XVIII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 637 di lunedì 14 febbraio 2022
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO
La seduta comincia alle 15.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
FEDERICA DAGA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 18 gennaio 2022.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Baldelli, Barelli, Bergamini, Boschi, Brescia, Brunetta, Butti, Cancelleri, Carfagna, Casa, Castelli, Cavandoli, Cirielli, Colletti, Colucci, Comaroli, Davide Crippa, D'Inca', D'Uva, Dadone, De Carlo, De Maria, Delmastro Delle Vedove, Di Stefano, Fassino, Gregorio Fontana, Ilaria Fontana, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gebhard, Gelmini, Giachetti, Giacomoni, Giorgetti, Grande, Grimoldi, Guerini, Gusmeroli, Invernizzi, Iovino, Lapia, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Lupi, Macina, Maggioni, Magi, Mandelli, Marattin, Marin, Migliore, Molinari, Molteni, Morelli, Mule', Mura, Nardi, Nesci, Orlando, Paita, Parolo, Perantoni, Rampelli, Rizzo, Romaniello, Rotta, Ruocco, Sasso, Scalfarotto, Schullian, Serracchiani, Carlo Sibilia, Speranza, Suriano, Tabacci, Tasso, Vignaroli, Zanettin e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente 98, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.
PRESIDENTE. La Presidente del Senato, con lettera in data 11 febbraio 2022, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla XII Commissione (Affari sociali):
S. 2488. - "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 dicembre 2021, n. 221, recante proroga dello stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19" (approvato dal Senato) (3467) – Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), IV, V, VI, VII, IX, X, XI e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.
Poiché il suddetto disegno di legge è iscritto nel calendario dei lavori dell'Assemblea a partire da martedì 15 febbraio 2022, ai sensi del comma 5 dell'articolo 96-bis del Regolamento i termini di cui ai commi 3 e 4 del medesimo articolo si intendono conseguentemente adeguati, come già preannunciato per le vie brevi a tutti i gruppi nella giornata di giovedì 10 febbraio 2022. In particolare, il termine per la presentazione di questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge è fissato alle ore 16,30 di oggi, lunedì 14 febbraio 2022.
Modifica nella composizione della Commissione parlamentare di inchiesta sulla tutela dei consumatori e degli utenti.
PRESIDENTE. Comunico che, in data 11 febbraio 2022, il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sulla tutela dei consumatori e degli utenti la deputata Rina De Lorenzo, in sostituzione del deputato Devis Dori, dimissionario.
Discussione della mozione Meloni ed altri n. 1-00581 concernente iniziative relative all'applicazione della cosiddetta direttiva Bolkestein.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Meloni ed altri n. 1-00581 concernente iniziative relative all'applicazione della cosiddetta direttiva Bolkestein (Vedi l'allegato A).
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta dell'11 febbraio 2022 (Vedi l'allegato A della seduta dell'11 febbraio 2022).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.
È iscritto a parlare il collega De Toma, che illustrerà anche la mozione n. 1-00581, di cui è cofirmatario.
MASSIMILIANO DE TOMA (FDI). Grazie, Presidente. Parto da un aspetto della mozione che, di fatto, tratta i temi della Bolkestein, iniziando, per quanto riguarda il demanio, dalle concessioni degli stabilimenti e anche da un impegno che abbiamo voluto inserire con riguardo al comparto del commercio su aree pubbliche. Cito testualmente l'impegno al Governo: “ad adottare iniziative volte a tutelare il comparto del commercio su aree pubbliche, garantendo il legittimo affidamento dei suoi operatori, nel rispetto delle disposizioni in materia di cui alla legge 30 dicembre 2018” - mi riferisco alla legge n. 145 del 2018 - “e delle successive linee guida del Ministero che hanno definito i criteri per il rinnovo “condizionato” e non automatico delle concessioni, in conformità, dunque, con la normativa europea, salvaguardando le procedure già avviate nei comuni d'Italia che hanno ottemperato al rinnovo delle concessioni secondo le condizioni e i requisiti richiesti dalle suddette linee guida ministeriali recepite a livello regionale, garantendo a tal fine i principi di pubblicità e trasparenza e salvaguardando i livelli occupazionali di questa categoria del commercio su strada, già messa a dura prova dalla pandemia”.
Vede, signor Presidente, questa è la parte finale, quella che ci porta ovviamente a rafforzare questa nostra richiesta, affinché il Ministero attui quello che di fatto già è passato il 30 dicembre 2018. Ne sono stato partecipe, quindi ero all'interno di questa decisione con la quale si è stabilito di tirare fuori il commercio su aree pubbliche dall'ambito della Bolkestein. Poi, ovviamente, sapevamo benissimo che bisognava iniziare un percorso che di fatto portasse a delle linee guida che mettessero nelle condizioni le aree pubbliche, soprattutto con riguardo ai rinnovi, di operare. Questo è stato fatto nel 2020, con il decreto n. 34, con cui sono state recepite alcune di queste linee guida - non tutte, devo dire, con mio rammarico, più che altro perché avremmo avuto una grande opportunità (il Governo precedente giallo-verde lo ha fatto in parte ed il giallo-rosso successivo non ha voluto insistere ancora di più su un tema così scottante) – con cui di fatto si è dato inizio ad un percorso che, signor Vice Ministro, portava più che altro a fare in modo che queste linee guida venissero adottate dalle regioni e quindi a non concedere il rinnovo tacito, bensì condizionato.
Questa è una misura che si inquadra nell'ambito di una discussione primaria, anche se vorrei distinguere molto i due temi, quello delle concessioni demaniali e quello delle concessioni per l'esercizio delle attività di commercio ambulante su aree pubbliche, i nostri ambulanti, così almeno definiamo il perimetro in maniera corretta. È stata con fatica portata avanti questa questione. L'Europa non ci dice che non possiamo adottare delle linee guida; noi possiamo rinnovare a certe condizioni; queste condizioni in parte ci sono e - parlo ovviamente da romano, di una città ovviamente con delle peculiarità particolari delle aree pubbliche, con le rotazioni - ho cercato con fatica di far capire le difficoltà che ci sono ovviamente fra i mercati o con coloro che operano al di fuori del mercato, però la regione Lazio, il 18 dicembre 2020, ha recepito e accettato queste linee guida. Riporto solo una parte: “Le citate concessioni sono rinnovate alle prescritte condizioni fino al 31 dicembre 2032. Qualora all'esito della verifica del possesso dei requisiti previsti dalle presenti linee guida emergano irregolarità rispetto ai parametri prescritti, si procede alla revoca della concessione” (D.L. n. 34 del 2020).
Questo glielo dico perché secondo me bisogna capire che stiamo parlando di un settore che negli anni ha cercato a fatica di far capire le differenze che ci sono fra concessioni e concessioni. All'interno - come dicevo - delle concessioni degli ambulanti c'è una diversificazione fra città, fra territori differenti, Roma su tutte. Forse non si poteva fare un decreto su Roma, per quanto riguarda il tema specifico, però si è cercato di andare in quella direzione perché si voleva garantire la continuità del lavoro “a patto che”. Vede, ho portato molte sigle di operatori a incontrarsi ad un tavolo - me lo ricordo perfettamente -, al “parlamentino” del MiSE, li ho messi tutti quanti là, sono scesi alla condizione che appunto si potesse fare tutto ciò, anche con la volontà reciproca di migliorare il sistema. Quindi, si andava incontro alle criticità che erano dettate dall'abusivismo, dall'illegalità diffusa, si era messo in discussione quello che poteva essere un banco tipo, ovviamente a differenza dei territori. Voglio dire che su questa cosa io personalmente continuo a pensare che, ad oggi, questa mozione e questo impegno serva semplicemente a risvegliare un attimo il Governo stesso, che all'epoca, quando decise di fare questo passaggio epocale, andò in una certa direzione. Ecco, l'impegno è di riprendere queste scelte fatte con fatica e attuarle. Attuarle perché, signor Vice Ministro? Perché sappiamo benissimo che ci sono regioni che lo hanno già fatto e regioni che non lo stanno facendo e, al di là dei ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato, questa Aula, comunque, determina e decide certe situazioni e questa è una decisione che, all'epoca, è stata fatta con fatica e portata avanti proprio per cercare di dare tranquillità al settore. Oggi, non vedo la necessità di metterlo ulteriormente in difficoltà, viste anche le criticità che la pandemia ha causato a un settore come il loro, perché, non ci dimentichiamo le sofferenze che hanno subito; è vero che sono state mitigate con degli aiuti sulla COSAP e che ci si è andati incontro su dei pagamenti…
PRESIDENTE. Concluda.
MASSIMILIANO DE TOMA (FDI). Però, in questo momento - la ringrazio, Presidente, concludo fra poco - è importante che questo impegno, che non è nient'altro che quello che già è stato assunto a suo tempo, venga effettivamente rispettato, nei confronti di una categoria che non è solo una categoria, ma è la famiglia; lo ripeto, si tratta di quei piccoli imprenditori che, comunque, continuano con fatica a portare avanti un loro mestiere, difficile, complicato e legato alle avversità del tempo, perché, purtroppo, anche da queste dipende e, a volte, non possono operare nelle giornate di difficoltà, quindi, cerchiamo di andargli incontro. È stato già fatto un primo passo, quel primo passo va mantenuto, magari, insieme facciamo gli altri passi e noi di Fratelli d'Italia siamo d'accordo a mantenere il primo passo e a continuare a fare i passi successivi. Grazie, Vice Ministro e grazie, signor Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega De Luca. Ne ha facoltà.
PIERO DE LUCA (PD). Grazie, Presidente. Credo sia utile, in premessa, operare una sia pur sintetica ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale della vicenda, prima di svolgere alcune considerazioni al riguardo. Il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, ha dato attuazione nel nostro ordinamento alla direttiva 2006/123/CE, la cosiddetta direttiva Bolkestein, relativa ai servizi nel mercato interno, disponendo, nei casi in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, l'obbligo di prevedere procedure selettive con una durata limitata delle autorizzazioni e il divieto di rinnovo automatico delle concessioni uscenti.
Facendo seguito a questa normativa, il legislatore italiano è più volte intervenuto in materia, prevedendo proroghe ex lege, però, delle concessioni demaniali marittime in essere, in attesa di una revisione della materia; in particolare, ricordiamo la legge 30 dicembre 2018, n. 145, la legge di bilancio per il 2019, che ha stabilito, insieme a una complessa procedura di revisione generale del sistema delle concessioni demaniali marittime, la proroga di ulteriori 15 anni per le concessioni ad uso turistico-ricreativo allora in essere. Questa disciplina ha determinato, però, l'attivazione nei confronti del nostro Paese di una procedura di infrazione per violazione del diritto dell'Unione europea e anche in Italia, peraltro, la giurisprudenza costante negli ultimi tempi si è pronunciata al riguardo, affermando l'incompatibilità, rispetto al diritto comunitario, delle proroghe automatiche delle concessioni previste dalla normativa nazionale approvata negli anni. La Corte costituzionale e, da ultimo, il Consiglio di Stato nella nota Adunanza plenaria del 9 dicembre 2021, con le sentenze n. 17 e n. 18, hanno ribadito l'inapplicabilità delle disposizioni recanti la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime. Tuttavia, al fine di evitare - e noi condividiamo questa esigenza - un impatto significativo da un punto di vista socio economico, che sarebbe derivato da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni, e di consentire al legislatore di riordinare la materia in conformità, appunto, con i principi di derivazione comunitaria, il giudice amministrativo ha posticipato l'efficacia delle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreativa in essere sino al 31 dicembre 2023.
Il disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, che attualmente è all'esame del Senato, propone di attribuire una delega al Governo per effettuare una mappatura dei beni pubblici, creando un sistema informativo di rilevazione delle concessioni, al fine di promuovere la massima pubblicità e trasparenza dei dati e delle informazioni relativi a tutti i rapporti concessori in essere. L'attuazione di questa delega costituisce un passaggio fondamentale per intervenire nei prossimi mesi e nei prossimi anni su un intervento normativo di riforma che gli stessi operatori sollecitano da quasi vent'anni. Si tratta – di questo noi siamo pienamente consapevoli e credo sia doveroso ricordarlo - di un settore strategico che conta quasi 7 mila stabilimenti balneari iscritti al registro delle imprese, secondo un'indagine del 2019 effettuata da Unioncamere, 103 mila concessioni demaniali marittime, di cui 79 mila ad uso turistico-ricreativo.
Alla luce di queste considerazioni, allora, noi crediamo che sia giunto il momento di fare chiarezza in un settore complesso e delicato che riteniamo essere senza dubbio strategico per l'economia e l'occupazione di tutto il Paese. La più grande criticità riscontrata e vissuta dalle migliaia di aziende di questo comparto, finora, è la confusione, l'incertezza e l'aleatorietà della relativa posizione giuridica ed economica che hanno impedito loro di lavorare con serenità in questi ultimi anni, di programmare o attuare gli investimenti necessari ad ammodernare e migliorare l'offerta dei servizi proposta. Oggi, abbiamo, dunque, il dovere di dare stabilità e certezza a questi operatori, smettendola una volta per tutte di piantare bandierine ideologiche che non hanno prodotto alcun risultato in questi anni, ma che hanno solo alimentato, purtroppo, false speranze, ingenerando anche un senso semmai di frustrazione o di abbandono da parte di tanti operatori del settore. Chi ha davvero a cuore, oggi, la situazione del comparto deve mettere da parte ogni tipo di propaganda o demagogia e deve lavorare insieme a noi con responsabilità per affrontare e risolvere concretamente le problematiche attualmente esistenti.
Abbiamo tutti il dovere, oggi, come rappresentanti politici di tutte le forze politiche, di esprimerci con un linguaggio di verità, che è l'unica vera forma di rispetto nei confronti di chi opera in questo settore da decenni, senza continuare con le prese in giro o le illusioni che creano aspettative, ma lasciano poi le macerie sul campo. Non si rende un buon servizio al Paese e agli operatori del settore quando si continuano a prospettare soluzioni e percorsi inverosimili, inesistenti o impraticabili.
La direttiva Bolkestein, ricordiamolo bene, regola semplicemente le procedure per l'esercizio delle libertà fondamentali previste comunque dall'articolo 49 e dell'articolo 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e concretizza, dunque, dei principi già presenti nell'ordinamento europeo e anche nell'ordinamento italiano. Il nostro compito ora, quindi, è quello non di continuare a far finta di credere che la Terra sia piatta, oggi, il nostro compito è prendere atto della realtà e affrontare finalmente con serietà e responsabilità questa tematica, realizzando, a nostro avviso, un giusto equilibrio e una tutela corretta dei differenti, legittimi ed importanti interessi in gioco. Per questo, noi riteniamo necessario avviare un fondamentale confronto con le regioni, i comuni, le associazioni di settore e, all'esito dello stesso, definire rapidamente una normativa di riforma ragionevole, organica e coerente, che consenta di evitare una crisi drammatica, avviando il rinnovo dell'affidamento delle concessioni per dare certezza e sicurezza giuridica agli operatori di questo settore strategico per l'intero Paese, tenendo conto però, in modo adeguato, della complessità, della specificità e della particolarità della materia del demanio marittimo. Questo vuol dire avviare una fase nuova che metta in cantiere procedure di evidenza pubblica, conciliando però questa prospettiva e questa azione con alcune esigenze fondamentali che, anche noi, riteniamo sia fondamentale e indispensabile tutelare con forza e con determinazione. Mi riferisco, in particolare, al legittimo affidamento maturato, alla forza lavoro, al valore delle aziende attualmente operanti nel comparto, agli investimenti fatti negli anni e a ulteriori considerazioni legate a obiettivi di politica sociale, di sicurezza dei lavoratori, della protezione dell'ambiente e della salvaguardia del patrimonio culturale, ritenuti, peraltro, anche dalla stessa direttiva, come motivi imperativi di interesse generale di cui tener conto nella comparazione e nel bilanciamento degli interessi in campo.
Ecco, il lavoro, allora, che siamo chiamati a fare nell'interesse del Paese: aprire una nuova stagione che si conformi ai principi fondamentali dell'ordinamento italiano e di quello europeo per quanto riguarda la prestazione di servizi mediante l'utilizzo di beni pubblici, ma farlo in modo equilibrato, evitando di dare il via a possibili speculazioni finanziarie sulle coste italiane o a iniziative economiche non rispettose del patrimonio ambientale, paesaggistico e culturale che queste coste rappresentano ed evitando di lasciare senza alcuna tutela e garanzia economica e occupazionale migliaia di aziende e lavoratori che vengono da decenni di storia, di sudore, di impegno e di fatica nel nostro territorio. Abbiamo la possibilità, in questa fase storica, se mettiamo da parte la propaganda e le bandierine ideologiche, di risolvere una criticità che ci trasciniamo da anni, dando certezza e sicurezza giuridica a un settore ormai sfiduciato e disorientato. Spero che possiamo farlo tutti, con senso di responsabilità collettivo, senza alimentare guerre di religione e senza alzare muri in modo strumentale, tenendo insieme i differenti interessi in campo con ragionevolezza ed equilibrio. Solo così ne usciremo tutti più forti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marco Di Maio. Ne ha facoltà.
MARCO DI MAIO (IV). Grazie, Presidente. Parlare di concessioni balneari in Italia significa parlare di un comparto di vitale importanza per una delle principali industrie del nostro Paese, cioè l'industria turistica.
Dunque, ogni forma del nostro dibattito e ogni accento con il quale affrontiamo questo tema devono tenere presente che parliamo non solo di svago, di divertimento e di tempo libero, ma soprattutto di economia, di imprese, di lavoratori, di donne, uomini e famiglie che, in molti casi, hanno basato la loro vita professionale e non solo proprio sull'impresa turistica balneare. Le concessioni balneari sono un tema che non trova pace nel dibattito pubblico del nostro Paese e che, in molte occasioni, è stato brandito dalle forze politiche, illudendo o mortificando il settore: da un lato, chi ancora oggi propone soluzioni irrealizzabili, e magari quando è stato al Governo non ha mosso un dito per affrontare veramente il problema, dall'altro, addirittura, chi dipinge questa categoria, quella dei concessionari, come disonesti usurpatori del bene pubblico. Atteggiamenti in entrambi i casi da condannare allo stesso modo.
Che vada messo mano al comparto lo diciamo da tempo, non solo come forza politica, ma qui, in questo ramo del Parlamento, e ci abbiamo anche provato, arrivando nella scorsa legislatura all'approvazione di una legge delega proprio qui, alla Camera, che poi si arenò al Senato. Non sono stati gli operatori economici, ma il Governo, guidato da Giuseppe Conte e sostenuto da Lega e MoVimento 5 Stelle nel 2018, a varare una legge che prorogava d'imperio le concessioni balneari fino al 2033, ignorando le normative europee e sapendo di andare contro quanto previsto dagli accordi europei stessi. Era l'epoca in cui al Governo del nostro Paese si trovava chi voleva sfidare l'Europa e le regole comuni solo per dimostrare di essere in grado a casa nostra di battere i pugni sul tavolo. Una retorica che però non ha portato ad alcun effetto positivo e ha spinto i protagonisti di quell'azione a rimangiarsi tutto, arrivando addirittura, proprio un anno fa, a votare la fiducia al Presidente del Consiglio forse più europeista della nostra storia repubblicana, Mario Draghi. Gli effetti di quella decisione unilaterale, però, adottata con la legge di bilancio per l'anno 2019, sono scoppiati e deflagrati in tutta la loro gravità con la sentenza del Consiglio di Stato che, in assenza di una riforma complessiva più volte annunciata, a lungo attesa, è dovuto intervenire, lasciando in essere le concessioni attuali fino al 31 dicembre 2023 e dando nel frattempo l'occasione al Parlamento e al Governo di intervenire per un riordino complessivo, organico ed efficace di tutto il settore. Ora è il momento di non fare ulteriori rinvii e di intervenire concretamente per dare una risposta, per dare certezze alle imprese e al mercato, ma non solo, anche ai sistemi turistici in cui insistono le concessioni demaniali ad uso ricreativo e ricettivo, perché non è solo un problema dei singoli operatori; questa incertezza, purtroppo, genera incertezza anche nelle azioni che devono essere portate avanti nella promozione del nostro prodotto turistico.
Quindi, riteniamo sia fondamentale agire in tempi rapidi, i più rapidi possibili, e ovviamente entro la conclusione di questa legislatura, provvedendo con appositi provvedimenti che mettano ordine a questo sistema, che diano garanzie e che diano certezze, partendo dalla consapevolezza che la legge non potrà prescindere ovviamente dal rispetto dell'ordinamento europeo e nazionale e che dunque le procedure ad evidenza pubblica saranno imprescindibili. Allo stesso tempo, nell'approntare le gare che saranno necessarie, bisogna prevedere il giusto riconoscimento al valore aziendale dell'impresa balneare e degli investimenti realizzati, oltre alla professionalità degli operatori che hanno investito in questi anni, anche negli ultimi anni, poiché illusi da una normativa dello Stato - che non hanno certo scritto gli operatori - che quelle concessioni sarebbero state in essere fino al 2033, e hanno quindi previsto in molti casi investimenti, programmati con la prospettiva di poterli ammortizzare in un periodo di tempo che arrivava fino al 2033.
Dunque, secondo noi, nell'intervenire bisognerebbe tenere conto di diversi parametri e di diversi aspetti. Intanto, bisogna concludere la ricognizione del numero, dell'estensione e della tipologia delle diverse concessioni demaniali marittime esistenti; una fotografia che rende poi più facilmente realizzabile una riforma complessiva del demanio. Dopodiché, con riferimento allo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica, pensiamo debbano essere posti alcuni paletti. Intanto il primo, quello della valutazione adeguata della capacità tecnica, professionale, finanziaria ed economica degli operatori, ovviamente in base alla tipologia di concessione che stiamo discutendo.
La valutazione dovrà evidentemente, anche attraverso un meccanismo di premialità nel punteggio del bando di gara, valorizzare l'esperienza professionale e gli investimenti effettuati su quella concessione, in particolare nella gestione del bene pubblico dato in concessione, anche tenendo conto della capacità e dell'inserimento di quel progetto imprenditoriale nel contesto turistico nel quale è inserito.
Altro elemento che secondo noi va considerato è quello degli standard qualitativi dei servizi, la sostenibilità sociale e ambientale del piano degli investimenti, soprattutto in relazione alla tipologia di concessione da gestire. E poi, ovviamente, la valorizzazione delle diverse peculiarità territoriali, perché non tutte le coste sono uguali, non tutte le aree del nostro Paese sono uguali, figuriamoci quelle delle coste europee. Infatti, un tema che va evidenziato è che questa direttiva, applicata al turismo balneare italiano, riguarda una realtà del tutto peculiare nel contesto europeo; quindi, bisognerà tenere conto anche di questa peculiarità, di questa caratteristica tutta italiana, fortemente qualificante per l'offerta turistica del nostro Paese.
Bisogna, invece, evitare il rischio che, nella predisposizione delle gare, si vada ad inserire come elemento di valutazione un eventuale rialzo del canone della concessione, con riferimento al quale rientra nella competenza dello Stato un eventuale aggiornamento al rialzo. Si tratta certamente di una facoltà dello Stato. Non possiamo lasciare al mercato la possibilità di competere sul costo del canone, perché questo è un elemento - al di fuori della dinamica di mercato - che lo Stato può certamente regolare, intervenendo, innalzandolo o correggendolo, a seconda delle circostanze. Non può, quindi, diventare elemento di concorrenza il canone da versare allo Stato, al quale compete - lo ripeto - la sua determinazione, e non può essere messo a discrezione del mercato.
Nell'approntare le procedure di evidenza pubblica, pensiamo che vada anche previsto il riconoscimento - a favore dell'impresa balneare, già concessionaria, che non dovesse essere confermata nel proprio titolo di gestione - del valore economico, sociale e commerciale dell'azienda, quindi anche della conseguente somma, da riconoscere come indennizzo a chi ha effettuato investimenti e dovrà lasciarli, insieme al bene, nel momento in cui perderà eventualmente in gara la concessione; e ciò, prevedendo modalità oggettive e univoche di individuazione dei valori di quanto è stato realizzato, attraverso perizie e modalità di asseverazione che sono già in uso per altre tipologie di concessioni.
Si ravvisa, inoltre, anche la necessità di coinvolgere, in maniera strutturata e codificata, regioni e comuni nella determinazione dei criteri delle evidenze pubbliche. Questo, ovviamente, allo scopo di valorizzare le peculiarità di ogni singolo territorio, di ogni singola regione, diverse le une dalle altre, sia dal punto di vista della morfologia sia dal punto di vista delle attitudini e delle inclinazioni turistiche. Quindi, va messa in evidenza anche questa necessità, quella di coinvolgere e dare un ruolo soprattutto alle regioni e anche ai comuni nella determinazione dei parametri di gara. Pensiamo sia necessario anche prevedere un numero massimo di concessioni che potrebbero essere rilasciate ad un solo operatore economico; questo per garantire la pluralità e per non arrivare al paradosso che, nel voler promuovere una maggiore concorrenza, in realtà si vadano a costruire oligopoli o, peggio ancora, monopoli in alcune fette del nostro Paese.
Infine, e vado alla conclusione, credo sia assolutamente urgente che questa riforma prenda corpo nel più breve tempo possibile, ma anche con il più ampio coinvolgimento possibile, ovviamente del Parlamento, delle forze politiche, degli operatori economici, delle autonomie locali interessate, perché questo è un aspetto assolutamente essenziale, ma soprattutto è fondamentale che tutto questo si completi in un arco di tempo ragionevole, breve. Credo che possa essere un obiettivo da raggiungere entro la fine di questo anno. Ciò deve essere fatto per dare sicurezza, garanzie e stabilità ad un settore che ha patito moltissimo gli effetti del COVID, le chiusure, i lockdown, fornendo però anche una risposta al nostro sistema turistico in questi anni, dietro al quale non ci sono chissà quali speculatori.
Ci sono donne e uomini che fanno il proprio lavoro, che hanno investito proprie risorse, che certamente hanno anche tratto profitti da questa gestione, ma sono imprese a tutti gli effetti. Quindi, “sì” alla concorrenza, ma “no” alla mortificazione di chi in questi anni ha lavorato e ha contribuito anche alla crescita e allo sviluppo del nostro sistema turistico nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bianchi. Ne ha facoltà.
MATTEO LUIGI BIANCHI (LEGA). Grazie, Presidente. Cortese Vice Ministro, con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, l'ordinamento ha recepito la cosiddetta direttiva Bolkestein, avente la finalità di regolare i settori del commercio su aree pubbliche del demanio marittimo. Secondo la direttiva, concessioni e servizi pubblici possono essere affidati a privati solo con gare pubbliche aperte a tutti gli operatori. L'applicazione di tale principio ha comportato una forte limitazione all'interno del mercato, imponendo agli enti l'applicazione di procedure di selezione tra i diversi candidati.
Il punto nevralgico, fortemente limitante, della direttiva in esame e del suo successivo recepimento nazionale si rinviene nella nozione di risorse naturali, nel cui alveo vengono fatti rientrare anche i posteggi per l'esercizio del commercio su aree pubbliche. Tale equiparazione ha come diretta conseguenza l'assoggettamento del suolo pubblico alle procedure di selezione pubblica. Ciò ha ingenerato un aumento della concorrenza nel settore del commercio ambulante, con forte pregiudizio per realtà economiche spesso a conduzione familiare, che si trovano costrette a operare nel medesimo mercato anche contro società di capitali, come espressamente riconosciuto dall'articolo 70 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, già citato.
Con l'entrata in vigore della direttiva Bolkestein le norme comunitarie e quelle nazionali sono intervenute anche in materia di concessioni demaniali, circa l'assoggettabilità delle stesse alla procedura della gara pubblica. La materia non è stata di minore impatto per gli imprenditori del settore, atteso che le concessioni demaniali marittime godevano di proroghe automatiche e si fondavano, anche per consolidata prassi, sul diritto di prelazione del concessionario uscente, che, a parità di condizioni, avrebbe avuto titolo a un nuovo affidamento. L'argomento è fortemente dibattuto poiché molti sostengono la necessità di escludere le concessioni demaniali dall'ambito di applicazione della stessa direttiva Bolkestein, rilevando che le autorizzazioni sono concesse in riferimento ai beni demaniali e non ai servizi, e, perciò, riguardano il conferimento in uso di una superficie e non l'autorizzazione a svolgere un servizio.
Infatti, sulla scorta anche di queste valutazioni, la norma ha fissato il termine di scadenza di tutte le concessioni vigenti al 31 dicembre 2033, facendo salva, conseguentemente, la validità di tutte quelle che nel frattempo avrebbero perso efficacia. Tale intervento poggiava su una logica di sostegno nei confronti degli attuali operatori economici balneari italiani, operatori che avrebbero maturato nel corso degli anni un affidamento al rinnovo delle concessioni, anche a fronte degli investimenti effettuati. I titolari degli stabilimenti, infatti, esercitano una vera e propria attività economica, gravata da investimenti, oneri e costi, non suscettibili di essere dispersi se non a discapito di imprese e famiglie del settore.
Risulta, peraltro, assente un'individuazione della definizione di impresa balneare, nonché di modelli di gestione delle imprese turistico-ricreative e anche ricettive che operano sul demanio marittimo, secondo schemi e forme di partenariato pubblico-privato atti a valorizzare la tutela e la più proficua utilizzazione del demanio marittimo, tenendo conto delle singole specificità e caratteristiche territoriali secondo alcuni criteri, tra i quali: la sostenibilità ambientale, la qualità e la professionalizzazione dell'accoglienza e dei servizi, l'accessibilità, la qualità e la modernizzazione delle infrastrutture; la tutela degli ecosistemi marittimi coinvolti, la sicurezza e la vigilanza delle spiagge, con eventuale individuazione di un sistema di autorizzazione unica. Le sentenze dell'adunanza del Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021 hanno altresì dichiarato la proroga nulla, differendo gli effetti della sentenza fino al 31 dicembre 2023.
La sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato, n. 229 del 13 gennaio 2022, ha dichiarato che sussiste la proprietà delle aziende balneari in capo ai concessionari e che la scadenza delle concessioni è fissata fino al 31 dicembre 2023. A tale proposito, si riportano qui di seguito gli estratti di queste pronunce: “(…) le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023 (…)” e “(…) le opere realizzate dai concessionari sulle superfici demaniali sono, ai sensi dell'articolo 952 del codice civile, d'esclusiva proprietà privata, con superficie fino al momento dell'effettiva scadenza (…)”.
Pare evidente che, in questo quadro di incertezza, risulta necessario un intervento unitario e di riordino da parte del legislatore. In quest'ottica si ritiene imprescindibile una riflessione circa l'opportunità di procedere a una revisione organica e ampia nella quale si inserisca la riforma della disciplina delle concessioni demaniali a uso turistico e ricreativo, ma che comprenda anche le norme del codice della navigazione in materia di demanio marittimo (articoli 28 e 61 del codice della navigazione). Risulta constatato che ogni possibile intervento sulle concessioni demaniali ad uso turistico-ricreativo comporti anche le necessarie modifiche di una serie di norme del codice della navigazione (articoli 45-bis, 47, 49 e 1161).
Le carenze, emerse nel corso degli anni, del codice della navigazione sono state parzialmente colmate dalla giurisprudenza, al fine di adeguare l'applicazione normativa ai cambiamenti del mercato e del trasporto marittimo. Una riforma settoriale che comprenda le sole concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo, sebbene condotta in chiave di modernizzazione e secondo principi euro-unitari (così come la legge n. 145 del 2018 disponeva dopo un periodo transitorio necessario alla mappatura del mercato e alla individuazione dei criteri per eque selezioni), potrebbe utilmente essere rafforzata se inserita in una più ampia e ambiziosa riforma che comprenda il demanio marittimo e le norme del codice della navigazione a esso dedicate.
Nell'ottica di poter adeguatamente affrontare il tema dell'applicazione della direttiva Bolkestein e della riforma del codice della navigazione, vi è la necessità di una ricognizione orografica delle aree demaniali e dell'effettivo stato dei luoghi. La necessità di una ricognizione risponde alla necessità di conoscere l'effettivo numero di aree in concessione e di avere una complessiva contezza del mercato, inteso come numero di concessioni esistenti, tipologia di imprese insistenti sulle concessioni, entità degli investimenti effettuati e del numero dei lavoratori impiegati, oltre che le aree libere attualmente concedibili (tutti dati di cui sappiamo poco o che sono ignoti).
Per agevolare il processo di mappatura, ricognizione e gestione dei beni demaniali marittimi, con il decreto legislativo n. 201 del 2016 è stata prevista la creazione di un sistema informativo integrato che contenga dati ambientali, sociali ed economici riferiti agli usi e alle attività coinvolte nella pianificazione, nonché i dati marini relativi, appunto, alle zone marine. Tale sistema è stato poi individuato dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti nel SID, il sistema informatico del demanio.
Il SID necessita ancora di alcuni correttivi per essere considerato effettivo strumento di e-governance quali un'adeguata formazione del personale, un apparato sanzionatorio per il mancato inserimento dei dati da parte delle pubbliche amministrazioni concedenti, oltre che un incremento sostanziale delle sanzioni, anche di tipo accessorio, per ritardato pagamento dei canoni demaniali marittimi. È inoltre necessaria una correlazione dell'entità dei canoni alla redditività potenziale delle aree date in concessione, attraverso una revisione dei valori unitari, sulla base anche della destinazione d'uso dei singoli beni concessi, una maggiore vigilanza sull'operato delle amministrazioni locali coinvolte, affinché eseguano un corretto, puntuale e tempestivo aggiornamento dei dati richiesti dalla banca dati, un monitoraggio dello stato dell'evoluzione tecnologica, al fine di verificare se possano essere sviluppate in un prossimo futuro eventuali integrazioni o modificazioni del portale attraverso l'utilizzo di tecnologie più economiche e mature, anche prevedendo specifici incontri dedicati con l'amministrazione finanziaria. Ciò al fine di rendere il portale citato uno strumento tecnicamente adeguato in coerenza con il criterio di interoperabilità tra i sistemi informativi della pubblica amministrazione, tra cui, su tutti, l'anagrafe tributaria.
Imprescindibile, in questa valutazione, la competenza in materia di concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo, attesa la cointeressenza dello Stato, delle regioni e dei comuni. Allo Stato è riservata la disciplina della concorrenza e dell'accesso al mercato, alla regione le funzioni gestorie ed amministrative, talvolta anche in quanto proprietarie, e al comune le funzioni amministrative sul demanio marittimo, che consentono all'ente locale l'amministrazione diretta dei beni demaniali marittimi.
Oggi, in particolare, i comuni sono i titolari delle seguenti funzioni amministrative sul demanio marittimo: il rilascio delle concessioni demaniali marittime, il rilascio dell'atto di concessione provvisoria, il rinnovo di concessioni demaniali marittime, le variazioni del contenuto della concessione, la comparazione di istanze, l'anticipata occupazione di aree demaniali marittime, l'autorizzazione a costituire ipoteca sulle opere costruite dal concessionario, la revoca totale o parziale di concessioni demaniali, le domande incompatibili, la modifica o estensione della concessione per cause naturali e gli affidamenti ad altri soggetti delle attività oggetto della concessione, il subingresso della concessione e, infine, la decadenza della concessione.
In conclusione, tutte le associazioni di categoria sono concordi nel ritenere le proposte della Lega come le uniche concretamente percorribili. Occorre riformare il demanio marittimo in generale, visto che le norme da modificare sarebbero inevitabilmente anche parte del Codice della navigazione, e occorre evitare, come già fatto, di abrogarne solo alcune con effetto negativo su tutto l'impianto.
Ad oggi non ci sono i dati della mappatura del demanio, visto che il SID è del tutto lacunoso, come è emerso dalla relazione della Corte dei conti. I dati da raccogliere sono sia fisici-numerici sia riferiti alla tipologia di imprese, e fintanto che non è definito il mercato, non può realizzarsi alcun intervento normativo con caratteri di equità e proporzionalità. Occorre, dunque, avviare e completare la mappatura. In ogni caso, la definizione di criteri per le selezioni, oltre ad essere dipendente dai risultati della mappatura, deve tener conto del valore delle imprese costruite sul demanio che, in assenza del diritto di insistenza, devono essere indennizzate con un criterio che tenga conto dell'avviamento e del valore costruito sul demanio, oltre che degli investimenti. Bisogna, poi, tenere conto della forza lavoro da tutelare, degli obblighi legati alla tutela ambientale del demanio marittimo e del mare, oltre che delle varie tipologie di aziende che insistono sul demanio - la pesca, il turismo, la nautica e le associazioni sportive, per esempio - e della necessità di affidare il demanio a chi abbia dimostrato professionalità e capacità tecniche.
Presidente, occorre tenere ben conto del fatto che il demanio è anche un asse di sviluppo territoriale, per cui gli enti vanno coinvolti nella ridisegnazione del futuro del demanio marittimo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stefano Fassina. Ne ha facoltà.
STEFANO FASSINA (LEU). Grazie, Presidente, grazie, Vice Ministro. La discussione che facciamo oggi in qualche modo anticipa la discussione che faremo tra qualche mese, quando il disegno di legge sulla concorrenza, in discussione ora al Senato, arriverà qui alla Camera.
Allora, colleghe e colleghi, prima di entrare nel merito della questione specifica oggetto delle mozioni che affrontiamo a partire da questa seduta, permettetemi qualche riflessione di carattere più generale perché, a mio avviso, siamo in una fase in cui dovremmo innanzitutto provare a fare una valutazione degli effetti della cosiddetta direttiva servizi per il mercato interno, la direttiva Bolkestein. A parte l'articolo 12, quello che regola le concessioni che riguardano gli stabilimenti balneari o riguardano il suolo pubblico, la direttiva Bolkestein ha funzionato? Quali risultati ha determinato? Quando tutti affrontiamo con grande preoccupazione la questione della crescente disuguaglianza, siamo sicuri che la regolazione del mercato interno europeo non abbia nulla a che vedere con quello che constatiamo, cioè con l'accrescimento della disuguaglianza e la svalutazione del lavoro? Abbiamo messo in competizione le aziende con la direttiva Bolkestein, o abbiamo messo in competizione ordinamenti di welfare, quindi sistemi fiscali e contratti nazionali, quindi le condizioni materiali di vita delle lavoratrici e dei lavoratori? A mio avviso, noi dovremmo provare a fare questa valutazione prima di entrare nel merito degli ambiti ai quali estendere le regole della direttiva.
Ha ragione il collega De Luca, la direttiva poggia sui princìpi dei trattati, li ha richiamati; ma siamo sicuri che quei princìpi abbiano una declinazione univoca? A proposito dei servizi di call center, un punto ci ha angosciato per tanto tempo: se io considero il mercato interno e metto in competizione i servizi, se quando faccio un bando per i servizi chiedo che l'azienda che vince, che può essere di qualunque Paese dell'Unione europea, debba stabilirsi nella Nazione dove viene eseguito l'appalto, sto contraddicendo i princìpi del trattato? Non sto comunque garantendo una uniformità di trattamento tra le aziende europee ma, al tempo stesso, evitando dumping sociale e fiscale, che poi ricade sulla pelle dei lavoratori? Siamo sicuri che le direttive siano immodificabili, e cioè che quei trattati abbiano un'unica possibilità di specificazione?
Come sapete meglio di me, un paio d'anni fa è stata modificata in modo abbastanza significativo la cosiddetta direttiva sui lavoratori dislocati, una direttiva dagli effetti sociali devastanti, ispirata comunque a quei princìpi dei trattati. Tale direttiva è stata modificata in modo significativo perché, in nome della libertà di movimento di capitali, merci, servizi e persone, consentiva - e in qualche misura ancora consente, sebbene in termini estremamente più contenuti - a un'impresa di qualunque Paese europeo di venire a lavorare in Italia e portarsi dietro le condizioni contrattuali che venivano applicate ai lavoratori quando quell'impresa operava nel proprio Paese d'origine. Gli effetti di competizione, di dumping, sono stati devastanti sui lavoratori dei Paesi nei quali quell'azienda si veniva a stabilire. Quella direttiva è stata modificata; ripeto, non va ancora bene, ma è stata modificata.
Allora, come legislatori, prima di decidere a quali ambiti estendere la direttiva Bolkestein, forse dovremmo fare una valutazione sull'efficacia e sui risultati prodotti da una direttiva che - ripeto - non mette in competizione aziende, ma mette in competizione ordinamenti di welfare e determina dumping salariale, dumping sociale e dumping fiscale. Questo se ci stanno a cuore un minimo i destini delle lavoratrici e dei lavoratori!
Nella mozione presentata dai colleghi di Fratelli d'Italia, si fa riferimento, in uno degli ultimi punti, alle guide turistiche. In nome della libertà di movimento di merci e servizi, chiunque può fare la guida turistica ovunque. Ebbene, le nostre guide turistiche sono guide laureate, che hanno superato dei concorsi; in nome della direttiva Bolkestein sono messe in competizione con chi ha quel titolo con percorsi di studio che non hanno nulla a che vedere con la difficoltà superata dalle guide turistiche italiane. Sto facendo concorrenza leale in questo modo oppure sto determinando dumping sociale e fiscale ai danni dei soggetti più deboli? A mio avviso, sono punti irrinunciabili.
Ora, la logica del bando: a mio avviso, il bando è necessario quando tu devi assegnare delle concessioni; ma, una volta che tu hai assegnato quelle concessioni, se il concessionario rispetta le regole, se il concessionario adempie ai suoi obblighi, se il concessionario raggiunge gli standard di servizio previsti, perché in via ordinaria tu devi destabilizzare un'attività produttiva? È chiaro che, come abbiamo fatto per le concessioni degli operatori su suolo pubblico, il rinnovo non è garantito, non è automatico. In questo rispettiamo i criteri della direttiva. Si tratta di avere il rinnovo, che non è la proroga. Attenzione, perché qua sta l'errore che è stato fatto sulle concessioni balneari: è stato fatto l'errore di prorogare, non di definire, come abbiamo fatto per gli ambulanti, condizioni necessarie affinché vi possa essere il rinnovo. Ma, se io rispetto le condizioni che prevedi, perché devo mettere a gara un'attività produttiva?
Guardate che la logica del bando è profondamente discriminatoria, perché, se tu sei un'azienda grande, con le spalle larghe, è un conto; se tu sei una piccola azienda familiare, è un altro. Se io sono un'azienda grande e perdo il bando a Rimini, come azienda grande, posso vincere un bando in Sardegna e non mi cambia niente. Se io sono un'azienda familiare e sto a Rimini, faccio un po' più fatica a prendere e andare in Sardegna a svolgere lo stesso mestiere. Quindi, attenzione! Attenzione a come ci muoviamo.
Dopodiché - e vado a concludere - è evidente che siamo in difetto noi, come legislatori. Per le ragioni che prima venivano ricordate, abbiamo continuato ad evitare il problema. L'abbiamo scaricato. Come, purtroppo, anche spesso ci accade - lo dico con grande sofferenza -, l'abbiamo scaricato sulla magistratura. È dovuto intervenire il Consiglio di Stato, poi il TAR e così via, anche facendo una grande confusione, perché, ad esempio, tre settimane fa o un mese fa - non ricordo - il TAR del Lazio sugli ambulanti si è agganciato alla sentenza del Consiglio di Stato sulle concessioni balneari e ha equiparato due discipline che, dal punto di vista legislativo, sono completamente diverse, perché il commercio ambulante è regolato per rinnovi, rinnovi condizionati. Quindi, noi abbiamo la responsabilità di intervenire. Raccolgo l'appello che è stato fatto con grande equilibrio dal collega De Luca: discutiamo come regolare queste attività, però, riconosciamone le specificità! Proviamo anche ad alzare lo sguardo e a costruire un'iniziativa a livello europeo, che potrebbe portare a riconoscere che queste attività non hanno necessariamente l'ambito di applicazione della “direttiva Servizi” e che possono essere escluse. Lavoriamo a dei criteri ragionevoli, perché siamo in un contesto molto diverso rispetto a quello del 2006; tante attività hanno una concorrenza molto pesante, a cominciare dal commercio su suolo pubblico. Un punto è decisivo: dobbiamo affrontare da persone serie questa materia, dobbiamo legiferare, dobbiamo evitare che ci siano i tribunali di turno ad affrontare l'incertezza.
Perché è vero: l'incertezza è il danno maggiore che possiamo fare alla categoria. Quindi, utilizziamo questo spazio per definire una normativa che, per quanto mi riguarda dovrebbe escludere queste attività - chiudo Presidente - dall'applicazione della direttiva Bolkestein, riconoscerne le specificità e intervenire in tutti i modi, anche attraverso l'innalzamento dei canoni. Riformare non vuol dire applicare la direttiva Bolkestein!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battelli. Ne ha facoltà.
SERGIO BATTELLI (M5S). Grazie Presidente. Governo, colleghi, oggi discutiamo, grazie a questa mozione, una tematica fondamentale per il nostro territorio e per il nostro turismo. Una piccola premessa: sono circa dieci, dodici anni, che in queste Aule parlamentari si affronta questa tematica. Lo si è fatto - io sono d'accordo con il collega Fassina - scaricando e non legiferando in maniera adeguata, ma utilizzando sempre quasi sempre il solito strumento della proroga. Abbiamo sempre prorogato e non abbiamo mai affrontato in maniera chiara questa questione, che è sicuramente delicata e sicuramente cavalcata da diversi gruppi politici e che, quindi, è stata sicuramente una tematica molto complessa da gestire. Però, qual è stato il risultato di queste continue proroghe? Non ci sono state certezze per gli operatori, nessuna certezza o poche certezze per le pubbliche amministrazioni, che abbiamo visto in questi mesi impegnate in un caos normativo in cui nessuno sapeva come andare avanti. Non ha avuto certezze chi invece voleva entrare in questo settore e non sapeva come fare e, ovviamente, non aveva la certezza di capire quanto potesse andare avanti questa cosa. Anche il nostro territorio e le nostre coste non hanno avuto certezze.
Quindi, per quanto ci riguarda, come MoVimento 5 Stelle, la parola “proroga” la vogliamo riporre una volta per tutte. Non sarà certo con questa mozione, ma sicuramente sarà fondamentale e, finalmente, normale con delle norme chiare. Abbiamo ancora tempo per farle, quindi, la parola “proroga” noi la vogliamo chiudere in un cassetto una volta per tutte.
Quindi, care colleghe e cari colleghi, io farei un excursus di quello che è successo invece fuori da queste Aule. Partiamo dal 2010: entra in vigore la “direttiva Servizi”, direttiva 2006/123/CE - quindi sono 16 anni che è nata questa direttiva -, la cosiddetta direttiva Bolkestein, come sappiamo, che è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, integrato dal decreto legislativo 6 agosto 2012, n. 147, che sicuramente ha dato un forte impulso verso una revisione della normativa di settore. Ma qual era l'intento di quella direttiva? Era quello di assicurare la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri. La direttiva si applica anche alla materia delle concessioni demaniali marittime, in particolare per quanto riguarda la durata e la procedura di rinnovo delle concessioni. Questo è già un primo punto discusso molte volte, perché tantissimi operatori mettono già in discussione questa parte, la parte che, secondo loro e le interpretazioni, chi ha concessioni sul demanio marittimo non deve essere inserito in questa direttiva.
Invece, l'articolo 12 della direttiva prevede che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza, e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicità dell'avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. In tali casi l'autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami. Gli Stati membri possono, però, tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi di interesse generale, conformi al diritto comunitario.
In questi 10, 12 anni in cui si è più volte normato, gli sforzi e le proroghe non sono bastate, anzi in questo momento è tutto molto più ingarbugliato rispetto a prima. Questo, certo, non è quello che ci si aspetta da un Paese come l'Italia.
Nel 2008 è stata aperta una prima procedura di infrazione, durata cinque anni, e chiusa in seguito all'abolizione del cosiddetto diritto di insistenza in capo ai concessionari uscenti e dalla promessa di un'imminente riordino della materia, giustificando così l'ennesima proroga delle concessioni per garantire il legittimo affidamento in un periodo transitorio, parliamo del 2008.
Il 14 luglio 2016, con la sentenza cosiddetta Promoimpresa, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha affermato come una proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati fosse incompatibile non solo con l'articolo 12 della direttiva Bolkestein, ma anche con l'articolo 49 del TFUE in caso le concessioni presentassero un interesse transfrontaliero certo. Nel frattempo, e anche dopo la sentenza della Corte di giustizia, il dibattito sulla compatibilità comunitaria della disciplina nazionale, che prevede la proroga ex lege, è continuato, soprattutto in ambito dottrinale.
Rispetto all'applicazione dell'articolo 12 della direttiva sono stati mossi principalmente due ordini di obiezioni. Il primo ordine di obiezioni è volto a sostenere l'assenza della risorsa naturale scarsa; requisito la cui sussistenza la Corte di giustizia ha demandato al giudice nazionale. Il secondo, che entra in contrasto frontale con la sentenza del giudice europeo, è volto radicalmente ad escludere la possibilità di far rientrare le concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative nella nozione di autorizzazioni di servizi e, quindi, nel campo dell'applicazione dell'articolo 12 della citata direttiva.
Sul finire del 2018, la Commissione europea ha inviato allo Stato italiano una lettera amministrativa, aprendo nuovamente una fase precontenziosa per non corretto recepimento della direttiva. La legge di bilancio per il 2019 è intervenuta nuovamente prevedendo una revisione generale delle concessioni demaniali marittime da attuarsi tramite un apposito DPCM, per la cui redazione è stato costituito un tavolo tecnico interministeriale presso il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e del turismo; e anche in tale circostanza, così come nelle precedenti modifiche normative, nell'attesa di perfezionare la richiamata revisione del settore, è stata disposta una nuova proroga delle concessioni in essere, in questo caso di ulteriori 15 anni. Su questo, Presidente, io non ero affatto d'accordo.
Il 3 dicembre 2020, la Commissione europea ha inviato all'Italia una lettera di costituzione in mora con la quale ha formalmente aperto una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano e con la quale afferma il contrasto con il diritto europeo della legislazione nazionale in materia di assegnazione e durata delle concessioni balneari. Il Governo Italiano, con lettera del 4 febbraio 2021, ha risposto affermando, al contrario, la sua conformità al diritto europeo. A novembre 2021 - cito queste date, perché sono importanti per capire quello che, nel frattempo, è successo - le sentenze dell'Adunanza plenaria Consiglio di Stato n. 17 e 18 hanno definitivamente dichiarato la proroga di 15 anni, inserita in legge di bilancio per il 2019, contrastante con il diritto eurounitario e, pertanto, non applicabile né dai giudici né dalla pubblica amministrazione nel suo complesso.
Il Consiglio di Stato ha poi analizzato e confutato una per una le obiezioni mosse negli anni all'applicazione della direttiva sul settore balneare, facendo finalmente chiarezza di fronte alle oscillanti correnti giurisprudenziali emerse negli ultimi anni. Ciononostante, al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, occorre tenere conto dei tempi tecnici, perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste. Ciò nell'auspicio, altresì, che finalmente il legislatore - e sarebbe anche ora – intervenga per riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, il Consiglio di Stato ha stabilito che le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuino ad essere efficaci fino al 31 dicembre 2023, fermo restando che oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che, nel frattempo, dovesse intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto, perché in contrasto con le norme dell'ordinamento dell'Unione europea.
Colleghi, il massimo organo di giustizia amministrativa si è espresso e lo ha fatto con argomentazioni inequivocabili. Alcuni chiedono di continuare a mettere la testa sotto la sabbia e continuare a sostenere le proroghe automatiche, in aperto contrasto con la normativa europea e con la consapevolezza che, prima o poi, le sanzioni arriveranno e a pagare non saranno certo i colleghi, ma tutti i cittadini. È imminente, infatti, l'invio delle determinazioni della Commissione europea che molto verosimilmente andranno nel senso di una prosecuzione della procedura di infrazione con l'emissione del parere motivato, concludendo così la fase del cosiddetto pre-contenzioso e dando inizio alla fase contenziosa, preludio dell'erogazione delle sanzioni. Colleghi, qui parliamo di milioni di euro pubblici, così come il demanio è pubblico, questo non dobbiamo mai dimenticarcelo, perché molti, a volte, confondono il demanio pubblico con una proprietà privata e ve lo dico perché succede molto spesso.
Colleghi, tutti noi, Governo e maggioranza, a questo punto abbiamo in questo ultimo anno di legislatura due strade. La prima: possiamo continuare a far finta di nulla, procrastinando, portando avanti la solita macchina della proroga; con questa modalità non si capisce e non si può sapere che cosa succederà in futuro. Lasceremo in questa condizione gli operatori e la pubblica amministrazione. Poche volte si parla della pubblica amministrazione, ma in questi mesi abbiamo visto - io sono di Genova ed ho visto - cosa è successo a strutture che prima sono state sequestrate e poi dissequestrate: insomma, c'è stato parecchio caos. Questo non è bene per gli operatori, non è bene per chi deve fruire del servizio e questo blocca sicuramente quello che tanti operatori dicono, vale a dire gli investimenti. Se io fossi un operatore del settore e non avessi norme chiare da cui si evince quanto durerà la concessione, quando si faranno le gare o se queste gare si faranno, se non avessi tutti questi elementi, non potrei pensare assolutamente di fare investimenti. Su questo hanno ragione. Ciò è colpa della politica, anche del partito che rappresento che, come ho detto, nel 2018 ha commesso un errore con l'altra proroga concessa.
Secondo me la strada da seguire è di aprire un dibattito ampio, come, credo, faremo anche per la redazione di questa mozione che spero sia di tutta la maggioranza unita. Dobbiamo lavorare con tutti i rappresentanti degli interessi coinvolti, con i diversi sindacati dei balneari, con i comitati e le associazioni che si occupano del tema, entrando nel merito di come riformare l'intero settore organicamente, a partire dalle procedure ad evidenza pubblica come metodo cardine nella riassegnazione delle concessioni ed abbandonando finalmente, una volta per tutte, la pratica della proroga automatica e generalizzata.
I cittadini, e soprattutto le imprese, hanno assolutamente diritto ad una procedura aperta, trasparente e imparziale, quando si tratta di decidere a quali soggetti e a quali condizioni concedere il diritto di utilizzare il demanio pubblico, i beni pubblici e i beni comuni.
Presidente, concludo dicendo che ciò non è un qualcosa che si deve fare, perché ce lo chiede l'Europa, questa storytelling io la lascerei un po' da parte. Questo lo dobbiamo all'Italia, lo dobbiamo alle imprese e al nostro territorio. Siamo ancora in tempo per dare risposte certe alle categorie e invito tutti i colleghi a farlo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battilocchio. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI). Grazie Presidente, signor Vice Ministro, secondo il rapporto European Bathing Water Quality del 2018 pubblicato nel giugno 2019, l'Italia dispone del maggior numero di chilometri di acque di balneazione dell'Unione Europea, circa un quarto del totale. Di fatto, anche grazie alla sua favorevole collocazione, l'Italia è la spiaggia dell'Europa.
Dalle elaborazioni delle camere di commercio, confermate dalle associazioni di settore, nel 2019 il numero di stabilimenti balneari italiani ha superato le 8.000 unità tra spiagge sul mare, sui laghi e sui fiumi, su un totale di circa 25.000 concessioni demaniali turistico-ricreative, con una crescita del 2,5 per cento rispetto all'anno precedente. Tali stabilimenti sono insediati su un'area pari al 42 per cento dei circa 8.000 chilometri delle coste italiane. A questi si aggiungono 537 porti turistici, approdi che ospitano 90.000 posti barca, su un totale di oltre 160.000 posti disponibili, ove si considerino anche i porti tradizionali che offrono servizi diportistici. La balneazione attrezzata italiana, oltre ad essere un pezzo importante dell'economia e della storia del nostro Paese, muove un mercato di tutto rispetto. L'ENIT ha divulgato i risultati di un monitoraggio, dal quale risulta che nel 2018, per la vacanza al mare, i turisti stranieri hanno speso nel Bel Paese 6,6 miliardi di euro, ossia il 20 per cento in più rispetto al 2017; sono aumentate del 30 per cento rispetto all'anno precedente le notti trascorse nelle strutture ricettive situate sulle località balneari. Attorno al turismo balneare ruota il lavoro di circa 30.000 imprese, in gran parte a conduzione familiare; solo il 26 per cento sono società di capitali, oltre la metà delle quali hanno un fatturato inferiore ai 250.000 euro; l'occupazione del settore è valutata in 300.000 unità. Su tali imprese, già duramente colpite dagli effetti dello stato di emergenza per il COVID-19, ricadono - molti colleghi lo hanno ricordato - le incertezze determinate dalla mancanza di un'uniforme e omogenea applicazione su tutto il territorio nazionale della normativa in materia di concessioni demaniali marittime, insorte soprattutto a seguito dell'entrata in vigore della direttiva Bolkestein. Dopo anni di dibattiti e di disposizioni provvisorie, al fine di avviare il processo di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni dell'Unione europea, la legge di bilancio per il 2019 ha introdotto elementi per una generale revisione del sistema delle concessioni demaniali marittime, fondato sulla ricognizione e mappatura del litorale e del demanio costiero marittimo, sull'apertura del mercato nazionale alla concorrenza e sul sistema di affidamento delle concessioni basato sul merito. Nelle more dell'attuazione di tale legge, ha disposto la proroga automatica delle concessioni demaniali legalmente in essere fino al 31 dicembre 2033. A fronte delle difficoltà applicative della legge n. 145 del 2018 e anche al fine di ristorare i danni al settore provocati dall'emergenza pandemica, il “decreto Rilancio” ha previsto una sospensione dei procedimenti amministrativi volti alla nuova assegnazione delle concessioni demaniali marittime o alla riacquisizione al patrimonio pubblico delle aree demaniali, confermando l'avvio delle aste a partire dal 1° gennaio 2034. Peraltro, su istanza di Forza Italia, il medesimo decreto-legge n. 34 ha eliminato una disparità di trattamento, stabilendo che la proroga si applica anche alle concessioni lacuali e fluviali, ivi comprese le 874 concessioni gestite dalle società sportive iscritte nel registro del CONI, nonché alle concessioni per la realizzazione e la gestione delle strutture dedicate alla nautica di diporto. Nonostante il processo di adeguamento in corso, il 3 dicembre 2020 - è stato ricordato dai colleghi - la Commissione europea ha inviato alla Repubblica italiana una lettera di messa in mora, aprendo una procedura di infrazione. Con la procedura di infrazione la Commissione europea ha contestato la proroga delle concessioni demaniali all'anno 2033, proposta dalla legge di bilancio per il 2019.
Il Governo italiano, con lettera del 4 febbraio 2021, ha risposto affermando, al contrario, la conformità di quella legge al diritto europeo, sottolineando la necessità di completare la ricognizione delle spiagge in concessione e di quelle concedibili, prima di poter varare un riordino del settore. Lo scorso autunno, il Governo ha presentato il disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, che, all'articolo 2, contiene una delega al Governo per provvedere alla mappatura dei beni pubblici e dei relativi rapporti concessori. Si è discusso a lungo nel Governo su quali dovessero essere i contenuti del “DDL Concorrenza” in merito alle concessioni balneari. Questo ha provocato un ritardo nella presentazione ed una formulazione piuttosto asettica della norma, che fa riferimento genericamente alla mappatura delle concessioni. In tale quadro, quindi in divenire, è intervenuto il Consiglio di Stato, il quale, con le sentenze nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021, ha ritenuto insussistenti gli argomenti contrari all'applicazione della citata direttiva n. 123 del 2006 alle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative, affermando che le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, inclusa la moratoria pandemica disposta dal “decreto Rilancio” sono in contrasto con il diritto eurounitario. Secondo queste sentenze, le norme della legge di bilancio per il 2019 e del decreto n. 34 del 2020 non devono essere applicate né dai giudici, né dalla pubblica amministrazione. Le sentenze ritengono che l'intervallo temporale per l'operatività degli effetti della presente decisione possa essere congruamente individuato al 31 dicembre 2023. Oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, le concessioni prorogate cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire. Ora, è chiaro che queste sentenze hanno sollevato molte perplessità perché sono intervenute su un procedimento in corso. Il tutto si inquadra in una situazione di confusione amministrativa e giurisprudenziale e, in effetti, il Consiglio di Stato, con queste sentenze, aggiunge caos al caos in corso. Dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio per il 2019 dobbiamo ricordare che i comuni hanno operato con modalità diverse tra loro: alcuni hanno concesso la proroga, altri non l'hanno riconosciuta e hanno avviato le gare; altri ancora hanno concesso proroghe limitate nel tempo, in attesa del riordino della materia; altri, infine, hanno lasciato inevase le istanze dei concessionari. Va ricordato che anche la giustizia amministrativa ha generato ulteriore incertezza nel settore, adottando pronunce contrastanti, sia favorevoli alle proroghe automatiche e quindi ai concessionari, sia orientate a negarle, stabilendo la messa a gara delle concessioni scadute (si potrebbero ricordare varie sentenze). Il 13 gennaio del 2022, con una decisione di tenore opposto a quella dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, di cui alle sentenze n. 17 e n. 18 del 9 novembre 2021, lo stesso Consiglio di Stato ha decretato l'inapplicabilità della direttiva Bolkestein ai rapporti concessori sorti prima del 2010, anno in cui è stata recepita dall'ordinamento italiano tale direttiva, confermando quindi il principio del legittimo affidamento. Soprattutto, occorre affermare che le due sentenze del Consiglio di Stato sulle concessioni balneari vanno molto oltre quelle che sono le attribuzioni e anche le normali pronunce del massimo organo di giustizia amministrativa.
Esse, infatti, danno per deciso quel che non è ancora deciso, perché lo sarà dopo la ricognizione se il bene spiagge sia scarso e, quindi, da sottoporre a bando e, dunque, dopo, la ricognizione fatta grazie alla norma prevista dal disegno di legge sulla concorrenza.
Dunque, Forza Italia condivide l'osservazione che non è possibile che la giustizia amministrativa si sostituisca al legislatore. Forza Italia è sempre stata al fianco delle battaglie degli operatori del settore con innumerevoli prese di posizione ed emendamenti; basta ricordare solo nei tempi più recenti la soluzione del problema dei pertinenziali o l'estensione della proroga delle concessioni marittime anche ai beni gestiti dalle associazioni sportive. A parte la mancata preventiva autorizzazione delle normative nazionali applicabili in tale settore, occorre ricordare, come affermato anche da diverse sentenze, che la direttiva Bolkestein non è auto-esecutiva e non trova, pertanto, diretta applicazione in Italia.
Dunque, colleghi, io credo - e questo è stato un po' il senso di tutti gli interventi nel corso di questa discussione generale - che si tratti di difendere una platea di 30 mila aziende e 300 mila lavoratori e si tratti di difendere la specificità del settore turistico-balneare italiano. Quando noi diciamo che occorre difendere l'italianità del settore e impedire la svendita al miglior offerente del patrimonio demaniale marittimo del nostro Paese non stiamo facendo una battaglia protezionistica e di retroguardia, stiamo invece lavorando per realizzare un futuro migliore per le nostre piccole e medie imprese, stiamo difendendo le specificità del settore, stiamo sbloccando gli investimenti in un settore che da ben 17 anni è sotto il tiro della magistratura amministrativa e stiamo mettendo i nostri balneari in condizioni di parità con i competitor internazionali ai quali le nostre spiagge fanno gola.
Bene ha fatto il Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Mariastella Gelmini, a convocare un tavolo con le regioni, l'ANCI e l'UPI, al quale prenderanno parte anche i Ministri dello Sviluppo economico e del Turismo, con l'obiettivo di trovare una soluzione per i balneari. È un passo nella giusta direzione e bene hanno fatto anche le regioni, il 7 febbraio, a chiedere al Governo un immediato cambio di passo sul tema del demanio marittimo, provvedendo ad una riforma condivisa che ponga fine ad anni di incertezze e di contenziosi legali. Gli assessori al demanio hanno offerto la propria disponibilità a collaborare con le proprie competenze tecniche, ritenendo non più tollerabile che l'Esecutivo continui a escludere i territori, quali le regioni e i comuni, da un confronto su un tema che necessita rapidità e condivisione.
Ciò premesso, occorre indubbiamente fare i conti con la realtà: è innegabile che i segnali che giungono da Bruxelles non siano favorevoli, dunque, nelle mozioni sul tema delle concessioni balneari che approveremo nei prossimi giorni occorrerà dare indirizzi al Governo per garantire la tutela del settore balneare. Ne elenco alcuni che Forza Italia ritiene necessari; a nostro giudizio si tratta di garantire il diritto degli attuali concessionari al riconoscimento del valore dell'avviamento commerciale e dei manufatti realizzati sull'area data in concessione e regolarmente autorizzati, al riconoscimento del valore commerciale dell'azienda in caso di subentro di terzo soggetto, al riconoscimento del legittimo affidamento e cioè la tutela della certezza del diritto e della buona fede di chi ha confidato in un assetto normativo e amministrativo previgente, al riconoscimento della professionalità acquisita dagli attuali operatori delle imprese balneari, al ripristino del diritto di insistenza, ossia del diritto di preferenza dei concessionari uscenti che era previsto nel decreto-legge n. 194 del 2009, all'applicazione puntuale delle facoltà previste dall'articolo 12 della direttiva Bolkestein che prevede la tutela di obiettivi di politica sociale, della salvaguardia del patrimonio culturale e di motivi imperativi di interesse generale, al riconoscimento di una competenza concorrente delle regioni nell'integrazione dei criteri delle evidenze pubbliche con lo scopo di valorizzare gli elementi identitari della fascia costiera, alla creazione, infine, di un sistema concessorio che favorisca lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese turistico ricreative operanti in un ambito demaniale marittimo, lacuale e fluviale, dando attuazione alle disposizioni dell'Unione europea a tutela delle piccole e medie imprese. Inoltre, Forza Italia chiederà di impegnare il Governo per un'effettiva difesa delle ragioni del nostro Paese nell'ambito della procedura di infrazione in corso a Bruxelles; bisognerà, anche, in quella sede, chiarire se le concessioni demaniali marittime possano essere considerate come cessione di beni e non di servizi. Bisognerà impegnare il Governo ad accelerare il procedimento di ricognizione necessario ad accertare la sussistenza o meno della scarsità della risorsa, presupposto per l'applicazione al settore della direttiva Bolkestein.
Sono questi in sintesi gli impegni che Forza Italia chiederà di sottoscrivere alle altre forze politiche nell'ambito di un'eventuale mozione; altro non sono che le ragionevoli richieste che ci provengono dal settore. Quest'Aula deve necessariamente ascoltarle con la dovuta attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tasso. Ne ha facoltà.
ANTONIO TASSO (M-MAIE-PSI-FE). Grazie, Presidente. Lo sviluppo costiero della nostra penisola e delle isole è di circa 8 mila chilometri nelle forme più varie e il sottoscritto, provenendo dal Gargano, ha particolare sensibilità verso le problematiche di chi su quelle coste ha fondato il proprio progetto di vita. E quando si parla di questo, da anni, si parla della direttiva Bolkestein e quando io ci penso i termini che mi vengono in mente sono: confusione, inadempienza, poca attenzione, superficialità e tanti altri termini non propriamente positivi.
Allora, partiamo dalla fine; c'è una sentenza del Consiglio di Stato, la n. 18 del 9 novembre del 2021, che ha bocciato la legge n. 145 del 2018 che indicava il termine delle concessioni demaniali al 31 dicembre 2033. Oggi, il Parlamento - quindi, tutti noi - si trova di fronte a una necessità fondamentale: da una parte, bisogna fornire una risposta ai diretti interessati, quindi, agli operatori balneari e, dall'altra, è necessario ottemperare al dettato di una decisione che pare non lasciare più spazio a deroghe. Io devo dirlo chiaramente, sinceramente, onestamente, il fatto che si sia arrivati a questo punto dal 2006, anno in cui la direttiva venne emanata, è anche per responsabilità della politica che non si è mai rapportata in maniera convinta con la “Bolkestein” e con tutto ciò che essa rappresenta, cioè concessioni, canoni, concorrenza e quant'altro. Diciamo che abbiamo tentato di farlo con la legge n. 145 del 2018, dove lo spostamento del termine concessorio al 31 dicembre 2033 nelle intenzioni del legislatore non era da considerarsi una proroga, ma un opportuno - a detta del legislatore - periodo transitorio per permettere, appunto, le riforme necessarie e redigere una normativa puntuale che aiutasse la categoria e gli operatori interessati ad avere delle certezze che potessero guidarli negli investimenti opportuni. Di certo parliamo di un lavoro molto complesso che, come ho già detto, abbisogna di un periodo transitorio che porti a un'evidenza pubblica, come indica l'Unione europea, ma non con delle aste, come si è sentito dire qualche volta, che a mio parere, consentendo l'aggiudicazione legata solo ad un piano economico - vince chi ha più soldi, in buona sostanza –, determinano un sistema arido che non tiene conto del lavoro pregresso, degli investimenti, della qualità del lavoro svolto, della storicità dell'azienda e del suo effettivo valore.
Elementi questi che dovranno invece essere considerati nelle gare, queste sì, che andranno ad evidenza pubblica e che determinino un punteggio che vada a riconoscere chi in questo lavoro ci ha messo l'anima. Ora, la domanda che mi pongo è: si riuscirà a determinare entro il 31 dicembre 2023, come il Consiglio di Stato ha indicato, un piano operativo che riformi il codice della navigazione e il piano di riordino dei porti, che individui precisamente le strutture, le concessioni, le aziende che ne beneficiano, e precisi se le spiagge libere rispondono ad una percentuale di congruità? Oppure è necessario darsi un po' più di tempo, ma con il preciso impegno che si porti a compimento questo lavoro, che va realizzato presto, con i criteri giusti, che non penalizzino, anzi, agevolino chi ha fatto impresa nel modo giusto?
Anche perché tra i vari punti dell'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza la Commissione europea ci ha chiesto espressamente di risolvere la questione della Bolkestein, e quindi…
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Tasso.
ANTONIO TASSO (M-MAIE-PSI-FE). …la sua risoluzione è indispensabile - mi avvio alla conclusione - per non rischiare di vanificare tutto il sistema del PNRR. Ecco perché la politica ha un compito delicatissimo, cioè sedersi ad un tavolo con le rappresentanze di categoria e mettere giù criteri…
PRESIDENTE. Grazie.
ANTONIO TASSO (M-MAIE-PSI-FE). …e principi - concludo, Presidente - che vadano a normare le gare per dare quelle sicurezze che al momento non ci sono.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rampelli. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI (FDI). Presidente Rosato, sottosegretario, colleghi deputati, una riflessione aggiuntiva che non può fare a meno di partire dall'approccio confusionario di questa direttiva, anche nella sua applicazione nei diversi Paesi europei, fermo restando che, come è noto, lo ricordo, alcune nazioni non aderiscono alla Bolkestein o comunque la disapplicano senza che ci siano da parte dell'Unione europea e delle sue eurocrazie particolari motivi di risentimento. Probabilmente, negli anni trascorsi si è fatta nei confronti dell'Italia circonvenzione di incapace, è probabile che non ci sia stata la capacità negoziale per dare all'Italia quei diritti che altre Nazioni, senza dover troppo faticare e penare, si sono invece conquistati sul campo. Quindi, la considerazione preliminare che va fatta rispetto a questa direttiva - lo ricordo, a proposito di confusione - è che è stata quasi rinnegata in alcuni princìpi applicativi dal suo stesso padre, Frits Bolkestein, il quale, in interviste, ma anche in presenza - è venuto mi pare proprio due anni fa qui in Italia - ha rilasciato dichiarazioni nelle quali, in maniera molto rigorosa, ha detto in lungo e in largo che nelle modalità applicative quella intuizione era stata completamente travisata, manipolata.
Quindi dovremmo, in teoria, se la confusione arriva al punto da vedere rinnegati i principi di questa direttiva dal suo stesso padre ispiratore, mobilitare il Governo italiano una volta per tutte - perché questo appello è stato fatto già negli anni trascorsi, nelle precedenti legislature - per riaprire un negoziato sulla direttiva Bolkestein. Altre direttive sono state riviste, lo citava qualche collega nel corso di questo dibattito. C'è un margine almeno per precisare i livelli di applicazione e per espungere, come chiedono in molti, alcune aree, alcuni comparti da questa direttiva. Noi metteremo alla prova il Governo da questo punto di vista, a cominciare dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, la cui autorevolezza internazionale è tale e tanta da non lasciare dubbi rispetto alla sua eventuale volontà di porre autorevolmente a Bruxelles la questione dell'applicazione della direttiva Bolkestein, che è solo uno dei segmenti che rischiano di mettere a repentaglio gli interessi nazionali. Noi vogliamo capire se il Governo, sostenuto da una maggioranza bulgara - si sarebbe detto qualche tempo fa – abbia intenzione di far valere questa sua forza per tutelare gli interessi nazionali, e quindi alcuni asset strategici tra cui noi mettiamo anche i comparti interessati dall'applicazione della direttiva Bolkestein. Mi riferisco al comparto della balneazione e a quello del commercio su aree pubbliche, i cosiddetti ambulanti, ma non meno rilevante è la nota vicenda delle guide turistiche, che sono di fatto equiparate - vergogna delle vergogne - a degli accompagnatori turistici che non hanno svolto alcun percorso di studio, che non sono laureati, che non hanno affrontato esami di Stato, che non hanno un'abilitazione, che non sono dei professionisti. Probabilmente, per un mero errore di traduzione, c'è stata questa confusione per cui anche le guide turistiche sono finite nel tritacarne di questa direttiva europea.
Penso e spero, caro sottosegretario, che il Governo voglia già in questo dibattito, quando arriveremo alla fase del voto, dare delle indicazioni, sciogliere alcuni dei dubbi che si sono manifestati in quest'Aula, oggi. Rammento che non può che essere questa la strada da percorrere perché non mi risulta che avremo grandi vantaggi dal punto di vista degli interessi della nostra comunità nazionale nell'applicazione della direttiva Bolkestein. Non credo per esempio - parlavo poco fa di guide turistiche - che i nostri operatori culturali avranno la possibilità, perché manca la materia prima, di riversarsi in particolare nei Paesi del Nord Europa per approfittare, diciamo così, della direttiva Bolkestein per poter entrare nel mercato tedesco, nel mercato svedese, nel mercato olandese e negli altri mercati del Nord Europa perché lì non c'è il Pantheon, non c'è il Colosseo, non c'è il Palazzo della Signoria, non ci sono le preesistenze museali, archeologiche. I beni culturali e monumentali di cui dispone l'Italia sono una grande ricchezza e noi la dobbiamo comunque tutelare e salvaguardare. Altrove il principio della reciprocità non è applicabile, non solo nel campo appena citato del turismo ma neanche negli altri due campi. Che cosa si può andare a gestire in termini di arenili nel Nord Europa? Che cosa ci danno in cambio, proprio volendo fare un ragionamento terra terra, dozzinale? Le imprese italiane che operano nel campo della balneazione possono vedere applicato il principio della reciprocità o no? Mi pare proprio di no. Se poi togliamo la Spagna, il Portogallo e la Croazia, giustamente, davvero non si sa proprio dove andare a rovistare per provare a dare magari alle grandi imprese, con la loro enorme esperienza, per esempio quelle della riviera adriatica, la possibilità di applicare la Bolkestein al di fuori dei confini nazionali. Non c'è materia.
Non c'è neanche per il commercio su aree pubbliche, posto che i centri commerciali nascono praticamente nel Nord Europa, nascono dove ci sono climi rigidi. Noi abbiamo un clima fortunatamente mite e abbiamo la possibilità di questa sorta di specificità tutta italiana dei mercati rionali, del commercio su aree pubbliche, che viene fatto da imprese piccole, talvolta a conduzione familiare. Tali mercati comunque consentono, attraverso l'utilizzo proprio e proficuo di questi spazi pubblici, di unire un principio di libertà economica e un principio anche di utilità profittevole.
Caro sottosegretario e cari colleghi, penso che questa sia una battaglia importante e penso che vada portata innanzi con il massimo della determinazione possibile. Nel caso della gestione degli arenili intanto anche noi riteniamo, visto che la Bolkestein viene applicata per la gestione di servizi, che c'è anche lì un dilemma da cercare di approfondire, perché lì siamo in presenza di concessioni demaniali e non di gestione di servizi. Potrebbe essere il passo successivo quello dei servizi pertinenti, ma il dato fondamentale è quello della concessione demaniale.
Lì si palesa un altro problema, che non è certamente irrilevante, ed è quello rappresentato dal fatto che, per la conformazione anche geomorfologica della nostra Nazione, le coste sono di fatto un confine. Non è proprio la cosa più normale del mondo consentire a soggetti economici stranieri - anche se soggetti economici e non militari - di venire a gestire le aree demaniali di confine della nostra Nazione, per un totale di 8.000 chilometri di coste. Io penso sia veramente improprio e, quindi, va fatto salvo anche questo principio di sovranità (chiamiamolo così per facilità di comprensione), ma va applicato anche l'articolo 158 del Trattato fondativo dell'Unione Europea - e concludo, Presidente -, il quale viene troppo spesso trascurato. Ne sono stati citati un paio certamente, ma c'è anche questo che prevede la coesione economica e sociale dell'Europa, degli Stati nazionali, delle imprese, una coesione che è di fatto indirizzata alla crescita economica e al benessere delle imprese e mi pare che, nel caso di un'applicazione pedissequa di questa direttiva, avremmo, invece, il tracollo di ampi settori dell'economia, sia direttamente sia indirettamente coinvolti, perché facenti parte del cosiddetto indotto.
La nostra mozione - e questa è l'ultima battuta che faccio - ha lo scopo certamente di mettere in ordine questo settore, di dare indirizzi chiari al Governo, di stimolare lo stesso a farsi rispettare in Europa e a riaprire un tavolo, perché questa è l'unica soluzione possibile. Infatti, quella direttiva, che pure muoveva da principi keynesiani - diciamo così - in termini economici, se applicata alla lettera, va in direzione diametralmente opposta. Lo diceva prima il collega Fassina. Non credo sia possibile, attraverso il regime delle gare, mettere in competizione la Red Bull, tanto per fare un esempio pratico di una grande, gigantesca multinazionale che si è appalesata nell'Adriatico, nella zona di Trieste, con un'impresa a conduzione familiare. La libera concorrenza deve avere un suffisso, una parola aggiuntiva, che è quella dell'equità. Libera ed equa concorrenza: devono competere tra loro soggetti equipollenti…
PRESIDENTE. Grazie, presidente Rampelli.
FABIO RAMPELLI (FDI). …altrimenti diventa il dominio dei soggetti più forti, a discapito di quelli più deboli (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione.
Il Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00572, Porchietto ed altri n. 1-00580 e Benamati ed altri n. 1-00582 concernenti misure a sostegno del comparto automobilistico (ore 16,43).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00572, Porchietto ed altri n. 1-00580 e Benamati ed altri n. 1-00582 concernenti misure a sostegno del comparto automobilistico (Vedi l'allegato A).
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta dell'11 febbraio 2022 (Vedi l'allegato A della seduta dell'11 febbraio 2022).
Avverto che è stata presentata la mozione Chiazzese ed altri n. 1-00583 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, sarà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il collega Piastra, che illustrerà anche la mozione Molinari ed altri n. 1-00572, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
CARLO PIASTRA (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, la questione che trattiamo oggi non è ideologica o un tema che debba portare a divisioni politiche…
PRESIDENTE. Collega Piastra, chiedo scusa. Può cambiare microfono? C'è un problema di qualità. Prego, quello che le piace di più.
CARLO PIASTRA (LEGA). Proviamo questo.
PRESIDENTE. Prego.
CARLO PIASTRA (LEGA). Grazie di nuovo, Presidente. Onorevoli colleghi, dicevo che la questione che trattiamo oggi non è ideologica o un tema che debba portare a divisioni politiche, dal momento che parliamo del presente e del futuro di un settore che ha dato lavoro e che - ne siamo convinti - deve continuare a creare occupazione anche in futuro. Parliamo della sopravvivenza del settore automobilistico italiano, lo stesso attraverso il quale l'Italia ha diffuso nel mondo i propri marchi di successo, di efficienza, di bellezza e di eleganza, raggiungendo traguardi che oggi tutto il mondo ci invidia.
Tuttavia, una pluralità di fattori oggi minaccia la sopravvivenza dell'intero settore dell'automotive, a cominciare dai temi della transizione ecologica che impongono di reindustrializzare o, se preferiamo, innovare nel medio periodo gran parte degli stabilimenti del Paese, in funzione del passaggio all'elettrico. Infatti, incombe la necessità di superare, entro la deadline del 2035, i motori endotermici (anche qui magari una riflessione dovremmo farla).
In secondo luogo, la sfida è quella di far avanzare la nostra tecnologia. Esistono già aziende - cito soltanto, come mero esempio, il nome della Magneti Marelli - che sono già in grado di reggere il confronto con i colossi asiatici sul piano dell'approccio produttivo e tecnologico nella realizzazione di batterie elettriche, a fronte di un Paese, la Cina, che detiene, però, le conoscenze e il know-how più avanzati in termini di componentistica. È una posizione di vantaggio dovuta alla disponibilità estrattiva che lo Stato asiatico ha maturato nel tempo, attraverso accordi multilaterali ed estraendo materie prime anche in Paesi in via di sviluppo, ma anche per il fatto di aver investito e raggiunto livelli importanti nel recupero di materiali quali il rame, la grafite, il nichel, il litio, il silicio, lo zinco, il manganese e il cobalto, che risultano fondamentali nello sviluppo delle stesse tecnologie digitali e che hanno oggi quotazioni importanti sul mercato internazionale; anzi possiamo proprio dire che l'aumento dei costi delle materie prime rallenta e mette in discussione alcuni degli obiettivi fissati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che hanno proprio nell'ammodernamento, dovuto all'introduzione di nuove tecnologie, un aspetto importantissimo.
In terzo luogo, esiste il problema, non certamente secondario, dell'occupazione. La rivoluzione copernicana che si sta verificando nell'industria mondiale è un cambio di paradigma simile a quello che in passato ha introdotto un'economia di tipo industriale rispetto alla precedente epoca. Abbiamo già misurato i primi effetti del cambiamento attraverso i primi approcci nel Paese della cosiddetta Industria 4.0 o Impresa 4.0. Parliamo di tecnologie capaci di interagire attraverso nuovi processi informatici, senza contare i passi da gigante compiuti dalla robotica o dall'intelligenza artificiale, assieme alla convergenza delle informazioni provenienti dalle reti mondiali nei cosiddetti big data. Saranno dirompenti le conseguenze derivanti dall'introduzione di una tale mole di tecnologia rispetto ai processi industriali che conosciamo. Secondo le analisi di vari istituti di ricerca, compiute anche prima della pandemia, sappiamo che il 50 per cento dei lavori attuali non esisterà più in futuro. Ma il vero problema è che non c'è unicità di vedute su quelle che saranno le professioni del futuro e, purtroppo, l'incertezza regna sovrana.
Ma il nostro compito di rappresentanti dei cittadini in quest'Aula, tuttavia, non è quello di perdersi in disquisizioni filosofiche o di interrogarci, in maniera passiva, su cosa ci attenderà nel futuro, anche perché abbiamo visto dall'esperienza della pandemia come la globalizzazione sia un processo in grado di sconvolgere le nostre vite nel volgere di un lasso di tempo molto breve, avendo ormai accorciato irrimediabilmente le distanze, globalizzando l'informazione, le tendenze e i processi produttivi ed economici, compresi, però, i rischi portati da tutto questo e, purtroppo, con i rischi pandemici ce ne siamo accorti. Il nostro ruolo, dicevo, è quello di prendere decisioni importanti per far sì che la transizione sia accompagnata. I lavoratori del comparto automobilistico, comprendendo l'indotto, sono decine di migliaia, impiegati in varie regioni italiane. Nell'Emilia, dalla quale provengo e che si è fatta lungamente lustro di marchi come Ferrari, Maserati e Lamborghini, si parla di circa 73.000 unità lavorative, includendo l'indotto, messe a rischio dalla crisi che sta portando al cambiamento del settore dell'automotive. Parliamo non solo di numeri, ma di 73.000 famiglie, soltanto in Emilia, che rischiano di non avere una fonte di reddito.
È opportuno provvedere con gli strumenti che abbiamo, come gli ammortizzatori sociali, ma la questione importante è che non è possibile ignorare il cambiamento. Il progressivo passaggio all'elettrico deve essere accompagnato da impegni precisi da parte dei player del settore dell'automobile, affinché provvedano, nei loro piani industriali, a investire le risorse per riconvertire gli impianti. Occorrono investimenti in tecnologie, la formazione necessaria affinché i lavoratori possano continuare ad essere impiegati nel settore, misure straordinarie per favorire il reimpiego dei lavoratori in uscita, ma occorrono soprattutto garanzie a proposito di una permanenza sul territorio nazionale di tali gruppi industriali, perché un altro rischio che non possiamo permetterci di ignorare è la delocalizzazione di impianti produttivi verso luoghi dove, molto semplicemente, la manodopera costa meno, come la stessa energia. Mentre sappiamo che vi sono Paesi asiatici ed altri luoghi del cosiddetto Sud del mondo, che hanno adottato vere e proprie zone franche per polarizzare investimenti da parte di grandi gruppi internazionali; zone franche nelle quali, in un recente passato, organismi internazionali hanno ravvisato palesi violazioni rispetto ai diritti dei lavoratori.
Il ritardo con il quale alcuni player stanno presentando il proprio piano industriale per alcuni dei propri stabilimenti nel nostro Paese sta creando sui territori un certo grado di fibrillazione. Ci si chiede che ne sarà, per esempio, dei siti industriali che negli scorsi decenni hanno occupato migliaia di dipendenti nella produzione dei motori diesel, venduti poi alle case automobilistiche di tutto il pianeta. La progressiva dismissione dei motori a combustione interna creerà un dissesto palpabile in tutto il settore, senza fare distinzione e coinvolgendo tutta la filiera e l'indotto. Non dobbiamo, infatti, dimenticarci che le aziende della nostra epoca non sono più scatole nelle quali trovare tutti i passaggi della produzione. Le imprese oggi sono strutture ad anelli sparsi per il globo, che si mettono in moto ed interagiscono in funzione degli ordinativi.
La crisi di una parte del sistema si propaga immediatamente al resto del comparto, coinvolgendo la componentistica, i motori, fino alla logistica e ai servizi all'interno delle stesse imprese. Quantificare oggi il danno che deriverebbe da una seria compromissione del settore dell'auto è praticamente impossibile, di certo non sarebbe limitato alla sola perdita occupazionale nel comparto specifico.
Signor Presidente, mentre mi accingo a concludere questo mio intervento, ritengo doveroso rivolgere il mio appello affinché vi sia, da parte di tutti gli attori sociali del sistema, un impegno comune, mirato a trovare soluzioni per tutelare gli impianti industriali, favorendo investimenti in grado di sostenere l'occupazione e di creare ricadute positive per i territori.
Parallelamente, vanno cercate tutte le risorse e le vie per favorire l'innovazione tecnologica e la ricerca, al fine di stimolare la competitività del sistema produttivo italiano, che resta l'unica via possibile per salvaguardare i livelli occupazionali e la continuità di un settore che deve continuare a dare lustro e vitalità al nostro Paese. Grazie per l'attenzione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battilocchio, che illustrerà anche la mozione Porchietto ed altri n. 1-00580, di cui è cofirmatario.
ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI). Grazie, Presidente. Signor Vice Ministro, nel 2021 il mercato italiano dell'auto si è chiuso con 1.457.952 autovetture immatricolate. Rispetto al 2020, anno della pandemia, il volume delle registrazioni è cresciuto del 5,5 per cento, ma a confronto con il 2019, il mercato ha accusato un calo del 23,9 per cento, con ben 460 mila auto perse.
Secondo i calcoli del centro studi Promotor, si tratta di un numero insufficiente a consentire un'adeguata sostituzione delle auto giunte a fine vita, che dovrebbe essere di almeno 2 milioni di nuovi veicoli l'anno, necessari per evitare un ulteriore decadimento del nostro parco auto.
In tale contesto, occorre ricordare come il parco circolante italiano resti il più vecchio d'Europa: nel 2020 l'età media delle auto nel nostro Paese è stata pari a 11 anni e 10 mesi, a fronte di un'età media europea di 10,8 anni. Un'auto su 5 è una Euro 0-2, con almeno 18 anni di anzianità. Questa situazione, è chiaro, ha conseguenze pesanti per la sicurezza e per l'inquinamento atmosferico.
Secondo i dati pubblicati dal Ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, a gennaio 2022 il mercato italiano risulta ancora debole e l'ISTAT ha stimato, per il mese di gennaio, una diminuzione sia dell'indice del clima di fiducia dei consumatori, sia dell'indice composito del clima di fiducia delle imprese, ma anche dell'indice relativo all'opportunità attuale all'acquisto di beni durevoli, tra cui appunto l'automobile.
Analizzando nel dettaglio le immatricolazioni per alimentazione, le autovetture a benzina vedono il mercato di gennaio ridursi del 39,1 per cento, con una quota di mercato del 27,4 per cento, mentre le diesel, con il 18,5 di quota, si riducono del 44,2 per cento rispetto al primo mese del 2021. Per la filiera, quindi, siamo di fronte ad un trend ancora fortemente negativo, in continuità con i dati del secondo semestre 2021.
Diverso è il trend per le immatricolazioni delle auto ad alimentazione alternativa: queste rappresentano il 54,1 per cento del mercato di gennaio, in crescita del 16,8 per cento nel mese. Questo trend positivo del settore elettrico, anche in una situazione di crisi economica, è legato all'introduzione di incentivi per il mercato auto, sia alle politiche europee e mondiali, tutte fortemente indirizzate ad uno sviluppo massiccio di questo settore.
Oltre alla situazione economica, le cause del crollo di immatricolazioni sono diverse. La crisi dei microchip sta fortemente ostacolando la produzione di auto, con la conseguenza di carenze di prodotto per soddisfare la domanda. Un altro fenomeno fortemente penalizzante è costituito dal disorientamento degli acquirenti, che non ritengono ancora di poter passare all'elettrico per il loro tipo di utilizzo dell'auto e per la carenza di infrastrutture di ricarica, ma che comunque si astengono dall'acquistare auto tradizionali.
Inoltre, occorre sottolineare come le politiche governative adottate negli anni precedenti siano apparse ispirate ad una logica «stop and go», a fronte del ripetuto esaurimento delle risorse disponibili.
Per l'anno 2022 nulla è previsto, se non un sostegno per le imprese di settore, consistente in una quota parte di un fondo di 150 milioni di euro, da condividere con turismo e spettacolo.
In questo contesto va ricordato come, nel dicembre 2021, il Comitato interministeriale per la transizione ecologica (CITE) abbia stabilito che la produzione dei motori a combustione interna sia destinata a cessare entro il 2035, con una proroga al 2040 per furgoni e veicoli commerciali leggeri; una decisione che ha suscitato le immediate reazioni negative delle imprese di settore, che vedono il rischio concreto di migliaia di licenziamenti «a causa di una accelerazione troppo spinta verso l'elettrificazione». Confindustria ha rilevato la «mancanza di una progettualità chiara, che consenta a migliaia di aziende italiane del settore di adeguarsi gradualmente» a questa cornice dell'Unione europea.
Presidente, questo settore è uno dei fiori all'occhiello dell'industria italiana e rappresenta una quota importante del nostro prodotto interno lordo. In tale contesto, la filiera italiana della componentistica dell'industria automobilistica è costituita da più di 2.000 imprese ed impiega più di 150.000 dipendenti; con l'indotto, il settore dà lavoro a circa 1 milione di persone. La messa al bando dei motori a combustione interna al 2035 causerebbe per l'intera filiera danni incalcolabili. In termini occupazionali, l'impatto è quantificato in mezzo milione di posti di lavoro persi in Europa e, tra i Paesi europei produttori di componenti, l'Italia è quello che in percentuale rischia di perdere il maggior numero di addetti. Tra l'altro, alcune vicende industriali ci mostrano quotidianamente le difficoltà direttamente collegate al ridimensionamento del comparto della componentistica automobilistica tradizionale diesel e benzina.
Nel corso di un tavolo tenutosi a fine 2021 presso il Mise, era stata valutata l'ipotesi di stanziare almeno 1 miliardo di euro all'anno per tre anni, con l'obiettivo di rendere strutturali le misure adottate ed evitare che sul mercato regni un clima di incertezza. I partecipanti a quell'incontro avevano evidenziato, inoltre, la necessità di intervenire su tutto il parco auto e di non chiudere le linee di finanziamento nei confronti delle auto tradizionali. Va sottolineato come il Piano nazionale di ripresa e resilienza comprenda la componente “Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile”, con risorse pari a 23,78 miliardi di euro. Il Piano per la transizione ecologica, che accompagna gli interventi del PNRR, prevede l'uso di carburanti a minor impatto e, a partire dal 2030, che almeno il 50 per cento delle motorizzazioni sia elettrico. Presidente, l'industria automobilistica, come anche la filiera della componentistica, necessitano di interventi specifici - come stanno facendo altri Paesi europei con alta vocazione in questo comparto -, nei quali si prevedano, sia il sostegno alla ricerca e allo sviluppo di prodotti e tecnologie innovative in grado di competere a livello globale, sia interventi mirati per l'ammodernamento, la riconversione produttiva e la riqualificazione professionale.
Con questa mozione, vogliamo impegnare il Governo ad adottare iniziative per rifinanziare, in un prossimo provvedimento urgente, su base triennale, il Fondo per l'incentivazione della mobilità a basse emissioni, per consentire il sollecito ricambio del parco veicoli italiano e ridare certezza agli operatori del settore. Riteniamo indispensabile prevedere l'istituzione di un fondo pluriennale per la riconversione dell'industria, destinato ad accompagnare l'aggiornamento tecnologico e la riconversione delle imprese e a professionalizzare i lavoratori del comparto automobilistico nazionale. Occorre rinviare l'applicazione di quanto stabilito dalla decisione del CITE e prevedere una nuova consultazione delle organizzazioni di settore nell'ambito del tavolo preposto, quale sede opportuna ove stabilire le corrette modalità della transizione ecologica per la filiera. Il Governo si deve, poi, attivare nelle sedi istituzionali europee per sostenere e valorizzare l'industria automobilistica e la relativa componentistica, intese come il comparto strategico dell'Unione europea. Questo può essere fatto solo con politiche e risorse aggiuntive, rispetto a quelle finora stanziate, promuovendo proposte che consentano una transizione sostenibile in termini sociali ed industriali e che prevedano target realisticamente raggiungibili per il settore.
Inoltre - e mi avvio alla conclusione -, va assolutamente rafforzata la capacità di ricerca e sviluppo in ambito tecnologico, nonché produttivo del nostro Paese nel settore della mobilità, sia individuale che collettiva, prevedendo semplificazioni burocratiche ed incentivi adeguati per l'attrazione di investimenti stranieri.
Presidente, colleghi, signor Vice Ministro, è necessario avviare al più presto queste ed altre iniziative concrete, a tutela di un comparto che in Italia conta centinaia di aziende e dà lavoro ad oltre 250 mila persone e che, ancora una volta, come la nostra storia ci insegna, potrà essere trainante per la ripresa del Paese.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bonomo, che illustrerà anche la mozione Benamati ed altri n. 1-00582, di cui è cofirmataria.
FRANCESCA BONOMO (PD). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Vice Ministro Pichetto, l'Italia deve molto alla produzione di auto, veicoli commerciali e industriali, che hanno trainato lo sviluppo di competenze, innovazione e capacità produttiva anche in comparti collegati, a partire dalla fabbricazione di macchine e impianti con benefici economici e sociali per tutto il Paese. Si tratta di un settore che rappresenta l'eccellenza italiana nel mondo e che ha inciso in maniera determinante sulla crescita economica, sociale e culturale del nostro Paese. Le auto italiane sono su ogni strada del pianeta, simbolo della nostra capacità di pensare e di realizzare, del nostro stile, della nostra cultura. La produzione italiana si contraddistingue da sempre per elaborare soluzioni eleganti ed efficaci, al passo con i tempi e con le esigenze dei clienti, così, anche nel settore dei veicoli commerciali ed industriali. Anche oggi, pur a fronte di una drastica diminuzione della produzione nazionale di autoveicoli - che passa dagli oltre 1,8 milioni di veicoli nel 1997 a soli 700.000 nel 2021, di cui meno di 500.000 autovetture -, il settore automotive nel suo insieme ha un peso rilevante nell'economia italiana, grazie ad una progressiva autonomia e all'internazionalizzazione dei mercati dei produttori di componentistica presenti nel Paese con un forte contributo alle esportazioni. Nel 2019, il settore dell'automotive valeva un fatturato di 93 miliardi di euro, pari al 5,6 per cento del PIL nazionale, 5.700 imprese e 250.000 occupati, il 7 per cento dell'intera forza lavoro dell'industria manifatturiera italiana (fonte ANFIA). Nel solo comparto della fabbricazione di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi operano più di 2.000 imprese, 180 mila lavoratori, ovvero l'11 per cento del totale degli addetti metalmeccanici, che producono un valore aggiunto superiore ai 13 miliardi di euro, ovvero il 13 per cento del totale metalmeccanico, ottenendo dalle esportazioni 31 miliardi di euro, poco più del 50 per cento del fatturato complessivo del comparto e circa il 16 per cento di quello delle esportazioni metalmeccaniche e il 7 per cento di quelle nazionali.
A tal proposito, i perimetri e gli impatti dell'automotive sono, più che in altri settori, in continua evoluzione ed oggi siamo di fronte a nuovi punti di svolte epocali. La transizione ecologica è un obiettivo importante e necessario di rilevanza strategica globale e di particolare rilevanza nella regione europea. Proprio l'intervento dei regolatori istituzionali, a fronte della grave emergenza ambientale legata ai consumi di energie non rinnovabili e alla sovrapproduzione di CO2, sta producendo una forte accelerazione dall'esterno ai processi di trasformazione dei mercati e degli attori automotive per la normale evoluzione delle tecnologie e per le naturali pressioni competitive. In particolare, in Europa, nel luglio del 2021, la proposal for a regulation of the European Parliament and of the Council ha previsto, entro il 2035, lo stop della vendita di nuove auto e, entro il 2040, dei furgoni che producono emissioni di carbonio. Nel dicembre 2021, il Comitato interministeriale per la transizione ecologica ha stabilito l'analogo stop per l'Italia.
Questi giusti e ambiziosi obiettivi, tuttavia, in assenza di una celere e straordinaria mobilitazione degli attori istituzionali in sinergia con gli operatori del settore, rischiano di provocare la perdita, in Europa, di un milione di posti di lavoro e, in Italia, di 73 mila posti, di cui 63 mila negli anni dal 2025 al 2030.
Non sono solo singoli lavoratori, ma saranno intere famiglie. A questa drammatica previsione si aggiunge poi il rischio di perdere fasce di mercato nel settore dell'automotive nelle quali ancora oggi la produzione italiana è protagonista e va ben oltre i soli i marchi prestigiosi e i modelli iconici. Corriamo un vero e proprio rischio di deindustrializzazione di un settore chiave dell'economia nazionale con effetti sul tessuto sociale del Paese. Un pericolo concreto che può abbattersi sul nostro presente e sulle nostre prospettive future: questo è il monito lanciato anche da Federmeccanica insieme a FIM FIOM e UILM. Si tratta di un ecosistema di creatività e imprenditorialità, conoscenze e saper fare, di imprese e lavoratori, che ha sviluppato l'identità riconosciuta globalmente nel connubio tra tecnologia e stile, tra prestazioni e percezione, tra funzionalità ed esperienza di guide di viaggio. Distretti come la Motor Valley, le aziende dello stile per la carrozzeria e gli interni, i centri di sviluppo di costruttori e componentistica realizzano produzioni di alta qualità e sviluppano contenuti di prodotto riconosciuti in tutto il mondo.
Da piemontese, e da torinese in particolare, come anche lei Vice Ministro, conosco molto bene il comparto di cui vado orgogliosa e che nella mia regione è rappresentato non solo dalla FIAT e dalle sue evoluzioni odierne ma dalle migliaia di piccole e medie imprese che lavorano nell'indotto e nel settore, vere colonne portanti dell'automotive italiano e piemontese e del nostro saper fare. Per limitare gli impatti negativi su occupazione e mercato di questa inderogabile transizione verso modelli ecologici è necessario un maggiore protagonismo del nostro Governo. Il Partito Democratico sono diversi anni che lavora per perseguire questo obiettivo e gli incentivi ottenuti nelle scorse leggi di bilancio, anche per i motori termici e non esclusivamente per l'elettrico, sono frutto anche di questo impegno. Grazie a questo impulso, al quale è seguito un impegno trasversale dei partiti di maggioranza, Governo e Parlamento con un'incisiva azione di politica industriale per il settore hanno introdotto nel “decreto Rilancio” e successivamente confermato nel “decreto Agosto” e nella legge di bilancio 2021 una serie di incentivi per l'acquisto di auto nuove, riuscendo a coniugare l'azione positiva per l'ambiente con l'eliminazione di vetture circolanti altamente inquinanti, l'incremento della sicurezza del parco circolante e il deciso sostegno ad un settore strategico per l'economia ed il lavoro degli italiani.
L'aver favorito il ritmo di sostituzione delle vetture con oltre dieci anni di vita ha fatto risparmiare all'ambiente decine di migliaia di tonnellate di CO2, grazie alla vendita di circa 100 mila vetture che non sarebbero state vendute in assenza degli incentivi varati con legge di bilancio per il 2021, in particolare quelli con emissioni di CO2 contenute tra 61 e 135 grammi per chilometro hanno infatti evitato, come per la seconda parte del 2020, che il mercato italiano crollasse. Nel primo trimestre 2021 l'andamento del mercato italiano pur registrando un calo del 12,7 per cento è risultato essere migliore di quello dei principali Paesi dell'Unione europea grazie al fatto che si erano previsti incentivi per il primo semestre del 2021, anche per sostenere le vendite di vetture ad alimentazione tradizionale. Poi, però, a seguito del COVID si è sommato all'aumento dei costi delle materie prime un aumento dei costi del gas e dell'energia elettrica che stanno mettendo a dura prova anche le aziende energivore che lavorano nel settore dell'automotive. Le enormi difficoltà che attraversa il settore, a cui si vanno ad aggiungere quelle non meno importanti determinate dalla carenza dei componenti elettronici, hanno messo in allarme gruppi come Stellantis, Toyota e Volkswagen. Numerosi stabilimenti - Pomigliano Val di Sangro e Melfi - nel corso degli ultimi mesi hanno più volte infatti interrotto seppur temporaneamente la produzione di autoveicoli per mancanza di microchip. L'azienda taiwanese TSMC, la più grande produttrice al mondo di semiconduttori, ha annunciato l'intenzione di innalzare i prezzi dei microchip fino al 20 per cento, prefigurando con tutta probabilità un forte rincaro in vista sui prodotti finali.
Nelle scorse settimane Stellantis ha manifestato l'intenzione di procedere ad una complessiva riorganizzazione degli impianti di produzione presenti nel nostro territorio, i cui effetti non sono ancora noti in ragione di un piano industriale che, secondo le dichiarazioni rese dall'amministratore delegato del gruppo, sarà reso pubblico a marzo del 2022.
Per alcuni stabilimenti, come la VM Motori di Cento operante dal 1947 nella produzione dei motori diesel, le prospettive appaiono incerte anche in ragione della specializzazione in un settore tecnologico tradizionale il cui futuro è segnato dalla transizione ecologica in atto.
Le ricadute di tali trasformazioni, oltre a destare forti preoccupazioni ai numerosi addetti del settore automotive, iniziano a produrre i primi effetti, in particolare sull'indotto della componentistica italiana, anche in situazioni aziendali di conseguimento di fatturato e utili, con la manifestazione di alcune crisi industriali che vedono il coinvolgimento di importanti e storiche aziende e il rischio di licenziamento per numerosi lavoratori.
Per tutte queste ragioni serve un'azione coordinata tra i Ministeri; per questo ringrazio il Presidente Draghi, il Ministro Giorgetti, ma anche il Vice Ministro Pichetto Fratin, qui presente, che è sempre stato un attivo interlocutore sul tema, che hanno accolto la richiesta appoggiata anche dall'intergruppo di Camera e Senato. Serve una politica industriale chiara e coordinata che possa accompagnare il settore dell'automotive, attraverso questa trasformazione. La posta in gioco, come specificato precedentemente, è molto alta.
Attraverso questa mozione vogliamo impegnare il Governo a mettere in atto alcuni punti cardine. Primo tra tutti la costituzione di un fondo dedicato al sostegno della diversificazione anche della subfornitura della filiera auto verso l'elettrico e il digitale e combustibili alternativi, in primis l'idrogeno, i materiali più leggeri e riciclabili e nuovi processi di fabbricazione, ma anche la previsione di aiuti alla transizione e alla riconversione del personale con piani di formazione per i lavoratori a rischio di licenziamento e la riconversione verso profili la cui domanda è in crescita nel medesimo territorio. La definizione anche di un sistema di accompagnamento strategico e operativo delle imprese della subfornitura dell'auto per aiutarle ad identificare mercati e diversificazione, nonché attuare piani d'azione per accedervi.
Stabilire anche misure concrete, sotto forma di sgravi fiscali e contributivi, per contrastare il deficit di competitività del nostro Paese e attirare sostanziali investimenti nelle nuove catene del valore dell'automotive - batterie, idrogeno, semiconduttori, motori elettrici, elettronica di potenza, connettività e servizi, economia circolare - a favore delle imprese già presenti nel nostro Paese e anche di nuovi investitori stranieri. Riteniamo, infine, fondamentale assicurare che i maggiori costruttori di veicoli a cominciare da Stellantis e IVECO mantengano in Italia importanti centri di ingegneria per la ricerca applicata sulle nuove tecnologie di prodotto e di processo.
Sul breve periodo è invece importante la prosecuzione dell'ecobonus nel triennio 2022-24 con una progressiva rimodulazione degli incentivi nel tempo, ma anche la previsione di interventi per le infrastrutture di ricarica private, la prosecuzione del credito d'imposta del 50 per cento per le utenze domestiche, per le piccole imprese, le partite IVA e una misura per lo sviluppo della ricarica all'interno dei condomini. Infine, per la transizione delle imprese della filiera, misure a sostegno della riconversione industriale dei lavoratori sono indispensabili per non perdere la competitività. Il 31 gennaio 2022, Confindustria, Confapi e le altre associazioni di categoria hanno trasmesso al Governo italiano, ai rappresentanti dell'Italia presso l'Unione europea e ai membri del CITE, la specifica richiesta di accompagnare la transizione energetica nel parco circolante al 2030, definendo target di mercato che valorizzino anche il contributo che i combustibili rinnovabili a basso contenuto carbonico sono in grado di assicurare nel breve periodo, garantendo allo stesso tempo un impatto meno violento della transizione sul tessuto industriale della mobilità.
Noi riteniamo che il Governo debba sostenere questa richiesta e farsi carico di ottenere dei risultati, in particolare in sede di Unione europea, perché le misure non siano solo italiane ma soprattutto europee. Si fa tra l'altro notare che il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha fatto anche osservare che la quota detenuta dall'azionista pubblico francese in Stellantis è cresciuta dopo l'operazione di fusione, determinando una distribuzione della proprietà diversa da quella precedentemente annunciata. Al fine di preservare gli interessi nazionali dell'industria automobilistica, le curie ramificazioni risultano estremamente significative nel panorama economico nazionale, potrebbe essere valutato, suggerisce il Copasir, un interessamento di Cassa Depositi e Prestiti il cui eventuale ingresso nel gruppo industriale potrebbe favorire un ribilanciamento di pesi tra la componente francese e quella italiana, così proteggendo le tecnologie e l'occupazione.
Il riferimento del passaggio del Copasir è relativo alla crescita della quota che lo Stato francese risulta possedere nel quarto gruppo automobilistico del mondo. Sono sicura che il Governo ha già tenuto conto di questi rilievi e sta valutando l'ipotesi dell'ingresso di CDP nel gruppo Stellantis. Non possiamo assistere silenti allo stato di profonda crisi in cui versa il settore, che è sempre stato il fiore all'occhiello del made in Italy, l'architrave del nostro sistema industriale economico e produttivo, che ha dato e dà lavoro a moltissime famiglie e che è sinonimo di Italia stessa in molte parti del mondo. Come avrebbe detto l'avvocato Agnelli, abbiamo il dovere della responsabilità. La sfida ecologica deve essere un'opportunità di rilancio e non la fine di un'epoca; sta a tutti noi raccoglierla e trovare le soluzioni per sostenere questo settore così determinante per la nostra economia, per le prospettive dei lavoratori e delle loro famiglie, per la nostra storia, per il nostro presente e per la nostra capacità di immaginare e di costruire il futuro, adesso, subito (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Chiazzese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00583. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CHIAZZESE (M5S). Grazie, Presidente, Vice Ministro e colleghi. In questo intervento in discussione generale mi limiterò ad esprimere alcune considerazioni più di natura tecnica, lasciando le valutazioni politiche ad una successiva dichiarazione di voto. Partiamo da un dato di fatto: l'emissione di gas serra, responsabile del cambiamento climatico in atto, negli ultimi decenni è stata davvero fuori controllo e, per dare alcuni numeri, vorrei citare i dati della NOAA, acronimo di National Oceanic and Atmospheric Administration, che è un'agenzia federale statunitense che si interessa proprio di oceanografia, meteorologia e climatologia. Ebbene, dal 1958, anno in cui sono iniziate queste misurazioni, ad oggi, ossia negli ultimi sessant'anni, la concentrazione di CO2 è passata da 315 parti per milione a 415 parti per milione, un aumento praticamente del 32 per cento in sessant'anni. Di fatto, noi con la nostra società, con il nostro modo di vivere stiamo conducendo il più grande esperimento fuori controllo della storia ed ognuno di noi ne è responsabile per la sua quota parte. La concentrazione di CO2 insomma non è mai stata così elevata come negli ultimi tre milioni di anni. È chiaro quindi che dobbiamo correre ai ripari e dobbiamo limitare in tutti i contesti le emissioni, anche e soprattutto nel settore dei trasporti che, a livello dell'Unione europea, vale circa il 25 per cento delle emissioni.
Il settore dell'automotive all'interno del settore dei trasporti occupa una fetta rilevante: noi al riguardo dobbiamo fare un grosso sforzo e diminuire le nostre emissioni addirittura del 90 per cento nel 2050 rispetto ai livelli del 1990 - quindi capiamo bene cosa vuol dire -, passando da un meno 55 per cento di emissioni nel 2030 sempre rispetto ai livelli del 1990. E' chiaro quindi che dobbiamo contribuire con tutti i settori e quindi anche quello dell'automotive non può sottrarsi. E qui, colleghi, la sfida sarà duplice: da un lato, dovremo ottenere questa grande decarbonizzazione che - è bene precisarlo anche all'interno di quest'Aula - non ci ha imposto Greta, perché siamo stati noi qui, in Parlamento, a mettere nero su bianco, sottoscrivendoli, gli impegni anche all'interno del PNIEC, del Piano nazionale integrato energia e clima. Abbiamo scritto che, nel 2030, dovremo avere, ad esempio, 4 milioni di auto elettriche in circolazione nel nostro Paese.
L'altra sfida, altrettanto importante, è quella di accompagnare il nostro comparto industriale nella riconversione alla produzione di mezzi ovviamente sempre più ecologici e sostenibili. Noi italiani, grazie all'expertise e grazie alle competenze dei nostri lavoratori, siamo assolutamente in grado di vincere queste sfide che quindi porteranno ad avere aria più pulita nelle nostre città e una maggiore resilienza del nostro sistema dei trasporti; ciò, perché, grazie all'elettrificazione, almeno in linea teorica, non avremo bisogno, o quanto meno avremo sempre meno bisogno di combustibili fossili per alimentare i nostri mezzi e quindi questo ci metterà anche al riparo di speculazioni e forti rialzi delle materie prime energetiche che tutti noi stiamo vivendo sulla nostra pelle. Sono sfide che porteranno anche benessere economico, nel momento in cui saremo in grado di attrarre investimenti per la costruzione di gigafactory e di un nuovo comparto industriale, sul quale possiamo dire la nostra anche a livello mondiale.
C'è poi da implementare anche l'infrastruttura di ricarica, sia a livello domestico, ma anche a livello stradale e autostradale e, a questo proposito, i precedenti Governi hanno fatto un ottimo lavoro. Riguardo all'infrastruttura di ricarica, il PNRR ha previsto 750 milioni di euro da poter investire ed è per questo che dobbiamo quindi dare, colleghi, una scossa all'azione di questo Governo, in particolare mi riferisco all'azione del Ministero dello Sviluppo economico, azione che resta un po' indietro su alcuni aspetti. Invece, dobbiamo correre, Vice Ministro, per vincere due sfide di cui ho parlato: da un lato, quella ambientale, dall'altro, quella economica e sociale. Se i primi due Governi di questa legislatura, il “Conte 1” ed il “Conte 2” avevano dato una grande accelerazione per un settore dell'automotive più sostenibile, questo Governo - per usare un eufemismo - è un po' timido: invece, servono coraggio e ambizione, mentre fino ad ora dal Ministro Giorgetti sono arrivate parole, dichiarazioni, anche in contrasto l'una con l'altra, a volte in meno di 24 ore, più che atti concreti.
Infatti, non è stato confermato - come hanno detto già altri colleghi - l'ecobonus auto, grazie al quale in Italia, in alcuni mesi, si sono immatricolate vetture elettriche nella percentuale di più del 10 per cento, una cifra davvero rilevante. Prima di questa norma - dobbiamo ricordarlo -, le vendite di auto alla spina viaggiavano con percentuali da prefisso telefonico. Anche il bonus per i veicoli commerciali N1, che sono indispensabili per la logistica di prossimità, non è stato confermato: questa mancanza, a mio avviso, è ancora più grave, perché qui si tratta di mezzi di lavoro che percorrono tantissimi chilometri e con itinerari stabiliti, per cui il problema della ricarica è molto più gestibile; inoltre, la sostituzione di ogni singolo mezzo inquinante con uno a zero emissioni, nel caso appunto dei veicoli commerciali, vuol dire anche tonnellate e tonnellate di CO2 non emesse in atmosfera, oltre al risparmio per l'azienda che possiede quei mezzi, in termini di costi totali di proprietà.
Siamo l'unico - ripeto l'unico - tra i grandi Paesi europei che oggi non ha alcun incentivo per la conversione, con mezzi a zero emissioni, del parco circolante, oltre al fatto che non è stata confermata nemmeno l'ecotassa per le auto inquinanti. Presidente, non trovo nulla di scandaloso se chi acquista un grosso SUV o una supercar paghi una tassa una tantum all'acquisto e poi, con il gettito ricavato, si aiutino tutti quei cittadini che magari vogliono compiere una scelta più sostenibile a livello ambientale. Inoltre, non è stata nemmeno confermata la detrazione al 50 per cento tramutabile come sconto in fattura, cioè è stata confermata quella al 110 sul superbonus, non quella al 50 per cento invece per i cittadini che vogliono installare un punto di ricarica nella propria abitazione.
Mi permetta di ricordare, Presidente, che tale detrazione-sconto rappresentava una misura valida per le spese fino a 3.000 euro e, fra l'altro, comprendeva anche l'aumento di potenza del contatore fino a 7 kilowatt, permettendo di fatto a chi volesse ricaricare in ambiente domestico di non avere problemi. È davvero un peccato che questa misura non sia stata confermata e con l'occasione spero che il Governo corra ai ripari, approvando anche l'emendamento a mia prima firma al “decreto Milleproroghe”.
Inoltre, manca anche uno stimolo fiscale seriamente incentivante per l'acquisto ed il noleggio di flotte aziendali, un serio aumento della deducibilità fiscale per le vetture a zero emissioni intestate alle imprese, non soltanto per quelle senza le quali l'attività d'impresa stessa non può essere esercitata come i taxi, car sharing e mezzi per le autoscuole, ma anche per i veicoli utilizzati in via non esclusiva e questo è un impegno al quale teniamo particolarmente, dato che questa è la prima volta che in Italia si fa una cosa di questo tipo. Insomma, penso che dobbiamo adottare tutte le norme possibili per raggiungere quegli obiettivi di decarbonizzazione che noi stessi abbiamo sottoscritto.
Ecco, in questa illustrazione ho fatto sempre riferimento, tra l'altro, alle auto a zero emissioni e non invece a quella basse emissioni, perché qui va fatta una differenza anche sostanziale. Infatti, in questa seconda categoria rientrano anche le cosiddette ibride plug-in che, in base a diversi test indipendenti che sono stati condotti, inquinano molto di più di quanto rilevato in base al ciclo di omologazione WLTP, tant'è che in Paesi come la Svizzera addirittura sono stati sospesi gli incentivi per questi tipi di auto. Invece, in questi giorni ho avuto tra le mani qualche bozza, seppure non ufficiale, del Ministero dello Sviluppo economico che stanzia nuovamente incentivi anche per questa tipologia di vetture; ci sta. Il colmo è che questa bozza riporta, al fine di poter usufruire dell'incentivo, un prezzo di listino più basso per la fascia a zero emissioni - spero di sbagliarmi, Vice Ministro - ed un prezzo invece più alto per le auto con emissioni tra 21 e 60 grammi. Insomma più inquini - sembrerebbe - più lo Stato ti potrebbe incentivare ad avere un'auto più costosa. Parlo al condizionale perché, ovviamente, mi auguro che questa bozza non veda mai la luce, se così formulata. Invece, dovremmo concentrarci una volta per tutte sui mezzi a zero emissioni che non facciano più uso di fonti fossili e, anzi, aiutino il Paese a dipendere sempre meno da approvvigionamenti dall'estero di fonti energetiche; altrimenti, siamo sempre tenuti al guinzaglio da Paesi esteri, perché siamo costretti a comprare le fonti energetiche dall'estero e questo ci mette in una condizione di grande subalternità.
Cambiando discorso, invece, è bene, in questo senso, l'indirizzo del gruppo Stellantis sulla conversione dello stabilimento di Termoli, che passerà dalla produzione di motori endotermici alla produzione e all'assemblaggio di batterie per autotrazione. È lì che noi dobbiamo intervenire, vigilando sul mantenimento dei livelli occupazionali ed anche creando contesti favorevoli alla creazione di nuove realtà imprenditoriali che portino occupazione, sviluppo e sostenibilità.
A noi spetta l'onore e l'onere di accompagnare questa transizione energetica ed ecologica che è già in atto. Se, invece, chi vuole investire in Italia trova ostruzionismo o condizioni poco favorevoli, se sente frasi come “bagno di sangue” o “con l'auto elettrica non si risparmia, dati i costi odierni dell'elettricità”, senza nemmeno un minimo accenno all'efficienza del mezzo elettrico rispetto al mezzo termico che aiuta a far calare i consumi di energia primaria del nostro Paese, se il nostro atteggiamento sarà questo, colleghi, allora noi già condanniamo il nostro Paese ad essere fanalino di coda in una transizione che, nel giro di qualche anno, assumerà le forme di una vera e propria rivoluzione ecologica, energetica, sociale e culturale e che sarà come un treno che corre su binari. Sarebbe folle, a mio avviso, cercare di fermarne la corsa mettendosi sui binari e molto più intelligente, invece, Presidente, prendere la rincorsa e salirci su questo treno.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Montaruli. Ne ha facoltà.
AUGUSTA MONTARULI (FDI). Grazie, Presidente. Vice Ministro Pichetto Fratin, io la conosco molto bene, ho molto rispetto per lei, l'ho conosciuta al lavoro anche in qualità di assessore, nel nostro Piemonte. Però, non posso esimermi dal richiamarla su quanto il Governo non sta facendo sul settore dell'automotive. Questo è un Governo che dedica gran parte delle risorse degli italiani al reddito di cittadinanza ma non dedica neanche una riga, nel PNRR, per la transizione del settore dell'automotive. Questa è la grande contraddizione che caratterizza la maggioranza variegata che sostiene questo Esecutivo e lo fa in un periodo particolarmente delicato. Infatti, la fine della vendita del motore endotermico nel 2035 ci prospetta un dato drammatico, quello di 73.000 posti di lavoro che verranno persi soltanto nella nostra Nazione se questo Governo, subito, non farà qualcosa di concreto per questo settore.
Il sistema degli incentivi non basta più e anche laddove è stato previsto è stato debole. Lo dicono i numeri e lo dicono anche i richiami, direi, storici, come quello fatto da Federmeccanica insieme ad alcuni sindacati, per la prima volta, in un comunicato congiunto nei confronti del Governo in cui si chiedeva di agire e di agire immediatamente. Questi eventi - questo è il primo nella storia dell'automotive in particolare - segnano la gravità della situazione in cui siamo. I miei colleghi, in precedenza, li hanno già snocciolati e ci sono già, nelle varie mozioni, tutti i numeri di un calo che non può essere ricondotto soltanto alla pandemia, perché anche prima della pandemia il settore dell'automotive era fortemente in crisi, anche prima autorevoli esponenti di questo Parlamento chiedevano un piano industriale specifico che tenesse in considerazione l'importanza dell'automotive della nostra Nazione. Quando, in particolare, il primo gruppo automobilistico italiano andava a procedere alla fusione, nel grande progetto di Stellantis, si richiamava l'interesse nazionale mettendovi sull'attenti, cioè evidenziando come il Governo italiano, all'epoca, non stesse facendo nulla per essere presente in qualche modo nelle scelte strategiche di questo gruppo che ormai diventava più francese che italiano. Per parte sua, invece, il Governo francese, anche attraverso una presenza importante all'interno del CdA, poteva determinare o meno assunzioni o smobilitazioni, esattamente quello che poi è avvenuto successivamente.
L'importanza del settore dell'automotive non lo devo spiegare a lei, che è piemontese come me; ogni torinese ha nella propria famiglia una persona che ha lavorato direttamente o indirettamente per questo settore. Noi siamo consapevoli di quanto il mondo dell'automotive sia entrato non soltanto nella vita economica della Nazione ma anche nella vita personale di ognuno di noi e questo dà la misura di quanto sia importante e di quanto il settore dell'automotive abbia inciso nei momenti positivi o negativi dell'economia di questo Paese. Ma è certo che le scelte strategiche devono raffrontarsi con l'ultimo dato sul calo delle immatricolazioni; non starò a ripetere quello che è già stato detto, ma certamente quella riduzione del 35,7 per cento dell'ottobre 2021, rispetto all'ottobre 2020, è un macigno pesante rispetto alle valutazioni che dobbiamo fare. Anche se guardiamo al gruppo Stellantis, quella riduzione del 41,7 per cento nel 2020, segnale che va di pari passo con il mercato dell'auto italiano più vecchio d'Europa, ci dà ancora una volta la misura di quanto sia importante intervenire.
Occorre rinnovare, certamente, in primo luogo il sistema degli incentivi, sostenendo i consumatori e rinnovando il parco auto in chiave di mobilità sostenibile, che è la grande sfida che tutti noi dobbiamo affrontare, e, poi, chiedere, adottare misure a sostegno degli enti locali per riconvertire i mezzi adibiti alla mobilità pubblica del trasporto urbano, con l'elettrificazione. Il rinnovo del parco autobus delle nostre città deve avvenire di pari passo con altre misure e non si può fare a costo zero, devono essere stanziate risorse. Occorre lanciare un'articolata azione politica industriale che individui i siti produttivi dell'indotto automobilistico italiano per sostenerli nella riconversione. Il rischio dello smantellamento e di veder morire in un'ecatombe le più grandi eccellenze della nostra Nazione proprio in questo settore, che è fatto di piccole e medie aziende che, soprattutto, si sono specializzate nell'indotto, è fortissimo.
Noi, per questo, dobbiamo pensare innanzitutto ad esse, dobbiamo accompagnarle nel formare personale che sia altamente specializzato, giovane e altamente specializzato. Questo cosa significa? Significa incentivare una partecipazione del mondo della ricerca e dell'università, perché altrimenti la competizione, che ormai è globale, non potremo vincerla. Noi possiamo essere l'eccellenza, anche in questo settore, e possiamo fare del nostro marchio italiano, ancora una volta, anche in questo settore, un volano per l'occupazione, se lo vogliamo, ma certamente dobbiamo appunto creare personale fortemente specializzato, per fare in modo che le nostre siano al passo con le altre industrie automobilistiche e soprattutto con le altre grandi potenze che su questo settore, invece, non hanno mai smesso di investire. Sono necessari progetti condivisibili, quindi, tra industria ed università, creando niente di meno che una sinergia.
E poi, l'ho detto prima, nel PNRR si deve procedere sostanzialmente a una modifica - che si può fare -, specificando come, nelle linee di intervento di queste risorse, che sono a debito e che vengono dall'Europa, esse possano essere utilizzate per l'automotive e la mobilità futura. Ciò perché? Perché, altrimenti, tali risorse non si trasformeranno da debiti a investimenti che porteranno a una crescita; solo se le utilizzeremo per specializzare sempre di più la nostra industria, riusciremo a vincere, anche in questo caso, la sfida globale.
E poi il 20 per cento di Cassa depositi e prestiti, della venture capital al settore della mobilità futura è qualcosa in cui crediamo, anche per favorire un incontro tra le startup e le imprese più consolidate.
Le politiche per l'incentivazione delle imprese - l'ho già detto in precedenza - devono innanzitutto mirare alla transizione ecologica, e quindi ad accompagnare il mondo dell'automotive in questa sfida, e alla formazione e specializzazione.
Queste sono le nostre richieste. Nelle mozioni che ho letto e che vengono dalle forze di maggioranza ci sono certamente richieste condivisibili, ma ritengo ancora troppo fumose; quelle che le ho fatto, sono poco più di 5 o 6, sono invece molto più specifiche, e ci auguriamo che questo Governo, almeno in questa occasione, ci voglia ascoltare, affinché l'opposizione di Fratelli d'Italia non sia soltanto, oggi, una protesta, ma anche una proposta, accolta per il bene dell'Italia.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Il Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della mozione Villani ed altri n. 1-00543 concernente iniziative per la diagnosi e la cura dei disturbi dello spettro autistico (ore 17,43).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Villani ed altri n. 1-00543 concernente iniziative per la diagnosi e la cura dei disturbi dello spettro autistico (Vedi l'allegato A).
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta dell'11 febbraio 2022 (Vedi l'allegato A della seduta dell'11 febbraio 2022).
Avverto che è stata presentata la mozione Siani ed altri n. 1-00584, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.
È iscritta a parlare la collega Villani, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00543. Ne ha facoltà.
VIRGINIA VILLANI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, sottosegretario, il provvedimento di cui discutiamo oggi in Aula affronta uno dei problemi più delicati e attuali della società, quello dell'autismo.
La mozione di cui sono la prima firmataria è composta da una premessa e da 18 punti di impegno nei confronti del Governo. Essa recepisce l'appello urgente delle famiglie delle persone autistiche, che chiedono risposte concrete, puntuali e adeguate ai propri bisogni e alle prospettive di vita, in un contesto italiano che fatica ancora a proporre servizi efficienti, efficaci, ma soprattutto distribuiti in maniera uniforme sul territorio nazionale.
Essa descrive e approfondisce anche la questione dell'autismo, che viene visto come una condizione neurobiologica complessa, nella quale le comorbilità organiche e l'epigenetica hanno un ruolo fondamentale nelle cause, nella diagnosi e nella presa in carico.
Questo provvedimento, Presidente, trae ispirazione dal documento programmatico del movimento Famiglie unite per l'autismo, che ha supportato la manifestazione davanti a Montecitorio lo scorso 9 settembre, giorno in cui tantissime famiglie di persone autistiche sono scese in piazza per accendere i riflettori sulla loro situazione e per sollecitare il Parlamento e tutte le istituzioni ad adottare politiche sanitarie, educative e sociali atte a incrementare i servizi e a migliorare l'organizzazione delle risorse a supporto delle persone autistiche. Tante famiglie sono scese in piazza per dire a tutti noi che è tempo di prendere definitivamente coscienza della drammatica realtà che ogni giorno vivono le famiglie e le persone a contatto, diretto o indiretto, con l'autismo.
Quel 9 settembre, Presidente, ha avuto in sé un valore simbolico molto alto: è stato il giorno in cui le famiglie si sono riunite non solo nella protesta, ma anche e soprattutto nella proposta. Noi abbiamo incontrato una loro delegazione, che si è presentata con una proposta concreta, un corposo documento programmatico che analizzava il mondo dell'autismo da varie angolazioni, offrendo, tra l'altro, numerosi spunti anche per un cambio di paradigma indispensabile, necessario e non più rimandabile, con il recupero di una funzione sociale delle persone autistiche, passando dal parlare dell'autismo come disturbo e malattia a parlarne, invece, come condizione, così come auspicato anche dal professor Muratori, professore di neuropsichiatria infantile presso l'Università di Pisa. Oggi, infatti, domina una visione dell'autismo fortemente medicalizzata. Esso viene visto sempre più in chiave di deficit da compensare rispetto alla popolazione neurotipica. Occorre, invece, chiarire che l'autismo fa parte di quel 2 per cento della popolazione che è neurodivergente, che è una condizione permanente, in cui un 30 o 40 per cento della popolazione autistica ha anche compromissioni organiche complesse e una disabilità intellettiva. A tutti loro dobbiamo dare risposte e soprattutto dobbiamo darle alle loro famiglie.
In Italia, secondo i dati dell'Osservatorio nazionale per il monitoraggio dei disturbi dello spettro autistico, un bambino su 67 nella fascia di età dai 7 ai 9 anni presenta un disturbo dello spettro autistico; molto spesso si tratta di maschi, con un'incidenza del 4,4 per cento in più rispetto alle femmine. Si tratta di persone e delle loro famiglie che ancora troppo spesso devono combattere da soli per difendere il proprio diritto a una vita piena e dignitosa.
Certo, nel nostro Paese esistono tante buone leggi sull'autismo. Basti pensare alla legge quadro n. 328 del 2000, sul progetto di vita, alla legge n. 68 del 1999, su disabilità e il lavoro, alla n. 134 del 2015, sull'autismo, la legge nazionale sull'autismo, alla n. 112 del 2016, sul “Dopo di noi”. Peccato, però, che a questa ridondante produzione legislativa non abbia fatto seguito una concreta e reale attuazione anche mediante appositi finanziamenti. Prendiamo, ad esempio, la legge n. 134 del 2015, disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie. All'articolo 3 prevede che le regioni garantiscano il funzionamento dei servizi di assistenza sanitaria alle persone con disturbi dello spettro autistico, stabiliscano percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali per la presa in carico di minori, adolescenti e adulti, verificandone l'evoluzione, e adottino misure idonee al conseguimento degli obiettivi, anche attraverso la disponibilità, sul territorio nazionale, di strutture semiresidenziali e residenziali accreditate, pubbliche e private, con competenze specifiche sui disturbi dello spettro autistico, in grado di effettuare la presa in carico di soggetti minori, adolescenti e adulti.
Nel 2018 sono state aggiornate le linee di indirizzo nella Conferenza unificata, ispirandosi alla Convenzione delle persone con disabilità dell'ONU del 2012, e sono stati avviati progetti tra regioni e Istituto superiore di sanità su inclusione lavorativa, transizione dall'età evolutiva all'adulta, strutture residenziali.
Sembrerebbe, dunque, che in questi anni il nostro Paese si sia dotato di tutti quegli strumenti legislativi e di tutte quelle norme necessarie per garantire livelli omogenei di presa in carico e trattamento su tutto il territorio nazionale sulla base dei fabbisogni. Peccato, però, che tutte queste leggi non siano applicate o siano applicate solo in parte e a macchia di leopardo, con situazioni molto diverse tra una regione e un'altra. Infatti, la realtà quotidiana, purtroppo, ci restituisce un quadro desolante di abbandono e scollamento tra le esigenze di questi cittadini e le istituzioni, che, invece, dovrebbero fornire loro idonee risposte. Ci pone davanti a una realtà in cui i genitori dei ragazzi autistici sono lasciati soli, senza alcun tipo di assistenza domiciliare, senza supporto psicologico e senza contributo economico.
Anche durante il periodo di lockdown, le famiglie sono state sole a gestire una situazione che prevede una lunga ed efficace assistenza garantita dallo Stato e dalle regioni, per una condizione che, talvolta, può sfociare anche in atti pericolosi e violenti. Questo perché la complessità del fenomeno dell'autismo, con tutte le sue ricadute sulla tenuta del tessuto familiare e sociale in cui esso si colloca, richiede un'azione di investimento importante da parte delle istituzioni del territorio in stretto raccordo con le associazioni dei familiari. La famiglia è il primo ambiente sociale nel quale il bambino autistico si trova a crescere e nel quale ci si impegna a perseguire l'obiettivo di integrazione, anche attraverso attività di supporto e di formazione dei genitori. Aiutare un bambino autistico a sviluppare le sue abilità e i suoi interessi nell'ambiente domestico rappresenta il primo passo per sostenere il suo percorso di crescita e costituisce il primo obiettivo su cui puntare per migliorare la qualità di vita propria e della sua famiglia.
L'incidenza delle persone autistiche in Italia, indipendentemente dal grado di compromissione e dal carico assistenziale, è sempre più crescente e oggi interessa almeno 600 mila famiglie. L'ultimo dato a nostra disposizione è quello dell'indagine Istat del 2018 sulla conciliazione tra lavoro e famiglia, secondo cui sarebbero oltre 2 milioni 800 mila le persone che assistono regolarmente figli e altri parenti. Questi dati devono pertanto spingere le istituzioni e noi, come parlamentari, a fornire risposte per restituire dignità e garantire pari opportunità a questa cospicua parte della popolazione, che oggi risulta invisibile, ma grida attenzione e soluzioni concrete e personalizzate. Servirebbe una vera e propria rivoluzione nel welfare di prossimità nazionale, al fine di superare il modesto recepimento delle norme da parte delle regioni, la scarsa omogeneità dei servizi sul territorio, la loro inadeguatezza, la mancata continuità dei percorsi di cura e degli interventi riabilitativi ed educativi.
Le famiglie gridano a gran voce la richiesta di attenzione e di impegni. Vede, Presidente, ascoltare i loro racconti è devastante; è un pugno nello stomaco sentire le testimonianze dei genitori con figli autistici, lasciati totalmente soli nella gestione di questa problematica per cui ancora troppo poco si è fatto. L'Italia, per esempio, ancora non si è dotata di una normativa che tuteli i caregiver familiari, ossia chi aiuta in maniera gratuita e quotidiana un proprio parente di primo grado non autosufficiente fisicamente o mentalmente. Ciò contribuisce al grave disagio dei genitori dei ragazzi affetti da questo disturbo che, oltre a subire l'inosservanza delle norme da parte delle regioni per l'assistenza dei propri figli, subiscono l'assenza di una normativa che li tuteli personalmente, normativa che è presente in tutti gli altri Stati europei.
È appena il caso di ricordare che al Senato è depositato in Commissione lavoro pubblico e privato, previdenza sociale il disegno di legge n. 1461 della senatrice Nocerino del MoVimento 5 Stelle, che definisce la figura del caregiver come la persona che gratuitamente assiste un familiare che non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé e che sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata. Il provvedimento prevede, altresì, un riconoscimento economico e previdenziale, soprattutto alle mamme e ai papà che, loro malgrado, hanno dovuto abbandonare il lavoro per dedicare la loro vita ai propri cari con gravi disabilità. L'approvazione di questo disegno di legge rappresenterebbe già un segnale di crescita culturale per il nostro Paese e di attenzione reale e concreta verso tante persone lasciate sole per affrontare un impegno così gravoso.
Colgo l'occasione, dunque, per invitare la senatrice Guidolin, relatrice del provvedimento, affinché in 11ª Commissione al Senato si continui ad esaminare l'articolato per definirlo e per portarlo in Aula il prima possibile.
I punti di impegno della nostra mozione sono ben 18 ed ognuno di questi rappresenta un traguardo da raggiungere, perché frutto di un lavoro e di una forte e condivisa sensibilità sul tema. Sono fiduciosa che il Governo saprà assicurare una presa in carico più sostanziale e percorsi di accompagnamento specifici per tali persone, perché: le persone autistiche e le famiglie con persone autistiche non possono più attendere né tollerare la mancanza di équipe multi e interdisciplinari capaci di gestire la complessità della persona autistica; non possono più attendere una risposta pubblica educativa e riabilitativa con evidenza scientifica; non possono più sopportare l'assurdo groviglio di fastidiose incombenze burocratiche che ricadono interamente sui nuclei familiari, senza poter contare su un sistema di punti di accesso dedicati a fornire informazioni e supporto ai diretti interessati; non possono ammettere che l'inclusione scolastica si regga esclusivamente su poche situazioni virtuose e che, ancora oggi, sia scarsa o inadeguata la risposta educativa rivolta alle persone dello spettro autistico, che vedono molto spesso limitato il loro diritto allo studio e alla partecipazione alla vita sociale; non possono tollerare di non aver accesso a percorsi dedicati e con personale formato per le cure mediche, sia in ospedale, sia nei pronto soccorso, perché questo lede un diritto costituzionale e incentiva situazioni di contenzioso e abuso farmacologico intollerabili; non possono più permettere di impoverire, logorare e a volte disgregare i loro nuclei familiari senza soluzioni di sollievo psicologico e di supporto concreto ai caregiver familiari e ai sibling; non possono più attendere il recepimento da parte di tutti i comuni italiani della legge n. 328 del 2000, sia per l'elaborazione dei progetti di vita individualizzati, sia dei LEP; non possono non denunciare il mancato aggiornamento dei LEA e del nomenclatore relativo all'autismo, che crea un vulnus nella continuità dei servizi e nella presa in carico della persona autistica al passaggio tra età evolutiva ed età adulta; non possono permettere di disperdere il potenziale di ciascuna persona autistica, lavorando sulle sue competenze e finalizzandole ad un corretto inserimento lavorativo e occupazionale; non possono assistere impotenti alla gestione seriale dei centri diurni, che forniscono, quando forniscono, mediamente risposte standard e all'inadeguatezza delle strutture residenziali senza che le istituzioni provvedano a ripensare nuovi modelli capaci di restituire prospettive e dignità alle persone; non possono pensare che ogni persona, indipendentemente dalla condizione di partenza, non possa aspirare ad abitare in un luogo accogliente fatto a propria misura, rispettoso delle proprie esigenze e dei propri desideri.
Le famiglie hanno bisogno di poter contare su persone con competenze professionali diversificate e specializzate sull'autismo, sulle altre condizioni del neurosviluppo e sulla disabilità intellettiva, capaci, nei vari contesti di vita, di mediare le varie situazioni e tradurre bisogni ed esigenze. Le famiglie hanno bisogno di affermare il loro sacrosanto diritto a vivere e non a sopravvivere, ad essere felici e non a rimanere stigmatizzate ai margini, a recuperare il loro ruolo sociale attivo assolutamente distante dall'attuale e diffusa percezione di peso assistenziale ed economico per lo Stato. Soprattutto, le persone autistiche hanno bisogno di risposte adeguate in tempi certi, affinché il benessere della persona autistica sia garantito ad ogni latitudine e a 360 gradi, affinché sia la persona autistica ad essere al centro della propria vita, a decidere cosa sia meglio per sé e se non può deciderlo autonomamente, perché non è in grado di autodeterminarsi, deve farlo per lui la famiglia.
Perché ciò accada è necessario che le persone autistiche abbiano le stesse opportunità della popolazione neurotipica per quanto riguarda l'istruzione, il lavoro e l'abitare.
L'autismo, Presidente, è parte di questo mondo, non è un mondo a parte.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Siani, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00584. Ne ha facoltà.
PAOLO SIANI (PD). Grazie, Presidente. Colleghi, sottosegretario, devo dire che intervengo con soddisfazione, oggi, in Aula, su questo tema, perché il Parlamento ha dimostrato di avere a cuore il tema autismo. In pre-pandemia lo avevamo affrontato già in Commissione affari sociali e mi fa piacere perché questo è un tema che solo apparentemente non ha risvolti economici, invece ha un costo sanitario molto elevato, ha un costo sociale molto elevato, e quindi tocca al Parlamento dare risposte a queste famiglie.
Vorrei fare una premessa decisiva, perché, se la pandemia ha determinato in tutta la popolazione dei disagi gravi di tipo sociale, economico e sanitario, alle famiglie con un bambino autistico e a tutte le famiglie con ammalati cronici la pandemia ha recato un disastro straordinario.
Affrontare il lockdown, la restrizione, il distanziamento, interventi ovviamente necessari in quel periodo, se è stato per tutti noi un trauma difficile da superare, ha rappresentato un trama profondo per le famiglie già provate da una malattia cronica.
Come voi saprete certamente, i genitori di questi bambini con autismo hanno dovuto reagire con forza e quasi da soli in questi duri anni di pandemia. Il lockdown ha cambiato le nostre menti, influenzando la salute mentale e le nostre abilità cognitive. Abbiamo esposto tutta la popolazione a uno stress collettivo senza precedenti, dando vita a una psico-pandemia, che oggi stiamo vedendo in tutta la popolazione. E a questo enorme stress che il virus ci ha indotto, bisogna provare a dare delle risposte.
Ora non vorrei, qui, oggi, parlare con voi di linee guida, lo ha fatto la collega in questo momento, non vorrei parlare di farmaci utilizzati per trattare questi bambini, non vorrei affrontare il tema da un punto di vista specifico e sanitario. Io vorrei, oggi, provare, in quest'Aula, a prestare la mia voce alle mamme e ai papà dei bambini con disturbi dello spettro autistico. Vorrei qui, stasera, provare a raccontarvi lo smarrimento, la paura e poi la solitudine di queste mamme e di questi papà. Vorrei oggi farvi vedere gli occhi di quelle mamme, che scrutano i tuoi, mentre stai visitando e osservando un bambino con un sospetto di autismo: quegli occhi ti guardano dentro, osservano ogni tua piccola reazione e aspettano con ansia e con paura una tua risposta. E una volta, poi, posta la diagnosi, ci esprimono tutte le difficoltà, ci raccontano come la loro vita sia totalmente cambiata, e sono tutte coppie giovani e felici: ‘non lo possiamo lasciare solo un minuto, potrebbe fare pazzie, anche saltare giù da una finestra'… ‘e con un bambino piccolo, e anche in strada, bisogna stragli sempre vicino'… ‘e poi i momenti di crisi, i momenti in cui non riesce più a gestire l'ansia'.
Pochi mesi fa, in piazza Montecitorio sono venute queste famiglie a chiedere aiuto al Governo e hanno chiesto quattro impegni molto precisi, di cui parlerò tra poco. Durante il lockdown c'è stato, evidentemente, un blocco di tutte le attività. Ora, immaginate una famiglia con un bambino autistico che ha visto fermarsi tutti quei percorsi che stava facendo in questi anni e che ha dovuto in qualche modo arrangiarsi da sola, ha dovuto riorganizzare i tempi e gli spazi per gestire momenti di gioco, di studio e anche momenti di ricreazione, ha dovuto fare tutto da sola. E la sospensione di quei servizi riabilitativi ha alimentato nei genitori la preoccupazione di poter perdere anche quei progressi piccoli o grandi raggiunti, o indebolire le competenze acquisite con fatica in quegli anni.
Hanno pensato che potessero insorgere altre problematiche comportamentali e hanno raccontato: ‘dopo il primo mese chiusi in casa, abbiamo avuto davvero paura che questa non fosse più una fase momentanea, ma una condizione a cui ci siamo dovuti abituare, abbiamo avuto paura che i piccoli traguardi raggiunti potessero andare persi senza un sostegno specialistico'. E come non condividere queste paure di queste mamme e di questi papà? Ci sono state, per fortuna, grandi risposte dei servizi e del terzo settore, che hanno attivato modalità di intervento da remoto per provare a continuare a sostenere queste famiglie. Lo hanno fatto con grande volontà e con grande capacità, provando a fare da remoto quello che si fa sempre in presenza. Ma capite che non è proprio la stessa cosa un intervento da remoto rispetto ad uno che si fa in presenza guardando un bambino.
E non possiamo non dircelo in quest'Aula, francamente, che la differenza nei servizi fra le varie regioni è ancora una volta molto diversa al sud rispetto al nord: le disuguaglianze in salute sono insopportabili, e avere accesso ai servizi in alcune regioni commissariate e con piani di rientro enormi è impresa difficilissima. Così come è molto difficile, per i professionisti sanitari, dare prestazioni in un contesto di forte contrazione del personale, e l'area della neuropsichiatria infantile in particolare è in grave sofferenza da anni, resa adesso evidentissima dalla pandemia.
Siamo ottimisti sulla possibilità che, a breve, arriverà un piccolo sostegno immediato per dare risposte a queste famiglie, il famoso bonus, ma sappiamo tutti molto bene - e diciamocelo qui, in quest'Aula - che non basta un bonus, non basta un intervento momentaneo. C'è bisogno, con le risorse del PNRR, di riformare il nostro sistema sanitario. C'è bisogno di interventi strutturali, radicali, a cominciare dal nuovo rapporto ospedale-territorio, e una nuova e moderna medicina territoriale. E quello che poi serve, specie in questo campo dell'autismo, è un'integrazione vera e funzionale tra sociale e sanitario.
Non voglio parlarvi qua delle cause di questa malattia, né dirvi quanti sono i bambini e gli adulti con un disturbo dello spettro autistico. Sappiamo che sono in gioco fattori genetici, fattori ambientali, ma voglio dirvi quali sono le cose che sappiamo con certezza, e cioè: interventi precoci e diagnosi precoce migliorano la prognosi. Io so che, se intervengo presto, avrò ottimi risultati in futuro. Possiamo escludere con certezza i dati scientifici, che escludono rapporti con le vaccinazioni o con il consumo dei cibi, ma non sappiamo ancora con certezza perché si instaura questa alterazione del sistema. Questo disturbo comincia alla nascita, si manifesta a 18 mesi in modo abbastanza eclatante e poi a 2 anni, ma continua tutta la vita. Quindi capite che è un intervento, questo, che non finisce in un anno, non finisce in due anni, ma deve essere continuato per tutta la vita di questi bambini.
L'Italia ha buoni modelli normativi, lo avete sentito adesso, ha ottime linee di indirizzo, ma sono ancora poco applicate e con ampie disuguaglianze tra regione e regione. Per quanto riguarda il numero di psichiatri in Italia, noi siamo al ventesimo posto in Europa, al quattordicesimo per psicologi, e la spesa per la salute mentale è il 3,5 per cento della spesa sanitaria totale. Quindi capite che c'è un'emergenza in questo settore. E in sostanza, chi si fa carico di questi bambini è la famiglia, sono le mamme ed i papà, che sono la vera e unica forma di welfare in questo caso, che sopportano un peso materiale e psicologico di notevole entità. E invece è necessario che a questi ragazzi, ai quali è diagnosticato l'autismo, siano riconosciuti tutti gli aiuti, anche economici, per assicurare loro una vita completa insieme agli altri, nei loro contesti naturali, favorendo le relazioni nel contesto scolastico, con i compagni, e poi nel mondo del lavoro.
Non dobbiamo tacere nemmeno che nella legge di bilancio 2021 sono stati destinati 50 milioni e poi 27 milioni per progetti di ricerca di natura clinica, per strutture per l'autismo e per far funzionare meglio la neuropsichiatria infantile negli ospedali.
Gli impegni che noi chiediamo al Governo sono molto simili agli altri chiesti adesso dalla collega, ma sono necessari per queste famiglie e servono a migliorare le conoscenze, a diffondere le buone pratiche, a mappare i servizi che esistono nelle varie regioni; servono per scoprire come in alcune esistono ed in altre no; per coordinare gli interventi tra pediatri di famiglia, neuropsichiatri e asili nido, per far si che la diagnosi possa essere precoce e la presa in carico altrettanto precoce; per aggiornare costantemente le linee guida, assicurare la transizione tra l'età pediatrica e l'età degli adulti (materia questa molto delicata per tutte le malattie croniche, ma qui è necessario farlo adesso e subito); per avere nuovi modelli organizzativi dei servizi ospedalieri e territoriali; per provare a strutturarsi con servizi che siano in centri di struttura hub e spoke, come adesso si fa per tante situazioni e che qui sono necessari; per aumentare le risorse umane nel campo della neuropsichiatria infantile e assicurare una presa in carico di tutto il nucleo familiare e del contesto scolastico e sociale dove il bambino vive (questo è decisivo perché il bambino ha bisogno di essere accolto in tutti i contesti dove lui vive); per supportare il mondo associativo e del volontariato, spesso organizzato da persone familiari di bambini autistici, e sostenerlo nei progetti di vita autonoma per dare loro possibilità di continuare a poter fare una vita quasi normale; infine, bisogna utilizzare i budget di salute per creare percorsi personalizzati per ogni bambino affetto da questo disturbo dello spettro autistico.
Voglio concludere dicendo che sono necessarie per questa patologia - ancor di più per questa patologia - terapie personalizzate, a seconda delle caratteristiche di ogni individuo. Non esiste un intervento che va bene per tutte le età e per tutti i bambini, ma esistono strumenti specifici per ogni bambino e per ogni famiglia.
In conclusione, sto parlando non di persone ammalate, ma di persone che hanno un modo differente di percepire il mondo e che durerà tutta la vita. Per sostenerle è necessario che siano accudite e accolte da équipe multidisciplinari. C'è il bisogno che lavorino insieme il mondo sanitario, scolastico e tutta la comunità in cui il bambino cresce e vive, quindi: diagnosi precoce, presa in carico precoce, coinvolgimento del nucleo familiare e del contesto scolastico e sociale; bisogna coinvolgere i compagni di scuola nell'accoglienza di questo bambino.
A nome di tante mamme e di tanti papà - e ho concluso - e di tutti i bambini, i ragazzi e gli uomini con disturbi dello spettro autistico, vi chiedo di accettare questi impegni, ma di fare in modo, soprattutto, che vengano attuati a Sondrio come a Ragusa; in fondo, è un loro diritto e un nostro dovere assicurarglielo.
PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la mozione Noja ed altri n. 1-00585 (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.
È iscritta a parlare l'onorevole Bellucci. Ne ha facoltà.
MARIA TERESA BELLUCCI (FDI). Grazie, Presidente. Sottosegretario Bergamini, Fratelli d'Italia ha presentato in Commissione affari sociali, proprio nel primo anno di legislatura, una risoluzione dedicata a questa tematica, cioè all'autismo, ai disturbi dello spettro autistico. Ha fatto ciò cercando, come primo atto in Commissione affari sociali, di richiamare l'attenzione dei colleghi parlamentari rispetto alla necessità di dare risposte a persone fragili, in uno stato di particolare fragilità, che possono vedere cambiata la loro vita con un sistema di servizi sociosanitario integrato, che dia certezza di diagnosi, di cura, di trattamento, di reinserimento sociale e lavorativo, di supporto alle famiglie e ai familiari che si prendono cura di queste persone.
Lei pensi che quella risoluzione depositata nel novembre del 2018 ha chiuso il suo iter ed è stata approvata in Commissione affari sociali nel luglio del 2019, cioè in pochissimi mesi, in meno di un anno, avendo visto tutti i gruppi parlamentari uniti nel potere accogliere una proposta di Fratelli d'Italia in cui c'erano richieste e impegni di buonsenso, che partivano dall'accoglimento di richieste e necessità delle famiglie, delle comunità scientifiche, degli operatori (neuropsichiatri e psicologi) dei servizi pubblici e di quelli privati.
Il problema qual è sottosegretario? Nonostante l'iter così veloce di quella risoluzione, da novembre 2018 a luglio 2019, e nonostante la forza data da un'approvazione unanime da parte di tutti i gruppi parlamentari, quella risoluzione è rimasta pressoché lettera morta. Tutti i gruppi, con un'unica voce, dalla sinistra fino alla destra passando per il centro, chiedevamo che quegli impegni venissero assunti dal Governo e diventassero decreti attuativi e, quindi, realtà per le famiglie, ma così non è stato. Certo, la pandemia ha complicato le cose, le ha complicate moltissimo, perché quelle persone, quei bambini ma anche quegli adulti con disturbi dello spettro autistico e quelle famiglie sono rimasti sempre più soli.
Vista la scarsità del settore sanitario e sociale (come diceva bene il collega che mi ha preceduto, l'onorevole Paolo Siani, dato che conosciamo bene entrambi, io come psicologa e psicoterapeuta, lui come pediatra, quali sono i drammi di quelle famiglie, di quei bambini, di quei ragazzi, di quei giovani), già non poteva sostenere la richiesta d'aiuto di quelle famiglie, perché al collasso; in Italia, infatti, siamo davvero tra gli ultimi Paesi in Europa per stanziamento di fondi, per risorse umane, per liste d'attesa. Già non riuscivamo, pertanto, ad assorbire la domanda e la richiesta d'aiuto “naturale”, quella per così dire fuori pandemia, ma a ciò si è aggiunta la pandemia, che ha ulteriormente e drammaticamente portato al collasso la vita di quelle persone e di quelle famiglie.
Sono successe anche cose aberranti, sottosegretario. Le dico ciò perché so che lei è persona sensibile; lei è una donna sensibile, una donna di buonsenso ed anche intelligente, che riesce a comprendere quelle che sono delle aberrazioni. Certo, da un punto di vista tecnico, come il mio, ho cercato spesso di argomentare il tema in senso pedagogico, psicologico, relazionale e affettivo. Voglio raccontare a lei quell'aberrazione che ho tentato di ripercorrere più volte in Commissione e in Aula. Nel momento in cui a scuola c'è stato un problema legato alla pandemia, in particolare su come affrontare la messa in sicurezza degli studenti, i Governi che si sono succeduti hanno pensato di introdurre la didattica a distanza, ma poi, nei mesi successivi, hanno avuto un'incredibile idea (ovviamente, uso il termine “incredibile” come eufemismo).
L'idea era quella di salvaguardare le persone più fragili e quindi le persone disabili, anche i disabili intellettivi, anche gli alunni e gli studenti con disturbi dello spettro autistico, facendoli permanere in presenza nelle classi. Ma lo sa che cosa è successo? A me sono arrivate telefonate e richieste d'aiuto di mamme e di papà che mi dicevano: “Guardi onorevole, io sto assistendo ad un decadimento drammatico di mio figlio, che aveva negli anni faticosamente acquisito competenze, aveva fatto evoluzioni e progressi, mentre oggi è davvero piegato in ginocchio, perché si trova a frequentare una scuola deserta, dove non c'è nessuno, ad entrare in aula e a stare da solo per tutto l'orario scolastico”. Questo accade perché il Governo ha pensato - e poi ha dato indicazione agli istituti scolastici di ogni ordine e grado, che potevano decidere nella loro piena autonomia, ma nel rispetto di questa disposizione e indicazione del Governo - che il modo di garantire l'educazione, l'istruzione e l'inclusione scolastica fosse quello di far andare a scuola da solo - anche da solo - chi aveva una fragilità o una disabilità.
Lei si immagini che angoscia. Già la pandemia è stata uno tsunami che, emotivamente e psicologicamente, ha compromesso la vita di tutti, anche delle persone che non hanno fragilità così imponenti con cui fare i conti: abbiamo visto l'aumento nella popolazione generale dei disturbi d'ansia e degli attacchi di panico, abbiamo visto l'aumento tra le giovani generazioni di questi disturbi, degli atti di autolesionismo e dei tentati suicidi e tante volte abbiamo nominato la richiesta d'aiuto dell'Ospedale Bambino Gesù, che sottolineava come fossero aumentati del 70 per cento i ricoveri nei reparti di neuropsichiatria infantile per tentati suicidi e atti di autolesionismo tra minori. Beh, a fronte di tutto questo, certamente chi ha una fragilità in più soffre inevitabilmente di più per una pandemia inaspettata come quella da COVID-19 e, se a questa, si aggiungono - me lo lasci dire, sottosegretario - le idiozie di governanti che evidentemente non sanno governare e che propongono provvedimenti senza senso, è davvero difficile rialzarsi. Quelle famiglie, quei genitori, quei ragazzi, quegli alunni chiedevano di poter ritornare sui propri passi, di far sì che la didattica in presenza non vedesse un unico studente fragile in una classe da solo o con pochi compagni che volevano stargli accanto, sulla base dell'adesione e della disponibilità di altre famiglie. Infatti, gli italiani hanno molto, molto più buon senso e certamente tanto cuore e quindi si sono moltiplicate le famiglie di genitori con alunni o studenti non fragili che dicevano: “Io lo mando mio figlio, perché conosco Tommaso e per anni sono stata affianco ai genitori di Tommaso e mio figlio o mia figlia a Tommaso”. Tante famiglie sanno bene quanto sia importante la relazione, non soltanto per Tommaso, ma anche per il proprio figlio che, attraverso la relazione con una persona più fragile, ha imparato la bellezza del poter stare insieme con qualcuno che ha qualcosa di diverso da sé e come, attraverso quella relazione, attraverso la compassione, l'empatia e la vicinanza, si diventi un essere umano migliore. E allora abbiamo chiesto al Governo mille volte di ritornare nei suoi passi raccogliendo quelle richieste d'aiuto e dicendo: fate sì che questa aberrazione non esista in nessun istituto scolastico, di qualsivoglia ordine e grado, perché l'autonomia scolastica, poi, non può far sì che esistano certi scempi e certe lesioni, addirittura, della dignità umana, sì, utilizziamo questa parola.
Ebbene, io devo dire che in questa occasione - nell'occasione che ci vede parlare della mozione sull'autismo che, vivaddio, è arrivata in Aula - sono molto contenta e Fratelli d'Italia ci sarà per riproporre le proprie richieste, i propri impegni, per ovviamente ampliarli rispetto a quelli presentati nel 2019 e per cogliere l'occasione per chiedere forte e chiaro che l'attenzione alle persone più fragili, agli alunni e agli studenti con disturbi dello spettro autistico, come di altre disabilità, sia una priorità per questo Governo e per questo Parlamento, nella speranza che il Governo dei migliori in questo caso ci ascolti subito e non ci ascolti aspettando magari tanti altri mesi, perché in quei mesi, in quel tempo, in realtà, la vita di queste persone viene ferita ulteriormente e le ferite rimangono, rimangono dei segni che si possono curare, ma diventano comunque delle cicatrici che fanno soffrire. Quindi, grazie, sottosegretario, per tutto quello che potrà fare, per far sì che questo Governo non sia indifferente e che invece agisca come si aspettano le famiglie degli alunni e degli studenti con un disturbo dello spettro autistico.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dall'Osso. Ne ha facoltà.
MATTEO DALL'OSSO (FI). Grazie, Presidente. Innanzitutto, vorrei dire che vorrei apporre la mia firma alla mozione Villani ed altri n. 1-00543, di cui stiamo discutendo. Poi, a parte fare i miei complimenti a tutte le persone che se ne sono occupate in quest'Aula, vorrei sensibilizzare il Governo, lei, Presidente, e tutti i colleghi - che, forse, presi dalla carica emotiva si sono dimenticati di sottolinearlo o forse lo hanno sottolineato con meno enfasi - sul fatto che un bambino di due anni che soffre della sindrome dello spettro autistico fra quarant'anni avrà 42 anni e sarà sofferente della sindrome dello spettro autistico, fra cinquant'anni avrà 52 anni e sarà sofferente della sindrome dello spettro autistico. Questo per dire, Presidente, che si tratta di una condizione di vita ed è una condizione di vita per tutta la vita e per questo motivo dobbiamo stare vicino a loro, ai loro genitori e fare come se tutti noi fossimo una comunità unita. Grazie a voi e grazie, Governo.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Il Governo si riserva di intervenire.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Annunzio di questioni pregiudiziali.
PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate, a norma dell'articolo 96-bis, commi 3 e 5, del Regolamento, le questioni pregiudiziali Lollobrigida e altri n. 1 e Forciniti ed altri n. 2, riferite al decreto-legge n. 3647, recante proroga dello stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19. Tali questioni pregiudiziali saranno esaminate dall'Assemblea nella seduta di domani, 15 febbraio, al termine della discussione sulle linee generali del provvedimento.
Avverto altresì che, a norma dell'articolo 96-bis, comma 3, del Regolamento, al decreto–legge n. 3457, recante misure urgenti in materia di certificazioni verdi COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività nell'ambito del sistema educativo, scolastico e formativo, è stata presentata anche la questione pregiudiziale Lollobrigida ed altri n. 2.
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Martedì 15 febbraio 2022 - Ore 9,30:
(ore 9.30, con votazioni non prima delle ore 14)
1. Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali e, previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali presentate, per il seguito dell'esame):
S. 2488 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 dicembre 2021, n. 221, recante proroga dello stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19 (Approvato dal Senato). (C. 3467)
Relatrice: BALDINI.
2. Esame e votazione delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 4 febbraio 2022, n. 5, recante misure urgenti in materia di certificazioni verdi COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività nell'ambito del sistema educativo, scolastico e formativo. (C. 3457)
3. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
D'INIZIATIVA POPOLARE; ZAN ed altri; CECCONI e MAGI; ROSTAN ed altri; SARLI ed altri; ALESSANDRO PAGANO ed altri; SPORTIELLO ed altri; TRIZZINO: Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita. (C. 2-1418-1586-1655-1875-1888-2982-3101-A)
Relatori: BAZOLI, per la II Commissione; PROVENZA, per la XII Commissione.
4. Seguito della discussione della mozione Meloni ed altri n. 1-00581 concernente iniziative relative all'applicazione della cosiddetta direttiva Bolkestein .
5. Seguito della discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00572, Porchietto ed altri n. 1-00580, Benamati ed altri n. 1-00582 e Chiazzese ed altri n. 1-00583 concernenti misure a sostegno del comparto automobilistico .
6. Seguito della discussione delle mozioni Villani ed altri n. 1-00543 e Siani ed altri n. 1-00584 concernenti iniziative per la diagnosi e la cura dei disturbi dello spettro autistico .
La seduta termina alle 18,30.