XVIII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 233 di lunedì 7 ottobre 2019
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO
La seduta comincia alle 10.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
FRANCESCO SCOMA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 4 ottobre 2019.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Azzolina, Benvenuto, Bergamini, Boccia, Bonafede, Boschi, Brescia, Buffagni, Carfagna, Castelli, Cirielli, Colletti, D'Incà, D'Uva, Dadone, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Di Stefano, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gallo, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Grande, Guerini, L'Abbate, Liuni, Liuzzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Marrocco, Mauri, Molinari, Morani, Morassut, Morelli, Orrico, Parolo, Rampelli, Ruocco, Saltamartini, Scalfarotto, Carlo Sibilia, Francesco Silvestri, Sisto, Spadafora, Speranza, Tofalo, Traversi, Vignaroli, Villarosa e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente sessantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Modifica nella composizione della Giunta per il Regolamento.
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera, a norma dell'articolo 16, comma 1, del Regolamento, udito il parere della Giunta per il Regolamento della seduta del 3 ottobre, ha integrato la composizione della Giunta medesima, chiamando a farne parte il deputato Roberto Giachetti.
Discussione della proposta di legge costituzionale: S. 214-515-805-B - D'iniziativa dei senatori: Quagliariello; Calderoli e Perilli; Patuanelli e Romeo: Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari (Approvata, in un testo unificato, in prima deliberazione, dal Senato, approvata, in prima deliberazione, dalla Camera e approvata, in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, dal Senato) (A.C. 1585-B) (ore 10,03).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge costituzionale, già approvata, in un testo unificato, in prima deliberazione, dal Senato, approvata, in prima deliberazione, dalla Camera e approvata, in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, dal Senato, n. 1585-B: Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 1° ottobre 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 1° ottobre 2019).
(Discussione sulle linee generali – A.C. 1585-B)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Forza Italia-Berlusconi Presidente e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, presidente della I Commissione (Affari costituzionali), il deputato Giuseppe Brescia.
GIUSEPPE BRESCIA, Relatore. Presidente, onorevoli colleghi, l'Aula è chiamata ad esprimersi per la seconda deliberazione della riforma costituzionale più attesa e promessa negli ultimi decenni. Non c'è partito che alle elezioni, soprattutto dal 2008 in poi, non si sia presentato agli italiani con questo impegno: ridurre il numero dei parlamentari.
Oggi siamo qui ad avviare a positiva e definitiva conclusione la discussione parlamentare sul tema, una scelta obbligata per restituire credibilità alla politica e fiducia nelle istituzioni. Alla luce delle mutate vicissitudini politiche, evidenziate in Commissione da alcuni gruppi, ho raccolto il testimone di relatore dalla collega Anna Macina, che lo scorso 29 aprile aveva riferito all'Aula su questo stesso identico testo. Ripercorro dunque, in breve, la sua relazione.
La proposta di legge in esame prevede, all'articolo 1, la riduzione del numero dei deputati, da seicentotrenta a quattrocento, con la conseguente riduzione del numero dei deputati eletti all'estero da dodici a otto.
Per quanto riguarda il Senato, l'articolo 2 della proposta di legge novella l'articolo 57 della Costituzione, determinando in duecento, anziché in trecentoquindici, il numero dei senatori eletti; i senatori da eleggere nella circoscrizione Estero scendono da sei a quattro.
La riduzione del formato numerico complessivo del Senato comporta la riduzione del numero minimo dei senatori eletti per regione. Il vigente articolo 57, al terzo comma, stabilisce, infatti, che nessuna regione possa avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta uno. La predeterminazione di un numero minimo di senatori per regione comporta una variazione rispetto alla ripartizione dei seggi tra regioni, quali si avrebbe qualora si seguisse invece un'assegnazione solo proporzionale alla popolazione, senza alcuna soglia numerica minima di rappresentanza senatoriale regionale. Alla luce della riduzione a duecento del numero di senatori, il numero minimo di senatori per regione è stato individuato dalla lettera b) del comma 1 dell'articolo 2 in tre senatori per regione o provincia autonoma, lasciando al contempo immodificata la previsione vigente dell'articolo 57, terzo comma, della Costituzione, relativo alla rappresentanza del Molise (due senatori) e della Valle d'Aosta (un senatore). La nuova previsione costituzionale troverebbe applicazione, oltre che per il Molise e la Valle d'Aosta, per le province autonome di Trento e Bolzano e per la Basilicata.
Viene al contempo previsto per la prima volta nella Carta costituzionale un numero minimo di seggi senatoriali riferito alle province autonome di Trento e Bolzano, che nel corso del tempo hanno assunto una posizione costituzionale sostanzialmente compatibile con quella che, nel resto d'Italia, è rivestita dalle regioni.
L'articolo 3 fissa in cinque il numero massimo dei senatori a vita, mettendo così fine a non irrilevanti dubbi interpretativi.
L'articolo 4 stabilisce che la riduzione dei parlamentari abbia decorrenza dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere, successiva alla data di entrata in vigore della legge costituzionale, non prima che siano decorsi da essa sessanta giorni. La previsione di tale termine va inquadrata nell'ambito di quanto previsto dall'articolo 3 della legge n. 51 del 2019, vale a dire l'adozione del decreto legislativo in materia di determinazione dei collegi elettorali.
Nel complesso, oltre a conseguire consistenti risparmi di spesa, la riforma punta a migliorare processi decisionali parlamentari a volte poco comprensibili per i cittadini.
Anche dalla prospettiva comparata emerge come questa riforma dovesse essere una priorità istituzionale per la classe politica. Soprattutto, prima dell'ingresso in Parlamento del MoVimento 5 Stelle, la riduzione del numero dei parlamentari era una richiesta tanto pressante nell'opinione pubblica, quanto concretamente inascoltata in Parlamento e, più si moltiplicavano promesse e annunci, più crescevano distacco, malcontento e disillusione, non solo verso i partiti, ma, purtroppo, verso le istituzioni rappresentative. La riduzione del numero dei parlamentari da allora rimane ancora oggi un atto esemplare per dare dignità alla politica, un'autoriforma coerente con i sacrifici che troppo spesso sono stati richiesti, se non imposti, agli italiani, un punto netto e di svolta, dopo fiumi di inchiostro su libri e giornali, che hanno più volte raccontato dell'inerzia della politica e della sua incapacità di cambiare se stessa, prima ancora che il Paese.
Naturalmente questa riforma avrà un impatto sui numeri della rappresentanza. Oggi vi è un deputato ogni 96.006 abitanti e circa un senatore elettivo ogni 192.013 abitanti. A seguito della modifica costituzionale muterebbe, dunque, il numero medio di abitanti per ciascun parlamentare eletto: per la Camera si passerebbe da 96 mila cittadini a 151.210; per ciascun senatore, invece, da 188.424 a 302.420.
Proprio per questo siamo convinti che bisognerà mettere mano alla legge elettorale e che bisognerà portare puntuali correttivi alla Carta costituzionale. Ne hanno discusso in questi giorni le forze di maggioranza, ma ci aspettiamo un contributo sincero e costruttivo anche dalle opposizioni. Andrà inoltre affrontata con decisione la riforma dei regolamenti parlamentari. In questo senso apprezzo molto che il Presidente Fico abbia già convocato la Giunta per il Regolamento, come richiesto in una lettera da parte della presidenza della prima Commissione, su sollecitazione di diversi componenti.
Tante cose sono cambiate dalla prima approvazione in quest'Aula. Abbiamo un nuovo Esecutivo, pur sempre spettatore di fronte alle riforme costituzionali, che appartengono invece al Parlamento. Abbiamo una nuova maggioranza, che già in Commissione su questo provvedimento ha dato prova di compattezza e serietà. Avremo forse nuove opposizioni, con gruppi che magari mancheranno alla prova finale o magari no. Io spero di no. Certamente la loro eventuale assenza non sporcherà la bellezza e la potenza civica di questa riforma.
Abbiamo poi un'altra riforma costituzionale in discussione in Parlamento, originata proprio dal dibattito in Commissione su questo provvedimento, la riforma dell'elettorato attivo e passivo, che allargherà i confini nella partecipazione attiva alla vita democratica di questo Paese. Sarà un altro passo in avanti per le istituzioni, dopo anni di cambiamenti incompiuti, che hanno allontanato i cittadini dalla politica. Anche per questo va confermato il metodo di riforme fin qui seguito: interventi limitati e puntuali, facilmente comprensibili dai cittadini, in caso di eventuali referendum.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che si è riservato di farlo successivamente.
È iscritta a parlare la deputata Vittoria Baldino.
VITTORIA BALDINO (M5S). Grazie Presidente. Colleghi è davvero una grande emozione per me intervenire in quest'Aula in un passaggio storico della nostra Costituzione. Domani questo Parlamento voterà una legge costituzionale che si propone di ridurre drasticamente il numero dei suoi componenti, riconducendo l'Italia al pari delle altre democrazie europee, in quanto a numero di parlamentari direttamente eletti.
È una legge attesa da anni, è un obiettivo a lungo perseguito nel corso delle diverse legislature, ma rimasto incompiuto per innumerevoli ragioni, che sono state tante volte ricordate in queste aule e che anche io ho avuto modo di ricordare qualche mese fa, intervenendo sul tema.
Allora licenziammo il testo con un emiciclo pressoché diviso. Oggi, invece, lo scenario politico è radicalmente cambiato. In qualche momento abbiamo anche temuto che l'enorme lavoro di riforma intrapreso potesse essere vanificato dall'interruzione improvvisa e prematura della legislatura in corso, ma oggi ci ritroviamo, invece, nel momento della storica quarta ed ultima lettura. E permettetemi di ringraziare tutti coloro che hanno fortemente creduto che questo momento potesse e dovesse arrivare ora, in questa legislatura, e non in altre legislature. Quindi, voglio ringraziare i colleghi del mio gruppo parlamentare, ma voglio ringraziare anche i colleghi del Partito Democratico, con cui abbiamo lavorato sulle riforme costituzionali sempre in un clima costruttivo e leale.
In particolare, voglio ringraziare il collega Ceccanti, ma voglio ringraziare anche i colleghi della Lega, con cui abbiamo condiviso nelle precedenti letture l'obiettivo di portare a casa questa riforma storica; il taglio dei parlamentari era fortemente voluto anche da loro e, quindi, spero che domani voteranno a favore.
Sulla riduzione del numero dei parlamentari si è detto tanto, e nonostante i documentati tentativi di realizzarlo, come è stato detto dal relatore poco fa, e nonostante le documentate opinioni e concordati di illustri uomini e donne delle istituzioni già ai tempi dell'Assemblea costituente, quando, in sede di discussione degli articoli 56 e 57, il dibattito fu molto ricco di opinioni controverse in ordine al numero dei componenti di ciascuna Camera, c'è chi ancora oggi nutre dei dubbi, legittimi, ma forse a mio avviso poco fondati o, comunque, enfatizzati dal timore, altrettanto legittimo e forse anche lodevole, di manipolare in qualche modo quanto di più prezioso la nostra storia ci ha lasciato. Ma io penso che noi non dobbiamo avere questo timore, non dobbiamo avere paura, dobbiamo farci carico delle responsabilità di cui siamo investiti e, tra queste, c'è anche una necessità di armonizzare le istituzioni al mutato contesto costituzionale che negli anni si è venuto a determinare. All'epoca della Costituente, l'esito della discussione portò a non decidere un numero fisso, ma a determinarlo in proporzione alla popolazione, per poi introdurlo in un secondo momento, con una legge costituzionale del 1963.
Quindi, per provare a sgomberare il campo da timori e remore, vorrei soffermarmi su quelli che, a nostro avviso, sono i benefici immediati e diretti che deriverebbero da questa riforma.
Anzitutto, un aumento delle capacità decisionali e organizzative del Parlamento: un Parlamento più snello significa anche che i suoi membri vengono scelti in modo più accurato, quindi favorendo l'ingresso nelle istituzioni di una classe politica più autorevole e, quindi, anche l'attività legislativa ne gioverebbe, con interventi più selezionati e di più alto spessore giuridico, prima in termini organizzativi, quindi di forma, e poi anche, a mio avviso, in termini di riflesso, anche nella sostanza, andando ad ovviare anche al problema della iperproduzione legislativa, che ha caratterizzato l'attività parlamentare negli ultimi decenni, troppe leggi, troppe leggi scritte male, che creano spesso e volentieri dei disagi interpretativi per gli utenti del diritto, ma anche poi per i cittadini, che poi sono i diretti destinatari della produzione normativa.
Quindi, oltre ad una maggiore capacità organizzativa, anche maggiore visibilità e maggiore responsabilizzazione della classe politica, perché un Parlamento composto da membri selezionati in modo più accurato determinerà anche una loro maggiore visibilità e, quindi, una maggiore responsabilità nei confronti dei cittadini che rappresentano. E proprio per questo si è detto che il nuovo Parlamento sarebbe maggiormente impermeabile di fronte alle lobby e, quindi, maggiormente in grado di contrastare i gruppi di pressione; questo perché si garantirà un controllo maggiore da parte dei cittadini, più efficace anche sull'operato del parlamentare, e quindi sarà più difficile che vengano perseguiti interessi puramente particolari, di un ceto, di una nicchia, di una certa casta, ma si garantirà che vengano comunque perseguiti gli interessi dei cittadini, ci sarà più attenzione dell'opinione pubblica nei confronti del Parlamento.
E poi veniamo all'aspetto che io ritengo cruciale, ossia quello di ridare centralità all'istituzione parlamentare, perché, dopo anni di delegittimazione dell'istituzione, sarà finalmente possibile ridarle prestigio, valore, ridarle voce, ridare voce all'organo costituzionale direttamente elettivo che rappresenta il fulcro della nostra democrazia rappresentativa.
E voglio ricordare in questa sede - e mi onoro di ricordare - il famoso ordine del giorno Perassi, approvato nella II Sottocommissione, incaricata di disegnare il nuovo assetto istituzionale della neonata Repubblica italiana, nella seduta del 5 settembre del 1946, proprio all'inizio dei lavori dell'Assemblea costituente, con il quale veniva espressa la scelta verso una forma di Governo parlamentare, da disciplinarsi tuttavia con dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell'azione di Governo ed evitare le degenerazioni del parlamentarismo. Quindi, sebbene il Parlamento - e l'ordine del giorno predetto ne dà una testimonianza storica - sia considerato l'organo centrale della forma di Governo disegnata dal costituente, il dibattito istituzionale e politico è stato largamente monopolizzato dall'idea che serva un Governo forte, stabile, capace di decidere, da contrapporre ad un Parlamento lento ed inoperoso. E proprio in quest'ottica, noi vogliamo invertire questa narrazione e, riducendo il numero dei parlamentari, renderemo Camera e Senato organi meno lenti, meno inoperosi, più efficienti, quindi più produttivi, e sentiremo meno l'esigenza di un organo fortissimo da contrapporvi.
Noi non vogliamo affatto depotenziare il Parlamento; al contrario, lo vogliamo rendere effettivamente centrale nel nostro impianto costituzionale, perché è qui che si esprime la volontà e la sovranità popolare proclamata dall'articolo 1 della nostra Costituzione.
Tutto questo, colleghi, al netto di ulteriori passaggi, necessari, che queste Camere dovranno seguire e che già in parte abbiamo intrapreso, almeno in questa Camera, come la revisione dei Regolamenti parlamentari, necessaria, come la costruzione di una legge elettorale giusta, che rispetti la volontà degli elettori e che consenta al Parlamento di dare la fiducia ad un Governo altrettanto rappresentativo e, soprattutto, che non venga concepita in tutta fretta, a ridosso dell'indizione dei comizi elettorali, con il precipuo scopo di avvantaggiare e di agevolare la maggioranza contingente.
Quindi, mi rende orgogliosa prendere parte a questo dibattito, soprattutto se penso che, solo pochi anni fa, in sede di proclamazione della mia laurea in giurisprudenza, regalai alle persone a me care e che condivisero con me quel percorso e quel traguardo una copia della nostra Costituzione, che io ritenevo e ritengo debba essere conosciuta e seguita da tutti, che il MoVimento 5 Stelle ha sempre difeso e osannato e che ora, con immenso rispetto e immensa umiltà, pretende di migliorare, seguendo anche le tracce del solenne, autorevole e rispettabile dibattito svoltosi nel tempo e nello spazio in cui essa ha visto la luce, lo stesso spazio che noi qui stiamo occupando. Grazie a tutti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ravetto. Ne ha facoltà.
LAURA RAVETTO (FI). Grazie, Presidente. Il tema della riduzione dei parlamentari ricorre ciclicamente nel dibattito politico, sociale, mediatico da più di trent'anni. Si tratta, infatti, di una questione che affonda le sue radici nei dibattiti parlamentari sulle riforme istituzionali a partire dagli anni Ottanta e che, seppure in contesti diversi, è continuata ad emergere con tutto il suo vigore nelle passate legislature.
Si è iniziato a parlare della riduzione del numero dei parlamentari nel 1983, con la cosiddetta Commissione Bozzi, e negli anni a seguire con un'altra Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, presieduta dall'onorevole D'Alema. Successivamente, il tema fu posto all'ordine del giorno della Commissione Affari costituzionali della Camera, nella XV legislatura, attraverso l'esame del testo unificato della cosiddetta bozza Violante. Il tema tornò alla ribalta attraverso il lavoro svolto dal Gruppo sui temi istituzionali, costituito dall'allora Presidente della Repubblica, Napolitano, all'inizio della XVI legislatura, e dalla Commissione cosiddetta di esperti, denominata Commissione per le riforme istituzionali, istituita dall'allora Presidente del Consiglio, Letta, l'11 giugno 2013.
Tra i tentativi di riforma, sette nel corso di oltre tre decenni, quello più importante e organico è senza dubbio quello portato avanti proprio da noi, nella XIV legislatura, dal Governo di centrodestra, presieduto dal Presidente Silvio Berlusconi. Si trattava di una riforma organica, poiché non si limitava a prevedere la riduzione del numero dei deputati a 518 e dei senatori a 252, ma si introducevano notevoli elementi di differenza tra le due Camere, che, riferiti non soltanto alla loro composizione, ma anche alle loro rispettive funzioni, avrebbero determinato il sostanziale superamento del tradizionale sistema di bicameralismo perfetto. Al di là della diversa composizione numerica che caratterizza le due Assemblee, il Senato si sarebbe connotato come Senato federale della Repubblica, quale organo costituzionale nell'ambito del quale si intendeva realizzare il raccordo tra la potestà normativa dello Stato e quelle regionali, in ossequio alla scelta di impronta federalista fatta propria dal progetto di riforma. A ciò si aggiungevano una serie di interventi, tra cui un sostanziale rafforzamento del potere esecutivo o, per dire meglio, del Presidente del Consiglio, e modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione, rispetto alle regioni. Inoltre, si procedeva anche, per quanto concerne le funzioni, in merito alla figura del Presidente della Repubblica: le novità previste riguardavano sia la modalità di elezione, sia le funzioni che concorrevano a definire il ruolo in forme coerenti all'assetto complessivo degli organi costituzionali preposti dalla riforma stessa.
Quindi, la riduzione del numero dei parlamentari è una scelta che vede Forza Italia da sempre in prima linea; voglio ricordarlo ancor di più in questa sede e, soprattutto, voglio ricordare che non è una proposta che nasce col MoVimento 5 Stelle, è una proposta di cui discutiamo da tempo e rispetto alla quale noi rivendichiamo coerenza, esattamente come la rivendica il MoVimento 5 Stelle. Il problema, probabilmente, è a sinistra, perché diciamo che su questo tema la sinistra non brillò esattamente per coerenza. In primo luogo, la nostra riforma, del Governo Berlusconi, venne affossata proprio da un'azione di contrasto da parte della sinistra, poi, incredibilmente, ci venne quasi scopiazzata dal Presidente Renzi, però scopiazzata in maniera maldestra, perché, prendendo spunto da alcuni elementi importanti, in realtà la riforma di Renzi poi accentrava in maniera abnorme il potere su ruoli apicali e, quindi, la rendeva di fatto inaccettabile.
Incredibilmente oggi assistiamo all'ennesima conversione da parte del PD dopo aver votato convintamente “no” a qualunque ipotesi di taglio dei parlamentari, adducendo - sì - che ci vorrebbe una riforma organica; hanno, tuttavia, motivato ciò, affermando che il taglio è una misura assolutamente demagogica, addirittura incostituzionale (ricordo ancora e mi chiedo dove sono ora tutti quei costituzionalisti che, già partendo dalla riforma Renzi, si stracciavano le vesti e dicevano che il taglio dei parlamentari è una cosa obbrobriosa); quindi, in sé criticando questo elemento, il PD ha votato sempre “no”. Oggi incredibilmente vediamo questa azione, questa giravolta per cui oggi troviamo che un elemento fondante di questo Governo è proprio il taglio dei parlamentari che qua stiamo discutendo e che andremo a votare.
Che cosa ha fatto cambiare idea al PD? Probabilmente le persone non voglio dire ingenue per carità, voglio dire più idealiste penseranno che, va be', perché è uno scambio di argomenti così poi il PD potrà fare lo jus culturae, sul quale vedo che ci sono anche differenti voci all'interno del PD. Invece temo purtroppo che sia semplicemente un elemento, anzi l'elemento della pattuizione dell'esistenza di questo stesso Governo. Un Governo posticcio, un Governo nato per mantenere gli incarichi, perché non mi piace rubare la terminologia al MoVimento Cinque Stelle, però diciamo che questa terminologia l'hanno applicata a se stessi, quindi per mantenere gli incarichi di tutti i parlamentari, possibilmente di alcuni Ministri e quindi siamo qua a vedere la giravolta del PD. Va bene ne prendiamo atto: la verità è che lo riteniamo un mero scambio.
Il taglio dei deputati per noi ha un senso perché è giustificato in primo luogo in rapporto alle altre Assemblee: penso alle altre Assemblee europee, ma penso anche ad uno sguardo sulle Assemblee in generale presenti nel mondo. Da questo punto di vista l'attuale ampiezza delle Camere di cui si compone il nostro Parlamento appare abbondante rispetto a quella prevista negli altri Stati membri dell'Unione europea, in particolare il rapporto tra deputati e popolazioni è pari alla misura di un deputato ogni 96 mila abitanti e, in base al descritto rapporto, sui 28 Stati europei, compreso il Regno Unito, se ancora lo vogliamo considerare nell'ambito dell'Unione, sono 23 le Assemblee legislative che per dimensioni, in rapporto alla popolazione, hanno maggiore ampiezza rispetto alla Camera dei deputati. Quanto al Senato, il rapporto tra senatori e corpo elettorale è pari attualmente alla misura di un senatore ogni 190 mila cittadini. A ciò si deve aggiungere che la riduzione della rappresentanza politica ci avvicinerebbe a grandi Paesi federali, come gli Stati Uniti, nei quali il rapporto tra numero di elettori e parlamentari si attesta intorno ai 500 mila.
Però, attenzione, a noi non sfugge che poi tale riduzione deve comportare una sorta di razionalizzazione. Per esempio ritengo che dovremmo riaprire in quest'Aula, prima o poi, il tema del bicameralismo, perché è di tutta evidenza che, nel momento in cui razionalizziamo, probabilmente dovremmo, anche in un'ottica di rafforzamento dell'Esecutivo, fare in modo che prossimamente l'Esecutivo possa confrontarsi con una sola Camera e non con due; dovremmo probabilmente rivalutare il tema del voto a data certa. Quindi, ridotti i parlamentari, data anche autorevolezza agli stessi, semplificati i lavori, probabilmente potremmo valutare l'opportunità che si eliminino tempi di conversione delle leggi, magari così eviteremo il ricorso al voto di fiducia che vediamo continuamente nelle nostre aule e magari dovremmo anche pensare a una riforma dei Regolamenti. Sono d'accordo con coloro che nelle Commissioni Affari Costituzionali, molti costituzionalisti, ci hanno detto: razionalizzando, darete più autorevolezza a questo luogo. Su questo sono d'accordo: meno deputati più riconoscibili, certamente più autorevoli. Però anche qui, secondo me, forse andrebbero riviste - passatemi questo termine - le regole di ingaggio nel senso che, a mio avviso, dovremmo ripensare anche il nostro ruolo. Penso più a un ruolo anglosassone, penso più a una funzione di controllo sull'azione dell'Esecutivo che a una mera azione di conversione legislativa. Quindi penso ad un potenziamento di tutte le aree di interrogazione parlamentare e di interpellanza rispetto a quella della conversione dei voti, anzi penso a sessioni di voto per dedicare tutto il resto a un'azione di controllo reale sull'Esecutivo. Penso anche - voglio dirlo e ne parliamo anche fuori, quindi voglio dirlo ai cittadini ma anche a quelli che collaborano con noi - penso a un potenziamento degli staff. Onestamente ultimamente il ruolo del parlamentare è stato un po' letto come abbandonato a se stesso: ci vedono ciondolanti in Transatlantico senza meta. Sarebbe bello ridare un ruolo importante a deputati che hanno attorno a sé legislativi, un'attività reale che li porti a essere riconoscibili anche dall'elettore nella funzione che hanno e quindi nell'azione che svolgono in queste aule. Quindi potrebbe a nostro avviso essere un'opportunità.
Naturalmente c'è il tema, che ci è stato posto anche in Commissione Affari Costituzionali, sulla rappresentanza territoriale, cioè ci è stato detto che, riducendo il numero dei parlamentari, di fatto si va a compromettere il rapporto eletto-elettore, soprattutto in presenza di una legge elettorale che in qualche modo amplierà molto la parte territoriale, il collegio, soprattutto relativamente al Senato. Allora alcuni dicono che c'è il rischio che il rappresentante di fatto diventi un po' come il deputato che oggi è delle grandi città e che è meno riconoscibile di quello della città piccola e quindi probabilmente in questo senso bisognerà anche discutere relativamente alla legge elettorale. Noi non facciamo mistero della nostra posizione come centrodestra: chiaramente siamo per una legge che dia la possibilità anche di capire prima della costituzione dei Governi quali sono le alleanze, quindi qual è il programma e pertanto naturalmente oscilliamo tra ipotesi che spingano verso il maggioritario; se volete parlare di proporzionale, stiamo ragionando probabilmente su premi di coalizione, però certamente una discussione sulla legge elettorale dovrà essere fatta.
Vi è un altro elemento per me importante, anzi determinante. Noi siamo disponibili a ragionare sul taglio dei deputati e voteremo a favore, però rivolgo un appello ai Cinque Stelle: abbandoniamo la mitomania - scusate - della finta democrazia diretta, a questo punto (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Se noi ridimensioniamo il Parlamento, noi ridiamo ruolo al Parlamento. Non diciamo: sono tanti, sono inutili, sono lì, non fanno niente e allora, sai che c'è, ci inventiamo le 500 mila firme in cui 500 mila persone decidono per il Parlamento che cosa e quali leggi di spesa verranno fatte sui cittadini. Quindi questo per noi è un monito: ridimensioniamo il Parlamento per valorizzarlo. Anche in questo caso noi sappiamo che la democrazia va difesa; la democrazia ha un costo; il rischio era spianarla del tutto, perché quella proposta di referendum propositivo è la vera mina vagante demagogica e populista, non il taglio dei parlamentari ma quella proposta. Allora noi diciamo: bene, per difendere la democrazia, per difendere la rappresentanza, per difenderla stando nel contenimento dei costi e anche nelle esigenze di rendere il nostro Parlamento moderno, anche confrontato all'altra Assemblea, noi siamo disposti a ridimensionarlo. Però basta parlare di quei temi che sappiamo tutti essere finte democrazie dirette; non era passare la voce al cittadino; era forse passare la voce a lobby organizzate che potevano decidere le leggi di spesa. Ridiamo ruolo al Parlamento. Quindi c'è una proposta al Senato e spero che verrà abbandonata perché dobbiamo ridare autorevolezza a questo luogo controllandolo - sono d'accordo con voi - ma dobbiamo ridare autorevolezza a questo luogo.
Forza Italia, anzi parlo per me: guardate io voterò convintamente la riforma per un motivo per me determinante ossia per levare l'argomento del taglio dei parlamentari da tutta la pressione mediatica e della Rete e di tutti quanti che, dietro questo argomento, ci impediva di andare a leggere le cose concrete che accadono in questo Paese. Votiamo il taglio e poi, per favore, concentriamoci sul vero lavoro che stiamo facendo qua dentro, sul vero lavoro che stiamo facendo per gli italiani. Una volta che ci saremmo detti che adesso tagliati, ridotti, noi siamo effettivamente coloro che devono rappresentare le istanze dei cittadini, iniziamo a rappresentarle. È un appello che rivolgo a tutti perché troppo spesso mi trovo magari in sedi mediatiche, ci si sforza di parlare dell'abbassamento delle tasse, del lavoro e poi c'è sempre qualcuno che la butta lì: eh sì, però, i costi della politica; è, si, però i parlamentari. Bene, votiamo questa cosa e poi di qui in poi occupiamoci delle cose serie. Quindi anche noi di Forza Italia siamo onorati di partecipare alla discussione; fosse stato per noi il taglio si sarebbe fatto da tempo; coerentemente voteremo a favore consapevoli tuttavia che purtroppo non è un'istanza ideale ma è la mera pattuizione per il mantenimento dello status quo di un Governo che riteniamo essere un'operazione di palazzo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marco Di Maio. Ne ha facoltà.
MARCO DI MAIO (IV). Grazie, Presidente. La riduzione del numero dei parlamentari è un obiettivo che il Parlamento si è più volte dato e che anche in questa circostanza non abbiamo alcuna preclusione ad affrontare e del resto anche l'ultima riforma costituzionale approvata dalle Camere aveva proprio uno dei suoi punti di riferimento nella riduzione del numero di deputati e senatori, in particolare in quel caso del numero dei senatori.
Dunque, non abbiamo difficoltà né imbarazzi nell'accingerci a votare un provvedimento che prevede un taglio del numero dei parlamentari. Ciò che fin qui, nello svolgimento dell'iter parlamentare, aveva incontrato la nostra contrarietà era legato ad altri fattori, evidentemente; il primo era che intervenire sulla sola riduzione del numero dei parlamentari, senza agire su altri fattori, produceva solo un effetto: la riduzione della rappresentanza. Come dimostrano i numeri, infatti, quando entrerà in vigore questa legge, la Camera dei deputati sarà quella con la minor rappresentatività di tutta l'Unione europea, passando da 96 mila abitanti circa per ciascun deputato ai futuri 151 mila per ciascun deputato, da un indice, quindi, di un deputato ogni 100 mila abitanti, a 0,7 ogni 100 mila abitanti, il coefficiente più basso di tutta Europa. Questo ha inevitabilmente implicazioni, non solo per il minor collegamento con la società, ma anche nel funzionamento vero e proprio delle nostre istituzioni: le Commissioni parlamentari, i quorum di elezione per il Consiglio superiore della magistratura, della Corte costituzionale, del Presidente della Repubblica, l'incidenza del voto dei senatori a vita sulle dinamiche parlamentari, in particolare sul voto di fiducia ai Governi, sull'approvazione dei provvedimenti e altre questioni che non elenco, ma che sicuramente i colleghi più attenti a queste tematiche hanno ben presenti.
Il secondo motivo di contrarietà era l'assenza di qualsiasi ipotesi di revisione del sistema elettorale, nella discussione che si era affrontata fin qui, ma, anzi, l'approvazione di una legge che consentisse di applicare il sistema elettorale vigente anche in presenza di una drastica riduzione del numero dei parlamentari, come quella che ci accingiamo a votare, con clamorose storture della rappresentanza; basti pensare, ad esempio, che in tal modo avremmo collegi elettorali maggioritari da 800 mila o addirittura, in alcuni casi, in un caso, per la precisione, da un milione di abitanti; anche il miglior prototipo di parlamentare che si potesse elaborare con le più avanzate tecnologie dell'intelligenza artificiale non riuscirebbe, evidentemente, a rappresentare un territorio così vasto.
Il terzo punto di criticità era la combinazione tra questa riforma e quella sull'introduzione di una forma di referendum propositivo che, così come uscita da quest'Aula con il concorso delle precedenti forze di maggioranza, consentirebbe a piccoli gruppi organizzati di intervenire su materie fino ad oggi precluse dalla materia referendaria, come le leggi che incidono sulla finanza pubblica, le tasse, la giustizia civile e penale, gli accordi internazionali, mettendo peraltro in contrapposizione sistematica Parlamento e popolo – il Parlamento stesso, peraltro, è eletto dal popolo -, con conseguenze imprevedibili.
Su questi temi crediamo che ci sia la necessità, sicuramente, di andare avanti per rafforzare gli strumenti di partecipazione diretta dei cittadini rispetto ai quali, chiaramente, non siamo contrari; peraltro, avevamo introdotto, nella nostra riforma costituzionale, alcuni rafforzativi. Credo che ci sarà bisogno, su questo punto, sicuramente, di tornare a discutere e credo che lungo l'iter parlamentare di quel provvedimento, se andrà avanti, avremo la possibilità di apportare e discutere di eventuali modifiche.
Il quarto motivo di contrarietà, all'epoca, era un quadro politico in cui al Governo prevaleva l'inclinazione sovranista, tesa a scardinare i princìpi cardine di ogni democrazia liberale e rappresentativa, come ha goffamente dimostrato l'ex Ministro dell'interno nel momento in cui ha tentato di portare il Paese a elezioni anticipate, chiedendo quei pieni poteri coi quali avrebbe voluto, non solo fare ciò che gli pareva delle nostre istituzioni, ma anche avere i numeri da solo per eleggere tutti gli organi di garanzia della nostra Costituzione.
Per fortuna, oggi, rispetto alle tre precedenti votazioni di questo provvedimento, siamo di fronte a una condizione completamente diversa, per moltissimi aspetti ribaltata, rispetto a quello che abbiamo visto fin qui. Il pericolo di una deriva sovranista e contraria ai principi delle democrazie liberali e rappresentative è temporaneamente messo da parte, grazie all'harakiri dell'ex Ministro dell'interno, grazie alla generosità di un leader politico come Matteo Renzi e grazie alla generosità delle forze di centrosinistra che hanno consentito, assieme al MoVimento 5 Stelle, di dar vita a questo Governo e, dunque, avendo di fronte un orizzonte temporale di medio o lungo periodo, possiamo affrontare temi che prima non erano previsti. Infatti, le forze che compongono questa nuova attuale maggioranza, contestualmente all'approvazione di questo provvedimento, porteranno avanti - e come gruppo di Italia viva saremo sicuramente impegnati in questa direzione e daremo fino in fondo il nostro contributo - affinché vengano approvati, una serie di provvedimenti che rafforzino le nostre istituzioni, che diano maggiore autorevolezza al Parlamento e che vadano anche ad affrontare i nodi che derivano da una riduzione del numero dei parlamentari.
Quindi, si procederà, entro la fine dell'anno, a presentare un progetto di una nuova legge elettorale per Camera e Senato che possa affrontare le necessità che un sistema elettorale deve avere: quindi, non solo cercare di garantire una stabilità delle istituzioni, ma anche il pluralismo politico, il pluralismo territoriale e la tutela delle garanzie previste dalla nostra Costituzione per le minoranze. Parallelamente, sarà necessario proseguire speditamente verso l'approvazione della legge che, peraltro, è già stata approvata in prima lettura, qui, alla Camera, sull'abbassamento dell'età per il voto al Senato della Repubblica che, oggi, è precluso per tutti coloro che hanno meno di 25 anni e, quindi, in quel contesto, non solo garantire il diritto di voto a tutti i diciottenni, ma successivamente anche affrontare la questione della possibilità di votare per tutti i nostri connazionali fuori sede che, spesso, sono centinaia di migliaia e non riescono a votare per molti motivi; ma avremo modo di tornare anche su questo punto.
Per ovviare agli effetti negativi indotti dalla riduzione del numero dei parlamentari che porterebbe, a sistema elettorale vigente, in alcune regioni, ad avere una soglia di sbarramento implicita nel sistema elettorale superiore anche al 15 per cento e a lasciare, quindi, senza rappresentanti interi territori e milioni di italiani, occorrerà intervenire anche per modificare il principio della base regionale per l'elezione del Senato, anche qui ferme restando, ovviamente, le garanzie costituzionali e di tutela delle minoranze che, assolutamente, sono un impegno a cui non vogliamo e non possiamo venir meno.
La riduzione del numero dei parlamentari incide, anche, come sappiamo, sullo svolgimento di importanti votazioni, lo ricordavo prima e lo voglio ribadire, come, ad esempio, quelle per il Consiglio superiore della magistratura, dei giudici della Corte costituzionale, ma, soprattutto, si modifica in maniera vistosa la composizione del Collegio per l'elezione del Presidente della Repubblica, attribuendo, a numero di parlamentari ridotto, un'incidenza di molto superiore al complesso dei delegati regionali che, rimanendo immutati, con un numero inferiore di parlamentari, ovviamente, avrebbero un'incidenza percentuale superiore. Quindi, sarà necessario intervenire al fine di riequilibrare il peso dei delegati regionali che integrano il Parlamento in seduta comune per l'elezione del Presidente della Repubblica.
Un minor numero di deputati e senatori ha implicazioni notevoli anche sul funzionamento delle Camere, chiaramente, e dunque si renderà necessario riformare i Regolamenti vigenti di Camera e Senato, così da adeguarli in modo efficace alla nuova composizione dei due rami del Parlamento e anche ad assicurare diritti, rappresentanza e voce alle minoranze rappresentate in Parlamento; in questo momento noi siamo maggioranza, ma il più grande errore che si possa fare quando si affrontano riforme di questo tipo è pensare di essere sempre in maggioranza; bisogna tener conto anche che i Regolamenti - e forse non sempre lo si è fatto in passato, quando si è intervenuto su questi punti - sono fatti per tutelare principalmente chi sta all'opposizione; quindi, su questo versante dovremo non solo intervenire, ma anche prestare la massima attenzione.
Nel contempo, questa riforma è essenziale per valorizzare il ruolo del Parlamento, con interventi che vadano ad armonizzare, attraverso la riforma dei Regolamenti parlamentari, ma eventualmente anche attraverso altri interventi di rango costituzionale, il funzionamento delle due Camere, andando a limitare in maniera strutturale il ricorso alla decretazione d'urgenza e all'apposizione della fiducia, ma anche per disciplinare meglio il procedimento legislativo e assicurare una tempistica certa sull'approvazione delle iniziative governative e, anche, sull'approvazione, ad esempio, delle iniziative di legge popolare, tenendo in considerazione che dobbiamo essere, sì, celeri, nell'esame dei provvedimenti parlamentari, ma anche assicurare la necessaria profondità del dibattito. Quindi, sarà doveroso affrontare, accanto alla riduzione del numero dei parlamentari, anche questo aspetto della vita istituzionale. Lo si potrà fare attraverso una riforma dei Regolamenti, ma anche attraverso altri provvedimenti.
Rimane irrisolta e non affrontata da questa riforma quella che per noi politicamente è la questione centrale del nostro sistema istituzionale, cioè il superamento di una forma di bicameralismo del tutto paritario che, ormai, è un unicum nelle democrazie rappresentative liberali. Siamo, ormai, l'unico Paese ad avere due Camere che hanno esattamente i medesimi poteri e le stesse funzioni, per cui riteniamo importante che si affronti in futuro questo aspetto, che, peraltro, faceva già parte della riforma costituzionale di cui siamo stati orgogliosamente promotori.
Noi siamo convinti sia necessario tornare, se non in tempi rapidi, però anche eventualmente nell'arco di questa legislatura, ad affrontare questi nodi.
Quello di oggi è un voto - di oggi? Di domani o, meglio, il voto che non daremo certamente a cuor leggero - con cui sentiamo, tuttavia, tutta l'urgenza di rispondere alla domanda di un segnale di riduzione che da troppo tempo si promette e che oggi finalmente si può portare ad approvazione. Ribadiamo, però, anche la necessità di rimettere al centro quei temi che noi avevamo affrontato nella riforma che questo Parlamento, nella precedente legislatura, aveva approvato e che comprendeva non solo la riduzione del numero di deputati e senatori, ma andava anche al superamento del CNEL e al rafforzamento degli strumenti di partecipazione diretta, senza scardinare il dogma istituzionale della democrazia rappresentativa. Si andava anche a una revisione del procedimento legislativo e a un maggior protagonismo delle regioni e dei territori attraverso una Camera ad essi dedicata, con il superamento definitivo del bicameralismo paritario.
È una battaglia, quella, che abbiamo perso, ma di cui rivendichiamo tutta la bontà e questa riforma, quella della riduzione del numero dei parlamentari, parzialmente recepisce quell'obiettivo, assume in parte quello spirito e, dunque, la voteremo, ma a condizione che gli impegni che ho citato vengano fatti propri da tutta la maggioranza e che diventino, quindi, patrimonio di tutti, che si affrontino gli altri nodi istituzionali che rimangono irrisolti e, soprattutto, che si abbia la capacità, il coraggio, la determinazione di affrontare quelle sfide che il cambiamento ci pone di fronte, senza aver paura anche di andare a recuperare argomentazioni che in parte forse avevano ricevuto in passato una dura opposizione da parte di qualcuno in questo Parlamento, ma il nostro voto favorevole su questa riforma, motivato dalle ragioni che ho spiegato, dimostra che ragionando sui temi e cercando il confronto in questa sede, che è la sede principe del confronto non solo tra le forze politiche ma che deve portare qui dentro anche le diverse espressioni del Paese, si può arrivare anche a modificare un parere che un tempo poteva essere contrario, perché le condizioni sono diverse e perché i fatti si sono incaricati di dimostrare che molti contenuti di quella riforma probabilmente, se fossero diventati realtà oggi ci avrebbero risparmiato alcuni problemi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Romano. Ne ha facoltà.
ANDREA ROMANO (PD). Grazie, Presidente. Il cosiddetto taglio dei parlamentari, di cui discutiamo oggi, rappresenta qualcosa di più di una riforma costituzionale, così come rappresenta qualcosa di più del passaggio inevitabile e necessario per far funzionare il patto parlamentare da cui è nata questa nuova maggioranza di Governo. Entrambe queste cose sono vere: da un lato, appunto, una riforma costituzionale; dall'altro, una condizione per far lavorare il Governo. Ma dietro questo provvedimento - ed è il punto su cui vorrei concentrare il mio intervento - c'è qualcosa di più, ed è il percorso storico che ha condotto la politica italiana, o almeno una parte significativa della politica italiana, a considerare la rappresentanza politica come espressione di un privilegio sostanzialmente inaccettabile, un privilegio da limitare, da coartare come ogni altro privilegio materiale immeritato e, dunque, di nessuna utilità. Un privilegio che, quindi, in ultima istanza potrebbe anche essere cancellato in teoria, senza arrecare danni significativi alla comunità civile a cui apparteniamo.
Conosciamo bene questa idea, la conosciamo noi che siamo parlamentari ma la conoscono tutti i protagonisti attivi e passivi della discussione pubblica italiana da almeno un quarto di secolo, mi verrebbe da dire. È un'ideologia di segno fondamentalmente antiparlamentare, e il fatto è che non siamo arrivati fin qui oggi a discutere di questo provvedimento solo perché il MoVimento 5 Stelle ha proposto, qualche mese fa, questa proposta di legge di riforma costituzionale; ci siamo arrivati dopo, per l'appunto, venticinque anni di retorica contro la casta, contro l'inutilità della funzione di rappresentanza politica, contro la configurazione del potere legislativo solo e soltanto come privilegio materiale.
La parola chiave di questo percorso storico è ovviamente “poltrona”, quella su cui sediamo normalmente, quella su cui prima di noi si sono seduti altri colleghi in rappresentanza del popolo italiano, e se siamo arrivati a configurare la riduzione dei parlamentari della Repubblica prima ancora di discutere del merito del provvedimento solo e soltanto come il taglio di un centinaio di poltrone o più o meno, come è stato autorevolmente sostenuto non certo da qualche passante poco informato ma da figure di primaria responsabilità negli attuali assetti politici e di Governo, se siamo arrivati fin qui in questo modo significa che la discussione su questo provvedimento può e forse dev'essere usata anche come occasione per domandarsi se la retorica dell'anticastismo abbia prodotto il bene o il male di questo Paese.
Per questo mentre sosteniamo, e sostengo, questo provvedimento, appunto nella doppia logica di condizione necessaria al patto di maggioranza e di riforma costituzionale, credo che sia indispensabile interrogarsi sull'ideologia da cui origina questa retorica ma, anche e soprattutto, sulle patologie della democrazia che questa retorica ha denunciato e denuncia e sulle risposte possibili, per l'appunto, a quelle patologie. Io credo che dobbiamo essere consapevoli, innanzitutto, che l'ideologia dell'anticastismo nasce da una crisi autentica e profonda della democrazia liberale, nasce da un indebolimento reale dei poteri della democrazia e, insieme, dalla diffusione nell'opinione pubblica di una percezione legittima e fondata, per quanto ruvida e poco digeribile soprattutto da noi, secondo la quale la democrazia non riesce più a dare risposte efficaci ai bisogni reali della società, a governare il cambiamento, a rassicurare i cittadini, che avvertono una drammatica perdita del proprio potere decisionale proprio nel mezzo di passaggi storici che ne mettono in discussione status e certezze.
È una crisi che nasce da molti fattori complessi e intrecciati, da trasformazioni storiche reali, dall'insufficienza delle risposte che a queste trasformazioni sono state date dalle classi dirigenti, anzi, ormai da più di una generazione di classi dirigenti e anche dall'attacco alla democrazia che nel corso degli anni è stato mosso e viene ancora mosso da interessi che sono reali, nazionali e internazionali. È una dinamica estremamente complessa, per l'appunto, che nel corso di questo quarto di secolo tiene insieme Tangentopoli fino agli ultimi siluri lanciati contro la democrazia liberale da regimi autoritari come, per esempio, quello della Russia di Putin. E proprio per la complessità di questo contesto storico, nel quale siamo immersi, credo che dobbiamo essere consapevoli che è proprio dentro questa crisi della democrazia che si impianta la retorica contro la casta e l'ideologia dell'anticastismo da cui nasce questo provvedimento.
È ovvio, credo, che la crisi della democrazia o, meglio, la crisi delle democrazie è, soprattutto, una crisi dei Parlamenti o, meglio, la crisi della democrazia è crisi di Parlamenti eletti democraticamente, ma colpiti nella loro efficacia e nella loro credibilità, nella loro percezione di utilità, nella loro capacità di trasmettere alle opinioni pubbliche il senso di una funzione reale e concreta che, evidentemente, non si avverte più come una funzione effettivamente svolta. E proprio questi Parlamenti, in conseguenza di questa drammatica crisi di efficacia, vengono rappresentati essenzialmente - spiace dirlo, ma va detto - come luoghi di privilegio e di malaffare.
Noi qui, però, siamo legislatori, appunto, e non commentatori e, in quanto legislatori, la domanda che dobbiamo porci è, mentre discutiamo ancora di questo provvedimento, una domanda duplice e molto impegnativa: possiamo permetterci che la nostra democrazia e il nostro Parlamento vengano rappresentati essenzialmente come luoghi di privilegi e di malaffare? E possiamo permetterci di dare alla crisi della democrazia e dei Parlamenti solo e soltanto la risposta contenuta nel cosiddetto taglio delle poltrone? La risposta del Partito Democratico - e non da oggi - a questa domanda è molto diversa da quella dei colleghi del MoVimento 5 Stelle, con i quali oggi condividiamo pure la responsabilità di governare l'Italia e il sostegno a questo provvedimento. A differenza del MoVimento 5 Stelle, il Partito Democratico ritiene che la democrazia rappresentativa vada rafforzata e non indebolita; a differenza del MoVimento 5 Stelle, noi pensiamo che il Parlamento repubblicano vada, per l'appunto, rafforzato e non indebolito; a differenza del MoVimento 5 Stelle, noi pensiamo che la rappresentanza politica, di cui noi oggi siamo, diciamo, rappresentanza ed espressione più alta anche se immeritata, non sia solo una sommatoria di poltrone da sfoltire ma una funzione fondamentale per qualsiasi democrazia, una funzione fondamentale che, per l'appunto, dev'essere rafforzata e resa più efficace.
Non lo pensiamo solo noi, i singoli deputati del PD, ma lo pensa quella larga parte del Paese che ritiene che non dovremmo disfarci con tanta leggerezza delle istituzioni che hanno permesso alla nostra democrazia di attraversare crisi e minacce numerose. Lo pensa quella larga parte del Paese, per l'appunto, che poche settimane fa, quando ha ascoltato un leader politico che chiedeva e pretendeva pieni poteri per sé e per il proprio partito, trasmettendo al Paese un messaggio sostanzialmente eversivo, quella parte del Paese ha detto: fermiamoci un attimo, difendiamo le nostre istituzioni e sediamoci persino con quella parte politica con la quale abbiamo ingaggiato migliaia di battaglie e che ha sostenuto finora un Governo contro il quale noi abbiamo fatto un'opposizione severissima.
Allora, la domanda che mi faccio è: questo significa forse che dovremmo conservare il nostro Parlamento così come è oggi? Significa forse che dovremmo conservare le nostre istituzioni democratiche così come sono oggi? Ovviamente no. Al contrario, è proprio perché siamo convinti che sia indispensabile rafforzare la democrazia rappresentativa che noi riteniamo indispensabile riformare l'istituzione parlamentare, dentro una riforma più vasta delle istituzioni democratiche.
Proprio per questo noi pensiamo che vi sia bisogno di rafforzare, e non di indebolire la democrazia rappresentativa.
Per parte nostra, noi ci abbiamo provato e continuiamo a provarci. È stata questa l'ispirazione delle riforme istituzionali che abbiamo promosso nel corso della passata legislatura, con un disegno di riforma che era volto a rafforzare la democrazia repubblicana attraverso la sua profonda riforma: una riforma - ricordo - dentro la quale trovava posto anche una riduzione, persino maggiore di questa, del numero dei parlamentari, ma per l'appunto una riduzione che si configurava come un passaggio di un disegno più ampio e complessivo. Un disegno ampio e complessivo che aveva un unico punto di riferimento: rispondere alla crisi della democrazia, che è anche crisi dei Parlamenti, non assecondando passivamente la retorica e l'ideologia dell'“anticastimo”, ma al contrario rispondendo a quella retorica con il rilancio riformatore delle ragioni della democrazia e di un parlamentarismo rafforzato.
Noi abbiamo fallito, come è noto, in quel caso; ma l'occasione di questo voto credo che debba servire a tutti noi, tutti noi, per riflettere sull'urgenza di una riforma, e magari anche per riflettere sugli errori che sono stati fatti da tutti i protagonisti della passata legislatura su questo punto. Sia da coloro che hanno promosso il “no”, ad esempio, che io credo possano interrogarsi su cosa alla fine abbiano ottenuto; e sia da coloro che, come il sottoscritto e tanti altri colleghi, hanno promosso le ragioni del “sì”, senza riuscire a convincere la maggioranza degli italiani. Personalmente, per quanto vale, sono convinto che da quel fallimento sia nata la condizione storica nella quale abbiamo concretamente rischiato una deriva eversiva in questo Paese, con la retorica e con la richiesta e con la pretesa dei pieni poteri; ma questo forse, anzi sicuramente, sarà oggetto di discussione e di ricerca per gli storici del futuro.
Mi avvio alle conclusioni, ponendo appunto questo tema che accennavo un attimo fa, perché questa che abbiamo oggi è un'altra occasione per avviare un processo di riforma delle nostre istituzioni democratiche. Ma dev'essere un processo, per l'appunto, con il coraggio dell'apertura e della visione lunga: non può esaurirsi nel taglio di qualche poltrona, non può esaurirsi nel pur indispensabile varo di una nuova legge elettorale e negli altri correttivi che si rendono indispensabili. Tutto questo è necessario, ma non sufficiente, mentre sosteniamo questo provvedimento nella nuova cornice politica e di Governo di cui ci siamo assunti la responsabilità.
Ciò che è indispensabile, per quanto difficile possa apparire, è fare in modo che questo provvedimento sia solo il primo passo di un nuovo sforzo di riforma delle istituzioni repubblicane, che abbia una direzione e un senso precisi: rafforzare le nostre istituzioni, a partire dal Parlamento, per rispondere alla minaccia che ormai da decenni è rivolta contro la democrazia liberale.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ANDREA ROMANO (PD). Quella che serve davvero - e concludo, Presidente - è l'ambizione di un disegno riformatore e più ampio. È difficile dire se ci riusciremo in questa legislatura, ma è certamente vero che dobbiamo impegnarci con questo unico obiettivo, che è l'unico modo serio, onesto e responsabile per discutere e votare questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stumpo. Ne ha facoltà.
NICOLA STUMPO (LEU). Grazie, Presidente. Io interverrò su questa riforma costituzionale, sul numero dei parlamentari che verranno ridotti, tenendo a precisare alcuni aspetti che dirò nel corso dell'intervento.
Naturalmente, per quanto mi riguarda, quello che stiamo discutendo oggi è, e dev'essere, un impianto di riorganizzazione istituzionale complessivo del sistema istituzionale e del sistema Paese: perché altrimenti l'idea di una riduzione del numero dei parlamentari, così, senza nessun'altra riforma collegata, sarebbe esattamente un non senso, perché priva di quelle che sono le questioni logiche. Lo dico perché siamo qui, in Parlamento, alcuni colleghi che hanno proposto questa riforma costituzionale in queste due legislature, e credo che abbiano anche fatto un autorevole lavoro parlamentare; io mi chiedo e mi domando se, anziché 630 deputati e 315 senatori, a regole vigenti di Camera e Senato, ci fossimo trovati in 400 e 200, sarebbe stato possibile far loro quello che hanno fatto in questa fase: il lavoro in Commissione, i lavori in Aula, la qualità del lavoro che è stata sviluppata in questo periodo.
È quindi evidente… Lo dico perché, in questa fase nuova che si è aperta dopo le giornate del Papeete, io credo vi sia la necessità di dirsi le cose prima: non dopo, prima. Perché io ricordo, in quest'Aula, quando si votava per la seconda volta la legge, che alcuni dicevano ai componenti della Lega: guardate che dopo averla votata per la seconda volta non si modifica più. Ci venne risposto: ma no, la modificheremo al Senato. Ecco, io non vorrei trovarmi - al di là della non brillante conoscenza non solo di quello che si stava votando, ma di quello che era il corollario di quello che si sta votando - a dover fare le cose per poi cambiarle dopo, con dei colpi di mano. Io sono abituato a dire le cose prima, a dircele chiare e in faccia.
È, allora, del tutto evidente che il numero dei parlamentari si può e si deve ridurre conseguentemente ad una riforma complessiva dei Regolamenti di Camera e Senato; si può e si deve fare parlando dei nuovi riequilibri territoriali. Chi parla è uno che non ha mai considerato i parlamentari dei consiglieri municipali; eppure, c'è stato un momento di questa nostra Repubblica in cui i parlamentari, quelli eletti nei collegi maggioritari, all'epoca di 100 mila abitanti, erano stati ridotti pressoché a dei consiglieri territoriali, perché gli interessi di quel territorio che li eleggeva determinavano il lavoro parlamentare. Io penso che i parlamentari, per loro constituency parlamentare, devono rappresentare l'unità della nazione, la nazione tutta.
A me non preoccupa allora il fatto che 200 senatori siano in collegi ampi: a me preoccupa il fatto che un parlamentare si occupi troppo e male di una questione, mettendola dentro quel territorio e non nell'interesse nazionale. Non è quello quindi il tema di cui noi dobbiamo discutere, ma certamente è come a tutti i territori si dà la possibilità di eleggere dei rappresentanti, che è altra cosa rispetto a quello che si confonde con quello che dev'essere il ruolo dei parlamentari. E questo lo si fa attraverso le leggi elettorali, che noi dobbiamo inevitabilmente andare a rivedere, perché il numero dei parlamentari ha cambiato l'equilibrio: alcune regioni verranno di fatto spazzate via da quella rappresentanza. E lo dobbiamo fare anche nel rispetto del nostro Paese, rispetto agli equilibri e alle funzioni che ha il Parlamento, perché alcuni equilibri sono stati costruiti nel corso del tempo con i numeri di 630 deputati e 315, più i senatori a vita, più i rappresentanti del territorio nel caso delle elezioni del Presidente della Repubblica, oppure per la Corte costituzionale, oppure, oppure… cioè tutte le cose che noi mettiamo in campo.
Come riequilibriamo un Parlamento che riduce i suoi numeri? Quindi, il tema non è la riduzione: il tema è cosa mettiamo a fianco di questa riforma costituzionale, cosa di cui fino ad oggi non c'era traccia. E non c'era traccia, io lo dico, perché ci si era fatti prendere da una foga un po' extracorporea, diciamo, rispetto alla riforma da un lato, e dall'altro rispetto al fatto che in un patto ognuno metteva il suo e gli altri non controllavano, e questo era un modello che, infatti, non ha portato a grandi successi. E lo dico: almeno per quanto mi riguarda, da oggi chiudiamo la stagione dei toni troppo alti su alcune vicende.
Per troppo tempo e per troppe volte si è collegato ad un numero, alla riduzione del numero dei parlamentari, toni che io non apprezzo: antiparlamentarismo, la casta, come ora ricordato dal collega Romano, un po' troppo qualunquismo, meno poltrone, risparmio economico. Ognuno di noi è qui solo da qualche mese per sapere quale sarà realmente l'impatto economico: non usiamolo come il modello per il quale si rifanno i conti e il bilancio dello Stato. Diciamoci le cose come stanno, diciamo anche che questo è un Parlamento che, spesso, non è in grado di fare il lavoro che deve fare perché non è messo nelle condizioni di fare il lavoro che fa, perché, forse, ci sarebbe bisogno di fornire più strumenti ai parlamentari. Allora, in quella riduzione, io mi auguro che si possa fare un ragionamento sugli strumenti che si mettono a disposizione dei parlamentari, non sulla riduzione del costo, come se il parlamentare si facesse, come al mercato, a peso. Non è così, si fa per la qualità che si dà e la qualità non si dà abbassando il numero dei parlamentari: la qualità la si ha, se si è persone capaci di produrre effetti per il Paese; non dicendo: siamo in meno e, quindi, è meglio, perché in questo Parlamento, fatto da 630 persone, ci sono state legislature di grandissima qualità e legislature di bassissima qualità, eppure il numero era lo stesso. Quindi, non è il numero: la qualità è altra cosa.
Infine - vado a concludere -, voglio dire che ho apprezzato i toni che il presidente Brescia ha usato oggi, ho apprezzato quelli della collega Baldino, perché iniziamo a rompere questi schemi che, però, per troppo tempo, ci hanno condizionato. Voglio dire soltanto due cose prima di chiudere. Abbiamo usato una parola, “autorevolezza”: l'autorevolezza, io sentivo dire, uno ce l'ha o non ce l'ha. Io amo dire un'altra cosa: l'autorevolezza si ha quando viene riconosciuta dagli altri, l'autorevolezza, poi, non si compra. Per cui, non è un tema, anche qui, di numeri, ma è il punto di come noi intendiamo la politica. Infine, noi voteremo questa riforma e lo faremo in ragione delle cose che ho detto: non soltanto, quindi, perché c'è una riduzione del numero dei parlamentari, ma perché, al contorno, dovremo costruire un nuovo modello istituzionale per farlo funzionare meglio. Vorrei che questa legislatura parlasse anche di altre riforme che dovremo mettere in campo per quello che è l'aspetto istituzionale del Paese, complessivamente, e lo faremo, quindi, anche per i contrappesi che riusciremo a mettere.
Infine, lo dico, ci sarà una maggioranza - e chiudo, Presidente, grazie - diversa e nuova che voterà questa quarta lettura e prescinde dal Governo. Io non ho mai votato, il nostro gruppo non l'ha mai votata, anche il Partito Democratico non l'ha mai votata; la voteremo, non so cosa faranno altri gruppi che precedentemente l'hanno votata e, però, credo - e chiudo davvero - che le riforme costituzionali, oltre ad essere un punto complessivo parlamentare, siano anche una questione che riguardano i cittadini e penso che sarebbe opportuno, proprio perché non sono stati raggiunti i due terzi e proprio perché ci sarà una nuova e diversa maggioranza, forse questa stessa maggioranza dovrebbe chiedere ai cittadini di riconfermare con un voto referendario quello che noi faremo in queste ore (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rampelli. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI (FDI). Grazie, Presidente. Colleghi deputati, rappresentanti del Governo, sicuramente la tappa che ci apprestiamo ad affrontare è significativa. Vorrei innanzitutto ricordare - lo hanno già fatto altri deputati, altri senatori prima di me, l'avranno fatto anche, certamente, meglio di come io possa riuscire ad argomentare oggi - che questa materia del taglio dei parlamentari esiste da qualche tempo nell'agenda della politica italiana.
Di più, alcune maggioranze, tra le quali quella a cui mi onoro di appartenere, all'epoca maggioranza, hanno avuto la forza numerica per approvare il taglio dei parlamentari nell'ambito di una riforma costituzionale complessiva, che, poi, ahimè, è stata di fatto bocciata nel referendum confermativo dai cittadini; è accaduto anche più di recente con la proposta che fu avanzata dall'ex Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Quindi, ci sono stati vari tentativi: questo significa che c'è una comune sensibilità e tutti sappiamo di doverci allineare, nel rapporto tra rappresentanza parlamentare e territorio, agli standard medi degli altri Paesi europei, anche se, va comunque sottolineato, che con questo taglio noi andiamo un po' oltre, perché avremo sicuramente da scontare un deficit importante di rappresentanza, perché il rapporto tra eletto e territorio sarà un rapporto poco gestibile, quindi andrà, comunque, a discapito della relazione tra l'istituzione parlamentare e il cittadino elettore.
Quindi, prima questione: nessuno si sta inventando niente, perché abbiamo già operato, non attraverso le conferenze stampa, ma attraverso il dibattito, il confronto, attraverso il voto in Commissione, attraverso il voto in Aula, fino al sostegno, nella legittimità delle reciproche posizioni, della campagna referendaria. E i cittadini, evidentemente, non avevano gradito non tanto il taglio dei parlamentari, ma la cornice più estesa della riforma costituzionale all'interno della quale era prevista la revisione anche del numero dei parlamentari.
Questa premessa mi serve per cercare di togliere il più possibile dal tavolo la vicenda della strumentalizzazione di questa proposta: non esistono primi della classe, a mio giudizio, sarebbe improprio far decadere il dibattito parlamentare e le dichiarazioni conseguenti fino al punto da trasformare una riforma costituzionale in un'azione di propaganda o di becera cattura del consenso, magari, nel caso del MoVimento 5 Stelle, semplicemente perché, negli ultimi sedici mesi, hanno dimezzato, come hanno dimostrato i dati elettorali delle europee, i propri consensi. Sarebbe veramente mortificante stare qui a discutere di questa proposta con questa sorta di cornice. Certo, c'è un tema che, comunque, va posto all'ordine del giorno: non si può non citare la spregiudicatezza con la quale alcuni partiti - il Partito Democratico in testa e sue successive articolazioni - abbiano modificato la propria posizione. Abbiamo già parlato e abbiamo già votato, al Senato e alla Camera, la proposta del taglio dei parlamentari e il Partito Democratico ha sempre votato contro, anche argomentando, con una certa prosopopea, il proprio voto contrario. Non sarebbe davvero comprensibile oggi non ricordare a chi ci ascolta che c'è stata un'improvvisa inversione a U, dettata da un accordo, accordo di Governo con il MoVimento 5 Stelle. È storia nota, ma repetita iuvant. Il Partito Democratico ha detto ferocemente peste e corna del MoVimento 5 Stelle fino a ieri l'altro, escludendo categoricamente, non con l'ultima ruota del carro, ma attraverso la viva voce del suo attuale segretario nazionale, l'ipotesi di accordi di qualunque ordine e grado, figurarsi se era immaginabile, addirittura, fare un Governo insieme con il MoVimento 5 Stelle, e oggi siamo in questa condizione. Il Partito Democratico, dopo aver votato tre volte contro, si appresterà nella giornata di domani a votare a favore, in un accordo, che è un accordo per la conservazione e la difesa delle poltrone, perché questo accordo oltretutto, cosa che viene troppo spesso trascurata, che cosa comporta?
Comporta il fatto che, quando si dovesse aprire, come noi ci auguriamo e lavoreremo per questo, una crisi di Governo, difficilmente l'attuale maggioranza numerica, sapendo che un terzo dei parlamentari non sarà riconfermato, sfiducerà il Governo. Quindi, è una norma che, inserita, incastonata come un diamante in un anello, sarà difficile estirpare da questo contesto. Dunque è una norma che, per quanto possa essere giusta, e lo dice chi ha sempre votato a favore, Fratelli d'Italia l'ha sostenuta fin dal principio senza avere grandi obiezioni da fare…poi ci arrivo a questo, perché, se qualcuno ha fatto qualche obiezione è il MoVimento 5 Stelle, che ha cercato fino a ieri compreso di creare un incidente di percorso. Poi, domani, ascolteremo nelle dichiarazioni di voto di Fratelli d'Italia quale sarà la parola definitiva al riguardo, ma il comportamento del MoVimento 5 Stelle nei confronti di una forza politica che ha sostenuto con il voto a testa alta il taglio dei parlamentari è stato ed è tuttora vergognoso, vergognoso!
Detto questo, dicevo che di fatto la legislatura viene congelata, cioè, nell'accordo di Governo, il MoVimento 5 Stelle, che si rivolgeva al Partito Democratico accusandolo di essere il partito di Bibbiano, il partito che faceva gli elettroshock ai bambini per toglierli e strapparli alle famiglie, pur non emergendo da nessuna parte, di fatto sostiene e invera una pratica inconfessabile, che è quella di accettare che la legislatura arrivi fino alla fine; non per un editto, ma per una conseguenza banale. Noi lavoreremo in direzione opposta, perché riteniamo che questo Governo non abbia la legittimazione popolare, che è l'unico aspetto che conta nella sostanza in una democrazia, diretta o parlamentare che sia. Anche questo bisticcio di competenze e questo tentativo di mettere la democrazia parlamentare contro la democrazia reale abbiamo più volte dimostrato - lo ha fatto Giorgia Meloni più e più volte, motivandolo e argomentandolo, e non raccontandolo al bar dello sport - che non solo è inaccettabile, ma è anche sbagliato, anche costituzionalmente sbagliato.
Quindi, essendo in presenza di un Governo che non ha la legittimazione popolare, noi faremo di tutto per farlo cadere, sapendo bene quali sono, in questa fase storica, gli orientamenti dei cittadini italiani e volendo ricreare una sintonia tra il popolo e le istituzioni, il popolo e il Governo. E questa osservazione apparentemente incidentale mi porta a collocare il taglio dei parlamentari, su cui siamo stati d'accordo e abbiamo votato a favore, l'ho detto e lo ripeto, in un contesto che, però, attenzione, rischia di non essere sufficientemente compreso dai cittadini. Infatti, qualunque cittadino italiano interpellato rispetto alle necessità della nostra democrazia di accelerare i suoi ritmi, dello Stato di essere più efficiente, mette al primo posto in classifica la necessità di una trasformazione in senso presidenziale della nostra Costituzione; chiede, rivendica, a maggior ragione in presenza dello schifo che abbiamo visto poche settimane fa, il diritto di scegliersi direttamente il Presidente della Repubblica. Non vuole più essere intermediato da questa vergogna, da questo spettacolo inverecondo che abbiamo dato con questo salto della quaglia, con questi bizzarri voli pindarici, con questi ripensamenti e con questo negare cose su cui si è chiesto e ottenuto il consenso dei cittadini.
Sono dichiarazioni di circostanza: se il Partito Democratico non avesse detto di voler contrastare la spinta dell'antipolitica del MoVimento 5 Stelle, non avrebbe preso i voti che ha preso nel 2018; se il MoVimento 5 Stelle non avesse esplicitamente detto in campagna elettorale, in lungo e in largo, che c'era un solo nemico da abbattere, che era il Partito Democratico, e che avrebbe fatto di tutto per non far tornare Renzi al Governo, non avrebbe preso i voti che ha preso, tertium non datur.
Ma il MoVimento 5 Stelle fa i gargarismi con il concetto di democrazia diretta, salvo concretizzarli solo per le pratiche interne, la piattaforma Rousseau, che è il tempio del conflitto di interessi proprio per antonomasia: se c'è un conflitto di interessi nel terzo millennio, non è più quello che veniva attribuito alle note vicende che vedevano Berlusconi nel suo rapporto di capo di un'azienda, Mediaset, operante nel settore delle comunicazioni e particolarmente efficiente sotto questo aspetto, con grande indice di gradimento e una grande diffusione. Oggi è questo il conflitto di interessi, è la piattaforma Rousseau e il suo rapporto strano e mai chiarito con un partito italiano. La democrazia diretta, secondo il MoVimento 5 Stelle, si esercita attraverso le consultazioni casarecce e controllate da nessuno della piattaforma Rousseau, dove, quando va bene, partecipano, su 60 milioni di italiani, 70 mila tra gli iscritti del MoVimento 5 Stelle. C'è qualcosa che non funziona, perché, se tu sei favorevole alla democrazia diretta, la democrazia diretta è innanzitutto la possibilità di saltare intermediazioni e di mettere il cittadino nelle condizioni di scegliere direttamente le cose importanti; non i referendum su alcune materie specifiche, come si vorrebbe fare, ma soprattutto l'elezione del Capo dello Stato o, comunque, la possibilità non solo di decidere attraverso il libero voto a chi dare, a quale partito dare il proprio consenso o a quale candidato di un partito dare il proprio consenso.
Infatti, una democrazia che non prevede la possibilità da parte del cittadino di scegliersi il Governo, di scegliere da chi essere governati, è una democrazia mutilata, è ovvio che è una democrazia mutilata; a maggior ragione rispetto ai fatti che accadono in Italia, dove si fanno campagne elettorali per dire una cosa, salvo poi mettersi d'accordo con il proprio peggior nemico e fare l'esatto opposto. Dunque, una riforma della Costituzione che abbia in pancia il presidenzialismo, l'elezione diretta del Capo dello Stato, è la riforma che attendono i cittadini, che modernizzerebbe lo Stato e prosciugherebbe quel pantano nel quale alligna la cattiva politica. E per cattiva politica intendo sia il livello mediocre di chi si vende per restare in Parlamento sia il livello decisamente più elevato di coloro i quali si fanno comandare da qualcuno; non rispondono alla sovranità popolare, ma rispondono alla sovranità, tra virgolette, molte virgolette, dei poteri forti, di chi con deriva tecnocratica vuole gestire una nazione intera per fare i propri interessi. Non si parla di questo, non è ancora una volta all'ordine del giorno, salvo nell'agenda di Fratelli d'Italia e della presidente Meloni, che ne parla in lungo e in largo ove e quando può; non è nell'agenda della politica italiana l'elezione diretta, questo tipo di riforma della Costituzione che punta a introdurre l'elezione diretta del Capo dello Stato. Non è nell'agenda la norma che impedisca di passare, per un parlamentare, da un partito a un altro, casomai addirittura da uno schieramento a un altro. Infatti, uno potrebbe anche passare da un partito di centrodestra a un partito altro della coalizione, ma passare dall'opposizione al Governo puzza di bruciato, c'è qualcosa che non funziona. Uno potrebbe anche essere trafitto da problemi di coscienza e trovarsi a passare dalla maggioranza, dal Governo, che ha comunque un potere obiettivo e condizionante, all'opposizione; ma se tu passi, come già ho detto, dall'opposizione alla maggioranza, c'è qualcosa che comunque deve essere approfondito.
Noi comunque, siccome le scelte ognuno le fa liberamente e risponde alla propria coscienza, perché questo oggi la Costituzione decide e impone, non intendiamo colpevolizzare nessuno di coloro i quali si ravvedono e fanno un'altra scelta.
E oggi si trovano, come nel caso dell'Italia presuntamente viva di Renzi, con un gruppo parlamentare, e quindi con tutto ciò che questo comporta ai fini dell'organizzazione dei nostri palazzi istituzionali. Ma, nelle linee di tendenza, nella rotta che si deve perseguire, va da sé che, in una riforma costituzionale, si può porre rimedio a questo elemento, salvaguardando anche il diritto di obiezione da parte del parlamentare, ma senza farlo a discapito degli eletti e di coloro i quali ti hanno comunque dato il consenso per manifestare alcune posizioni politiche, per aderire a un programma, per stare dentro una cornice che questo programma possa materializzare.
Ma anche questo può essere un passaggio delicato? Beh, certo, un po' lo è. E quello dell'abolizione dei senatori a vita che cos'è? Questa reminiscenza medievale: nel momento in cui si fanno interventi puntuali di riforma della Costituzione per il taglio dei parlamentari, perché resta in vita la consuetudine dei senatori a vita? Cari colleghi rivoluzionari, che avete voluto così portare questa ventata di novità, salvo poi fermarvi e passare dalla parte del gendarme, come mai li tenete? Forse perché c'è qualche problema, o ci può essere al Senato, di maggioranza e, quindi, conviene che i senatori a vita, quando possono e quando se la sentano, vengano reclutati per partecipare al voto? I senatori a vita andrebbero, molto semplicemente, aboliti. A bocce ferme, più o meno, la stragrande maggioranza dei parlamentari e dei gruppi ritengono che questo vada fatto, che sia una riforma giusta, in questo caso addirittura una riforma perfettamente sintonizzata sulla lunghezza d'onda del popolo italiano, non un alambicco della politologia applicata, ma una esigenza. A meno che non si voglia immaginare che delle personalità illustri della società civile possano partecipare ai lavori parlamentari, ma senza diritto di voto e senza remunerazione. Ma anche questo aspetto non si può cogliere, non si può sviluppare, non si può approfondire, non si può formalizzare, perché non produce effetti da un punto di vista della convenienza e dell'opportunità da parte di taluni.
Ma ci sono altre questioni. Io ho grande considerazione e stima per il Ministro D'Incà, e quindi, gli chiedo, visto che è stata scelta la formula dello spezzatino, che si possano fare delle riforme costituzionali puntuali, anche per introdurre dei principi, che fino adesso sono stati o elusi o letteralmente tritati da esigenze, diciamo così, di altra natura. Tra questi, l'introduzione della tutela dell'ambiente tra i principi costituzionali, perché, quando la nostra Costituzione è stata manomessa, qualcuno ha pensato che la tutela del paesaggio potesse essere bastevole. Non lo è. Qualcuno, forse più forte di chi intendeva promuovere quel tipo di sensibilità, ha avuto la meglio, magari perché era portatore di interessi, magari perché rappresentava dei poteri importanti, magari perché aveva fatto soldi a palate con il carbon fossile, piuttosto che con qualche altro elemento di utilizzazione e produzione di energia in maniera comunque inquinante. Fatto sta che noi questo buco ce l'abbiamo. Ci vorrebbero quanti minuti per approvare una proposta di legge costituzionale, che lo introduca tra i princìpi fondanti?
Ma c'è anche un altro principio fondante, che oggi è di grande attualità, che è quello della tutela della vita. Se c'è una legge n. 194 del 1978, che noi non intendiamo contestare, ma vorremmo che fosse applicata fino in fondo, e, se questa legge non è applicata fino in fondo e viene regolarmente omessa tutta la parte che attiene al tentativo di salvaguardare la vita, probabilmente è anche perché manca il paracadute costituzionale. Se ci fosse la tutela della vita e la sua promozione in Costituzione, la legge n. 194 del 1978 sarebbe applicata in toto, in blocco, facendo salvo il diritto delle donne all'interruzione di gravidanza in determinate condizioni, ma facendo anche salvo il diritto del concepito a essere difeso fino a prova del contrario. Ci sono molti aspetti su cui si potrebbe intervenire. Mi rendo conto che questo ultimo appena citato sarebbe più divisivo del precedente, ma ci sono molti elementi che dovrebbero e potrebbero essere affrontati, nello spezzatino costituzionale che voi avete scelto, che non è obiettivamente la strada migliore da perseguire. Infatti, la strada migliore, quando si va a fare la riforma della Costituzione, è fare una riforma organica - questo lo dico senza voler fare dell'accademismo - e di cercare le convergenze, in modo tale, anche per ragioni di velocità, da poter effettuare, portare a casa la riforma stessa con i due terzi dei parlamentari. Quindi, bisogna fare anche uno sforzo di sintesi. Ci sono riusciti i nostri padri costituenti, che pure avevano orientamenti politici e sensibilità culturali diametralmente opposti. Forse, ci sarebbe potuto riuscire il centrodestra, se avesse coinvolto il centrosinistra e, viceversa, il centrosinistra se avesse coinvolto il centrodestra. E oggi, nelle condizioni attuali, ci potrebbe riuscire chi avesse a cuore il bene comune e non volesse utilizzare le riforme come un manifesto elettorale, come un espediente per fare facile propaganda da strapazzo.
Allora, cari colleghi, un'ultima considerazione che voglio fare. Già sul merito mi sono ampiamente soffermato, qui la politica italiana da qualche tempo a questa parte si sta confrontando con la bestia. C'è una bestia che si aggira in Italia e in tutto il sistema delle democrazie occidentali e noi dobbiamo prendere il coraggio e dichiarare, se vogliamo combattere la bestia o no. La bestia è l'antipolitica; la bestia è la tecnocrazia; la bestia è l'alleanza tra poteri forti e potentati finanziari; la bestia è rappresentata da quei sovrapoteri che, di fatto, costringono i popoli, il nostro popolo, i popoli europei, i popoli occidentali, a subire le scelte. Di fronte a questo rischio, noi non possiamo più permetterci di fare il verso alla bestia, di allisciare il pelo alla bestia, pensando che questo possa magari farci ottenere un fatturato elettorale dello zero virgola in più o, addirittura, di scandire la nostra fortuna e di produrre persino un partito del 30 per cento. Qui in gioco c'è il concetto di sovranità popolare. Quando prevalesse il più volte tentato tentativo di destrutturare la democrazia, noi avremmo un problema serio. Non voglio avventurarmi in analisi politologiche, che sarebbero noiose e fuori luogo. Faccio un esempio pratico, forse un po' battagliero e un po' rozzo, probabilmente sì, lo confesso, rozzo. Quante persone, nei vari contesti che compongono la società cosiddetta civile, sarebbero disposte a immolarsi per difendere la propria patria? Qui nel Parlamento ce ne sono, io le conosco, sono anche collocate nei banchi opposti al mio. L'amore per il proprio popolo esiste. La disponibilità al sacrificio, se necessario, anche al sacrificio estremo, c'è e si tocca con mano e, a volte, magari, prende anche forme poco eleganti. Ma, proprio perché è dettato, questo sentimento, dalla passione, esiste e non se ne può prescindere. Mi piacerebbe fare la stessa domanda a chi compone qualche consiglio di amministrazione di qualche istituto di credito se fosse disponibile all'estremo sacrificio per difendere la propria terra. Mi piacerebbe domandarlo a qualcuno di quei tante volte evocati poteri o sovrapoteri, che cercano di scavare in profondità i principi stessi della partecipazione democratica, appunto per sovravanzarli.
La risposta non sarebbe altrettanto convincente, non ci sarebbe la stessa percentuale di persone disposte all'estremo sacrificio per difendere la propria terra, la propria nazione, la propria comunità, i soggetti più deboli, i soggetti più fragili. E questo dovrebbe metterci nelle condizioni di avviare, ognuno per la propria parte, una campagna per sensibilizzare i cittadini italiani che sono stati letteralmente inondati di cattive parole su questo che oggi resta - e concludo - il tempio del popolo sovrano. Non si può continuare a fare cassetta mettendo all'angolo, ridicolizzando il Parlamento italiano e la funzione dei parlamentari.
Avrei preferito il taglio dei parlamentari introdotto in un contesto più ampio, anche per non dare l'idea - che comunque molti matureranno fuori di qui - che si sta ancora una volta colpendo il luogo maledetto della malversazione, della corruzione, del latrocinio, dove ci si approfitta degli altri, dove si persegue solo il proprio tornaconto personale. Se avessimo aperto un po' più l'orizzonte, probabilmente questo aspetto non lo avremmo avuto, anche se qualcuno ci sarebbe saltato sopra a prescindere, avrebbe tentato di montare sulla tigre per cavalcarla a prescindere e, quindi, per dileggiare, mortificare, umiliare il tempio della sovranità popolare.
Ma questo aspetto, oggi, è centrale ed è fondamentale. Lo è perché l'Italia fa parte di un contesto internazionale, che non è più dettato da meri accordi economici e commerciali come era l'antica Comunità economica europea, ma è alla vigilia forse - insomma ci siamo capiti, la sostanza è questa, a prescindere dalle denominazioni e dai titoli - di una comunità che condivide o che dovrebbe condividere più ampiamente, a livello continentale, valori, principi e decisioni. Ma sappiamo altrettanto bene che questa sorta di utopia, per ora in maniera abbastanza intellegibile, si sta manifestando per come io l'ho definita, perché c'è comunque un sovranismo - lo dice chi appartiene, secondo la vulgata mediatica, a uno schieramento sovranista - che è molto più pericoloso di quello di chi sovranista si dichiara o viene dichiarato.
È il sovranismo dell'asse franco-tedesco in Europa, per esempio, è un sovranismo reale, concreto, che di fatto rischia di togliere poteri ai popoli europei; non si fonda su una condivisione di princìpi e, quindi, in compagnia di poteri forti e importanti, che sono pesanti a livello continentale esattamente come lo sono a livello intercontinentale, rischia di creare esattamente i presupposti ideali per poter destrutturare la democrazia, per poter far perdere autorevolezza e peso specifico ai Parlamenti, che sono l'espressione dei popoli sovrani.
Queste le considerazioni che volevo restassero agli atti in questo dibattito comunque importante, l'ultimo prima del voto di domani sulla riforma costituzionale.
Mi auguro, comunque, che questa norma, qualora fosse approvata, rappresenti un punto di non ritorno nella costruzione di un rapporto diverso e più efficace, che possa rendere densa di significati la democrazia tra le istituzioni e i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Magi. Ne ha facoltà.
RICCARDO MAGI (MISTO-+E-CD). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, siamo giunti all'ultima lettura di una riforma costituzionale che sicuramente passerà alla storia come una riforma costituzionale priva di un senso che non sia quello di sbandierare demagogicamente il taglio di un pezzo del Parlamento. Sta emergendo un orientamento più che maggioritario, direi totalitario, di quest'Aula, a favore di questo intervento.
Poiché io resto convinto che il senso dei Parlamenti sia quello di esprimere e di rappresentare la volontà popolare, di rappresentare la nazione senza vincolo di mandato e, quindi, bisogna avere fino all'ultimo la speranza che chi ci ascolta in quest'Aula possa cambiare idea o possa almeno riflettere sulle questioni che vengono dette, vorrei ripercorrere rapidamente le finalità e gli obiettivi, che sin dall'inizio i proponenti di questa riforma hanno espresso.
L'allineamento con gli standard degli altri Paesi europei: ci si sono soffermati diversi colleghi che mi hanno preceduto, attenzione, è un argomento a doppio taglio. Attualmente, il rapporto elettori ed eletto per il nostro Paese è un rapporto che ci colloca al di sotto della maggior parte dei Paesi dell'Unione europea, ci colloca un po' al di sopra dei Paesi che hanno lo stesso numero, all'incirca, di abitanti che abbiamo noi. Con questa riforma noi avremmo - è stato ricordato già - il peggiore rapporto di rappresentanza. Ne siamo consapevoli, ne siete consapevoli.
La questione dei costi: parliamo di 80-100 milioni di euro l'anno, a fronte di una mortificazione della rappresentanza e del pluralismo politico e sociale all'interno di quest'Aula. Colleghi, colleghi del MoVimento 5 Stelle, sono, questi 80-100 milioni di euro di risorse pubbliche, ben risparmiati o, invece, sarebbero ben spesi assicurandosi una maggiore rappresentanza del pluralismo all'interno del Parlamento? La mia è una domanda retorica, evidentemente.
L'ultimo degli argomenti - quello, dal mio punto di vista, più inaccettabile perché denota una certa, consentitemelo colleghi, disonestà intellettuale - è quello dell'efficienza del Parlamento. Ora, sulla base di quali evidenze, sulla base soprattutto di quale esperienza che voi avete, che noi abbiamo e che la dottrina ci può riportare, voi sostenete che con un bicameralismo fatto di 400 deputati e 200 senatori ci sarebbe una maggiore efficienza del Parlamento? Io temo, piuttosto, colleghi, che noi avremmo dei problemi, potremmo avere dei rallentamenti persino dei lavori. Voi sapete benissimo che oggi la crisi del Parlamento italiano non è una crisi dovuta a un numero eccessivo di parlamentari, ci sono già ora tutti gli strumenti regolamentari, i contingentamenti dei tempi, urgenze; oggi la crisi del Parlamento è dovuta a un abuso degli strumenti della decretazione d'urgenza da parte del Governo, a un abuso delle questioni di fiducia che vengono poste. E con questa riforma si va, invece, non a limitare questo ricorso eccessivo a questi strumenti, ma a colpire di nuovo il Parlamento. E la retorica che si fa su questo è una retorica inaccettabile. Il messaggio che si dà ai nostri cittadini è inaccettabile.
Si rinuncia, evidentemente, all'unico punto di riforma su cui tutta la riflessione costituzionale dei giuristi e tutti i tentativi che ci hanno preceduto fin qui si erano concentrati: evidentemente, la riforma del bicameralismo, delle funzioni del bicameralismo, all'interno della quale - è banale dirlo, ma è necessario, visto che si sta determinando questo tipo di maggioranza schiacciante - affrontare anche la riduzione del numero dei parlamentari, rispetto alla quale io sono assolutamente favorevole, ma sono contrario se questa si configura penalizzando la rappresentanza popolare ancora una volta.
I correttivi - e concludo -, colleghi, attenzione, i correttivi rischiano di essere delle toppe peggiori del buco.
Nel momento in cui si va ad equiparare l'età dell'elettorato attivo e passivo di Camera e Senato e si va a togliere la ripartizione su base regionale del Senato, per provare a rincorrere gli effetti negativi di questa riforma, noi determineremo, determinerete un bicameralismo perfettissimo e, in quel bicameralismo perfettissimo, essendo diviso in due Camere, penalizzerete ancora una volta il pluralismo: tanto valeva avere una Camera di 600 membri. Evidentemente non smetteremo di valutare tutti i possibili miglioramenti che ci potranno essere: lo avevamo fatto in prima lettura proponendo emendamenti che sono stati in maniera un po' ottusa tutti quanti respinti ma non possiamo non dire in questo momento che non siamo di fronte a un taglio ma ad uno sfregio del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Misto-+Europa-Centro Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bilotti. Ne ha facoltà.
ANNA BILOTTI (M5S). Grazie, Presidente. Gentilissime colleghe e gentilissimi colleghi, la discussione odierna ci mette di fronte all'ennesimo atto di coraggio responsabile compiuto dalla forza politica che rappresento, quel coraggio essenziale per compiere scelte radicali in controtendenza rispetto a un sistema che troppo spesso nessuno ha avuto voglia e coraggio di cambiare. Scegliere di tagliare 345 parlamentari vuol dire approcciarsi a questo sistema con l'unica finalità di rafforzarne l'efficacia, di migliorarne il funzionamento, ragion per cui la scelta politica che vogliamo fare è estremamente responsabile. Ottenere il massimo da un eletto è ciò che si aspetta un cittadino; fa parte della rappresentanza per cui in tanti in queste ore si stanno stracciando le vesti e che è sicuramente importante ma che comincia da un passo apparentemente ovvio e, a quanto pare dai dati sulle presenze, da non dare per scontato: esserci anche fisicamente, vivere questo Palazzo, servire la democrazia ogni giorno. Una riflessione in questa chiave sul concetto di rappresentanza aiuterebbe a capovolgere finalmente la percezione per cui essere eletti dal popolo si ridurrebbe a fare il proprio ingresso nel Palazzo e a rimanerci per inerzia, non tenendo conto del fatto che invece in questo Palazzo si deve lavorare ogni giorno, senza sosta, per fare gli interessi primari dei cittadini. Ecco, questo noi oggi lo stiamo facendo. Con questa riforma miriamo a permettere ad ogni eletto di contribuire alla causa esprimendo al massimo le proprie capacità, con la garanzia assoluta di produrre un effetto concreto attraverso il proprio lavoro, snellendo la macchina e il suo funzionamento. Credo nelle funzionalità del Parlamento e ritengo sia assolutamente necessario renderle più fluide ed efficaci e guadagnare tempo prezioso per poter discutere di molte più questioni essenziali per il Paese, che ha un gran bisogno che ci si dedichi a molte questioni essenziali ed urgenti oggi più che mai. Così facciamo gli interessi degli italiani con la concretezza che risiede negli interventi puntuali di un legislatore che, con scelte nette di campo, mette davanti ai cittadini cambiamenti semplici e circoscritti ma altrettanto di sostanza per il buon funzionamento delle istituzioni. Rafforzeremo il rapporto diretto con il parlamentare, più facilmente individuabile. Il cittadino si sentirà ancora maggiormente coinvolto in linea con quanto stiamo portando avanti da quando siamo forza di maggioranza, lavorando all'introduzione di strumenti come il referendum propositivo. È anche per questo che sostengo con forza questo caposaldo del programma del MoVimento 5 Stelle che consiste nella riduzione del numero dei parlamentari per aggiornare, attraverso strumenti come questi, le modalità attraverso le quali gli italiani partecipano alla vita politica del Paese. Le condizioni della nostra democrazia, infatti, sono cambiate da quando i padri costituenti individuarono i parlamentari in un certo numero anche a ragione di un momento storico determinato. Come ebbe già a ricordare Nilde Iotti nel 1984: uscivamo da un ventennio di dittatura politica che aveva sgretolato qualsiasi cerniera democratica tra società civile ed istituzioni; il percorso di definizione della Repubblica parlamentare rendeva necessario tutelarsi con vigore senza lasciare trapelare nemmeno una remotissima possibilità di rovesciare di nuovo il sistema. Il tempo poi ha visto la democrazia modellarsi in tutte le sue forme di progettualità politica: regioni e comuni hanno eletto i loro consigli, rafforzando la rappresentatività territoriale dei cittadini. Oggi la crescita democratica del nostro Paese ci autorizza ad intervenire sul numero dei parlamentari senza alcun rischio rappresentativo, generando un risparmio per le casse dello Stato che, secondo alcuni, sarebbe pressoché inutile. Mi pongo e le pongo una domanda, Presidente: chi ha deciso che il risparmio è tale solo se misurabile in corpose quantità? Risparmiare cifre non esorbitanti non è moralmente ed eticamente rilevante? Si tratta di soldi dei cittadini di questo Paese che vanno gestiti, investiti e risparmiati con la massima oculatezza. Il provvedimento si andrà a inserire in un disegno più ampio di riforme che hanno l'obiettivo di restituire sobrietà alle istituzioni del Paese e avvicinare i cittadini alla politica, motivi fondamentali per cui ogni giorno mi sento motivata a recarmi in quest'Aula e a lavorare nell'interesse del Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bartolozzi. Ne ha facoltà.
GIUSI BARTOLOZZI (FI). Grazie, Presidente. La riduzione dei componenti del Parlamento, il mantra di chi reputa recessivo il ruolo delle istituzioni parlamentari, è divenuta elemento programmatico del Governo delle quattro sinistre. Si tratta di un pezzo della riforma complessiva del Parlamento repubblicano che, seppur necessaria oggi, così com'è fatta non può certo dirsi sufficiente. E che sia una riforma costituzionale amputata non siamo certamente noi a dirlo: di “intervento microchirurgico” hanno parlato con un certo orgoglio tutti i parlamentari del MoVimento 5 Stelle. Sono ormai decenni - lo diceva bene la collega Ravetto, quando è intervenuta prima di me sette volte - che in queste aule si aggira la proposta del taglio dei parlamentari, da ultimo ritenuto dai proponenti capace di ridurre i privilegi principalmente sull'onda più emotiva che sostanziale della battaglia a 360 gradi contro la “casta”.
Signor Presidente, signor Ministro D'Incà, che ringrazio per essere rientrato in Aula, ricordo bene le parole pronunciate durante la discussione generale, nella prima lettura del provvedimento, dai deputati del MoVimento 5 Stelle, da deputati del suo partito: mitologica riduzione del numero dei parlamentari, riforme megalomani, a volte ai limiti della follia, classe politica animata da una sorta d'istinto di autoconservazione. Ma, Presidente, da forza politica responsabile e matura, avrei sperato, come abbiamo ahimè tentato invano di fare, che il dibattito su un tema così importante avesse altre e diverse modalità, forme di interlocuzione e confronto prima ancora che di analisi dei contenuti. E allora - lo dico io a gran voce, questo sì con orgoglio - io non ci sto a chi urla di riforme megalomani, dimostrando di ignorare la storia del nostro Paese, di ignorare gli insegnamenti dei nostri padri costituenti, di ignorare anni e anni di dottrina e giurisprudenza costituzionale. Non ci sto ad un approccio semplicistico a problemi invece complessi e dico no ai neofiti confusionari, per dirla alla Friedman (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Allora, in questa mia analisi, comincerò dal metodo e non lo farò citando gli interventi mirati, gli sforzi profusi dai parlamentari di Forza Italia quasi a sembrare, questa sì, una dovuta difesa di categoria. Lo farò ricordando a questa Assemblea i discorsi pronunziati dai parlamentari delle altre forze politiche che erano, sino ad un mese fa, di opposizione e oggi sono forze di maggioranza. Come non ricordare nell'aprile appena trascorso l'onorevole Ceccanti quando, con la sua sempre misurata oratoria, evidenziava il paradosso che, sul provvedimento riguardante la questione del numero dei parlamentari su cui di per sé si poteva essere potenzialmente più d'accordo che in altre occasioni, in Commissione era stato impedito praticamente il dialogo, perché non solo non si era recepito alcun emendamento ma addirittura se ne erano resi inammissibili altri palesemente connessi in nome di una - eccola - visione microchirurgica degli interventi costituzionali. Il professore Ceccanti contestava a ragione quanto tutto questo fosse cosa inaccettabile, specialmente su un terreno come la revisione costituzionale che è il più importante provvedimento legislativo.
Diceva: siamo in presenza della tecnica adottata per i decreti-legge applicata al referendum costituzionale. Ricordo anche che il Partito Democratico, ad un certo punto, ha riferito di essere stato costretto ad abbandonare i lavori della Commissione e il collega che è oggi presente, l'onorevole Migliore, e che sa qual è la mia stima nei suoi confronti, lo ha precisato in Aula con molta amarezza, durante la discussione generale, parlando di una proposta che aveva il sapore di un saldo di fine stagione, della fine della stagione della democrazia rappresentativa, intesa per come l'abbiamo conosciuta e per come l'hanno scritta i nostri padri costituenti. Beh, non è che sia cambiato molto; adesso, a me, e credo di non essere la sola, sembra un'offerta di inizio stagione, ora che il taglio dei parlamentari è divenuto un punto irrinunciabile, imposto dal MoVimento 5 Stelle al Partito democratico, per far nascere il nuovo Governo giallo-rosso, e cito testualmente il Ministro Franceschini.
Vede, Presidente, non vi è stato un solo gruppo dell'allora minoranza che non abbia lamentato il metodo; ricordo l'onorevole Fornaro parlare di uno spirito di dittatura della maggioranza, che certamente non poteva guidare i lavori sulla riforma costituzionale e l'onorevole Magi, di cui oggi ho apprezzato le parole, parlare di un muro su una riforma costituzionale che andrebbe costruita con una maggioranza più ampia possibile, con un dialogo più ampio possibile, e non asservita a una dinamica elettorale e a un voto che ci sarà tra poche settimane, per poterla sventolare. Ebbene, oggi, in quest'Aula, probabilmente, è cambiato il film, perché ho sentito l'onorevole Baldino ringraziare il Partito Democratico, citando un leale confronto e una leale collaborazione; poi ho sentito l'onorevole Stumpo ringraziare, a sua volta, il presidente Brescia e l'onorevole Baldino; probabilmente siamo stati in Commissioni diverse e in un'Aula diversa, perché tutto questo dialogo e tutto questo confronto io non l'ho visto (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
Allora, Presidente, noi non asseconderemo mai questo modo di procedere, questo vilipendio, questa mortificazione delle istituzioni che viene costantemente perpetrata durante i lavori in Commissione.
Collega Baldino, questa non è paura, questa è coscienza, conoscenza (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Questo è il senso delle mie poche parole sin qui, che tengo a ribadire con forza, perché già da adesso, tramite la diretta dei nostri lavori con Radio Radicale e, da domani, tramite i resoconti parlamentari delle sedute, i tabulati del nostro voto possono essere colmi di contenuti per rimanere segnati e affidati alla storia e, così, al giudizio degli elettori. Se questa nostra democrazia soffre di una profonda disaffezione verso la politica, verso quelli che Calamandrei definiva i professionisti pronti a tutto pur di restare al loro posto, è proprio perché si assiste a queste pratiche indecorose di trasformismo, di trasformismo in danno delle istituzioni democratiche sottoposte a pratiche di machismo politico e che nulla ha a che vedere con la serena dialettica democratica e la necessità di riforme compiute che modernizzino le nostre istituzioni.
Ma andiamo al merito; ricordo, anche in questo caso, le parole utilizzate dalla relatrice di maggioranza, la collega del MoVimento 5 Stelle, nel motivare la riduzione del numero dei parlamentari e oggi ripetute dal presidente Brescia: duplice obiettivo; da un lato, favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere, per renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini, e, dall'altro, ottenere concreti risultati in termini di contenimento della spesa pubblica. Ora, posso anche condividere il rilievo che la riduzione del numero dei parlamentari non riduca in astratto la qualità dell'azione istituzionale di ciascuno e, anzi, con parecchia probabilità, l'aumenti; posso anche condividere che una diminuzione ragionevole del numero dei parlamentari, non solo non diminuisca, ma sia suscettibile di aumentare la qualità operativa: meno parlamentari, probabilmente, significa meno atti, procedimenti, negoziazioni, e ciascun parlamentare sarebbe raggiunto da un numero minore di istanze dei colleghi con le quali confrontarsi, avendo maggiore incentivo a selezionare le problematiche, come diceva la collega, ad alta intensità sociale, sulle quali lavorare per la creazione del consenso nei gruppi e nelle articolazioni istituzionali del Parlamento. E chi è impegnato giornalmente nei lavori di Commissione sa che in questo ragionamento ci può essere del vero. Posso anche ritenere ragionevole che la riduzione del numero dei parlamentari inciderà positivamente sia sui costi del processo decisionale in sé considerato, sia sull'impatto macroeconomico finanziario delle decisioni stesse e ciò anche se il risparmio netto complessivo sarebbe pari a 57 milioni l'anno e a 285 milioni a legislatura, una cifra significativamente più bassa di quella enfatizzata dai sostenitori della riforma e pari, appena, allo 0,007 della spesa pubblica italiana.
Tuttavia, tutto ciò non può assolutamente legittimare, come bene ha sottolineato in sede di audizione il professor Beniamino Caravita di Toritto, una interpretazione che consenta di dire che si possa procedere senza tener conto degli effetti di sistema, sia delle singole riforme come questa, sia delle diverse riforme che vengono messe in cantiere contemporaneamente.
E, allora, andiamo agli effetti di sistema: il primo, la rappresentatività. I proponenti ricordavano che l'Italia è il Paese con il più alto numero di parlamentari direttamente eletti dal popolo, pari a 945, segue la Germania con 700, la Gran Bretagna con 650, la Francia con poco meno di 600. Ma questa comparazione, tanto declamata, si limita a confrontare la dimensione di ciascun ramo del Parlamento con i corrispondenti rami dei parlamenti di altri sistemi costituzionali, mentre il dato numerico dovrebbe essere integrato dalla considerazione che il nostro è praticamente l'unico Stato a bicameralismo perfetto, in regime parlamentare. Ciò che è certo è che la riduzione del numero dei parlamentari nel confronto, non più con altri Paesi, ma con la situazione italiana attuale, avrà come effetto una dilatazione degli indici di rappresentanza per il parlamentare: adesso è di un parlamentare ogni 63 mila abitanti, diventerà di un parlamentare ogni 100 mila abitanti. Il taglio secco, quindi, in assenza di ulteriori provvedimenti di riforma, ad esempio quello sulla legge elettorale, genererà un'evidente distorsione nel rapporto elettori-eletti, sulla dimensione elettorale delle circoscrizioni abitanti ed elettori, nonché sull'estensione geografica e, dunque, nel rapporto rappresentanti-eletti e nella legittimità di questi ultimi. Ogni parlamentare sarà rappresentativo, infatti, di un numero di abitanti di gran lunga maggiore rispetto ad ora, al punto tale che si potranno avere casi limite di parlamentari rappresentativi, tra Camera e Senato, di un numero di abitanti che oscillerà tra 800 mila e un milione. I centri più abitati, naturalmente, fagociteranno la rappresentanza delle aree interne del Paese, demograficamente meno popolate e destinate a perdere chiari collegamenti politici, in quanto tecnicamente impossibilitate, per ragioni appunto demografiche, ad avere propri rappresentanti.
Vede, Presidente, io non mi sento per nulla tranquillizzata dal fatto che il Partito Democratico abbia tentato di porre sul piatto della bilancia, come contro bilanciamento a questa riforma, un patto per nuove riforme elettorali; mi ricorda, e non è passato molto tempo, ciò che è successo nel Governo giallo-verde sull'anticorruzione, la riforma della prescrizione che doveva agganciarsi ad una complessiva riforma del processo penale e di cui, ad oggi, non vi è alcuna traccia, e mancano due mesi alla sua entrata in vigore. È lecito ipotizzare che anche in questo caso andremo a colpi di machete, altro che dialogo costruttivo e confronto.
Onorevoli colleghi, questo all'esame non è certamente il primo disegno di legge costituzionale contenente un ridimensionamento del numero dei parlamentari, ma è il primo che interviene prescindendo del tutto da una riforma della composizione delle Camere, della loro necessaria differenziazione e delle procedure parlamentari e, soprattutto, che non affronta, neanche di rimando, l'anomalia che genera la crisi del Parlamento italiano e cioè il bicameralismo perfetto. Invero, la scelta di un bicameralismo paritario, lo dimostra la storia costituzionale, se, da un lato, ha uno scopo garantistico, in quanto impedisce la cosiddetta dittatura di Assemblea, dall'altro, finisce per rendere il procedimento legislativo assai macchinoso e più difficile la formazione di una stabile maggioranza governativa. Basti pensare ai risultati delle elezioni politiche del 1994, del 1996, del 2006 dove, alla netta maggioranza in un ramo del Parlamento, ha corrisposto una maggioranza assai ristretta nell'altro. Questo è il vero nodo, che rimane tuttora irrisolto, spieghiamolo bene ai cittadini italiani e non facciamo, al solito, facile propaganda. Tra i tredici Paesi che hanno una seconda Camera, solo in cinque i membri di quest'ultima sono integralmente eletti direttamente dai cittadini. Ebbene, tra questi cinque Paesi solo in Italia, Polonia e Romania si può dire che la seconda Camera abbia dei poteri legislativi rilevanti e solo l'Italia ha un sistema parlamentare in cui il Senato ha esattamente gli stessi poteri della Camera. Ebbene, vorrei ricordare, soprattutto a me stessa e a chi si accinge poi a modificare la Carta costituzionale con interventi microchirurgici, che nella seconda Sottocommissione dell'Assemblea costituente, tutti concordarono sull'importanza di evitare che la seconda Camera divenisse un doppione della prima; purtroppo, non si riuscì a trovare una convincente soluzione al problema della sua composizione, non vi fu un accordo sui motivi del bicameralismo, tant'è vero che a conclusione del dibattito rimase in piedi come sua principale giustificazione soltanto quella di meglio garantire la qualità della legislazione.
Era stato, tuttavia, deciso di differenziare la durata ordinaria delle due Camere, cinque anni per quella dei deputati e 6 anni per il Senato della Repubblica, e il tipo di rappresentanza: l'articolo 57 stabilisce che il Senato è eletto su base regionale, ma gran parte di queste differenze si sono perse dopo l'approvazione della legge costituzionale n. 2 del 1963 che, facendo seguito agli scioglimenti anticipati del Senato della Repubblica del 1953 e del 1958, ha uniformato la durata di questo a quella della Camera dei deputati e così di regionalistico nella composizione del Senato è rimasto ben poco.
Fino a oggi la norma costituzionale secondo cui il Senato è eletto a base regionale ha fatto della regione una mera circoscrizione elettorale, ma nulla impedisce che questa formula costituzionale possa essere rivitalizzata attraverso la trasformazione del Senato in Camera a prevalente composizione regionale. In effetti, l'attuale assetto bicamerale non ha più alcuna ragion d'essere, tanto è vero che, soprattutto dopo la riforma del Titolo V della Costituzione con la legge n. 3 del 2001, la dottrina costituzionalistica italiana ha molto approfondito il tema della trasformazione del Senato in una Camera delle autonomie territoriali. Da un'attenta analisi dell'esperienza degli Stati federali e regionali emerge non soltanto l'intreccio di competenze tra diversi livelli territoriali, ma anche la presenza di momenti di raccordo e di cooperazione che vengono soddisfatti innanzitutto attraverso una Camera di rappresentanza degli enti territoriali di secondo livello. Viceversa, non ha alcun più senso concepire il Senato come fotocopia dell'altra Camera per garantire meglio la qualità della legislazione, perché quest'ultima dipende essenzialmente dalla tecnica legislativa e dalla valutazione sulla fattibilità delle leggi. E, allora, mettere mano alla riforma della Costituzione per ridurre il numero dei componenti della Camera senza porre mano ai nodi che rallentano effettivamente il procedimento decisionale parlamentare, come ben diceva il collega Magi, rischia di essere solo un artificio propagandistico.
Allo stesso modo, non viene neanche lontanamente affrontato il problema del ruolo dell'Esecutivo. Alcuni di voi ricorderanno che, in una delle sue ultime interviste agli inizi degli anni Novanta, Indro Montanelli sottolineò il differente punto di partenza del lavoro dei costituenti tedeschi rispetto a quelli italiani nella redazione della legge fondamentale della Repubblica; nel primo caso evidenziando una scelta a favore del rafforzamento del ruolo dell'Esecutivo come risposta al caso della Repubblica di Weimar e, al contrario, la scelta di una forma esasperata di parlamentarismo in grado di condizionare e limitare ogni forma di azione dell'Esecutivo quale origine dei mali del sistema istituzionale italiano nel secondo. Ecco, io mi chiedo e vi chiedo, colleghi della maggioranza, come si possa accettare acriticamente questo compromesso al buio senza neanche uno straccio di disegno di legge di revisione costituzionale che introduca necessarie integrazioni a questa riforma amputata. A tutto c'è un limite: la politica è sì l'arte del compromesso, ma non ogni compromesso è politica; in alcuni casi è solo un accordo di comodo e questo non diventa più politica, diventa mercato.
Ricordo a me stessa le diverse proposte di riforma costituzionale e tutte ambivano a un approccio di sistema pur prevedendo una riduzione del numero dei parlamentari. Non mi soffermerò sulle stesse, perché ne ha già ampiamente parlato la collega Ravetto, ma voglio ricordare, prima tra tutte, quella promossa dal Governo Berlusconi nel 2006, che prevedeva la riduzione del numero dei deputati da 630 a 500 e la riduzione del numero dei senatori da 315 a 252, la più proporzionata delle proposte, che incideva sulla composizione delle Camere, ma anche sul bicameralismo, sulla rappresentanza regionale e sul ruolo dell'Esecutivo. Ricordo la “bozza Violante”, ricordo la “riforma Renzi”. In tutte queste proposte la riduzione del numero dei membri del Parlamento si inseriva in una generale revisione della Costituzione che interveniva in maniera più o meno incisiva sulla forma di governo, sulle dinamiche tra Stato e regioni e sui rapporti tra i poteri dello Stato. La scelta, a nostro avviso miope e fuorviante, di rispondere in modo assolutamente parziale alla domanda di una complessiva riforma costituzionale che modernizzi le istituzioni italiane, è frutto solo dell'esigenza di sbandierare la falsa soluzione che riducendo il numero dei parlamentari si possano dare più celeri risposte ai cittadini, magari aggiungendovi il vincolo di mandato, come vuole fare Di Maio, in un'inaccettabile deriva antidemocratica. Le riforme, colleghi, non si fanno a pezzi, soprattutto quando degli altri pezzi non si conosce nulla o quasi nulla, ma si propongono in modo compiuto e organico.
In disparte, poi, le questioni che incidono sulla composizione numerica delle assemblee elettive, di cui sono imprescindibili le refluenze sulla determinazione della rappresentanza parlamentare e, dunque, indirettamente sulla configurazione dell'intero sistema dei pubblici poteri. Ma mi rendo conto che queste per i proponenti sono sottigliezze, dediti come sono a dimostrare che la democrazia diretta possa agevolmente prendere il posto della democrazia rappresentativa. Al contrario, secondo noi, si tratta di questioni cruciali per chi, come noi, intende il Parlamento come la massima espressione della nostra democrazia, “sovranità del Parlamento” come diceva il maestro del parlamentarismo britannico Dicey, e non come una scatoletta alimentare da aprire né tantomeno un'Aula “sorda e grigia da trasformare in un bivacco di manipoli”.
Per concludere, Presidente, per noi il Parlamento è istituzione centrale nell'assetto della democrazia italiana e lo è ancor di più se viene messo in condizione di meglio rappresentare i territori e di decidere in modo più efficiente. Forza Italia non è affatto contraria alla riduzione del numero dei parlamentari: non lo era in passato e non lo è certamente oggi. Bisognerebbe farla, però, come ben dice il nostro presidente Berlusconi, senza uccidere la democrazia e senza cancellare la rappresentanza dei territori e delle minoranze (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Migliore. Ne ha facoltà.
GENNARO MIGLIORE (IV). Grazie, signor Presidente. Mi lasci dire, innanzitutto, buon lavoro ai colleghi D'Incà e Malpezzi, che saluto per la prima volta nella loro funzione di Governo. Questo provvedimento, la riduzione dei parlamentari, la riforma costituzionale puntuale che è stata portata avanti nel corso dei mesi, ha evidenziato molti elementi che sono stati contestati nel corso della nostra discussione precedente. Il tema fondamentale sul quale questo provvedimento era stato contestato con dei voti contrari - anche il mio personale - era determinato dalla perplessità e, per certi versi, dalla contrarietà di non provvedere a un sistema organico di riforma costituzionale per quanto riguardava la materia della rappresentanza, così delicata. Si tratta, quindi, evidentemente di un pezzo di una riforma più complessiva e l'elemento fondamentale che ci spinge oggi a modificare la nostra opinione è che l'idea che si era costituita, cioè che si potesse agire puntualmente senza tener conto, come hanno osservato molti autorevoli costituzionalisti, degli effetti collaterali e di sistema di trasformazioni costituzionali così profonde, possa essere tenuto all'interno di una cornice che prevede ulteriori passi in senso riformatore.
Noi siamo stati sempre molto appassionati dello spirito riformatore della nostra Costituzione, in particolare della Parte II, al punto che nella precedente legislatura intervenimmo con una riforma i cui tratti essenziali consideriamo peraltro ancora utili al dibattito, sebbene ovviamente non possa essere riproposta in tutta la sua interezza, perché, nel rispetto della volontà degli elettori, è evidente che quell'impianto e quel dettaglio sono stati bocciati. Però, lo spirito, la volontà che noi avevamo espresso nel corso di quel processo riformatore, di dare più efficienza e rappresentanza ai cittadini, quello conserviamo ed è questo il motivo per il quale l'elemento di condivisione che oggi ci fa apparire e ci fa essere favorevoli su questo provvedimento ha una natura di processo evolutivo rispetto a quanto era stato fin qui realizzato.
Questo è un voto che si accompagna a un accordo di maggioranza. Lo voglio dire in trasparenza perché è del tutto evidente che siamo in una fase diversa. La collega Bartolozzi, che anch'io stimo molto, ha avuto la compiacenza di citarmi e parlava di una fine stagione.
Effettivamente ha ragione: quella era una fine stagione e per fortuna quella stagione è finita. Ed è finita al punto tale che i protagonisti di quella stagione non solo non sono qui, come spesso è accaduto, nella discussione sulle linee generali - e riguardo i banchi dei colleghi della Lega -, ma non hanno neanche intenzione di intervenire, almeno alla lettura dell'elenco degli interventi in questo dibattito, per motivare quello che per loro era diventato, ad un certo punto, un punto di recupero in extremis della precedente stagione, ripeto, fortunatamente finita.
Anzi, se vogliamo, dopo la crisi avviata in un pomeriggio molto movimentato di agosto di Salvini, operata da Salvini, ci fu un pentimento, intempestivo evidentemente, che portò la Lega a dire: “Per favore, votiamo anche la riduzione del numero dei parlamentari, però fate in modo che si possa andare a votare”, sempre nell'ambizione di avere i pieni poteri.
Ma noi, nella convinzione che la democrazia rappresentativa e la democrazia parlamentare non potessero essere torte agli interessi di parte, abbiamo dato vita ad una nuova stagione. E in questa nuova stagione, nella lealtà che non ha bisogno di contratti scritti da un notaio, ma di un'intesa politica che intende portare avanti questa legislatura fino al 2023 - e sapete benissimo che Italia Viva, Matteo Renzi sono stati protagonisti della crescita, e anche della formazione di questo Governo, e quindi interessati a che questo Governo, più di altri, possa continuare fino alla sua naturale conclusione a fine legislatura - abbiamo sostenuto collettivamente come maggioranza l'esigenza di trovare una forma che potesse inquadrare questa riduzione dei parlamentari.
E non c'è bisogno di dire, perché nel merito è intervenuto molto bene prima di me il collega Di Maio, quale fosse l'obiettivo di una riduzione dei parlamentari in un contesto di riforma del bicameralismo, di interventi che avessero una maggiore capacità di rendere efficiente il lavoro delle due Camere, a partire dalla revisione dei Regolamenti parlamentari; e di intervenire anche su una modifica che per noi è molto importante, che è quella relativa all'età di coloro i quali possono esercitare il diritto di voto per il Senato.
Il nostro compito oggi è, quindi, mantenere un patto programmatico e, nello stesso tempo, dare corpo ad uno sviluppo ulteriore della riforma costituzionale, che ciascuno di noi, ovviamente dovendo rinunciare ad una parte della sua convinzione originaria, deve contribuire a realizzare in nome del bene collettivo, del bene del Paese. Noi siamo di questo tipo, noi siamo parlamentari, forza politica di questa specie: siamo coloro i quali vogliono realizzare proposte concrete che portino il nostro Paese ad un avanzamento.
Per questo motivo segnaliamo con grande attenzione l'urgenza di una riforma anche elettorale: perché la riforma elettorale attuale, sebbene vi sia stato un intervento di correzione che - è del tutto evidente - apparteneva a quella stagione finita, e cioè alla possibilità dell'applicazione della legge anche in presenza di un taglio dei parlamentari, necessita di guardare più in fondo quelle che sono le questioni aperte da una riduzione dei parlamentari sui temi della rappresentanza. Non si dica che in quest'Aula non era stato detto esattamente questo, che non era stato sottoposto all'Aula esattamente questo problema: la mancanza di una adeguata rappresentatività a livello territoriale; e noi sappiamo quanto sia importante nel nostro Paese che ci siano delle rappresentanze di ogni territorio pluralistiche, e quindi che non si possano - riporto qui le parole del collega Di Maio - immaginare delle soglie implicite superiori al 15 per cento all'interno di determinate regioni. Nove regioni, non una, non il Molise di cui si discute sempre come caso specifico su cui esercitarsi; no, nove regioni, finché non si interverrà sulla materia della legge elettorale, hanno effettivamente difficoltà ad esprimere una rappresentanza pluralistica. E non è giusto che sia così, perché non è questo lo spirito che prevede la nostra Costituzione, anche per il Senato.
Ho avuto la fortuna di confrontarmi in molte occasioni, avendo seguito spesso le leggi elettorali ed essendone stato anche per alcune relatore, su quali siano gli interstizi nei quali si celano anche i deficit democratici quando si attuano delle riforme elettorali. Io ricordo perfettamente che alcuni autorevoli costituzionalisti hanno sempre letto il principio, per esempio, riguardante il Senato dell'attribuzione su base regionale, non come un principio vincolante rispetto alla possibilità di esprimere pienamente la rappresentanza, ma come una norma di indirizzo che doveva dare totale rappresentanza anche a quei territori, non ridurla sulla base della dimensione. È esattamente il contrario: l'attribuzione regionale ha una funzione di tutela della rappresentanza territoriale, non di depressione di questa possibilità di rappresentanza.
Noi dobbiamo in questo senso intendere la Costituzione. E la rappresentanza pluralistica, che ha un elemento ovviamente legato anche alla cifra elettorale, alla rappresentanza elettorale in senso nazionale, a noi non spaventa se semplifica, e quindi anche se ha una soglia adeguata alla semplificazione; ma ci spaventa quando detiene un meccanismo che implicitamente, senza che gli elettori ne siano sufficientemente coscienti, imprime una riduzione coatta della rappresentanza. Questo no, perché questo non avvicina gli eletti agli elettori.
A me pare allora saggio che lo sviluppo del patto politico che tiene in piedi questo Governo proceda lungo tutte le direzioni.
Lo sappiamo benissimo, questo è un Governo nato su due istanze prevalenti: da un lato, il taglio dei parlamentari, che è stato oggetto di una discussione, e quindi oggetto anche di un incrocio con quelle che erano delle esigenze che avevamo rappresentato nel momento in cui si proponeva a questo Parlamento un taglio secco, senza alcun contrappeso; e, dall'altro, la sterilizzazione delle clausole che aumentavano l'IVA. Due pilastri che sono entrambi essenziali per la prosecuzione di questo Esecutivo, per il miglioramento della crescita anche di questo Esecutivo nel consenso, perché non appaia semplicemente un cambio di maggioranza, ma una nuova fase di rilancio della nostra attività.
Noi abbiamo - e concludo, Presidente - un grande spirito di lealtà nei confronti di questa maggioranza e di questa impresa, e riteniamo di poterlo dimostrare giorno per giorno, innanzitutto contribuendo con le nostre idee, con la nostra autentica passione per il cambiamento, con il nostro spirito riformatore (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Maria. Ne ha facoltà.
ANDREA DE MARIA (PD). Presidente, il Partito Democratico domani voterà questo provvedimento. Lo faremo coerentemente con quella che è da sempre la nostra impostazione sul tema delle riforme costituzionali, della riforma degli assetti istituzionali, e certamente lo faremo anche esprimendo un voto diverso da quello che abbiamo espresso nelle prime tre letture su questo stesso provvedimento.
Il tema delle riforme istituzionali e costituzionali non è un tema solo di questa legislatura - è stato ricordato in questo dibattito - ma attraversa da tempo il dibattito in quest'Aula, in Senato, nel Paese, almeno dalla fase terminale dell'esperienza della cosiddetta Prima Repubblica, quando un certo assetto costituzionale cominciava a dimostrare i suoi limiti. Parlo, ovviamente, non dei principi fondamentali, ma della seconda parte della Costituzione, dell'organizzazione del lavoro parlamentare rispetto agli sviluppi della fase storica, della fase sociale, degli assetti economici e sociali del Paese; e non solo il Partito Democratico, anche le forze politiche che hanno dato vita al Partito Democratico, in questo dibattito avevano sempre posto il tema della riduzione del numero dei parlamentari. Lo avevamo sempre posto - ricordo, ad esempio, le tesi de l'Ulivo del 1996 - legato ad una questione che per me rimane molto rilevante, che non stiamo affrontando in questa fase, che è quella del superamento del bicameralismo perfetto; sia in quello che c'era scritto nelle tesi de l'Ulivo del 1996, sia nella riforma che abbiamo votato in quest'Aula nella scorsa legislatura - e che poi è stata bocciata nel referendum del 2016 - si arrivava allo stesso numero di parlamentari su cui voteremo domani, dentro, però, un sistema che prevedeva un'unica Camera legislativa accanto ad una Camera delle regioni e delle autonomie locali. Io penso che quella fosse una grande scelta di cambiamento e che sia stato giusto a suo tempo sostenerla; poi credo anche che dobbiamo prendere atto di come hanno votato i cittadini e, quindi, capire come ripartire con un percorso riformatore dopo quel voto.
Il taglio dei parlamentari per noi non è mai stato un problema di costi e non perché non sappiamo che è importante anche discutere di costi della politica. Sappiamo bene che la serietà, la sobrietà e il rigore nella politica sono un elemento molto importante; lo sono in quanto tali, perché sono un modo di applicare quell'articolo 54 della Costituzione, che ci dice che chi svolge ruoli istituzionali lo deve fare con disciplina e onore; lo sono anche nel rapporto con i cittadini, tanto che noi in questi anni abbiamo lavorato, nella legislatura precedente, in questa, ad esempio, per ridurre i costi di questa Assemblea parlamentare, come del Senato. Io, intervenendo in quest'Aula nella fase precedente a questa, quando eravamo forza di minoranza, come tesoriere del gruppo del PD, ho avuto modo anche di apprezzare il lavoro che questa Presidenza della Camera, il Presidente Fico, ha fatto in questa direzione. Tuttavia non abbiamo mai collegato il tema del numero dei parlamentari al tema dei costi della politica, perché riteniamo che in questo modo si sia costruita una narrazione che mette, in realtà, in discussione il ruolo delle Assemblee parlamentari: se i costi per le Assemblee parlamentari sono inutili, se le Assemblee parlamentari non servono, allora tanto varrebbe abolirle. Il problema non è il numero di parlamentari che ci sono: se un'istituzione non serve, tanto varrebbe non prevederla, mentre invece tutte le grandi democrazie nascono prima di tutto perché ci sono i Parlamenti ed esistono perché ci sono i Parlamenti. Anche nella storia del nostro Paese, la centralità del Parlamento è stata affermata dai Padri costituenti proprio perché l'attacco alle libertà parlamentari era stato uno degli elementi fondamentali della deriva dittatoriale che il Fascismo ha rappresentato in questo Paese. Quindi, noi non siamo andati mai su questo piano per questo, perché per noi il tema è rafforzare la democrazia rappresentativa, rafforzare le istituzioni democratiche e renderle più capaci, nel rapporto di credibilità con i cittadini, nel loro funzionamento, di rispondere alle sfide di una società che cambia, di rispondere ai compiti sempre più difficili che ha chi si trova a governare un Paese importante come l'Italia.
Quindi noi nelle tre precedenti letture abbiamo votato “no” proprio perché ritenevamo che fosse un errore procedere solo a questo elemento, cioè al taglio dei parlamentari, senza un contesto riformatore più complessivo, sia perché si aprivano dei vulnus, che, anzi, qui sono stati ricordati, sulla rappresentanza territoriale e sui Regolamenti parlamentari, sul tipo di legge elettorale e così via, ma anche perché ritenevamo che fosse sbagliato metodologicamente ragionare solo di questo elemento, solo del numero dei parlamentari, senza un complesso di provvedimenti più complessivo.
Allora, da quei tre voti ci sono state due novità, certamente, a cominciare dalla nascita di una nuova maggioranza, a cui noi siamo leali rispetto anche alle priorità che le varie forze politiche hanno indicato; ma, ancora di più, il fatto che nel programma di Governo su cui abbiamo votato la fiducia è detto con chiarezza - e lo riaffermeremo anche con documenti e con prese di posizione in occasione di questa votazione - che questa riforma del taglio dei parlamentari procede insieme ad una serie di azioni più complessive, che riguardano altre riforme sia sul piano costituzionale, sia sul piano della legge elettorale.
Io voglio sottolineare - rispetto anche ad altre cose che hanno detto e che credo diranno i colleghi del Partito Democratico che sono intervenuti e che interverranno - due elementi. Il primo attiene ai Regolamenti parlamentari: per me questo è un aspetto molto importante. Nell'ultima Commissione affari costituzionali, abbiamo molto apprezzato il fatto che il presidente della Commissione abbia scelto di essere direttamente lui il relatore e su questo lo abbiamo anche sollecitato come gruppo del Partito Democratico; abbiamo apprezzato che il presidente abbia preso l'impegno di porre alla Presidenza della Camera, al competente organismo della Camera, il tema della riforma dei Regolamenti parlamentari. Poi voglio sottolineare il tema dell'autonomia regionale differenziata, su cui credo bisogna trovare, secondo me, un punto giusto di equilibrio. Come credo si senta dal mio accento - vengo da una delle regioni, l'Emilia Romagna, che sta lavorando a questo progetto di riforma - penso che dall'Emilia Romagna venga un messaggio importante, cioè il riconoscimento dell'autonomia, della qualità del buon governo, di una migliore capacità di affrontare i problemi dei cittadini, che deve procedere insieme ad un principio di unità nazionale, di crescita di tutto il Paese, perché quando il Paese è più diviso, anche ogni singola regione è più debole. Qui c'è anche una differenza con l'impostazione di altre realtà regionali, di un partito come la Lega, che per fortuna ora non è più al Governo del Paese.
Vedete, questo insieme di riforme su cui stiamo ragionando intorno a quella della riduzione del numero dei parlamentari, si potranno realizzare se faremo quello che, finalmente, sta accadendo. Per me è molto importante che non ci sia più l'idea del contratto di Governo, cioè di provvedimenti separati di due forze politiche in gara fra loro per mettere in campo la loro riforma preferita e nell'idea che se io ti do una riforma, tu me ne dai un'altra: penso che noi faremmo male a ragionare così e quando sento ragionare così nell'attuale maggioranza dico che si fa un errore. Noi dobbiamo davvero mettere in campo un progetto condiviso di Governo e di cambiamento del Paese, dove insieme si costruisce il progetto e lo si fa vivere.
Il voto di domani è positivo se segnerà questo tipo di metodo, perché noi domani voteremo la riforma dei parlamentari e, nello stesso tempo, inizieremo insieme un percorso sulle altre riforme, quindi non ci sarà uno scambio fra gruppi parlamentari o forze politiche, ma ci sarà un progetto comune che avrà, nella giornata di domani, una prima tappa. Io penso che noi avremo successo e assolveremo, come nuova maggioranza, alla nostra responsabilità verso il Paese, se i singoli gruppi parlamentari, le singole forze politiche - i quattro gruppi parlamentari, le quattro forze politiche - che formano la maggioranza non caratterizzeranno la loro identità in negativo dentro la maggioranza, ma faranno di questa esperienza di Governo un elemento di crescita propria, in quanto di crescita collettiva di un progetto. Solo così saremo davvero credibili verso i cittadini e quindi potremo chiedere legittimamente anche il loro consenso.
In democrazia, gli avversari sono quelli che oggi sono all'opposizione; infatti si stanno riunendo fra loro, e mettono in campo una proposta politica radicalmente diversa da quella di chi oggi sta governando il Paese. È nella vittoria del comune progetto di Governo, nella capacità di affrontare insieme i problemi dei cittadini che sta il compito che abbiamo oggi sulle spalle e sta la nostra grande responsabilità verso il Paese. Saremo all'altezza di questo compito e di questa responsabilità solo se questo progetto lo sapremo davvero costruire insieme (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fornaro. Ne ha facoltà.
FEDERICO FORNARO (LEU). Grazie, signor Presidente. Rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, io credo che, arrivando all'ultima lettura conforme, siamo ad un passo da una riforma certamente importante della Carta costituzionale e che, quindi, si debba rispetto all'atto che stiamo per approvare. Quindi, la discussione, al di là delle dichiarazioni di voto di domani, credo che possa e debba essere riempita di contenuti e di riflessioni critiche rispetto a quello che noi stiamo facendo per comprendere - ed è la prima riflessione che volevo fare - il carattere sistemico che, come è stato ricordato anche da una collega che mi ha preceduto ricordando il parere di un autorevole costituzionalista, hanno tutte le riforme costituzionali e, a maggior ragione, ha una riforma che interviene sul numero dei parlamentari.
Vorrei quindi, ci piacerebbe, lo abbiamo fatto, credo che ci debba essere dato atto su questo, nelle precedenti letture, sapendo che stiamo parlando non di una legge ordinaria, ma della Costituzione. Poi c'è anche la comunicazione, lo voglio dire con grande franchezza, ma prima ci sono i contenuti: nella Prima Repubblica esistevano gli organi di partito, con cui si trasmetteva fondamentalmente ai militanti e agli iscritti la linea del partito. Oggi ci si è evoluti: purtroppo, devo dire, di quegli organi non c'è più traccia; e, viceversa, ci sono ancora in molti casi i blog autorevoli. Devo dire che - lo dico qua, nella sede più alta - non mi è piaciuto il post di questa mattina sul Blog delle Stelle, perché non è che si è casta se si vota a favore di un provvedimento e non si è casta se non lo si vota, o viceversa. Siamo tutti parlamentari della Repubblica, anche coloro i quali domani voteranno differentemente o che nelle precedenti letture lo hanno fatto. Questo è un principio fondamentale, per cui, da questo punto di vista, più che una scelta obbligata - riprendo il tema del presidente Brescia - questa ha i caratteri di un'autoriforma, è una risposta. E su questo vorrei interloquire con voi rispetto a un problema, a un paradosso della democrazia, non solo in Italia, ma in tutti i grandi Paesi occidentali. Ancora alcuni anni fa, pochi anni fa, è stata fatta una statistica: su 195 Paesi che aderiscono all'ONU ci sono ben 117 democrazie elettive, di cui 90 effettive. Erano 72 nel 1993, erano 44 nel 1972 ed erano solamente 12 dopo la seconda guerra mondiale.
Possiamo quindi dire con forza che la democrazia ha vinto su tutte le altre forme di Governo. Però viviamo un grande paradosso: proprio nel momento in cui la democrazia, come forma di Governo, ha vinto, non è mai stata così bassa la fiducia nei Parlamenti, nei Governi e nei partiti. Quindi, da questo punto di vista, la sfida dell'autoriforma, la sfida di dare un segnale è una sfida giusta; per cui nessuna inversione a U, come ha descritto il collega Rampelli. Non troverete in nessuno degli interventi di deputate e deputati di Liberi e Uguali nelle precedenti letture una negazione del tema della riduzione dei parlamentari. Ci sono stati ancora nella XVII legislatura - sono andato a rivederlo -, quando eravamo minoranza, in un altro partito, parlo per il sottoscritto, emendamenti che andavano a una riforma costituzionale esattamente nella stessa identica direzione. C'è un bellissimo saggio del professor Clementi che racconta come dalla XIII legislatura, soprattutto, ogni proposta di riforma costituzionale conteneva il tema della riduzione.
Però la questione che noi abbiamo posto e che poniamo oggi, su cui credo ci si debba dare risposta, è il contesto entro cui quella riforma va a insediarsi, ovvero quali conseguenze sistemiche ha la riduzione del numero dei parlamentari; e nel dibattito che noi abbiamo svolto in quest'Aula e in Commissione, sull'altare della velocità, sull'altare del principio della riduzione come, in qualche modo, momento salvifico di autoriforma, si era sacrificato tutto quello che era la necessità di ragionamento e di riflessione sul contesto. Che cos'è il contesto? Sono quelle garanzie, quei contrappesi, perché cambiare il numero dei parlamentari ha dei riflessi su altri articoli della Costituzione, sull'edificio della Costituzione.
Per cui se, come credo sarà, ci sarà un documento che affronta questo problema, riconosce l'esistenza del contesto, non posso, da un punto di vista politico e, se mi consentite, di onestà intellettuale, non vedere che c'è stato un cambiamento, che non ritroveremo nel blog, ma tra di noi dobbiamo riconoscerlo. Cioè, ci è stato detto, è vero, la modifica del numero pone delle problematiche a cui bisogna provare a dare delle risposte nell'interesse della difesa della struttura dell'architettura della Costituzione del 1948. Io, per ragioni di tempo, mi concentrerò soltanto su un paio di queste conseguenze, provando anche a delineare le possibili modifiche costituzionali che vanno nella direzione di aumentare le garanzie e di ridurre gli effetti distorsivi. È incontestabile che la riduzione del numero di deputati e senatori comporta una compressione della rappresentanza politica, in particolare al Senato, e una compressione della rappresentanza territoriale.
E, lo dico subito, questi due effetti possono trovare parziale soluzione in una nuova legge elettorale, ma possono e devono trovare spazio correttivi all'interno del testo costituzionale. Qual è il punto? Il punto è soprattutto ridurre al Senato - è banale matematica - 315 senatori per 20 regioni a 200 sempre per 20 regioni. Avere poi, in maniera molto forte, ridotto il numero minimo, che dal 1963 era stato portato a sette per ogni regione, a tre ha ulteriormente accentuato questi effetti. Come fare? La strada - mi sia consentita un'autocitazione: non è elegante, ma la devo fare - l'avevo indicata, se qualcuno lo ricorderà, nel dibattito. Dissi: se si voleva provare a dare una risposta a un problema oggettivo, quella era la modifica della base di elezione del Senato, e credo che quella sia una strada da percorrere. È, ovviamente, la strada che può portare in due direzioni: una direzione più semplice, cioè aggiungere “a base regionale o pluriregionale”, e quindi consentire accorpamenti delle regioni più piccole a regioni medie, ovviamente confinanti, e consentire, quindi, di abbassare in ogni caso, indipendentemente dai sistemi elettorali vigenti, la cosiddetta soglia di sbarramento implicita.
Ce n'è poi un'altra, più coraggiosa, e spero che avremo possibilità di discuterne: quella, sostanzialmente, di avere una base di elezione uguale, identica, tra Camera e Senato. Come voi sapete, la Camera è eletta su base circoscrizionale, e poi, successivamente, ci sono i meccanismi per individuare le circoscrizioni; si potrebbe scegliere che anche il Senato possa essere eletto su base circoscrizionale, in una logica a quel punto di indirizzo di un sistema elettorale esattamente uguale per Camera e Senato. Questa è garanzia, queste non sono parole, è una garanzia costituzionale che la riduzione dei parlamentari non possa andare a comprimere la rappresentanza politica oltre un certo limite. Per quel che riguarda la rappresentanza territoriale, è evidente che lì può giocare un ruolo maggiore il sistema elettorale che si andrà ad adottare, perché è del tutto evidente che la legge elettorale vigente amplifica gli elementi di compressione e di distorsione della rappresentanza territoriale e politica, e che, quindi, occorra scrivere una nuova legge elettorale. C'è poi un tema - lo abbiamo anche ribadito - che credo vada affrontato, il plenum per l'elezione del Presidente della Repubblica, dove, avendo lasciati intatti i numeri per i delegati regionali e riducendo quelli di deputati e senatori, evidentemente si provoca anche lì una distorsione, che va, a nostro giudizio, corretta.
Poi c'è un tema di regolamenti, e su questo, se ho ancora qualche…poco tempo, vedo il Presidente, ma credo che debba essere dato atto al Presidente Fico, ma non ho dubbi che lo farà anche la Presidente Casellati, di avere già iniziata una riflessione in sede di Giunta per il Regolamento. Lo chiedemmo noi, in una capigruppo in tempi non sospetti, perché crediamo che lì ci possa essere quell'elemento di velocizzazione, di efficienza, di capacità della politica e delle istituzioni di dare risposte ai problemi delle persone e delle aziende. Perché, se c'è una cosa che è cambiata - ed è vero - rispetto ad esempio al 1948, in questi oltre settant'anni, è proprio una domanda di velocità di risposta che nelle istituzioni, per come erano pensate e costruite, allora i costituenti questo problema non se lo posero. Come non si posero, come voi sapete, di avere una Camera ed un Senato, per esempio, eletti nello stesso periodo: il Senato inizialmente aveva sei anni, la Camera cinque. E via dicendo.
C'è poi il tema dell'uniformità degli elettorati attivi e passivi. Detto in altri termini, quello che si pone oggi, che va in votazione domani, è lo stesso testo della prima lettura, ma è contestualizzato. Ossia, credo che dobbiamo avere la capacità di mettere insieme quelle garanzie regolamentari da un lato e, in primo luogo, quelle costituzionali prima ancora di una nuova legge elettorale, che consentano di poter dire che quest'autoriforma – quindi, sposo questo elemento del Presidente - va nella direzione di provare a dare una risposta proprio a un'esigenza di maggiore credibilità di questo Parlamento. Possiamo dire - è vero - che a questo punto abbiamo iniziato con chiarezza un percorso, che va nella direzione di rendere queste istituzioni più capaci di dare risposte, senza demonizzare. Non è una questione di costi.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Fornaro.
FEDERICO FORNARO (LEU). Concludo, signor Presidente. Non è una questione di costi: continuare a dire che adesso risparmiamo un miliardo, perché si fa il calcolo su due legislature e via dicendo. Allora facciamolo su dieci legislature, così diciamo che di miliardi sono cinque. Voglio dire che c'è anche un limite, io credo, perché se si sceglie questa strada, se si continua a insistere su questa strada, solo e soltanto su questa strada, lo ha detto prima di me un collega, a questo punto perché non 200 e 100? Perché non 100 e 50? Perché non uno solo? E non è una battuta, non è una difesa della casta. Questa è una democrazia parlamentare e, guardate, questa democrazia parlamentare ha dimostrato di funzionare. È stata capace di dare una risposta ad un uomo che chiedeva tutti i poteri. E abbiamo dato una risposta, perché questo Parlamento aveva questa Carta costituzionale. Quindi, oggi, interveniamo, ma mai perdendo di vista il contesto ed evitando di metterci dentro degli elementi, che saranno anche utili alla comunicazione, ma, quando ci sono elementi sbagliati di comunicazione, poi questi ti ritornano indietro nel giro di poco tempo, come un boomerang, come la vicenda di agosto è lì a testimoniare (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zanichelli. Ne ha facoltà.
DAVIDE ZANICHELLI (M5S). Grazie, Presidente. Io intervengo alla vigilia di questo voto con orgoglio e sicuramente anche un pizzico di emozione, perché quello che andiamo a fare, a votare è un cambio della Costituzione, un cambio della Carta costituzionale. Quello che dobbiamo fare tutti è sicuramente prenderlo con la necessaria considerazione.
Tengo a riportare un aneddoto personale, ma penso che possa riferirsi a moltissimi di noi. Molti anni fa, quando facevo un banchetto - ero consigliere comunale -, il papà di un mio compagno di classe mi fermò e mi disse: anche voi vi candidate, ma sicuramente finirete poi per andare in Parlamento e tenervi gli stipendi, sedervi anche voi lì, in quegli scranni, e non cambierete e sarete come gli altri. Io ci tengo a riportare quello che fa il MoVimento 5 Stelle, che, con orgoglio, ha dimostrato, dall'inizio, rinunciando a rimborsi elettorali, anche quando si candidò e entrò nelle regioni. Adesso tuttora con il proprio comportamento rinuncia al due per mille. Il MoVimento 5 Stelle, oltre ad averlo detto, lo fa: si taglia gli stipendi. E adesso, trovandosi in maggioranza, ha proposto questa riforma costituzionale, che viene dal sentire dei cittadini, che pensano che mille parlamentari, 945 parlamentari, siano un numero elevato. Questo è dovuto ai fatti di cronaca negli scorsi anni. Con un numero così elevato, “nascondersi” diventava facile, le vicende degli assenteismi, che non hanno dato onore a queste Camere, sono salite alle cronache, proprio perché con un numero così elevato era facile avere assenze, mancanze. Poi, fortunatamente, sono arrivati degli ottimi esperimenti, delle ottime iniziative, come quelle di Open polis, che ha portato, grazie anche a Internet, a conoscenza, di chi ha il 90 e più per cento di assenze in Parlamento.
E ci tengo anche a ragionare con voi, come mai si è arrivati a questa iniziativa. Magari in anni passati se ne è parlato, se ne è molto parlato, di ridurre il numero dei parlamentari, ma non si è fatto. Il MoVimento 5 Stelle ha una caratteristica. Noi ci siamo sempre presentati dicendo: al massimo, due legislature e abbiamo portato in Parlamento, grazie a questa nostra regola, delle persone che, dopo due legislature, torneranno a fare il proprio mestiere. Quindi, in questo modo - e arrivo anche al fatto di autodeterminarsi e alla decisione su un'istituzione che è quella che qui siamo – abbiamo portato delle persone, dei colleghi, che sanno già che, dopo questa esperienza parlamentare, torneranno ad essere cittadini. E questo fa sì che le decisioni che porteranno in quest'Aula siano nell'interesse di quando torneranno fuori. Non decideranno in quest'Aula rispetto alla loro funzione e alla loro eventuale probabilità di appartenere nuovamente a quest'Aula, perché il MoVimento 5 Stelle ha la cosiddetta regola dei due mandati. Difatti, abbiamo rappresentato e abbiamo visto, nella nostra storia politica italiana, come per un'istituzione sia difficile autoregolamentarsi. Forse, con questa regola, siamo riusciti a fare un passo in avanti, perché, se vogliamo proprio dirlo - e lo dico da ex consigliere comunale -, uno dei più grossi tagli alla democrazia venne fatto anni or sono, quando venne ridotto notevolmente il numero dei consiglieri comunali. Tengo a ricordare che un consigliere comunale, specialmente in un piccolo comune, è sostanzialmente un volontario. Percepiscono stipendi che forse arrivano agli 80 euro l'anno. Però, un consigliere comunale, specialmente in un piccolo comune, è quel cittadino che, quando c'è un'emergenza, si rimbocca le maniche; quando c'è la sagra di paese, dà una mano; quando c'è un problema, lo riporta al sindaco. Allora, forse, quello è stato un vero taglio alla democrazia.
Io penso che sicuramente il taglio dei parlamentari non sarà la soluzione ai problemi di questo Paese, non sarà la soluzione ai problemi economici, però sicuramente è un gesto che questa Camera fa. Perché, quando è stato chiesto, appunto, ai consigli comunali o è stato ridotto il numero dei revisori dei conti degli enti locali, è stato chiesto di fare dei sacrifici ai nostri concittadini, queste Camere difficilmente hanno saputo fare altrettanto. Ora abbiamo la possibilità di dimostrare, con un voto, che, invece, questa Camera era in grado. Io, da questo punto di vista, con orgoglio, posso dichiarare di essere contento che, quando quel tabellone si accenderà con delle lucette verdi, ecco, a quel punto si vedrà che questa Camera è in grado di autoregolamentarsi.
Concludo con un auspicio, perché il taglio del numero dei parlamentari è una cosa importante. L'altro aspetto francamente, se vogliamo parlare di costi della politica, è i nostri stipendi. Io penso e spero che il passo successivo sia anche dimostrare un taglio ai nostri stipendi, cosa che, ribadisco, noi del MoVimento facciamo già, ma molti altri colleghi restituiscono alle loro forze politiche parte dei loro stipendi. Ecco io penso e spero - e questo è il mio auspicio, con cui intendo concludere - che il prossimo passo sia quello del taglio degli stipendi dei parlamentari. Questi sono dei gesti che, dal nostro punto di vista, da queste Aule parlamentari, debbano venire per i cittadini italiani. (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Enrico Borghi. Ne ha facoltà.
ENRICO BORGHI (PD). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, signore e signori del Governo, il tema di cui oggi discutiamo, quello della riduzione del numero dei parlamentari, è un tema rispetto al quale noi del centrosinistra, del Partito Democratico, arriviamo da un percorso di elaborazione e anche di proposte concrete non certo banale. Valgano, per tutti, due esempi dal punto di vista concettuale: le affermazioni e le proposte fatte a metà degli anni Ottanta dall'allora Presidente della Camera, Nilde Iotti, che faceva rilevare come, in un Paese in cui si erano moltiplicati i luoghi della decisione e della partecipazione democratica, si rendeva necessario un riallineamento della dimensione parlamentare; e valgano anche le asserzioni politiche e morali di Mino Martinazzoli, quando ci ricordava della necessità di ridurre al massimo la mediazione del professionismo politico, che in sé comprime lo spazio di partecipazione e di libertà delle comunità locali.
Tutte queste asserzioni, che sono proprie di una cultura riformista che arriva da lontano, avevano trovato, all'interno di quella che possiamo senza dubbio definire la più feconda e la più fertile esperienza del riformismo italiano alla guida del Paese, cioè la stagione de L'Ulivo, una proposta, che, dal punto di vista dei numeri, ricalca quasi fedelmente la proposta che noi ci accingiamo a votare. Quella stagione, conclusasi poi, come è noto, per la mancata volontà di Forza Italia di addivenire ad un percorso riformatore sui temi della giustizia, prevedeva la riduzione della Camera dei deputati in un numero compreso fra 400 e 500 e la riduzione del numero dei senatori a 200. E, quindi, per una sorta di circolarità della vita politica, dopo vent'anni siamo ritornati dal punto nel quale avevamo preso i nostri passi.
Per noi il tema è esattamente quello di allora, per noi la questione è esattamente quella che un indimenticato e indimenticabile uomo di scienza, oltre che collega parlamentare, come Roberto Ruffilli, ebbe modo di definire, e cioè il modo con il quale la democrazia fa diventare il cittadino l'arbitro del potere. Per noi, il tema è come coniughiamo oggi e come decliniamo nel nuovo contesto storico, e soprattutto come, guardando avanti, riteniamo di dare efficienza e modernizzazione all'istituto della rappresentanza parlamentare, le due questioni fondamentali che sono, da un lato, la capacità di rappresentare una società multiforme, diversa, peculiare, e il tema dell'efficienza delle istituzioni repubblicane. Perché per noi il Parlamento è, al tempo stesso, il luogo della garanzia della libertà e il luogo che riassume in sé una funzione di promozione sociale. Noi non dobbiamo dimenticarci che sono queste le motivazioni reali per le quali ci sediamo in quest'Aula e l'organizzazione del Parlamento è funzionale a questi obiettivi.
E nel momento in cui noi discutiamo della dimensione di un organo, dobbiamo sapere che questa dimensione deve essere strettamente correlata con la capacità di questo organo di corrispondere a questi obiettivi fondamentali, sapendo che noi non siamo un sinedrio, né lo dobbiamo diventare, e sapendo che i recenti fatti della cronaca politica di questa estate ci dicono che, nei momenti in cui le giunture della democrazia vengono messe a dura prova, sono i Parlamenti a dare la risposta della capacità della democrazia.
Possiamo pensare a cosa è stato il percorso con il quale la Grecia è uscita da un drammatico evento che ha visto quel Paese sostanzialmente commissariato e che ha visto mettere al centro il Parlamento; possiamo pensare alla risposta e reazione dei parlamentari inglesi alla imposizione autocratica del loro Primo Ministro, che pretendeva di silenziare la più importante e la più antica istituzione parlamentare del mondo, ma possiamo anche pensare, colleghi, alla reazione di questo Parlamento, quando un esponente del Governo, da una spiaggia italiana, si è rivolto nei confronti dei rappresentanti della nazione in modo ingiurioso, intimando loro di ritornare tra questi scranni per dovergli conferire i pieni poteri.
Il punto, però, è interrogarci su come sia possibile che i Parlamenti intervengano, non solo nella straordinarietà della complessità dei momenti, ma nella ordinarietà, perché ancora le cronache di questi giorni, per esempio, ci interrogano e ci dicono che noi non siamo stati in grado di affrontare, in maniera dovuta e compiuta, questioni importanti e rilevanti come il tema della legislazione della questione del fine vita, su cui la Corte costituzionale addirittura ha imposto una scadenza temporale alle Aule parlamentari.
Allora, il tema dell'efficienza della rappresentanza è un tema decisivo, soprattutto in questa società nella quale l'intreccio tra comunicazione e decisione è praticamente quotidiano e acceleratissimo.
E, sotto questo profilo, la ipotesi che noi ci apprestiamo a votare - per le motivazioni che dal punto di vista più specifico saranno meglio declinate da noi, dall'intervento del professor Ceccanti, che seguirà il mio - parte, però, da un assunto: per noi questo è un accordo politico ed è un passaggio in avanti significativo rispetto alle precedenti tre stesure, non solo perché vi è una costruzione complessiva, un'idea, un progetto, un pensiero di come debbano essere le istituzioni repubblicane in rapporto a questa esigenza che ho tentato di declinare, ma anche perché vi è un sostanziale passo in avanti rispetto alla precedente giustapposizione fra partner di Governo; e l'assenza costante, da questi banchi, della Lega non fa altro che confermare quanto dato di strumentalità vi è stato all'interno del percorso che fin qui è stato espresso da quel movimento.
Per noi questo è un accordo politico e vogliamo anche rimarcare l'importanza che noi attribuiamo al fatto che, fra poche ore, tutti i capigruppo della maggioranza su questo tema esprimeranno un documento congiunto. È un passo in avanti significativo, in un rapporto di fiducia tra forze politiche, perché la differenza che c'è tra il contratto e un accordo politico è che un accordo politico si basa sulla capacità dei contraenti di inverarlo costantemente nei loro atteggiamenti e in una logica di reciproca fiducia. Noi non abbiamo bisogno di un notaio, noi non abbiamo bisogno di firmare delle fideiussioni o delle cambiali in bianco, noi ci assumiamo reciprocamente degli impegni e, sotto questo profilo, il Partito Democratico, per primo, fa un passo in avanti, nella consapevolezza che altri ne seguiranno da parte degli altri partner di Governo. Perché questo è un passaggio di premessa, non è un punto di arrivo.
PRESIDENTE. Concluda.
ENRICO BORGHI (PD). Concludo su questo aspetto, signor Presidente. Questo voto deve essere funzionale per fare due operazioni: la ricostruzione del senso della politica, in una dimensione di società nella quale è in crisi il concetto stesso dello Stato, e la riprogettazione dei partiti sui quali la nostra democrazia rappresentativa si basa.
Vedete, l'antipolitica si è radicata in questi anni, anche a causa della chiusura a oligopolio dei partiti, di tutti i partiti, quelli vecchi e quelli nuovi. E questo tentativo, per parte nostra, vuole essere anche la scommessa con la quale archiviamo le troppe stagioni improduttive con le quali si è risposto alle crisi che hanno attraversato la nostra Repubblica in maniera sterile.
È, quindi, un tentativo di riprendere in mano un'idea di politica, dentro la quale noi sappiamo che abbiamo bisogno che i partiti non siano più sovrastrutture della società, ma siano il luogo del dialogo dei cittadini. Sarà in questo modo che noi avremo, come dire, compiuto in maniera precisa il nostro mandato, evitando il rischio - che in questo caso sarebbe letale - che, in assenza di capacità di essere produttivi sotto questo aspetto, la politica si trasformi definitivamente in retorica, in spettacolo e in apparenza del potere.
Questa sì sarebbe la fine delle nostre istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Siragusa. Ne ha facoltà.
ELISA SIRAGUSA (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, oggi siamo qui alla vigilia di un voto importante su una riforma che il MoVimento ha fortemente voluto, ossia il taglio dei parlamentari. Io sono qui oggi per parlare e fare un focus sulla circoscrizione Estero, perché penso che vada trattata, perché questa riforma taglierà il numero di parlamentari esteri da 18 a 12. Ciò ovviamente comporta delle criticità. So che nella Commissione Affari costituzionali sono stati anche auditi esperti dell'emigrazione e membri del Consiglio generale degli italiani all'estero e anche altri colleghi di altre forze politiche eletti all'estero hanno spesso espresso criticità riguardo al taglio. Vorrei in parte rispondere a tali criticità, spiegando perché la circoscrizione Estero è un po' un mondo a parte rispetto alle altre circoscrizioni in Italia ma anche segnalare quelle che sono effettivamente - non voglio essere ripetitiva - criticità che andrebbero considerate e quindi poi risolte. Cominciamo a parlare di una delle critiche che è stata mossa più spesso ossia il confronto dell'indice del numero degli elettori per eletti nella circoscrizione Estero. È ovvio che è molto più ampio rispetto al numero di eletti per elettori che ha la regione Lombardia, rispetto alla regione Sicilia e rispetto a tutte le altre regioni d'Italia ma è anche vero che la circoscrizione Estero è una circoscrizione a parte perché comprende gli italiani all'estero e allora bisognerebbe fare una riflessione su chi sono gli italiani all'estero, perché gli italiani all'estero sono una realtà molto eterogenea. Non vi rientra solo chi è temporaneamente all'estero; non c'è solo chi è emigrato da qualche anno come me - io sono emigrata nel 2012 da Como e sono andata a Londra nel 2012 - ci sono anche i figli degli emigrati, ci sono i nipoti degli emigrati, ci sono i trisnipoti degli emigrati. Quindi la circoscrizione Estero oggi conta 6 milioni di elettori e, quando tu sei italiano, hai il diritto di voto e quindi la possibilità di esprimere il tuo voto nel referendum, nelle elezioni dei rappresentanti qui in Parlamento: è composta da 6 milioni che rappresentano una realtà molto eterogenea. Quindi ritengo che una riflessione importante dovrebbe essere operata anche sulla cittadinanza. Infatti in questi giorni abbiamo parlato di ius culturae, ius soli ma nessuno parla di ius sanguinis perché bisognerebbe chiedersi se sia opportuno o meno che una persona sia italiana solo perché nel suo albero genealogico ha discendenze di un italiano emigrato nel 1861, perché con la cittadinanza si ottiene anche il diritto di voto. Quindi è ovvio che la rappresentanza elettori-eletti non può essere un indice rappresentativo per criticare il taglio della circoscrizione Estero.
Inoltre è necessario fare anche altre riflessioni. Gli italiani all'estero, oltre ad avere parlamentari qui, hanno anche altre rappresentanze: hanno i Comites, che sono circa 101 nel mondo e ogni Comites è rappresentato da 12-18 membri; poi abbiamo più di 60 consiglieri del Consiglio generale degli italiani all'estero. Quindi gli italiani all'estero sono rappresentati. Tuttavia perché dico che ci sono criticità? Ci sono criticità nel momento in cui tagliamo il numero di senatori da sei a quattro perché la circoscrizione Estero ha quattro ripartizioni che sono l'Europa, l'America settentrionale, l'America meridionale e la ripartizione più ampia a livello territoriale che è l'Africa-Asia-Oceania-Antartide. Sono ripartizioni numericamente diverse: abbiamo l'Europa dove ci sono più di 2 milioni di elettori e abbiamo l'Africa-Asia-Oceania-Antartide dove abbiamo poco più di 200 mila elettori. E quindi è ovvio che assegnare un senatore all'Europa per 2 milioni di elettori è molto diverso da assegnare un senatore per una ripartizione che ha 200 mila elettori. Ciò può provocare ovviamente ambiguità quando si tratta di voti. Guardando ad esempio alle elezioni del 2018 avremmo che, ad esempio, nella ripartizione Africa-Asia-Oceania-Antartide sia eletto un senatore con 17 mila persone; mentre invece nella ripartizione Europa il secondo partito più votato, con 140 mila voti, non avrebbe una rappresentanza.
Quindi, è ovvio che io non sono contro il taglio dei parlamentari di per sé, anche perché è giusto: se si è tagliato il 30 per cento in tutte le circoscrizioni ha anche senso che si faccia un taglio del 30 per cento sulla circoscrizione Estero in maniera tale che l'incidenza della circoscrizione Estero non possa diventare più imponente all'interno del Parlamento. Tuttavia bisogna prendere in considerazione a questo punto le ripartizioni; dovremmo mettere mano e fare una riflessione importante sulla cittadinanza per ius sanguinis, quindi capire chi è italiano e quindi chi ha diritto a votare nelle ripartizioni; bisogna fare anche un ragionamento sulla riforma delle ripartizioni perché è necessario riformarle. Il discorso della cittadinanza è importante anche per spiegare perché non si possa pensare di aumentare la rappresentanza degli italiani all'estero dentro il Parlamento sull'aumentare degli italiani all'estero, perché oggi abbiamo 6 milioni ma domani potremmo averne 10, dopodomani potremmo avere 20 milioni. Basta vedere i dati del 2006: nel 2006 avevamo solo 3 milioni di italiani all'estero, iscritti all'AIRE, oggi ne abbiamo 6 milioni. Quindi tutto questo per dire cosa? Per dire che effettivamente ci sono criticità che spero che, dopo questa riforma, possano essere affrontate. Quindi affrontiamo insieme il tema delle ripartizioni Estero. Il voto degli italiani all'estero deve valere lo stesso sia se abiti in Africa sia se abiti in Europa e affrontiamo anche il discorso del voto estero e della rappresentanza.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccanti. Ne ha facoltà.
STEFANO CECCANTI (PD). Grazie, Presidente. A noi del gruppo del PD, come al gruppo Italia Viva e come al gruppo di LEU, capita oggi un compito delicato perché abbiamo l'onere della prova di spiegare perché, in quarta votazione, votiamo sì a un testo su cui abbiamo votato no nelle precedenti tre votazioni. È una cosa sempre difficile perché, di fronte a un contesto nuovo, non è facile spiegare una scelta nuova e si rischia di non essere compresi. Ricordo a tutti una pagina molto bella del teologo Harvey Cox, che racconta di un bravo clown il cui circo ha un incendio e lui si reca nella città vicina spiegando disperatamente che c'è un incendio ma, siccome è vestito da clown, tutti lo interpretano nel modo tradizionale e pensano che sia uno scherzo e nessuno li aiuta. Quindi abbiamo l'onere di spiegare bene la novità intercorsa. Noi non abbiamo mai avuto una contrarietà di principio alla riduzione del numero dei parlamentari ed è difficile per qualsiasi forza politica dire di avere una contrarietà di principio, perché lo ricordava prima il collega Fornaro, come spiega il professor Clementi nel suo saggio sull'Osservatorio delle fonti, chiunque si sia cimentato con le riforme costituzionali dal 1983 in poi ha sempre proposto la riduzione dei parlamentari. Quindi nessuno può esibire obiettivamente una contrarietà di principio. Quindi noi non stiamo dicendo quanto scherzosamente diceva Groucho Marx: abbiamo i nostri principi ma, se volete, li possiamo cambiare. No, perché in questo caso non li abbiamo cambiati. Sia invece chiaro che, quando si tratterà di cose di principio, noi lo diremo e lo diciamo. Se qualcuno vuole proporre di cambiare l'articolo 67 della Costituzione, il divieto di mandato imperativo, noi gli ricorderemo che quello è un principio supremo non modificabile neanche per revisione costituzionale al di là della concreta formulazione, perché non si può trasformare un'Assemblea parlamentare in un insieme di delegazioni dipendenti da un vertice di partito. Se qualcuno vorrà ancora difendere la prescrizione senza limite, che è in vigore nel nostro ordinamento per errore del precedente Governo, gli ricorderemo che noi non possiamo difenderla, perché viola la ragionevole durata del processo (articolo 111). Se qualcuno vorrà sostenere il sorteggio - lo dico al Ministro Bonafede - noi gli ricorderemo che non possiamo votarlo, perché il sorteggio viola per il CSM l'elettività sancita in maniera netta dall'articolo 104 della Costituzione. Quindi, quando ci sono questioni di principio noi le diremo, ma in questo caso la questione di principio non c'era. Se non era di principio, allora che cosa era? Era l'assenza di un contesto, perché i testi hanno senso dentro un contesto: non si possono leggere da soli. Ora noi - domani i capigruppo che hanno lavorato su questo lo spiegheranno bene - abbiamo costruito un contesto a partire dalla formazione del nuovo Governo. Tale contesto riguarda tre interventi per i quali la maggioranza, in apertura con le opposizioni, si è messa d'accordo.
Noi restiamo convinti comunque che sarebbe opportuna una riforma anche più radicale di contesto, quella per cui ci siamo battuti in maniera sfortunata nel referendum costituzionale del 2016, ma che resta valida: una Camera delle Autonomie sganciata dal rapporto fiduciario e anche più piccola a questo punto dei 200 membri e l'altra, invece, in cui il rapporto fiduciario è lasciato alla sola Camera. Però, quando non si trova il consenso sulla propria impostazione si può comunque cercare di far rientrare alcune di queste esigenze per altra via; tra queste esigenze ce ne sono due su cui la maggioranza si è trovata d'accordo e che riguardano, logicamente, la riduzione di differenze non più difendibili. Il nostro ordinamento si è mosso a partire dal 1963 sulla riduzione di differenze non ragionevoli tra Camera e Senato; ricordo a tutti che nel 1963 fu eliminata la durata di sei anni del Senato, per evitare che si potessero creare maggioranze diverse, e fu stabilita a cinque anni, ma dopo la sentenza n. 35 del 2017 sull'Italicum e dopo l'invito del Presidente della Repubblica ad armonizzare le due leggi, fintanto che le due Camere hanno tutte e due il potere fiduciario, bisogna armonizzare il più possibile le due leggi; quell'invito era un invito, sul momento, sulla legge elettorale, ma anche un invito sulle riforme costituzionali; da qui, la riduzione a diciotto anni dell'elettorato attivo, cosa che rende molto più difficile la formazione di maggioranze diverse, illogica nelle due Camere, e anche dell'elettorato passivo a 25 e, da qui, come ha spiegato il collega Fornaro, l'eliminazione della base regionale del Senato che consente due leggi ancora più simili, perché finché hanno tutte e due la fiducia più sono vicine e meglio è. Poi, accanto a questo, c'è il mantenimento dell'equilibrio voluto dai costituenti, nell'elezione del Presidente della Repubblica, fra i delegati regionali e i parlamentari.
Questi sono i tre impegni immediati che la maggioranza prende, oltre agli altri tre che la maggioranza prende da studiare insieme nei prossimi mesi: la legge elettorale, su cui non mi soffermo, perché avrà bisogno di approfondimenti specifici, ma anche due ragionamenti sull'inserimento di una differenza invece ragionevole, la vicenda dell'autonomia differenziata, che, nei mesi scorsi, ha posto il problema sia della valorizzazione del Parlamento, evitando che arrivassero testi preconfezionati e non votabili, ma anche di un coinvolgimento di tutte le regioni nel procedimento legislativo e, quindi, l'importanza di inserire i presidenti delle regioni al solo fine di votare insieme le leggi sull'autonomia differenziata. L'articolo 11 della riforma del 2001 aveva già inserito nella Commissione bicamerale per le questioni regionali rappresentanti di regioni ed enti locali, novità che poi non è stata portata a compimento, perché comportava un problema: lì, rafforzava il quorum per votare le leggi di principio sulla legislazione concorrente; le leggi di principio sulla legislazione concorrente sono materia di rapporto fiduciario e, quindi, delle persone non elette in Parlamento si trovavano a dover incidere sul rapporto fiduciario. Noi non vogliamo questo, vogliamo che, invece, la responsabilità dei presidenti di regione sia affermata in maniera collettiva per le scelte sulla specializzazione di ciascuna delle regioni ordinarie. Infine, dobbiamo riflettere - soprattutto se la legislazione elettorale dovesse andare in senso proporzionale - sugli antidoti classici che si cercano sul piano costituzionale, che non fanno miracoli, ma che sono logicamente connessi, ovverosia, principalmente, la sfiducia costruttiva a Camere riunite e la fiducia iniziale. C'è chi dice: sì, ma così, se poi la fiducia sui singoli provvedimenti legislativi resta monocamerale, c'è un problema. Ma noi vogliamo, appunto, scardinare l'idea che si debba essere costretti, ogni volta, a fare decreti e questioni di fiducia. Per questo, l'impegno per la riforma regolamentare, che è importantissimo, che è partito nei mesi scorsi e che dovrebbe consentire, non solo di adeguare i numeri, ma anche di avere date certe per i provvedimenti del Governo e una limitazione della questione di fiducia, è del tutto coerente con questo disegno.
Vorrei, quindi, chiudere con questo: mi è capitato di assistere, purtroppo qualche decennio fa, a un dibattito nella sede dell'Arel, guidata allora da Beniamino Andreatta, in cui Roberto Ruffilli, che poi fu ucciso nel 1988, ricordò a tutti un'elementare verità: si possono distinguere i due tavoli, il tavolo dove si fanno le riforme costituzionali, dove le maggioranze devono essere più larghe possibili - e anche quella della scorsa legislatura era partita come maggioranza ben più ampia della maggioranza di Governo e fu il ritiro unilaterale di Forza Italia a farla diventare, alla fine, solo di maggioranza -, dal tavolo della maggioranza politica, ma i due tavoli stanno nella stessa stanza. Il clima che si respira su un tavolo incide sull'altro e viceversa ed è per questo che nella creazione del contesto ha inciso in maniera notevolissima la formazione del nuovo Governo a partire dal punto 10 all'accordo di governo. Quindi, noi non è che votiamo “sì” perché siamo in maggioranza e basta, noi votiamo “sì” perché quell'accordo di maggioranza ha contenuto quel punto 10 che ora stiamo sviluppando negli accordi di maggioranza e che offriamo all'opposizione. È un contesto su cui lavoriamo insieme. Ci dice qualcuno, anche sui social: ma voi vi fidate a votare oggi un testo, mentre gli altri impegni sono successivi e potrebbero essere disattesi? Ma se noi facciamo insieme un Governo, un Governo per governare l'Italia fino al 2023, non ci dovremmo fidare reciprocamente anche di questo? Allora, non avremmo dovuto fare il Governo, ma, se abbiamo fatto il Governo, ci fidiamo reciprocamente che questa maggioranza saprà dare il meglio di sé (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - A.C. 1585-B)
PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, presidente della Commissione, e il rappresentante del Governo non intendono replicare.
Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di domani, a partire dalle ore 14.
Sospendo la seduta che riprenderà alle ore 13,45.
La seduta, sospesa alle 13,15, è ripresa alle 13,45.
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Grimoldi è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente settanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Discussione della mozione Cunial ed altri n. 1-00183 concernente iniziative volte alla tutela della salute in relazione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza, con particolare riferimento alla tecnologia di quinta generazione, nota come 5G.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Cunial ed altri n. 1-00183, concernente iniziative volte alla tutela della salute in relazione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza, con particolare riferimento alla tecnologia di quinta generazione, nota come 5G (Vedi l'allegato A).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
Avverto, altresì, che è stata presentata la mozione Scagliusi, Bruno Bossio, Paita, Stumpo ed altri n. 1-00251 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare la deputata Sara Cunial, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00183. Ne ha facoltà.
SARA CUNIAL (MISTO). Grazie, Presidente. La nostra Costituzione promuove agli articoli 9 e 32 lo sviluppo della ricerca scientifica e tutela e salvaguardia la salute umana e ambientale, considerandoli beni inalienabili. Il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, articolo 168, dispone che la responsabilità primaria di proteggere la popolazione dai potenziali effetti nocivi dei campi elettromagnetici appartiene agli Stati membri. A questo scopo, la legge quadro n. 36 del 2001, in materia di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, nasce proprio per assicurare queste tutele.
Oggi chiediamo al Governo di adottare iniziative per sospendere qualsiasi forma di sperimentazione tecnologica del 5G nelle città italiane, in attesa della produzione di sufficienti evidenze scientifiche che ne giudichino l'innocuità. Infatti, il recente report dell'istituto superiore di sanità, pubblicato nell'agosto 2019, oltre a essere carente dal punto di vista scientifico evidenzia enormi conflitti di interesse in campo. Tra i cinque firmatari, Scarfi e Marino sono consulenti e membri del ICNIRP, di fatto un'associazione privata palesemente legata alle lobby della telefonia, cosa che costituisce motivo noto al più alto livello accademico del dovere di indicare il conflitto d'interesse nei lavori scientifici a propria prima firma. Queste, negandolo, inficiano quindi la validità del contenuto. Anche Lagorio, citata per finanziamenti non dichiarati e conflitti, è all'origine di studi che negano e sminuiscono la percezione del rischio, come risulta nella memoria consegnata alla procura di Monza dal professor Angelo Levis, che, ricordiamo, è il maggiore esperto nazionale di mutagenesi ambientale, insegna all'università di Padova ed è già parte dello IARC dell'OMS.
L'istituto superiore di sanità, lo ricordiamo, è lo stesso che nel 2013 sul tema dei PFAS non conosceva nemmeno l'unità di misura e che un mese fa ha ammesso candidamente di non aver portato a termine uno studio epidemiologico sulla popolazione colpita, imposto tre anni fa da una delibera regionale veneta. Polichetti, audito in Commissione trasporti, è stato più volte smentito dagli stessi colleghi dell'Istituto superiore di sanità, come, ad esempio, il famoso epidemiologo Pietro Comba, già perito nel giudizio contro ENEL condannata a risarcimento danni per elettrosmog. La Corte di cassazione sia civile sia penale dichiara necessario dare più valore alla letteratura scientifica indipendente rispetto a quella inquinata da conflitti con l'industria, che, di certo, ha tutto l'interesse di evitare gravi responsabilità.
Tra le migliaia di studi peer-reviewed quello di 16 anni e 30 milioni di dollari, pubblicato di recente dal programma statunitense di tossicologia, dimostra un lungo elenco di danni al DNA, tumori cerebrali e cardiaci, infertilità, patologie riproduttive, neurologiche e metaboliche e fattori sinergici. Più di 220 scienziati leader nel mondo hanno già firmato un appello all'OMS e alle Nazioni Unite per proteggere la salute pubblica dalle radiazioni wireless. Inoltre, vi è l'importante lavoro Towards 5G communication systems, pubblicato nell'aprile 2018 dal dottor Agostino Di Ciaula, presidente del comitato scientifico ISDE, che dice (testuali parole): “Esistono sufficienti evidenze per dimostrare la presenza di effetti biomedici per invocare il principio di precauzione e definire i soggetti esposti come potenzialmente vulnerabili e rivedere al ribasso i limiti di legge vigenti”. Così come lo studio dell'Istituto “Ramazzini”, con dieci anni di lavoro per uno studio “uomo-equivalente” dal quale si riscontrano aumenti significativi dei tumori delle cellule nervose del cuore, iperplasie e gliomi maligni del cervello, risultati confermati dal National Toxicology Program, ente pubblico americano, nel marzo 2018.
L'interazione dei campi elettromagnetici, quindi, con gli organismi viventi e le cellule nervose gliali è definitivamente dimostrata.
Questi studi, pubblicati dopo il 2011, saranno considerati, tra le altre cose, dalla IARC nella rivalutazione della classificazione di cancerogenicità dell'esposizione a elettromagnetismo ad alta frequenza da “possibili cancerogeni” a “cancerogeni certi”. Entrambi gli istituti hanno annunciato un approfondimento che potrebbe dare dei risultati in uno o due anni e che questo Governo dovrebbe sostenere per fugare qualsiasi dubbio come già fatto dai comuni di Trento e Torino nell'attesa di applicare una moratoria.
La sperimentazione in tutto il mondo viene bloccata. Ci sono molte città statunitensi, inglesi e australiane. Poi Austria, Cipro, Malta e Spagna, che ha siglato l'atto politico più significativo d'Europa: il Defensor del Pluebo, organo istituzionale governativo, che ha stabilito che il piano nazionale 5G spagnolo deve essere sottoposto a valutazione di impatto ambientale e ALARA, con la riduzione dell'esposizione per bambini e giovani e, in particolar modo, per elettrosensibili, così come nel comune di Ravensburg, dove hanno individuato aree libere dal 5G per proteggere proprio questa fascia di persone.
Ci sono, poi, i malati di sensibilità chimica multipla e fibromialgia, che sono in continuo aumento. La diffusione ubiquitaria della tecnologia non darà loro più scampo, condannandoli alla malattia e alla marginalità sociale.
La mozione è supportata da milioni di italiani, da evidenze scientifiche e dal parere di autorevoli esperti. In nome del progresso la tecnologia è sempre stata pretesto per sostenere la salute dei mercati a scapito degli esseri viventi - e concludo - come già è accaduto con amianto, PVC, PFAS, nicotina, DDT, glifosato, cromo, radiazioni ionizzanti e microplastiche. Oggi sappiamo che l'elettrosmog è fattore di inquinamento ambientale pari ai combustibili fossili. Però, la scienza ci può dare una mano per dare la giusta dignità alla tecnologia. Questa volta deve andare in modo diverso: dobbiamo cambiare il paradigma e fare della precauzione e della prevenzione i fari delle nostre azioni e decisioni politiche. L'articolo 41 della nostra Costituzione dice: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. La salute degli italiani, quindi, non può essere svenduta all'asta per 6,5 miliardi di euro. Confido, quindi, che il principio di precauzione, i diritti dei cittadini e la nostra Costituzione tornino a essere la priorità per noi e per quest'Aula.
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Cunial, anche per la sua apnea di cinque minuti.
È iscritta a parlare la deputata Bruno Bossio, che illustrerà la mozione Scagliusi ed altri n. 1-00251, di cui è cofirmataria.
VINCENZA BRUNO BOSSIO (PD). Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, che cos'è il 5G, ci dobbiamo chiedere: è semplicemente la nuova frontiera degli standard per le connessioni dei dispositivi mobili, dopo il 3 e il 4, capace di assicurare una velocità di download e upload molto elevata rispetto agli standard precedenti? Ma è solo questo? È solo una quinta generazione? No! Crediamo che il 5G sia soprattutto una tecnologia abilitante non solo per l'ampiezza di banda ma soprattutto per la bassa latenza, ovvero i tempi di risposta, che permette di sviluppare quelle soluzioni innovative di utilizzo della rete Internet che favoriscono lo sviluppo del Paese e si colloca, quindi, come driver dell'innovazione all'interno dell'ecosistema digitale mondiale.
Siamo partiti da questo per elaborare la mozione predisposta dai gruppi parlamentari di maggioranza. Lo dico perché la mozione Cunial ed altri n. 1-00183 costituisce una sorta di documento ideologico di luddismo antitecnologico, un po' come i no-vax, facendo leva sul legittimo sentimento di preoccupazione della popolazione rispetto a una materia su cui la maggior parte dell'opinione pubblica non ha, purtroppo, piena consapevolezza. Non a caso nelle premesse della nostra mozione siamo partiti dai dati illustrati dall'Istituto superiore di sanità che sono stati presentati proprio nell'ambito dell'indagine conoscitiva presso la IX Commissione per evidenziare come l'esposizione delle persone ai campi attualmente utilizzati per le telecomunicazioni sono molto inferiori ai limiti di esposizione fissati per prevenire gli effetti termici. Dunque, per l'Istituto superiore di sanità non vi è motivo di ritenere che le esposizioni delle persone aumenteranno significativamente.
Non a caso nella nostra mozione chiediamo al Governo di proseguire nell'approfondimento degli studi e delle ricerche sull'elettromagnetismo - tra l'altro, le tecnologie di comunicazione radio e non solo il 5G - accompagnandolo con adeguati iniziative, però, istituzionali di comunicazione, volte a soddisfare questa esigenza di informazione chiara ed esaustiva. Così come chiediamo che ci sia un adeguato monitoraggio rispetto all'inquinamento elettromagnetico. Al tempo stesso con quest'atto di indirizzo chiediamo al Governo di tenere in considerazione la valenza dello sviluppo tecnologico in atto nel settore delle telecomunicazioni come opportunità di crescita e competitività che tale sviluppo offre al Paese.
Lo sviluppo del 5G si inserisce in una strategia europea condivisa. La stessa neopresidente della Commissione europea ha incluso la definizione di standard comuni per il 5G tra gli obiettivi principali sulla governance digitale del nuovo corso dell'Europa. Nel 2018 l'Italia ha proceduto, anche in anticipo rispetto al resto dei Paesi, ad assegnare le bande di frequenza, generando introiti pari a 6 miliardi 550 milioni di euro, importo nettamente superiore ai 2 miliardi e mezzo di euro previsti nella legge di bilancio 2018. Ma ancor prima, nel periodo 2008-2017, mentre gli altri investimenti dell'economia italiana si sono contratti gli investimenti nel settore delle telecomunicazioni sono cresciuti del 10 per cento.
Troppo spesso leggiamo che l'Italia è in ritardo sul digitale: incominciamo a sfatare questo dato. Sulle reti italiane non siamo in ritardo. Infatti, per quanto riguarda le reti fisse, dal 2014 ad oggi l'Italia, che aveva un ritardo di oltre 20 punti, ha completamente colmato questi ritardi ed oggi le reti a 30 megabit al secondo sono in linea rispetto alla media europea, e così con la copertura del 4G: l'Italia è al 98 per cento, la Francia al 97, la Germania al 95.
Ma abbiamo detto che il 5G è una tecnologia abilitante delle innovazioni dell'ecosistema digitale. Sicuramente; ma è anche la prima generazione che consente la convergenza fisso-mobile e riesce in questo modo ad arrivare al più ampio numero di persone. L'altro elemento caratteristico del 5G, oltre alla velocità, è soprattutto la bassa latenza, ovvero i tempi di risposta al comando dato all'oggetto connesso: perché, appunto, il 5G riguarda la connessione non solo tra le persone, ma tra le cose e tra le cose e le persone. Pensiamo all'ipotesi delle auto connesse come esempio più concreto e più specifico: il tempo che trascorre tra quando un sensore per la strada indica lo stop e il tempo in cui l'auto effettivamente si ferma; senza il 5G non sarebbe possibile. Il 5G quindi, unito all'intelligenza artificiale e all'Internet delle cose, può cambiare in meglio la nostra vita quotidiana, cioè esattamente il contrario delle preoccupazioni espresse nella mozione Cunial ed altri n. 1-00183. Facciamo qualche esempio su tre cose fondamentali della nostra vita quotidiana.
La sicurezza. La tecnologia 5G potrà essere usata in maniera efficace e non, come adesso, per la trasmissione di video ad altissima risoluzione fatta da droni che sorvoleranno aree sensibili o inaccessibili in caso di calamità naturali. Città intelligenti: i sensori Internet of things in determinati punti della città comunicheranno in tempo reale ad una centrale operativa i dati rilevanti sul traffico, sulla, mobilità, sull'illuminazione.
Per non parlare della medicina: non solo sull'applicazione sulla telechirurgia, ma soprattutto, anche in conseguenza dell'aumento dell'età media della popolazione, la capacità di garantire a tutti tecniche diagnostiche e terapie avanzate in tempo reale. Così come interviene, il 5G, su “Impresa 4.0”, garantendo la possibilità che i sistemi interconnessi possano interagire rapidamente l'uno con l'altro. Partendo da questi presupposti, la portata dell'avvento del 5G è potenzialmente enorme e tutti gli operatori internazionali stanno lavorando attivamente. Lo scontro anche fra USA e Cina altro non è che il primato sulla tecnologia 5G: e noi che facciamo? Per la prima volta sull'innovazione potremmo essere in vantaggio rispetto agli altri Paesi, grazie appunto all'asta che è stata svolta sulle frequenze, migliorando i dati economici, ma soprattutto migliorando la vita delle persone e riducendo i rischi, e invece rischiamo, o dovremmo rischiare, di essere bloccati per allarmi lanciati da luddisti della venticinquesima ora sugli impatti del 5G sulla salute, fondati su argomenti ampiamente smentiti?
Voglio rapidamente introdurre le specifiche obiezioni. Si dice che le radiofrequenze utilizzate in tecnologia 5G sarebbero inesplorate: non è vero; il 5G non fa uso di radiofrequenze ignote. Gli effetti delle radiofrequenze fino a 300 gigahertz, incluse quindi anche quelle utilizzate dalle reti 5G, sono oggetto di studio da oltre quarant'anni e considerati non dannosi entro i limiti di densità di potenza stabilita a livello mondiale ed europeo. Le evidenze scientifiche, che costituiscono la base di ogni considerazione relativa agli effetti delle radiazioni non ionizzanti, sono valutate dalla Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni, che lavora in stretto contatto con l'Organizzazione mondiale della sanità. Dunque, non risponde a verità sostenere che ci si trovi di fronte ad una grave e sottostimata situazione di pericolo per la sanità pubblica, in quanto la ricerca scientifica internazionale, con la partecipazione di numerosi autorevoli scienziati italiani, ha posto e continua a porre grande attenzione sul tema e non ha certo sottostimato la questione, mentre gli esiti di altre ricerche non hanno avuto lo stesso riscontro scientifico.
In più, non dimentichiamo che non solo a livello nazionale la materia dei limiti di emissione è stata già inserita in una regolamentazione nella legge n. 36 del 2001 e nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del luglio 2003, ma a livello europeo l'Italia, la Bulgaria, la Polonia e il Belgio, sia pur con diversità, hanno adottato per l'esposizione ai campi elettromagnetici un limite pari a 6 volt per metro, laddove tutti gli altri Paesi si attestano in media su limiti che oscillano tra i 41 e i 58 volt per metro.
Poi c'è l'altra tesi, che asserisce con certezza - l'ha appena presentata la collega - che le radiofrequenze siano cancerogene e si fa riferimento al Programma nazionale di tossicologia degli Stati Uniti e all'altro dell'Istituto Ramazzini. Ebbene, questi studi sono stati anche presi in considerazione dalla Commissione, dall'ICNIRP, però entrambi gli studi hanno incongruenze e limitazioni che influenzano l'utilità dei loro risultati per la definizione di linee guida sull'esposizione, ed entrambi devono essere considerati poi nel contesto di ricerca di cancerogenicità su animali e persone.
Veniamo ora a commentare la posizione anche dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. L'Agenzia nel 2011 ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza come possibilmente cancerogeni per l'uomo nella più bassa tra le categorie per le quali è plausibile un ruolo dell'agente in studio nella cancerogenesi. Questa valutazione si fondava essenzialmente su una limitata evidenza epidemiologica di aumenti di alcune forme tumorali, soprattutto per soggetti che avevano fatto uso di telefoni mobili. Ecco, io credo che questo sia un altro elemento che dobbiamo sottolineare: i livelli di esposizione realisticamente associati alle antenne fisse sono molto inferiori in ordine di grandezza a quelli imputabili all'uso dei cellulari.
Vi è poi un'ulteriore analisi condotta dall'ICNIRP sulle implicazioni di questi studi per la salute umana e per le norme di protezione, e ha concluso che entrambi gli studi non presentano evidenze consistenti, affidabili e generalizzabili che possano essere utilizzate come base per condurre una revisione dei limiti di esposizione attualmente raccomandati a livello internazionale. Consideriamo, appunto che l'esposizione prevista per l'Italia è molto più bassa dei limiti internazionali.
In ultimo, il documento prodotto nel 2018 dal Comitato scientifico dell'Unione europea su salute, ambiente e rischi emergenti. Il documento non sviluppa analisi, né esprime valutazioni, ma si limita a fornire argomenti per richiamare l'attenzione della Commissione su problematiche emergenti, cosa che in questa nostra mozione noi richiamiamo. In più, la sezione relativa ai campi elettromagnetici del documento del Comitato non è relativa agli effetti sugli uomini, ma a potenziali effetti sull'ambiente naturale dei campi elettromagnetici.
Concludendo, è evidente che sulla scorta di tali considerazioni le richieste di sospensiva dell'esercizio delle reti 5G e in generale le preoccupazioni per la loro diffusione non siano fondate su motivazioni oggettive, anzi, il quadro delle conoscenze che ho appena descritto fornisce non solo importanti rassicurazioni, ma soprattutto solleva il tema di quanto sia effettivamente conosciuto e compreso. È quindi fortemente auspicabile - ed è quello che chiediamo anche nella nostra mozione - la diffusione da fonti indipendenti ed accreditate di informazioni scientifiche corrette e complete, onde evitare di allarmare inutilmente i cittadini.
Io direi che vi è esattamente invece un problema opposto: dobbiamo accelerare la realizzazione del 5G, anche sostenendo l'iniziativa dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che nella riunione del dicembre 2018 ha deliberato di inviare una segnalazione per superare gli ostacoli relativi all'installazione di impianti di telecomunicazione mobile presenti nelle normative locali.
Dunque, credo allora che il Governo dovrà impegnarsi, innanzitutto, a tener conto dello sviluppo tecnologico in atto nel settore delle comunicazioni e delle opportunità di crescita, ad adoperarsi nelle sedi più opportune, invece, facendo ricorso a interventi di tipo legislativo per rivedere e migliorare l'impianto normativo alla base della realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione. Perché dobbiamo decidere da che parte stare: dalla parte del declino o dello sviluppo. Io credo dalla parte del secondo e, in tal senso, accoglierei l'appello che Jeremy Rifkin ha rivolto all'Italia e agli italiani qualche anno fa: “La rivoluzione digitale è comunicazione, energia, trasporti, città digitalizzate. Questa è la strada da prendere e voi italiani dovete farlo subito, sapete perché? Nessuno batte la creatività italiana, ma potete guidare questa rivoluzione soltanto se ne capirete l'importanza, perché è solo così che si batte il declino” (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Termini. Ne ha facoltà.
GUIA TERMINI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi, essere cauti nell'introduzione di nuove tecnologie è fondamentale. Per questo motivo, sebbene al momento non ci sia nessuna ragione che indichi la pericolosità della nuova tecnologia, alla Camera dei deputati abbiamo promosso un approfondimento pubblico, trasparente e di buonsenso. La IX Commissione della Camera ha infatti avviato, il 27 settembre dell'anno scorso, un'indagine conoscitiva tuttora in corso sulle nuove tecnologie delle telecomunicazioni, con particolare riguardo alla transizione verso il 5G, inclusi gli ipotetici rischi per la salute connessi all'esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza utilizzati per il 5G.
Allo scopo di proteggere la popolazione da eventuali effetti sulla salute provocati dall'esposizione ai campi elettromagnetici, sono state messe a punto dagli organismi preposti linee guida internazionali che individuano limiti di esposizione cautelativi, valutati e fissati sulla base di verifiche ed evidenze scientifiche circa gli effetti di tale esposizione.
Le normative nazionali sulla protezione dalle esposizioni ai campi elettromagnetici a radiofrequenza hanno sempre seguito un approccio estremamente cautelativo, tale da portare alla definizione e all'emanazione di leggi che prevedono limiti di esposizione per la popolazione largamente più restrittivi rispetto a quanto riportato nelle linee guida di riferimento internazionali definite dalla Commissione scientifica internazionale (ICNIRP).
Si è affermato che oggi non siano noti gli effetti delle onde elettromagnetiche emessi dagli apparati che impiegano la tecnologia 5G, ma c'è comunque un generale accordo nella comunità scientifica sul fatto che gli effetti dei campi elettromagnetici non dipendano dalle diverse generazioni di tecnologie adottate ovvero dall'uso nelle telecomunicazioni delle tecnologie 2G, 3G, 4G o 5G, ma solo dalle diverse bande di frequenza utilizzate per la propagazione delle onde elettromagnetiche.
L'Istituto superiore della sanità, in audizione, ha dapprima ricordato che le attuali linee guida internazionali, riconosciute dalla comunità scientifica, non evidenziano significativi rischi per le antenne cellulari, perché le potenze utilizzate nella realtà sono di gran lunga inferiori rispetto a quelle che hanno sollevato qualche timore negli studi sperimentali su cavie animali. Come illustrato dal dottor Polichetti, la maggiore densità delle cosiddette small cells non aumenterà le emissioni, come qualcuno ha erroneamente affermato, ma invece le abbasserà, conseguentemente con un impatto addirittura minore sulla popolazione.
Va ricordato inoltre che, già oggi, l'Italia presenta limiti di emissioni elettromagnetiche di un ordine di grandezza più basso rispetto a quelli degli altri Paesi. Infatti, mentre da noi è stato adottato un limite pari a 6 volt/metro, nelle altre nazioni i limiti raggiungono, invece, i 58 volt/metro. Nonostante ciò, ancora una volta, non esistono evidenze scientifiche che certifichino l'insorgere di patologie causalmente collegate ai suddetti limiti, seppur così maggiormente elevati.
In Italia, come gli esperti hanno unanimemente confermato in audizione, ciò su cui occorre prestare attenzione sono i dispositivi, problema peraltro già esistente con le tecnologie attualmente in uso. Su questo sarebbe importante avviare una campagna informativa istituzionale, per promuovere tra i cittadini un uso consapevole e responsabile dello smartphone, utilizzando preferibilmente gli auricolari e cercando di tenerlo il meno possibile a contatto con il corpo, in particolare con la testa.
Di recente, l'Istituto superiore di sanità ha pubblicato un esaustivo rapporto concernente le conoscenze attuali sui potenziali danni derivanti dalle radiazioni elettromagnetiche, concepito come uno strumento di comunicazione scientifica finalizzato a due obiettivi principali: il primo, a colmare le lacune informative esistenti, trasferendo conoscenze esaustive estratte dalla letteratura internazionale sulle caratteristiche dell'esposizione a radiofrequenze e sui risultati della ricerca sui rischi per la salute associati a questa esposizione; il secondo, a potenziare le capacità critiche individuali, integrando le evidenze scientifiche con un percorso guidato alla loro interpretazione.
Secondo questo rapporto, il 5G non esporrà la popolazione generale a campi elettromagnetici più intensi rispetto alla telefonia 4G: quello che cambia è che, trattandosi di una tecnologia intelligente, irradia il fascio solo ove c'è il ricevitore da contattare. La potenza alla ricezione rimarrà, più o meno, la stessa; i limiti di esposizione derivanti da tutte le fonti rimarranno, comunque, inferiori ai 6 volt/metro.
In data 6 novembre 2018, il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, rispondendo ad un atto di sindacato ispettivo relativo alla medesima materia, ha evidenziato quanto segnalato dal Ministero della Salute, ovvero che la valutazione del rischio sanitario associato all'esposizione ai campi elettromagnetici è basata su migliaia di studi condotti negli ultimi decenni in ambito epidemiologico e sperimentale. Tali studi, sia in vivo che in vitro, hanno prodotto un ricchissimo quadro di riferimento e un elevato grado di condivisione a livello mondiale delle politiche di protezione e concordano nel ritenere che il rischio di eventuali effetti sanitari a lungo termine associato all'esposizione ai campi elettromagnetici e alle radiofrequenze rivesta, allo stadio dell'arte, un carattere del tutto ipotetico e non di certezza.
Sempre secondo il Ministero della Salute, gli studi caso-controllo di Hardell e collaboratori non sono coerenti con le altre evidenze epidemiologiche disponibili e non sono compatibili con i trend temporali dell'incidenza di tumori intracranici, come ripetutamente osservato in recenti studi di simulazioni effettuate su serie storiche ventennali in popolazioni di grandi dimensioni.
Diversamente da altri gruppi di ricerca, tra cui Interphone, il gruppo di Hardell non ha peraltro condotto studi collaterali finalizzati a valutare la presenza di distorsioni e a stimarne l'impatto sui risultati degli studi caso-controllo.
Il Ministero della Salute ha evidenziato, altresì, di aver finanziato presso il Centro nazionale di controllo delle malattie, il progetto triennale Camelet, sviluppato dall'Istituto superiore di sanità, che, tra le altre cose, ha creato un sito tematico finalizzato a fornire ai cittadini un quadro globale dei risultati delle ricerche delle più innumerevoli organizzazioni nazionali e internazionali, delle normative di protezione e delle strutture preposte al controllo dei campi elettromagnetici.
Lo scorso marzo, alla Camera, l'Istituto superiore di sanità ha escluso eventuali rischi per la salute causati dal 5G, affermando che i potenziali pericoli sono ancora più remoti rispetto a quelli connessi all'uso del cellulare.
In conclusione, Presidente, desidero ribadire che, relativamente alla fase di test in corso sul 5G, che possiamo definire una sperimentazione tecnologica e non di certo sanitaria, è già largamente applicato il principio di precauzione.
Quindi, per quanto fin qui detto e a fronte del fatto che tra i soggetti auditi nessuno abbia potuto asserire che le antenne 5G ad oggi installate per la sperimentazione provochino, con certezza o anche solo ragionevole probabilità, danni alla salute, come MoVimento 5 Stelle, con questa mozione, vogliamo comunque sottolineare l'esigenza di continuare ad approfondire gli studi e le ricerche in questo ambito, visto che, al momento, l'unica evidenza scientifica è quella del progresso tecnologico di cui il nostro Paese beneficerà (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Luciano Cantone. Ne ha facoltà.
LUCIANO CANTONE (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi come confermato anche dalle numerose audizioni in Commissione, il 5G rappresenta una tecnologia dalle grandi potenzialità, che potrà essere applicato in diversi settori, come, ad esempio, la salute: infatti, sarà possibile per un medico operare un paziente dall'altro lato del Paese, ma anche l'istruzione, le pubbliche amministrazioni, l'industria, l'agricoltura. Quindi, non solo utile alle comunicazioni, ma a sviluppare quella che viene chiamata l'Internet delle cose.
Con questi sistemi sarà possibile trasmettere grandi quantità di dati, con tempi di latenza molto brevi, particolarmente utili non solo a migliorare le prestazioni degli smartphone, ma per applicazioni quali la guida autonoma di veicoli senza pilota, connessione di droni a reti radiomobili per trasmissione di immagini a scopo di sorveglianza e visite virtuali di siti di interesse culturale. Voglio, in questa sede, ricordare che l'articolo 6, comma 1, della legge 22 febbraio 2001, n. 36, ha istituito il Comitato interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento elettromagnetico, presieduto dal Ministro dell'Ambiente o da un sottosegretario da questi delegato, che, tra le funzioni, annovera quella della promozione di attività di ricerca e sperimentazione tecnico-scientifica, la realizzazione di accordi di programma con gestori di elettrodotti, con i proprietari dei medesimi o delle reti di trasmissione, finalizzati alla promozione di tecnologie e tecniche di ricostruzione di impianti in grado di ridurre le emissioni ambientali; ancora, la promozione di intese e accordi di programma con imprese produttrici di apparecchiature di uso domestico o lavorativo, con gestori di servizio del trasporto pubblico che producono campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, al fine di favorire e sviluppare tecnologie che consentano di ridurre al minimo le emissioni ambientali. A questo Comitato è, inoltre, riconosciuta una funzione consultiva sugli atti di competenza del Governo, nonché funzioni di monitoraggio sugli adempimenti previsti dalla medesima legge n. 36 del 2001. Le funzioni svolte dal Comitato interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento elettromagnetico appaiono di grande utilità ai fini dell'opportuna tutela dell'ambiente e della salute e della sicurezza delle persone dal fenomeno dell'inquinamento elettromagnetico.
Per questi motivi, con questa mozione chiediamo al Governo di proseguire con l'approfondimento degli studi e delle ricerche sull'elettromagnetismo, che riguarda tutte le tecnologie di comunicazione radio e non solo il 5G, accompagnando le riforme normative necessarie con iniziative volte a soddisfare le esigenze di informazione chiara ed esaustiva per l'opinione pubblica; a garantire, inoltre, un monitoraggio costante e continuativo da parte del Comitato interministeriale per la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento elettromagnetico di cui alla legge n. 36 del 2001, che tenga conto dei risultati della ricerca scientifica internazionale in tema di elettromagnetismo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
FEDERICA ZANELLA (FI). Grazie, Presidente. Le reti 5G – ovvero quinta generazione di connettività digitale – sono le uniche in grado di rispondere adeguatamente alla sfida delle applicazioni del futuro, garantendo elevati livelli di prestazione e di sicurezza, ponendosi come obiettivo la connessione in tempo reale di un gran numero di oggetti, la IoT, il cosiddetto Internet delle cose, ad altissima velocità. Una nuova tecnologia con potenzialità enormi sul fronte dei servizi che potranno essere sviluppati e che sarà volano di crescita per il nostro sistema produttivo, la cui sperimentazione è già in atto, come ben noto, in specifiche città italiane del Nord, Centro e Sud Italia, e che per alcune grandi città dovrebbe già essere realtà entro breve tempo e dovrebbe essere disponibile con una copertura diffusa su tutto il territorio nazionale entro il prossimo triennio.
A fronte dei vantaggi indiscussi di una tecnologia e di un sistema certamente più potente e avanzato, si è aperto in questi anni un ampio dibattito a livello pubblico in ambito scientifico sugli eventuali rischi per la salute conseguenti alle emissioni elettromagnetiche. Appelli nazionali e internazionali firmati da associazioni, personalità scientifiche, semplici cittadini, nei quali si paventano rischi sanitari legati al fatto che la rete 5G utilizzi frequenze del campo elettromagnetico più elevate rispetto al 4G. In questo modo aumenterebbe - dicono loro - in maniera importante l'esposizione delle radiofrequenze, che potrebbe causare effetti gravi e irreversibili sulla salute delle persone e sull'ambiente. Abbiamo sentito fare riferimento a studi scientifici inoppugnabili, con evidenze altrettanto inoppugnabili. Mi permetto di significare che la comunità scientifica li ha già presi in considerazione, elencandone numerose limitazioni. Per esempio, secondo l'International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection, entrambi gli studi di cui ha parlato la collega precedentemente hanno debolezze metodologiche e limitazioni che condizionano l'utilità delle loro conclusioni - leggo, ovviamente, i responsi della comunità scientifica - per la definizione di linee guida per l'esposizione. Questi studi non forniscono una base affidabile per aggiornare le linee guida esistenti per l'esposizione ai campi elettromagnetici. Avrei plurime attestazioni del fatto che questi studi non vengono definiti così certi, però vorrei andare avanti, perché, se è vero che chiaramente non ci sono studi scientifici di durata pluriennale, fermare la sperimentazione, come viene chiesto nella mozione Cunial e da taluni movimenti, al fine di avere evidenze scientifiche inoppugnabili, significherebbe condannare l'Italia a perdere competitività rispetto agli altri Paesi, non solo a livello tecnologico, ma anche di crescita onnicomprensivamente intesa, non mettendo cittadini e imprese nelle condizioni di sfruttarne le straordinarie potenzialità.
A prescindere da queste lapalissiane considerazioni, ad ora non vi sono indizi consistenti che portino a far ritenere che vi siano pericoli tali per la salute da far rievocare con forza il principio di precauzione, perché va detto che sull'effetto dei campi elettromagnetici sui biosistemi esistono migliaia di studi i cui risultati sono considerati in gran parte validi anche per le frequenze utilizzate da questa nuova tecnologia. Va, infatti, sottolineato che, dal punto di vista elettromagnetico, il 5G non è diverso dal 3G e dal 4G, utilizzando peraltro frequenze già ampiamente in uso. Alcuni degli studi fatti sulle frequenze del 5G, per esempio, dall'Agenzia francese per la sicurezza, la salute e l'ambiente, dimostrano che gli effetti immediati sulle cellule sono meno rilevabili rispetto a quelli per l'uso delle attuali frequenze 2G, 3G e 4G, che pure danno effetti scarsamente percepibili di riscaldamento cellulare. L'Istituto superiore di sanità, già ripreso da altri interventi di colleghi, ha prodotto un rapporto dove si sottolinea come non ci siano motivi per attendersi effetti diversi dal 5G rispetto alle tecnologie precedenti. Secondo il dottor Polichetti, primo ricercatore presso l'Istituto superiore di sanità al Centro nazionale per la protezione delle radiazioni, è necessario approfondire gli studi per capire meglio quali potrebbero essere i reali effetti del 5G sulla salute, anche se per il momento - dice lui - non ci sono ragioni che sostengano i timori, come non ce ne erano in passato, quando sono state installate le altre tecnologie.
Va fortemente sottolineato, a proposito del citato principio di precauzione dei limiti di emissione elettromagnetica, che nel panorama mondiale solamente l'Italia, la Bulgaria, il Belgio, la Polonia e la Grecia, ma con l'Italia che spicca tra tutte in senso restrittivo, hanno adottato un limite di esposizione pari a 6 volt/metro, laddove tutti gli altri Paesi si attestano in media su limiti che oscillano tra i 41 e i 58 volt/metro. Per meglio intendersi, il valore limite di campo elettromagnetico certificato dalla UE come sicuro per le frequenze pioniere del 5G è di 61 volt/metro, pari alla somma di circa 110 contributi da 6 volt/metro, che è il limite attuale in vigore in Italia, appunto. Come sappiamo e come peraltro ha ricordato in quest'Aula, il 6 novembre 2018, l'allora sottosegretario del Ministero dell'Ambiente Micillo, rispondendo a un'interrogazione qui, nel nostro Paese i limiti di emissione tollerati sono inferiori e non allineati a quelli in vigore negli altri Paesi europei e sono stati stabiliti in ottica prudenziale, nel dubbio di effetti negativi di lungo periodo per la salute umana derivanti da esposizione prolungata da campi elettromagnetici. Le reti 5G, quindi, a meno che non intervenga una modifica alla normativa vigente, dovranno rispettare gli attuali limiti emissivi, per cui dire che il 5G provocherà di per sé un innalzamento delle soglie massime è falso.
Il motivo per il quale non riteniamo sia giustificato alcun allarmismo per il 5G è anche legato ad alcune questioni tecniche non di secondaria importanza. Sentivo che i colleghi ne hanno riportate già alcune, ne aggiungo altre: il 5G implica lunghezze d'onda più corte e maggiori antenne per renderlo efficiente; molte antenne consentono di coprire territori più piccoli, quindi potenze molto piccole, e così sarà per tutte le antenne del 5G. Quindi, avranno potenze molto basse e questo vuol dire anche, come sottolinea l'Istituto superiore di sanità, che, se le potenze utilizzate saranno più basse, le onde si fermeranno a livello molto superficiale. L'utilizzo di tale onde renderà necessario installare numerosi ripetitori. La previsione di una proliferazione di antenne sembra essere la principale causa di preoccupazione riguardo all'introduzione del 5G.
In realtà, è il contrario: appunto le dimensioni più piccole delle celle rispetto a quelle attualmente utilizzate per la telefonia cellulare comporteranno delle potenze di emissione più basse di quelle attuali; inoltre, utilizzando la tecnologia Massive MIMO, le antenne 5G concentrano la copertura solo sui terminali che in quel preciso momento ne hanno bisogno, garantendo un impiego molto più efficiente dello spettro elettromagnetico. Per questa sua caratteristica il 5G rappresenterebbe - dicono quelli bravi, informati - la miglior tecnologia disponibile per la riduzione dell'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici.
È giusto e doveroso proseguire gli studi sugli effetti delle emissioni elettromagnetiche, così come andrà fatto un monitoraggio in questo senso. Ma detto questo, come già sottolineato, non possiamo certamente pensare di fermare il futuro e quindi la sperimentazione di una tecnologia che incarna quello più prossimo, con tutte le sue straordinarie potenzialità in chiave di crescita del Paese, sia in termini culturali che economici, tanto nel pubblico che nel privato. Vale la pena, anche se non è un tema specifico delle mozioni, ma non può certamente venire eluso, se si invita a sospendere qualcosa su cui le imprese hanno fatto pesanti investimenti, che in Italia le grandi società delle telecomunicazioni hanno investito oltre 6 miliardi e mezzo per le frequenze per il 5G, andate in asta nel settembre-ottobre del 2018. Ovviamente, sono realtà che hanno messo in previsione il rischio di intrapresa, però non possiamo penalizzare chi investe in maniera significativa nel nostro Paese, peraltro in chiave di sviluppo e crescita per noi, pregiudicando la sostenibilità di un sistema, quello delle telecomunicazioni, per noi essenziale. Tornando al nodo prioritario dei limiti, individuati a livello internazionale, del nostro Paese circa le emissioni elettromagnetiche, come ho già accennato, gli standard di protezione, quindi i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici, sono stati recepiti in Italia, dove si prevedono, per i sistemi fissi per le telecomunicazioni e radiotelevisivi, limiti di esposizione e valori di attenzione ben più restrittivi dei limiti internazionali. Se è vero che la tutela della salute deve essere alla base di qualunque decisione, è anche vero che le norme italiane, che impongono limiti molto più stringenti, come abbiamo visto, rispetto agli altri Paesi, sulle emissioni elettromagnetiche, potrebbero comportare degli ostacoli per gli operatori e rischiare di penalizzare lo sviluppo di questa nuova, fondamentale tecnologia in Italia, che potrebbe essere meno diffusa e costare anche di più agli utenti.
Per questo motivo, negli impegni della mozione che stiamo presentando chiediamo di rivedere i limiti delle emissioni elettromagnetiche vigenti in Italia, attualmente decisamente più bassi rispetto a quelli stabiliti nella gran parte degli altri Paesi, uniformandoli a questi ultimi. E ovviamente non ci fermiamo qui: ci sta a cuore lo sviluppo tecnologico e tout court del nostro Paese, ma anche la salute dei nostri cittadini e, quindi, nei nostri impegni nella mozione specifichiamo come, per noi di Forza Italia, sia necessario avviare delle campagne informative sull'uso corretto e responsabile dei dispositivi e degli smartphone, anche incentivando l'utilizzo degli auricolari, nonché affiancare all'introduzione della tecnologia 5G un monitoraggio dei livelli di esposizione, come del resto avviene già attualmente per le attuali tecnologie di telefonia mobile. Ma una cosa è controllare costantemente l'evoluzione tecnologica, altra cosa sarebbe cercare di azzopparla: non si ferma il futuro, non si può continuare a penalizzare la competitività del nostro sistema Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bella. Ne ha facoltà.
MARCO BELLA (M5S). Grazie, Presidente. In quest'Aula ho sentito evocare la paura. La paura dovrebbe essere un sentimento che non appartiene alla politica. È normale avere paura, è normale che i cittadini abbiano paura, soprattutto di qualcosa che noi non vediamo, perché le onde elettromagnetiche, tranne una piccola parte, non si possono vedere. Ma la paura si vince spiegando e, quando noi comprendiamo, allora la paura va via. E la crescita delle persone è capire che cosa è la paura, ad esempio io non ho sentito descrivere ancora cosa sono le radiazioni elettromagnetiche.
Radiazioni elettromagnetiche: questa parola fa paura, in realtà con questo si descrive una serie di fenomeni fisici molto diversi tra loro. Ci sono, ad esempio, i raggi gamma, quelli, sì, radiazioni ionizzanti, sicuramente, che possono portare tumori. Ci sono i raggi X, anche quelli sono pericolosi, tuttavia sono utili nella radiografia. Ci sono i raggi UV: certo, l'esposizione ai raggi UV può essere dannosa, ma i raggi UV vengono normalmente usati per l'abbronzatura. C'è la luce visibile: la luce visibile la vediamo, quella non fa paura, per esempio in questo momento c'è una radiazione elettromagnetica che viene dal nostro meraviglioso velario e questa radiazione è compresa tra 400 e 700 nanometri. Ci sono le microonde, con le quali scaldiamo i cibi. E, infine, ci sono le radiofrequenze.
Presidente, io le ho elencate in ordine di lunghezza di frequenza: minore è la frequenza, maggiore è l'energia delle radiazioni elettromagnetiche. E come avrà notato, le radiofrequenze sono le ultime, sono le onde più lunghe e sono anche le onde che portano meno energia. Quindi, già questo, ci dovrebbe indicare che sono quelle che possono avere i minori effetti biologici. Nella mozione, ad esempio, viene descritta la possibilità di usare non il Wi-Fi, ma il Li-Fi, ovvero usare la luce, ma questo qui è assurdo perché, innanzitutto, se noi usassimo la luce per la comunicazione con i telefonini, quest'Aula diventerebbe una discoteca, e soprattutto useremmo delle radiazioni che sono ben 10 mila volte più forti, più intense. Quindi, viene evocata questa paura. Ma la paura va spiegata, si deve spiegare alla popolazione. E in nome di un non ben precisato principio di precauzione, si vorrebbe sospendere l'utilizzo della tecnologia 5G, una tecnologia che, come hanno ricordato alcuni colleghi giustamente, è estremamente di grande beneficio per i cittadini. Principio di precauzione: Presidente, vede, nessuno scienziato, la scienza non potrà mai dirle che non arrivi un meteorite, sfondi il velario e arrivi proprio lì, dove sta seduto, ecco, se lei si sposta. potrebbe arrivare anche lì vicino. Vede, Presidente, ho attirato la sua attenzione e sa perché? Perché ho invocato la paura. La paura viene utilizzata da alcuni…
PRESIDENTE. Non si preoccupi delle mie paure, onorevole Bella.
MARCO BELLA (M5S). Va bene, certo. La paura viene utilizzata da alcuni per ottenere dei vantaggi personali. Ci sono persone che la utilizzano in buona fede, ci sono persone che stimolano la paura per instillare qualcosa di errato nei cittadini. Ora, nel principio di precauzione, non c'è nulla di nuovo nelle emissioni del 5G, perché queste frequenze sono già state largamente utilizzate nella radiotrasmissione. E, proprio perché sono state utilizzate, erano già state studiate. C'è uno studio di Inskip ed altri, pubblicato sul Neuro-Oncology nel 2010, in cui vengono studiati due fenomeni: uno riguarda l'aumento dei telefoni cellulari; perché, sì, Presidente, in realtà questo telefono cellulare è la fonte maggiore di onde elettromagnetiche, la cui intensità crolla molto con la distanza. Quindi, se ci fosse da aver paura, questo è lo strumento che può generare maggiormente preoccupazione. In realtà, in questo studio si vede che, fino al 2006, noi abbiamo avuto negli Stati Uniti un'esplosione dell'uso del telefono cellulare, infatti siamo arrivati a qualcosa come 250 milioni di utenti; di contro, nello stesso periodo, qual è il fenomeno che potrebbe generare più timore? Potrebbero essere i tumori cerebrali. I tumori cerebrali sono passati da circa 6 per 100 mila abitanti nel 1997, a circa 6 nel 2006: non sono aumentati. Quindi la sperimentazione, se di sperimentazione possiamo parlare, già è stata fatta e non c'è questa correlazione. È inutile ricorrere alle cavie animali, già lo sappiamo qual è l'effetto: non c'è. Non è misurabile. Essenzialmente, la tecnologia 5G è una tecnologia, tra l'altro, di tipo direzionale. Mi spiego meglio, è già stato illustrato da alcuni colleghi. Vede, io, i miei appunti, li sto leggendo grazie alla luce di una radiazione elettromagnetica che viene dal velario. Tramite la tecnologia 5G avremo una fonte diretta, una fonte più veloce, una fonte minore, quindi avremo minori emissioni elettromagnetiche. Curioso che di fronte ci siano alcune persone che si ritengono elettrosensibili: se delle persone hanno dei problemi di salute, queste persone non vanno sicuramente ridicolizzate, ma le persone malate vanno ascoltate.
Indubbiamente però, visto che la tecnologia 5G porterà a minori emissioni, perché mai allora non la dovrebbero volere? Porta a minori emissioni.
Quindi, Presidente, in conclusione, ci troviamo di fronte a una tecnologia che potrà portare notevoli benefici per i cittadini; abbiamo una tecnologia che ci permetterà di eseguire delle operazioni a distanza; abbiamo una tecnologia che ci permetterà di controllare meglio il traffico; abbiamo una tecnologia che, soprattutto, potrà portare nuovi posti di lavoro. Tutti questi benefici sono da mettere in bilanciamento con la paura, la paura che alcuni sfruttano semplicemente per avere un'effimera visibilità personale (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
SANDRA ZAMPA, Sottosegretaria di Stato per la Salute. Signor Presidente, il Governo si riserva di esprimere una propria valutazione al momento della votazione degli impegni.
PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Palmieri ed altri n. 1-00253 (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00241 e Mulè ed altri n. 1-00242 concernenti iniziative volte alla realizzazione dell'opera "Gronda di Genova", nel quadro dello sviluppo infrastrutturale del Paese (ore 14,38).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00241 e Mulè ed altri n. 1-00242 concernenti iniziative volte alla realizzazione dell'opera "Gronda di Genova", nel quadro dello sviluppo infrastrutturale del Paese (Vedi l'allegato A).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
Avverto, altresì, che sono state presentate le mozioni Lollobrigida ed altri n. 1-00250 e Ilaria Fontana, Braga, Fregolent, Stumpo ed altri n. 1-00252 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Roberto Bagnasco che illustrerà anche la mozione Mulè ed altri n. 1-00242, di cui è cofirmatario.
ROBERTO BAGNASCO (FI). Grazie, Presidente. Userò molto meno del tempo che mi è concesso perché mi sembra veramente pleonastico ripetere concetti sulla Gronda che appartengono alla discussione politico-amministrativa del territorio ligure da almeno venticinque anni e che hanno attraversato Governi di vario colore evidentemente a Roma e Governi, devo dire quasi tutti di sinistra, a Genova e sul territorio ligure. Quindi, una situazione che tutti noi conosciamo, che soprattutto conoscono molto bene purtroppo i liguri che, per la mancata attuazione di questa importante infrastruttura, stanno pagando prezzi assolutamente incredibili. Purtroppo quanto è successo sul ponte Morandi non era ipotizzabile - almeno me lo auguro e voglio sperare che non fosse ipotizzabile - sicuramente non era una possibilità su cui si discuteva. Ma sul fatto che, a fianco del ponte Morandi, fosse assolutamente necessario affiancare un manufatto come la Gronda di Ponente è un concetto che credo che, escluso qualche estremista, estremista dal punto di vista ideologico ovviamente, tutti a Genova, eccetto qualche estremista, tutti a Genova abbiamo le idee molto chiare: idee dovute chiaramente all'esperienza di ogni giorno e a quello che accade sul nostro territorio in mancanza di questa situazione.
Ma andiamo ai fatti. Non vi nascondo che, preparando molto brevemente questo intervento, ho cercato in questi giorni, ma non l'ho trovato purtroppo, un mio intervento di vent'anni fa o diciotto anni fa in consiglio provinciale di Genova. Avrei voluto leggerlo in quest'Aula e sono convinto che nessuno si sarebbe accorto della diversa datazione dell'intervento stesso. Questo per dire che stiamo vivendo questi problemi da moltissimo tempo senza purtroppo aver fatto concretamente passi in avanti o, meglio, questi passi in avanti sono stati fatti recentemente almeno in parte, passi importanti, passi significativi che nessuno evidentemente vuole nascondere, anzi che apprezziamo ma che hanno avuto un brusco alt con il precedente Governo e in particolare con le idee assolutamente diverse del Ministro Toninelli, che su questo tema ha espresso opinioni totalmente diverse rispetto alle aspettative del territorio. Per quanto riguarda il territorio, parlo ovviamente della regione Liguria, parlo del comune di Genova, ma soprattutto parlo, che è molto più importante anche rispetto al comune di Genova e alla regione Liguria, parlo dei cittadini genovesi, di coloro i quali frequentano Genova per diletto e soprattutto per lavoro.
Comunque, andiamo al nostro decreto. Questo decreto, denominato Gronda di Genova, è stato approvato recentemente dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e ha dichiarato di pubblica utilità - ci mancherebbe altro - la Gronda. Il decreto risale al 7 settembre 2017, quindi più di due anni fa, per una spesa 4,3 miliardi di euro che evidentemente sono necessari, 72 chilometri di tracciato e serve - ma lo sanno credo ormai tutti non solamente a Genova - per alleggerire il tratto di A10 che va da Genova Ovest a Genova Voltri. L'ex Ministro Toninelli ha dichiarato che l'iter autorizzativo è bloccato per la procedura di revoca della concessione ad ASPI. Sappiamo quello che è successo, sappiamo le polemiche su questa procedura di revoca che ora va a toccare la costruzione del nuovo ponte Morandi, che speriamo abbia superato queste difficoltà, ce lo auguriamo fortemente: mi sembra che i lavori stiano andando avanti con sufficiente celerità, e ne siamo assolutamente contenti. Il paradosso, però, qual è? Che la stessa ASPI conserverebbe il diritto ai pedaggi precedentemente imposti anche in mancanza di questo suo preciso dovere contrattuale. Quindi, al danno si aggiungono anche le beffe, cioè il danno di non avere evidentemente il manufatto assolutamente necessario e le beffe di pagarlo, anzi di averlo già pagato, lo hanno pagato i cittadini italiani attraverso il loro pedaggio. Questo progetto, quindi, è fermo al Ministero delle Infrastrutture - poi il sottosegretario evidentemente ce lo confermerà - anche dopo la effettuazione degli espropri. Voglio ricordare che questi espropri sono stati frutto di grandi difficoltà: è inutile nascondercelo, perché quando si toccano determinate situazioni in qualsiasi caso, quando si fanno espropri, è un'operazione particolarmente difficile, particolarmente delicata, che gli enti locali anche hanno condotto con grandi capacità in qualche caso, con meno capacità in altri casi, con grande impegno in qualche caso, con meno impegno in altri casi, comunque finalmente, dopo tanto tempo, questi espropri sono stati fatti, sono stati definiti e, quindi, un fattore molto importante, positivo era stato realizzato. Ora il Governo deve solo confermare la realizzazione. Siamo al punto in cui il Governo deve solo - mi viene un pochino da sorridere e guardo il sottosegretario quando dico che “il Governo deve solo” - confermare la realizzazione di quest'opera, che in questo momento lascia Genova e intere famiglie in estrema difficoltà. Di Gronda si parla, ripeto, dagli anni Ottanta, forse qualche anno prima, dagli anni Ottanta in maniera più definita.
È stata fonte di polemiche con i governi regionali e comunali di sinistra - direi sempre incapaci - perché ora una piccola digressione politica la voglio fare, la devo fare: si danno le colpe ai Cinque Stelle, qui abbiamo il sottosegretario che appartiene a questo raggruppamento, ma io vorrei tranquillizzarlo in un certo senso, perché le colpe che tutti danno in questo momento ai 5 Stelle, in ordine al blocco dei lavori e dei ritardi della Gronda sono anche di tanti, tantissimi governi comunali e regionali in cui i 5 Stelle non erano neanche presenti come partito, quindi non possiamo assolutamente dare la responsabilità a loro; dividiamola tranquillamente con altri partiti e - per non voler nascondere niente - chiaramente, con i partiti della sinistra, perché hanno avuto il monopolio del governo di Genova in questi ultimi anni, con la sola eccezione, o quasi, del governo del presidente Toti e del sindaco Bucci; ma, prima, c'erano altri esponenti, mi ricordo ancora le difficoltà che ha avuto il sindaco Doria - e non sto parlando della notte dei tempi, ma sto parlando del sindaco precedente a Bucci - per andare avanti su questo tema, in quanto con la sua maggioranza - in cui il PD aveva una forte importanza, ma non era solamente il PD, devo dire - si è fatto poco e niente e i risultati sono che, come ha iniziato il sindaco Doria, ha finito il sindaco Doria, senza alcun tipo di passaggio in avanti.
A noi non interessa se questa Gronda la faccia ASPI, non ci interessa assolutamente niente, non siamo mai stati sponsorizzati dall'ASPI, non lo siamo mai stati, non vogliamo esserlo e non vogliamo avere meriti nei confronti di questa società. Ho sentito parlare, invece, e questo ci terrorizza, da parte sempre del Ministro Toninelli, di migliorie; quando sento parlare di migliorie sul progetto, allora, mi terrorizzo, ci terrorizziamo, perché quando si parla di migliorie su qualcosa che si vuol fare, si rischia veramente di non far nulla, come quando, voi tutti lo sapete, si è in difficoltà, cosa si fa? Si fanno le commissioni; più si allargano le commissioni e più, evidentemente, il risultato è inversamente proporzionale al numero delle presenze in commissione. Ebbene, in questo caso, parlare di migliorie vuol dire evidentemente rischiare di tornare indietro o, comunque, di non andare assolutamente avanti.
C'è un altro motivo che ci porta a volere, a pretendere con grande convinzione questa Gronda; sono dati di fatto, non sono elucubrazioni di chi parla o di altre persone, ma il numero degli incidenti stradali sui nostri tratti autostradali è il maggiore di tutta l'Italia, evidentemente, questo perché è una zona non più sostenibile dal punto di vista della percorribilità, anche dal punto di vista autostradale. Quindi, ci sono dei rischi pesantissimi, anche dal punto di vista della incolumità personale.
Ritoccare il progetto, cosa di cui ha parlato il Ministro Toninelli, vuol dire perdere, qualcuno dice, 10 o 15 anni. Io dico, buttando lì una cifra, ma non ci sono valutazioni evidentemente più precise in questo senso, che almeno 4 o 5 anni li perdiamo tranquillamente, se vogliamo rivedere il progetto, e questo è un qualcosa che non ci appartiene; non è possibile farlo, non è che non vogliamo farlo, non è più possibile farlo, la situazione è assolutamente drammatica!
Poi, si parla ancora di analisi costi-benefici, e qui non so se sorridere o piangere: quando si comincia a parlare di analisi costi-benefici - che dovrebbe essere un approccio di grande serietà, forse l'approccio più serio con cui affrontare i problemi, - purtroppo, in questi ultimi mesi, questo è diventato il modo per non far niente, per bloccare qualcosa, per rendere qualcosa difficilmente realizzabile. Anche in questo caso c'è stata una valutazione costi-benefici, sempre del Ministro Toninelli; mi sono segnato due parole di quello che lui ha detto: le risultanze delle valutazioni condotte suggeriscono di cogliere l'opportunità di perseguire opzioni infrastrutturali efficienti in termini trasportistici, ambientali e finanziari. Ecco, detto questo, detto tutto; potrei ripeterlo quaranta volte, intanto questo vuol dire tutto e vuol dire niente; quando si usano queste parole e questi termini così generici, vuol dire che non vogliamo assolutamente dire niente e soprattutto che non vogliamo fare niente. Queste valutazioni – continuo a leggere - il Ministero delle infrastrutture auspica che possano essere approfondite, anche, in un confronto; anche questa è una bella cosa, io vengo da una storia profondamente democratica, ho delle radici che credo in questo senso siano abbastanza sostenibili, ma so che molte volte quando non si vuole fare niente, si riprendono i confronti. È una bella cosa il confronto, è una cosa essenziale il confronto in democrazia, ma qui di confronti ne abbiamo fatti per anni, di riunioni, centinaia e centinaia di riunioni, piccoli referendum locali, e chi più ne ha, più ne metta, e, quindi, riprendiamo un confronto con i livelli istituzionali territoriali, come se questi confronti con i livelli istituzionali territoriali, a cominciare dai consigli municipali, per passare al consiglio comunale, per arrivare alla città metropolitana e infine, alla regione Liguria, non fossero stati fatti. Sono stati fatti! Confronti, stra-confronti, riunioni, meeting, approfondimenti e i risultati sono quelli che avremmo voluto vedere con l'inizio dei lavori; eravamo convinti, a Genova erano tutti convinti che, visto che non c'erano problemi di finanziamento, visto che non c'erano più problemi di confronto col territorio, le cose sarebbero state risolte e si poteva dare inizio a quella che è l'opera principale che aspetta la Liguria, non da oggi, ma da sempre.
Quindi, caro sottosegretario, sono contento di parlare, devo dire, a un sottosegretario ligure, sono particolarmente contento e lo dico stavolta senza ironia, ci mancherebbe altro, lo dico con profonda convinzione, perché sono convinto, mi auguro, spero, auspico, che la sua sensibilità - non che gli altri non ce l'abbiano, ci mancherebbe altro - sia assolutamente maggiore, perché deriva anche da una conoscenza diretta delle problematiche e, quindi, io credo che ci si possa confrontare più facilmente con coloro i quali conoscono maggiormente i problemi rispetto ad altri che certamente non per colpa, ma per situazione geografica li conoscono meno.
Concludendo, quindi, gli espropri sono già stati fatti, come ho già detto, 50 milioni sono già stati pagati, non sto parlando di bruscolini, sto parlando di cifre importanti, di cifre significative; la verità è che il gruppo grillino non l'ha mai voluta, fino ad oggi, bisogna dire le cose come sono, e il PD, solo recentemente, lo ripeto, solo recentemente - e questo è un qualcosa che bisogna rimarcare, ma, evidentemente, c'è sempre tempo per rinsavire –, già da qualche tempo, invece, ha preso una strada diversa e ha una comprensione diversa di questa problematica fondamentale. Ormai, sono passati circa trent'anni, la Gronda è indipendente, qualcheduno ha detto: ma adesso il Morandi lo stanno facendo, bene, benissimo, lo stanno facendo, mi auguro che venga fuori un qualcosa di assolutamente straordinario, anche se, purtroppo, non ci ridarà alla vita le vittime che ci sono state, ma la Gronda è indipendente, lo è sempre stata, su questo credo che non ci siano momenti di confronto, ma ci siano certezze: la Gronda è assolutamente indipendente, si è solo aggravata purtroppo la situazione di Genova in maniera drammatica a seguito della caduta del ponte orandi, ma anche se quel ponte fosse ancora in piena funzione, la necessità della Gronda sarebbe assoluta. Il cantiere, caro sottosegretario, deve essere riaperto da ieri (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Trancassini, che illustrerà anche la mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00250, di cui è cofirmatario.
PAOLO TRANCASSINI (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, la mozione presentata da Fratelli d'Italia è una mozione molto semplice, avrebbe bisogno veramente di pochi secondi, nemmeno di minuti, Presidente. È una mozione semplice che nel sottolineare l'importanza, ovvia, e a conoscenza di tutti, di questa fondamentale opera pubblica per Genova e non solo per Genova, chiede al Governo di procedere senza indugio nell'avvio dei lavori.
Sarebbe una mozione semplice, perché è un progetto approvato, perché è un progetto finanziato, perché è stata già eseguita una gran parte degli espropri per circa 60 milioni di euro, perché il progetto è stato approvato e ha tutte le autorizzazioni di natura urbanistica, ambientale, perché ha l'approvazione della gente, perché è fortemente voluta dalla comunità ligure, perché tutte le associazioni di categoria si sono espresse favorevolmente su quel progetto, financo tutti i rappresentanti sindacali. Invece, in questo Paese, decadente, siamo qui tutti - almeno gran parte - a sostenere una mozione per dire al Governo non quello che dovrebbe fare, quello che deve fare. Voglio chiedere ai colleghi che hanno un'appartenenza politica differente dalla mia in quale altra nazione, non solo europea, si può assistere allo spettacolo di una mozione per chiedere al Governo di fare quello che deve fare nel momento in cui una procedura complicatissima arriva a compimento. Io penso che in nessun Paese ci sia un dibattito per mettere la parola “fine” a un lungo iter autorizzativo che ha visto tagliare il traguardo di ogni incombenza. E già che in Italia non è proprio semplice portare a casa un'autorizzazione come quella della Gronda. Lo diceva prima il collega Bagnasco: stiamo parlando di oltre vent'anni fra studi, confronti. La burocrazia è un male di questa nostra nazione. Non è un iter, è veramente un vero e proprio percorso di guerra nel cui percorso le trappole dei giudici amministrativi sono dietro l'angolo. Eppure noi, alla fine di questo percorso, non ci facciamo mancare nulla, perché arriva improvvisamente, inaspettata la politica a bloccare il taglio del traguardo, un po' come se ci fosse una lunghissima maratona e poi al primo classificato lo si fermi al momento del taglio del traguardo perché qualcuno ritiene di voler rivedere e rifare interamente la competizione sportiva.
Oggi siamo qui per perorare questa importante opera pubblica, per chiedere che non ci sia un ripensamento e lo facciamo assistendo sbigottiti alle dichiarazioni non solo del Ministro Toninelli, che per nostra fortuna appartiene al passato, ma del sottosegretario Traversi che, in un'intervista a Il Secolo XIX di due giorni fa, ha parlato di rivedere il progetto, ha parlato di varianti. Devo dire che aspettavo con ansia di vedere la mozione del MoVimento 5 Stelle e del PD. Devo dire che sono veramente sorpreso, e mi complimento. Mi farebbe piacere, al di là dei sottoscrittori, sapere chi materialmente ha realizzato questo monumento della supercazzola, perché qui noi non siamo ai livelli…
PRESIDENTE. Onorevole, lei pensa che questo la porterà negli annali del Parlamento?
PAOLO TRANCASSINI (FDI). Si può dire, Presidente.
PRESIDENTE. No, secondo me no. Quindi, visto che presiedo io, usi un sinonimo, usi un sinonimo.
PAOLO TRANCASSINI (FDI). È italianizzato. Poi è molto sintetico, è molto sintetico…
PRESIDENTE. Usi un sinonimo e vedrà che ce la fa.
PAOLO TRANCASSINI (FDI). …e rende molto l'idea. Perché io ricordo - e lo dico all'onorevole Braga - i vostri accorati appelli in Commissione sulla TAV e sulla Gronda, li ricordo anche in Aula. Leggere, nella vostra mozione, che il Governo si deve impegnare ad avviare i lavori secondo soluzioni condivise e mantenendo aperto un confronto significa per davvero aver fatto una conversione a U conseguente a quella che avete fatto quest'estate rispetto all'alleanza con i 5 Stelle.
Ecco, io devo dire che, da cittadino italiano - non sono ligure -, dopo aver letto questa mozione sono molto preoccupato, perché penso che anche su questo avete ceduto. Probabilmente la Gronda è stato un altro degli oggetti di scambio di questo nuovo Governo e avete ceduto a questa visione oscurantista della politica, avete ceduto a questo modo di ragionare, che è quello dei 5 Stelle, che pensa che bloccando le cose si riesca a sostenere e a incoraggiare l'onestà, perché, guardate, per sostenere il blocco della TAV e il blocco della Gronda - e, comunque, il blocco dei lavori - molto spesso i rappresentanti del MoVimento 5 Stelle scomodano un concetto così alto come quello dell'onestà per sostenere queste aberranti scelte politiche. Io l'ho già detto altre volte e lo ripeto: la disonestà nel nostro Paese è un fenomeno culturale che non verrà abbattuto con nessuna legge né verrà mai sconfitto se pensiamo che la strada sia quella della proliferazione delle procedure, della burocrazia. È un fenomeno culturale che va combattuto nelle scuole, è un fenomeno culturale che va combattuto anche con i comportamenti. La disonestà, anche quella intellettuale, va combattuta con i comportamenti. Permettetemi di dire che quello che è andato in scena, la spregiudicatezza politica con la quale è nato questo Governo, non aiuta l'onestà, soprattutto intellettuale, del nostro Paese.
Al nostro Paese servono, al contrario, semplificazioni. Noi dovremmo cancellare le leggi anziché approvarne magari una o due a settimana. Dovremmo dare semplificazione e dovremmo dare coraggio alle nostre imprese. E soprattutto, all'Italia servono tutte quelle infrastrutture come quella che oggi ci troviamo a dover sostenere per un'improvvisa e inspiegabile battuta d'arresto da questo Governo che su questa materia è sicuramente un Governo molto oscurantista, un Governo che frena lo sviluppo, un Governo che è contro la comunità ligure.
Ecco, per tutte queste motivazioni, Presidente, siamo costretti a cercare di far approvare una mozione che in un altro Paese non avrebbe trovato spazio; sarebbe stato ovvio dare il via ai lavori. E invece, purtroppo, assistiamo a questa brusca frenata di questa importante opera pubblica e crediamo che tutto questo il Paese non solo non lo meriti, ma non se lo possa permettere (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Chiara Braga, che illustrerà anche la mozione Ilaria Fontana ed altri n. 1-00252, di cui è cofirmataria.
CHIARA BRAGA (PD). Grazie, Presidente. Provvedo a illustrare i contenuti della mozione che è stata depositata e sottoscritta dai colleghi parlamentari delle forze di maggioranza, che voglio ringraziare tutti per l'apporto e il contributo costruttivo, positivo, che ha consentito di presentare su questo argomento così importante e così sensibile per Genova, per una città duramente colpita, lo sappiamo, da una tragedia come quella del crollo del ponte Morandi, un atto unitario della nuova maggioranza di Governo.
Voglio riprendere subito, nell'illustrare i contenuti di questa mozione, alcuni elementi di contesto che in parte già i colleghi che sono intervenuti hanno richiamato in maniera puntuale. Quando discutiamo e parliamo del progetto della Gronda di Genova sappiamo di parlare di un'opera che ha una lunga gestazione, di cui si discute da molti anni, che ha una finalità fondamentale, cioè quella di alleggerire il tratto dell'autostrada A10 più interconnesso con la città di Genova, trasferendo il traffico pesante, che passa, appunto, all'interno della città, su una nuova infrastruttura che si affiancherebbe all'esistente. È un'infrastruttura che interviene in ambito urbano, in un ambito fortemente infrastrutturato e con un peso insediativo notevole, ma che deve dare risposta a una necessità di supporto e di soluzione viabilistica ad una delle aree del nord del nostro Paese più importanti dal punto di vista economico e commerciale.
Non ci nascondiamo quanto il tema di una sostenibile infrastrutturazione della città di Genova e della Liguria, più in generale, sia un tema da valutare con grande attenzione, non solo, come dicevo prima, per rispondere alle aspettative e ai bisogni di una città duramente colpita da tragedie che tutti noi ricordiamo e rispettiamo - e credo che dovremmo farlo anche in questa discussione -, ma anche per le potenzialità enormi dell'area portuale e del sistema portuale di Genova, per le possibilità di interconnessione con le rotte commerciali più importanti europee e mondiali. Si tratta di un'opera che ha anche un costo significativo. Stiamo parlando di un importo importante che è stato valutato e definito nel corso del tempo tenendo conto della complessità di questo intervento. Non abbiamo, oggi, il tempo e la possibilità di ripercorrere tutti i passaggi del lungo iter che ha portato alla discussione e alla definizione dell'attuale progetto di quest'opera.
Mi limito solo a ricordare che questo iter è iniziato negli anni Ottanta e si è concretizzato nel 2017, come già veniva ricordato, con l'approvazione del progetto definitivo da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, e la sottoscrizione tra il concedente e il concessionario di un verbale che contiene anche la formalizzazione del piano finanziario di convalida. È una lunga storia, quella di questo progetto. Ha ottenuto, poi, arrivando l'approvazione, preliminarmente tutte le autorizzazioni urbanistiche ed ambientali e la pubblica utilità preordinata agli espropri. Siamo quindi in una fase in cui, come sappiamo bene, sono in corso gli espropri, sono in corso le attività di ricollocazione delle attività produttive, sono stati adottati anche una serie di passaggi relativi all'occupazione delle aree, alla risoluzione delle complesse interferenze di questo intervento.
Come dicevo prima, come ricordavo, la lunga storia dell'iter che ha alle spalle questo progetto consegna certamente degli elementi di conoscenza e anche di maturazione, di una condivisione territoriale, ma nello stesso tempo consegna anche degli elementi che scontano la lunghezza di questi tempi. Sono aspetti che richiedono un adeguamento ad esigenze, a possibili soluzioni tecnologiche più avanzate, che sono state valutate con grande senso di attenzione dal Ministro De Micheli, dai componenti della compagine governativa che oggi siedono al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Quando noi abbiamo iniziato a discutere questa mozione come forze di maggioranza…Lo voglio ricordare anche ai colleghi che sono intervenuti prima di me e che hanno sottolineato in maniera un po' curiosa la stranezza di discutere la mozione: di fatto noi discutiamo di questa mozione perché le forze di opposizione, magari passate nei tempi rapidi che conosciamo da essere forze di Governo a forza di opposizione, hanno ritenuto di portare questa discussione in Parlamento, nonostante nelle prime dichiarazioni, nelle prime prese di posizione formali, anche ufficiali, del Ministro De Micheli, dei sottosegretari sia stato definito con chiarezza e senza alcuna timidezza qual è il percorso che si intende seguire per dare una risposta alla città di Genova, alla Liguria, sulla realizzazione di quest'opera.
Sappiamo che la realizzazione di questa infrastruttura - la sua necessità - ha visto il supporto e sta vedendo nella sua realizzazione un supporto largo del mondo economico e produttivo del territorio, proprio in ragione del fatto che un'adeguata dotazione e anche l'ammodernamento delle infrastrutture, sono riconosciuti come fattori di competitività di tutto il sistema produttivo e territoriale, non solo ligure ma del Nord Italia, nonché anche come un modo per dare risposte adeguate in termini di viabilità sicura e sostenibile ai cittadini liguri, in particolare ai genovesi. D'altra parte, mi limito davvero a ricordare come l'approccio che ha portato la maggioranza poi a condividere un testo sicuramente sintetico, ma chiaro nelle sue definizioni, va ritrovato nei contenuti del programma di Governo su cui il Presidente Conte ha chiesto la fiducia a questa Camera e che è stato votato da tutte le forze di maggioranza. Uno dei punti di questo programma - lo ricordo - richiama la necessità di investimenti mirati all'ammodernamento delle attuali infrastrutture e alla realizzazione di nuove, al fine di realizzare un sistema moderno, connesso, integrato, più sicuro, che tenga conto degli impatti sociali e ambientali delle opere.
Ecco perché in questa mozione che noi abbiamo ritenuto di presentare abbiamo voluto sottolineare quanto sostanzialmente il Ministro De Micheli già avesse riferito in quest'Aula, rispondendo qualche giorno fa a un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea, in cui, appunto, rispetto alla realizzazione del progetto della Gronda, aveva dichiarato la volontà - poi riportata anche da diversi organi di stampa - di sviluppare un lavoro con gli enti locali e le forze politiche, per verificare i miglioramenti alle infrastrutture collegate ed arrivare in tempi ragionevoli alla realizzazione delle opere utili, che siano al contempo compatibili con le esigenze del territorio. Vorrei dire che non c'è alcuna timidezza su questo punto: per noi la realizzazione di un'opera attesa e anche così delicata per il suo inserimento territoriale dev'essere effettuata mantenendo fede, mantenendo rispetto agli impegni che noi abbiamo assunto prima di tutto nei confronti di quel territorio.
Per questo l'impegno che abbiamo sentito di condividere in questa mozione è quello, molto chiaro, di avviare i lavori per la realizzazione dell'opera, con soluzioni condivise che ovviamente tengano conto di tutte le condizioni attuali, dello stato in cui ci si trova rispetto all'iter autorizzativo, quindi, ad esempio, anche dei contenuti dell'accordo che il precedente Governo ha sottoscritto con la Commissione europea proprio per fare in modo che la realizzazione di quest'opera non comporti sovra compensazioni o tariffazioni elevate per il suo utilizzo, consentendo anche di fare quanto è mancato drammaticamente nei mesi precedenti, nell'esperienza precedente di un Governo che, su questi temi, ha portato troppe volte - con una responsabilità grave da parte di chi oggi pretende di portare questa discussione in modo strumentale e magari anche di cavalcare in maniera spregiudicata le aspettative, le richieste di quel territorio - a una situazione di stallo.
Noi vogliamo avviare, come abbiamo scritto nella mozione e vogliamo che il Governo avvii i lavori per la realizzazione di quest'opera, mantenendo aperto, come abbiamo detto, il confronto con i soggetti interessati: le forze politiche, gli enti locali, ma anche il mondo economico e produttivo, avendo come punto di riferimento fondamentale la sicurezza delle infrastrutture, il miglioramento della viabilità complessiva, la funzionalità dell'opera rispetto alle esigenze di rilancio del sistema produttivo e portuale di un territorio che ha bisogno di risposte rapide, di risposte sostenibili dal punto di vista ambientale, e che ha bisogno di risposte che si traducano rapidamente da affermazioni di principio, accuse reciproche, nella soluzione invece di un problema infrastrutturale reale che colpisce quel territorio.
Credo che la posizione della maggioranza, che noi abbiamo voluto sintetizzare in questa mozione, sia una posizione di grande responsabilità. Voglio dirlo ai colleghi, che da posizioni diverse e anche mutevoli, come ho ricordato prima, nel corso del tempo, oggi cercano forse in qualche modo di richiamare o di tentare di mettere in difficoltà la maggioranza su questa discussione: noi non ci faremo trascinare in un dibattito di questa natura. Noi intendiamo dare una risposta a Genova, ai genovesi, al sistema produttivo-economico di Genova, al suo porto, ai territori e alle persone che vivono in quell'area. Faremo ciò con gli atti concreti, lo faremo con una compattezza che anche in queste settimane il Ministero e il Governo hanno dimostrato, e come forze di maggioranza sostenendo questa mozione, creando le condizioni per questo, affinché quanto è stato dichiarato ed affermato in maniera molto chiara dal Governo, a partire dal Presidente del Consiglio, sulla necessità di sbloccare le opere veramente utili al Paese, dai rappresentanti dei Ministeri competenti e dai rappresentanti delle forze politiche, si traduca in fatti reali e sostenibili. Di polemiche ne abbiamo viste troppe in questi mesi e non le vogliamo seguire; vogliamo solo concorrere per quanto di nostra competenza ad un passo in avanti importante per Genova e i genovesi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rospi. Ne ha facoltà.
GIANLUCA ROSPI (M5S). Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, in un'Europa che vuole diventare uno spazio in cui le merci e le persone circolano sempre più velocemente e liberamente, le reti di infrastrutture fisiche e digitali che collegano i vari Paesi assumono un'importanza fondamentale. Le infrastrutture, le strade, i ponti, le ferrovie e le reti di telecomunicazione non sono solo un elemento statico nel nostro paesaggio, una semplice piattaforma su cui si muovono merci e dati, ma sono anche un motore di crescita economica che attira investimenti, aumenta la produttività e favorisce la crescita sul lungo periodo.
Da sempre le infrastrutture sono la colonna portante di economie forti e società sviluppate. Le infrastrutture e i sistemi di comunicazione determinano maggiore efficienza, diventano motori di produttività, sebbene una maggiore interdipendenza aumenti la vulnerabilità e le problematiche connesse alla sicurezza e ai rischi ambientali. Rischi ambientali ed ecologici, Presidente, che devono essere ben tenuti in considerazione, soprattutto oggi, in una società che continua a giustificare l'attuale sistema mondiale in cui prevalgono una speculazione ed una ricerca della rendita finanziaria, che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull'ambiente.
La previsione dell'impatto ambientale delle iniziative imprenditoriali e dei progetti richiede processi politici trasparenti e sottoposti al dialogo, mentre la corruzione, che nasconde il vero impatto ambientale di un progetto in cambio di favori, spesso porta ad accordi ambigui che sfuggono al dovere di informare e al dibattito approfondito.
Uno studio di impatto ambientale deve essere elaborato in modo interdisciplinare, trasparente e indipendente da ogni pressione economica e politica; i risultati economici si potranno così prevedere in modo più realistico, più sostenibile e più umano.
Nelle scelte è sempre necessario acquisire consenso tra i vari attori sociali, che possono apportare diverse prospettive, soluzioni e, soprattutto, alternative al progetto. Nel dibattito, però, devono avere un posto privilegiato gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono sia per sé che per i propri figli, e possono tenere in considerazione le finalità che trascendono l'interesse economico immediato.
In questo contesto, bisogna sempre ricordare che la protezione della nostra casa comune non può essere assicurata solo sul mero calcolo finanziario dell'analisi costi-benefici, ma bisogna avere la forza di spingere le politiche dallo sviluppo economico allo sviluppo umano, proiettando lo sguardo oltre l'immediato, coniugando, quindi, crescita dell'economia ed espansione dei diritti dell'uomo. I diritti sociali, i diritti civili di seconda generazione, quelli ambientali e quelli umani allargati: lo sviluppo economico crea le premesse, ma spetta, poi, alla politica concretizzarli, integrarli e renderli funzionali.
Signor Presidente, oggi siamo in discussione generale sulla mozione che riguarda il progetto della Gronda di Genova. La Gronda è il progetto del nuovo raccordo autostradale a due corsie per senso di marcia di circa 65 chilometri di lunghezza, che rappresenta, sostanzialmente, il raddoppio dell'attuale autostrada A10 nel tratto che attraversa il comune di Genova. Il progetto del nuovo sistema viario si sviluppa quasi interamente in sotterraneo - circa l'81 per cento dell'intero tracciato -, mentre le opere all'aperto comprendono la realizzazione di tredici nuovi viadotti e l'ampliamento di undici esistenti.
Il progetto preliminare è stato redatto dalla SPEA-Gruppo Atlantia nel lontano 2006, su uno studio di fattibilità del 2002; il progetto definitivo, invece, è del 2011 e il costo complessivo previsto dal progetto è di 4,7 miliardi di euro.
Dopo la tragedia del crollo del ponte Morandi che ha colpito la città di Genova il 14 agosto 2018, la configurazione logistica e trasportistica della città è profondamente mutata. Per un attimo, voglio ricordare in quest'Aula le 43 persone innocenti che hanno perso la vita per fatalità o, forse, per superficialità di chi aveva l'onere del controllo. Come relatore di quel “decreto Genova”, a loro e alle famiglie va oggi il mio saluto e spero che la giustizia riesca a fare, quanto prima, chiarezza sulle cause del crollo del ponte.
Il crollo del ponte Morandi, signor Presidente, ha diviso non solo i cuori dei genovesi, ma anche la stessa città, allontanando simbolicamente Ponente da Levante, cambiando la logistica, la mobilità e l'intero sistema infrastrutturale della città. A seguito del crollo, la nuova analisi di fattibilità commissionata dal Ministero delle Infrastrutture assume oggi un ruolo importante nella futura scelta progettuale. Il nuovo studio prende in considerazione cinque alternative progettuali in variante rispetto all'originario progetto prodotto dalla SPEA.
L'analisi del progetto originario evidenzia che il progetto, in realtà, era formato da due lotti funzionali separati tra di loro, cioè il raddoppio dell'autostrada A7 e il nuovo tracciato dell'autostrada A10. Di conseguenza, anche l'analisi economica avrebbe dovuto quantomeno essere, a sua volta, articolata secondo tale suddivisione. Inoltre, l'avvio della ricostruzione del ponte Morandi permette, allo stato attuale, il superamento di alcuni dei più rilevanti vincoli di capacità preesistenti nel sistema autostradale del nodo di Genova.
Dallo studio di fattibilità emerge il funzionamento dei due lotti che compongono il progetto della Gronda, cioè, da una parte, il raddoppio della A7 e, dall'altra, il nuovo tratto dell'autostrada A10. È stato dimostrato essere funzionalmente separabili tra di loro, i due lotti, e caratterizzati, a loro volta, da differenti livelli di fattibilità: il primo, quello dell'autostrada A7, significativamente più elevato, come benefici, rispetto al secondo.
Gli indici di valutazione economica, inoltre, delle cinque alternative progettuali sono tutti più favorevoli rispetto alla soluzione prevista dalla società SPEA. Inoltre, tutte le alternative progettuali rimarcano costi elevati del raddoppio dell'autostrada A10 rispetto ai futuri benefici conseguibili. Questo è in sintesi ciò che è emerso dalla nuova analisi costi-benefici fatta dal Ministero sulle alternative progettuali.
Alla luce di tutto ciò, signor Presidente, voglio rimarcare in quest'Aula che la politica, la buona politica, non deve mai sottomettersi all'economia e questa, a sua volta, non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, signor Presidente, abbiamo bisogno in modo ineluttabile che la politica e l'economia, in dialogo tra di loro, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. La politica e l'economia tendono spesso ad incolparsi reciprocamente per quanto riguarda la povertà sociale e il degrado ambientale. Ma quello che ci attende è che riconoscano i propri errori e trovino forme di interazione orientate, soprattutto, allo sviluppo sostenibile, umano e integrale. Mentre gli uni - il mondo economico - si affannano solo per l'utile economico e gli altri - il mondo politico - sono ossessionati solo dal conservare o accrescere il potere, quello che rimane, quello che ci resta sono guerre, politiche di chiusura nazionali, incremento delle ricchezze personali e accordi ambigui, in cui ciò che meno interessa alle parti, all'economia e alla politica è preservare l'ambiente, garantire un futuro alle nuove generazioni e avere soprattutto cura dei più deboli.
Allora - mi avvio alla conclusione, signor Presidente -, se vale il principio che l'unità è superiore al conflitto, non riduciamo il dibattito politico oggi su chi è pro o chi è contro un'opera, ma eleviamolo culturalmente, portandolo su un livello più ampio, passando soprattutto dal concetto di “io” al concetto di “noi”. Rallentiamo la sfrenata marcia verso la megalomania per iniziare una coraggiosa rivoluzione culturale verso un nuovo modello basato sulla conoscenza scientifica, più aperto al dialogo, all'integrazione delle idee e all'ascolto. Solo così possiamo raggiungere il fine ultimo dello sviluppo sostenibile, umano e integrale: rispondere ai bisogni delle comunità, dare risposte concrete a Genova, ai cittadini liguri e agli italiani e, soprattutto, far tornare a sognare i giovani in questo Paese, che sono una sorgente inesauribile di speranza (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marco Di Maio. Ne ha facoltà.
MARCO DI MAIO (IV). Grazie, Presidente. Genova è il primo porto italiano, uno dei più importanti del Mediterraneo, uno scalo completo che movimenta, ogni anno, contenitori per 2,6 milioni di TEU, che, ricordo, è la misura standard di volume nel trasporto dei container e corrisponde a circa 38 metri cubi di ingombro. Un porto che movimenta merce varia, rinfuse solide e liquide, che ha anche un notevole flusso di passeggeri nel polo dedicato a crociere e traghetti. A Genova sono attivi, poi, numerosi cantieri e un distretto per le riparazioni navali, industria nella quale il nostro Paese è leader nel mondo.
La sua posizione geografica è straordinaria, ma la morfologia del territorio è molto costrittiva per la presenza di un arco appenninico a fil di costa. Per questo si parla, da decenni, delle sue potenzialità e, insieme, del suo limite, costituito da un drammatico isolamento infrastrutturale.
Durante i dieci anni di guida della regione Liguria da parte del centrosinistra, tra il 2005 e il 2015, sono state poste le basi per dotare finalmente la città dei collegamenti necessari. Sono cominciati i lavori del Terzo Valico dei Giovi e sono pronti a ripartire quelli del nodo ferroviario. Inoltre, è stato approvato in conferenza dei servizi il progetto della Gronda autostradale, indispensabile per separare i flussi di attraversamento da quelli di penetrazione e per dare respiro all'intera città e allo scalo portuale.
La realizzazione di quest'opera è prevista nella convenzione Governo-Autostrade, per cui non necessita di risorse pubbliche. Proprio quando sarebbe stato possibile avviare anche questo intervento, Genova purtroppo ha vissuto quello che tutti noi conosciamo, il suo momento più drammatico, il crollo del ponte Morandi: 43 vittime, molti feriti, centinaia di sfollati e una città non solo isolata, ma anche drammaticamente spaccata in due.
Fortunatamente in passato le amministrazioni locali avevano realizzato la nuova strada a mare nelle aree ex siderurgiche, che ha consentito alla città di sopravvivere, seppur faticosamente, tra infinite difficoltà.
Dal crollo di quel ponte, da quel drammatico, tragico crollo, è nata la discussione sulla concessione, revoca o revisione; non è questa certamente la sede per affrontare questo tipo di dibattito, credo avremo modo sicuramente di farlo. Qui, però, vogliamo dire che la città di Genova non può pagare anche il prezzo di vedere ancora una volta precluso il suo diritto alla mobilità e alla connessione con il Nord-Ovest e con l'Europa, cioè quei mercati di riferimento per le industrie e per il suo scalo, ma di riferimento anche per tutto il tessuto produttivo del nostro Paese.
Il Governo deciderà come regolare al meglio il rapporto con il concessionario alla luce del crollo e delle cose che sono successe successivamente, delle più recenti evidenze giudiziarie, ma ciò che deve essere detto con chiarezza è che la Gronda va realizzata.
E qui si inserisce la mozione di maggioranza, che è stata depositata, e ringrazio tutti i gruppi di maggioranza che hanno concorso alla scrittura di questo testo, perché rappresenta un cambio di passo rispetto al precedente Governo. Si può certamente migliorare l'elenco delle opere collegate alla realizzazione della Gronda, ma non può cambiare il progetto, perché questo significherebbe ripartire con le autorizzazioni. Lo ripeto: cambiare il progetto significherebbe bloccare la realizzazione dell'opera e ricominciare da capo. È per questo che riteniamo che Genova, già ferita, non possa permettersi anche di subire questo colpo ulteriormente pesante e negativo per tutta la città.
Con questa mozione chiediamo di andare avanti, di aprire subito i cantieri che il Governo precedente ha tenuto fermi per un anno e mezzo, di dare a Genova e alla Liguria un'opera strategica per lo sviluppo della sua economia, per la mobilità dei cittadini, per il suo porto, ma chiediamo anche di tenere presente che la realizzazione di quest'opera assumerebbe un valore strategico per tutto il Paese.
Anche per questo motivo, il gruppo di Italia Viva ha scelto di svolgere questo intervento in discussione sulle linee generali con un deputato non eletto a Genova e tanto meno in Liguria, proprio per sottrarre questa discussione alle sole polemiche locali e perché siamo convinti che ogni infrastruttura del nostro Paese, e questa a maggior ragione, vada inquadrata in un ragionamento più ampio del singolo territorio in cui insiste.
La Gronda di Genova è una priorità, quindi, non solo per la Liguria e per la città tutta, ma per l'Italia intera. Per questo con la mozione che presentiamo, che abbiamo sottoscritto ben volentieri con gli altri gruppi di maggioranza, ci auguriamo si possa contribuire ad avviare al più presto la sua realizzazione e, soprattutto, in qualche modo ci felicitiamo del fatto che rispetto all'anno e mezzo di nulla a cui abbiamo assistito su questo e su tanti altri versanti che riguardano la realizzazione di opere infrastrutturali strategiche per il Paese finalmente si possa dare un cambio di passo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Federico. Ne ha facoltà.
ANTONIO FEDERICO (M5S). Grazie, Presidente. Preliminarmente volevo ringraziare i colleghi della VIII Commissione, i colleghi di maggioranza con i quali abbiamo lavorato in questi giorni, non per raggiungere un bizantinismo, utilizzando un termine diverso da quello usato dal collega che mi ha preceduto, ma per trovare una soluzione che possa dare delle risposte concrete ai genovesi, che possa rispondere sia alle esigenze legate alla tutela ambientale del territorio sia alle esigenze legate a una nuova viabilità e a una nuova logistica che quella città merita anche e soprattutto perché già ha subito il grave sfregio del crollo del ponte Morandi l'anno scorso e abbiamo il dovere di intervenire da questo punto di vista.
Il progetto della Gronda di Genova si pone, quindi, l'obiettivo di alleggerire il tratto di A10 più interconnesso con la città, cioè quello dal casello di Genova Ovest, porto di Genova, sino all'abitato di Voltri, trasferendo il traffico passante su una nuova infrastruttura che si affiancherebbe all'esistente, costituendone di fatto un potenziamento fuori sede.
È almeno dagli anni Ottanta che si propongono progetti per il potenziamento del collegamento est-ovest del nodo di Genova, il primo dei quali avrebbe dovuto insistere proprio nella bassa Val Polcevera, ma che non fu realizzato per la ferma opposizione dei cittadini che adirono i tribunali amministrativi e riuscirono a vedersi approvato un ricorso.
Successivamente, si sono avvicendate una serie di proposte per l'individuazione dapprima della localizzazione a monte dell'ex ponte Morandi ed infine della tipologia di progetto vero e proprio. Questa fase sfociò in un dibattito pubblico, con il coinvolgimento della cittadinanza per l'individuazione della scelta migliore, meno impattante e più funzionale alle esigenze di traffico e di costo.
Naturalmente, venne considerata anche la cosiddetta “opzione zero”, che prevedeva la realizzazione di alcuna opera nuova, nell'ipotesi che la strada a mare di Cornigliano potesse assorbire al meglio tutto il traffico cittadino, rendendo così inutile la Gronda.
A valle di questo dibattito pubblico, ASPI ha quindi presentato un nuovo progetto preliminare sulla scorta proprio delle indicazioni emerse. Il progetto definitivo della Gronda, denominato “adeguamento sistema A7-A10-A12 - Nodo stradale e autostradale di Genova”, è stato quindi approvato dal Ministero delle Infrastrutture e trasporti con un provvedimento del 7 settembre del 2017. Come si può leggere dalla documentazione messa a disposizione dal MIT nell'analisi costi-benefici, la nuova infrastruttura progettata da SPEA, sempre del gruppo di Atlantia, comprende 61 chilometri di nuovi tracciati autostradali e si allaccia agli svincoli che delimitano l'area cittadina Genova Est-Genova Ovest-Bolzaneto, si connette con la direttrice della A26 a Voltri e si ricongiunge con la A10 in località Vesima.
Data la complessità dal punto di vista orografico del territorio attraversato, il nuovo sistema viario si sviluppa quasi interamente in sotterraneo e prevede 23 gallerie, per un totale di 50 chilometri, circa l'81 per cento dell'intero tracciato. Le opere all'aperto comprendono, invece, la realizzazione di 13 nuovi viadotti e l'ampliamento di 11 viadotti esistenti. Il costo complessivo di quest'opera nel progetto definitivo si aggirava intorno a 4 miliardi e 700 milioni di euro, di cui circa un miliardo solo per le opere propedeutiche, che è il primo lotto che è stato avviato.
Dall'analisi giuridica sempre proposta dal MIT si evince che ASPI ha già speso poco più di un miliardo di euro tra costi per fornitori, espropri, progettisti, capitalizzazione, copertura dei pre-fabbisogni e per assicurarsi certezza e stabilità del finanziamento. Non sono al momento valutabili eventuali pretese risarcitorie di terzi, che, a fronte di un eventuale recesso, anche per ragioni di pubblico interesse, potrebbero essere importanti. Il progetto definitivo ha inoltre ottenuto le autorizzazioni urbanistiche, ambientali e la pubblica utilità preordinate agli espropri. Sono in corso, appunto, gli espropri e le attività per la ricollocazione di unità produttive, mentre il primo bando di gara rivolto alla prequalifica delle imprese per l'affidamento dei lavori di un primo lotto è stato pubblicato il 10 marzo del 2018.
In relazione all'originario progetto della Gronda, sono state elaborate nel tempo, come visto, diverse analisi costi-benefici, che hanno portato ad ipotizzare delle alternative progettuali che considerano da ultimo la nuova viabilità che andrà a configurarsi a seguito della ricostruzione del cosiddetto ponte Morandi.
In tal senso, va visto anche l'impegno del Ministro De Micheli, che intende costituire un gruppo di lavoro con gli enti locali al fine di verificare eventuali miglioramenti del progetto e delle infrastrutture collegate, così da addivenire in tempi ragionevoli alla realizzazione delle opere utili che siano, al contempo, compatibili con le aspettative del territorio.
Questo tipo di approccio è sicuramente quello più intelligente e coerente con quell'evidente esigenza di coinvolgimento dal basso dei cittadini già avviato ai tempi del pubblico dibattito, che trova oggi naturale prosecuzione in questo gruppo di lavoro che deve vedere protagoniste proprio le amministrazioni locali.
Sono proprio i comuni, infatti, ad essere la rappresentanza istituzionale più vicina ai cittadini e che hanno tutto il diritto di poter partecipare nelle più opportune e adeguate forme a scelte strategiche che cambieranno per sempre la mobilità della città di Genova e anche l'assetto territoriale. La sfida sarà ora quella di trovare l'equilibrio tra la sostenibilità economico-ambientale e i benefici che il sistema dei trasporti e della logistica potranno avere, visto che è anche l'interesse strategico dell'area portuale. Sono sicuro che il percorso avviato dal Ministero sia il migliore possibile per garantire tutto questo e per rendere partecipi i cittadini di ogni scelta.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stumpo. Ne ha facoltà.
NICOLA STUMPO (LEU). Grazie, Presidente. Sarò breve, anche perché questa storia su quanto riguarda l'infrastruttura della cosiddetta Gronda è così lunga che, a un certo punto, bisogna anche trovarne la fine, e quindi fare troppe discussioni non porta bene.
Se dovessimo fare l'elenco del numero dei sindaci, dei presidenti di regione, di provincia, di Ministri, di Presidenti del Consiglio che se ne sono occupati, potremmo scrivere un libro, piuttosto che qualche pagina.
Ora, penso che si sia arrivati al dunque, ma anche quando si arriva al dunque bisogna essere onesti, concreti, non dire cose per altre; lo dico per l'intervento che prima mi ha preceduto, del collega Trancassini, anche perché leggo gli impegni con cui la mozione del suddetto onorevole impegna il Governo e sono decisamente meno gravosi di quelli che fa la maggioranza.
Non trovo le ragioni, quindi, di dover continuare una discussione, se non: il fatto che in alcune di queste mozioni mancano alcune questioni che noi abbiamo voluto mettere, lo abbiamo fatto come maggioranza, tutti insieme; il fatto che ci sia una eco-compatibilità con quello che bisogna fare, non che bisognerebbe fare, come è stato fatto fin qui; e il fatto che si intende costruire questo gruppo di lavoro per migliorare le infrastrutture collegate, perché lo sanno tutti, è un'infrastruttura che si fa e che va collegata, da una parte all'altra, ad un'altra infrastruttura, e quindi tutto ciò che bisogna costruire prima dell'infrastruttura serve a far sì che non si arrivi in un nodo, strozzandolo, creando un imbuto, oppure arrivando in un posto avendo delle difficoltà.
Questi io credo che siano i temi ai quali bisogna guardare e che bisogna affrontare, naturalmente, in un territorio che avrebbe volentieri fatto a meno, in quest'anno e mezzo, della viabilità interrotta in seguito al ponte Morandi; e ormai, a lavori avviati, abbiamo visto tutti - chi non è potuto andare e chi non è genovese l'ha potuto vedere in televisione - il fatto che finalmente si inizia a vedere qualche pezzo di quella che sarà la prossima infrastruttura.
E soprattutto eviterei, da parte di chi, nello scorso pezzo di legislatura, spesso usava il non voto per sostenere il Governo, anche quando avevamo discusso e c'era qualcuno che diceva che si sarebbe fatto tutto in pochi mesi e qualcun altro gli ricordava che i tempi servono per non fare le cose fatte male. Si sta lavorando - e non c'entra qui il colore politico perché lo fa il Paese, da questo punto di vista, lo fanno le Amministrazioni, lo fanno tutti - per riprendere e dare a Genova il suo ponte, migliorando quella che era la situazione. E chi è di Genova, chi mi ha preceduto prima, il collega di Forza Italia, lo sa che la via del mare, quella di sotto, aiuterà, a prescindere dalla Gronda, un pezzo di lavoro e di smaltimento del traffico che prima non c'era.
Per questo io credo - e mi avvio a concludere davvero - che le infrastrutture servano non per i punti in cui si realizzano, ma per un'idea complessiva di modello di sviluppo.
Ed allora, sulla Gronda, come su altre infrastrutture, io credo che occorra ragionare per quella che è l'idea che si vuole avere del nostro Paese, un'idea che, però, deve essere fatta in un modo positivo ed ecocompatibile, come abbiamo detto, quindi che tenga conto degli aspetti dei territori, che tenga conto degli aspetti generali degli interessi e che non sia una infrastruttura fatta solo per costruire un nuovo ponte, ma serva per migliorare la qualità della vita di quei cittadini, delle persone che passeranno, delle merci che ci passeranno, della possibilità di creare nuova occupazione e sviluppo in un Paese che ne ha terribilmente bisogno (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Grippa. Ne ha facoltà.
CARMELA GRIPPA (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, una premessa che sento doveroso fare, prima di entrare nel merito del progetto della Gronda di Genova, è che il MoVimento 5 Stelle, da quando è al Governo del Paese, ha posto tra le priorità la sicurezza degli utenti della strada come obiettivo prioritario nella progettazione e realizzazione di qualsiasi opera. Lo ha fatto senza guardare in faccia nessuno, né avere timore che questo avrebbe potuto scatenare l'ira di qualche portatore di interesse.
Ricordo a tutti che, dopo l'immane tragedia del ponte Morandi, abbiamo avviato una revisione radicale delle concessioni autostradali e che con il “decreto Genova” abbiamo già imposto una serie di prescrizioni ai concessionari: tutti strumenti che rimettono al centro la qualità del servizio e la sicurezza delle persone, signor Presidente, cosa che negli anni passati veniva messa in secondo piano a causa della logica dei dividendi da garantire a ogni costo, a discapito della manutenzione e, dunque, della prevenzione.
Allora, in un Paese come il nostro, in cui servono una miriade di opere che mettano in sicurezza le infrastrutture nazionali, si deve pensare, in virtù di quest'ottica, anche alla realizzazione del progetto della Gronda di Genova, che, come è noto, è stato sottoposto dal Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti del precedente Esecutivo, Danilo Toninelli, a una rigorosa analisi costi-benefici. Ne è emersa una valutazione che impone di lavorare affinché la Gronda possa effettivamente incidere sulla decongestione del traffico veicolare sul territorio, affinché possa avere i massimi standard di sicurezza per i fruitori, un minore impatto ambientale e una qualità costruttiva che ne garantisca la durata nel tempo.
Lo stesso Ministro De Micheli, rispondendo di recente, proprio in quest'Aula, ad un'interrogazione sulla Gronda, ha spiegato che sono stati richiesti ed effettuati approfondimenti specifici, per cui l'analisi costi-benefici non ha riguardato solo il progetto originario, ma anche le soluzioni alternative, finalizzate al potenziamento del nodo stradale di Genova. Le risultanze documentali della predetta attività sono state pubblicate sul sito del Ministero nel mese di agosto e sono liberamente consultabili. Il Ministro ha anche ribadito di aver incontrato di recente sia il sindaco di Genova che il presidente della regione Liguria, per costituire un gruppo di lavoro.
Le valutazioni condotte suggeriscono, inoltre, di cogliere l'opportunità di perseguire opzioni infrastrutturali più efficienti in termini trasportistici, ambientali e finanziari, che, come auspicato dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, possano, a partire dallo studio effettuato, essere approfondite e individuate attraverso un confronto con i livelli istituzionali territoriali.
Un progetto come quello della Gronda acquisterebbe senso se davvero facesse registrare 3,5 milioni di ore risparmiate l'anno per gli utenti del sistema di viabilità autostradale e locale dell'area genovese, con la separazione del traffico cittadino da quello pesante e di attraversamento. Il tutto consentirebbe di alleggerire il traffico sulla A10, unico asse stradale ligure. Un punto di forza di questa infrastruttura sarà il riempimento del canale di calma con parte delle terre provenienti dagli scavi; il che può rappresentare un punto di forza del progetto, perché consente di ampliare la striscia di sicurezza della pista aeroportuale, ottenendo i requisiti tecnici in conformità col parametro di sicurezza ENAC. Insieme a ciò, verrà realizzato un parco fotovoltaico della potenza di picco installata di circa 20 megawatt, che, una volta in funzione, sarà in grado di soddisfare l'intero fabbisogno energetico della Gronda, per illuminazione e gli impianti di ventilazione delle gallerie, la segnaletica, gli impianti di sicurezza, e metterà a disposizione della collettività l'energia in eccesso per il 60 per cento del totale di quella prodotta.
Il tratto liberato, per tutte le percorrenze comprese tra gli svincoli di Genova Voltri/Prà, Genova Pegli e Genova Aeroporto, farà da collegamento per gli spostamenti urbani, con effetti positivi sul traffico locale genovese, comportando minor traffico, minor inquinamento e tempi di percorrenza ridotti.
Insomma, signor Presidente, per il MoVimento 5 Stelle non esistono opere buone o cattive, né “no” pregiudiziali. Diciamo “sì” alle opere davvero utili per i cittadini, quelle che non nascono per il lucro di qualcuno, ma per risolvere il problema di tanti. Se si è in grado di garantire tutte le predette condizioni, la Gronda e un'opera da fare, in quanto utile ai genovesi e agli italiani, e il nostro impegno sarà quello di assicurare che ciò avvenga (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zolezzi. Ne ha facoltà.
ALBERTO ZOLEZZI (M5S). Grazie, Presidente. “È la Liguria terra leggiadra”. “O chiese di Liguria, come navi disposte a esser varate!” Così scriveva Cardarelli nel lontano 1936. Il territorio ligure non è cambiato da allora: un territorio scosceso, magnifico ma difficile. Ci sono comuni marini che si affacciano sul mare con, nei loro confini, colli che superano i 1.000 metri. È difficile tracciare nuove vie ed è ancora più difficile accettare, guardando il contesto Gronda in un contesto regionale, imbuti storici e sinceramente inaccettabili: penso a un binario unico che collega la Liguria alla Francia; penso a un binario unico che collega La Spezia a Parma e alla Pianura padana; penso alla direzione internazionale di merci e persone verso la Francia e la Germania che viene assolutamente rallentata da questi imbuti, il famoso collegamento tra Tirreno e Brennero, che è mancato proprio per questi imbuti. Sarebbero sbocchi importanti per i porti sia di La Spezia sia di Genova. Poi penso al Levante ligure: a differenza del Ponente, non ha nessuno shunt, nessuna derivazione autostradale; mentre invece nel Ponente l'autostrada Serravalle-Genova A7, si collega a monte degli Appennini con l'autostrada Voltri-Gravellona Toce.
Tra l'altro c'è anche una questione di fondi perché un'eventuale Gronda est avrebbe in qualche modo già un bilancio capiente per essere realizzata, mentre invece ci sono notevoli problemi economici per la Gronda di cui stiamo parlando, quella a ovest. Da un punto di vista geologico il progetto base insiste in un'area record mondiale per presenza di amianto: ce ne è persino più che in Val di Susa e non sarà facile gestire eventuali macerie e scorie.
Con il Governo Conte I il Ministro Danilo Toninelli aveva avviato un metodo importante che sono le analisi costi-benefici che ci hanno consentito di capire qualcosa in più su opere sicuramente importanti per il nostro Paese e hanno cercato di tradurle in economia e in sostenibilità ambientale ed è stata fatta un'analisi importante proprio su tale opera. Ci sono poi studi: c'è uno studio importante sulla mobilità a Genova nel 2030, realizzato dall'ingegnere Alfredo Perazzo, uno dei saggi istituzionali dell'assessore Stefano Balleari che, tra l'altro, aveva anche collaborato alla redazione del Piano urbano della mobilità sostenibile. Invito a leggere questi studi che credo diano spunti importanti e sono basati su matrici con dati comunali e della società Autostrade sul traffico urbano e quello interurbano con varie simulazioni.
Riguardo alla tragedia del ponte Morandi non posso far finta di non sapere quello che è accaduto. Io sono stato eletto a Mantova ma sono nato in Liguria: il 14 agosto 2018 ero con la famiglia sull'autostrada A12 in direzione del ponte Morandi. Per una mezz'ora potevo esserci anch'io. È un tratto che viene percorso comunemente; era un tratto molto importante; chiaramente quel territorio con la caduta del ponte, oltre alla tragedia delle 43 vittime, ha avuto un limite infrastrutturale molto importante che va sicuramente affrontato.
C'è poi il limite economico: è importante dire che, nonostante la tragedia, nonostante il blocco delle infrastrutture, i volumi portuali si sono ripristinati e sono addirittura aumentati. Il volume di TEU, che sono stati già citati, rispetto al pre-tragedia: per cui questi Governi che stanno facendo davvero tanto per Genova. Guardare al futuro vuol dire progettare e realizzare oggi e non nel 2030 qualcosa che sarà utile molto prima del 2030, quando è probabile che i combustibili fossili saranno ancora meno sostenibili.
Pertanto valutare con grande attenzione il progetto Gronda ovest è importante ed è importante quanto è scritto nella mozione cioè è importante indirizzarsi alla sostenibilità economica e ambientale consultando i territori. Le marce per il clima ce lo insegnano auspicando che tutto il piano infrastrutturale nazionale sia sottoposto ad una sorta di valutazione ambientale strategica e sia orientato alla riduzione delle emissioni e a ridurre l'impatto climatico e ad aumentare la velocità del trasporto per le merci e per i pendolari (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
ROBERTO TRAVERSI, Sottosegretario di Stato per le Infrastrutture e i trasporti. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo.
PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Interventi di fine seduta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Trano. Non è presente in Aula: s'intende che abbia rinunciato. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tasso. Ne ha facoltà.
ANTONIO TASSO (MISTO-MAIE). Grazie, Presidente. Intervengo per portare all'evidenza di quest'Aula la disperata invocazione di alcuni cittadini della città di Cerignola, in provincia di Foggia, appartenente al collegio di mia provenienza a seguito dell'ennesima brutalità malavitosa e criminale. Qualche giorno fa, in una nota pizzeria del luogo, un commando - sì, proprio un commando - formato da cinque delinquenti ha fatto irruzione in questo locale verso l'ora di chiusura, mentre all'interno vi erano ancora avventori con le proprie famiglie, e ha intimato al titolare la consegna dell'incasso della giornata. Si trattava anzi di un sabato sera, quindi un incasso abbastanza cospicuo, frutto del sacrificio e del lavoro di questa gente. Non contenti poi hanno colpito al capo il titolare e, armi puntate - ripeto: armi puntate - hanno chiesto ai presenti di consegnare i portafogli con il contante e hanno addirittura minacciato coloro i quali dicevano di non averne, perché erano in possesso di carte di credito, di sequestrarli e condurli alla postazione bancomat più vicina per il prelievo. Un'assurda situazione da far-west, assurda perché, nella città di Cerignola pare si sia affievolito l'assalto ai supermercati che aveva cadenza quasi settimanale, forse perché in diversi hanno provveduto a difendersi con la sorveglianza privata ed hanno incrementato tale sorveglianza indispensabile al prosieguo del lavoro. Ma è aumentato però l'assalto ai locali di ristorazione, quindi di intrattenimento familiare, da parte di una microcriminalità incontrollata e pericolosa. Ora raccogliendo, Presidente, l'esortazione di diversi cittadini di Cerignola, alcuni loro malgrado protagonisti del terribile episodio, ho inviato una comunicazione al Ministro dell'Interno, dottoressa Lamorgese, rappresentando lo sgomento e la preoccupazione della cittadinanza. Nella stessa missiva ho espresso il mio apprezzamento ai rappresentanti delle forze dell'ordine…
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ANTONIO TASSO…che operano sia in provincia sia nella città di Cerignola con grande dedizione e davvero, come suol dirsi, con sprezzo del pericolo affrontato.
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Martedì 8 ottobre 2019 – Ore 11
1. Svolgimento di interrogazioni.
(ore 14)
2. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:
S. 214-515-805-B - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: QUAGLIARIELLO; CALDEROLI e PERILLI; PATUANELLI e ROMEO: Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari (Approvata, in un testo unificato, in prima deliberazione, dal Senato, approvata, in prima deliberazione, dalla Camera e approvata, in seconda deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, dal Senato) (C. 1585-B)
Relatore: BRESCIA.
3. Seguito della discussione delle mozioni Cunial ed altri n. 1-00183, Scagliusi, Bruno Bossio, Paita, Stumpo ed altri n. 1-00251 e Palmieri ed altri n. 1-00253 concernenti iniziative volte alla tutela della salute in relazione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza, con particolare riferimento alla tecnologia di quinta generazione, nota come 5G.
4. Seguito della discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00241, Mulè ed altri n. 1-00242, Lollobrigida ed altri n. 1-00250 e Ilaria Fontana, Braga, Fregolent, Stumpo ed altri n. 1-00252 concernenti iniziative volte alla realizzazione dell'opera “Gronda di Genova”, nel quadro dello sviluppo infrastrutturale del Paese.
La seduta termina alle 15,55.