesso, di circa settecentomila migranti presenti in Libia. Sebbene solo una piccola parte di essi abbia un interesse potenziale a proseguire il viaggio verso l'Europa, abbiamo la responsabilità di portare aiuto nel miglior modo possibile. Faccio presente che oggi, di questi 700 mila migranti presenti in Libia, nei campi ci saranno al massimo duemila, 2.300 persone. La maggior parte quindi non è nei campi. Proprio per questo la Libia è stata sin dall'inizio al centro dei progetti finanziati dal Fondo Africa e dalla nostra cooperazione allo sviluppo. Riusciamo così ad assicurare una costante assistenza ai migranti, ai rifugiati e agli sfollati, nonché alle comunità locali.
  Sottolineo in particolare due strumenti che in questa situazione l'Italia reputa essenziali. Il primo è quello dei rimpatri volontari realizzati dall'OIM, che consentono ai migranti in Libia o in Niger di tornare nel proprio Paese di origine, su base esclusivamente volontaria, beneficiando di misure di supporto alla reintegrazione nelle comunità locali di provenienza. Ad oggi circa 87 mila migranti bloccati in Libia e Niger sono potuti tornare volontariamente nei loro Paesi. Spingeremo perciò anche l'Unione europea a intensificare il sostegno a questa attività di rimpatrio. L'altro essenziale strumento è il meccanismo di transito di emergenza dell'Alto Commissariato per i rifugiati. In sostanza i potenziali beneficiari di protezione internazionale presenti in Libia vengono temporaneamente trasferiti in due centri: uno in Niger e l'altro in Ruanda, gestiti dall'UNHCR, in attesa che siano finalizzate le procedure per il loro reinsediamento nei Paesi occidentali. Siamo convinti che questo meccanismo, di cui siamo orgogliosi finanziatori, abbia bisogno di essere consolidato e migliorato. Non solo ci impegneremo a sostenerlo con adeguate risorse, ma incoraggeremo le istituzioni europee e gli altri Stati membri dell'Unione a incrementare i propri sforzi. Sosteniamo infatti fortemente un ruolo delle Nazioni Unite maggiormente incisivo per la gestione dei migranti in Libia. Per questo ho personalmente richiesto ai vertici di UNHCR e OIM, già a margine dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite di settembre, di produrre un piano d'azione per i migranti in Libia che contenga proposte concrete e che sia aperto a sostegno della comunità internazionale.
  A questo riguardo desidero evidenziare quanto l'Italia si sia spesa e continui a spendersi nell'accoglienza dei rifugiati particolarmente vulnerabili, che hanno diritto a ricevere protezione internazionale. Attraverso corridoi umanitari, reinsediamenti europei e l'evacuazione umanitaria abbiamo proceduto al trasferimento di rifugiati dalla Libia e da altri Paesi quali Giordania, Libano, Siria, Turchia, Etiopia e Niger. Siamo l'unico Paese europeo impegnato in evacuazioni dirette dalla Libia (oltre novecento) e siamo un esempio positivo per tutta l'Unione europea. Accoglienza per chi ha diritto alla protezione internazionale, da un lato, e rimpatri, dall'altro, sono entrambi elementi cruciali per la coerenza dell'intero quadro migratorio.
  Per quanto riguarda il nostro Paese, a oggi l'Italia ha firmato accordi di riammissione e intese operative con circa trenta Paesi di interesse prioritario: alcuni funzionano bene, altri necessitano di nuova linfa o di correttivi. Stiamo perciò lavorando per accrescere l'efficienza degli accordi bilaterali già esistenti, come avvenuto con il Marocco. Grazie alle proficue relazioni che l'Italia può vantare con la Tunisia, è vero che fino a metà novembre 2019 erano arrivati in Italia irregolarmente circa 2.500 tunisini, ma nello stesso periodo ne erano stati rimpatriati circa 1.500. Come ho già detto in precedenza, stiamo lavorando a migliorare ulteriormente questi numeri sottoscrivendo nuovi accordi con la Tunisia, anche perché la prima nazionalità Pag. 8per sbarchi in questo momento proviene proprio da questo Paese. Al contempo vediamo ampi margini per rafforzare l'azione congiunta europea nella gestione delle riammissioni, in cui Commissione e Frontex devono svolgere un ruolo fondamentale.
  Possiamo già contare su alcuni accordi di riammissione con Paesi terzi conclusi dall'Unione europea. Attualmente sono diciassette accordi e sei protocolli operativi che vanno a favore di tutti gli Stati membri dell'Unione, inclusa l'Italia, ma crediamo che il loro numero e la loro efficacia debbano essere aumentati. Sosteniamo l'introduzione di un principio di condizionalità che include i Paesi terzi a collaborare in tema di rimpatri. L'obiettivo è che i Paesi che facilitano il rimpatrio dei propri cittadini con status irregolare ricevano agevolazioni in altri ambiti di azione dell'Unione europea. Incoraggeremo la nuova Commissione a muoversi in tale direzione.
  Lasciatemi, da ultimo, richiamare l'attenzione proprio sul particolare momento in cui ci troviamo in Europa. Le nuove istituzioni dell'Unione europea si sono insediate e una delle priorità della Commissione è il nuovo patto sull'immigrazione e l'asilo, e nuove proposte concrete dovrebbero essere avanzate in febbraio. È dunque il momento di incidere sui processi europei per condurre l'Unione verso quei principi di solidarietà e responsabilità condivisa, che da troppo tempo l'Italia invoca. L'intesa raggiunta a La Valletta il 23 settembre scorso tra Italia, Germania, Francia e Malta – su cui vi ha già riferito la Ministra Lamorgese – è stato solo un passo iniziale, non certamente un punto d'arrivo. Il significato dell'intesa è stato quindi e soprattutto politico, adesso va implementato. Ora è il momento di insistere a Bruxelles e con i nostri partner, e posso confermare l'impegno, mio personale e del Governo, in questa direzione.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questioni o formulare osservazioni.

  GREGORIO DE FALCO. Presidente, sull'ordine dei lavori. Noi del Senato alle 9 abbiamo l'Aula.

  PRESIDENTE. Alla Camera alle 9.30. Abbiamo dato, a inizio seduta, il termine dei lavori alle 9.15, tengo conto della segnalazione. Teniamo monitorati i lavori dell'aula del Senato, intanto procede l'onorevole Silli.

  GIORGIO SILLI. Grazie, Ministro. La relazione è stata assolutamente puntuale, ha toccato ogni punto sensibile per quanto concerne la gestione del fenomeno migratorio. Sappiamo perfettamente che tutto ciò che è appannaggio di questo Comitato ha a che fare in maniera strettissima con la politica estera.
  Abbiamo passato la serata di ieri e la notte a guardare agenzie inerenti la Libia e l’escalation abbastanza complessa, per non dire drammatica, sempre che Erdogan parli sul serio, perché anche in politica estera i bluff fanno parte dei movimenti di ogni giorno. La situazione sta avendo un’escalation effettivamente drammatica. Tra le due parti in conflitto, a partire da aprile abbiamo assistito a delle prese di posizione su Haftar anche da parte di Stati che non avrebbero dovuto muoversi, c'è una fase di stallo che non accenna a terminare. Muoiono persone, c'è una guerra civile, i diritti umani non vengono rispettati, mi domando se, anche alla luce delle minacce e delle interferenze dei Paesi che poco hanno a che fare con la Libia all'interno di questa guerra civile, non si cominci a pensare ad un'eventuale «terza via» di pace, realmente costruita con la politica e la diplomazia. Io penso che solamente con la politica e con la diplomazia si possa superare uno stallo tra due fazioni contrapposte che si combattono con le armi.

  MARINELLA PACIFICO. Grazie, Ministro, di averci relazionato in maniera così dettagliata e sintetica al tempo stesso.
  Io vorrei soffermarmi sul decreto rimpatri, perché sono convinta che abbia posto un argine al fenomeno dell'immigrazione illegale, almeno quella che riguarda i tredici Paesi che lei ha citato. Questa immigrazione illegale ha ostacolato e ostacola la richiesta di tanti immigrati che hanno il diritto allo status di rifugiati, per cui mi Pag. 9complimento con lei per questa soluzione molto importante.
  Sappiamo che questo non basta. Lei ha citato il Fondo per i rimpatri, che sappiamo bene che non serve soltanto per i rimpatri, ma per ridurre le partenze investendo, attraverso progetti di cooperazione, i Paesi di origine e di transito dei migranti. Ha citato delle cifre che trovo abbastanza rilevanti, per cui possiamo ottenere ottimi risultati.
  Vorrei soffermarmi anche sul lavoro diplomatico che sta svolgendo. Io credo che sia importantissimo, specialmente sulla sponda sud del Mediterraneo. È un lavoro diplomatico che si incanala nell'eccellente lavoro diplomatico, relazionale storico dell'Italia. Quindi apprezzo anche questo suo impegno e la modalità con cui lo sta portando avanti. Questa cosa io la respiro, l'ho respirata anche attraverso il mio ruolo di presidente UIP della Sezione bilaterale di amicizia con la Tunisia. Lei ha citato diverse volte questo rapporto con il Paese, e io nei miei incontri – ho fatto già due missioni in Tunisia – avverto che c'è questo clima. Per cui le chiedo, Ministro, se non sia il caso di integrare maggiormente l'aspetto relazionale-governativo con quello della diplomazia parlamentare e cercare di lavorare più a stretto contatto per poter realizzare, in maniera più immediata ed efficiente, gli obiettivi.

  LAURA RAVETTO. Grazie, Ministro. Due brevissime domande. In realtà una è – senza voler peccare di presunzione – un suggerimento che spero possa cogliere.
  Lei ci ha parlato – e io questo l'ho apprezzato – dei cosiddetti centri di transito, tra l'altro – mi permetta questa sensibilità, non è una critica a lei – chiamiamoli centri, non chiamiamoli mai campi. L'ho sentito nel suo speech. Lo sento spesso nella discussione pubblica, e mi permetto di portare questa sensibilità. Nella riforma del Regolamento di Dublino si dovrebbe arrivare all'identificazione di centri extraeuropei o magari anche – ci sono delle lettere inviate dai vari partiti all'interno del PPE alla stessa Commissione – in sedi ASO, penso agli aeroporti, comunque dei centri che non siano addebitabili a uno Stato. Lei sa meglio di me che gli hotspot in Italia hanno creato dei problemi di funzionamento e dei problemi di natura giuridica, perché di fatto arrivare nell’hotspot è un addebito di tutti i soggetti al Paese di arrivo.
  Questo è il suggerimento. Si sta cominciando a parlare in Europa, e lei lo saprà meglio di me ma ci può aiutare, della cosiddetta «finzione d'ingresso». Non soltanto centri extra UE o centri intra UE, ma anche la finzione d'ingresso: non necessariamente il migrante che arriva in questi centri deve essere considerato arrivato in quel territorio. Quindi un superamento di Dublino introducendo un nuovo istituto giuridico: «sei illegalmente in un territorio dopo che sono espletate le pratiche, nonché i ricorsi».
  L'altra è una domanda. Mi ricollego all'ultimo intervento della collega. Io invece personalmente non mi ritengo soddisfatta dei rapporti con la Tunisia. Il presidente Zoffili è molto attivo, ci ha portato a visitare moltissimi centri, moltissimi hotspot e noi rileviamo spesso che il primo Paese di arrivo è la Tunisia. Evidentemente c'è un problema, Ministro, perché abbiamo accordi bilaterali fortissimi – come lei stesso ha detto –, non è accettabile una migrazione economica da un Paese che viene aiutato sia da noi sia a livello europeo. Lei sa bene che abbiamo votato tutti dei provvedimenti anche per aiutare l'economia del Paese: penso alla detassazione della produzione di olio in quel Paese, che ha penalizzato anche i nostri produttori. Quindi su questo forse lei può aiutare, in uno sforzo diplomatico, a capire come sia possibile. Sappiamo che sono sbarchi non organizzati, probabilmente sono isolati, probabilmente sono fantasma: non sappiamo, però sicuramente l'80, 70 per cento delle presenze negli hotspot viene dalla Tunisia.

  CRISTIANO ZULIANI. Ho letto sui media alcune dichiarazioni del presidente della regione Veneto, Luca Zaia, in merito a un servizio sul programma Quarta Repubblica: «Allucinante è infatti il comportamento di alcune ONG che utilizzano aerei per voli di ricognizione per monitorare i clandestini sul mare, nonostante i divieti. Questo per Pag. 10favorire il soccorso su spazi non di competenza italiana, mandando in mare le ONG che così favoriscono il fenomeno del “pull factor”». Vorrei sapere quali intenzioni ha in merito ai Paesi di provenienza delle ONG, su come porsi al fine di scongiurare questi fenomeni che concorrono all'aumento dell'immigrazione nel nostro Paese.
  Altra domanda. Per quel che riguarda la Germania, leggo dal quotidiano Il Secolo d'Italia del 31 ottobre che «la Merkel e Conte hanno raggiunto l'accordo sui dublinanti. Con questa formula sono definiti gli immigrati clandestini che richiedono asilo in Europa. La Germania ce ne rimanderà cinquanta al mese. È stata infatti pianificata la partenza di due voli al mese da Berlino verso Roma, con a bordo un massimo di venticinque migranti. Da Berlino hanno sottolineato come un simile accordo sia stato rifiutato nei mesi precedenti, quando a Palazzo Chigi c'era già come Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ma al Viminale Matteo Salvini». La mia considerazione – poi lei mi risponderà successivamente – è che la Germania spesso fa il bello e il brutto tempo sul fenomeno dell'immigrazione; esce ed entra dagli accordi internazionali; opera una selezione – l'abbiamo saputo negli anni – sui richiedenti asilo siriani, vorrei che come Ministro fosse più incisivo nei rapporti con quel Paese, perché così non è possibile sottostare ai suoi diktat oltre che sul fronte economico anche su quello dell'immigrazione.
  Aggiungo, visto che ha menzionato Frontex, che, in una missione organizzata dal presidente Zoffili, che il Comitato ha compiuto a Varsavia, il fronte immigrazione più consistente è risultato quello italiano, però a livello dirigenziale fra dieci figure apicali (in maggioranza francesi e tedesche) non c'è alcun italiano, nonostante abbiamo personale molto qualificato in quel di Varsavia.

  FRANCESCA GALIZIA. Grazie, Ministro, per il suo intervento. Io le farò una semplicissima domanda. Noi ci siamo occupati come Comitato della mafia nigeriana, soprattutto delle donne vittime di violenza, per cui le chiedo se sul Fondo Africa sono previsti degli interventi in favore delle donne vittime di violenza.
  Le chiedo anche se ci potesse dare maggiori elementi sui minori stranieri non accompagnati.

  MANUEL TUZI. Grazie, Ministro, per l'intervento. Anch'io ho due semplici domande. Una riguardante i flussi verso la Grecia. Abbiamo avuto in audizione il presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Fedriga, che ci ha fornito delle informazioni, i cui dati però non ci sono ancora pervenuti. Vorremmo avere maggiori notizie sul flusso migratorio proveniente dalla Grecia e sulla rotta balcanica.
  L'altra domanda è relativa alla crisi libica. Sappiamo che il Niger è divenuto la frontiera meridionale dell'Europa, quindi la rotta preferita dai trafficanti; vorremmo sapere quali iniziative avete deciso di portare avanti come Ministero in quel Paese.

  TONY CHIKE IWOBI. Grazie, Ministro, per la sua relazione. Lei ha toccato tutte le piaghe dell'immigrazione nel nostro Paese.
  Io mi soffermerò su tre punti fondamentali, che ritengo sia prioritario affrontare. La presenza della mafia nigeriana nei CARA e nel tessuto sociale del Paese, testimoniata dall'audizione del procuratore Cafiero de Raho in Comitato Schengen e dall'ultima operazione della DDA di Bari. Questa è una piaga, signor Ministro, che dobbiamo affrontare urgentemente e risolvere in collaborazione con i Paesi direttamente interessati: la Nigeria in questo caso. Chiedo se ha proposto iniziative, anche concordate con il Ministro dell'interno e il Ministro della giustizia, per gli scambi dei detenuti per collaborare contro questa piaga sociale, come rafforzare la quota di rimpatri con la Nigeria.
  Sugli accordi bilaterali con l'Algeria, vista la missione svolta il mese scorso in Sardegna grazie al presidente Zoffili, e stando a quanto detto in audizione dall'ambasciatore che non basta monitorare gli sbarchi fantasma in Sardegna, vorrei sapere come intende rafforzare questo accordo.
  Per finire, signor Ministro, non so se lei ha presente il progetto sul lago Ciad «Transacqua Pag. 11». Qualche mese fa presentai un'interrogazione al Ministero dell'ambiente su tale progetto e sul cambiamento climatico che investe il lago Ciad, la cui portata, dal 1960 ad oggi, si è ridotta del 90 per cento. Considerando che tale lago assicura risorse idriche per più di venti milioni di persone di quattro Paesi, la riduzione di questa riserva d'acqua potrà causare future migrazioni da quei Paesi, dalla Nigeria principalmente, migrazioni di carattere economico. In data 16 ottobre 2018, sotto il mio diretto interessamento, a Roma è stato siglato un memorandum nel campo della cooperazione tra il direttore generale del Ministero dell'ambiente e il Segretario esecutivo del lago Ciad (The Lake Chad Basin Commission).
  Ministro, concludo chiedendole, in virtù di tutto ciò, come intende intervenire per arginare l'immigrazione economica, aiutando le popolazioni in loco.

  FLAVIO DI MURO. Ministro Di Maio, a gennaio 2019, in riferimento alla Francia – lei era Ministro dello sviluppo economico e del lavoro del «Conte 1» – dichiarava: «D'ora in poi quelli che vogliono sbarcare glieli portiamo a Marsiglia, chiederò all'Unione europea sanzioni contro quei Paesi che colonizzano l'Africa». Oggi, siamo a dicembre 2019, abbiamo un Accordo di Malta che permette – abbiamo visto le notizie dei giorni scorsi – alla Francia di andare a fare audizioni nei CARA, tipo il CARA di Bari, per selezionare la percentuale dei nuovi sbarcati da prendersi, evidentemente quelli a loro più congeniali, con le professionalità che richiede quel Paese. Non abbiamo risolto i problemi sui confini tra Paesi dell'Unione europea, Campo Roja di Ventimiglia è arrivato al massimo storico di ospitalità degli ultimi mesi. Rivolgo la mia domanda più che al Ministro al presidente Zoffili per capire di quale Ministro Di Maio stiamo parlando: se è la stessa persona di gennaio, quella a me più congeniale, che era al Governo con la Lega e aveva delle posizioni di rispetto anche dei flussi migratori stessi, anche in riferimento all'arrogante atteggiamento francese, o del Ministro Di Maio che è stato trascinato da una coalizione che lo porta verso sinistra e che non parla più di questo atteggiamento così grave da parte della Francia. Quindi mi rivolgo al Ministro per sapere che intenzioni ha nei rapporti bilaterali con la Francia.

  GREGORIO DE FALCO. Chiedo al Ministro qual è lo stato giuridico dell'accordo del 2008 intercorso tra l'Italia e la Libia, tenendo presente che l'accordo 2008, siglato dall'allora Governo Berlusconi, comprendeva anche un vero e proprio accordo militare con la Libia. Le faccio questa domanda non soltanto perché è rilevante in sé la questione, ma perché oggi interviene l'accordo tra Erdogan e la Libia, quindi in considerazione dell'enorme quantità di armi e di aiuti militari che Erdogan sta mandando in Libia, tenendo presente che noi abbiamo accordi con al-Sarrāj, che controlla al massimo il 10/20 per cento del territorio.
  Mi rifaccio a quello che diceva prima il collega Silli: bisogna fare attenzione che nella politica estera – e lei questo lo avrà nel frattempo già appreso – non c'è un rispecchiamento della realtà, ma spesso e volentieri una visione frantumata della realtà in milioni e milioni di specchi. Quindi bisogna fare attenzione in questa materia, perché noi abbiamo un accordo con la Libia e, dall'altra parte, ci sono le pretese ottomane di Erdogan che richiamano quello che accadde nel 1911.
  Vengo alla seconda domanda. Qualche giorno fa un drone italiano (Predator), un drone spia, è stato abbattuto. Secondo la Difesa questo drone veniva utilizzato per supporto alla missione «Mare sicuro», ovverosia per effettuare una preventiva individuazione di eventuali bersagli per cooperare nel soccorso in mare. L'abbattimento è avvenuto settanta chilometri a sud di Tripoli, quindi in pieno deserto. Se si fosse parlato di errore, io mi chiedo come sia possibile un errore di questo genere e come sia avvenuto che il Predator italiano era settanta chilometri a sud di Tripoli, proprio sopra le truppe di Haftar. Quindi, poiché era sopra le truppe di Haftar, è stato abbattuto. Ricordo che Predator costa diverse decine di milioni di euro. Il giorno dopo è stato abbattuto anche un drone americano: Pag. 12anche quello fuori rotta? Mi sembra veramente singolare.
  Terza e ultima domanda, forse la più importante sui campi di detenzione libici, che sono addirittura dei lager: li abbiamo visti benissimo, non ci possiamo nascondere dietro le parole. Apprezzo il passaggio che si vuole fare verso una gestione UNHCR ovviamente, passaggio che consente adesso a lei di dire che possiamo sostenere ancora quegli accordi del 2017, che in realtà sono mortiferi. Possiamo anche sostenerli, ma la tempistica del passaggio alla gestione UNHCR io non l'ho mai sentita. Vorrei sapere in che tempi si passeranno la gestione e la responsabilità di quei campi all'UNHCR.

  PRESIDENTE. Do la parola per la replica al Ministro, che invito ufficialmente davanti al Comitato per aggiornare questa audizione.

  LUIGI DI MAIO, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente. Sulla questione libica devo dirvi che ieri c'è stato un altro incontro tecnico, il quinto incontro tecnico preparatorio per la Conferenza di Berlino e siamo un po’ più ottimisti rispetto alle conclusioni della Conferenza, che – come sapete – ambisce a far dichiarare un cessate il fuoco in Libia. Il nostro obiettivo è quello di stimolare il più possibile il contesto libico ad arrivare ad un cessate il fuoco. Come si diceva prima, come ha detto anche Salamé (l'inviato speciale delle Nazioni Unite) in questi giorni a MED Dialogues, è una delle più importanti guerre proxy war che esistano in questo momento nel Mediterraneo, dove ci sono tante interferenze. Noi lavoriamo ogni giorno, anche grazie alle relazioni che abbiamo come Italia storicamente, che io ho ereditato come Ministro degli esteri, nel cercare di convincere tutti i soggetti che stanno interferendo con questa guerra civile, anzi con questa proxy war, a favorire un cessate il fuoco. In cinque minuti non riesco a esprimere compiutamente il concetto, ma ci tengo a dire che siamo molto attenti a quello che sta succedendo sulla Conferenza di Berlino, non perdendo di vista il fatto che ci aspettiamo serietà dai Paesi che siedono a quel tavolo, soprattutto quelli che hanno interferenza in quel conflitto. Quel conflitto viene ancora definito guerra civile, ma invece c'è un fattore esterno che è sempre più determinante.
  Il decreto Paesi sicuri assume un significato importante sui rimpatri, perché inverte l'onere della prova. Chi arriva da questi Paesi deve dimostrare che ci sono dei problemi di violazioni. Per una semplice ragione: con questi Paesi abbiamo dei rapporti consolidati, ma, se ci dovessero essere delle violazioni dei diritti umani, la nostra Costituzione garantisce tutti i diritti nella procedura, ma allo stesso tempo questo abbatte i termini da un tempo medio di un anno e mezzo, due a quattro o cinque mesi per dire a una persona se ha o meno diritto di stare qui. Questo è molto importante. È stato firmato il 4 ottobre.
  I rapporti con Tunisia, Algeria e Marocco vanno sempre più intensificati. Sono i Paesi che abbiamo di fronte o poco oltre, in ogni caso sono i nostri dirimpettai nel Mediterraneo, insieme alla Libia.
  In Libia oggi il lavoro di stabilizzazione è difficile, i tempi del contributo che darà l'UNHCR ai centri (o campi) dipendono ovviamente anche dall'instabilità della Libia: c'è un conflitto civile, c'è un Governo al-Sarrāj che ha diverse difficoltà, un Governo del quale non abbiamo condiviso gli accordi con la Turchia degli ultimi giorni, degli agreements che noi non crediamo siano legittimi, neanche quello sui limiti marittimi, perché non considera la Grecia (e quello che hanno deciso passa vicino alle coste delle isole greche, senza che i greci siano stati coinvolti). Per quanto ci riguarda il lavoro che stiamo facendo con UNHCR va fatto il prima possibile, considerando tutte le difficoltà. Abbiamo ricevuto da poche ore la proposta di piano di UNHCR e OIM per riuscire a gestire i centri (o campi), a seconda anche dello stato in cui versano queste strutture.
  Ci sono state delle domande sulle ONG, io ricordo che il lavoro, per quanto riguarda anche la legalità della postura di alcuni soggetti nel Mediterraneo, è un lavoro Pag. 13 a cui non rinunciamo. Ci devono essere operazioni nel Mediterraneo, ma devono essere pienamente conformi alle regole che riguardano la navigazione, che riguardano le acque, le zone SAR. In tutto ciò che va rispettato come regola nel Mediterraneo, l'Italia è in prima linea per farlo rispettare.
  Detto questo, a me preoccupano molto di più i barchini, perché il 10 per cento è rappresentato dalle ONG, mentre tutto quello che riguarda gli sbarchi delle piccole imbarcazioni sono il tema odierno. Per esempio, dalla Tunisia oggi abbiamo il maggior numero di sbarchi che si verifica attraverso piccole imbarcazioni. Il lavoro che stiamo cercando di portare avanti è quello con la Tunisia per fare dei nuovi accordi, per permettere di monitorare queste partenze dalla costa, però la fase di transizione politica in Tunisia non ha aiutato. Infatti ho detto prima nella mia relazione che appena si insedierà il nuovo Governo andremo lì, perché c'è del lavoro da fare. C'è stato un periodo in cui in Tunisia hanno avviato il processo di formazione del nuovo Governo con le elezioni e così via.
  Ci sono dei problemi ampiamente sottovalutati in passato, come quello della mafia nigeriana. Il lavoro che si è fatto – l'ho detto all'inizio in relazione – è quello di nuovi accordi con le autorità, della formazione delle forze dell'ordine, un magistrato nigeriano che è qui e che collabora con le nostre forze dell'ordine, un lavoro continuo che porteremo avanti.
  Sui minori stranieri non accompagnati, il tavolo sull'immigrazione che stiamo facendo con il Marocco, ad esempio, ci permette di gestire il problema dei minori non accompagnati. Quindi in via bilaterale stiamo stringendo nuovi accordi e implementando quelli esistenti per cercare di affrontare anche il tema dei minori non accompagnati.
  La rotta balcanica è una rotta che ci deve preoccupare. Abbiamo incontrato il Ministro sloveno negli ultimi giorni, proprio per il MED Dialogues, e abbiamo un progetto di pattugliamento, che è in corso, dei nostri confini tra Slovenia e Italia e, se serve, è pronto ad essere rafforzato. In questo momento ci permette di monitorare il confine est, ma è chiaro che la rotta balcanica a volte interessa addirittura gli algerini, che hanno facilità ad arrivare in Turchia, dalla quale si spostano in questa direzione. È una questione multilivello che dobbiamo cercare di affrontare con una certa velocità.
  Sul tema del lago Ciad mi riservo in maniera approfondita, presidente, di rispondere al senatore, perché è un progetto importante, è uno di quei progetti che servono a fermare le partenze garantendo delle condizioni economiche e di qualità della vita migliori in loco, molto apprezzato. Si tratta quindi del tema della migrazione economica.
  L'accordo de La Valletta è un punto di partenza, l'ho detto, non possiamo assolutamente guardare a quell'accordo come punto d'arrivo. Io penso che gli accordi che riguardano i ricollocamenti non siano la soluzione al tema dei migranti: la soluzione al tema dei migranti è che, quando c'è una persona che, per il diritto internazionale, non può stare in un Paese, dobbiamo lavorare per riportarlo indietro. Chi può restare, può essere ricollocato, ma non dobbiamo scatenare l'effetto «pull factor» con proclami che riguardano accordi di questo tipo, che poi generano maggiori partenze. Questo è un concetto ormai consolidato, perché l'abbiamo visto più volte succedere negli anni passati.
  Sono sempre lo stesso Ministro, sono sempre la stessa persona, facevo il Ministro allo sviluppo economico, adesso sono il Ministro degli esteri. Per quanto riguarda le mie idee e quello che riguarda il programma di Governo siamo impegnati a chiedere a tutti i Paesi europei responsabilità sui migranti che arrivano in Italia. Ovviamente il Regolamento di Dublino va cambiato, perché come è fatto oggi permette il ricollocamento solo di quelli che sono aventi asilo o che sono richiedenti asilo, ma in generale tutte le altre persone che non hanno la possibilità di avere i requisiti oggi sono un problema dell'Italia. Quindi lavoriamo sui rimpatri, ma dobbiamo lavorare a rivedere il Regolamento di Dublino. Credo che sul tema dell'immigrazione, Pag. 14 come il tema del salario minimo europeo, la nuova Commissione si vedrà subito alla prova del nove, e vedremo se quello che è stato scritto nel programma della Commissione europea è veramente un impegno preso con i cittadini europei. Per noi è molto importante che si mantengano i termini.
  Sulla questione del Predator abbattuto, a noi non risulta la notizia dell'abbattimento. Potrebbe essersi trattato di un guasto che giustificherebbe anche lo spostamento verso altre aree della Libia. Stiamo ovviamente, su questo, verificando.
  Sulla tempistica, per quanto riguarda l'UNHCR, ho già risposto.
  Sullo stato giuridico degli accordi con la Libia, oggi abbiamo il memorandum con il Governo al-Sarrāj, il memorandum firmato dall'allora Ministro Minniti e portato avanti; noi lo stiamo implementando sul lato delle condizioni dei migranti in Libia. Ricordo a tutti che su 700 mila migranti in Libia ce n'erano circa 5 mila nei centri (o campi), dopo il conflitto civile siamo scesi a 2.300, massimo 2.500. Alcuni di quei centri (o campi), sono stati dismessi, altri, come abbiamo visto, sono stati addirittura bombardati. Oggi, quindi, il tema vero è che ci sono 700 mila migranti a piede libero, e su questo stiamo lavorando con l'UNHCR e l'OIM, sia per i rimpatri volontari sia per il sostegno a queste persone in una condizione non semplice, perché – come vedete dalle ultime notizie – la situazione del conflitto in Libia porta a una condizione di emergenza umanitaria molto preoccupante.
  Spero di essere riuscito a dire qualcosa in dieci minuti.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Di Maio, a cui, in missione in Albania, a nome del Comitato, chiedo di portare la solidarietà al popolo albanese.
  Da lombardo vorrei salutare medici e infermieri che sono volati in Albania con un'eliambulanza dell'AREU lombarda e, salutando e ringraziando loro, voglio ringraziare i vigili del fuoco, tutto il personale, i volontari italiani che hanno prestato soccorso in Albania.
  La invitiamo nuovamente in audizione, anche per aggiornarci riguardo alle ulteriori domande dei rappresentanti del nostro Comitato, che è assolutamente operativo qui in Italia, ma anche all'estero. Siamo stati invitati per febbraio in Nigeria dai nostri omologhi del Parlamento. Stiamo approfondendo, tra i vari temi, il fenomeno della mafia nigeriana e come Comitato cercheremo di fare la nostra parte per debellarlo. Altre questioni che stiamo affrontando ci porteranno in Tunisia, magari anche in Libia, in Algeria. Siamo stati in Sardegna e abbiamo visto da vicino gli sbarchi dall'Algeria; siamo stati nei centri; siamo stati a Ventimiglia e abbiamo visto come la polizia francese ha chiuso il confine e respinge in Italia i migranti; a L'Aia abbiamo salutato le nostre forze dell'ordine che lavorano ad Europol, Carabinieri, Guardia di finanza e Polizia che agiscono per la sicurezza del nostro Paese e dell'Europa. A Varsavia Frontex, come ricordava qualche parlamentare, ci hanno parlato anche di «pull factor». Siamo stati due volte a Lampedusa dove siamo capitati in una giornata in cui il centro di accoglienza era al collasso, cercando di fare la nostra parte anche sul fronte del Parlamento, nello specifico di questo Comitato.
  Ringrazio nuovamente il Ministro, e dichiaro conclusa l'audizione

  La seduta termina alle 9.30.