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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 14 novembre 2018

ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME: PDL N. 680

Pdl n. 680 – Accertamento delle violazioni in materia di sosta da parte dei dipendenti delle società concessionarie della gestione dei parcheggi

Tempo complessivo: 12 ore, di cui:

• discussione sulle linee generali: 7 ore;
• seguito dell'esame: 5 ore.

Discussione generale Seguito dell'esame
Relatore 20 minuti 20 minuti
Governo 20 minuti 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti 10 minuti
Tempi tecnici 30 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 7 minuti
(con il limite massimo di 16 minuti per ciascun deputato)
41 minuti
(con il limite massimo di 7 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 5 ore e 3 minuti 2 ore e 59 minuti
 MoVimento 5 Stelle 1 ora e 3 minuti 44 minuti
 Lega – Salvini premier 49 minuti 30 minuti
 Partito Democratico 46 minuti 28 minuti
 Forza Italia – Berlusconi
 presidente
45 minuti 28 minuti
 Fratelli d'Italia 35 minuti 18 minuti
 Liberi e Uguali 32 minuti 15 minuti
 Misto: 33 minuti 16 minuti
  MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero 10 minuti 5 minuti
  Civica Popolare-AP-PSI-Area
  Civica
6 minuti 3 minuti
  Minoranze Linguistiche 6 minuti 3 minuti
  Noi Con l'Italia-USEI 6 minuti 3 minuti
  +Europa-Centro Democratico 5 minuti 2 minuti

TESTO AGGIORNATO AL 15 NOVEMBRE 2018

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 14 novembre 2018.

  Ascari, Battelli, Benvenuto, Billi, Bitonci, Bonafede, Claudio Borghi, Brescia, Buffagni, Cardinale, Carfagna, Castelli, Castiello, Ciprini, Cirielli, Colucci, Comaroli, Cominardi, Corneli, Covolo, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Del Barba, Del Re, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Fusacchia, Galli, Gallinella, Gallo, Garavaglia, Gava, Gebhard, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grillo, Guerini, Guidesi, La Marca, Lollobrigida, Lorefice, Lorenzin, Losacco, Lupi, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Olgiati, Picchi, Rampelli, Rixi, Rizzo, Rosato, Ruocco, Saltamartini, Schullian, Carlo Sibilia, Siragusa, Sisto, Spadafora, Spadoni, Tofalo, Ungaro, Vacca, Valbusa, Valente, Villarosa, Raffaele Volpi.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Ascari, Battelli, Benvenuto, Billi, Bitonci, Bonafede, Claudio Borghi, Brescia, Buffagni, Cardinale, Carfagna, Castelli, Castiello, Ciprini, Cirielli, Colucci, Comaroli, Cominardi, Corneli, Covolo, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Del Barba, Del Re, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Fusacchia, Galli, Gallinella, Gallo, Garavaglia, Gava, Gebhard, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grillo, Grimoldi, Guerini, Guidesi, La Marca, Lollobrigida, Lorefice, Lorenzin, Losacco, Lupi, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Olgiati, Picchi, Rampelli, Rixi, Rizzo, Rosato, Ruocco, Saltamartini, Schullian, Scoma, Carlo Sibilia, Siragusa, Sisto, Spadafora, Spadoni, Tofalo, Ungaro, Vacca, Valbusa, Valente, Villarosa, Raffaele Volpi.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 13 novembre 2018 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   BENEDETTI: «Ratifica ed esecuzione della Convenzione sugli inquinanti organici persistenti, fatta a Stoccolma il 22 maggio 2001» (1360);
   FURGIUELE: «Modifiche agli articoli 16 e 16-bis del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90, concernenti l'introduzione di agevolazioni fiscali e interventi per favorire l'accesso al credito per spese connesse alla celebrazione del matrimonio religioso» (1361).

  Saranno stampate e distribuite.

Annunzio di proposte di legge d'iniziativa regionale.

  In data 13 novembre 2018 è stata presentata alla Presidenza, ai sensi dell'articolo 121 della Costituzione, la seguente proposta di legge:
   PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLE MARCHE: «Modifiche alla legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”» (1362).

  Sarà stampata e distribuita.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge RAVETTO: «Modifica all'articolo 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184, concernente l'adozione in casi particolari» (468) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Aprea, Battilocchio, Benigni, Cannizzaro, Carrara, Fiorini, Germanà, Marrocco, Polverini, Prestigiacomo, Rossello, Elvira Savino, Sandra Savino, Siracusano, Sorte, Spena e Zanella.

Ritiro di sottoscrizioni a proposte di legge.

  I deputati Benigni, Carrara, Prestigiacomo, Sandra Savino, Siracusano e Sorte hanno comunicato di ritirare la propria sottoscrizione alla proposta di legge:
   RAVETTO: «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione da parte di persone singole» (467).

Modifica dell'assegnazione di proposta di legge a Commissione in sede consultiva.

  La II Commissione (Giustizia) ha richiesto di riconsiderare l'assegnazione della seguente proposta di legge costituzionale, attualmente assegnata alla I Commissione (Affari costituzionali), in sede referente:
   PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE D'INIZIATIVA POPOLARE: «Norme per l'attuazione della separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura» (14).

  Tenuto conto della materia oggetto della proposta di legge, la Presidenza, nel confermare l'assegnazione alla I Commissione (Affari costituzionali), in sede referente, ha disposto che il parere della II Commissione (Giustizia) sia acquisito ai sensi dell'articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della corte dei Conti, con lettera in data 8 novembre 2018, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di ENEL Spa, per l'esercizio 2017, cui sono allegati i documenti rimessi dagli enti ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 80).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive).

Trasmissione dal Ministro dello sviluppo economico.

  Il Ministro dello sviluppo economico, con lettera in data 7 novembre 2018, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 7 agosto 1997, n. 266, e dell'articolo 14, comma 2, della legge 29 luglio 2015, n. 115, la relazione sugli interventi di sostegno alle attività economiche e produttive, aggiornata al 30 settembre 2018 (Doc. LVIII, n. 1).

  Questa relazione è trasmessa alla X Commissione (Attività produttive).

Trasmissione dal Ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta.

  Il Ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta, con lettera in data 14 novembre 2018, ha trasmesso la versione aggiornata del progetto di Documento programmatico di bilancio per l'anno 2019 (Doc. XI, n. 1-bis).

  Questo documento è trasmesso alla V Commissione (Bilancio).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 13 novembre 2018, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sul funzionamento della direttiva 2014/53/UE sulle apparecchiature radio (COM(2018) 740 final), che è assegnata in sede primaria alla IX Commissione (Trasporti);
   Proposta congiunta della Commissione europea e dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza di decisione del Consiglio relativa alla posizione che dovrà essere assunta dall'Unione europea nel comitato misto istituito dall'accordo euromediterraneo interinale di associazione sugli scambi e la cooperazione tra la Comunità europea, da una parte, e l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) a beneficio dell'Autorità palestinese (AP) della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, dall'altra, in merito alla proroga del piano d'azione UE-PA (JOIN(2018) 26 final), corredata dal relativo allegato (JOIN(2018) 26 final – Annex), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta congiunta della Commissione europea e dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza di decisione del Consiglio relativa alla posizione che dovrà essere assunta a nome dell'Unione europea nel consiglio di associazione istituito dall'accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e lo Stato di Israele, dall'altra, in merito alla proroga del piano d'azione UE-Israele (JOIN(2018) 27 final), corredata dal relativo allegato (JOIN(2018) 27 final – Annex), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri).

Trasmissione dall'ICE – Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane.

  L'ICE – Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, con lettera in data 8 novembre 2018, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, comma 3-bis, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, e dell'articolo 1, comma 202, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, la relazione concernente lo stato di avanzamento degli interventi e delle azioni previsti dal Piano straordinario per la promozione del made in Italy e l'attrazione degli investimenti in Italia, aggiornata al 1o settembre 2018 (Doc. CXLIII, n. 1).

  Questa relazione è trasmessa alla X Commissione (Attività produttive) e alla XIII Commissione (Agricoltura).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI MURONI, BAZOLI ED ALTRI N. 1-00057, ZOLEZZI, LUCCHINI ED ALTRI N. 1-00073, FIDANZA ED ALTRI N. 1-00076 E GELMINI ED ALTRI N. 1-00077 CONCERNENTI INIZIATIVE DI COMPETENZA IN RELAZIONE ALLE CRITICITÀ CONNESSE AL CONFERIMENTO IN DISCARICA DEI RIFIUTI SPECIALI IN PROVINCIA DI BRESCIA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    i risultati e i dati pubblicati dall'Ispra per l'anno 2016 e ripresi dalla stampa nazionale e locale accertano che, nell'ambito della provincia di Brescia, sono stati conferiti rifiuti speciali in quantità oltremodo superiore alla media dei rifiuti conferiti nelle discariche delle altre province lombarde e in misura superiore ad un quinto di quanto conferito in tutti gli impianti d'Italia;
    nella provincia di Brescia, come risulta dallo studio, sono stati seppelliti in discarica nell'ultimo anno censito, il 2016, 2.578.169 tonnellate di rifiuti speciali, pari al 76,47 per cento di quelli interrati in tutta la Lombardia e pari al 21,3 per cento di tutti quelli conferiti in discarica in tutta Italia;
    se si confronta la provincia di Brescia con altre province, quali, ad esempio, Savona, Verona, Livorno, Terni, Taranto, che hanno le stesse criticità, risulta che la quantità conferita in discarica per chilometro/quadrato è più del doppio;
    inoltre, dalla lettura dei dati dello studio dell'Ispra si apprende che nella provincia di Brescia la media dei rifiuti seppelliti in discarica per chilometro/quadrato risulta essere di circa 13 volte superiore rispetto alla media delle altre province lombarde e di tutto il territorio nazionale;
    i detti conferimenti sono avvenuti negli anni recenti, mentre ancora non si sa quanti rifiuti e in quali siti siano stati dispersi sul territorio senza alcuna tutela ambientale prima della normativa del 1982;
    la provincia di Brescia rappresenta un contesto territoriale caratterizzato da una particolare pressione ambientale, determinata da un'alta presenza di impianti di trattamento e smaltimento rifiuti;
    a tal proposito, si ricorda la mozione presentata alla Camera dei deputati il 13 giugno 2017 da 13 parlamentari bresciani sull'emergenza connessa a discariche e rifiuti nella provincia di Brescia e sull'urgenza delle bonifiche, poi approvata all'unanimità il 6 dicembre 2017,

impegna il Governo:

1) a considerare, vista l'urgenza ambientale e sanitaria, l'adozione di iniziative, per quanto di competenza, volte a prevedere urgentemente una procedura di moratoria del conferimento dei rifiuti speciali destinati all'incenerimento e al conferimento in discarica in provincia di Brescia e il blocco di nuove autorizzazioni all'apertura di nuove discariche per i prossimi 5 anni, estendendo le misure previste dalla normativa nazionale più restrittive, come, ad esempio, il decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, come precondizione per monitorare tutti i siti compromessi, sia quelli censiti sia quelli non ancora noti, al fine di implementare un piano generale di bonifica del territorio;

2) ad adottare iniziative per prevedere l'introduzione nel decreto legislativo n. 152 del 2006 di un criterio nazionale che consenta alle regioni di inserire nel proprio ordinamento il «fattore di pressione» per le discariche quale criterio obbligatorio per l'indicazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, delegando il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute e sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, all'adozione di un decreto interministeriale che ne definisca principi e metodologia di calcolo.
(1-00057)
(Nuova formulazione) «Muroni, Bazoli, Fornaro, Berlinghieri, Braga».


   La Camera,
   premesso che:
    i risultati e i dati pubblicati dall'Ispra per l'anno 2016 e ripresi dalla stampa nazionale e locale accertano che, nell'ambito della provincia di Brescia, sono stati conferiti rifiuti speciali in quantità oltremodo superiore alla media dei rifiuti conferiti nelle discariche delle altre province lombarde e in misura superiore ad un quinto di quanto conferito in tutti gli impianti d'Italia;
    nella provincia di Brescia, come risulta dallo studio, sono stati seppelliti in discarica nell'ultimo anno censito, il 2016, 2.578.169 tonnellate di rifiuti speciali, pari al 76,47 per cento di quelli interrati in tutta la Lombardia e pari al 21,3 per cento di tutti quelli conferiti in discarica in tutta Italia;
    se si confronta la provincia di Brescia con altre province, quali, ad esempio, Savona, Verona, Livorno, Terni, Taranto, che hanno le stesse criticità, risulta che la quantità conferita in discarica per chilometro/quadrato è più del doppio;
    inoltre, dalla lettura dei dati dello studio dell'Ispra si apprende che nella provincia di Brescia la media dei rifiuti seppelliti in discarica per chilometro/quadrato risulta essere di circa 13 volte superiore della media di tutto il territorio nazionale;
    i detti conferimenti sono avvenuti negli anni recenti, mentre ancora non si sa quanti rifiuti e in quali siti siano stati dispersi sul territorio senza alcuna tutela ambientale prima della normativa del 1982;
    la provincia di Brescia rappresenta un contesto territoriale caratterizzato da una particolare pressione ambientale, determinata da un'alta presenza di impianti di trattamento e smaltimento rifiuti;
    a tal proposito, si ricorda la mozione presentata alla Camera dei deputati il 13 giugno 2017 da 13 parlamentari bresciani sull'emergenza connessa a discariche e rifiuti nella provincia di Brescia e sull'urgenza delle bonifiche, poi approvata all'unanimità il 6 dicembre 2017,

impegna il Governo

1) ad adottare iniziative per prevedere l'introduzione nel decreto legislativo n. 152 del 2006 di un criterio nazionale che consenta alle regioni di inserire nel proprio ordinamento il «fattore di pressione» per le discariche quale criterio obbligatorio per l'indicazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, delegando il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute e sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, all'adozione di un decreto interministeriale che ne definisca principi e metodologia di calcolo.
(1-00057)
(Nuova formulazione) (Testo modificato nel corso della seduta) «Muroni, Bazoli, Fornaro, Berlinghieri, Braga».


   La Camera,
   premesso che:
    sull'intero territorio nazionale insistono aree che presentano forti compromissioni delle matrici ambientali, quali aria, suolo e acqua, a causa di fonti di inquinamento che hanno agito, rispettivamente, prima che lo Stato italiano adottasse una legislazione ambientale di settore, oppure a seguito di condotte criminali, spesso rimaste senza responsabile, e comunque, in entrambi i casi, senza possibilità di richiedere alcun ristoro economico ambientale, con il risultato che si sono verificati, nel breve e medio termine, gravi danni ambientali;
    la grave situazione che si è prodotta nel corso dei decenni nella provincia di Brescia risulta eclatante a tale riguardo. I grandi ritardi con cui il nostro Paese ha adottato norme giuridiche di tutela ambientale e di limitazione delle emissioni industriali, che sono sostanzialmente giunte solo successivamente alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, hanno penalizzato in particolare le aree maggiormente industrializzate, come appunto quella di Brescia;
    la provincia di Brescia conta 31 discariche attive di rifiuti speciali, su un totale di 665 impianti di vario tipo che trattano e recuperano rifiuti con diverse modalità;
    l'aumento della mortalità per patologie correlate all'inquinamento ambientale è ormai un dato noto;
    si ha, inoltre, notizia di un'epidemia di polmonite, che costituisce un unicum a livello mondiale, fra la provincia di Brescia e l'Alto Mantovano, iniziata nel mese di settembre 2018, con oltre 900 casi, e diffusione di legionella non ancora verificata nelle cause;
    dall'articolo di stampa «rifiuti, 40 milioni di tonnellate in viaggio per l'Italia» (https://www.ilfattoquotidiano.it) si evince che oltre 40 milioni di tonnellate di rifiuti valichino i confini regionali e il 12 per cento delle merci trasportate in Italia siano rifiuti (https://www.ilfattoquotidiano.it);
    in particolare, nel Nord Italia vengono trattati circa 130 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani e speciali con riduzione della sostenibilità della filiera, perdita di posti di lavoro per i territori privi di strumenti di gestione ed emissioni ingiustificate legate al trasporto dei rifiuti stessi per oltre 8 miliardi di chilometri (valore paragonabile al trasporto delle persone);
    il piano di depurazione per il lago di Garda, portato avanti da alcuni enti locali, prevede lo scarico degli effluenti nel fiume Chiese, già impattato da 16 depuratori e da altre fonti industriali e agrozootecniche (il lago di Garda riceve il carico eutrofico – azoto e fosforo in particolare – per il 70 per cento da fonti industriali e agrozootecniche, solo il 30 per cento da depurazione civile);
    occorre, altresì, predisporre una mappatura delle aree su tutto il territorio nazionale che possano essere state oggetto di inquinamento diffuso, o comunque di grave entità, in danno delle matrici ambientali prima che fosse adottata una disciplina organica in materia ambientale, in considerazione dell'assenza di uno specifico responsabile dell'inquinamento e dunque di un soggetto obbligato agli interventi di bonifica e ripristino ambientale,

impegna il Governo:

1) a valutare l'assunzione di iniziative, per quanto di competenza, per disporre una moratoria per quanto riguarda l'autorizzazione di discariche, di inceneritori e altre fonti di emissioni inquinanti in acqua, suolo ed aria ed in particolare, in territori con un elevato fattore di pressione ambientale come la provincia di Brescia, valutando di contenere i conferimenti dei rifiuti alle discariche e agli inceneritori con una logica di prossimità e sostenibilità, tenendo conto dell'introduzione del «fattore di pressione» che ha già avuto una positiva prima esperienza presso la regione Lombardia, nell'ambito del piano regionale di gestione dei rifiuti del 2014 e ulteriormente normato nel 2017;

2) ad assumere iniziative per rendere pubblico il referto epidemiologico della popolazione «in particolare delle aree più impattate», anche in considerazione dei contenuti del disegno di legge n. 535 e abbinati, recante «Disposizioni in materia di rete nazionale dei registri dei tumori», approvato dal Senato della Repubblica;

3) a porre in essere ogni iniziativa, anche normativa, per garantire la gerarchia nella gestione dei rifiuti in osservanza degli obblighi comunitari, per conseguire l'obiettivo di ridurre la quantità di rifiuto destinata alla discarica e all'incenerimento, anche valutando di modificare l'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, al fine di contenere il trattamento dei rifiuti urbani in impianti di recupero energetico provenienti da altre regioni e lo smaltimento dei rifiuti urbani avviati fuori dal territorio della regione dove sono prodotti, così come limitare al territorio regionale la provenienza dei fanghi di depurazione, in particolare, in aree impattate e con referto epidemiologico sfavorevole rispetto ad altre aree nazionali;

4) a interfacciarsi con gli enti locali e regionali per studiare l'epidemia di polmonite, anche in relazione a possibili fattori ambientali, e ad adottare iniziative per prevenire nuovi accadimenti del genere;

5) ad adottare iniziative, per quanto di competenza e d'intesa con gli enti locali, ai fini della realizzazione quanto prima di un nuovo ed efficiente sistema di depurazione per tutti i comuni gardesani;

6) alla luce della situazione della provincia di Brescia, a mappare il ruolo delle fonti emissive in aria, suolo e falde acquifere nelle realtà più critiche del nostro Paese, in modo da arrivare in tempi brevi alla riduzione delle pressioni e a un piano nazionale produttivo, per esempio per quanto riguarda la produzione dell'acciaio, individuata appunto tra le principali pressioni ambientali per la provincia di Brescia, produzione che deve essere resa maggiormente sostenibile.
(1-00073) «Zolezzi, Lucchini, Bordonali, Varrica, Vianello, Vignaroli, Eva Lorenzoni, Formentini, Donina, Businarolo, Romaniello, Termini, Benvenuto, Terzoni, Federico, Badole, Binelli, Daga, Deiana, D'Eramo, D'Ippolito, Ilaria Fontana, Gobbato, Licatini, Alberto Manca, Maraia, Parolo, Raffaelli, Ricciardi, Rospi, Traversi, Valbusa, Dori».


   La Camera,
   premesso che:
    sull'intero territorio nazionale insistono aree che presentano forti compromissioni delle matrici ambientali, quali aria, suolo e acqua, a causa di fonti di inquinamento che hanno agito, rispettivamente, prima che lo Stato italiano adottasse una legislazione ambientale di settore, oppure a seguito di condotte criminali, spesso rimaste senza responsabile, e comunque, in entrambi i casi, senza possibilità di richiedere alcun ristoro economico ambientale, con il risultato che si sono verificati, nel breve e medio termine, gravi danni ambientali;
    la grave situazione che si è prodotta nel corso dei decenni nella provincia di Brescia risulta eclatante a tale riguardo. I grandi ritardi con cui il nostro Paese ha adottato norme giuridiche di tutela ambientale e di limitazione delle emissioni industriali, che sono sostanzialmente giunte solo successivamente alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, hanno penalizzato in particolare le aree maggiormente industrializzate, come appunto quella di Brescia;
    secondo i dati Ispra, pubblicati nel rapporto rifiuti speciali 2018, nella provincia di Brescia, nell'anno 2016, sono presenti 443 impianti che gestiscono rifiuti speciali di cui 10 sono gli impianti di discarica operativi di cui uno dedicato anche allo smaltimento di rifiuti urbani;
    l'aumento della mortalità per patologie correlate all'inquinamento ambientale è ormai un dato noto;
    si ha, inoltre, notizia di un'epidemia di polmonite, che costituisce un unicum a livello mondiale, fra la provincia di Brescia e l'Alto Mantovano, iniziata nel mese di settembre 2018, con oltre 900 casi, e diffusione di legionella non ancora verificata nelle cause;
    secondo i dati del rapporto rifiuti speciali 2018 di Ispra i dati relativi al solo trasporto transfrontaliero della regione Lombardia sono:
     le esportazioni, nell'anno 2016, ammontano a 881.143 tonnellate di cui 447 mila tonnellate di rifiuti non pericolosi e 434 mila tonnellate di rifiuti pericolosi;
     le importazioni, nell'anno 2016, ammontano a 2.384.439 tonnellate di cui 2,3 milioni di tonnellate di rifiuti non pericolosi e 39 mila tonnellate di rifiuti pericolosi. Non sono, invece, disponibili informazioni relative ai flussi di rifiuti speciali provenienti da altre regioni. Si rileva che l'attuale legislazione prevede la realizzazione dell'autosufficienza solo riguardo allo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento negli ATO nonché il rispetto del principio di prossimità per lo smaltimento dei rifiuti e il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati;
    secondo i dati del rapporto rifiuti speciali 2018 di Ispra, al nord sono gestiti 89,4 milioni di tonnellate di rifiuti speciali: 71,4 milioni sono avviati ad operazioni di recupero e 18 milioni a smaltimento;
    occorre, altresì, predisporre una mappatura delle aree su tutto il territorio nazionale che possano essere state oggetto di inquinamento diffuso, o comunque di grave entità, in danno delle matrici ambientali prima che fosse adottata una disciplina organica in materia ambientale, in considerazione dell'assenza di uno specifico responsabile dell'inquinamento e dunque di un soggetto obbligato agli interventi di bonifica e ripristino ambientale,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per prevedere l'introduzione nel decreto legislativo n. 152 del 2006 di un criterio nazionale che consenta alle regioni di inserire nel proprio ordinamento il «fattore di pressione» per le discariche quale criterio obbligatorio per l'indicazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, delegando il ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il ministro della salute e sentito il ministro per gli affari regionali e le autonomie, all'adozione di un decreto interministeriale che ne definisca princìpi e metodologia di calcolo;

2) ad assumere iniziative per rendere pubblico il referto epidemiologico della popolazione «in particolare delle aree più impattate», anche in considerazione dei contenuti del disegno di legge n. 535 e abbinati, recante «Disposizioni in materia di rete nazionale dei registri dei tumori», approvato dal Senato della Repubblica;

3) a valutare l'opportunità di porre in essere ogni iniziativa, anche normativa, per garantire la gerarchia nella gestione dei rifiuti in osservanza degli obblighi comunitari, per conseguire l'obiettivo di ridurre la quantità di rifiuto destinata alla discarica e all'incenerimento, anche valutando di modificare l'articolo 35 del decreto-legge 133/2014 al fine di contenere il trattamento dei rifiuti urbani in impianti di recupero energetico;

4) a interfacciarsi con gli enti locali e regionali per studiare l'epidemia di polmonite, anche in relazione a possibili fattori ambientali, e ad adottare iniziative per prevenire nuovi accadimenti del genere;

5) ad adottare iniziative, per quanto di competenza e d'intesa con gli enti locali, ai fini della realizzazione quanto prima di un nuovo ed efficiente sistema di depurazione per tutti i comuni gardesani;

6) alla luce della situazione della provincia di Brescia, a mappare il ruolo delle fonti emissive in aria, suolo e falde acquifere nelle realtà più critiche del nostro Paese, in modo da arrivare in tempi brevi alla riduzione delle pressioni e a un piano nazionale produttivo, per esempio per quanto riguarda la produzione dell'acciaio, individuata appunto tra le principali pressioni ambientali per la provincia di Brescia, produzione che deve essere resa maggiormente sostenibile.
(1-00073)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Zolezzi, Lucchini, Bordonali, Varrica, Vianello, Vignaroli, Eva Lorenzoni, Formentini, Donina, Businarolo, Romaniello, Termini, Benvenuto, Terzoni, Federico, Badole, Binelli, Daga, Deiana, D'Eramo, D'Ippolito, Ilaria Fontana, Gobbato, Licatini, Alberto Manca, Maraia, Parolo, Raffaelli, Ricciardi, Rospi, Traversi, Valbusa, Dori».


   La Camera,
   premesso che:
    la provincia di Brescia, una delle più grandi d'Italia e a forte vocazione industriale, con una popolazione di circa 1,2 milioni di abitanti, da decenni subisce una condizione ambientale ed ecologica di particolare delicatezza per la presenza e la conseguente attività di centri di raccolta di rifiuti non riciclabili;
    i dati che emergono dal rapporto dell'Ispra, redatto nel 2016 e da quest'ultimo resi pubblici, attestano che la provincia di Brescia è il primo territorio italiano per lo stoccaggio di rifiuti in proporzione alla popolazione e, sempre nella detta provincia, vi sono ad oggi circa 35 milioni di metri cubi di rifiuti;
    Brescia è il luogo dove si smaltisce oltre un quarto dei rifiuti speciali italiani (il 28 per cento) che corrisponde al primato italiano e le discariche attualmente funzionanti hanno accolto nel 2016 2,57 milioni di tonnellate. Dati che, di fatto, determinano per quella provincia un rapporto di 12500 metri cubi di rifiuti per ogni chilometro quadrato;
    nel 1998, con l'attivazione del termovalorizzatore più grande d'Italia (726 mila tonnellate trattate nel 2016), Brescia ha risolto il problema dei rifiuti urbani e, da allora, non è stata più aperta una discarica per i rifiuti solidi urbani, nonostante siano ancora pendenti richieste in tal senso;
    sono molti i siti già bonificati nella provincia, ma per molti altri si è in attesa di adeguati finanziamenti pubblici che consentano di completare le opere necessarie;
    dai mesi scorsi sono numerose le indagini avviate dall'autorità giudiziaria volte ad individuare la presenza di discariche abusive e che comunque operano al di fuori della normativa vigente con possibili danni per l'ambiente e la salute dei residenti che dette strutture potrebbero produrre,

impegna il Governo

1) ad attivare immediatamente un tavolo permanente con regione Lombardia, provincia di Brescia, comune di Brescia, associazioni di categoria, associazioni sindacali, Ats università, al fine di definire con le realtà del territorio una politica volta a favorire il risanamento ambientale;
2) a collaborare con gli enti preposti affinché sia posta in essere ogni utile iniziativa volta ad attuare una sorta di moratoria che non consenta, per almeno due anni, il rilascio di nuove autorizzazioni per qualsiasi attività di discarica e ciò in attesa che il suddetto tavolo tecnico (che terrà conto delle diverse esigenze) si esprima in merito alle problematiche qui evidenziate;
3) a favorire le politiche virtuose messe in campo da alcune istituzioni, soggetti privati ed imprenditoriali che possano migliorare la sensibilità ambientale in tutta la provincia.
(1-00076) «Fidanza, Lollobrigida, Foti, Trancassini, Butti, Frassinetti, Osnato».


   La Camera,
   premesso che:
    la provincia di Brescia vive una condizione ambientale ed ecologica di particolare delicatezza;
    il Rapporto 2018 dell'Ispra ci dice che nel 2016 la provincia di Brescia gestisce tanti rifiuti speciali come Lazio e Marche messi insieme. Complessivamente la Lombardia produce da sola il 21,8 per cento di questi rifiuti: 29,4 milioni di tonnellate su 135 milioni;
    Brescia è il luogo dove si smaltisce oltre un quarto dei rifiuti speciali italiani (il 28 per cento). Primato italiano;
    la maggior parte dei rifiuti speciali, intorno ai cinque milioni, viene trattata in trecento fra impianti di recupero di materia, strutture di autodemolizione/rottamazione o frantumazione di veicoli, nell'inceneritore, negli impianti di trattamento chimico-fisico biologico o di compostaggio. Ma la restante parte finisce ancora in una delle dieci discariche presenti sul territorio bresciano;
    le dieci discariche, nel 2016 hanno accolto 2,57 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, quasi il 90 per cento «non pericolosi». Numeri che non hanno uguali in Lombardia. Per fare un solo esempio, Milano mette in discarica quantitativi di rifiuti speciali nove volte inferiori a Brescia;
    nel bresciano c’è oltre un terzo delle discariche attive in regione (10 su 28), che si sommano alle 128 già chiuse. Delle dieci discariche regolari tre ancora attive, due in fase di chiusura, cinque già esaurite. Tuttavia, c’è chi – considerando gli ampliamenti e i raddoppi – calcola in sedici gli impianti esistenti;
    è necessario riconoscere l'eccezionalità di questo territorio, che nel solo comune di Montichiari stocca in discarica qualcosa come 12-15 milioni di metri cubi di rifiuti;
    la realizzazione nel 1998 del termovalorizzatore più grande d'Italia (726 mila tonnellate incenerite nel 2016) ha risolto il problema dei rifiuti urbani e non si è più aperta una discarica per i rifiuti civili, mentre non ha risolto il problema dei siti per lo smaltimento di rifiuti industriali;
    peraltro si evidenzia che l'inceneritore di Brescia è l'impianto lombardo che smaltisce la quantità maggiore di rifiuti speciali. Così come tutt'altro che trascurabile la materia trattata e recuperata presso 84 attività produttive: oltre 2 milioni di tonnellate (72 mila tonnellate, in sei siti, producono energia). Anche in questo caso Brescia detiene il primato in Lombardia. Vale pure per gli impianti di trattamento chimico-fisico biologico: diciotto (99 in tutta la Lombardia), che trattano quasi 438 mila tonnellate. Numeri che fanno di Brescia uno dei poli italiani principali dello smaltimento e del recupero dei rifiuti speciali;
    un territorio dove comunque, si evidenzia positivamente, siano circa 130 i siti già bonificati e tra questi ci sono anche grandi industrie: dalle acciaierie Falck di Vobarno alla ex Rivadossi di Agnosine, dall'ex ferriera Predalva di Pian Camuno alla Frendo di Orzinuovi fino all'Italfond di Bagnolo Mella;
    la provincia di Brescia sopporta un quantitativo molto alto di rifiuti che vengono conferiti nel territorio, per la gran parte provenienti da fuori i confini bresciani e regionali. Sotto questo aspetto bisognerebbe valutare il principio dell'autosufficienza regionale;
    peraltro la regione Lombardia nel 2014, ha introdotto il cosiddetto «fattore di pressione» ossia il criterio escludente per impedire la realizzazione di nuove discariche nelle aree in cui siano già stoccati più di 160 mila metri cubi di rifiuti per ogni chilometro quadrato, e limitare il quantitativo massimo di rifiuti conferibili in un sito già esistente in un determinato territorio; la situazione sopraesposta si innesta in un territorio, quale quello della provincia di Brescia, che rappresenta una delle realtà economiche e industriali di maggiore rilievo a livello nazionale ed internazionale: Brescia è la prima provincia industriale di Europa, sia per valore aggiunto che per numero di occupati, superando diversi distretti industriali della Germania; il valore aggiunto del settore manifatturiero bresciano si colloca al terzo posto in Italia, dopo Milano e Torino;
    con una realtà industriale e imprenditoriali così sviluppata, un'ipotesi di moratoria di nuove autorizzazioni per nuove discariche e del conferimento dei rifiuti speciali destinati all'incenerimento o alla discarica non può che tener conto anche delle esigenze produttive del territorio e delle conseguenti difficoltà per i sensibili aumenti degli oneri a loro carico a seguito del trasferimento all'estero di parte dei rifiuti prodotti,

impegna il Governo

1) ad attivare fin da subito un tavolo permanente di confronto con la regione, quale istituzione centrale per la pianificazione della gestione dei rifiuti, nonché con gli enti locali interessati, con le associazioni industriali e di categoria più rappresentative con quelle sindacali e con l'Agenzia regionale per l'ambiente, al fine di individuare, anche alla luce delle peculiarità economiche e industriali del territorio, le iniziative più idonee a favorire il risanamento ambientale e una gestione dei rifiuti maggiormente sostenibile, nel necessario ineludibile rispetto delle esigenze delle imprese e delle tante realtà produttive e imprenditoriali, che fanno di Brescia la prima provincia industriale di Europa;
2) ad adottare iniziative per prevedere nell'ambito delle proprie competenze, di concerto con la regione, e solo a seguito delle risultanze e di soluzioni concordate nell'ambito del suddetto tavolo tecnico, che tengano conto delle diverse esigenze, la moratoria e la sospensione di nuove autorizzazioni all'apertura di nuove discariche.
(1-00077) «Gelmini, Labriola, Cortelazzo, Casino, Gagliardi, Giacometto, Mazzetti, Ruffino».


   La Camera,
   premesso che:
    la provincia di Brescia vive una condizione ambientale ed ecologica di particolare delicatezza;
    il Rapporto 2018 dell'Ispra ci dice che nel 2016 la provincia di Brescia gestisce tanti rifiuti speciali come Lazio e Marche messi insieme. Complessivamente la Lombardia produce da sola il 21,8 per cento di questi rifiuti: 29,4 milioni di tonnellate su 135 milioni;
    Brescia è il luogo dove si smaltisce oltre un quarto dei rifiuti speciali italiani (il 28 per cento). Primato italiano;
    la maggior parte dei rifiuti speciali, intorno ai cinque milioni, viene trattata in trecento fra impianti di recupero di materia, strutture di autodemolizione/rottamazione o frantumazione di veicoli, nell'inceneritore, negli impianti di trattamento chimico-fisico biologico o di compostaggio. Ma la restante parte finisce ancora in una delle dieci discariche presenti sul territorio bresciano;
    le dieci discariche, nel 2016 hanno accolto 2,57 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, quasi il 90 per cento «non pericolosi». Numeri che non hanno uguali in Lombardia. Per fare un solo esempio, Milano mette in discarica quantitativi di rifiuti speciali nove volte inferiori a Brescia;
    nel bresciano c’è oltre un terzo delle discariche attive in regione (10 su 28), che si sommano alle 128 già chiuse. Delle dieci discariche regolari tre ancora attive, due in fase di chiusura, cinque già esaurite. Tuttavia, c’è chi – considerando gli ampliamenti e i raddoppi – calcola in sedici gli impianti esistenti;
    è necessario riconoscere l'eccezionalità di questo territorio, che nel solo comune di Montichiari stocca in discarica qualcosa come 12-15 milioni di metri cubi di rifiuti;
    la realizzazione nel 1998 del termovalorizzatore più grande d'Italia (726 mila tonnellate incenerite nel 2016) ha risolto il problema dei rifiuti urbani e non si è più aperta una discarica per i rifiuti civili, mentre non ha risolto il problema dei siti per lo smaltimento di rifiuti industriali;
    peraltro si evidenzia che l'inceneritore di Brescia è l'impianto lombardo che smaltisce la quantità maggiore di rifiuti speciali. Così come tutt'altro che trascurabile la materia trattata e recuperata presso 84 attività produttive: oltre 2 milioni di tonnellate (72 mila tonnellate, in sei siti, producono energia). Anche in questo caso Brescia detiene il primato in Lombardia. Vale pure per gli impianti di trattamento chimico-fisico biologico: diciotto (99 in tutta la Lombardia), che trattano quasi 438 mila tonnellate. Numeri che fanno di Brescia uno dei poli italiani principali dello smaltimento e del recupero dei rifiuti speciali;
    un territorio dove comunque, si evidenzia positivamente, siano circa 130 i siti già bonificati e tra questi ci sono anche grandi industrie: dalle acciaierie Falck di Vobarno alla ex Rivadossi di Agnosine, dall'ex ferriera Predalva di Pian Camuno alla Frendo di Orzinuovi fino all'Italfond di Bagnolo Mella;
    la provincia di Brescia sopporta un quantitativo molto alto di rifiuti che vengono conferiti nel territorio, per la gran parte provenienti da fuori i confini bresciani e regionali. Sotto questo aspetto bisognerebbe valutare il principio dell'autosufficienza regionale;
    peraltro la regione Lombardia nel 2014, ha introdotto il cosiddetto «fattore di pressione» ossia il criterio escludente per impedire la realizzazione di nuove discariche nelle aree in cui siano già stoccati più di 160 mila metri cubi di rifiuti per ogni chilometro quadrato, e limitare il quantitativo massimo di rifiuti conferibili in un sito già esistente in un determinato territorio; la situazione sopraesposta si innesta in un territorio, quale quello della provincia di Brescia, che rappresenta una delle realtà economiche e industriali di maggiore rilievo a livello nazionale ed internazionale: Brescia è la prima provincia industriale di Europa, sia per valore aggiunto che per numero di occupati, superando diversi distretti industriali della Germania; il valore aggiunto del settore manifatturiero bresciano si colloca al terzo posto in Italia, dopo Milano e Torino;
    con una realtà industriale e imprenditoriali così sviluppata, un'ipotesi di moratoria di nuove autorizzazioni per nuove discariche e del conferimento dei rifiuti speciali destinati all'incenerimento o alla discarica non può che tener conto anche delle esigenze produttive del territorio e delle conseguenti difficoltà per i sensibili aumenti degli oneri a loro carico a seguito del trasferimento all'estero di parte dei rifiuti prodotti,

impegna il Governo

1) ad attivare fin da subito un tavolo permanente di confronto con la regione, quale istituzione centrale per la pianificazione della gestione dei rifiuti, nonché con gli enti locali interessati, con le associazioni industriali e di categoria più rappresentative con quelle sindacali e con l'Agenzia regionale per l'ambiente, al fine di individuare, anche alla luce delle peculiarità economiche e industriali del territorio, le iniziative più idonee a favorire il risanamento ambientale e una gestione dei rifiuti maggiormente sostenibile, nel necessario ineludibile rispetto delle esigenze delle imprese e delle tante realtà produttive e imprenditoriali, che fanno di Brescia la prima provincia industriale di Europa.
(1-00077)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Gelmini, Labriola, Cortelazzo, Casino, Gagliardi, Giacometto, Mazzetti, Ruffino».


MOZIONI ANNIBALI, BOLDRINI, GEBHARD ED ALTRI N. 1-00070, D'ARRANDO, PANIZZUT ED ALTRI N. 1-00074 E CARFAGNA ED ALTRI N. 1-00075 CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A PREVENIRE E CONTRASTARE LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne è stata istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione n. 54/134 del 17 dicembre 1999, che ha scelto la data del 25 novembre e che ha invitato i Governi, le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative a organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica;
    la violenza basata sul genere, inclusa anche la violenza domestica, come definita nella Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (la cosiddetta «Convenzione di Istanbul»), approvata dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011, rappresenta una grave violazione dei diritti umani, che affonda le sue radici in una profonda, e persistente, disparità di potere tra uomini e donne e in un'organizzazione patriarcale della società che ancora oggi permea le pratiche e la vita quotidiana di milioni di uomini e donne in Italia;
    la riproduzione della struttura di genere tradizionale avviene attraverso rappresentazioni collettive fondate sugli stereotipi e il sessismo, che incidono nell'immaginario e nell'agire collettivo, creando le condizioni per una giustificazione e una perpetuazione della violenza maschile sulle donne;
    come ci dimostrano i dati più recenti diffusi dall'Istat con il Rapporto SDGs 2018 «Informazioni statistiche per l'Agenda 2030 in Italia», la violenza contro le donne nel nostro Paese è un fenomeno ampio, diffuso e strutturale;
    il rapporto evidenzia come «La violenza fisica e sessuale sulle donne e sulle ragazze è presente in tutti i Paesi e in gran parte dei casi l'autore è il partner. Nei casi più estremi la violenza contro le donne può portare alla morte. Nel 2012, quasi la metà di tutte le donne che sono state vittime di omicidio intenzionale in tutto il mondo è stata uccisa da un partner o da un familiare, rispetto al 6 per cento delle vittime di sesso maschile»;
    sempre i dati ci dicono che: «le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici»: nel 62,7 per cento dei casi, gli stupri dichiarati sono stati commessi da partner, nel 3,6 per cento da parenti e nel 9,4 per cento da amici; un'evoluzione confermata anche per quel che riguarda le violenze fisiche come schiaffi, calci, pugni e morsi, mentre gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali. Il 31,5 per cento delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subito, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Ha subito violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner il 13,6 per cento delle donne (2 milioni 800 mila), in particolare il 5,2 per cento (855 mila) da partner attuale e il 18,9 per cento (2 milioni 44 mila) dall'ex partner. Il 24,7 per cento delle donne ha subito almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner: il 13,2 per cento da estranei e il 13 per cento per cento da persone conosciute. In particolare, il 6,3 per cento da conoscenti, il 3 per cento da amici, il 2,6 per cento da parenti e il 2,5 per cento da colleghi di lavoro. Tra le violenze sessuali subite dalle donne, le più diffuse sono le molestie fisiche;
    l'Istat ci dice anche che le donne sono uccise soprattutto nell'ambito familiare o da conoscenti. Nel 2016, nella metà dei casi l'omicidio di una donna è stato commesso dal partner o dall'ex partner (51 per cento), nel 22,1 per cento dei casi da parte di un parente, nel 6 per cento dei casi da un conoscente. Questi dati confermano ciò che era già ampiamente noto: per le donne l'ambito familiare è il meno sicuro. I recenti fatti di cronaca poi evidenziano una drammatica recrudescenza dei fenomeni delittuosi riconducibili alla violenza di genere;
    i costi sociali ed economici della violenza dimostrano che le risorse stanziate per la prevenzione comportano netti risparmi rispetto a quanto il sistema pubblico è costretto a spendere una volta che la violenza viene realizzata. Il rapporto dell'Eige (European Institute for gender equality), presentato l'8 ottobre 2018, stima che ogni anno, nel nostro Paese, la violenza contro le donne costa 26 miliardi di euro, in termini di perdita di produzione economica, del maggiore utilizzo di servizi e dei costi personali, per un costo totale di quasi 226 miliardi di euro nei 28 Paesi dell'Unione europea;
    anche le conseguenze sulla salute delle donne sono pesantissime. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità la violenza sulle donne rappresenta «un problema di salute di proporzioni globali enormi»;
    questa fotografia del fenomeno della violenza contro le donne è stata possibile anche grazie al lavoro, spesso volontario, di tante donne dei centri antiviolenza non istituzionali, che da sempre affiancano le donne maltrattate ascoltandole e accompagnandole nella costruzione di percorsi personali di fuoriuscita dall'esperienza di violenza;
    nella XVII legislatura è stato portato avanti un lavoro intenso e sistematico dal Parlamento e dai Governi che si sono succeduti. Non a caso, uno dei primi atti del Parlamento è stata la ratifica della Convenzione di Istanbul, il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione ha fatto emergere, tra le altre cose, la correlazione tra l'assenza della parità di genere e il fenomeno della violenza;
    in attuazione dell'articolo 5 della Convenzione, con il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, si è proceduto alla definizione di un piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere. Il piano, di durata biennale, è stato adottato con decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri nel luglio 2015;
    partendo dall'esperienza maturata nell'attuazione del citato piano straordinario e nella convinzione che il raggiungimento della parità de jure e de facto sia un elemento chiave per sradicare la violenza contro le donne, il dipartimento per le pari opportunità, mediante la costituzione di un gruppo di lavoro istituito ad hoc, ha avviato un ampio e articolato processo di dialogo partecipato, finalizzato alla definizione delle linee strategiche e dei contenuti della proposta di un «Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne» per il triennio 2017-2020;
    il piano nazionale, approvato nel novembre 2017 in Consiglio dei ministri dal Governo pro tempore, ripropone i tre assi strategici della Convenzione di Istanbul (prevenire, proteggere e sostenere, perseguire e punire), oltre ad un asse trasversale di supporto all'attuazione relativo alle politiche integrate;
    sul fronte della prevenzione, le priorità individuate riguardano il rafforzamento del ruolo strategico del sistema di istruzione e formazione, la formazione degli operatori del settore pubblico e del privato sociale, l'attivazione di programmi di intervento per gli uomini autori o potenziali autori di violenza, la sensibilizzazione dei mass media sul ruolo di stereotipi e sessismo. Quanto alla protezione e al sostegno alle vittime, la priorità è la presa in carico; seguono percorsi di empowerment economico-finanziario, lavorativo e di autonomia abitativa. Per quel che riguarda la repressione dei reati, le priorità sono: garantire la tutela delle donne vittime di violenza (compreso lo stalking) attraverso un'efficace e rapida valutazione e gestione del rischio di letalità, gravità, reiterazione e recidivi del reato, con procedure che siano omogenee ed efficienti su tutto il territorio nazionale, oltre che il più possibile condivise tra le varie forze dell'ordine; migliorare l'efficacia dei procedimenti giudiziari a tutela delle vittime di abusi e violenze e di delitti connessi alla violenza maschile contro le donne;
    nel piano si evidenzia anche la necessità di adottare strategie efficaci per prevenire e contrastare ogni forma di violenza che può affliggere le donne nel contesto di un rapporto di lavoro (violenza fisica, psicologica, sessuale) attraverso un percorso condiviso con le parti sociali;
    si dedica, altresì, una specifica attenzione ad alcune categorie vulnerabili, quali: i minori vittime di mutilazioni genitali femminili o minacciati di subire tale pratica; i minori costretti al matrimonio precoce/forzato; le vittime di sfruttamento sessuale e lavorativo;
    a tal proposito, si ricorda che il 26 febbraio 2016 il Consiglio dei ministri del Governo pro tempore ha adottato il primo piano d'azione nazionale contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani per gli anni 2016-2018;
    in merito alle risorse, il decreto-legge n. 93 del 2013 aveva in principio disposto un incremento del Fondo per le pari opportunità di 10 milioni di euro, per l'anno 2013, vincolati al finanziamento del piano contro la violenza di genere, per gli anni 2014, 2015, e 2016, con la legge di stabilità per il 2014, era stato aumentato ulteriormente il fondo di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni con vincolo di destinazione al piano antiviolenza; un ulteriore finanziamento di natura permanente era invece stato specificamente destinato, nell'ambito del piano, al potenziamento delle forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli, attraverso il rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e case rifugio e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza: a tal fine il fondo per le pari opportunità fu incrementato di 10 milioni di euro per il 2013, di 7 milioni di euro per il 2014 e di 10 milioni di euro annui a decorrere dal 2015. Inoltre, nell'esercizio finanziario 2017, il fondo ha subito un significativo incremento dovuto ad un rifinanziamento di circa 49 milioni di euro per il 2017, con la legge di bilancio per il 2017 (legge n. 232 del 2016). Nella legge di bilancio per il 2018, poi, il fondo per le pari opportunità viene rifinanziato per circa 45 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2018-2020;
    nel bilancio 2017 della Presidenza del Consiglio dei ministri pro tempore sul capitolo «Somme da destinare al piano contro la violenza alle donne», nel quale sono iscritti sia i fondi destinati al piano straordinario che quelli per i centri antiviolenza e le case rifugio, risultavano stanziate per il 2017 risorse per 21,7 milioni di euro e per il 2018, sempre al medesimo capitolo, risultavano stanziate risorse pari a 35,4 milioni di euro;
    in attuazione dell'articolo 1, commi 790 e 791, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e per il compimento degli obiettivi posti al paragrafo 5.4 «Soccorso» del piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 novembre 2017, sono state adottate le linee guida nazionali per l'assistenza socio-sanitaria alle donne che subiscono violenza e che si rivolgono ai pronto soccorso, che individuano e delineano un percorso dedicato, con l'obiettivo di garantire alle donne un'assistenza adeguata e una «presa in carico» che parte dal triage infermieristico e arriva fino all'accompagnamento e all'orientamento ai servizi pubblici e privati dedicati presenti sul territorio di riferimento. Le linee guida nazionali sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 30 gennaio 2018;
    diversi sono stati i protocolli siglati dal Dipartimento per le pari opportunità volti a: creare, in collaborazione con l'Istat, una «banca dati sulla violenza di genere» finalizzata a fornire informazioni statistiche valide e continuative agli organi di Governo e a tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti nel contrasto alla violenza di genere; adottare, in collaborazione con l'Arma dei Carabinieri, un linguaggio ed una metodologia condivisa tra i soggetti che, a diverso titolo, operano sul tema della violenza di genere, in un'ottica di miglioramento e di raccordo delle azioni di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne; espletare, in accordo con l'Arma dei Carabinieri, corsi di formazione agli operatori del numero di pubblica utilità 1522 e al personale della Presidenza del Consiglio dei ministri, diretti a fornire un approfondimento del fenomeno della violenza di genere, analizzandolo sotto i suoi molteplici aspetti; promuovere, in accordo con il Ministero dell'interno, la formazione integrata e multidisciplinare degli operatori e delle operatrici delle parti coinvolte e di promuovere l'adozione di protocolli operativi in grado di migliorare gli interventi di prevenzione e protezione delle vittime;
    in un'ottica di prevenzione, è stato garantito il servizio fornito dal numero di pubblica utilità 1522, riconosciuto come strumento fondamentale di orientamento delle vittime di violenza di genere e di stalking, che fornisce informazioni puntuali all'utenza sui servizi pubblici e privati presenti sul territorio nazionale. Per promuovere il numero gratuito, sono state promosse diverse campagne di comunicazione, l'ultima delle quali realizzata nel 2017: «sbloccailcoraggio»;
    in occasione dell'undicesima Giornata europea contro la tratta degli esseri umani, il 18 ottobre 2017 è stata presentata la nuova campagna istituzionale, in onda sulle reti Rai, per la pubblicizzazione del numero verde antitratta 800 290 290;
    il 24 luglio 2017 è stato emanato dal Dipartimento per le pari opportunità un avviso pubblico finalizzato a promuovere e sostenere una serie di interventi progettuali, anche di carattere innovativo, come, ad esempio, quelli a supporto e protezione delle donne sottoposte a violenza cosiddetta economica;
    il 15 e il 16 novembre 2017, a Taormina, si è riunito il primo G7 delle pari opportunità: il summit G7 è stata un'importante occasione per discutere di politiche sociali e diritti delle donne e per affrontare i due principali temi: il rafforzamento delle misure contro la violenza sulle donne e l’empowerment femminile, specie sul versante economico;
    inoltre, sin dall'adozione della risoluzione del Consiglio di sicurezza 1325(2000) i Governi pro tempore, sostenuti dal Partito democratico, hanno condotto l'Italia a sostenere con forza l'Agenda donne, pace e sicurezza, in linea anche con i risultati delle conferenze internazionali di settore, a partire dall'innovativa quarta Conferenza mondiale sulle donne, tenutasi a Pechino nel 1995, varando, uno tra i pochi Paesi, il terzo piano d'azione nazionale italiano a conferma dell'impegno delle autorità italiane nell'attuazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in materia di donne, pace e sicurezza;
    sulla scorta delle indicazioni e dei principi della Convenzione, la legge n. 119 del 2013, la cosiddetta legge sul femminicidio, ha definito per la prima volta con chiarezza la centralità e la peculiarità della violenza compiuta entro le mura domestiche da chi ha vincoli familiari o affettivi con la persona colpita; ha, inoltre, introdotto profonde modifiche processuali a tutela della vittima e introdotto misure di sostegno per le donne e i minori coinvolti nella fase processuale – modalità protette per le testimonianze, gratuito patrocinio, dovere di comunicazione del giudice rispetto alle modifiche delle misure cautelari, processi più rapidi e l'estensione del permesso di soggiorno alle donne straniere vittime di violenza domestica slegato dal permesso del marito, irrevocabilità della querela per le situazioni particolarmente gravi di stalking;
    per quanto riguarda la dotazione di strumenti «repressivi», di particolare rilievo appare l'introduzione di un'aggravante per gravi delitti violenti da applicare in caso di «violenza assistita», e cioè avvenuta in presenza di minori, con particolare riferimento al regime della querela di parte che è diventata irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate e aggravate. In tutti gli altri casi la remissione potrà avvenire soltanto in sede processuale, ma il delitto resta perseguibile d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità;
    si è agito, inoltre, introducendo importanti misure di prevenzione, quali l'ammonimento del questore anche per condotte di violenza domestica, sulla falsariga di quanto già previsto per il reato di stalking, e l'allontanamento – anche d'urgenza – dalla casa familiare e l'arresto obbligatorio in flagranza dell'autore delle violenze, e si è cercato di intervenire al fine di migliorare l'interazione tra chi subisce violenza e le autorità. Inoltre, i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e stalking sono stati inseriti tra quelli che hanno priorità assoluta nella formazione dei ruoli d'udienza ed è stato esteso il gratuito patrocinio;
    il decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, in vigore dal 20 gennaio 2016, aveva recepito la direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, che istituiva norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, e istituito il Fondo destinato al ristoro patrimoniale delle vittime di reati intenzionali violenti, che era stato, dal Governo pro tempore, nel 2017, incrementato e alimentato dalle somme dovute a titolo di sanzione pecuniaria civile;
    negli ultimi giorni della XVII legislatura, il Parlamento ha approvato la legge n. 4 del 2018, volta a rafforzare le tutele per i figli rimasti orfani a seguito di un crimine domestico, che riconosce tutele processuali ed economiche ai figli minorenni e maggiorenni economicamente non autosufficienti della vittima di un omicidio commesso da: il coniuge, anche legalmente separato o divorziato; l'altra parte dell'unione civile, anche se l'unione è cessata; una persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza con la vittima. La medesima legge, inoltre, modifica il codice penale intervenendo sull'omicidio aggravato dalle relazioni personali. Rispetto alla norma vigente, che punisce l'uxoricidio (omicidio del coniuge) con la reclusione da 24 a 30 anni, il provvedimento aumenta la pena ed estende il campo d'applicazione della norma. Modificando l'articolo 577 del codice penale, infatti, è prevista la pena dell'ergastolo se vittima del reato di omicidio è: il coniuge, anche legalmente separato; l'altra parte dell'unione civile; la persona legata all'omicida da stabile relazione affettiva e con esso stabilmente convivente;
    con l'entrata in vigore poi della legge 17 ottobre 2017, n. 161, di riforma del codice antimafia, agli indiziati di stalking potranno essere applicate nuove misure di prevenzione e, in particolare, sarà applicabile la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, cui può essere aggiunto, se le circostanze del caso lo richiedano, il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale o in una o più province. Quando le altre misure di prevenzione non siano ritenute idonee può essere imposto all'indiziato di atti persecutori l'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale. Infine, con il consenso dell'interessato, anche allo stalker potrà essere applicato il cosiddetto braccialetto elettronico, una volta che ne sia stata accertata la disponibilità. La riforma del codice consente, inoltre, l'applicazione agli indiziati di stalking anche delle misure di prevenzione patrimoniali;
    la prevenzione non può che partire dalla scuola. In tal senso, il 27 ottobre 2017 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca pro tempore ha presentato un Piano nazionale per promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione al rispetto, per contrastare ogni forma di violenza e discriminazione e favorire il superamento di pregiudizi e disuguaglianze. Con il piano sono stati stanziati 8,9 milioni di euro per progetti e iniziative per l'educazione al rispetto e per la formazione delle e degli insegnanti. In particolare, 900.000 euro per l'ampliamento dell'offerta formativa, 5 milioni di euro (fondi Pon) per il coinvolgimento di 200 scuole nella creazione di una rete permanente di riferimento su questi temi. Altri 3 milioni di euro per la formazione delle e dei docenti. In attuazione del piano sono state emanate le linee guida nazionali per l'attuazione dell'articolo 1, comma 16, della legge n. 107 del 2015 per la promozione dall'educazione alla parità tra i sessi e la prevenzione della violenza di genere;
    a sostegno di iniziative educative in ambito scolastico, il Dipartimento per le pari opportunità ha indetto un bando pubblico rivolto a tutte le scuole nazionali di ogni ordine e grado, che ha permesso di finanziare 90 istituti scolastici. Le risorse stanziate sono state di 5 milioni di euro;
    il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, di attuazione della legge n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs Act), sui temi di conciliazione lavoro-vita privata, ha introdotto il congedo per le donne vittime di violenza di genere che intraprendono percorsi di protezione. Le lavoratrici dipendenti del pubblico e del privato e anche le lavoratrici autonome che subiscono violenza, per motivi legati allo svolgimento di tali percorsi, hanno diritto ad astenersi dal lavoro per un periodo di tre mesi, anche non continuativo, interamente retribuito. È inoltre prevista la possibilità di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time, nonché l'opportunità di trasformarlo nuovamente, a seconda delle esigenze della lavoratrice, in rapporto di lavoro a tempo pieno, nonché la facoltà, per le collaboratrici a progetto, di sospendere il rapporto contrattuale per motivi connessi allo svolgimento dei suddetti percorsi di protezione;
    questo lungo excursus è parso utile a dimostrare che moltissimo è stato fatto dai Governi Letta, Renzi e Gentiloni, ma che la strada per sconfiggere definitivamente e culturalmente il fenomeno della violenza contro le donne è ancora lunga e attuale;
    dalla relazione finale, approvata all'unanimità, della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere (istituita nel mese di gennaio 2017 e istituita nuovamente il 16 ottobre 2018), emergono tantissime indicazioni e vuoti normativi da colmare. Una delle maggiori incongruenze evidenziate, e alla quale si chiede di porre rimedio, è la totale incomunicabilità tra procedimenti civili e penali e tra questi ultimi e il tribunale per i minorenni. Così spessissimo accade che un procedimento penale scaturito da una denuncia per violenza domestica proceda completamente staccato dal procedimento civile di separazione e affidamento dei figli. Ne consegue una frequente violazione della Convenzione di Istanbul poiché, anche quando un giudice ha accertato la violenza domestica, viene disposto l'affido condiviso;
    il 9 maggio 2018 il Consiglio superiore della magistratura ha adottato una risoluzione sulle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica con l'obiettivo di fornire agli uffici giudiziari italiani, requirenti e giudicanti, gli indirizzi per meglio organizzare l'attività di indagine e i giudizi sui reati riguardanti la violenza di genere. Nelle linee guida si sottolinea che «La centralità del tema delle vittime di violenza di genere e domestica, ancor più se domestica, ancor più se minorenni, tanto nella veste di vittime che di testimoni, rende ineludibile l'esigenza di rafforzare la cooperazione interna al sistema giudiziario, in particolare quella tra procure ordinarie, tribunale civile e magistratura minorile»;
    il disegno di legge cosiddetto Pillon, in discussione al Senato della Repubblica, che propone una riforma in materia di affido condiviso, sembra porsi in aperto contrasto con quanto detto sopra. Un testo fortemente criticato, il cui contenuto viola la Costituzione e le Convenzioni internazionali. In particolare, l'obbligo di mediazione viola apertamente il divieto previsto dall'articolo 48 della Convenzione di Istanbul e rischia di mettere in pericolo le donne che fuggono dal partner violento. Così come occorre sottolineare la pericolosità dell'introduzione del concetto di alienazione parentale, che, presupponendo esservi manipolazione da parte di un genitore in caso di manifesto rifiuto dei figli di vedere l'altro, prevede di invertire il domicilio collocando il figlio proprio presso il genitore che esso rifiuta. Si contrasta così la possibilità per il minore di esprimere il suo rifiuto, avversione o sentimento di disagio verso il genitore che si verifichi essere inadeguato o che lo abbia esposto a situazioni di violenza assistita;
    troppo spesso poi le donne rischiano ancora di subire fenomeni di vittimizzazione secondaria, derivanti dal contatto insoddisfacente con il sistema di giustizia penale, vivendo così un ulteriore trauma psico-emotivo. È quindi importante favorire, attraverso strumenti normativi, buone prassi e la formazione mirata, integrata e permanente di tutti gli operatori coinvolti (anche sui contenuti della Convenzione di Istanbul), una cultura sociale e giudiziaria orientata alla tutela della vittima di genere. Un ulteriore elemento di vittimizzazione secondaria di cui occorre tenere conto, è l'estrema durata del procedimento penale;
    purtroppo, ancora oggi, nei mondi che vengono a contatto con la violenza sulle donne, sono presenti molti pregiudizi. Pregiudizi che possono comportare un'errata valutazione del rischio da parte di uno degli operatori delle reti di protezione della donna vittima di violenza, con la conseguente mancanza di adozione di misure di protezione adeguate che possono avere come conseguenza un femminicidio. Troppo spesso, dalle cronache giudiziarie, emergono situazioni nelle quali il soggetto violento, trasformatosi in omicida di genere, non risultava sottoposto ad alcuna misura, pur avendo la donna più volte denunciato la situazione di violenza subita;
    la scelta di una donna vittima di violenza di affidare il racconto della propria storia alle forze dell'ordine va raccolta con capacità e professionalità: chiedere aiuto è un punto di arrivo che segna il passaggio tra il passato e il futuro. Per queste ragioni, chi accoglierà questo affidamento, e soprattutto il modo in cui lo farà, può segnare una grande differenza nel prosieguo del viaggio di rinascita della donna;
    per quel che concerne poi la trattazione prioritaria dei processi, fondamentale anche per evitare una vittimizzazione secondaria della parte lesa, le linee guida del Consiglio superiore della magistratura, anche in considerazione dell'espresso richiamo all'articolo 132-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, operato dalla circolare 20458 del 17 novembre 2017, intervengono sul tema indicando che: «ferma restando l'insindacabilità della discrezionalità rimessa ai magistrati giudicanti e requirenti in ordine alle scelte processuali del caso singolo, appare in linea con l'indicazione consiliare ricercare modalità organizzative condivise, utili ad assicurare la trattazione prioritaria dei procedimenti e la protezione alla vittima anche in ambito processuale; l'ipotesi che le dirigenze degli uffici possano concordare previsioni generali relative ai casi in cui detta modalità di assunzione della prova si renda particolarmente opportuna»;
    sul piano della comunicazione viene ancora riservata poca attenzione al ruolo che i media possono avere per consolidare una coscienza sociale diffusa di condanna del fenomeno. Troppe volte, soprattutto nei casi di femminicidio, i media tendono a far passare un messaggio fuorviante e diseducativo, sia sul piano del linguaggio, che su quello della rappresentazione della notizia. Espressioni come «Amore malato», «eccesso di amore», « raptus» richiamano ad una sorta di giustificazionismo dell'azione violenta. Anche su questo punto la Convenzione di Istanbul interviene in maniera puntuale con l'articolo 17, prevedendo la sensibilizzazione degli operatori dei settori dei media per la realizzazione di una comunicazione e di un'informazione, anche commerciale, rispettosa della rappresentazione di genere;
    nell'era del web, la violenza, come è noto, corre anche in rete e le donne sono le principali vittime del discorso d'odio on line. Vox Diritti ha pubblicato di recente una Mappa dell'intolleranza, secondo la quale le donne sono ancora le più odiate in rete. In particolare, si rileva come la rete dell'odio si agita quando la cronaca registra casi di femminicidio e che il social network più attivo nel condividere l'odio verso le donne è Twitter, con oltre 1 miliardo di tweet sessisti rilevati (su un campione di oltre 2 miliardi complessivi);
    sulle politiche di genere e di contrasto alla violenza maschile sulle donne, si sta assistendo, nel nostro Paese, così come in molte parti del mondo, ad un pericoloso arretramento politico oltre che culturale il cui esito può essere molto pericoloso per i diritti delle donne;
    ci si trova di fronte ad un contesto politico in cui alle contraddizioni e resistenze abituali su come affrontare la dimensione strutturale e secolare della violenza contro le donne, si aggiunge una tendenza sempre più preoccupante a definire la gravità delle forme della violenza maschile in base alle appartenenze razziali e nazionali degli uomini violenti;
    ancora una volta sono i dati che vengono in aiuto. In data 27 settembre 2017, il Presidente di Istat Giorgio Alleva, nel corso di una audizione in Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, in merito agli autori della violenza sottolinea che: «gli stupri subiti dalle donne italiane sono stati commessi da italiani in oltre l'80 per cento dei casi (81,6 per cento), da autori stranieri in circa il 15 per cento dei casi (15,1 per cento)». E ancora che «è interessante sottolineare che il comportamento di denuncia delle italiane risulta cambiare notevolmente se l'autore della violenza sia straniero: la quota di vittime di stupro da un autore straniero che dichiara di aver sporto denuncia è infatti oltre 6 volte più alta rispetto al caso in cui l'autore è italiano. Per il tentato stupro, la differenza è ancora più marcata: la quota di donne che denunciano, nel caso di un autore straniero, è 10 volte più alta rispetto al caso in cui l'autore sia un italiano»;
    in tema di violenza maschile sulle donne, il «Contratto del governo per il cambiamento» sottoscritto dalle forze di maggioranza, si limita a circoscrivere quest'ultima alla sola violenza sessuale. Nessuna riflessione viene fatta sulla violenza fisica, psicologica, economica e sulle molestie sul luogo di lavoro. Un approccio duro e repressivo, quello scelto dall'attuale Esecutivo, che, secondo i presentatori del presente atto di indirizzo, rivela tutta la sua incapacità nel promuovere e proporre interventi adeguati e integrati che partano dalla prevenzione e arrivino ad elaborare progetti personalizzati di sostegno e di ascolto per la fuoriuscita delle donne dall'esperienza di violenza subita;
    ai proclami securitari al momento non è seguita alcuna azione concreta, né in termini legislativi, né in termini amministrativi, e intanto la strage infinita di donne continua;
    la cabina di regia per dare impulso alle politiche in tema di violenza sulle donne che il Governo Conte ha ereditato è stata convocata dal Sottosegretario con delega alle pari opportunità solo qualche giorno fa e fino ad ora si sono sentite dal Sottosegretario Spadafora solo tiepide dichiarazioni;
    si sottolinea poi che le risorse stanziate dalla legge di bilancio per il 2018 ai centri antiviolenza e alle case rifugio, ripartite nel maggio 2018 in Conferenza Stato-regioni, ad oggi non risultano ancora essere state trasferite alle regioni. È invece importante che tali risorse vengano distribuite al più presto e che ciò avvenga in modo coerente e giusto, attraverso meccanismi che stabilizzino il sapere costruito in molti anni di ascolto delle donne delle loro esperienze, dei loro bisogni, desideri e volontà;
    nel disegno di legge di bilancio per il 2019, in merito allo stanziamento di risorse destinate al Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, si registra una decurtazione, per il triennio 2019, 2020 e 2021, di circa 500 mila euro l'anno. Stesso identico trattamento viene riservato al Piano nazionale antitratta di cui alla legge di stabilità n. 208 del 2015, che subisce una decurtazione pressoché identica a quella prevista per il Fondo pari opportunità. Anche il Fondo per le vittime di reati intenzionali violenti e quello per gli orfani di femminicidio subiscono un ritocco al ribasso rispetto a quanto previsto dal «contratto di governo». Si interrompe così una tendenza di crescita nello stanziamento di risorse dedicate al tema, che i Governi a guida Partito democratico hanno sempre confermato;
    viene definanziata e lasciata «morire» la normativa sul congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente, introdotta in via sperimentale dall'articolo 4, comma 24, lettera a), della legge 28 giugno 2012, n. 92: un'importante misura di civiltà e parità, voluta e apprezzata anche dai padri;
    il rischio, dunque, non è solo che si disperda il lavoro importante fatto nella XVII legislatura da Parlamento e Governo, ma che si possa assistere ad un vero e proprio passo indietro su questo tema,

impegna il Governo:

1) a mettere in campo tutte le iniziative necessarie a rendere efficace il complesso sistema di strumenti e di tutele citati in premessa, con l'obiettivo di raggiungere la piena applicazione della Convenzione di Istanbul;

2) ad assumere iniziative per proseguire nella strada tracciata dai Governi Letta, Renzi e Gentiloni, attuando la strategia delineata dal Piano nazionale 2017-2020 e implementando e monitorando le linee guida nazionali per l'assistenza sociosanitaria alle donne che subiscono violenza e che si rivolgono ai pronto soccorso;

3) ad assumere iniziative per favorire il coordinamento tra processo penale, civile e procedimenti presso i tribunali per i minorenni, al fine di garantire un'efficace protezione delle donne e dei loro figli e per evitare l'affido condiviso nei casi in cui vi sia violenza domestica;

4) a promuovere la parità tra i sessi e la prevenzione della violenza di genere attraverso l'educazione scolastica, assumendo iniziative per destinare a tale scopo nuove risorse finanziarie;

5) a promuovere strumenti e procedure di valutazione del rischio di letalità per la vittima, gravità, reiterazione e recidiva del reato, partendo dai protocolli di valutazione del rischio sviluppati nell'ambito degli studi e delle ricerche sulla violenza di genere e ai protocolli investigativi in via di diffusione presso le forze dell'ordine con specifico riferimento a questa materia (ad esempio, il protocollo Eva);

6) ad assumere iniziative per investire risorse adeguate per la formazione specifica e per il necessario aggiornamento del personale chiamato ad interagire con la vittima, polizia e carabinieri, magistrati, personale della giustizia, polizia municipale e personale sanitario, anche nell'ambito di specifiche provviste finanziarie destinate alla violenza di genere;

7) ad assumere iniziative per favorire modalità organizzative condivise, utili ad assicurare la trattazione prioritaria dei procedimenti e la protezione alla vittima anche in ambito processuale, così come indicato nelle linee guida del Consiglio superiore della magistratura;

8) ad adottare politiche volte a garantire la parità di genere e ad incrementare l'occupazione femminile, elemento quest'ultimo fondamentale per la liberazione delle donne dalla violenza;

9) ad assumere iniziative per dare attuazione all'articolo 17 della Convenzione di Istanbul;

10) a invertire la rotta intrapresa dal Governo adottando iniziative per eliminare i tagli e anzi incrementando le risorse destinate al Fondo per le pari opportunità, al Fondo per le vittime di reati intenzionali violenti, al Fondo antitratta e in generale a tutte le politiche per la promozione della parità di genere e per la prevenzione ed il contrasto di ogni forma di violenza contro le donne;

11) a mettere in campo strategie efficaci per prevenire e perseguire ogni forma di violenza, fisica, psicologica e sessuale, che può affliggere le donne nel contesto di un rapporto di lavoro;

12) a promuovere, in sede internazionale, l'impegno dell'Italia affinché tutti i Paesi del G7 arrivino ad adottare un piano nazionale contro la violenza di genere;

13) ad adottare iniziative normative ed organizzative necessarie all'attuazione della legge n. 4 del 2018, volta a rafforzare le tutele per i figli rimasti orfani a seguito di un crimine domestico, al fine di renderla finalmente pienamente operativa;

14)  in relazione all'istituendo «Tavolo di coordinamento per la creazione di una rete integrata di servizi di assistenza alle vittime di reato», a chiarire la natura (onerosa, gratuita o in regime di convenzione) e il contenuto della prestazione che si prevede di offrire agli utenti degli istituendi «centri di ascolto», all'uopo precisando modalità di selezione e remunerazione del personale che opererà in detti centri.
(1-00070) «Annibali, Boldrini, Gebhard, Anzaldi, Ascani, Bazoli, Benamati, Berlinghieri, Boccia, Bonomo, Bordo, Enrico Borghi, Boschi, Braga, Bruno Bossio, Buratti, Campana, Cantini, Carla Cantone, Cardinale, Carè, Carnevali, Ceccanti, Cenni, Ciampi, Colaninno, Critelli, Dal Moro, D'Alessandro, De Filippo, De Luca, De Maria, De Menech, De Micheli, Del Barba, Del Basso De Caro, Delrio, Di Giorgi, Marco Di Maio, Fassino, Ferri, Fiano, Fragomeli, Franceschini, Fregolent, Gadda, Gariglio, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giorgis, Gribaudo, Guerini, Incerti, La Marca, Lacarra, Lepri, Librandi, Losacco, Lotti, Madia, Gavino Manca, Mancini, Marattin, Martina, Mauri, Melilli, Miceli, Migliore, Minniti, Mor, Morani, Morassut, Moretto, Morgoni, Mura, Nardi, Navarra, Nobili, Noja, Orfini, Orlando, Padoan, Pagani, Ubaldo Pagano, Paita, Pellicani, Pezzopane, Piccoli Nardelli, Pini, Pizzetti, Pollastrini, Portas, Prestipino, Quartapelle Procopio, Raciti, Rizzo Nervo, Andrea Romano, Rosato, Rossi, Rotta, Scalfarotto, Schirò, Sensi, Serracchiani, Siani, Topo, Ungaro, Vazio, Verini, Viscomi, Zan, Zardini».


   La Camera

impegna il Governo:

1) a mettere in campo tutte le iniziative necessarie a rendere efficace il complesso sistema di strumenti e di tutele citati in premessa, con l'obiettivo di raggiungere la piena applicazione della Convenzione di Istanbul;

2) ad assumere iniziative per proseguire nella strada tracciata dai Governi Letta, Renzi e Gentiloni, attuando la strategia delineata dal Piano nazionale 2017-2020 e implementando e monitorando le linee guida nazionali per l'assistenza sociosanitaria alle donne che subiscono violenza e che si rivolgono ai pronto soccorso;

3) ad assumere iniziative per favorire il coordinamento tra processo penale, civile e procedimenti presso i tribunali per i minorenni, al fine di garantire un'efficace protezione delle donne e dei loro figli e per evitare l'affido condiviso nei casi in cui vi sia violenza domestica;

4) a promuovere la parità tra i sessi e la prevenzione della violenza di genere attraverso l'educazione scolastica, assumendo iniziative per destinare a tale scopo nuove risorse finanziarie;

5) a promuovere strumenti e procedure di valutazione del rischio di letalità per la vittima, gravità, reiterazione e recidiva del reato, partendo dai protocolli di valutazione del rischio sviluppati nell'ambito degli studi e delle ricerche sulla violenza di genere e ai protocolli investigativi in via di diffusione presso le forze dell'ordine con specifico riferimento a questa materia (ad esempio, il protocollo Eva);

6) ad assumere iniziative per investire risorse adeguate per la formazione specifica e per il necessario aggiornamento del personale chiamato ad interagire con la vittima, polizia e carabinieri, magistrati, personale della giustizia, polizia municipale e personale sanitario, anche nell'ambito di specifiche provviste finanziarie destinate alla violenza di genere;

7) ad assumere iniziative per favorire modalità organizzative condivise, utili ad assicurare la trattazione prioritaria dei procedimenti e la protezione alla vittima anche in ambito processuale, così come indicato nelle linee guida del Consiglio superiore della magistratura;

8) ad adottare politiche volte a garantire la parità di genere e ad incrementare l'occupazione femminile, elemento quest'ultimo fondamentale per la liberazione delle donne dalla violenza;

9) ad assumere iniziative per dare attuazione all'articolo 17 della Convenzione di Istanbul;

10) a invertire la rotta intrapresa dal Governo adottando iniziative per eliminare i tagli e anzi incrementando le risorse destinate al Fondo per le pari opportunità, al Fondo per le vittime di reati intenzionali violenti, al Fondo antitratta e in generale a tutte le politiche per la promozione della parità di genere e per la prevenzione ed il contrasto di ogni forma di violenza contro le donne;

11) a mettere in campo strategie efficaci per prevenire e perseguire ogni forma di violenza, fisica, psicologica e sessuale, che può affliggere le donne nel contesto di un rapporto di lavoro;

12) a promuovere, in sede internazionale, l'impegno dell'Italia affinché tutti i Paesi del G7 arrivino ad adottare un piano nazionale contro la violenza di genere;

13) ad adottare iniziative normative ed organizzative necessarie all'attuazione della legge n. 4 del 2018, volta a rafforzare le tutele per i figli rimasti orfani a seguito di un crimine domestico, al fine di renderla finalmente pienamente operativa;

14)  in relazione all'istituendo «Tavolo di coordinamento per la creazione di una rete integrata di servizi di assistenza alle vittime di reato», a chiarire la natura (onerosa, gratuita o in regime di convenzione) e il contenuto della prestazione che si prevede di offrire agli utenti degli istituendi «centri di ascolto», all'uopo precisando modalità di selezione e remunerazione del personale che opererà in detti centri.
(1-00070)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Annibali, Boldrini, Gebhard, Anzaldi, Ascani, Bazoli, Benamati, Berlinghieri, Boccia, Bonomo, Bordo, Enrico Borghi, Boschi, Braga, Bruno Bossio, Buratti, Campana, Cantini, Carla Cantone, Cardinale, Carè, Carnevali, Ceccanti, Cenni, Ciampi, Colaninno, Critelli, Dal Moro, D'Alessandro, De Filippo, De Luca, De Maria, De Menech, De Micheli, Del Barba, Del Basso De Caro, Delrio, Di Giorgi, Marco Di Maio, Fassino, Ferri, Fiano, Fragomeli, Franceschini, Fregolent, Gadda, Gariglio, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giorgis, Gribaudo, Guerini, Incerti, La Marca, Lacarra, Lepri, Librandi, Losacco, Lotti, Madia, Gavino Manca, Mancini, Marattin, Martina, Mauri, Melilli, Miceli, Migliore, Minniti, Mor, Morani, Morassut, Moretto, Morgoni, Mura, Nardi, Navarra, Nobili, Noja, Orfini, Orlando, Padoan, Pagani, Ubaldo Pagano, Paita, Pellicani, Pezzopane, Piccoli Nardelli, Pini, Pizzetti, Pollastrini, Portas, Prestipino, Quartapelle Procopio, Raciti, Rizzo Nervo, Andrea Romano, Rosato, Rossi, Rotta, Scalfarotto, Schirò, Sensi, Serracchiani, Siani, Topo, Ungaro, Vazio, Verini, Viscomi, Zan, Zardini».


   La Camera,
   premesso che:
    la violenza sulle donne è un fenomeno sociale drammatico, difficile da quantificare; i dati disponibili ne evidenziano le enormi proporzioni: quasi sette milioni di donne hanno subito qualche forma di abuso nel corso della loro vita, come violenze domestiche, stalking, stupro, insulto verbale e violazioni della propria sfera intima e personale, che rappresentano spesso tentativi di cancellarne l'identità, di minarne l'indipendenza e la libertà di scelta;
    i numeri del femminicidio, forma estrema del fenomeno, sono inquietanti: negli ultimi 5 anni se ne registrano 774, una media di circa 150 all'anno; in Italia, ogni due giorni circa, viene uccisa una donna: nel 2016 ci sono stati 120 casi di femminicidio e anche nel 2017 la media è stata di una vittima ogni tre giorni; negli ultimi dieci anni le donne uccise in Italia sono state 1.740, di cui 1.251 (il 71,9 per cento) in famiglia;
    particolarmente allarmante, come anche attestato da più recenti fatti di cronaca, risulta in Italia l'aumento del numero e della ferocia dei reati di natura sessuale contro le donne, spesso minorenni e quindi più vulnerabili, da parte di stranieri irregolari, in quanto evidente conseguenza di una pregressa e carente gestione del fenomeno migratorio, ed altresì degli atti di violenza, di diversa natura, nei confronti delle donne finalizzati ad impedire alle stesse l'esercizio in Italia dei diritti e delle libertà a loro riconosciute dalla nostra Costituzione, la cui condivisione deve essere, invece, considerata fondamentale per un reale processo di integrazione;
    l'Italia ha firmato e ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ovvero la cosiddetta Convenzione di Istanbul, aperta alla firma l'11 maggio del 2011: si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza;
    la XVII legislatura si è caratterizzata per la ratifica della citata Convenzione di Istanbul, con la legge n. 77 del 2013, per l'introduzione di modifiche al codice penale e di procedura penale per inasprire le pene di alcuni reati, più spesso commessi nei confronti di donne, per l'emanazione del «Piano d'azione contro la violenza sessuale e di genere 2015-2017» e per l'adeguamento di stanziamenti per il supporto delle vittime;
    l'articolo 3 della legge n. 77 del 2013 precisa che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani ed è una forma di discriminazione contro le donne;
    con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 è stato adottato il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e sulle donne, previsto dall'articolo 5 del decreto-legge n. 93 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2013, con l'obiettivo di disegnare un sistema di politiche pubbliche che integri dal punto di vista degli interventi le previsioni di carattere penale contenuti nella legge;
    per tali finalità il decreto-legge n. 93 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2013, ha stanziato risorse per finanziare progetti territoriali e formazione al fine di dare attuazione agli interventi per la valorizzazione dei progetti territoriali, per la formazione degli operatori impegnati negli interventi, per il sostegno all'emancipazione delle donne maltrattate e alle iniziative di prevenzione culturale della violenza sessuale e sulle donne, soprattutto sul fronte dell'educazione e del recupero;
    nel dicembre 2017 è stato emanato il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020. Il Piano si fonda su quattro linee di intervento: prevenzione, protezione e sostegno, repressione dei reati, assistenza e promozione;
    tra le finalità del piano nazionale emerge quella di creare e mettere in esercizio una banca dati nazionale e informatizzata, come strumento determinante e completo per lo studio del fenomeno della violenza contro le donne e per la conseguente definizione di azioni e politiche di intervento attraverso il miglioramento della conoscenza di dettaglio, tanto per la tutela delle vittime quanto per la prevenzione e la repressione dei fenomeni stessi, nonché per il monitoraggio dell'incidenza dei suddetti interventi;
    ai sensi della Convenzione, è stato istituito un gruppo di esperti indipendenti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Group of experts on action against violence against women and domestic violence – Grevio), incaricato di monitorare l'attuazione della stessa da parte degli Stati aderenti; il Grevio è tenuto a pubblicare i report valutativi degli strumenti adottati dalle parti per attribuire efficacia alle previsioni contenute nella Convenzione;
    il 29 ottobre 2018 è stato trasmesso al Gruppo esperte sulla violenza del Consiglio d'Europa (Grevio) presso il Consiglio d'Europa, il rapporto delle associazioni di donne sull'attuazione della Convenzione di Istanbul in Italia, che analizza la situazione italiana in materia di contrasto alla violenza sulle donne. Due i nodi principali all'interno di un contesto culturale italiano fortemente permeato da pregiudizi e stereotipi sessisti: la distanza tra le norme adottate e declamate e la loro applicazione in concreto, l'applicazione disomogenea nel territorio nazionale delle norme e dei finanziamenti per azioni/servizi in contrasto alla violenza contro le donne, con conseguente mancanza di tutela dei diritti delle vittime di violenza;
    nel marzo 2016 è stata approvata all'unanimità dal Consiglio d'Europa la risoluzione Systematic collection of data on violence against women, della prima firmataria del presente atto di indirizzo, sulla necessità di creare una banca dati sistematica secondo metodologie omogenee fra Paesi; basti pensare che allo stato attuale, nelle banche dati esistenti, non è stato ancora inserito il dato riguardante la relazione fra autore e vittima;
    la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, adottata a livello internazionale nel 1979 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite ed entrata in vigore il 3 settembre 1981, ha istituito un comitato (Committee on the elimination of discrimination against women – Cedaw) con il compito di verificare lo stato di applicazione delle norme contenute nella Convenzione e che è composto da esperte nel campo dei diritti delle donne, provenienti da 23 Paesi ed elette a scrutinio segreto da una lista di candidature presentate dagli Stati firmatari della Convenzione;
    l'Italia ha ratificato la Cedaw il 10 giugno 1985 e aderito al Protocollo opzionale il 29 ottobre 2002;
    ogni Stato che ratifica la Convenzione, o vi aderisce, ha l'obbligo di presentare al Cedaw dei rapporti periodici in cui vengano illustrate le azioni compiute dallo Stato in questione per dare applicazione alle norme contenute nella suddetta Convenzione. Il primo rapporto va presentato entro un anno dalla data di ratifica, e successivamente, i rapporti vanno presentati ogni quattro anni;
    a seguito dell'analisi del rapporto, a carattere quadriennale, presentato a Ginevra dal Governo italiano il 4 luglio 2017, il Cedaw ha pubblicato il « Concluding observations on the seventh periodic report of Italy», datato 21 luglio 2017, nel quale sulla base di diffuse criticità, ha esplicitato le proprie perplessità e indicato le lacune alle quali il Governo italiano dovrà provvedere e rispondere con un nuovo rapporto fra due anni;
    in particolare, il Comitato evidenzia che per l'Italia è necessario rafforzare la consapevolezza delle donne circa i loro diritti ai sensi della Convenzione e i rimedi a loro disposizione per denunciare le violazioni di tali diritti. Allo stesso tempo, si afferma anche che il Governo italiano dovrà impegnarsi a rendere fruibili le informazioni sulla Convenzione, sul protocollo facoltativo e sulle raccomandazioni generali del Comitato a tutte le donne, nessuna esclusa. Dal rapporto si evince che in Italia manca il coordinamento tra le varie componenti regionali e locali e una chiara definizione dei mandati e delle responsabilità. Il Comitato suggerisce di aumentare le risorse assegnate al Dipartimento per le pari opportunità e di istituire un Ministero ad hoc necessario per avviare, coordinare e attuare le politiche di uguaglianza tra uomini e donne;
    per una più incisiva prevenzione appare fondamentale intervenire nelle scuole, avviando con gli studenti un'attività interdisciplinare che conduca a riflettere sulle situazioni attuali e combatterle e a mostrare le continue e distorte costruzioni dei ruoli maschili e femminili. Solo instaurando un dialogo attivo su queste tematiche sarà possibile combattere e superare quei presupposti culturali che alimentano e incentivano la discriminazione tra i sessi e che, se non contrastati, continueranno a crescere;
    pertanto, sarebbe oltremodo auspicabile che sia garantita pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando diseguaglianze e barriere, nonché ai fini della conciliazione tra tempi di vita, di cura e di lavoro dei genitori, della promozione della qualità dell'offerta educativa e della continuità tra i vari servizi educativi e scolastici e la partecipazione delle famiglie;
    il triste fenomeno di violenza sulle donne si radica soprattutto nel contesto familiare, portando con sé, oltre alle drammatiche conseguenze che ormai sono sempre più frequentemente oggetto di cronaca, anche tutta una serie di situazioni paradossali che vedono il reo autore di violenza, anziché essere considerato indegno, in caso di morte della vittima, mantenere una serie di benefici economici successori legati allo status di coniuge, anche spesso a discapito dei figli;
    il Parlamento ha approvato la legge 11 gennaio 2018, n. 4, in materia di modifiche al codice civile, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani di crimini domestici;
    quando si parla di violenza contro le donne, più spesso ci si riferisce alla violenza fisica, sessuale, psicologica, ma si parla poco di una violenza altrettanto diffusa e lesiva quale la violenza economica, che rappresenta una forma di violenza difficilmente riconoscibile e poco denunciata e che, ancora prima di radicarsi nell'ambito familiare, comincia nella nostra cultura, dove la donna viene ancora oggi penalizzata da molti punti di vista, compreso il mondo del lavoro, determinando di fatto uno stato di subalternità economica, fisica e psicologica, con tutte le devastanti conseguenze che ne derivano;
    nella seduta del Consiglio dei ministri del 23 novembre 2017, previa intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata del medesimo giorno, è stato approvato il «Piano strategico nazionale contro la violenza maschile sulle donne (2017-2020)» che definisce la strategia complessiva per dare attuazione alla Convenzione di Istanbul, attraverso un percorso condiviso tra tutti gli attori istituzionali e non coinvolti nella tematica, secondo una logica di partenariato e di definizione di politiche integrate;
    il predetto piano è articolato secondo tre assi di intervento: prevenzione, protezione e sostegno, perseguire e punire congiuntamente a un asse trasversale di supporto all'attuazione (assistenza e promozione) nel cui ambito è prevista la costruzione di un sistema integrato di raccolta dati e una azione continua e puntuale di monitoraggio e valutazione;
    il 26 settembre 2018, si è svolta la prima riunione della cabina di regia politico-programmatica prevista dal Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020, convocata dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle pari opportunità, al fine di dare concreta attuazione al Piano strategico attraverso la stesura di un Piano operativo;
    parallelamente è stato istituito un comitato tecnico composto da delegati degli stessi Ministeri, regioni ed enti locali componenti della cabina di regia, integrato dalle principali associazioni ed organizzazioni di settore, che si è riunito il 29 ottobre 2018;
    nel 2017 è stato sottoscritto l'accordo tra il Dipartimento per le pari opportunità e il Consiglio nazionale delle ricerche per la realizzazione di un'indagine quali-quantitativa sull'offerta dei servizi di supporto alle donne vittime di violenza esistenti a livello nazionale, nonché di un'analisi valutativa dei processi attuativi del «Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere» (2015-2017) e di quelli del «Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne (2017-2020)»;
    complementare al citato accordo è quello sottoscritto nel 2016 tra il Dipartimento per le pari opportunità e l'Istat per elaborare una banca dati nazionale sul fenomeno della violenza e sulla conduzione di indagini sul tema;
    il 25 ottobre 2018, nel corso di una conferenza stampa tenuta presso il Ministero della giustizia, è stato presentato il disegno di legge per la tutela delle vittime di violenza domestica e sulle donne, cosiddetto «Codice Rosso», che sarà portato a breve in Consiglio dei ministri,

impegna il Governo:

1) ad assicurare che i finanziamenti stanziati annualmente siano erogati regolarmente senza ritardi e vincolati all'assunzione di impegni precisi, all'individuazione delle priorità e alla valutazione dei risultati ottenuti;

2) ad assumere iniziative, anche di tipo normativo, per compensare nel breve periodo le gravi lacune del sistema italiano evidenziate dal rapporto « Concluding observations on the seventh periodic report of Italy», secondo quanto segnalato in premessa;

3) a prevedere indicatori per la valutazione, da effettuarsi con cadenza annuale o comunque per ogni ciclo di finanziamento, dell'impatto degli stanziamenti per informare circa le future strategie di intervento, tramite la consultazione delle organizzazioni della società civile e dei centri antiviolenza;

4) a predisporre una sezione all'interno del sito del Dipartimento per le pari opportunità volta a rendere accessibile, in tempi rapidi, la rendicontazione completa delle attività finanziate con i fondi del decreto-legge n. 93 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2013, nella quale le amministrazioni regionali e locali possano caricare direttamente e in autonomia la documentazione rilevante (delibere, risultati bandi, reportistica delle attività svolte da parte dei beneficiari dei fondi e altro), facendo sì che tali informazioni siano disponibili in formato «aperto» (open data), nonché uno strumento efficace e incisivo di segnalazione di materiale sessista che non si limiti esclusivamente all'ambito pubblicitario;

5) ad aggiornare la mappatura dei centri antiviolenza del Dipartimento per le pari opportunità, secondo la reportistica ricevuta da regioni e province autonome, anche al fine di stimare il fabbisogno reale dei centri antiviolenza per la loro sopravvivenza e il loro adeguato funzionamento, informando di conseguenza circa lo stanziamento necessario per assicurare servizi adeguati su tutto il territorio;

6) ad implementare tutti gli strumenti necessari per perseguire le priorità contenute nel «Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne (2017/2020)», nonché a valutare di assumere iniziative in relazione all'ormai improcrastinabile necessità di superare il carattere di straordinarietà del piano stesso a favore di azioni non improntate all'eccezionalità, ma di carattere sistematico;

7) ad assumere iniziative per incoraggiare il settore privato, il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e i mass-media, nel rispetto della loro indipendenza e della libertà di espressione, a partecipare all'elaborazione e all'attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolamentazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità, anche promuovendo una comunicazione improntata al pieno rispetto della dignità culturale e professionale delle donne e vietando forme di comunicazione che possano indurre una fuorviante percezione dell'immagine femminile;

8) ad assumere iniziative per introdurre, nell'ambito delle istituzioni scolastiche, anche contemplando il potenziamento dell'offerta formativa, percorsi e progetti mirati a garantire pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, con il coinvolgimento delle famiglie, al fine di superare ogni tipo di disuguaglianza e discriminazione, in tal modo educando le nuove generazioni alla parità tra uomo e donna e all'affettività, nonché a definire linee guida che forniscano indicazioni per includere nei programmi scolastici i temi dell'educazione alla legalità, del diritto all'integrità dell'identità personale e del contrasto alla violenza sulle donne e allo sfruttamento della prostituzione;

9) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, finalizzate a rendere obbligatoria una formazione specifica di tutti/e gli/le operatori/operatrici di giustizia (giudici, pubblici ministeri, appartenenti alle forze dell'ordine, operatori/operatrici dei servizi sociali, polizia penitenziaria, personale addetto alle case di accoglienza o case rifugio o comunità) per meglio affrontare e contrastare il dilagante fenomeno della violenza sulle donne e dello sfruttamento della prostituzione;

10) ad assumere iniziative normative finalizzate ad introdurre (in caso di condanna per omicidio di una donna) come pena accessoria la «indegnità» del reo rispetto agli eredi, affinché il giudice penale dichiari il condannato decaduto da ogni diritto ereditario in quanto «indegno a succedere», senza necessità di un'azione civile da parte degli eredi, nonché iniziative normative volte ad escludere, dall'applicabilità dell'istituto introdotto all'articolo 162-ter del codice penale relativo all'estinzione del reato per condotte riparatorie, i delitti che implichino violenza nei confronti delle donne e ad inasprire le pene per la violenza sessuale, con l'introduzione di nuove aggravanti e aumenti di pena per i soggetti più vulnerabili;

11) ad adottare iniziative normative finanziarie o ogni altra utile iniziativa di competenza, nel rispetto dell'articolo 16 della Convenzione di Istanbul, per sostenere programmi di trattamento per la prevenzione della recidiva degli autori di violenza, in particolare per i reati di natura sessuale, anche tramite centri di ascolto coordinati a livello nazionale;

12) ad assumere iniziative normative o regolamentari, volte a prevedere percorsi specifici in carcere per gli autori di reati di violenza sessuale sulle donne e di sfruttamento della prostituzione, inclusi interventi sulla disciplina concernente l'ordinamento penitenziario volti a rendere obbligatoria per i detenuti per reati contro le donne la destinazione di una percentuale del reddito generato da lavoro in favore del risarcimento delle vittime;

13) ad assumere iniziative volte a verificare l'attività del comitato tecnico composto da delegati dei diversi Ministeri competenti di cui in premessa, delle regioni e degli enti locali, componenti della cabina di regia;

14) ad adottare le iniziative necessarie a garantire, su tutto il territorio nazionale, che le vittime di reati, come lo sfruttamento della prostituzione, possano essere inserite in percorsi sociali al fine di rompere definitivamente il legame con gli sfruttatori;

15) ad assumere ogni più opportuna iniziativa, anche a scopo preventivo, avverso qualsiasi atto di violenza nei confronti delle donne volto ad impedire in Italia alle stesse l'esercizio dei diritti e delle libertà a loro riconosciute dalla Costituzione e per garantire che l'effettiva condivisione dei valori in essa sanciti sia un requisito fondamentale per un reale processo di integrazione.
(1-00074)
(Nuova formulazione) «D'Arrando, Panizzut, Spadoni, Dadone, Ascari, Sportiello, Salafia, Piera Aiello, Barbuto, Businarolo, Cataldi, Di Sarno, Di Stasio, Dori, D'Orso, Giuliano, Palmisano, Perantoni, Saitta, Sarti, Scutellà, Cantalamessa, Bisa, Boniardi, Di Muro, Marchetti, Paolini, Potenti, Tateo, Turri, Bologna, Lapia, Lorefice, Mammì, Menga, Nappi, Nesci, Provenza, Sarli, Trizzino, Leda Volpi, Boldi, Locatelli, Lazzarini, De Martini, Foscolo, Segnana, Tiramani, Ziello, Iovino, Carbonaro, Tuzi, Lattanzio, Testamento, Casa, Suriano, Di Lauro, Galizia, Bruno, Giordano, Giovanni Russo, Bilotti, Manzo».


   La Camera,
   premesso che:
    come si evince dai recenti fatti di cronaca, la violenza contro le donne sta sempre più assumendo i tratti di una grave emergenza. Essa rappresenta la manifestazione più grave e brutale della disparità storica nei rapporti di forza tra i generi, nonché un'evidente violazione dei diritti umani;
    la violenza di genere, come affermato dal già Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, affligge tutte le etnie e tutte le classi sociali e «non conosce confini né geografia, cultura o ricchezza»;
    l'articolo 1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993 sull'eliminazione della violenza contro le donne descrive questo tragico fenomeno come «ogni atto di violenza fondato sul genere che abbia, o possa avere, come risultato un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione e la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata»;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa del 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, sottoscritta dall'Italia nel settembre 2012, che rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante in materia, definisce la violenza contro le donne come «una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali fra i sessi»;
    le vicende di cronaca riportano, con sempre maggiore frequenza, episodi delittuosi commessi nei confronti di donne molestate, minacciate, violentate, stuprate ed uccise e che vivono in un contesto di paura e disagio per le strade, nei mezzi pubblici e persino nel proprio contesto domestico;
    i dati recenti sono sempre più preoccupanti: la violenza è una tra le prime cause di morte per le donne di età compresa tra i 16 ed i 44 anni; ogni anno più di cento donne sono uccise per mano di chi aveva promesso di amarle, con una media di una donna uccisa ogni 3 giorni;
    la circostanza che desta maggiore preoccupazione è che gli autori delle violenze più gravi (violenza fisica o sessuale) sono, in prevalenza, i partner attuali o gli ex partner;
    spesso le vittime, afflitte dalla violenza subita ed in condizioni di manifesta fragilità, hanno difficoltà di interlocuzione con il personale impiegato nelle strutture di pubblica sicurezza, non sempre specificamente formati per gestire tali delicate situazioni con l'approccio necessario; mentre è evidente che nei momenti immediatamente successivi alla violenza subita, l'ascolto da parte di personale dotato della necessaria professionalità rappresenta uno strumento prezioso, se non imprescindibile, per aiutare le vittime a ricominciare a vivere con serenità;
    dal momento in cui una donna trova la forza per denunciare la violenza subita deve poter contare su un'adeguata assistenza da parte dello Stato che in questa partita gioca un ruolo cruciale. Infatti, alle donne che hanno subito una violenza, nonché ai parenti delle vittime di femminicidio, è importante garantire un'adeguata assistenza psicologica fornita dal personale medico altamente qualificato e scelto direttamente dall'ordine preposto;
    il percorso di recupero e di superamento psicologico, oltre che fisico, dei danni subiti dalle vittime delle violenze è ulteriormente ostacolato dalla lunghezza del processo;
    un meccanismo di tutela efficace delle vittime di violenza che sarebbe opportuno prevedere, appare costituito dalla modifica dell'articolo 347 del codice di procedura penale, al fine di disporre l'obbligo per la polizia giudiziaria di riferire al pubblico ministero entro ventiquattro ore le notifiche di reato acquisite se riguardano violenza sessuale, maltrattamenti, atti persecutori e lesioni aggravate; stabilire l'obbligo per il pubblico ministero di concludere le fasi delle indagini preliminari entro e non oltre 45 giorni, al cui esito vi deve essere l'obbligo, in caso di sussistenza di gravi indizi, di richiedere l'emissione della misura interdittiva che disponga il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nonché di comunicare con la stessa, attraverso qualsiasi mezzo (articolo 282-ter del codice di procedura penale), e, infine, prevedere l'obbligo per il giudice per le indagini preliminari, in caso di sussistenza di gravi indizi e ove sussistano le esigenze cautelari previste dal codice di procedura penale, di emettere entro il termine perentorio di 5 giorni dalla richiesta un'ordinanza cautelare per i casi di cui all'articolo 282-ter del codice di procedura penale;
    in passato sono state poste in essere diverse iniziative positive e meritorie nella direzione del rafforzamento delle misure di tutela contro la violenza sulle donne; non ci si può esimere, a tal riguardo, dal dare atto di quanto realizzato durante il IV Governo Berlusconi, quando, per la prima volta, è stato posto in essere un piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, finanziato con oltre 18 milioni di euro e teso a realizzare una strategia di contrasto su scala nazionale, con l'obiettivo di ottenere una positiva collaborazione tra i centri antiviolenza delle regioni, il numero verde 1522 e le diverse professionalità esistenti nelle fila delle forze dell'ordine;
    con la tipizzazione del reato di stalking, avvenuta nel 2009, il Governo e il Parlamento hanno dimostrato un adeguato livello di attenzione all'individuazione di strategie di contrasto e di prevenzione della violenza, realizzando un importante passo in avanti nel sistema legislativo;
    il decreto-legge n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2009, oltre a prevedere il reato di stalking nell'ordinamento italiano, ha introdotto ulteriori interventi in materia di violenza sessuale; il provvedimento, in particolare, ha introdotto l'arresto obbligatorio in flagranza per la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo, nonché disposizioni volte a rendere più difficile ai condannati per taluni delitti a sfondo sessuale l'accesso ai benefìci penitenziari, tra cui le misure alternative alla detenzione. La medesima legge ha, inoltre, consentito l'accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti, a favore della persona offesa da taluni reati a sfondo sessuale. Il decreto-legge n. 11 del 2009 ha poi previsto, quale aggravante speciale dell'omicidio, il fatto che esso sia commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo, nonché da parte dell'autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa;
    sempre nell'ambito delle numerose attività portate avanti durante i Governi Berlusconi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne, a partire dal 2009, ogni anno (dal 12 al 18 ottobre) nelle scuole, di ogni ordine e grado, sono state organizzate iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione sulla prevenzione della violenza fisica e psicologica, compresa quella fondata sull'intolleranza razziale, religiosa e di genere, al fine di creare delle occasioni concrete di riflessione sui temi del rispetto, della diversità e della legalità, con l'obiettivo di coinvolgere studenti, genitori e docenti;
    con il protocollo d'intesa, siglato il 15 gennaio 2009, tra il Ministro per le pari opportunità e il Ministro della difesa è stata istituita, presso il Dipartimento per le pari opportunità, la sezione atti persecutori dei carabinieri: si tratta di una task force composta da 13 carabinieri (uomini e donne) impegnati nelle strategie di prevenzione e di contrasto dei reati di stalking e di violenza contro le donne;
    con il protocollo d'intesa, siglato il 3 luglio 2009, tra il Ministro per le pari opportunità e il Ministro dell'interno sono state adottate misure volte a consentire una specifica preparazione delle forze di polizia nel contrasto dei reati di violenza contro le donne;
    l'impegno del Governo Berlusconi non si è, peraltro, limitato al territorio nazionale: il 9 e 10 settembre 2009 si è tenuta a Roma la prima Conferenza internazionale sulla violenza contro le donne, su iniziativa della Presidenza italiana del G8, ai cui lavori hanno partecipato oltre 20 Stati. Dalle conclusioni della Presidenza è emerso un impegno formale al rafforzamento della cooperazione internazionale nel contrasto alla violenza sulle donne e alla violazione dei loro diritti umani;
    tuttavia, la situazione odierna è ben diversa rispetto agli impegni profusi dai Governi Berlusconi; l'attività dell'attuale Esecutivo appare ai firmatari del presente atto di indirizzo deficitaria e lacunosa e si sta compiendo un grande errore nell'interrompere il percorso virtuoso avviato dall'ultimo Governo Berlusconi, che aveva ottenuto risultati notevoli nel contrasto alla violenza sulle donne sulla base del consenso e della proficua collaborazione di tutte le forze politiche presenti in Parlamento, nonché col sostegno e la preziosa ed attiva collaborazione dei membri del mondo dell'associazionismo dei centri antiviolenza;
    sebbene siano trascorsi oltre cento giorni dall'insediamento dell'attuale Esecutivo, ad oggi non si ravvisa una strategia chiara e finalizzata a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne. Infatti, l'approccio scelto dal Governo, come si può evincere dal «Contratto di Governo per il Cambiamento», appare ai firmatari del presente atto di indirizzo esclusivamente securitario e repressivo e le misure proposte appaiono tutte in evidente contrasto con quanto prescritto dalla Convenzione di Istanbul, cui l'Italia è vincolata;
    sarebbe sufficiente considerare che nel giorno dell'insediamento del nuovo Governo, il Presidente del Consiglio dei ministri, nel suo discorso alle Camere, non ha mai nominato, neanche una volta, gli episodi tragici che hanno coinvolto le donne uccise per mano maschile; una conferma di questa carenza di sensibilità è rappresentata dal fatto che nella compagine governativa è assente la figura del Ministro per le pari opportunità e nel Consiglio dei ministri le donne sono appena cinque;
    questa superficialità nell'affrontare un tema che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, dovrebbe rappresentare una priorità per le istituzioni è il risultato evidente della scarsa attenzione che questo Governo dedica a questa tematica;
    relativamente agli interventi economici, nella legge di bilancio per il 2019 le somme stanziate per il fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità subiscono una decurtazione di circa 1,8 milioni di euro per il triennio 2019, 2020 e 2021 e il fondo per le vittime di reati intenzionali violenti destinato anche agli orfani per crimini domestici subisce una decurtazione rispetto agli anni precedenti;
    nonostante il 10 maggio 2018 la Conferenza Stato-regioni abbia espresso l'intesa sul riparto del «Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità per il 2018», ad oggi non risulta che le risorse siano state trasferite alle regioni, generando, in questo modo, evidenti problematiche per tutte quelle strutture che quotidianamente svolgono un lavoro importante a favore delle donne;
    nella XVII legislatura, la prima tranche dello stanziamento del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità del 2013-2014 è stata trasferita alle regioni solo nell'autunno del 2014 e, una volta che la somma è arrivata nelle casse regionali, nella maggior parte dei casi se n’è persa traccia. Come documentato da Actionaid Italia, di trasparenza nella distribuzione ce n’è stata ben poca, tanto che a novembre 2015 solo per dieci amministrazioni era possibile consultare la lista delle strutture beneficiarie dei fondi, di cui solo cinque – Veneto, Piemonte, Sardegna, Sicilia e Puglia – hanno pubblicato on line i nomi di ciascuna struttura e i fondi ricevuti;
    la Corte dei conti, con deliberazione 5 settembre 2016, n. 9/2016/G, critica severamente la gestione ordinamentale amministrativa e finanziaria delle politiche pubbliche contro la violenza; nello specifico «passando al finanziamento specificamente destinato al potenziamento delle strutture destinate all'assistenza alle donne vittime di violenza e ai loro figli, deve farsi presente che del tutto insoddisfacente è risultata la gestione delle risorse assegnate per gli anni 2013-2014, le uniche ripartite nel periodo all'esame. Le comunicazioni degli enti territoriali all'autorità centrale si sono rilevate carenti e inadeguate rispetto alle finalità conoscitive circa l'effettivo impiego delle risorse e all'esigenza della valutazione dei risultati»;
    per quanto riguarda più propriamente gli interventi di natura legislativa, si sta assistendo soltanto a parole vuote, retoriche e tanta indifferenza, mentre la strage delle vittime della violenza continua incessante;
    nel 2014, grazie ad una puntuale proposta emendativa di Forza Italia è stata scongiurata l'abolizione della carcerazione preventiva per il reato di stalking prevista, inizialmente, nel disegno di legge in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria;
    la scarsa attenzione al tema è stata, altresì, dimostrata con la riforma del codice penale, approvata con la legge 23 giugno 2017, n. 103, che, tra le varie misure, reca disposizioni in materia di estinzione del reato per condotte riparatorie e introduce, attraverso l'articolo 162-ter del codice penale, la possibilità per uno stalker di estinguere il suo reato pagando una somma decisa dal giudice, anche se la vittima è contraria e rifiuta il denaro;
    contro tale misura, il gruppo di Forza Italia ha condotto una vera e propria battaglia, presentando una proposta di legge diretta ad escludere la possibilità di estinzione per condotte riparatorie, ai sensi dell'articolo 162-ter del codice penale, del reato di atti persecutori, che il Governo ha successivamente deciso di fare propria con un emendamento al decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172;
    una delle principali ragioni che ha spinto il legislatore a introdurre la specifica incriminazione di «atti persecutori» (articolo 612-bis del codice penale) è stata proprio la necessità di assicurare una risposta sanzionatoria adeguata di fronte a condotte persecutorie spesso devastanti per la personalità dei soggetti passivi;
    la fattispecie criminosa di cui all'articolo 612-bis del codice penale prevede un limite edittale massimo di cinque anni di reclusione; la suddetta soglia è necessaria per consentire l'applicazione delle misure cautelari coercitive a carico degli stalker, al fine di evitare la protrazione dei comportamenti persecutori che, il più delle volte, possono sfociare in atti di violenza nei confronti delle donne;
    nel corso della XVII legislatura, con decreto ministeriale del 31 agosto 2017, sono stati, altresì, determinati gli importi dell'indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti, prevedendo una somma di 7.200 euro per il reato di omicidio, 8.200 euro (in favore dei figli della vittima) per omicidio commesso dal coniuge o da persona che è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa e 4.800 euro per la violenza sessuale, salvo che ricorra la circostanza attenuante della minore gravità. Questi importi, oltre ad essere totalmente inadeguati, risultano offensivi della dignità di chi purtroppo, ancora oggi, è costretto a subire violenza;
    la cabina di regia interistituzionale, istituita con decreto del 25 luglio 2016 del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento con delega alle pari opportunità, con riferimento alla quale non si è avuta conoscenza né del numero delle riunioni, né delle politiche attuate, nella XVIII legislatura sembrerebbe essere stata convocata soltanto una volta dal Sottosegretario con delega alle pari opportunità;
    la violenza di genere costituisce un chiaro ostacolo alla piena partecipazione delle donne alla vita sociale, economica e politica del Paese;
    appare indispensabile la realizzazione di un quadro giuridico completo, finalizzato a proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, grazie a misure di prevenzione, di tutela in sede giudiziaria e di sostegno alle vittime;
    è altresì opportuno che il legislatore prenda in considerazione il fatto che oggigiorno la violenza presenta molteplici sfaccettature e una dimostrazione di ciò è l'allarmante crescita di episodi di diffusione sul web di immagini e video privati sessualmente espliciti, contro la volontà delle persone ivi riprese, fattispecie lesive che conseguono effetti nefasti sulla psiche delle vittime che arrivano, troppo spesso, anche a gesti estremi, come il suicidio;
    il fenomeno del «sexting» sta assumendo le dimensioni di una vera e propria piaga sociale, spesso collegata a quella del cyberbullismo, del quale rappresenta una delle forme più lesive e del quale sono vittima soprattutto le donne;
    collegato al precedente fenomeno, anch'esso in preoccupante espansione e spesso devastante, è quello del cosiddetto « revenge sexting o porn», per mezzo del quale la pubblicazione e la divulgazione, attraverso strumenti informatici o telematici, di contenuti intimi ed espliciti avviene a scopo di «vendetta»;
    il «revenge porn» spesso segue la fine di una relazione sentimentale e viene utilizzato come strumento di diffamazione con finalità ritorsive nei confronti delle vittime, prevalentemente donne, e, anche in questi casi, le conseguenze, non solo psicologiche ma anche sociali, sono devastanti;
    partendo dal presupposto che solo con un profondo mutamento culturale si potrebbe combattere in modo efficace il fenomeno della violenza di genere, è necessario mettere in campo iniziative, anche in sede legislativa, volte a porre un freno all'incontenibile fenomeno di violenze che, purtroppo, ancora oggi molte donne sono costrette a subire,

impegna il Governo:

1) ad intraprendere le opportune iniziative volte a implementare e migliorare le attività di contrasto alla violenza contro le donne, affinché ogni sua manifestazione possa essere perseguita in modo efficace e tempestivo;

2) ad informare il Parlamento sui costi della violenza, in termini economici, sociali e sanitari, al fine di avere un quadro il più chiaro possibile su cui intervenire attraverso gli opportuni strumenti legislativi;

3) ad assumere iniziative per prevedere un intervento nelle scuole con programmi mirati di formazione agli studenti per prevenire la violenza nei confronti delle donne, anche declinati su un corretto utilizzo del web, mirato anche alla consapevolezza di quelle che possono essere le conseguenze drammatiche, evitando un suo utilizzo, spesso superficiale, errato;

4) ad assumere iniziative di competenza volte a provvedere rapidamente all'erogazione alle regioni delle risorse, ripartite in Conferenza Stato-regioni il 10 maggio 2018, nonché a garantire ulteriori stanziamenti da erogare ai centri antiviolenza e alle case rifugio, per evitare la loro chiusura, e ad eliminare le disparità regionali e locali concernenti la disponibilità e la qualità dei servizi di protezione per tutte le donne vittime di violenza;

5) ad assumere le opportune iniziative al fine di garantire le misure volte a prevenire e proteggere le donne dalla violenza, in particolar modo con riferimento agli strumenti inerenti alle misure cautelari, le quali rappresentano un forte elemento dissuasivo per tutti quegli uomini che intendono porre in essere atti spregevoli nei confronti delle donne;

6) ad effettuare una ricognizione sul numero degli ordini di allontanamento e degli ordini di protezione applicati annualmente dai tribunali in Italia e, in particolar modo, sui tempi di attuazione;

7) ad adottare iniziative volte ad incrementare l'occupazione femminile come elemento fondamentale di emancipazione e liberazione da ogni tipo di violenza, intesa soprattutto quale strumento di inclusione sociale;

8) a rendere note le attività svolte, gli obiettivi raggiunti e il numero delle volte in cui si siano riuniti la cabina di regia interistituzionale e l'osservatorio e a divulgare le politiche nazionali proposte, nonché le buone pratiche che sono state condivise tra i territori, mediante l'operato della cabina di regia;

9) ad assumere le opportune iniziative al fine di stanziare risorse adeguate destinate alla formazione del personale impiegato nelle strutture di pubblica sicurezza, chiamato ad interagire con le donne che hanno subito maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, per incentivare una cultura sociale e giudiziaria orientata alla tutela della vittima;

10) a prevedere opportune iniziative volte a promuovere percorsi di assistenza e di supporto psicologico per le donne che hanno subito una violenza e per i parenti delle vittime di femminicidio, nonché specifiche iniziative per incentivare l'inserimento delle vittime di violenza nel mondo del lavoro;

11) ad intraprendere le opportune iniziative di competenza per accelerare i procedimenti giudiziari con tempi certi per lo svolgimento delle indagini, stabilendo: l'obbligo per la polizia giudiziaria di riferire al pubblico ministero entro ventiquattro ore le notifiche di reato acquisite se riguardano violenza sessuale, maltrattamenti, atti persecutori e lesioni aggravate; l'obbligo per il pubblico ministero di concludere le fasi delle indagini preliminari entro e non oltre 45 giorni, al cui esito vi deve essere l'obbligo, in caso di sussistenza di gravi indizi, di richiedere l'emissione della misura interdittiva che disponga il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nonché di comunicare con la stessa, attraverso qualsiasi mezzo (articolo 282-ter del codice di procedura penale); infine, l'obbligo per il giudice per le indagini preliminari, in caso di sussistenza di gravi indizi e ove sussistano le esigenze cautelari previste dal codice di procedura penale, di emettere entro il termine perentorio di 5 giorni dalla richiesta un'ordinanza cautelare per i casi di cui all'articolo 282-ter del codice di procedura penale;

12) ad adottare iniziative per aumentare gli importi dell'indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti, determinati dal decreto ministeriale del 31 agosto 2017, al fine di garantire una somma equa ed adeguata per tutte le vittime di reato di omicidio e di violenza sessuale, eliminando ogni tipo di discriminazione;

13) ad adottare le opportune iniziative normative, al fine di prevenire qualsiasi atto di violenza sulle donne, volte ad introdurre nell'ordinamento una nuova fattispecie di reato per chiunque pubblica o divulga attraverso strumenti informatici o telematici immagini o video privati sessualmente espliciti, comunque acquisiti, realizzati o detenuti, senza il consenso delle persone ivi rappresentate;

14) ad intraprendere le opportune iniziative volte a sensibilizzare soprattutto le nuove generazioni ad un utilizzo consapevole degli strumenti informatici e telematici ed in particolar modo dei social network.
(1-00075) «Carfagna, Gelmini, Versace, Zanella, Marrocco, Bartolozzi, Siracusano, Aprea, Bergamini, Calabria, Fascina, Fiorini, Gagliardi, Labriola, Mazzetti, Milanato, Polidori, Porchietto, Ravetto, Ripani, Rossello, Ruffino, Saccani Jotti, Santelli, Elvira Savino, Spena, Tartaglione, Maria Tripodi, Vietina, Occhiuto, Mulè, Bagnasco, Battilocchio, Cappellacci, Casciello, D'Attis, Fasano, Fatuzzo, Germanà, Giacometto, Marin, Napoli, Novelli, Palmieri, Pella, Perego Di Cremnago, Pettarin, Pentangelo, Pittalis, Rosso, Rotondi, Ruggieri, Sarro, Scoma, Silli, Squeri».


   La Camera

impegna il Governo:

1) ad intraprendere le opportune iniziative volte a implementare e migliorare le attività di contrasto alla violenza contro le donne, affinché ogni sua manifestazione possa essere perseguita in modo efficace e tempestivo;

2) ad informare il Parlamento sui costi della violenza, in termini economici, sociali e sanitari, al fine di avere un quadro il più chiaro possibile su cui intervenire attraverso gli opportuni strumenti legislativi;

3) ad assumere iniziative per prevedere un intervento nelle scuole con programmi mirati di formazione agli studenti per prevenire la violenza nei confronti delle donne, anche declinati su un corretto utilizzo del web, mirato anche alla consapevolezza di quelle che possono essere le conseguenze drammatiche, evitando un suo utilizzo, spesso superficiale, errato;

4) ad assumere iniziative di competenza volte a provvedere rapidamente all'erogazione alle regioni delle risorse, ripartite in Conferenza Stato-regioni il 10 maggio 2018, nonché a garantire ulteriori stanziamenti da erogare ai centri antiviolenza e alle case rifugio, per evitare la loro chiusura, e ad eliminare le disparità regionali e locali concernenti la disponibilità e la qualità dei servizi di protezione per tutte le donne vittime di violenza;

5) ad assumere le opportune iniziative al fine di garantire le misure volte a prevenire e proteggere le donne dalla violenza, in particolar modo con riferimento agli strumenti inerenti alle misure cautelari, le quali rappresentano un forte elemento dissuasivo per tutti quegli uomini che intendono porre in essere atti spregevoli nei confronti delle donne;

6) ad effettuare una ricognizione sul numero degli ordini di allontanamento e degli ordini di protezione applicati annualmente dai tribunali in Italia e, in particolar modo, sui tempi di attuazione;

7) ad adottare iniziative volte ad incrementare l'occupazione femminile come elemento fondamentale di emancipazione e liberazione da ogni tipo di violenza, intesa soprattutto quale strumento di inclusione sociale;

8) a rendere note le attività svolte, gli obiettivi raggiunti e il numero delle volte in cui si siano riuniti la cabina di regia interistituzionale e l'osservatorio e a divulgare le politiche nazionali proposte, nonché le buone pratiche che sono state condivise tra i territori, mediante l'operato della cabina di regia;

9) ad assumere le opportune iniziative al fine di stanziare risorse adeguate destinate alla formazione del personale impiegato nelle strutture di pubblica sicurezza, chiamato ad interagire con le donne che hanno subito maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, per incentivare una cultura sociale e giudiziaria orientata alla tutela della vittima;

10) a prevedere opportune iniziative volte a promuovere percorsi di assistenza e di supporto psicologico per le donne che hanno subito una violenza e per i parenti delle vittime di femminicidio, nonché specifiche iniziative per incentivare l'inserimento delle vittime di violenza nel mondo del lavoro;

11) ad intraprendere le opportune iniziative di competenza per accelerare i procedimenti giudiziari con tempi certi per lo svolgimento delle indagini, stabilendo: l'obbligo per la polizia giudiziaria di riferire al pubblico ministero entro ventiquattro ore le notifiche di reato acquisite se riguardano violenza sessuale, maltrattamenti, atti persecutori e lesioni aggravate; l'obbligo per il pubblico ministero di concludere le fasi delle indagini preliminari entro e non oltre 45 giorni, al cui esito vi deve essere l'obbligo, in caso di sussistenza di gravi indizi, di richiedere l'emissione della misura interdittiva che disponga il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nonché di comunicare con la stessa, attraverso qualsiasi mezzo (articolo 282-ter del codice di procedura penale); infine, l'obbligo per il giudice per le indagini preliminari, in caso di sussistenza di gravi indizi e ove sussistano le esigenze cautelari previste dal codice di procedura penale, di emettere entro il termine perentorio di 5 giorni dalla richiesta un'ordinanza cautelare per i casi di cui all'articolo 282-ter del codice di procedura penale;

12) ad adottare iniziative per aumentare gli importi dell'indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti, determinati dal decreto ministeriale del 31 agosto 2017, al fine di garantire una somma equa ed adeguata per tutte le vittime di reato di omicidio e di violenza sessuale, eliminando ogni tipo di discriminazione;

13) ad adottare le opportune iniziative normative, al fine di prevenire qualsiasi atto di violenza sulle donne, volte ad introdurre nell'ordinamento una nuova fattispecie di reato per chiunque pubblica o divulga attraverso strumenti informatici o telematici immagini o video privati sessualmente espliciti, comunque acquisiti, realizzati o detenuti, senza il consenso delle persone ivi rappresentate;

14) ad intraprendere le opportune iniziative volte a sensibilizzare soprattutto le nuove generazioni ad un utilizzo consapevole degli strumenti informatici e telematici ed in particolar modo dei social network.
(1-00075)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Carfagna, Gelmini, Versace, Zanella, Marrocco, Bartolozzi, Siracusano, Aprea, Bergamini, Calabria, Fascina, Fiorini, Gagliardi, Labriola, Mazzetti, Milanato, Polidori, Porchietto, Ravetto, Ripani, Rossello, Ruffino, Saccani Jotti, Santelli, Elvira Savino, Spena, Tartaglione, Maria Tripodi, Vietina, Occhiuto, Mulè, Bagnasco, Battilocchio, Cappellacci, Casciello, D'Attis, Fasano, Fatuzzo, Germanà, Giacometto, Marin, Napoli, Novelli, Palmieri, Pella, Perego Di Cremnago, Pettarin, Pentangelo, Pittalis, Rosso, Rotondi, Ruggieri, Sarro, Scoma, Silli, Squeri».


INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Iniziative volte a salvaguardare la continuità della produzione e i livelli occupazionali dello stabilimento Pernigotti di Novi Ligure (Alessandria), anche in relazione alla tutela del made in Italy – 3-00321

   FORNARO e EPIFANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo turco Toksoz, dopo aver acquisito l'azienda dolciaria Pernigotti nel 2013 ed essersi impegnato a mantenere la produzione in loco, intende attuare un piano di completa chiusura dello stabilimento sito nel comune di Novi Ligure (Alessandria), come formalmente comunicato alle organizzazioni sindacali;
   tale azienda, simbolo del made in Italy nel settore dolciario, dal 1860 produce i noti gianduiotti;
   è stata fissata per questa settimana la riunione plenaria sulla Pernigotti presso il Ministero dello sviluppo economico –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di salvaguardare l'azienda e i lavoratori e le lavoratrici dello stabilimento di Novi Ligure (Alessandria), con riferimento inoltre alla tutela del made in Italy rispetto a iniziative di delocalizzazione parziale o totale della produzione, con riduzione dell'italianità del prodotto al solo brand, come nel caso della Pernigotti. (3-00321)


Misure a favore dei settori produttivi maggiormente colpiti dalla recente ondata di maltempo – 3-00322

   MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LO MONTE, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MARCHETTI, MATURI, MORELLI, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, SALTAMARTINI, SASSO, SEGNANA, STEFANI, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZANOTELLI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZOFFILI e ZORDAN. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   l'eccezionale maltempo che nelle ultime settimane ha colpito il Paese dal Trentino all'alto Piemonte, dalla Liguria al Veneto, fino al Sud Italia, ha provocato danni al sistema produttivo italiano per centinaia di milioni di euro;
   si pensi, per fare qualche esempio, al fermo di Luxottica negli stabilimenti di Agordo, Cencenighe, Pederobba e Sedico; all'acqua alta eccezionale a quota 156 centimetri a Venezia, che ha determinato danni agli esercizi pubblici stimati in circa 20 milioni di euro; ai danni in Friuli Venezia Giulia, che, con riferimento alle sole infrastrutture pubbliche, sono stati quantificati attorno ai 500 milioni di euro; ad aziende del nuorese, cui il vento ha scoperchiato capannoni e locali agricoli, provocando la morte di diversi capi bestiame; al basso Lazio, dove le immagini di Terracina e delle aziende di Fondi e Sperlonga dopo l'ondata di maltempo hanno suscitato grande attenzione mediatica per l'entità dei danni provocati; in Sicilia, dove 94 giorni di pioggia intensa in nove mesi hanno messo in ginocchio l'intero settore agricolo; al cedimento della parte superiore della diga del porto a Rapallo; ai negozi, ai ristoranti, alle strutture balneari completamente distrutte sul lungomare ligure; ai macchinari rovinati, alla merce deteriorata, alle pulizie straordinarie e alla chiusura forzata delle attività –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda promuovere per aiutare il settore produttivo delle regioni più colpite dal maltempo.
(3-00322)


Iniziative del Governo a tutela dei salari, nel quadro di politiche a sostegno della crescita e dei consumi – 3-00323

   LORENZIN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nelle previsioni economiche di autunno 2018 pubblicate la scorsa settimana, la Commissione europea, da un lato, evidenzia che il mercato del lavoro ha recuperato i livelli precedenti la crisi; dall'altro, che la crescita economica non si accompagna ad una crescita dei salari, un fenomeno questo nuovo e che merita di essere attentamente valutato;
   gli indicatori macroeconomici in Europa mostrano che i salari non stanno seguendo i guadagni di produttività, ma questi ultimi sono cresciuti molto di più e che la quota dei salari sul prodotto interno lordo si è ridotta progressivamente negli ultimi 15 anni, mentre si è accresciuto il fenomeno dei cosiddetti working poor;
   in Italia questi fenomeni sono ancora più accentuati – nonostante qualche debole segnale di ripresa in alcuni comparti – con una stagnazione salariale che rischia di penalizzare soprattutto i giovani e le donne;
   questo Governo ha inteso affrontare il tema salariale limitandosi al settore dei cosiddetti rider, senza però conseguire nessun risultato tangibile e senza volere affrontare la questione salariale nel suo ambito più generale, continuando lo sviluppo di un percorso di analisi e proposte sulle trasformazioni del mercato del lavoro e sulle conseguenti politiche di accompagnamento promosso dal precedente Governo;
   le stesse organizzazioni delle parti sociali hanno più volte richiesto misure che fossero finalizzate ad accompagnare il processo di riforma delle relazioni industriali verso il nuovo modello da loro negoziato, che ha l'obiettivo di rafforzare il decentramento della contrattazione collettiva, accompagnare i processi di trasformazione del lavoro in atto, collegare retribuzioni a produttività;
   nulla di ciò né sul piano della formazione, né sul piano fiscale, né sul piano delle politiche attive appare prioritario nella manovra di bilancio, dove a parere dell'interrogante vi è solo una discutibile azione di redistribuzione del reddito fatta a debito del Paese e delle prossime generazioni –:
   quali siano le iniziative che il Governo intende promuovere per accrescere i consumi e sostenere la crescita, non avendo rafforzato sia la detassazione dei premi di produttività, che avrebbe aumentato il salario dei lavoratori e delle lavoratrici, sia ridotto il costo del lavoro per le imprese. (3-00323)


Orientamenti in ordine alla permanenza in carica del portavoce del Presidente del Consiglio dei ministri, Rocco Casalino – 3-00324

   RUGGIERI, GELMINI, OCCHIUTO e MULÈ. – Al Ministro per i rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta. – Per sapere – premesso che:
   in questi giorni è apparso sul web un filmato che ritrae il portavoce del Presidente del Consiglio dei ministri, Rocco Casalino, discutere con una classe di giovani ed esprimere pensieri di totale disprezzo nei confronti degli anziani e delle persone affette da sindrome di Down;
   il portavoce del Presidente del Consiglio dei ministri ha affermato quanto testualmente riportato: «da bambino, da sempre, i vecchi mi fanno schifo. E tutti i ragazzi down (...) mi danno fastidio». E ancora: «Non ho nessuna voglia di relazionarmi a loro, nessuna voglia di aiutarli, poveretti che gli è capitata ’sta cosa ma non voglio occuparmene»; fino al paragone agghiacciante: «è come se fa schifo il ragno (...) io provo fastidio (...) è imbarazzo, non so come spiegarlo, non voglio perderci tempo»;
   il portavoce ha commentato il filmato, rilanciato dai media, lamentando la mancata verifica del contenuto e del contesto in cui è stato girato e specificando che, intervenendo ad un corso di giornalismo, fece quella che definisce una «recita» poiché gli era stato «esplicitamente chiesto di provocare gli studenti»;
   tra le dichiarazioni rilasciate da Casalino si annovera una vecchia intervista rilasciata al programma Le Iene, in cui vi è un chiaro riferimento xenofobo e, in tempi più recenti, un messaggio audio trapelato quest'estate in cui dichiara di aver «saltato» il Ferragosto in considerazione del crollo del Ponte Morandi di Genova, per non parlare degli attacchi rivolti ai funzionari del Ministero dell'economia e delle finanze, che alcuni mezzi di informazione hanno definito «di stampo mafioso» e che non rientrano certamente nei compiti di un portavoce;
   quanto appena riportato desta forti preoccupazioni circa l'effettiva adeguatezza di un soggetto che si lascia andare a dichiarazioni piuttosto gravi e sconcertanti e che riveste un ruolo fondamentale circa la credibilità dell'attuale Governo –:
   se il Governo, alla luce di quanto richiamato in premessa, non ritenga deplorevoli le dichiarazioni rilasciate in più occasioni dalla persona che attualmente ricopre un ruolo istituzionalmente rilevante, quale quello del portavoce, quali iniziative si intendano intraprendere e se non si ritenga opportuno che Casalino presenti le proprie dimissioni. (3-00324)


Iniziative di competenza a tutela della libertà di stampa e chiarimenti in merito ad asseriti rapporti professionali intercorsi nel 2016 tra il Ministro della giustizia attualmente in carica, allora deputato, e l'avvocato Lanzalone – 3-00325

   BAZOLI, MORANI, VERINI, VAZIO, FERRI, ANNIBALI, MICELI, BORDO, ENRICO BORGHI, FIANO, GRIBAUDO e ANDREA ROMANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è al 46mo posto nella classifica sulla libertà di stampa stilata da Reporter senza frontiere, decisamente staccata dai maggiori Stati membri dell'Unione europea;
   molti giornalisti italiani sono ancora sotto protezione permanente e rafforzata della polizia dopo le minacce di morte proferite, in particolare, dalla mafia, da gruppi anarchici o fondamentalisti;
   in questo clima non aiutano di certo le preoccupanti dichiarazioni del Ministro interrogato, il quale è anche responsabile della vigilanza sull'Ordine dei giornalisti, di sostanziale condivisione e giustificazione rispetto ai pesantissimi insulti rivolti ai giornalisti da parte del Vice Presidente del Consiglio dei ministri Di Maio e di altri suoi colleghi di partito;
   gli insulti si riferiscono fondamentalmente all'atteggiamento che i giornalisti avrebbero riservato ai politici del MoVimento 5 Stelle, in particolare a Virginia Raggi, sindaco di Roma; peraltro, il Ministro interrogato deve ancora chiarire i suoi rapporti con l'avvocato Lanzalone, arrestato per corruzione, resi pubblici da un articolo pubblicato il 4 settembre 2018 sul quotidiano Il Tirreno, dal quale si apprendeva che – dalla richiesta di archiviazione dell'indagine sulle irregolarità nella gestione dell'azienda pubblica dei rifiuti Aamps di Livorno – lo Studio Lanzalone & partners aveva intrattenuto sin dalla fine di dicembre 2015, per il comune di Livorno, un rapporto di collaborazione non occasionale tra l'allora avvocato Alfonso Bonafede e l'avvocato Lanzalone;
   rispondendo in Senato a un'interrogazione sui suoi rapporti con il citato avvocato il Ministro interrogato, infatti, aveva sostenuto: «Negli ultimi sei anni non ho avuto alcun rapporto professionale con l'avvocato Luca Lanzalone»;
   ad oggi non abbiamo ancora una risposta dal Ministro interrogato che faccia definitivamente chiarezza sulle discrepanze emerse in merito alla vicenda esposta;
   il gruppo del Partito democratico, sin dall'inizio della XVIII legislatura, ha depositato una proposta di legge sulla diffamazione anche a tutela dei giornalisti dalle querele temerarie –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare al fine di agevolare ogni iniziativa, anche normativa, atta a difendere a libertà di stampa e la sicurezza e la libertà dei giornalisti, nel rispetto del dettato costituzionale, e se non ritenga, inoltre, di dover fare urgentemente chiarezza in merito agli effettivi rapporti professionali intercorsi con l'avvocato Lanzalone nel 2016, quando era già deputato della Repubblica. (3-00325)


Iniziative in ordine alla disciplina relativa agli organismi indipendenti di valutazione nella pubblica amministrazione – 3-00326

   ALAIMO, MACINA, DIENI, BALDINO, BERTI, BILOTTI, BRESCIA, MAURIZIO CATTOI, CORNELI, D'AMBROSIO, DADONE, FORCINITI, PARISSE, ELISA TRIPODI e FRANCESCO SILVESTRI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   ogni amministrazione pubblica è tenuta a misurare e a valutare la performance con riferimento all'amministrazione nel suo complesso, alle unità organizzative in cui si articola e ai singoli dipendenti;
   nei Paesi più evoluti, la valutazione della performance della pubblica amministrazione, sia nel pubblico che nel privato, assume un ruolo chiave per il conseguimento del benessere economico e sociale;
   allo scopo di valutare la qualità del lavoro della pubblica amministrazione e dei suoi dirigenti, il decreto legislativo n. 150 del 2009 ha istituito l'organismo indipendente di valutazione nominato in ogni amministrazione pubblica dall'organo di indirizzo politico-amministrativo;
   l'organismo indipendente di valutazione monitora il funzionamento complessivo del sistema della valutazione, della trasparenza e integrità dei controlli interni; garantisce la correttezza dei processi di misurazione e valutazione; propone, all'organo di indirizzo politico-amministrativo, la valutazione annuale dei dirigenti di vertice e l'attribuzione ad essi dei premi;
   di recente, in base a quanto previsto dalla «riforma Madia», il Dipartimento della funzione pubblica ha istituito, con il decreto ministeriale del 2 dicembre 2016, l'elenco nazionale dei componenti degli organismi indipendenti di valutazione della performance, la cui iscrizione è condizione necessaria per poter partecipare alle procure comparative con le quali si perviene alle nomine degli organismi indipendenti di valutazione;
   l'iscrizione all'elenco è subordinata al possesso di requisiti generali (cittadinanza italiana, comunitaria, godimento dei diritti civili e politici, non aver riportato condanne penali) e di professionalità (essere in possesso di laurea specialistica, magistrale, di comprovata esperienza professionale di almeno cinque anni, maturata presso pubbliche amministrazioni o aziende private, nella misurazione e valutazione della performance organizzativa e individuale);
   nonostante l'intervento della «riforma Madia», ad avviso degli interroganti non si è riuscita ad eliminare la forte discrezionalità che sussiste nella scelta dei componenti degli organismi indipendenti di valutazione, in quanto sono stati fissati dei requisiti molto deboli, i quali non sono in grado di assicurare la professionalità dei componenti;
   la composizione di tali organismi, infatti, non appare esaudire i principi fondamentali di trasparenza, indipendenza ed imparzialità a cui essi sarebbero chiamati, soprattutto in ordine ai criteri di provenienza e selezione –:
   se, a fronte della contraddittoria posizione dell'organismo di vigilanza per non pochi aspetti coincidente con l'organismo sottoposto alla sua valutazione, il Ministro interrogato ritenga adeguata la vigente disciplina in ordine agli organismi indipendenti di valutazione e se i risultati conseguiti possano considerarsi soddisfacenti a fronte dei principi ispiratori.
(3-00326)


Iniziative per la proroga dell'efficacia delle graduatorie di concorsi pubblici a tutela degli idonei – 3-00327

   MELONI, LOLLOBRIGIDA, RIZZETTO, ACQUAROLI, BELLUCCI, BUCALO, BUTTI, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, CROSETTO, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FIDANZA, FOTI, FRASSINETTI, GEMMATO, LUCASELLI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI e ZUCCONI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   è necessario tutelare, con opportuni e chiari provvedimenti normativi, gli idonei inseriti ancora nelle graduatorie vigenti di concorsi pubblici;
   l'efficacia delle graduatorie e delle assunzioni va urgentemente prorogata al 31 dicembre 2019, ferma restando la vigenza delle stesse fino alla completa assunzione dei vincitori e, per gli idonei, l'eventuale termine di maggior durata della graduatoria ai sensi dell'articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
   si tratta delle graduatorie presso tutte le amministrazioni pubbliche, soggette a limitazioni delle assunzioni, ivi comprese quelle vigenti presso i Corpi di cui all'articolo 66, comma 9-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008, al fine di allinearle a quelle formatesi a seguito delle procedure concorsuali di cui all'articolo 67-ter, commi 5 e 6, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (concorso Ripam per la ricostruzione), già prorogate al 31 dicembre 2019, ai sensi dell'articolo 1, comma 716, della legge 27 dicembre 2017, n. 205;
   per quanto riguarda i forestali, si è ancora in attesa di una riforma organica del Corpo forestale dello Stato; anche per questo Corpo sarebbe opportuno prorogare l'efficacia della graduatoria del concorso pubblico, per esami, per la nomina di 400 allievi vice ispettori del Corpo forestale dello Stato, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – serie concorsi n. 94 del 29 novembre 2011 –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare le opportune iniziative volte a disporre la proroga delle graduatorie in questione a tutela degli idonei. (3-00327)


DISEGNO DI LEGGE: S. 840 – CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 4 OTTOBRE 2018, N. 113, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI PROTEZIONE INTERNAZIONALE E IMMIGRAZIONE, SICUREZZA PUBBLICA, NONCHÉ MISURE PER LA FUNZIONALITÀ DEL MINISTERO DELL'INTERNO E L'ORGANIZZAZIONE E IL FUNZIONAMENTO DELL'AGENZIA NAZIONALE PER L'AMMINISTRAZIONE E LA DESTINAZIONE DEI BENI SEQUESTRATI E CONFISCATI ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA. DELEGA AL GOVERNO IN MATERIA DI RIORDINO DEI RUOLI E DELLE CARRIERE DEL PERSONALE DELLE FORZE DI POLIZIA E DELLE FORZE ARMATE (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 1346)

A.C. 1346 – Questioni pregiudiziali

QUESTIONI PREGIUDIZIALI

  La Camera,
   premesso che,
    il provvedimento all'esame appare innanzitutto incostituzionale perché lesivo dell'articolo 77 della Costituzione: l'inserimento di una delega quale quella introdotta durante l'esame del disegno di legge di conversione, introduce infatti non solo un contenuto estraneo per materia all'oggetto del provvedimento, e tale da rendere il contenuto del decreto-legge ancor più disomogeneo e vasto per quantità e qualità dei profili trattati, ma trattandosi di una delega che il Governo deve esercitare nei prossimi dieci mesi, tale disposizione non può che violare quelle ragioni di necessità ed urgenza che dovrebbero sorreggere l'adozione di un decreto-legge da parte del Governo;
    tale disposizione è altresì in forte contraddizione, con l'articolo 15, comma 2, della legge 400 del 1988, che – come sottolineato dal Presidente della Repubblica in occasione del rinvio alle Camere di un disegno di legge di conversione di un decreto-legge – è ritenuta alla base dell’«ordinato impiego della decretazione d'urgenza e quindi da osservare rigorosamente»;
    tale disposizione è inoltre fortemente lesiva anche dell'articolo 72, quarto comma, della Costituzione laddove prevede che la procedura normale di esame e di approvazione da parte dell'Assemblea sia sempre prevista per i disegni di legge di delegazione legislativa;
    l'introduzione di disposizioni di delega ovvero la modifica di deleghe precedentemente disposte in disegni di legge di conversione, non può infatti assolutamente considerarsi costituzionalmente legittima essendo le stesse assoggettate, come visto, a riserva di Assemblea e avendo la Corte costituzionale avuto occasione di ricordare che il procedimento di approvazione delle leggi di conversione non è un procedimento «normale» ma peculiare, che segue un iter parlamentare semplificato e caratterizzato dal rispetto di tempi particolarmente rapidi, che si giustificano alla luce della sua natura di legge funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge, emanato provvisoriamente dal Governo e valido per un lasso temporale breve e circoscritto (si veda da ultimo la sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014);
    venendo al merito del decreto-legge, le misure previste in materia di protezione internazionale e immigrazione attengono, come si legge nella relazione di accompagnamento al decreto-legge, alla riorganizzazione della disciplina a tutela degli stranieri richiedenti asilo che, proprio per la complessità degli istituti coinvolti, avrebbe richiesto la presentazione di un disegno di legge ordinario anche, e soprattutto, al fine di valutare la compatibilità degli interventi previsti con gli obblighi costituzionali e con quelli derivanti dal rispetto degli accordi internazionali;
    si tratta di una grave criticità avvertita dallo stesso Presidente della Repubblica che, contestualmente all'emanazione del decreto-legge, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio dei ministri (evento del tutto irrituale), in cui ha affermato «l'obbligo di sottolineare che, in materia, come affermato nella Relazione di accompagnamento al decreto, restano “fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato”, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo, e, in particolare, quanto direttamente disposto dall'articolo 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall'Italia»;
    il fatto, poi, che le misure previste dal decreto-legge siano tra loro estremamente eterogenee costituisce di per sé l'evidente dimostrazione della carenza del requisito della straordinarietà del caso e della necessità e dell'urgenza di provvedere. Infatti, ai sensi dell'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, i presupposti per l'esercizio della potestà legislativa da parte del Governo riguardano il decreto-legge nella sua interezza, inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo;
    come, infatti, affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 22 del 2012 «Ove le discipline estranee alla ratio unitaria del decreto presentassero, secondo il giudizio politico del Governo, profili autonomi di necessità e urgenza, le stesse ben potrebbero essere contenute in atti normativi urgenti del potere esecutivo distinti e separati. Risulta invece in contrasto con l'articolo 77 della Costituzione la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalità eterogenei, in ragione di presupposti, a loro volta, eterogenei»;
    a titolo esemplificativo, si citano le norme concernenti l'organizzazione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, rispetto alle quali non ricorre alcun caso di straordinarietà, ma una mera e ordinaria esigenza di riorganizzazione;
    il provvedimento in esame, in particolare attraverso l'eliminazione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari, finirà per determinare una crescita esponenziale del livello di insicurezza nel nostro Paese: l'eliminazione di questa particolare figura di permesso di soggiorno – che costituisce un essenziale strumento di attuazione agli articoli 2 e 10 della Costituzione repubblicana – comporterà il venir meno di un fondamentale strumento di integrazione, usato fino ad oggi, e determinerà quale effetto collaterale la crescita di situazioni di marginalità e irregolarità, l'aumento della propensione a delinquere da parte di persone abbandonate e senza nessuna possibilità di integrazione, la condanna definitiva di molti migranti ad una nuova condizione di irregolarità, pregiudicando in modo irrimediabile il percorso di integrazione finora intrapreso;
    del resto la stessa Corte di Cassazione, ha più volte avuto occasione di ribadire che la protezione umanitaria costituisce una delle forme di attuazione dell'asilo, indispensabile per dare piena attuazione articolo 10, terzo comma, della Costituzione, perché essa si caratterizza per il carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle condizioni per il suo riconoscimento, coerentemente con la configurazione del diritto d'asilo contenuto nella norma costituzionale;
    quanto al trattenimento per la determinazione o la verifica dell'identità e della cittadinanza dei richiedenti asilo, previsto dall'articolo 3 del decreto-legge, l'attuale formulazione dell'articolo, che prevede due nuove ipotesi di trattenimento motivate dalla necessità di determinare o verificare l'identità o la cittadinanza dello straniero richiedente protezione internazionale, nonché un possibile lungo periodo di durata dello stesso, esso sembra prospettare una violazione anche dell'articolo 13 della Costituzione e dell'articolo 31 della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato, poiché di fatto si sanziona con la privazione della libertà personale lo straniero per un fatto di cui non è responsabile;
   considerato inoltre che:
    una delle norme del presente decreto-legge che produrrà un livello esponenzialmente maggiore di insicurezza, sia per i richiedenti asilo che per i cittadini italiani, è quella prevista dall'articolo 12 sull'accoglienza dei richiedenti asilo, che dispone il sostanziale smantellamento del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), poiché riserva i servizi di accoglienza degli enti locali solo ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati, escludendo dalla possibilità di usufruire dei relativi servizi sia i richiedenti la protezione internazionale, come finora previsto, sia i titolari di protezione umanitaria;
    appare infatti opportuno ricordare che il cosiddetto SPRAR, un sistema che esiste da oltre sedici anni e che era stato considerato da tutti i governi (compresi quelli di centro-destra) come il sistema «modello» da presentare in Europa, ha dimostrato che solo l'accoglienza in strutture diffuse, seguite da personale qualificato in numero adeguato e attraverso una appropriata distribuzione sul territorio dei richiedenti asilo, agevola l'autonomia e l'indipendenza delle persone, da un lato, ed i processi di integrazione dall'altro;
    il suo smantellamento determinerà dunque un grave pericolo per la sicurezza pubblica, determinando da un lato il forte rischio dell'insorgere di tensioni sociali determinate dall'accresciuto numero di persone in condizione di marginalità e irregolarità, e dall'altro, con l'inevitabile aumento della popolazione presente nei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) – i centri in cui attualmente si trova la maggior parte dei migranti presenti in Italia – determinerà un contestuale peggioramento delle condizioni di vita all'interno degli stessi e un conseguente aumento delle esigenze di controllo e di sicurezza da parte delle Forze dell'ordine;
    il decreto-legge non chiarisce neppure quale sarà la sorte delle migliaia di migranti ospiti dello SPRAR: l'unica cosa certa sarà il venir meno dei percorsi di integrazione e la condanna all'emarginazione e alla irregolarità;
   considerato che:
    un'ulteriore previsione destinata a far accrescere il livello di insicurezza nel nostro Paese e, al tempo stesso, foriera di una grave discriminazione, è quella disposta dall'articolo 13 per cui il permesso di soggiorno per richiesta asilo non consentirà più l'iscrizione all'anagrafe dei residenti. Innanzitutto, questa norma introduce, in palese violazione dell'articolo 3 della Costituzione, una irragionevole discriminazione dei richiedenti asilo rispetto agli altri cittadini stranieri in possesso di permesso di soggiorno. Inoltre al diritto delle persone effettivamente presenti su un territorio ad essere iscritte all'anagrafe dei residenti di un determinato comune dovrebbe corrispondere la possibilità per gli amministratori locali di conoscere con certezza il numero delle persone presenti sul proprio territorio e di determinare i servizi pubblici e sociali che i Comuni hanno l'obbligo di garantire. Peraltro, poiché nessuna persona regolarmente soggiornante, come lo è il richiedente asilo, può restare sul territorio senza che la sua presenza sia rilevata, si creerà contenzioso per stabilire quale debba ritenersi la dimora abituale del richiedente, creando così incertezze per gli enti locali, confusione amministrativa senza alcun beneficio per la collettività;
   rilevato che:
    l'articolo 14 prevede l'aumento da ventiquattro a quarantotto mesi del termine per la conclusione dei procedimenti di riconoscimento della cittadinanza per matrimonio e per cosiddetta naturalizzazione. Ciò, oltre a produrre una ulteriore e ingiusta incertezza per coloro che hanno presentato una regolare richiesta già da due anni, è un elemento che fa venir meno la certezza del diritto;
   rilevato inoltre che:
    molte delle previsioni contenute nel decreto-legge aggravano l'impiego, i compiti e le responsabilità per le Forze dell'ordine. Infatti, se da una parte il raddoppio fino a sei mesi dei tempi di trattenimento nei Centri di permanenza per il rimpatrio aumenterà le esigenze di controllo e l'applicazione dei molti nuovi divieti previsti nel decreto sarà certamente difficoltosa, dall'altra non si può negare che per le Forze dell'ordine ne deriverà un aggravio sia burocratico che operativo, a detrimento della concreta attività di prevenzione e repressione dei reati e quindi per la più complessiva sicurezza pubblica per i cittadini;
   considerato altresì che:
    l'articolo 36 del decreto-legge riscrive le norme del codice antimafia sulla gestione dei beni confiscati alla mafia prevedendo anche la possibilità di venderli al miglior offerente. Tale disposizione appare altamente problematica, determinando il rischio che i beni messi all'asta non solo siano venduti a prezzi svalutati ma, altresì, che il loro acquisto possa essere realizzato da componenti di quella «area grigia», composta da professionisti, imprenditori, faccendieri, che agisce formalmente nella legalità, ma in realtà opera per la riuscita di operazioni commerciali e finanziarie capaci di riciclare il danaro sporco e di provenienza illecita (es. evasione fiscale, truffe, frodi),

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1346.
N. 1. Migliore, Ceccanti, Marco Di Maio, Fiano, Giorgis, Martina, Orfini, Pollastrini.

  La Camera,
   premesso che:
    a causa dei forti dubbi sulla costituzionalità del decreto-legge nella parte relativa ai permessi per motivi umanitari e al contrasto all'immigrazione illegale, il Presidente della Repubblica, nonostante le modifiche apportate dal Governo, contestualmente alla firma del provvedimento, in modo inusuale, ha fatto recapitare una lettera al Presidente del Consiglio, nella quale chiede il rispetto degli obblighi costituzionali in particolare dell'articolo 10 oltre che di tutti quelli derivanti dagli accordi internazionali e dall'ordinamento europeo;
    l'attuale Governo, invece di affrontare con lungimiranza e umanità il fenomeno storico dell'immigrazione oppone una risposta inaccettabile eliminando, di fatto, dalle norme del Testo Unico in materia di immigrazione ogni riferimento ai «motivi umanitari» sostituendovi norme di polizia che di fatto riducono il fenomeno migratorio ad un problema di sicurezza ben lontano dai principi di civiltà giuridica su cui poggia la nostra Carta Costituzionale e la tradizione storica del nostro popolo. L'impostazione normativa dettata dal decreto, che si rivolge ai migranti, alla stessa stregua di terroristi e mafiosi, rivela infatti che l'azione di Governo si fonda sull'inaccettabile presupposto che i migranti sono pericolosi;
    già per la sola materia dell'immigrazione appare illegittimo l'utilizzo dello strumento della decretazione d'urgenza ai sensi dell'articolo 77 della Costituzione trattandosi di interventi su un fenomeno che data ormai da numerosi anni e coinvolge il nostro rapporto con l'Europa che, congiuntamente agli Stati nazionali contrappone politiche manifestamente inadeguate a fronteggiare il fenomeno e continui, inconcludenti e defatiganti dibattiti mentre occorrerebbero interventi significativi e un generale ripensamento delle politiche sinora adottate. L'urgenza viene inoltre smentita dalle assai frequenti dichiarazioni del Ministro dell'interno che più volte negli ultimi mesi va ripetendo che gli sbarchi di immigrati hanno subìto un calo dell'80 per cento rispetto all'anno precedente;
    il difetto dei requisiti di necessità e urgenza risulta con evidenza anche nella maggior parte delle altre misure previste dal decreto-legge trattandosi di riforme di istituti giuridici che deve avvenire necessariamente attraverso la procedura legislativa ordinaria;
    il decreto contiene misure molto eterogenee, un coacervo di misure amministrative, di polizia e giudiziarie in campi estremamente diversi dal campo sociale ed umanitario. Nel campo penale sono previsti interventi su reati comuni e reati di criminalità organizzata che prevedono, nel nostro ordinamento, peculiari interventi. Tra tutte le norme presenti del decreto, che sono molte e disorganiche, non esiste il benché minimo legame logico tale da giustificare un provvedimento provvisorio, con forza di legge, fondato su un caso straordinario di necessità e urgenza come invece impone l'articolo 77 della Carta Costituzionale;
    tale requisito di omogeneità, si ricorda, è stato più volte richiamato dalle sentenze della Corte Costituzionale, tra cui si segnala la sentenza n. 22 del 2012 nella quale la Consulta ha rintracciato l'illegittimità di un decreto-legge il cui contenuto non rispettava il vincolo della omogeneità: un vincolo, come affermato dalla Corte, implicitamente contenuto nell'articolo 77 della Costituzione ed esplicitamente previsto dall'articolo 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400 di diretta attuazione costituzionale del citato articolo 77;
    il diritto di asilo, garantito dal terzo comma dell'articolo 10 della Costituzione, non viene adempiuto solo recependo il diritto europeo in materia di status di rifugiato e di protezione sussidiaria nelle norme legislative, ma soprattutto applicando concretamente una protezione umanitaria dello straniero la cui abolizione di fatto viola la richiamata disposizione costituzionale. Inoltre, nelle ipotesi di permessi di soggiorno per casi speciali non è in alcun modo ricompresa nel decreto alcuna forma di tutela del diritto alla vita privata e familiare, previsto dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, né una adeguata tutela dello straniero, che rinviato in patria, potrebbe essere esposto a trattamenti che ledono la dignità e la libertà individuale, nonché il diritto alla salute e alla vita, violando il secondo comma dell'articolo 10 e il primo comma dell'articolo 117 della Costituzione. Tale grave lacuna normativa (sino ad oggi colmata dall'articolo 5, comma 6, decreto legislativo n. 286 del 1998 che il decreto-legge abroga) conduce alla violazione degli articoli 10, comma 2 e 117, comma 1, della Costituzione e costituisce fondata premessa per la condanna di tale inadempienza presso la Corte europea dei diritti dell'uomo;
    l'articolo 3 del decreto prevede uno speciale trattenimento per lo straniero a scopo di identificazione della durata di trenta giorni ed il prolungamento dello stesso, ove l'identificazione non sia stata possibile da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, fino a un massimo di centottanta giorni. L'illegittimità della norma sembra data in primo luogo dal suo eccessivo ambito di applicazione, ben più ampio del solo ed eccezionale caso di rifiuto del richiedente asilo di sottoporsi alle procedure della cosiddetta pre-identificazione (fotosegnalamento e rilievi dattiloscopici) e non chiaro nei suoi confini. In secondo luogo suscita forti perplessità l'ampia durata dei possibili termini del trattenimento. In tal modo sembrano essere violati gli articoli 10, secondo e terzo comma, 13, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, anche in relazione alla possibile violazione dell'articolo 31 della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato. Si osserva, in particolare, come, ai sensi dell'articolo 13 della Costituzione, debba essere sempre rispettata l'esigenza di rigorosa tipicità delle fattispecie del trattenimento, specie se disposto dall'Autorità di pubblica sicurezza;
    il previsto trattenimento, per un fatto non imputabile allo straniero, risulta incompatibile con l'articolo 15 della direttiva 2008/115/CE, che limita i casi di trattenimento al solo pericolo di fuga e al compimento di condotte che ostacolano il rimpatrio da parte dello straniero stesso. Può osservarsi, inoltre, come per i cittadini italiani il fermo di identificazione, ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 191 del 1978, presuppone la colpa ovvero il dolo del soggetto fermato (che, o non consente alle forze di Polizia di procedere alla propria identificazione, ovvero si identifica esibendo documenti presuntivamente falsi) e può durare, peraltro, soltanto ventiquattro ore. Ne consegue che l'articolo 3 del decreto risulta palesemente discriminatorio in quanto prevede, per gli stranieri, una limitazione della libertà personale nei cosiddetti «centri hotspot» della durata di trenta giorni, in ragione di una condotta non imputabile agli stessi, mentre, per gli italiani che pongono in essere la medesima condotta, la legge prevede il semplice fermo di polizia della durata massima di ventiquattro ore. Si consideri, infine, che la norma non stabilisce quale sia l'autorità che dispone il trattenimento, né disciplina in alcun modo l'intervento dell'autorità giudiziaria a convalida del trattenimento: tale lacuna risulta in contrasto con la riserva di giurisdizione prevista dall'articolo 13 della Costituzione ed appare, sotto questo profilo, una norma inconcepibile in uno Stato di diritto;
    la possibilità che una serie di permessi di soggiorno umanitari speciali, fortemente tipizzata nel decreto, possa essere rilasciata esclusivamente dal Questore, senza alcuna previa tassativa determinazione dei presupposti normativi ai fini del rilascio da parte delle Commissioni territoriali competenti, consentirà l'esercizio di una discrezionalità amministrativa totale da parte delle Questure, discrezionalità questa completamente disancorata da ogni criterio che dovrebbe, invece, necessariamente essere previsto dalla legge ordinaria, nel rispetto della riserva di legge assoluta in materia di condizione giuridica dello straniero, ai sensi dell'articolo 10, secondo comma della Costituzione;
    infine, non si può dimenticare come forme di protezione umanitaria siano previste, con modalità diverse, in 20 dei 28 Paesi membri dell'Unione europea, (Austria, Cipro, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia, Ungheria oltre all'Italia), così come stabilito all'articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/115/CE;
    l'articolo 4 prevede la possibilità di una permanenza dello straniero in strutture idonee diverse nella disponibilità dell'Autorità di pubblica sicurezza dai Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). Un giudice può già ora autorizzare provvedimenti del genere, resta da verificare l’«idoneità» di tali centri le cui fattezze, stante la «disponibilità dell'Autorità di pubblica sicurezza», richiamano alla mente centri di detenzione ove lo straniero potrebbe esservi trattenuto fino a sette mesi. La norma così come formulata appare chiaramente in violazione dell'articolo 13 della Costituzione, in ragione della riserva di legge assoluta in materia di libertà personale, oltre che in ragione del principio di stretta tassatività con riferimento alle modalità e alla determinazione dei luoghi in cui viene limitata la libertà personale di tutte le persone presenti sul territorio italiano, a prescindere quindi dalla loro cittadinanza. Infine, deve essere ben valutata l'ubicazione sul territorio nazionale di tali centri per evitare che il giudizio su un provvedimento di espulsione esaminato in una Regione (ad esempio la Sicilia, ordinario luogo di sbarco dei richiedenti asilo) possa implicare lo spostamento del soggetto in un'altra, con conseguente rischio di violazione dell'articolo 25 della Costituzione, con riferimento al diritto al giudice naturale prestabilito dalla legge. Viene inoltre violato l'articolo 13 della Costituzione in quanto il soggetto trattenuto è posto in una condizione di vulnerabilità giuridica e materiale eccezionale ed illegittima. Infine, si evidenzia come l'articolo 16 della direttiva 2008/115/CE stabilisca che il trattenimento dello straniero possa avvenire soltanto in appositi centri di permanenza temporanea ovvero, per i detenuti, in un istituto penitenziario: sotto questo profilo, pertanto, così come formulata, la norma appare in contrasto con gli obblighi europei;
    il decreto-legge prevede diverse cause di esclusione dalla protezione internazionale in relazione alla commissione di reati. La severità di tali previsioni, unitamente all'incertezza se tali esclusioni saranno rese oppure no rilevanti anche prima di una condanna definitiva, suscitano profonda inquietudine in relazione al principio costituzionale della presunzione di innocenza di cui all'articolo 27 della Costituzione, ma anche in relazione al pieno recepimento del diritto derivato in materia di asilo, come imposto dagli articoli 11 e 117 della Costituzione. Al riguardo, una recente decisione della Corte di Giustizia, unico interprete autentico del diritto europeo, ha affermato che «l'articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione di uno Stato membro in forza della quale si considera che il richiedente protezione sussidiaria abbia «commesso un reato grave» ai sensi di tale disposizione, il quale può escluderlo dal beneficio di tale protezione, sulla sola base della pena prevista per un determinato reato ai sensi del diritto di tale Stato membro» essendo l'interprete nazionale tenuto a «valutare la gravità dell'illecito considerato, effettuando un esame completo di tutte le circostanze del caso individuale di cui trattasi» (Corte di giustizia dell'Unione europea, sezione II, 13 settembre 2018, C-369/17);
    l'articolo 27 della Costituzione, secondo comma, introduce il principio della presunzione d'innocenza, anche in relazione al pieno recepimento del diritto derivato in materia di asilo, come imposto dall'articolo 11 e dal primo comma dell'articolo 117. In conseguenza delle modifiche recate al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) con l'articolo 8 del decreto, si specifica che per l'applicazione della particolare causa di cessazione dello status di protezione internazionale, dovuta al volontario ristabilimento dell'interessato nel Paese che ha lasciato per timore di essere perseguitato, è rilevante ogni rientro nel Paese di origine, ove non giustificato da gravi e comprovati motivi. La severità delle diverse cause di esclusione alla protezione internazionale in relazione alla commissione di reati, che prevede l'esclusione sia dello status di rifugiato sia quella dello status di protezione sussidiaria, previste rispettivamente agli articoli 9 e 15 del decreto legislativo n. 251 del 2007, unitamente all'incertezza se tali esclusioni saranno rese o meno rilevanti anche prima di una condanna definitiva, suscitano profonda inquietudine in relazione proprio al principio della presunzione d'innocenza;
    l'articolo 9 del decreto modifica significativamente la materia delle domande reiterate, introducendo e ulteriormente riducendo, rispetto a quanto stabilito dalla normativa europea, gli spazi di tutela e di difesa del richiedente asilo. La norma appare in contrasto con l'articolo 43, secondo paragrafo della direttiva 2013/32/UE, in quanto la novella non prevede che, in caso di esame della domanda di protezione alla frontiera ovvero nelle cosiddette «zone di transito», la Commissione territoriale competente debba concludere comunque l'esame della domanda entro un periodo massimo di 4 settimane, al termine del quale la domanda deve obbligatoriamente essere trasmessa alla Commissione territoriale competente per l'esame ordinario; infine, per quanto riguarda il caso di domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di espulsione, la novella legislativa appare in contristo con l'articolo 40 della direttiva 2013/32/UE, in quanto non prevede un esame preliminare di ammissibilità della domanda, mentre la norma europea stabilisce che tale esame preliminare di ammissibilità debba essere comunque garantito allo straniero;
    il decreto-legge, prevedendo, altresì la possibilità del trattenimento del richiedente asilo alla frontiera, risulta in contrasto anche con l'articolo 31, paragrafo 8, della direttiva 2013/32/UE, a termini del quale il trattenimento di un richiedente asilo è giustificato solo se questi, entrato irregolarmente nel territorio dello Stato, non abbia presentato la sua domanda di protezione appena possibile. Palese risulta la violazione dell'articolo 13 della Costituzione sulla libertà personale. Altresì i luoghi del trattenimento sarebbero i centri di primo soccorso e accoglienza e in generale tutti i centri governativi di prima accoglienza indicati in violazione dell'articolo 10 della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, che prescrive che il trattenimento può avvenire soltanto in appositi centri di permanenza temporanea o, in casi particolari, in istituti penitenziari;
    costituisce un'ulteriore aberrazione la previsione all'articolo 10, sostanzialmente rimasto identico nel contenuto, discriminatorio ed afflittivo, dopo le modifiche richieste dal Presidente della Repubblica. La norma prevede infatti che in caso di condanna non definitiva o anche semplicemente di procedimento penale il questore ne dà tempestiva comunicazione alla Commissione territoriale competente che provvede nell'immediatezza all'audizione dell'interessato e adotta contestuale decisione. L'avvio di un procedimento penale, da un punto di vista costituzionale, non può portare all'allontanamento dal territorio nazionale di un soggetto che richiede protezione, in primo luogo perché il soggetto non è condannato in via definitiva e in secondo luogo perché la sua eventuale colpevolezza non può inficiare la richiesta di protezione che è legata a convenzioni internazionali non limitabili da provvedimenti nazionali. Le ripercussioni delle vicende giudiziarie penali del richiedente asilo sul riconoscimento della protezione internazionale costituiscono una innegabile forzatura costituzionale, soprattutto sul versante della garanzia del diritto di difesa come prevede il secondo comma dell'articolo 24 e il terzo comma dell'articolo 111 della Costituzione nonché per quanto concerne la presunzione di non colpevolezza di cui all'articolo 27 della Costituzione;
    parimenti, l'introduzione di un reale affievolimento delle garanzie per lo straniero quando si prevede la possibilità della abrogazione della protezione umanitaria, non solo per i nuovi arrivati, che dovranno adeguarsi alle nuove e più stringenti disposizioni del Governo, ma anche per coloro che già godono di questo particolare tipo di protezione internazionale e che non se la vedranno rinnovata a scadenza, solleva forti dubbi di costituzionalità poiché si configura come l'impedimento del rinnovo di un diritto acquisito, permanendo le condizioni che lo hanno reso necessario;
    la radicale ristrutturazione del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione internazionale suscita notevoli perplessità sull'effettività del diritto d'asilo e sul rispetto degli obblighi derivanti dal rispetto del diritto dell'Unione. Gli articoli 9 e 11 del decreto legislativo 142 del 2015 così come verrebbero modificati dal decreto-legge delineano un sistema di accoglienza esclusivamente emergenziale che erogherebbe solo servizi essenziali. Ciò appare radicalmente non conforme alla direttiva 2013/33/UE che dispone che gli Stati membri devono assicurare condizioni di accoglienza (intesa sia come accoglienza materiale che accesso a servizi adeguati per situazioni vulnerabili, accesso all'informazione legale et.) che garantiscano un'adeguata qualità di vita e che solo in casi debitamente giustificati e per il più breve tempo possibile le condizioni di accoglienza possono essere ridotte rispetto agli standard definiti dalla norma europea;
    suscita viva preoccupazione, soprattutto il riferimento alle persone vulnerabili e delle famiglie con minori, prime vittime di un sistema di accoglienza lacunoso e scarsamente vigilato;
    l'articolo 13 del decreto nella parte in cui non consente l'iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti asilo appare introdurre una irragionevole discriminazione, in violazione quindi dell'articolo 3, primo comma della Costituzione rispetto agli altri stranieri regolarmente presenti sul territorio, in possesso di un qualsiasi permesso di soggiorno; questi ultimi, infatti, se hanno una dimora abituale o un domicilio effettivo possono iscriversi alla competente anagrafe comunale, così come prevede l'articolo 6 del Testo Unico sull'immigrazione, senza preclusioni o ulteriori obblighi di legge;
    l'approccio è ancora una volta quello emergenziale che propone politiche contrarie oltre che al buon senso alle più alte conquiste della civiltà introducendo vere e proprie aberrazioni giuridiche come la previsione all'articolo 14, della revoca della cittadinanza, come sanzione per la commissione di determinati reati, là dove la nostra Costituzione non ammette nessun regime speciale, nessuna ghettizzazione. Discriminare all'interno della cittadinanza significa creare un ordinamento separato sulla base dell'appartenenza etnica: un ritorno al passato, alcuni saranno cittadini, gli altri sudditi e ciò lede oggettivamente il principio di uguaglianza previsto dal primo comma dell'articolo 3 della Costituzione;
    la revoca della cittadinanza, può determinare, per coloro che hanno rinunciato alla cittadinanza del Paese di origine l'assunzione dello status di apolide, da parte dei soggetti condannati in via definitiva per i reati contemplati nella norma. Tale profonda modificazione del quadro normativo vigente in tema di perdita automatica o rinuncia volontaria della cittadinanza contrasta con l'articolo 22 della Costituzione ai sensi del quale la cittadinanza non può mai essere revocata «per motivi politici»;
    l'articolo 14 introduce il nuovo articolo 10-bis nella legge n. 91 del 1992, ossia l'istituto della revoca della cittadinanza – soltanto per coloro che l'hanno ottenuta per ius soli – nei confronti di chi sia stato definitivamente condannato per taluni gravi delitti, alcuni tra l'altro di natura politica, il che rende la novella in contrasto con l'articolo 22 della Costituzione; la norma, inoltre, è costituzionalmente illegittima per violazione dell'articolo 117, primo comma della Costituzione nella parte in cui prevede la revoca anche nell'ipotesi in cui la persona non abbia la cittadinanza di un altro Stato, il che farebbe cadere l'ormai ex cittadino italiano in una situazione di apolidia, in evidente contrasto con il divieto previsto dall'articolo 8, primo comma della Convenzione sulla riduzione dell'apolidia, a cui l'Italia ha dato esecuzione con la legge n. 162 del 2015; la norma appare poi in evidente contrasto con l'articolo 27, terzo comma della Costituzione in quanto le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato, in ragione della funzione risocializzante che, in caso di revoca della cittadinanza, appare concretamente irrealizzabile. Infine, la norma viola l'articolo 3, primo comma della Costituzione e, pertanto, risulta discriminatoria e irragionevole: infatti, in caso di concorso di reato di più soggetti, ad esempio, il cittadino italiano per ius sanguinis non si vedrebbe revocata la cittadinanza, mentre la revoca opererebbe soltanto per i cittadini italiani che l'hanno ottenuto per ius soli;
    profili di incostituzionalità si manifestano anche nella parte del provvedimento che interviene in materia strettamente giudiziaria come nel caso dell'articolo 15 che prevede limitazioni al ricorso al gratuito patrocinio statuendo l'esclusione della liquidazione del compenso al difensore ed al consulente tecnico di parte nel processo civile nei casi in cui l'impugnazione sia dichiarata inammissibile e nei casi in cui le consulenze appaiano irrilevanti o superflue ai fini della prova. E ciò nonostante la Corte costituzionale con sentenza n. 16 del 30 gennaio 2018 abbia affermato che la legge non preclude un'interpretazione che consenta di distinguere fra le cause che determinano l'inammissibilità dell'impugnazione. La modifica introdotta con il decreto-legge pertanto pone in essere una considerevole limitazione al gratuito patrocinio previsto nel nostro ordinamento per i non abbienti rivelandosi di fatto non compatibile con il diritto di difesa di cui all'articolo 24 della Costituzione,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1346.
N. 2. Fornaro, Bersani, Boldrini, Conte, Epifani, Fassina, Fratoianni, Muroni, Occhionero, Palazzotto, Pastorino, Rostan, Speranza, Stumpo.

  La Camera,
   premesso che:
    in relazione a quasi tutte le misure previste dal decreto-legge non sussistono i presupposti di necessità e di urgenza cui agli articoli 72 e 77 della Costituzione, trattandosi di una radicale riforma modificativa di istituti giuridici esistenti da molto tempo – e che dunque dovrebbe avvenire attraverso la procedura legislativa ordinaria, anche al fine di valutare la compatibilità degli interventi previsti con gli obblighi costituzionali e con quelli derivanti dal rispetto degli accordi internazionali –, peraltro in una fase in cui il numero delle persone straniere che giungono in Italia è talmente ridotta, come dimostrano i dati del Viminale, da non comportare alcuna forma di allarme sociale;
    l'evidente dimostrazione della carenza del requisito della straordinarietà del caso e della necessità e dell'urgenza di provvedere è l'eterogeneità delle misure proposte per materia e per scopo, dal momento che il decreto mette insieme migranti, terroristi, mafiosi, accattonaggio e detenute madri, e riduce il fenomeno migratorio e il diritto d'asilo a un problema di sicurezza, in contrasto con gli stessi principi di civiltà giuridica su cui poggia la nostra Carta Costituzionale;
    a tal proposito si ricorda che il requisito di omogeneità è stato più volte richiamato dalle sentenze della Corte Costituzionale, tra cui si segnala la sentenza n. 22 del 2012, nella quale la Consulta ha affermato che «Ove le discipline estranee alla ratio unitaria del decreto presentassero, secondo il giudizio politico del Governo, profili autonomi di necessità e urgenza, le stesse ben potrebbero essere contenute in atti normativi urgenti del potere esecutivo distinti e separati. Risulta invece in contrasto con l'articolo 77 della Costituzione la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalità eterogenei, in ragione di presupposti, a loro volta, eterogenei»;
    l'omogeneità rappresenta dunque un vincolo, come affermato dalla Corte, implicitamente contenuto nell'articolo 77 della Costituzione ed esplicitamente previsto dall'articolo 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400 di diretta attuazione costituzionale del citato articolo 77;
   rilevato che:
    a causa dei forti dubbi sulla costituzionalità del decreto-legge nella parte relativa all'abrogazione dei permessi per motivi umanitari e alle nuove procedure per l'identificazione dei richiedenti asilo, il Presidente della Repubblica, nonostante le ultime modifiche apportate dal Governo, contestualmente all'emanazione del decreto-legge, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio dei ministri – evento del tutto irrituale – nella quale ha richiamato «l'obbligo di sottolineare che, in materia, come affermato nella Relazione di accompagnamento al decreto, restano “fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato”, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo, e, in particolare, quanto direttamente disposto dall'articolo 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall'Italia»;
    a tal proposito si segnala che il diritto di asilo, garantito dal terzo comma dell'articolo 10 della Costituzione, non viene adempiuto solo recependo il diritto europeo in materia di status di rifugiato e di protezione sussidiaria nelle norme legislative, ma soprattutto applicando concretamente una protezione umanitaria dello straniero la cui abolizione di fatto viola la richiamata disposizione costituzionale;
    la sostituzione dell'istituto del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all'articolo 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, con permessi di soggiorno «speciali» per casi molto più limitati presenta infatti gravi profili di illegittimità e di inopportunità perché priva l'ordinamento italiano di un essenziale strumento di attuazione agli articoli 2 e 10 della Costituzione repubblicana. Come ha affermato a più riprese la Corte di Cassazione, la protezione umanitaria costituisce una delle forme di attuazione dell'asilo, indispensabile per dare piena attuazione articolo 10, terzo comma, della Costituzione, perché essa si caratterizza per il carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle condizioni per il suo riconoscimento, coerentemente con la configurazione del diritto d'asilo contenuto nella norma costituzionale;
    forme di protezione umanitaria sono previste, con modalità diverse, in 20 dei 28 Paesi membri dell'Ue, (Austria, Cipro, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia, Ungheria oltre all'Italia), così come stabilito all'articolo 6, quarto paragrafo della Direttiva n. 115 del 2008;
    inoltre, nelle ipotesi di permessi di soggiorno per casi speciali non è in alcun modo ricompresa nel decreto alcuna forma di tutela del diritto alla vita privata e familiare, previsto dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, né una adeguata tutela dello straniero, che rinviato in patria, potrebbe essere esposto a trattamenti che ledono la dignità e la libertà individuale, nonché il diritto alla salute e alla vita, violando il secondo comma dell'articolo 10 e il primo comma dell'articolo 117 della Costituzione. Tale grave lacuna normativa (sino ad oggi colmata dall'articolo 5, comma 6, decreto legislativo n. 286 del 1998 che il decreto-legge abroga) conduce alla violazione degli articoli 10, comma 2 e 117, comma 1, della Costituzione e costituisce fondata premessa per la condanna di tale inadempienza presso la Corte europea dei diritti dell'uomo;
   considerato in particolare che:
    la possibilità che alcuni dei permessi di soggiorno umanitari speciali, come tipizzati nel decreto all'articolo 1, possano essere rilasciati esclusivamente dal Questore, lascerà alle questure una discrezionalità amministrativa totale, discrezionalità questa completamente disancorata da ogni criterio che dovrebbe, invece, necessariamente essere previsto dalla legge ordinaria, nel rispetto della riserva di legge assoluta in materia di condizione giuridica dello straniero, ai sensi dell'articolo 10, secondo comma della Costituzione;
    la possibilità della abrogazione della protezione umanitaria non solo per i nuovi arrivati, che dovranno adeguarsi alle nuove e più stringenti disposizioni del Governo, ma anche per coloro che già godono di questo particolare tipo di protezione internazionale e che ai sensi dell'articolo 1 non se la vedranno rinnovata a scadenza, solleva forti dubbi di costituzionalità poiché si configura come l'impedimento del rinnovo di un diritto acquisito, permanendo le condizioni che lo hanno reso necessario;
    l'articolo 3 del decreto prevede uno speciale trattenimento per lo straniero a scopo di identificazione della durata di 30 giorni e il prolungamento dello stesso, ove l'identificazione non sia stata possibile da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, fino a un massimo di 180 giorni. L'illegittimità della norma sembra data in primo luogo dal suo eccessivo ambito di applicazione, ben più ampio del solo ed eccezionale caso di rifiuto del richiedente asilo di sottoporsi alle procedure della cosiddetta pre-identificazione (fotosegnalamento e rilievi dattiloscopici) e non chiaro nei suoi confini. In secondo luogo suscita forti perplessità l'ampia durata dei possibili termini del trattenimento. In tal modo sembrano essere violati gli articoli 10, comma 2 e 3, 13, comma 3, e 117, comma 1, della Costituzione, anche in relazione alla possibile violazione dell'articolo 31 della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato. Si osserva, in particolare, come, ai sensi dell'articolo 13 della Costituzione, debba essere sempre rispettata l'esigenza di rigorosa tipicità delle fattispecie del trattenimento, specie se disposto dall'Autorità di pubblica sicurezza, mentre le norme in oggetto di fatto sanzionano con la privazione della libertà personale lo straniero per un fatto di cui non è responsabile;
    il previsto trattenimento risulta inoltre incompatibile con l'articolo 15 della Direttiva n. 115 del 2008, che limita i casi di trattenimento al solo pericolo di fuga e al compimento di condotte che ostacolano il rimpatrio da parte dello straniero stesso. Può osservarsi, inoltre, come per i cittadini italiani il fermo di identificazione, ai sensi dell'articolo 11 del decreto-legge 21 marzo 1978, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 191 del 1978, presuppone la colpa ovvero il dolo del soggetto fermato (che, o non consente alle forze di Polizia di procedere alla propria identificazione, ovvero si identifica esibendo documenti presuntivamente falsi) e può durare, peraltro, soltanto 24 ore. Ne consegue che l'articolo 3 del decreto risulta palesemente discriminatorio in quanto prevede, per gli stranieri, una limitazione della libertà personale nei cosiddetti «centri hotspot» della durata di 30 giorni, in ragione di una condotta non imputabile agli stessi, mentre, per gli italiani che pongono in essere la medesima condotta, la legge prevede il semplice fermo di polizia della durata massima di 24 ore. Si consideri, infine, che la norma non stabilisce quale sia l'autorità che dispone il trattenimento, né disciplina in alcun modo l'intervento dell'autorità giudiziaria a convalida del trattenimento: tale lacuna risulta in contrasto con la riserva di giurisdizione prevista dall'articolo 13 della Costituzione ed appare, sotto questo profilo, una norma inconcepibile in uno Stato di diritto;
    l'articolo 7-bis, introdotto nel passaggio al Senato, prevede l'adozione, con decreto del Ministro degli affari esteri, di un elenco di «Paesi di origine sicuri», nozione del tutto estranea alla nozione di asilo delineata dalla nostra Costituzione. La disposizione ha il fine di accelerare la procedura di esame delle domande di protezione internazionale delle persone che provengono da uno di questi Paesi, comprimendo dunque le garanzie procedurali e comportando un forte indebolimento della tutela giurisdizionale, dal momento che in tali casi il ricorso ha tempi di impugnazione più brevi e non c’è un'automatica sospensiva durante il contenzioso. Inoltre l'articolo amplia le cause di manifesta infondatezza delle medesime domande, comprendendovi, tra le altre, anche la provenienza da un Paese di origine sicuro, qualora il richiedente non dimostri la sussistenza dei gravi motivi per ritenere quel Paese non sicuro in relazione alla sua situazione particolare, con un'inversione dell'onere della prova. La disposizione in esame contrasta con l'articolo 36 della direttiva 2013/32/UE laddove non contiene la specificazione che in ogni caso si deve procedere «all'esame individuale della domanda», in violazione dunque dell'articolo 117 della Costituzione oltre che dell'articolo 10 sul diritto d'asilo. Si ricorda che ai sensi dell'articolo 4 del Protocollo n. 4, della Convenzione europea dei diritti dell'umani (CEDU), le espulsioni collettive di stranieri sono vietate; secondo la giurisprudenza della corte CEDU, si deve intendere per espulsione collettiva, «qualsiasi misura che costringa degli stranieri, in quanto gruppo, a lasciare un paese, ad eccezione del caso in cui tale misura sia presa al termine e sulla base di un esame ragionevole e obiettivo della situazione particolare di ciascuno degli stranieri che formano il gruppo». Pertanto, è necessario evitare l'allontanamento di cittadini stranieri senza esaminare la loro situazione personale e senza consentire loro di esporre i propri argomenti contro la misura presa dall'autorità competente (Khlaifia c. Italia, sent. 15 dicembre 2016 ric. n. 45302/05), né si può prevedere che la decisione di rigetto sia motivata dando atto esclusivamente del fatto che il richiedente non abbia dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere il Paese non sicuro, come affermato dalla la corte CEDU (Conka c. Belgio sent. 5 febbraio 2002, ric. 51564/99), che ha constatato una violazione dell'articolo 4 del Protocollo n. 4 in quanto le autorità avevano motivato l'espulsione di un gruppo di richiedenti protezione in termini identici per tutti. Esaminare una domanda ritenendo già che un Paese di origine sia sicuro non solo crea una situazione di pregiudizio sostanziale nell'esame della domanda stessa, ma consente ampi margini per l'esercizio di un'influenza politica del potere esecutivo sull'organo di valutazione; infatti a stabilire che il Paese di origine sia sicuro sarà di fatto la Commissione nazionale per il diritto d'asilo, che non è organo amministrativo indipendente ma è fortemente connesso per composizione e struttura organizzativa all'esecutivo;
    motivo di allarme destano anche le altre nuove ipotesi per la qualificazione della domanda d'asilo come «domanda manifestamente infondata», che viene rigettata non dando diritto ad alcuna forma di protezione, salvo che ricorrano le (scarse ipotesi) di rilascio della protezione speciale. Verranno infatti ritenute tali le domande presentate da persone che hanno reso dichiarazioni incoerenti, nonostante siano molto frequenti i casi dei soggetti traumatizzati con disturbi mnemonici; persone che hanno reso informazioni o documenti falsi o hanno distrutto documenti di identità; persone che hanno rifiutato di sottoporsi ai rilievi dattiloscopici; persone che si trovano in alcune ipotesi di espulsione amministrativa o prefettizia; persone che costituiscono un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica; stranieri entrati illegalmente o che si sono trattenuti illegalmente nel territorio italiano che non hanno, senza giustificato motivo, presentato tempestiva istanza di protezione internazionale, caso questo che contrasta apertamente con i diritti garantiti dalla nostra Costituzione in materia di asilo;
    l'articolo 9 del decreto modifica significativamente la materia delle domande reiterate, introducendo e ulteriormente riducendo, rispetto a quanto stabilito dalla normativa europea, gli spazi di tutela e di difesa del richiedente asilo. La norma appare in contrasto con l'articolo 43, secondo paragrafo della Direttiva n. 32 del 2013, in quanto la novella non prevede che, in caso di esame della domanda di protezione alla frontiera ovvero nelle cosiddette «zone di transito», la Commissione territoriale competente debba concludere comunque l'esame della domanda entro un periodo massimo di 4 settimane, al termine del quale la domanda deve obbligatoriamente essere trasmessa alla Commissione territoriale competente per l'esame ordinario; infine, per quanto riguarda il caso di domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di espulsione, la novella legislativa appare in contrasto con l'articolo 40 della Direttiva n. 32 del 2013, in quanto non prevede un esame preliminare di ammissibilità della domanda, mentre la norma europea stabilisce che tale esame preliminare di ammissibilità debba essere comunque garantito allo straniero;
    il decreto-legge, prevedendo, altresì la possibilità del trattenimento del richiedente asilo alla frontiera, risulta in contrasto anche con l'articolo 31, paragrafo 8, della Direttiva 2013/32/UE, a termini del quale il trattenimento di un richiedente asilo è giustificato solo se questi, entrato irregolarmente nel territorio dello Stato, non abbia presentato la sua domanda di protezione appena possibile. Palese risulta la violazione dell'articolo 13 della Costituzione sulla libertà personale. Altresì i luoghi del trattenimento sarebbero i centri di primo soccorso e accoglienza e in generale tutti i centri governativi di prima accoglienza indicati in violazione dell'articolo 10 della Direttiva 2013/33/UE del parlamento e del Consiglio del 26 giugno 2013, che prescrive che il trattenimento può avvenire soltanto in appositi centri di permanenza temporanea o, in casi particolari, in istituti penitenziari;
    costituisce un'ulteriore aberrazione la previsione all'articolo 10; tale articolo prevede infatti che nel caso in cui il richiedente è sottoposto a procedimento penale per uno dei reati di cui agli articoli 12, comma 1, lettera c) e 16, comma 1, lettera d-bis) del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e successive modificazioni, o in caso di condanna non definitiva o anche semplicemente di procedimento penale, ovvero è stato condannato anche con sentenza non definitiva per uno dei predetti reati, il questore ne dà tempestiva comunicazione alla Commissione territoriale competente, che provvede nell'immediatezza all'audizione dell'interessato e adotta contestuale decisione, valutando l'accoglimento della domanda, la sospensione del procedimento o il rigetto della domanda;
    giova ricordare il principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva sancito dalla nostra Costituzione all'articolo 27 e la tutela che l'articolo 10 della Costituzione, oltre che le convenzioni internazionali, riservano al richiedente asilo; l'avvio di un procedimento penale, da un punto di vista costituzionale, non può dunque portare all'allontanamento dal territorio nazionale di un soggetto che richiede protezione, in primo luogo perché il soggetto non è condannato in via definitiva e in secondo luogo perché la sua eventuale colpevolezza non può inficiare la richiesta di protezione che è legata a convenzioni internazionali non limitabili da provvedimenti nazionali. L'espulsione di chi sta affrontando un processo e ha subito una condanna di primo grado lede dunque il diritto alla difesa garantito dal secondo comma dell'articolo 24, il quale prevede che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, oltre che il terzo comma dell'articolo 111 della Costituzione;
    tali disposizioni suscitano inoltre problemi di costituzionalità anche in relazione al pieno recepimento del diritto derivato in materia di asilo, come imposto dagli articoli 11 e 117 della Costituzione. Al riguardo, una recente decisione della Corte di Giustizia, unico interprete autentico del diritto europeo, ha affermato che «l'articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione di uno Stato membro in forza della quale si considera che il richiedente protezione sussidiaria abbia «commesso un reato grave» ai sensi di tale disposizione, il quale può escluderlo dal beneficio di tale protezione, sulla sola base della pena prevista per un determinato reato ai sensi del diritto di tale Stato membro» essendo l'interprete nazionale tenuto a «valutare la gravità dell'illecito considerato, effettuando un esame completo di tutte le circostanze del caso individuale di cui trattasi» (Corte di giustizia dell'Unione europea, sezione II, 13 settembre 2018, C-369/17);
    al Senato è stato inoltre introdotto, sempre all'art. 10, il principio della cd. «alternativa di fuga interna», in base al quale se un cittadino straniero può essere rimpatriato in zone diverse del paese di origine rispetto a quella da cui la persona è fuggita dove non si rilevano rischi di persecuzione, la domanda di protezione internazionale viene rigettata. Tale principio inserisce un elemento di forte discrezionalità nell'esame delle singole domande e solleva molti i dubbi di conformità rispetto all'articolo 10 della nostra Costituzione. La norma, molto generica, non fornisce alcuna indicazione su come e in base a quali parametri di valutazione sia possibile segmentare un Paese in aree – evidenziando peraltro una situazione che è già di grande instabilità –, né su come stabilire in concreto «che si può ragionevolmente supporre che vi si ristabilisca»; è chiaro l'intento di considerare l'asilo come fosse una sorta di «extrema ratio» cui ricorrere quando nessuna altra soluzione, anche precaria e parziale all'interno del Paese di provenienza e respingere domande di asilo che tradizionalmente vengono accolte, sia possibile, in aperto contrasto con il diritto all'asilo garantito dalla Costituzione allo straniero «al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana»;
    venendo all'articolo 12, la radicale ristrutturazione del sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione internazionale suscita notevoli perplessità sull'effettività del diritto d'asilo e sul rispetto degli obblighi derivanti dal rispetto del diritto dell'Unione. Gli articoli 9 e 11 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 così come verrebbero modificati dal decreto-legge delineano un sistema di accoglienza esclusivamente emergenziale che erogherebbe solo servizi essenziali. Ciò appare radicalmente non conforme alla Direttiva 2013/33/UE che dispone che gli Stati membri devono assicurare condizioni di accoglienza (intesa sia come accoglienza materiale che accesso a servizi adeguati per situazioni vulnerabili, accesso all'informazione legale, eccetera) che garantiscano un'adeguata qualità di vita e che solo in casi debitamente giustificati e per il più breve tempo possibile le condizioni di accoglienza possono essere ridotte rispetto agli standard definiti dalla norma europea;
    l'articolo 13 del decreto nella parte in cui non consente l'iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti asilo appare introdurre una irragionevole discriminazione, in violazione quindi dell'articolo 3, primo comma, della Costituzione rispetto agli altri stranieri regolarmente presenti sul territorio, in possesso di un qualsiasi permesso di soggiorno; questi ultimi, infatti, se hanno una dimora abituale o un domicilio effettivo possono iscriversi alla competente anagrafe comunale, così come prevede l'articolo 6 del Testo Unico Immigrazione, senza preclusioni o ulteriori obblighi di legge; tale previsione aumenterà l'insicurezza, in quanto al diritto delle persone effettivamente presenti su un territorio ad essere iscritte all'anagrafe dei residenti di un determinato comune dovrebbe corrispondere la possibilità per gli amministratori locali di conoscere con certezza il numero delle persone presenti sul proprio territorio e di determinare i servizi pubblici e sociali che i Comuni hanno l'obbligo di garantire;
    l'articolo 14 prevede l'aumento da ventiquattro a quarantotto mesi del termine per la conclusione dei procedimenti di riconoscimento della cittadinanza per matrimonio e per cosiddetta naturalizzazione, precisando che la nuova disciplina dei termini si applica anche ai procedimenti di conferimento della cittadinanza in corso alla data di entrata in vigore del decreto. Ciò, oltre a produrre una ulteriore e ingiusta incertezza per coloro che hanno presentato una regolare richiesta già da due anni, è un elemento che fa venir meno la certezza del diritto;
    lo stesso articolo prevede la revoca della cittadinanza, come sanzione per la commissione di determinati reati previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4), del codice di procedura penale, nonché per i reati di cui agli articoli 270-ter e 270-quinquies.2, del codice penale, soltanto per coloro che l'hanno ottenuta per ius soli; pur trattandosi di reati di particolare gravità, è lampante la violazione del principio di uguaglianza dei cittadini sancito dall'articolo 3 della Costituzione; discriminare all'interno della cittadinanza significa creare un ordinamento separato sulla base dell'appartenenza etnica che non è in alcun modo permesso dalla nostra Costituzione, la quale non ammette alcun regime speciale, nessuna ghettizzazione; peraltro alcuni tra tali reati sono di natura politica, il che rende la novella in contrasto con l'articolo 22 della Costituzione, in base al quale nessuno può essere privato per motivi politici della cittadinanza; la norma, inoltre, è costituzionalmente illegittima per violazione dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione nella parte in cui prevede la revoca anche nell'ipotesi in cui la persona non abbia la cittadinanza di un altro Stato, il che farebbe cadere l'ormai ex cittadino italiano in una situazione di apolidia, in evidente contrasto con il divieto previsto dall'articolo 8, primo comma, della Convenzione sulla riduzione dell'apolidia, a cui l'Italia ha dato esecuzione con la legge 29 settembre 2015, n. 162; la norma appare poi in evidente contrasto con l'articolo 27, terzo comma, della Costituzione in quanto le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato, in ragione della funzione risocializzante che, in caso di revoca della cittadinanza, appare concretamente irrealizzabile;
    infine il comma 2-bis dello stesso articolo 14, introdotto al Senato, prevede che il termine per il rilascio degli estratti e dei certificati di stato civile occorrenti ai fini del riconoscimento della cittadinanza italiana sia addirittura di sei mesi dalla data di presentazione della richiesta da parte di persone in possesso di cittadinanza straniera, creando una inaccettabile disparità di trattamento in base alla provenienza della richiesta, in aperta violazione del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, oltre che dell'articolo 97 sul buon andamento e imparzialità dell'amministrazione,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1346.
N. 3. Magi, Fusacchia, Benedetti, Schullian.