XVIII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 667 di martedì 29 marzo 2022
PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI
La seduta comincia alle 9,30.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
LUCA PASTORINO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Adelizzi, Enrico Borghi, Maurizio Cattoi, Daga, Del Sesto, Luigi Di Maio, Dieni, Mandelli, Melilli, Paita, Vito e Raffaele Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente 118, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Svolgimento di interrogazioni.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni.
(Iniziative di competenza volte a salvaguardare il patrimonio, i servizi di utilità sociale e i livelli occupazionali dell'Associazione italiana alberghi per la gioventù - nn. 3-02842 e 3-02843)
PRESIDENTE. Passiamo alle interrogazioni Incerti n. 3-02842 e Pezzopane ed altri n. 3-02843 che, vertendo sullo stesso argomento, saranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A).
Il sottosegretario di Stato, Nicola Molteni, ha facoltà di rispondere.
NICOLA MOLTENI, Sottosegretario di Stato per l'Interno. Signor Presidente, onorevoli deputati, considerato che gli onorevoli Incerti e Pezzopane hanno presentato interrogazioni che attengono allo stesso tema, riguardante le vicende dell'Associazione italiana per gli alberghi della gioventù, sarà offerta risposta congiunta.
Il Ministro del Turismo ha contezza della situazione in cui versa l'ente. L'AIG è un ente no profit che promuove un turismo etico e sostenibile; rappresenta un'importante catena ricettiva; è stata inclusa tra le ONG segnalate dall'ONU tra gli enti di sviluppo sociale; ha un patrimonio di circa 22 milioni di euro e 200 posti di lavoro a rischio. L'AIG, attualmente sottoposta alla procedura fallimentare del tribunale di Roma, oggetto di ricorso dinanzi alla Corte di cassazione, può costituire un'importante risorsa del settore turistico, considerando la sua attività tesa alla promozione del turismo giovanile, mediante ostelli per la gioventù, e al miglioramento morale, culturale e fisico dei giovani. Al fine di risolvere le problematiche dell'AIG, con riferimento ai profili di propria competenza, il Ministero del Turismo ha dato parere favorevole in merito ad alcune proposte emendative presentate per salvaguardare l'ente: 3.0.92 (senatrice Binetti); 3.0.93 (senatrice Rizzotti), 3.0.94 (senatore Pittella) e 3.0.95 (senatrice Faggi), presentate in sede di conversione del decreto-legge n. 4 del 2022 (S. 2505, cosiddetto “Sostegni-ter”), le quali prevedono la soppressione dell'AIG e la costituzione di un nuovo ente pubblico economico con la nomina di un commissario straordinario che gestisca la transizione tra i due enti; 45.04 (onorevole Comaroli) presentato all'atto Camera 3354, concernente la conversione del decreto-legge n. 152 del 2021 (PNRR), che prevedeva, al termine della procedura fallimentare in corso, la costituzione di una nuova associazione con analogo oggetto e medesime finalità; 121.0.6 (senatore Ripamonti), relativo al disegno di legge di bilancio per il 2022, che prevedeva la ricostituzione dell'AIG come ente pubblico non economico, vigilato dal Ministero del Turismo.
Tali proposte emendative, purtroppo, non hanno avuto esito positivo, così come era avvenuto per precedenti iniziative sostenute dal Ministero del Turismo.
Si segnala, in ultimo, che il Ministero del Turismo ha espresso parere favorevole anche in merito alle ulteriori seguenti proposte emendative presentate in sede di conversione del decreto-legge, n. 17 del 2022 (cosiddetto “decreto Energia”), le quali prevedono la soppressione dell'AIG e la costituzione di un nuovo ente pubblico economico con la nomina di un commissario straordinario che gestisca la transizione fra i due enti: 22.03 e 38.01 Longo; 22.031 Plangger; 22.05 De Giorgi; 22.06 e 38.02 Lacarra; 22.09 e 38.04 Marco Di Maio; 22.030 Lupi; 22.034 Cattaneo; 22.04 Ruffino; 22.07 e 38.03 Incerti; 22.012 Gagliardi; 22.013 Pezzopane; 22.033 e 38.07 Pittalis; 22.025 Giacometti; 38.06 Lupi e 38.08 Cattaneo.
Ovviamente, per cercare di risolvere le problematiche dell'AIG, il Ministero del Turismo sta continuando ad adoperarsi con i suoi uffici per individuare ogni ulteriore soluzione utile per affrontare la difficile situazione in cui versa l'associazione e tutelarne il patrimonio e il livello occupazionale.
PRESIDENTE. La deputata Incerti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alle interrogazioni.
ANTONELLA INCERTI (PD). Grazie, signora Presidente. Ringrazio anche il sottosegretario Molteni per la risposta che ha dato un quadro complessivo anche dell'interesse di deputati e senatori a questo tema. Come lei stesso ha ricordato, facciamo riferimento ad un'associazione che è molto importante e che ha una lunga tradizione, dal 1945; ha assicurato in tutti questi anni un turismo a vocazione sociale ed educativo, permettendo a studenti e giovani, italiani e stranieri, di muoversi lungo il nostro Paese, di conoscerne le bellezze e il patrimonio, tant'è che stiamo parlando di una rete che è cresciuta tantissimo e che si è allargata ad oltre 90 Paesi.
Voglio ricordare che in molti di questi Paesi, non da ultimo la Spagna e il Portogallo, queste associazioni sono state nazionalizzate: in tutti questi Paesi è stata riconosciuta la loro funzione sociale ed educativa, di marchio storico.
Quindi, nonostante l'accoglimento di alcuni emendamenti e di alcuni ordini del giorno, nonostante sia stata più volte dichiarata dai Ministri di competenza che si sono susseguiti l'intenzione di costituire un nuovo ente - lei faceva riferimento agli ultimi decreti-legge o anche al PNRR -, nonostante l'attenzione, mi pare che non siamo ancora nel corso di una decisione precisa che vada effettivamente, come da lei indicato, a costituire un nuovo ente pubblico non economico sotto la vigilanza del Ministero del Turismo. Quindi, sono parzialmente soddisfatta, poiché ancora non si è fatto questo passo decisivo di riconoscimento.
Come lei stesso ha ricordato, si tratta di un'associazione in difficoltà, soprattutto per la crisi economica post-COVID, quindi occorre tutelare un patrimonio storico. Ma non si tratta solo di un patrimonio dal punto di vista mobiliare e immobiliare (come lei stesso ha ricordato si parla di 22 milioni di euro); vi è, infatti, grande preoccupazione per il livello occupazionale - quindi, da questo punto di vista, massima attenzione quando si fa riferimento alla richiesta di misure urgenti - perché parliamo di 57 unità più 200 di indotto e, quindi, di oltre 250 lavoratori.
Dato che non si è ancora arrivati a un riconoscimento dell'ente definitivo, si tratta di andare nella direzione, come lei anche auspicava, di riconoscere e di intervenire soprattutto sul livello occupazionale, che mi pare in questo momento sia uno degli elementi che, anche con questa interrogazione, abbiamo voluto mettere in rilievo. Da questo punto di vista, accogliamo l'impegno a continuare in questa direzione.
(Iniziative, anche di carattere interpretativo, in relazione alle disposizioni normative per la composizione negoziata delle crisi d'impresa – n. 3-02844)
PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per la Giustizia, Anna Macina, ha facoltà di rispondere all'interrogazione Troiano n. 3-02844 (Vedi l'allegato A).
ANNA MACINA, Sottosegretaria di Stato per la Giustizia. Grazie, Presidente. Con l'atto di sindacato ispettivo innanzi indicato, l'interrogante deduce l'esistenza di alcune difficoltà applicative, in relazione alle disposizioni contenute nel decreto-legge 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 ottobre 2021, n. 147, con particolare riferimento all'articolo 2, comma primo, e all'articolo 3, comma terzo, e domanda alla Ministra della Giustizia e al Ministro dello Sviluppo economico: quali siano gli orientamenti del Governo, per quanto di competenza, con riferimento a quanto esposto in premessa; se, in considerazione delle criticità in precedenza richiamate e delle difficoltà interpretative, il Governo non convenga sulla necessità di assumere iniziative per prevedere interventi correttivi, finalizzati a chiarire le disposizioni previste dal decreto-legge 24 agosto 2021, n. 118, di cui all'articolo 2, comma primo, e all'articolo 3, comma terzo; quali iniziative urgenti e necessarie intenda intraprendere al fine di introdurre normativi volti a chiarire l'esatta interpretazione delle disposizioni riportate.
Al riguardo, deve essere posto innanzitutto in risalto che l'articolo 2, comma primo, del decreto-legge n. 118 del 2021, convertito con modificazioni dalla legge n. 147 del 2021, prevede che l'imprenditore commerciale e agricolo che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza può chiedere al segretario generale della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell'impresa, la nomina di un esperto indipendente, quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa. La nomina avviene con le modalità, di cui all'articolo 3, commi sesto, settimo e ottavo. Il tenore letterale della norma, al pari della disposizione, del tutto analoga, contenuta nel comma primo dell'articolo 17, che si occupa delle imprese in possesso dei requisiti dimensionali di non fallibilità - cosiddette imprese sotto soglia -, disposizione la quale sancisce che l'imprenditore commerciale e agricolo, che possiede congiuntamente i requisiti di cui all'articolo 1, comma secondo, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza, può chiedere la nomina dell'esperto indipendente, quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa, che istituisce la composizione negoziata quale strumento di ausilio e sostegno per le attività imprenditoriali che versino in una situazione di difficoltà patrimoniale e/o economico-finanziaria
La disposizione di cui all'articolo 2, comma primo, del decreto-legge n. 118 del 2021 non pare foriera di dubbi interpretativi, atteso che l'imprenditore agricolo, come definito dall'articolo 2135 del codice civile, il cui primo comma prevede “è imprenditore agricolo chi esercita una delle attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali, attività connesse”, non è un imprenditore commerciale, al quale si applica la disciplina prevista dagli articoli 2195 e seguenti del codice civile. Secondo l'articolo 2195, sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano: attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi; attività intermediare nella circolazione dei beni; attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; attività bancaria o assicurativa; altre attività ausiliarie delle precedenti. Sempre secondo l'articolo 2195, “Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano”. Le parole “imprenditore commerciale e agricolo” non possono, dunque, ingenerare la convinzione che per accedere alla composizione negoziata si debba essere contemporaneamente imprenditore agricolo e commerciale.
A ciò si aggiunga che vi sono diverse norme contenute nel decreto-legge n. 118 del 2021, che presuppongono l'inclusione di ogni tipologia di impresa nell'ambito applicativo della composizione negoziata. Tra queste, vanno ricordati: gli articoli 8 e 15, sulla possibilità di ottenere la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione e sugli obblighi dell'organo di controllo che riguardano più strettamente le società commerciali; l'articolo 11 che, nell'elencare i probabili esiti della composizione negoziata, richiama sia gli istituti della legge fallimentare (regio decreto n. 267 del 1942), applicabili alle sole imprese commerciali, sia quelli della legge sul sovra-indebitamento (legge 27 gennaio 2012, n. 3), utilizzabili dalle imprese agricole, oltre che dalle imprese commerciali non fallibili; gli articoli 12, 14 e 23, che contengono, a loro volta, numerosi riferimenti ad istituti della legge fallimentare, applicabili alle sole imprese commerciali fallibili.
L'intenzione del legislatore è, infine, desumibile dalla relazione illustrativa al decreto-legge n. 118 del 2021, nella quale si sottolinea che la funzione dei nuovi istituti è fornire un supporto rapido ed efficace al maggior numero possibile di imprese in crisi, a prescindere dalla loro natura e dimensione. Nella relazione illustrativa, infatti, si legge: il nuovo strumento è denominato composizione negoziata della crisi; si tratta di un percorso più strutturato rispetto a quello previsto dal codice della crisi di impresa, adeguato alle mutate esigenze di cui si è detto e meno oneroso, con il quale si intende agevolare il risanamento di quelle imprese che, pur trovandosi in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, tali da rendere probabile la crisi o l'insolvenza, hanno le potenzialità necessarie per restare sul mercato, anche mediante la cessione dell'azienda o di un ramo di essa. Non vi sono requisiti dimensionali di accesso alla composizione negoziata, che è concepita come strumento utilizzabile da tutte le realtà imprenditoriali iscritte al registro delle imprese, comprese le società agricole.
Con riferimento alla seconda problematica evidenziata nell'atto di sindacato ispettivo, occorre sottolineare che la stessa coinvolge la formazione degli elenchi degli esperti indipendenti, istituiti presso le camere di commercio, industria, agricoltura e artigianato. In proposito, va evidenziato che l'articolo 3, comma terzo, primo periodo, del decreto-legge n. 118 del 2021, sancisce che, presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di ciascun capoluogo di regione e delle province autonome di Trento e Bolzano, è formato, con le modalità di cui al comma quinto, un elenco di esperti, nel quale possono essere inseriti gli iscritti da almeno cinque anni all'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e all'albo degli avvocati che documentano di aver maturato precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione aziendale e della crisi di impresa. Anche in relazione a siffatta disposizione normativa non pare sussistere alcuna criticità interpretativa. Invero, la conclusione per la quale per essere inseriti nell'elenco di esperti occorre essere iscritti sia all'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili sia all'albo degli avvocati non si ricava dal dato testuale. La norma, infatti, equipara le due categorie, avvocati e commercialisti ed esperti contabili, solo ai fini dei requisiti di accesso all'elenco (iscrizione da almeno cinque anni nei rispettivi albi professionali e possesso di precedenti esperienze della materia aziendale), requisiti che le accomunano e le distinguono rispetto ai consulenti del lavoro e ai cosiddetti manager previsti dalla stessa disposizione.
A ciò si aggiunga che l'articolo 3 del decreto-legge n. 118 del 2021, al comma quinto, descrive le modalità di presentazione delle domande di iscrizione e affida agli ordini professionali territoriali la raccolta, l'esame e la trasmissione delle domande e ai consigli nazionali degli ordini interessati l'emanazione delle norme regolamentari necessarie per la disciplina delle attività demandate agli ordini professionali stessi. L'interpretazione del comma terzo dell'articolo 3 del decreto-legge n. 118 del 2021, alla stregua della quale sarebbe necessario essere abilitati sia alla professione di dottore commercialista che a quella forense, non solo appare inusuale nella materia della crisi di impresa, in cui gli incarichi sono affidati ad avvocati o a commercialisti, ma avrebbe anche richiesto disposizioni di maggiore dettaglio e di coordinamento, per disciplinare l'attività di raccolta e trasmissione della domanda di un professionista da parte dei due ordini di appartenenza. Occorre, inoltre, considerare quanto esposto nella relazione illustrativa del decreto-legge n. 118 del 2021, nella quale si legge che possono far parte dell'elenco, innanzitutto, gli iscritti da almeno cinque anni all'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili; gli iscritti all'albo degli avvocati che, avendo la medesima anzianità di iscrizione prevista per i dottori commercialisti, documentino precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione; i consulenti del lavoro che, oltre all'anzianità di iscrizione nell'ordine professionale di appartenenza di cinque anni, forniscano prova di aver preso parte, in almeno tre casi, a procedure di ristrutturazione portate a termine con successo.
A queste categorie si affianca quella di coloro che, avendo gestito imprese nell'ambito di procedimenti di risanamento conclusi in maniera efficace, possono fornire il necessario supporto all'imprenditore in crisi, avendo operato nel suo stesso settore o in settori similari che ne rendano utilizzabile l'esperienza e la professionalità acquisite.
Va, altresì, ricordato che, con circolare emanata in data 30 dicembre 2021 dal Dipartimento per gli affari di giustizia - Direzione generale degli affari interni - di questo Dicastero, si sono dotate e trasmesse, previa condivisione con l'Ufficio legislativo, sia al Consiglio nazionale forense, sia al Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili le “linee di indirizzo agli ordini professionali per l'attività di selezione delle domande per la formazione degli elenchi regionali degli esperti indipendenti nella composizione negoziata della crisi di impresa”. In tale documento, che si occupa in particolare del requisito delle precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione aziendale e della crisi di impresa, comune ad avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili, vengono elencati gli incarichi significativi ai fini di tale esperienza. Gli incarichi individuati tengono conto e valorizzano le professionalità di entrambe le categorie proprio perché, nello spirito della legge, si presuppone che, per poter presentare domanda per l'inserimento nell'elenco regionale, sia sufficiente l'iscrizione ad uno dei due ordini menzionati dalla norma.
Deve essere conclusivamente rimarcato che l'articolo 3, comma terzo, del decreto-legge 24 agosto 2021, n. 118, come modificato dalla legge di conversione del 21 ottobre 2021, n. 147, va interpretato nel senso che nell'elenco degli esperti indipendenti possono essere inseriti sia gli iscritti agli ordini dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, sia gli iscritti all'ordine degli avvocati, senza che gli aspiranti debbano ricoprire allo stesso tempo la duplice qualifica di iscritti ad entrambi gli ordini professionali.
Deve essere, tuttavia, precisato che, diversamente dalla stesura originaria dell'articolo 3, comma terzo, del decreto-legge 24 agosto 2021, n. 118, il nuovo testo richiede per entrambe le categorie di professionisti - e non più per i soli iscritti da almeno cinque anni all'albo degli avvocati - l'ulteriore requisito, da documentarsi opportunamente, delle precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione aziendale e della crisi di impresa.
PRESIDENTE. La deputata Francesca Troiano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interrogazione.
FRANCESCA TROIANO (M5S). Grazie, Presidente e grazie al sottosegretario. Mi ritengo parzialmente soddisfatta. Primo punto: l'imprenditore commerciale non è agricolo, ma nel decreto-legge c'è scritto: “l'imprenditore commerciale e agricolo (…)”. Non sarebbe stato meglio scrivere: “l'imprenditore commerciale o agricolo che si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale”? Inoltre, se non correggiamo l'articolo 3, comma 3, laddove menziona “gli iscritti da almeno cinque anni all'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e all'albo degli avvocati, che documentano di aver maturato precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione aziendale e della crisi di impresa”, sembra che, per potersi iscrivere alla piattaforma, bisogna essere dottore commercialista e avvocato. Chiaramente, la professione del commercialista è diversa dalla professione dell'avvocato. Queste sono tutte indicazioni che mi sono state sottolineate dalle categorie in questione, quindi comunque per loro è importante una chiarificazione, soprattutto per i giovani dottori commercialisti. Il tema della composizione negoziale per la soluzione della crisi di impresa è quanto mai strategico in questo delicato momento economico e non solo: le categorie professionali sono giustamente preoccupate; i giovani professionisti sono preoccupati, confusi e giustamente delusi per non vedere chiaramente il futuro dopo anni di duro impegno universitario.
La questione vera sul tappeto è proprio l'incertezza delle norme che andiamo a mettere in atto, senza tenere conto della realtà e dei sogni di vita dei nostri giovani, che provano ad aprire studi professionali e partite IVA. Incertezza e confusione che determinano anche disagio per le imprese e soprattutto per i giovani imprenditori che credono nel rischio di impresa.
Provo a spiegare le ragioni per dare una risposta a chi, fuori da queste Aule, è in attesa di chiarezza, certezza e futuro. Provo a puntualizzare riguardo alle tre professioni discusse.
Per quanto riguarda i dottori commercialisti, sono iscritti all'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ed è riconosciuta loro una competenza specifica in economia aziendale e diritto d'impresa e comunque nelle materie economiche, finanziarie, tributarie, societarie ed amministrative.
L'avvocato è un professionista autorizzato a fornire consulenza e assistenza legale, facendo rispettare la legge e proteggendo i diritti dei propri clienti; l'avvocato è dunque un consulente legale esperto in diritto e abilitato all'esercizio della professione che lavora su mandato di privati cittadini, imprese, organizzazioni ed enti pubblici e privati; si assicura che vengano applicate le leggi in vigore per risolvere problemi specifici o per difendere gli interessi dei propri clienti, anche rappresentandoli nei tribunali.
Il consulente del lavoro è un libero professionista che si occupa di consulenza in ambito giuslavorativo in Italia, che possiede competenze nell'amministrazione del personale subordinato e parasubordinato per conto di imprese ed enti. Tale professionista si occupa di risolvere problemi di inquadramento del personale, gestisce relazioni, comunicazioni e pratiche, principalmente con i centri per l'impiego, la direzione del lavoro, l'INAIL, l'INPS e con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro; in sede di contenzioso può anche assistere il giudice, le aziende o i privati.
Se tutto questo è vero, come è vero, posta la diversità totale delle tre professioni suindicate, a parere dell'interrogante è sufficiente, per qualsiasi di queste tre professioni, essere iscritti all'albo da almeno cinque anni, oltre ad aver conseguito la formazione specifica, secondo le future disposizioni del decreto dirigenziale. Tra i requisiti richiesti c'è l'obbligo formativo di 55 ore di lezione ai fini dell'iscrizione nell'apposito elenco degli esperti negoziatori della crisi di impresa, istituito presso le camere di commercio, pur senza aver mai trattato la materia della crisi di impresa.
Restano invece esclusi - e gli è precluso l'accesso - quei dottori commercialisti che, pur avendo maturato l'esperienza nello specifico settore, si trovino ad essere iscritti da meno di cinque anni, senza neppure poter accedere al percorso formativo. Una domanda è d'obbligo a questo punto: o si ritiene il titolo di dottore commercialista come una specializzazione a tutti gli effetti, un titolo garantito da una laurea in economia, un tirocinio o una qualifica professionale, oppure si paragona questa categoria ad altri soggetti sicuramente qualificati, ma non nel ramo fiscale. Il motivo di escludere i giovani commercialisti non trova giustificazione alcuna.
Che senso ha una norma che priva i giovani commercialisti di tale opportuno lavoro? Il Governo non può richiedere al dottore commercialista di dare prova di concrete esperienze svolte nel campo della ristrutturazione e/o procedure concorsuali! Non sembra bastevole una mera iscrizione quinquennale all'albo? Perché gli studi specifici fatti, il tirocinio e l'iscrizione quinquennale superano l'ostacolo dell'esperienza maturata. È tempo di invertire la rotta! Largo ai giovani!
D'altronde, un accesso aperto anche a chi non ha maturato una grande esperienza può essere agevolmente calmierato con i criteri di nomina che, affidati alle commissioni costituite presso le camere di commercio, debbono tenere conto della professionalità e delle competenze necessarie rispetto alla singola impresa istante, oltre che dei percorsi formativi già seguiti dai professionisti che possono essere affiancati quale ulteriore elemento di valutazione delle competenze del singolo professionista, pur senza sostituire la formazione specifica, necessariamente ritagliata sulle caratteristiche dello strumento che si va ad introdurre.
L'obbligo formativo di 55 ore di lezione ai fini dell'iscrizione nell'apposito elenco degli esperti negoziatori della crisi di impresa, istituito presso le camere di commercio, ed il possibile e potenziale appoggio ad un collega esperto consentirebbe ad un giovane professionista di svolgere dignitosamente il proprio lavoro. È tempo di pensare ai giovani!
(Iniziative di competenza per lo scorrimento delle graduatorie degli idonei delle procedure selettive interne bandite nel settembre 2016 per il profilo professionale di funzionario giudiziario e di funzionario UNEP – n. 3-02845)
PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per la Giustizia, Anna Macina, ha facoltà di rispondere all'interrogazione Varchi ed altri n. 3-02845 (Vedi l'allegato A).
ANNA MACINA, Sottosegretaria di Stato per la Giustizia. Grazie, Presidente. Con l'atto di sindacato ispettivo innanzi indicato, gli interroganti lamentano il mancato scorrimento delle graduatorie relative alle procedure di riqualificazione eseguite per i profili professionali di cancelliere e ufficiale giudiziario ai sensi dell'articolo 21-quater del decreto-legge n. 83 del 2015, convertito con modificazioni dalla legge n. 132 del 2015 e domandano alla Ministra della Giustizia quali immediate iniziative il Governo intenda assumere per attuare un piano di scorrimento delle graduatorie.
Al riguardo, giova innanzitutto ripercorrere in maniera sintetica le fasi che hanno interessato le procedure di riqualificazione menzionate nell'atto di sindacato ispettivo.
L'articolo 21-quater è stato introdotto in sede di conversione del decreto-legge n. 83 del 2015. Con tale articolo, si è stabilito che “il Ministero della Giustizia è autorizzato, nei limiti delle posizioni disponibili in dotazione organica, a indire una o più procedure interne, nel rispetto del CCNL comparto Ministeri 1998-2001 e successivi contratti integrativi dello stesso, riservate ai dipendenti in possesso dei requisiti di legge, già in servizio alla data del 14 novembre 2009, per il passaggio del personale inquadrato nel profilo professionale di cancelliere e di ufficiale giudiziario, con attribuzione della prima fascia economica di inquadramento, in conformità agli articoli 14 e 15 del CCNL comparto Ministeri 1998-2001. Ogni effetto economico e giuridico conseguente alle procedure di riqualificazione del personale amministrativo, di cui al presente articolo, decorre dalla completa definizione delle relative procedure selettive”.
In attuazione del riportato dettato normativo, questo Dicastero ha provveduto, in data 19 settembre 2016, a pubblicare due separati avvisi con cui è stata indetta la procedura di riqualificazione del personale amministrativo per i profili professionali di cancelliere e di ufficiale giudiziario.
Al fine di garantire la riqualificazione della più ampia platea dei soggetti destinatari, si è proseguito lo scorrimento delle relative graduatorie anche durante l'emergenza epidemiologica da COVID-19.
Peraltro, corre l'obbligo di rammentare che l'articolo 21-quater del decreto-legge n. 83 del 2015, convertito con modificazioni dalla legge n. 132 del 2015, nel disciplinare le procedure da porre in essere, ha sancito dei precisi vincoli da rispettare, quali le posizioni disponibili in dotazione organica e il rapporto fra posti riservati ai dipendenti e posti riservati agli accessi dall'esterno, fissato nella percentuale, rispettivamente, del 50 per cento e del 50 per cento, computando nella percentuale di accessi dall'esterno sulla base di procedure disposte o bandite a partire dalla data di entrata in vigore del citato CCNL, ivi compresi gli accessi per effetto di scorrimenti di graduatorie concorsuali di altre amministrazioni e le procedure di mobilità esterna comunque denominate, anche ai sensi dell'articolo 1, comma 425, della legge del 23 dicembre 2014, n. 190, come modificata dall'articolo 21 del presente decreto.
Questo Dicastero ha provveduto ad effettuare la riqualificazione del personale amministrativo per i profili professionali di cancellieri e ufficiali giudiziari, nel rigido rispetto dei vincoli normativi stabiliti.
Per quanto concerne poi le altre procedure concorsuali poste in essere da questo Dicastero e richiamate nell'atto di sindacato ispettivo, merita di essere evidenziato, con riferimento della procedura concernente l'assunzione di 2.700 cancellieri esperti, che la stessa concerne di fatto un profilo professionale diverso rispetto a quello coinvolto nello scorrimento delle graduatorie relative alla riqualificazione del personale amministrativo. Tra l'altro, tale profilo, in ragione anche degli effetti della medesima riqualificazione, necessitava di essere in qualche modo rinforzato. Basti pensare alle ragioni che hanno reso indispensabile lo svolgimento della procedura in questione, così come illustrate nelle premesse del relativo bando: “considerate complessivamente le rilevantissime vacanze nelle dotazioni organiche del personale nel ruolo dell'amministrazione giudiziaria (…) e, nella specie, quelle ancora più gravi relative al profilo professionale di cancelliere esperto (…); ritenuto che, in ragione di esigenze di indispensabile tempestività dell'attività di reclutamento, onde scongiurare - unitamente alle altre procedure assunzionali in atto o già pianificate, relative ad altri profili professionali - il concreto pericolo di paralisi dell'attività giudiziaria, conseguente alle eccezionali criticità di organico sopra evidenziate, si rende assolutamente necessario procedere secondo le modalità semplificate previste dal decreto-legge del 19 maggio 2020, n. 34, recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, convertito con modificazioni dalla legge del 17 luglio 2020, n. 77, ed in particolare dagli articoli 248, 249 e 252”.
In relazione alle assunzioni relative all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e più esattamente all'immissione di 8.171 funzionari giudiziari nell'ufficio per il processo, il riferimento a tali assunzioni non tiene conto del fatto che questo contingente di personale amministrativo è stato assunto per un tempo determinato e con risorse eccezionali, oltre che vincolate al raggiungimento di precisi obiettivi, primo fra tutti quello di offrire un aiuto alla giurisdizione, in modo da determinare un rapido miglioramento delle performance degli uffici giudiziari.
Quanto poi alla sentenza emessa dal tribunale di Roma - sezione lavoro - in data 10 gennaio 2022, premesso che la stessa non ha ancora valore di cosa giudicata, bisogna fare presente che siffatto provvedimento si fonda sulla parte dell'accordo sindacale del 26 aprile del 2017 in cui si legge: “L'Amministrazione si impegna a (…) definire, entro il 30 giugno 2019, l'intero processo di attuazione della progressione tra le aree dei cancellieri e degli ufficiali giudiziari risultati vincitori ed idonei all'esito delle procedure selettive avviate con i pubblici avvisi del 19 settembre 2016, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 21-quater del decreto-legge del 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, e dal presente accordo” in quanto, secondo l'interpretazione del giudicante, si sarebbe configurata una violazione del “principio di correttezza e buona fede, ex articoli 1175 e 1375 del codice civile”.
Non può, tuttavia, non osservarsi come, nella sentenza emessa dal tribunale di Roma - sezione lavoro - in data 10 gennaio 2022, sia stato attribuito un valore preminente alla necessità di definire l'intero processo di attuazione della progressione tra le aree dei cancellieri e degli ufficiali giudiziari entro il 30 giugno 2019, radicalmente pretermettendo l'inciso, ancora più cruciale, dell'accordo sindacale del 26 aprile del 2017, con il quale si afferma: “nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 21-quater del decreto-legge del 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge del 6 agosto 2015, n. 132”. Ovviamente il rispetto dell'articolo 21-quater del decreto-legge del 27 giugno 2015, n. 83, vale non solo per la parte in cui viene autorizzata la riqualificazione del personale amministrativo, ma anche per quella in cui vengono posti dei precisi limiti da osservare nell'ambito di siffatte procedure.
In quest'ottica, deve essere evidenziato che, con riferimento alla materia che ci occupa, sono state emesse plurime sentenze favorevoli alla posizione di questo Dicastero. Tra queste, si segnala una recentissima pronuncia adottata dal tribunale di Milano - sezione lavoro - in data 3 febbraio 2022.
In via conclusiva, va osservato che la cautela sulle tempistiche di scorrimento delle graduatorie, relative alle procedure di riqualificazione eseguite per i profili professionali di cancelliere e di ufficiale giudiziario, nasce a tutela anche dell'efficienza degli uffici giudiziari in un momento delicato. Si tratta di fare progredire i cancellieri verso la qualifica di funzionari, ma con ciò si creano inevitabilmente vacanze nel ruolo di cancelliere, figura fondamentale negli uffici.
Pertanto, adesso che sono entrati in servizio cancellieri di nuova assunzione, valutato il periodo di inserimento, si può finalmente annunciare che la graduatoria degli idonei sarà scorsa. I tempi e le modalità saranno comunicati nell'incontro che si terrà con le organizzazioni sindacali.
PRESIDENTE. La deputata Ylenia Lucaselli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interrogazione.
YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. No, sottosegretario, non siamo soddisfatti della sua risposta. Non siamo soddisfatti perché il percorso giuridico e normativo che parte dalla legge del 1957, fino ad arrivare poi alla riformulazione della legge n. 145 del 2018 noi lo conosciamo molto bene e conosciamo molto bene quello che succede all'interno dei Ministeri e qual è l'annoso problema dello scorrimento delle graduatorie.
Ovviamente, capirà che rispondere alla nostra interrogazione soltanto nella parte finale, dicendo che, ancora una volta, si procederà allo scorrimento della graduatoria, obiettivamente non è una risposta che può lasciarci soddisfatti.
Noi conosciamo benissimo la questione relativa allo scorrimento delle graduatorie. E' una questione di grande rilievo, che purtroppo rimane ancora molto controversa perché sappiamo che tocca l'ambito delle politiche di assunzione del personale nel settore pubblico, nonché la razionalizzazione del personale, la spesa pubblica, l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa. Ma, proprio per questo motivo e in virtù anche di quanto venne deciso all'interno della legge di bilancio per il 2020 che - come lei sicuramente saprà - introdusse un doppio binario in merito ai termini di scadenza delle graduatorie concorsuali, è evidente che ci debba essere un principio generale, che è appunto quello stabilito dall'articolo 91 del decreto legislativo n. 267 del 2000, che è in evidente contrasto con la ratio sottesa invece a tutta la materia.
Siamo assolutamente consapevoli che, negli ultimi anni, soprattutto in sede giurisprudenziale, si è ritenuto che la scelta di procedere allo strumento della graduatoria debba rappresentare la regola di condotta della pubblica amministrazione, mentre l'indizione di un nuovo concorso debba essere considerata l'eccezione, cioè debba essere disposta soltanto nel caso di extrema ratio. Lei ha citato una parte delle sentenze; non farò lo stesso - perché ci sarebbe un elenco troppo lungo -, ma tutti i tribunali e più volte la Cassazione hanno ribadito questo concetto e lo hanno fatto partendo da un presupposto importantissimo, cioè quello per il quale il ricorso allo scorrimento delle graduatorie risponde, innanzitutto, ad una esigenza sociale e di equità, nonché contribuisce all'attuazione dei principi costituzionali del buon andamento e dell'imparzialità dell'azione amministrativa, di cui all'articolo 97 della Costituzione.
Proprio per questo motivo riteniamo necessario un intervento, soprattutto relativamente all'oggetto della nostra interrogazione, che parte da un punto, ma si occupa degli scorrimenti di tutte le graduatorie che sono in questo momento in essere e bloccate dal Governo. Infatti, quando, per una necessità di organico, si procede all'assunzione per concorso di 8.171 funzionari giudiziari, come lei ha citato prima, che devono essere inquadrati nell'ufficio del processo, lei dimentica, però, una parte molto importante: il personale che da anni aspira a un legittimo avanzamento di carriera. Per questo motivo ed essendo ben noto che il Ministero ha dovuto correggere il tiro rispetto ad alcune decisioni, perché non erano in conformità con le normative e neanche con i precetti costituzionali – e, aggiungerei, neanche in linea con la giurisprudenza di merito -, evidentemente, in questo momento un problema c'è. Credo pertanto che anche, e soprattutto, su questi temi si debba avere il coraggio e la forza di rivedere la disciplina e di dare a ragazzi che hanno studiato, che hanno fatto un concorso e che sono risultati idonei per quei concorsi, la possibilità di aspirare legittimamente a esercitare la propria funzione e, quindi, di potere essere immessi nel mondo del lavoro.
L'auspicio del gruppo di Fratelli d'Italia è, quindi, che finalmente la questione dello scorrimento delle graduatorie venga risolta e che finalmente arrivino risposte.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.
Sospendo, a questo punto, la seduta, che riprenderà alle ore 12.
La seduta, sospesa alle 10,10, è ripresa alle 12.
Informativa urgente del Governo concernente iniziative a sostegno della filiera agricola, agroalimentare e della pesca in relazione all'aumento dei costi dell'energia e delle materie prime e agli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di una informativa urgente del Governo concernente iniziative a sostegno della filiera agricola, agroalimentare e della pesca in relazione all'aumento dei costi dell'energia e delle materie prime e agli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina.
Dopo l'intervento del rappresentante del Governo, interverranno i rappresentanti dei gruppi - per sette minuti ciascuno - e delle componenti politiche del gruppo Misto - per due minuti ciascuno - in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica.
(Intervento del Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Stefano Patuanelli.
STEFANO PATUANELLI, Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali. Grazie Presidente, grazie onorevoli colleghi. Vi ringrazio per l'invito a svolgere questa informativa urgente, che pone al centro del dibattito un tema oggettivamente strategico, ossia la capacità del settore agroalimentare italiano di affrontare efficacemente le dinamiche innestate dai rapidi e improvvisi mutamenti dei contesti economici e politici, come quelli che stanno destabilizzando l'Europa in queste ultime settimane.
Prima di entrare nello specifico e nel merito, consentitemi, però, di rivolgere un pensiero di vicinanza e di solidarietà al popolo ucraino, da oltre un mese oggetto di un attacco militare, che sta comportando conseguenze sempre più tragiche (Applausi). La perdita di tante vite umane innocenti e l'abbandono della propria terra da parte di milioni di donne, bambini e uomini, alla ricerca della tranquillità perduta tra le macerie provocate dal conflitto, non possono lasciarci indifferenti. In quest'Aula, esattamente una settimana fa, abbiamo ascoltato assieme l'accorato e coraggioso intervento in videoconferenza del Presidente Zelensky. Le condizioni in cui versa il suo Paese non sono sostenibili ancora per molto e tutti ci auguriamo che il conflitto militare possa immediatamente cessare.
Ho avuto più volte modo di dire che gli ultimi due anni, caratterizzati dai devastanti effetti sociali ed economici causati dalla pandemia da COVID-19, hanno rimesso al centro del dibattito politico la capacità di adattamento del nostro sistema agricolo e alimentare. Gli sforzi dei nostri produttori hanno costantemente assicurato cibo di qualità, a un prezzo equo, sulle tavole degli italiani, nonostante le enormi difficoltà legate all'emergenza sanitaria.
Il 2021 si è chiuso all'insegna di un cauto ottimismo, con il PIL italiano in aumento del 6,5 per cento e con previsioni di un ulteriore incremento per l'anno in corso superiore al 4 per cento. Le esportazioni agroalimentari hanno ampiamente superato i livelli del periodo pre-pandemia, raggiungendo la quota record di 52 miliardi di euro. Sembravano esserci, quindi, tutti gli elementi per guardare con fiducia ai prossimi mesi e anni, in un'ottica di crescita generalizzata dell'economia e dell'occupazione. Tuttavia, gli strascichi della crisi hanno continuato ad essere evidenti anche nei primi mesi di quest'anno, con un perdurante aumento generalizzato delle materie prime, dei prodotti energetici e dei suoi derivati, in un quadro segnato da una crescita dell'inflazione, con un più 5,7 per cento su base annua nel mese di febbraio di quest'anno. Purtroppo, la crisi tra Russia e Ucraina - invero, l'invasione della Federazione russa ai danni dell'Ucraina - ha bruscamente allontanato le previsioni di un graduale ritorno alla normalità e, sovrapponendosi al protrarsi degli effetti della pandemia, ha improvvisamente introdotto nuovi e ulteriori fattori di instabilità sociale ed economica. In queste settimane il dibattito si è incentrato sul ruolo del mercato unico, sulle distorsioni del commercio internazionale e, soprattutto, sulla dipendenza dall'estero dell'Unione europea e dell'Italia per i prodotti energetici e per alcune materie prime agricole. La prima, immediata conseguenza della crisi si è concretizzata in una nuova e ulteriore fiammata dei mercati dei prodotti energetici, che ha spinto in forte aumento il prezzo del petrolio e, soprattutto, del gas naturale. Tale fenomeno ha provocato un ulteriore generale peggioramento dei costi di trasporto e di riscaldamento, che già in precedenza gravavano su tutti i settori produttivi nazionali.
Nel settore agroalimentare si aggiungono, per la prima volta dopo molti anni, le difficoltà di approvvigionamento di alcune materie prime agricole dall'area centro-orientale dell'Europa, la quale tradizionalmente rifornisce il mercato dei cereali e dei semi oleosi dell'Unione europea e dell'Italia. Oltre al venir meno, dai mercati internazionali, dei prodotti di Russia e Ucraina, grandi esportatori di commodity per l'alimentazione umana e animale, l'eventualità di un blocco del commercio con altri Paesi europei delinea uno scenario più complesso e incerto. Le minacce di restrizione alle esportazioni di cereali dall'Ungheria, uno dei primi partner italiani in questo settore, avevano accresciuto le preoccupazioni del settore zootecnico nazionale. Per fortuna, tale ipotesi è stata scongiurata e mi preme ringraziare il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, per il suo tempestivo intervento presso il Primo Ministro Orbán, che ha consentito una rapida ripresa delle forniture.
Le preoccupazioni, tuttavia, permangono. Il potenziale proliferare di limitazioni al commercio internazionale da parte di Paesi dell'area ex sovietica e di alcuni dei Paesi membri della UE potrebbe, infatti, compromettere il mercato degli approvvigionamenti europei e la stessa natura del mercato unico, provocando uno shock generalizzato di ampia portata. Per il settore agricolo, l'incertezza dello scenario geopolitico ha ulteriormente accresciuto la volatilità e anche la speculazione delle quotazioni internazionali dei cereali e dei semi oleosi. I prezzi di frumento e mais in Italia hanno raggiunto i livelli più elevati negli ultimi anni.
A fronte di queste difficoltà, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha immediatamente attivato, con il supporto degli enti vigilati, meccanismi di monitoraggio per valutare, con dati oggettivi e certi, gli impatti della crisi in atto sui sistemi produttivi agroalimentari e proporre le possibili misure a sostegno delle imprese. Il 10 marzo scorso ho tenuto un'informativa in sede di Consiglio dei Ministri, per illustrare al Presidente e ai colleghi Ministri le criticità del settore che rappresento, sollecitando il ricorso a una strumentazione di emergenza, sia in ambito nazionale che europeo. Sono, inoltre, quotidiani i confronti con le associazioni di categoria, che ringrazio per la collaborazione, costante e proficua. Nelle scorse settimane, i sottosegretari Centinaio e Battistoni, ai quali va il mio personale ringraziamento per l'impegno che stanno profondendo, hanno convocato, rispettivamente, il tavolo di filiera del grano e il tavolo di consultazione permanente dell'acquacoltura e della pesca, al fine di approfondire le tematiche più urgenti e acquisire elementi utili a elaborare risposte efficaci e funzionali ai settori interessati.
Dopo questa necessaria premessa, ritengo indispensabile fornire qualche dato che dia conto della reale situazione in cui versa il nostro Paese per quel che riguarda gli aspetti di pertinenza della mia Amministrazione.
Le nostre analisi delineano un valore dell'interscambio commerciale agroalimentare dell'Italia con Russia e Ucraina contenuto, pari, nel complesso, a circa un miliardo di euro di esportazioni e poco meno di 900 milioni di euro di importazioni. Se rapportato al dato dei 52 miliardi di esportazioni complessive dell'agroalimentare, ci rendiamo conto, quindi, che il dato è contenuto. Per le esportazioni italiane il mercato russo era già stato seriamente compromesso nel 2014, quando Mosca ha imposto un embargo su gran parte delle eccellenze italiane - ortofrutta, carni fresche trasformate, prodotti lattiero-caseari - come ritorsione alle sanzioni della UE per l'avvio della crisi in Crimea.
Nel 2021, le esportazioni italiane in Russia ammontano a 661 milioni di euro, pari all'1,3 per cento del totale delle vendite italiane, con i principali prodotti rappresentati da caffè torrefatto, vini in bottiglia e vini spumanti. L'Italia è il primo fornitore di vino in Russia, ma il valore esportato - 148 milioni di euro complessivi - è pari a circa il 2 per cento del totale delle vendite all'estero del settore e la Federazione russa detiene la dodicesima posizione tra i partner commerciali della filiera vitivinicola nazionale. Le esportazioni agroalimentari in Ucraina risultano più circoscritte, con un valore di 365 milioni di euro, che rappresenta lo 0,7 per cento del totale delle vendite italiane.
Dal 1° gennaio 2022, prima del deflagrare del conflitto in Ucraina, anche la Bielorussia si è adeguata alle politiche commerciali della Russia, decretando il blocco delle importazioni di alcuni prodotti italiani ed europei, quali appunto ortofrutta, carni fresche trasformate e prodotti lattiero-caseari e dolciumi. D'altra parte, occorre precisare che, con circa 40 milioni di euro di esportazioni e poco meno di 2 milioni di euro di importazioni nel 2021, il peso di questo Paese sulla bilancia commerciale agroalimentare italiana può essere considerato molto limitato. Negli ultimi 5 anni, tuttavia, questi Paesi hanno registrato sensibili aumenti delle vendite italiane ed è pertanto necessario attuare tutte le misure utili a mantenere le nostre quote di mercato, allo scopo di non rallentare la fase di espansione delle aziende italiane. Cito, a titolo esemplificativo e non esaustivo, l'Asti spumante e il Prosecco.
Evidenzio che il recente blocco imposto dalla UE all'esportazione di beni di lusso in Russia ha colpito in maniera differenziata alcune eccellenze del made in Italy, con un impatto però limitato per l'agroalimentare. Tuttavia, il conflitto bellico e le conseguenti sanzioni hanno, di fatto, reso impraticabili questi mercati di sbocco, nei confronti dei quali tutti gli operatori hanno assunto un prudenziale atteggiamento di attesa a causa del blocco delle intermediazioni bancarie e dell'instabilità del rublo. L'Italia importa da Russia e Ucraina principalmente cereali (frumento tenero e mais), semi oleosi (girasole) e materie prime per l'alimentazione animale, come i pannelli di estrazione di semi di girasole, la polpa di barbabietola e i piselli secchi. Nel 2021, gli acquisti dell'Italia dalla Russia sono stati pari a 252 milioni di euro, lo 0,5 per cento del totale dell'import agroalimentare italiano, mentre quelli dell'Ucraina ammontano complessivamente a 641 milioni di euro, l'1,4 per cento del totale. Di conseguenza, il settore agroalimentare maggiormente danneggiato in Italia è quello dell'alimentazione zootecnica, mentre in parte minore è stato colpito il settore dell'alimentazione umana con il frumento tenero. Nel 2021, il primo fornitore dell'Italia di frumento tenero è stato l'Ungheria, con una quota del 23 per cento, seguita da Francia, Austria, Croazia e Germania; l'Ucraina si è collocata al sesto posto, con una quota del 3 per cento. L'Ungheria è anche il primo partner dell'Italia per quantità acquistate di mais, il 30 per cento, seguita da Ucraina e Slovenia, entrambe con il 15, e Croazia, con il 10 per cento. L'Ucraina ha fornito all'Italia il 50 per cento, però, delle quantità di olio di girasole, mentre un'ulteriore quota del 40 per cento è assicurata, in pari quota, da Ungheria e Bulgaria. La Russia garantisce poco meno di un terzo dei nostri fabbisogni esteri di polvere di barbabietola e di pannelli di estrazione di olio di girasole e circa due terzi delle quantità di piselli secchi per l'alimentazione animale. Il flusso degli approvvigionamenti nazionali è ulteriormente ostacolato dal blocco delle spedizioni via nave, dal Mar Nero e dal Mar d'Azov che, storicamente, sono il centro logistico della produzione agricola dell'area ex sovietica e di parte del Medioriente.
La diversificazione dei mercati di approvvigionamento è sicuramente attuabile, visti i dati in premessa, e implica il ricorso, in primo luogo, ai Paesi limitrofi e agli altri Paesi membri produttori, con particolare riferimento a Francia e Germania, all'interno di una UE che nel suo complesso si conferma uno dei maggiori produttori mondiali di cereali. Il ricorso ai grandi esportatori dal continente americano, USA, Canada, Argentina e Brasile, è in parte rallentato, da un lato, dal costo del trasporto via mare, dal momento che i prezzi della logistica internazionale non sono ancora ritornati ai livelli pre-pandemia, dall'altro, si deve notare che a tale criticità si aggiungono i problemi relativi alle caratteristiche qualitative del prodotto estero, viste le disposizioni legislative unionali che ne limitano la commercializzazione in Europa, con particolare riferimento ai valori minimi dei residui dei prodotti fitosanitari. Russia e Ucraina, infine, sono tra i maggiori produttori ed esportatori di fertilizzanti: complessivamente, forniscono all'Italia il 13 per cento del quantitativo totale acquistato all'estero. Attualmente, i partner su cui potenziare gli acquisti sono Egitto, primo fornitore per l'Italia, Belgio, Germania e Marocco, ma è facile ipotizzare un'impennata globale del mercato che si sommerà al precedente aumento di tutti i prodotti chimici di derivazione energetica. Alla tensione dei mercati si associano i fenomeni speculativi in atto che potrebbero spiegare una parte degli aumenti dei cereali che non sono frutto delle attuali dinamiche di mercato. Per contrastare queste patologie è necessario aumentare l'informazione e la trasparenza del mercato; tuttavia, occorre purtroppo rilevare la mancanza, a livello europeo e anche nel nostro Paese, di un'effettiva capacità di stima dei reali stock delle materie prime che in queste settimane hanno subito i maggiori rincari. È quanto mai necessario capire esattamente quale sia l'effettiva situazione della disponibilità di prodotto, sia a livello nazionale che europeo, come confermato proprio oggi, questa mattina, dal Commissario Wojciechowski, per poter distinguere tra lievitazione dei prezzi per carenza effettiva e per fenomeni speculativi. A tal proposito, stiamo attivando assieme agli enti vigilati preposti opportune misure di monitoraggio, posto che il quadro complessivo deve essere valutato a livello europeo.
La pandemia ha generato una crisi simmetrica che ha colpito uniformemente tutti i Paesi, le filiere e i settori. Con le politiche attuate a livello europeo e nazionale, il mercato stava superando l'emergenza, rendendo ancor più solide le filiere che erano già strutturate ed efficienti. I dati dell'anno scorso parlano chiaro: l'Italia, grazie anche alla forza del proprio settore agroalimentare, è sembrata in grado di superare le difficoltà prima e meglio degli altri partner europei. Al contrario, la crisi provocata dall'emergenza energetica, acuita dallo scoppio del conflitto in Ucraina, si distribuisce in modo asimmetrico, colpendo in maniera differenziata Paesi e settori, incidendo direttamente sui costi di produzione e di approvvigionamento. L'Italia in questo caso è tra i Paesi più colpiti; il pericolo è che le imprese e interi comparti produttivi possano perdere la propria competitività, rischiando di non riuscire più a redistribuire gli aumenti lungo la filiera produttiva e di uscire progressivamente dal mercato. In questo momento infatti i costi per le nostre aziende sono insostenibili. Il CREA, in una nota pubblicata il 21 marzo scorso relativa agli effetti del conflitto in Ucraina sui profili economici delle aziende agricole italiane, ha stimato un impatto di oltre 15.700 euro di aumento medio dei costi delle imprese agricole; aumento dovuto al rincaro di fertilizzanti, mangimi, gasolio, sementi piantine, prodotti fitosanitari, antiparassitari e diserbanti, oltre ai maggiori costi per i noleggi passivi, conseguenza diretta dell'incremento dei costi dei carburanti.
L'impatto complessivo dell'impennata dei prezzi pagati dagli agricoltori sulla platea delle aziende - sono oltre 600 mila le imprese agricole - rappresentate dall'indagine effettuata sulla base dei dati aziendali rilevati dalla rete RICA supera i 9 miliardi di euro. Gli agricoltori pagano due volte il costo degli aumenti: in maniera diretta, con la bolletta energetica e, in maniera indiretta, tramite gli aumenti dei prezzi dei semilavorati e delle materie prime, che sono a loro volta colpiti dalla crescita dei costi di produzione e di approvvigionamento. Senza gli adeguati strumenti normativi di sostegno e senza un indirizzo strategico definito sarà difficile recuperare le fasce di mercato perduto. Cito, ad esempio, il caso del caro gasolio che ha provocato nei giorni scorsi il blocco degli autotrasportatori e dei pescherecci, con gli operatori che hanno avuto grande difficoltà a contenere il progressivo aumento dei costi. Su questo specifico tema ho avuto di recente un confronto con i Ministri Franco e Cingolani per individuare un set di proposte che faremo al Consiglio dei Ministri. Il Ministero è prontamente intervenuto per sostenere il settore della pesca e la scorsa settimana, in Conferenza Stato-regioni, è stata raggiunta l'intesa sul decreto ministeriale che stanzia 15 milioni di euro per le imprese del settore marittimo, 3,5 milioni per l'acquacoltura e 1,5 milioni per il comparto operante nelle acque interne, per un totale di 20 milioni di euro. Si tratta di un provvedimento fortemente atteso da tutta la filiera ittica e adottato in tempi rapidi, per fornire una concreta risposta alla crisi energetica che stanno vivendo le marinerie, che si aggiunge alla misura agevolativa che ho chiesto e inserito nel cosiddetto “decreto crisi Ucraina”, di cui parlerò a breve.
Allo stesso modo, la filiera dei prodotti lattiero-caseari sta pagando uno dei prezzi più alti per gli aumenti di energia e dei mangimi; anche se l'accordo stipulato a novembre dal tavolo di filiera è ormai superato dall'attuale situazione di mercato, la ripresa del confronto avviata nuovamente su iniziativa del MiPAAF, lo scorso febbraio, mira a condividere con tutti gli operatori gli interventi congiunturali e strutturali per consentire al settore di superare la crisi. Il vero problema che sta affrontando il settore primario rispetto all'aumento dei costi è che, anche quando un aumento dei costi di produzione si scarica sul prezzo finale, l'aumento del prezzo finale, quindi, inflattivo, non arriva al produttore iniziale e viene in qualche modo assorbito dalla grande distribuzione e dalla trasformazione. Questo è un problema storico delle filiere, però, credo che in questo momento rappresenti il vero problema per i produttori agricoli italiani. Il perdurare nel tempo di tale situazione di crisi lascia prevedere che l'effetto dell'aumento dei costi difficilmente potrà essere assorbito nel breve periodo. Le conseguenze delle incertezze geopolitiche, la volatilità dei mercati energetici internazionali e le difficoltà del commercio globale non possono essere affrontate efficacemente a livello di singolo Paese, ma necessitano di una risposta comune a livello europeo. Nel caso del caro energia, la proposta di mettere un tetto al prezzo del gas è un elemento cruciale per evitare la corsa al rialzo dei prodotti energetici e, allo stesso tempo, ho più volte sostenuto - e ribadisco - la necessità di una riflessione sul ricorso ad un'ulteriore tranche di debito comune per l'adozione di un Energy Recovery Fund, allo scopo di compensare a livello europeo la simmetria della dipendenza dal gas e dalle modalità di produzione dell'energia elettrica all'interno dei singoli Stati membri. In questo scenario, non ritengo opportuno parlare di sovranità alimentare per il sistema agroalimentare italiano e colgo questa occasione per ribadire ancora una volta che, a tutt'oggi, non esistono allarmi alimentari per il nostro Paese. Il nostro tessuto agricolo non può fisicamente garantire l'autosufficienza di tutte le materie prime necessarie per le produzioni nazionali destinate al consumo interno e all'esportazione, quest'ultima peraltro in costante crescita. Ritengo, inoltre, necessario evitare atteggiamenti come quelli inizialmente tenuti dall'Ungheria, che potrebbero compromettere il funzionamento del mercato unico comune, minando alla base uno dei caposaldi dell'Unione europea. Al contrario, credo che debba essere avviata una seria riflessione sulla capacità di autoapprovvigionamento alimentare del nostro continente.
La sovranità alimentare europea è possibile ed auspicabile. Occorre, però, rivedere le politiche che, nel corso degli anni, hanno portato in Europa all'abbandono di alcune coltivazioni. L'obiettivo deve essere quello di assicurare che i raccolti all'interno dell'Unione europea garantiscano gli approvvigionamenti necessari ai nostri produttori senza ricorrere a Paesi terzi.
Oggi l'Italia importa oltre il 60 per cento del fabbisogno di frumento tenero e circa il 50 per cento di mais e il mercato nazionale è largamente esposto alle turbative del mercato globale.
A livello europeo, occorre verificare i meccanismi di distribuzione delle produzioni interne e intervenire sull'aumento della capacità produttiva dei Paesi membri per le colture più necessarie. A livello nazionale, è cruciale avviare una discussione per definire una quota minima di autoapprovvigionamento nazionale che consenta al settore agroalimentare di affrontare con maggiore tranquillità la sempre più frequente volatilità del mercato.
Nel corso del Consiglio dei Ministri “Agricoltura e pesca” dell'Unione europea tenutosi il 21 marzo a Bruxelles, ho avuto un confronto molto importante con i colleghi europei e con il Commissario Janusz Wojciechowski sulla definizione delle misure di emergenza da adottare all'interno dell'Unione. In quell'occasione abbiamo avuto modo di collegarci in videoconferenza con il Ministro dell'Agricoltura ucraino, Roman Leshchenko, che ci ha illustrato le drammatiche condizioni in cui è costretta a vivere la popolazione ucraina, sollecitando aiuti concreti e tempestivi. A nome dei 27 Stati membri della stessa Unione europea, il commissario Wojciechowski e il Ministro Denormandie - il Ministro della Presidenza francese - hanno ribadito la vicinanza dell'intera Unione all'eroica difesa del popolo ucraino dei confini dell'Europa democratica e assicurato assistenza e finanziamenti, al fine di riattivare quanto prima il comparto primario del Paese e garantire, per quanto possibile, continuità alla stagione di semina.
Wojciechowski ha, poi, illustrato il pacchetto di interventi straordinari messi in campo dalla Commissione, anche a seguito delle indicazioni dei Capi di Stato e di Governo a Versailles, per affrontare la crisi dei mercati. Innanzitutto, attraverso uno stanziamento di 500 milioni di fondi europei, si intendono attivare le misure di mitigazione delle turbative di mercato per sostenere i settori più colpiti dalla crisi, secondo quanto previsto dall'articolo 219 del regolamento (UE) n. 1308/2013 sull'OCM unica. Le risorse saranno reperite utilizzando 350 milioni di euro della riserva di crisi e 150 milioni di euro da entrate a destinazione specifica per pagamenti diretti e mercati. Queste misure potranno essere cofinanziate - cosa che, certamente, faremo - dagli Stati membri fino ad un massimo del 200 per cento.
La bozza di atto delegato, resa disponibile dalla Commissione, prevede per l'Italia un'assegnazione di 48 milioni di euro - il meccanismo di distribuzione è stato lo stesso della PAC -, che potranno essere integrati con un cofinanziamento fino a 96 milioni di euro, di cui siamo chiamati a farci carico con un ulteriore sforzo finanziario. Per l'Italia significherebbe disporre di uno stanziamento complessivo di 144 milioni di euro, che è mia intenzione destinare ai settori maggiormente in difficoltà, zootecnico e lattiero-caseario in primis, ma occorre far presto, le imprese hanno bisogno urgente di sostegno e i tempi concessi dalla Commissione sono particolarmente ristretti.
Al fine di aumentare il potenziale produttivo europeo, inoltre, la Commissione ha proposto una deroga, per il solo 2022, all'attuale norma della PAC che prevede di destinare almeno il 5 per cento delle superfici agricole o seminabili ad aree ecologiche. La Commissione predisporrà un atto delegato per permettere la coltivazione su tali aree delle colture più necessarie - proteiche, cereali, girasole e altre colture -, nonché l'eventuale pascolamento.
Sempre in tema di PAC, si prevede la possibilità per gli Stati membri di erogare un livello più elevato di anticipi per i pagamenti diretti e le misure a superficie dello sviluppo rurale, a partire, però, solo dal 16 ottobre 2022. Per porre freno ai fenomeni speculativi, la Commissione si è mostrata disponibile ad autorizzare importazioni temporanee di materie prime dai Paesi terzi, anche in deroga ai limiti massimi di residui fitosanitari.
Nel corso della riunione, ho espresso il mio sostegno al pacchetto proposto, ma ho fatto anche presente che tali misure non sono sufficienti a gestire una situazione di crisi di così ampia portata. In primo luogo, ho sottolineato l'opportunità di procedere con una proroga dell'attuale regime di aiuti di Stato per la crisi COVID, in scadenza a fine giugno, evidenziando, al contempo, la complessità dell'adozione di un nuovo meccanismo, peraltro con plafond limitato a soli 35 mila euro per azienda agricola. Temo che questa mia proposta cadrà nel nulla, perché la volontà della Commissione è quella di proporre un nuovo pacchetto, un regime temporaneo di aiuti di Stato. Credo che sarebbe stato molto più semplice prorogare l'attuale, anche perché tutte le amministrazioni hanno adeguato le proprie programmazioni sulla base di quel regime d'aiuto. Avere, anche se per un tempo limitato, una compresenza di regimi di aiuti diversi potrebbe complicare la vita agli agricoltori.
In merito ai piani strategici, ho evidenziato l'opportunità di prestare particolare attenzione alle nuove priorità della sicurezza alimentare, richiamando, in particolare, l'attenzione sulla possibilità di una deroga temporanea di alcuni vincoli, in modo da permettere di destinare tutte le superfici, a qualsiasi titolo ritirate dalla produzione, a colture proteiche, cereali o girasole, ed ho proposto che dette regole siano previste non solo per il 2022, ma anche per il 2023, per ricomprendere le semine autunnali. Ho, infine, invitato la Commissione a valutare la possibilità di aumentare il plafond da destinare agli aiuti accoppiati per le colture proteiche, cereali e semi oleosi.
Le proposte della Commissione rappresentano, certamente, un primo passo positivo, ma appaiono ancora timide. Mi aspetto dall'Unione europea una risposta forte e coesa in termini di sostegno ai Paesi che pagano il prezzo della crisi più di altri. Il Commissario ha condiviso la necessità di rivedere i Piani strategici nazionali previsti dalla nuova PAC, alla luce delle mutate condizioni di mercato, pur ribadendo l'importanza di rispettare gli obiettivi di sostenibilità della nuova PAC e ha anche confermato l'invio, previsto tra domani e il 31 marzo, delle singole lettere contenenti le osservazioni della Commissione sui Piani strategici, tra cui quello italiano. Alla luce delle osservazioni della Commissione, proseguiremo nel lavoro di finalizzazione del nostro Piano strategico, con la convinzione che lo strumento più potente per orientare le produzioni agricole è proprio la politica agricola comune.
A tal proposito, nel corso del Consiglio del 21 marzo, molti Paesi hanno posto l'accento sulla necessità di adeguare i Piani strategici nazionali alle nuove condizioni di mercato venutesi a creare. Sono personalmente convinto che non si debba retrocedere dagli obiettivi sfidanti della nuova PAC e, quindi, che, invece di ragionare su una modifica strutturale dei Piani strategici, si debba valutare una sospensione dell'entrata in vigore dei nuovi regolamenti. Di fatto, la programmazione 2021-2027 è stata già segnata da un primo biennio di proroga dei regolamenti, seppur applicati alla nuova struttura finanziaria (come si è usato dire, new money, old rules). Ciò potrebbe valere anche per il 2023.
Mi preme, infine, ricordare che il 23 marzo, come annunciato, è stata pubblicata la comunicazione della Commissione sulla sicurezza alimentare degli approvvigionamenti e la resilienza del settore agroalimentare europeo per affrontare le criticità emerse dalla pandemia COVID-19 e dalla recente invasione dell'Ucraina. Evidenzio che, tra le misure raccomandate all'interno del documento della Commissione, compare anche il sostegno delle azioni volte ad assicurare cibo e assistenza materiale agli indigenti e ai profughi.
Per quel che riguarda il settore della pesca, sono state portate all'attenzione del commissario per l'Ambiente, gli oceani e la pesca, Sinkevičius, le grandi difficoltà delle filiere della pesca e dell'acquacoltura a seguito del vertiginoso aumento dei costi del carburante e delle materie prime. È stato, quindi, richiesto di ricorrere ad ogni provvedimento utile ad affrontare la situazione in atto, nonché l'attivazione della nuova misura prevista dall'articolo 26 del regolamento del Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l'acquacoltura, riguardante la compensazione per perdite di reddito o costi aggiuntivi in caso di circostanze eccezionali. Il commissario Sinkevičius ha comunicato che, nel prossimo collegio dei commissari, proporrà l'attivazione di tale misura di emergenza, con validità retroattiva, a decorrere dal 24 febbraio del 2022.
All'azione dell'Unione europea devono essere affiancate misure di sostegno a livello nazionale. Dobbiamo supportare le imprese in questo momento di difficoltà e garantire al settore agricolo di recuperare una parte consistente del valore aggiunto che si crea nella parte finale della filiera.
Con la legge di bilancio 2022 abbiamo già previsto misure a sostegno di alcune colture, rifinanziando il cosiddetto Fondo per la competitività, che, tra l'altro, prevede uno specifico sostegno per i produttori di mais e di proteine vegetali, legumi e soia. Ulteriori risorse potranno essere utilizzate a valere sul cosiddetto “Fondo filiere”, appositamente istituito per sostenere i comparti produttivi agricoli, della pesca e dell'acquacoltura. Ad esempio, il provvedimento sulla pesca firmato dal sottosegretario Battistoni qualche giorno fa, è proprio a valere sul “Fondo filiere”. Tuttavia, il nuovo scenario impone una ridefinizione dell'azione di Governo, che deve seguire principalmente due direttrici: una serie di interventi di emergenza per sostenere la liquidità e ridurre i costi delle aziende e una forte accelerazione sulla fase di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza per garantire la diversificazione energetica delle imprese e rafforzare l'efficienza delle filiere.
Il pacchetto di misure inserite nel decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21, il cosiddetto “decreto Crisi ucraina”, costituisce una prima, concreta risposta, anche se non esaustiva, alle esigenze del settore. La liquidità aziendale dipende fortemente dal peso degli oneri bancari e per questo abbiamo voluto stanziare 20 milioni di euro per la rinegoziazione e ristrutturazione dei mutui agrari fino a 25 anni, che saranno assistiti gratuitamente dalle garanzie di Ismea.
Si tratta di un intervento volto a favorire una sana gestione finanziaria delle imprese, che si somma a quelli adottati nel corso degli ultimi due anni, nei quali abbiamo stanziato circa 900 milioni di euro per il periodo 2020-2025 per sostenere, tramite il sostegno delle garanzie Ismea, l'accesso al credito degli imprenditori del settore agricolo, della pesca e dell'acquacoltura. Abbiamo, inoltre, assegnato ulteriori 35 milioni di euro per il finanziamento del già citato Fondo filiere, che verranno destinati, come detto, a quei settori maggiormente colpiti dalle conseguenze dell'emergenza ucraina.
Allo scopo di contenere i costi di gasolio e benzina per l'attività agricola e per la pesca, abbiamo introdotto un contributo sotto forma di credito d'imposta cedibile per l'acquisto di carburanti. Il beneficio è pari al 20 per cento della spesa sostenuta per l'acquisto del carburante nel primo trimestre solare dell'anno 2022, qualora il costo sia risultato superiore del 30 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
Inoltre, per compensare la minore disponibilità di fertilizzanti, a seguito della crisi russo-ucraina, stiamo lavorando affinché gli agricoltori possano utilizzare in campo il digestato proveniente dagli impianti di produzione di energia alimentati a biomasse, equiparandolo ai tradizionali prodotti di origine chimica. Ovviamente, la matrice di ingresso degli impianti dovrà essere di produzione o di scarto agricolo e non da frazione organica dei rifiuti.
Queste misure si sommano a quelle di carattere generale, finalizzate a contenere l'aumento dei prezzi dell'energia e dei carburanti, sostenendo cittadini e imprese, e a rafforzare l'accoglienza umanitaria delle persone in difficoltà.
Lo stanziamento complessivo del provvedimento è di 4,4 miliardi di euro, finanziati in gran parte della tassazione di una quota dei grandi profitti, di cui le aziende energetiche stanno beneficiando a seguito dell'aumento dei costi delle materie prime.
Ricordo che, dalla scorsa estate a oggi, il Governo ha stanziato circa 20 miliardi di euro per consentire agli italiani di fronteggiare l'incremento dei costi dell'energia. Certamente non è sufficiente a coprire tutto l'aumento dei costi, ma è un elemento, comunque, molto consistente. Si tratta di interventi finanziariamente ingenti, ma credo, come ho già detto, che si possa fare ancora di più e meglio, e garantisco il mio massimo impegno in ambito nazionale ed europeo per definire ogni possibile misura volta ad attenuare le criticità che gravano sul tessuto produttivo e occupazionale agricolo, della pesca e dell'acquacoltura.
Le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza già in precedenza costituivano un elemento cruciale per lo sviluppo del settore, ma oggi, alla luce del nuovo scenario, assumono un diverso rilievo e una rinnovata attualità e impongono una forte spinta all'accelerazione della fase esecutiva. Anche in questo campo occorrerà valutare attentamente la possibilità di rimodulare criteri e tempistiche del PNRR.
In ogni caso, l'elemento centrale è la diversificazione energetica. Come è noto, ho firmato venerdì scorso il decreto sulla misura del Parco Agrisolare che avvia la redazione degli specifici bandi e che proprio in queste ore è in corso di notifica a Bruxelles. Si tratta di una delle misure più importanti, con uno stanziamento di 1,5 miliardi di euro, destinato a sostenere l'installazione di pannelli fotovoltaici su tetti e coperture dei fabbricati agricoli, che consentirà alle imprese italiane di alleggerire il costo della bolletta e di divenire sempre più autosufficienti in campo energetico. Il target da raggiungere è l'installazione di pannelli per una potenza complessiva di 375 mila kW, contribuendo così a supportare il processo di diversificazione energetica, ora quanto mai necessario per tutto il sistema produttivo nazionale.
Aggiungo che il 15 febbraio scorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che disciplina i criteri, le modalità e le procedure per l'attuazione dei contratti di filiera di distretto e che dispone risorse per un totale pari a 1,2 miliardi di euro. Il controllo di come si sposta il valore aggiunto nella filiera avviene attraverso i contratti di filiera in modo virtuoso.
Questo provvedimento permetterà ora di implementare concretamente la misura, definendo nel dettaglio l'iter istruttorio, la procedura di valutazione per la selezione dei progetti e le modalità di finanziamento. L'obiettivo è garantire velocemente nuove risorse alle imprese e sostenere i progetti per il miglioramento dell'efficienza e della capacità di risposta delle filiere nei momenti di crisi. Segnalo anche le possibilità offerte dai progetti legati allo sviluppo della logistica, 800 milioni di euro, che possono sostenere gli investimenti per migliorare la strutturale carenza del settore in un moderno sistema di stoccaggio, movimentazione dei cereali e dei mangimi.
Mi preme ricordare che le nostre disponibilità di materie prime sono direttamente legate agli effetti dei cambiamenti climatici. Anche quest'anno, infatti, si ripropone in maniera allarmante l'emergenza siccità: le piogge scarse e disomogenee, registrate in questi primi tre mesi del 2022, contribuiscono a mettere a repentaglio la tenuta produttiva di alcuni dei nostri più rilevanti settori. Fondamentali sono, pertanto, le misure del Piano nazionale volte ad assicurare una maggiore efficienza dei sistemi irrigui nel nostro Paese. Il MiPAAF ha destinato 880 milioni di euro a questo tipo di interventi che riteniamo strategici anche per sostenere la capacità produttiva delle aziende agricole che operano in condizioni climatiche sempre più difficili e altalenanti. Abbiamo dato la massima priorità all'intervento del Piano nazionale sull'agrosistema irriguo, per il quale sono in fase di verifica i singoli progetti presentati.
Sull'efficientamento dei sistemi irrigui il MiPAAF ha investito molto, anche utilizzando risorse derivanti da altri strumenti di programmazione. Grazie al Fondo sviluppo e coesione, alla PAC e ai fondi messi a disposizione a livello nazionale, nel triennio 2019-2021, sono stati ammessi a finanziamento 115 progetti per un valore complessivo di oltre un miliardo di euro. Oltre alle risorse del Piano nazionale, abbiamo oggi a disposizione ulteriori 440 milioni di euro, derivanti dalla legge di bilancio 2021, per sostenere nuovi progetti finalizzati a garantire un uso efficiente della risorsa idrica.
Il tema della gestione delle risorse idriche è sempre più strategico, con conseguenze economiche sempre rilevanti per le aziende del settore primario. Stiamo dunque operando anche per rafforzare gli strumenti di gestione del rischio in agricoltura, che considera non solo i rischi connessi alla siccità, ma anche quelli connessi ad altri eventi meteorologici avversi, come le gelate e le alluvioni.
Con l'ultima legge di bilancio, il Governo ha stanziato circa 900 milioni di euro sulla gestione del rischio e tali risorse, integrando i fondi della PAC, andranno a costituire un pacchetto di oltre 700 milioni di euro l'anno, finalizzato a garantire una rete di sicurezza a oltre 700 mila agricoltori.
Il Piano di gestione dei rischi in agricoltura per l'anno 2022, che definisce l'implementazione dei vari strumenti di gestione del rischio ad oggi disponibili, è stato approvato dalla Conferenza Stato-regioni il 16 marzo di quest'anno.
In conclusione, è evidente che c'è molto lavoro da fare. Resto, però, ottimista sugli esiti di queste nuove e impreviste sfide che l'Europa e il nostro Paese stanno affrontando.
Da febbraio 2020 siamo alle prese con difficoltà inimmaginabili fino ad allora. Grazie ad una ritrovata coesione nazionale, sollecitata dal Presidente della Repubblica, siamo riusciti a restare uniti e a preservare la tenuta sociale ed economica dell'Italia; abbiamo rinnovato la consapevolezza della forza e della strategicità del settore agricolo e agroalimentare italiano. I nostri imprenditori, i nostri agricoltori, i nostri braccianti hanno dimostrato capacità di reazione fuori dall'ordinario.
Permettetemi di aggiungere che anche i Governi che si sono succeduti in questo periodo hanno fatto il possibile per sostenerli. Pensavamo di poter affrontare con maggiore serenità l'anno in corso, ma i drammatici avvenimenti di queste settimane ci pongono dinanzi a scenari più complessi di quelli immaginati.
È nostro compito approntare tutte le misure necessarie a superare questo momento di difficoltà. Ribadisco, soprattutto, la volontà di impegnarci in campo europeo per riuscire a orientare in modo più efficace e funzionale le politiche dell'Unione europea. Il nostro Paese e l'Europa non sono più quelli che abbiamo conosciuto fino a due anni fa. Le sfide che ci attendono necessitano di politiche e strumenti adeguati alla nuova realtà.
Concludo, rivolgendo nuovamente il mio pensiero al popolo ucraino che ha consegnato alla comunità internazionale l'immagine di un Paese fiero e indomito, teso a difendere, in una condizione di debolezza militare, i propri confini e la propria libertà (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico e Lega-Salvini Premier).
(Interventi)
PRESIDENTE. Passiamo agli interventi dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto.
Ha chiesto di parlare il deputato Alberto Manca. Ne ha facoltà.
ALBERTO MANCA (M5S). Grazie, Presidente. Grazie, signor Ministro. Vorrei partire da un dato, stimato dallo stesso CREA, l'ente di ricerca del Ministero delle politiche agricole, ovvero l'impatto dei rincari. La stima ammonta a 15.700 euro per ogni azienda agricola, un aumento che raggiunge 99 mila euro per quelle che allevano animali e che si nutrono di granaglie e mangimi e ciò solo per 6 voci di costo: fertilizzanti, mangimi, gasolio, sementi, prodotti fitosanitari e noleggi passivi. A ciò si aggiungono gli aumenti generalizzati, così come generale è lo scenario descritto, uno scenario che diventa ancora più preoccupante e devastante nelle aree interne e marginali del Paese, come le isole, che scontano costi maggiori da sempre. Auspico, pertanto, una pronta discussione in Aula della proposta di legge costituzionale sull'insularità.
Il reddito netto negativo ora coinvolge il 30 per cento delle aziende agricole, quando prima era appena il 7 per cento. L'aumento ha coinvolto anche i prezzi al consumo, con effetti a valanga su famiglie ed imprese. Come stima il CREA, si rischia che un'impresa agricola su dieci non possa far fronte alle spese. Quello che rischiamo, insomma, è la cancellazione di tante imprese agricole, le quali rappresentano un presidio del territorio. Rischiamo l'abbandono dei campi, la riduzione della biodiversità e altre problematiche, tra le quali l'incendio boschivo. Si rischia l'inevitabile crollo dell'autosufficienza alimentare e una perdita di posti di lavoro e indotto, conseguenze che non possiamo permetterci.
La guerra in Ucraina ci ha riportato immediatamente alla dura realtà, alla nostra non autosufficienza alimentare, alla forte dipendenza dall'estero dell'Italia e dell'Unione europea. Russia e Ucraina rappresentano assieme il 28 per cento dell'intero commercio mondiale di grano, e ciò ha comportato scompiglio sui mercati internazionali, sebbene le nostre importazioni di frumento dall'Ucraina siano limitate. In generale, siamo forti importatori, invece, di fertilizzanti e mangimi, ma soprattutto di gas naturale e di energia. Signor Ministro, lei ha già avuto modo, anche oggi in Aula, di ricordare come sia necessario, a livello europeo, un Energy Recovery Fund per far fronte allo straordinario aumento dei prezzi, imponendo un tetto massimo al costo energetico. La risposta dell'Unione europea è sì immediata, ma alquanto debole. Nel 2014, in occasione dell'invasione russa della Crimea, ci fu un fondo anticrisi da un miliardo, con soldi extra-agricoli. Oggi, invece, l'unico stanziamento previsto è quello del prelievo effettuato sui pagamenti diretti, quindi con soldi degli stessi agricoltori e pari a 500 milioni di euro per l'intera Unione.
Con il cofinanziamento nazionale verranno stanziati, dunque, circa 150 milioni di euro. Nel pacchetto Ucraina dell'agrifish vi è la possibilità di coltivare 200 mila ettari sinora destinati all'inutilizzo e allo stoccaggio privato delle carni suine, a costo zero per l'Unione europea; tutto qui, insomma. Si tratta di misure che lo stesso Commissario europeo all'agricoltura ha definito insufficienti. La risposta del Governo italiano è stata, quantomeno, più consistente: lo stanziamento da lei citato di 20 milioni per superare il blocco delle marinerie, il credito d'imposta del 20 per cento sui carburanti e l'energia, le garanzie gratuite Ismea sulle ristrutturazioni mutui a 25 anni e l'anticipo sui tempi del decreto sul Parco Agrisolare, oltre che la norma sul digestato equiparato.
Sul versante energetico, grazie al lavoro del MoVimento in Commissione agricoltura, nel “Milleproroghe” si è provveduto a dare continuità agli investimenti nel biogas agricolo e a favorire lo sviluppo dell'economia circolare nelle imprese. È sufficiente tutto ciò? Purtroppo no, non possiamo illuderci di sostenere il comparto primario nazionale con queste misure. L'intera filiera agroalimentare nazionale, dal campo allo scaffale, ha garantito cibo di qualità a prezzi ragionevoli agli italiani durante tutta la pandemia, nonostante i leciti timori e le difficoltà; gli operatori di tale filiera avrebbero meritato, dallo Stato, una medaglia, un riconoscimento per il loro operato. Ora, dopo un biennio di COVID, che ci stiamo faticosamente lasciando alle spalle, il comparto primario è vittima di una tempesta perfetta. Dinanzi a ciò, signor Ministro, serve necessariamente uno sforzo maggiore, in Europa e in Italia. Per questo le rinnoviamo l'invito a provvedere all'emanazione di un decreto ad hoc per l'agricoltura e la pesca italiana, con una serie di misure concrete per dare un sollievo immediato, che aiuti a superare la tempesta perfetta, che faccia in modo che i campi non vengano abbandonati, che l'Italia non si ritrovi a dover dipendere dall'estero per il proprio sostentamento, che il made in Italy agroalimentare continui a dominare sui mercati internazionali. Sono interventi immediati, nel breve termine, che si andranno ad innestare nell'egregio lavoro sul lungo periodo previsto dal PNRR, che lei sta già portando avanti. Il momento per intervenire è ora, non domani o dopodomani; ora poiché gli animi sono già caldi, perché l'esasperazione e lo sconforto sono ai massimi livelli. Vi sono proteste in tante piazze italiane, dove gli agricoltori sono scesi con i trattori per manifestare la propria esasperazione. Ma la situazione è stata più calda nella mia Sardegna, dove gli autotrasportatori e i pastori hanno bloccato per giorni i porti, bruciando tessere elettorali, e dove abbiamo assistito a un vile atto intimidatorio nei confronti del presidente della Coldiretti regionale, Battista Cualbu, al quale vogliamo esprimere la nostra più ferma solidarietà.
Rischiamo di rivedere nelle strade litri di latte; i pastori hanno ancora in mente le scene di Civitavecchia del 2010, le promesse del latte a un euro di qualche politicante, e stanno affrontando processi penali a seguito delle manifestazioni del 2019. È questa la risposta che vogliamo dare loro? Proprio per questo motivo oggi il mondo agricolo non chiede frasi di circostanza o parole di solidarietà, ma un supporto concreto e tangibile per il comparto, affinché questo non possa collassare definitivamente. Dobbiamo convocare il tavolo di filiera suinicolo. Abbiamo colto le sue parole sull'importanza degli stock di cereali: è proprio per questo motivo che abbiamo attivato Granaio Italia, sulla tracciabilità dei cereali, e ovviamente la necessità del monitoraggio dei semi oleaginosi. Possiamo attuare una moratoria sui mutui, possiamo prevedere una decontribuzione previdenziale come quelle concesse durante la pandemia, possiamo intervenire selettivamente sull'IVA di alcuni prodotti, possiamo mettere in campo strumenti per iniettare maggiore liquidità nel breve periodo, tramite garanzie pubbliche.
Con il Fondo di garanzia, grazie al MoVimento, si sono sbloccati 5 miliardi di euro. Possiamo accelerare sulle nuove tecnologie innovative come le TEA, tecniche di evoluzione assistita. Possiamo liberare da alcuni vincoli burocratici gli impianti di biogas, così da produrre di più.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANDREA MANDELLI (ore 12,45)
ALBERTO MANCA (M5S). Ecco, signor Ministro, questi sono solo alcuni spunti, sia chiaro, ma che possono costituire una base di partenza per dar vita a un confronto con il mondo produttivo che sia fatto sui tavoli, e non sulle piazze; che poggi sull'ascolto e la messa in pratica di azioni concrete, e non solamente nel sentire un grido disperato di aiuto e di attenzione.
Signor Ministro, confidiamo in lei, nel suo impegno e nella sua attenzione, che non è mai mancata. Facciamo uno sforzo maggiore, l'agricoltura, l'allevamento e la pesca italiana meritano risposte, oggi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Golinelli. Ne ha facoltà.
GUGLIELMO GOLINELLI (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevole Ministro, lo ripeto sempre, ma il primo problema dell'agricoltura italiana è il reddito delle nostre aziende agricole. Dal 2008 ad oggi sono passati 14 anni; 14 anni invano, laddove, dalla prima crisi alimentare che il nostro Paese e il mondo ha subito, non si è posto rimedio, in un Paese dove la bilancia commerciale della materia prima agricola è in deficit di 8 miliardi di euro, dove, negli ultimi 30 anni, abbiamo perso il 20 per cento della superficie agricola utilizzata, dove siamo autosufficienti solo per il 35 per cento, per quanto riguarda il frumento tenero, il 53 per cento per il mais, l'84 per cento per il latte, il 65 per cento per la carne suina. Insomma, noi siamo un Paese strutturalmente deficitario, ed è assurdo che, con questa situazione, si sia parlato di riduzione della produzione, in chiave di sostenibilità ambientale. Noi dobbiamo parlare di sovranità alimentare (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier) e di sicurezza alimentare, in chiave di sicurezza degli approvvigionamenti, questo è il nostro primo obiettivo che dobbiamo darci, come Paese. Sì, anche sovranità alimentare a livello europeo, ma intanto partiamo da casa nostra, considerato che l'Unione europea troppo spesso è stata assente riguardo queste nostre rivendicazioni. La vera sostenibilità è quella economica: se un'azienda ha i soldi, può sostituire le trattrici, può investire in stalle più moderne, può investire in agricoltura di precisione, e, quindi, in maggiore sostenibilità ambientale allo stesso tempo e riduzione degli input, che sono, come ci stiamo accorgendo in questi giorni, un costo produttivo. Blandire gli ambientalisti da salotto, che vorrebbero la chiusura delle stalle, che vorrebbero l'eliminazione della chimica in agricoltura, come, peraltro, previsto da buona parte della nuova politica agricola attraverso il Farm to Fork, con un Paese che ha fame, con un mondo che chiede cibo, è una follia.
La prossima PAC, che prevede buona parte di queste follie, deve essere rivoltata come un calzino. Noi non accettiamo il posticipo dell'entrata in vigore di queste folli misure al 2022, ma appunto diciamo che la PAC deve essere riscritta, perché è del tutto evidente che le esigenze del mondo e le esigenze del Paese non sono quelle che i burocrati europei hanno scritto all'interno della PAC stessa. Il piano strategico di cui ha bisogno questo Paese è produrre di più e meglio, ripristinare la capacità produttiva nelle zone marginali, soprattutto sugli Appennini e in montagna, dove c'è stato uno spopolamento della popolazione agricola. C'è bisogno di investimenti irrigui - questo le do atto di averlo fatto, soprattutto nel Meridione - e, me lo faccia dire da leghista, anche di una riqualificazione del Po. Tutta l'acqua che va nel Mare Adriatico è acqua persa. Se noi investissimo su una riqualificazione del nostro grande fiume, sicuramente avremmo maggiore risorsa idrica per i momenti di difficoltà. Vi è, poi, necessità dell'implementazione della zootecnia al Sud, dove c'è anche un problema di desertificazione dei terreni e di carenza della sostanza organica. Se si parla di vera sostenibilità ambientale, è necessario investire sulle nuove tecnologie genetiche, sui TEA, NBT, chiamiamoli come è più comodo. Questo è il vero modo per ridurre l'utilizzo di input, di chimica, di acqua, e di produrre in modo più sostenibile. E, su questo punto le chiediamo un suo intervento forte a livello europeo, perché è da troppi anni che si parla di queste questioni ed è da troppi anni che tali questioni non vengono risolte. In questi giorni abbiamo sentito parlare di aiuti accoppiati al frumento per semine primaverili, al mais o alla soia. Mi lasci dire che con il frumento o il mais attorno ai 40 euro, frumento tenero, o la soia sui 60 euro, non ha senso parlare di aiuti accoppiati.
Meglio piuttosto incentivare i secondi raccolti, che con questo clima probabilmente potrebbero dare più soddisfazioni anche nei terreni più duri, e il ripristino di superfici non coltivate o a prato. Poi è necessario sostenere le aziende agricole, che stanno subendo dal lato della razione alimentare questo spropositato aumento delle materie prime. È impossibile pensare che sul latte ci sia un prezzo inferiore ai 40-41 centesimi e sulla carne di suino sia inferiore a 1,57 euro quando i costi di produzione sono nettamente superiori. Qui le faccio un inciso: è necessario un intervento sulla raccolta dei dati, che spesso mancano - non sappiamo quanta carne entra e quanto latte entra; lo sappiamo tardi - e sulle Borse merci che formulano i prezzi. Stiamo vedendo delle storture in tutte le sedi dove vengono formulati questi bollettini.
In chiave anche di emergenza di proteina vegetale per l'alimentazione dei nostri animali, io la inviterei a rivalutare l'utilizzo delle farine animali. Ormai sono passati tanti anni dalla BSE e ci siamo anche resi conto che è stata una cosa più grande del reale. In questo momento di emergenza è necessario andare incontro alle esigenze dei mangimifici e degli allevatori e dare la possibilità anche di abbassare il costo-razione.
Per ricollegarmi, invece, ai prezzi di mercato, aspettiamo e la invitiamo a dare forza alla direttiva sulle pratiche sleali e sul divieto di vendita sottocosto. Questa è una questione che tutti gli agricoltori si aspettano e desiderano. I 500 milioni annunciati dall'Unione europea - l'ha detto anche lei - sono briciole. Noi dall'Europa, davanti a una crisi come questa, ci aspettiamo misure importanti e imponenti. Per un settore agricolo come quello italiano 50 milioni di euro sono briciole. Parliamo almeno di dieci o venti volte tanto per avere un intervento che sia commisurato alla crisi.
Sulle aziende energivore mi viene da pensare soprattutto al settore della pesca, dove qualcosa è stato fatto anche se l'intervento dev'essere più sostanzioso. Le faccio un plauso per la questione del digestato. Noi ci abbiamo lavorato nove mesi in Commissione per averlo. Abbiamo la forza anche di mettere mano alla “direttiva Nitrati”, di collegare gli spandimenti al calendario piogge e alle coltivazioni utilizzate. Se lei starà dalla parte dell'agricoltura, del reddito degli agricoltori e della sovranità alimentare noi saremo al suo fianco (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cenni. Ne ha facoltà.
SUSANNA CENNI (PD). Grazie, Presidente. Ministro, noi intanto le siamo molto grati per questa informativa che abbiamo fortemente voluto come Partito Democratico. L'abbiamo fatta non solo per avere un aggiornamento e un dettaglio delle dimensioni della crisi e dello sconvolgimento che stiamo attraversando, ma anche perché - lo ha detto lei stesso nel suo intervento - ci sia una consapevolezza più grande, non solo fra gli addetti ai lavori, di quanto questo comparto sia strategico. Sì: lo vogliamo dire in maniera un pochino più forte e più generalizzata? L'agricoltura e la pesca sono attività strategiche per l'Italia e lo sono per tante ragioni e non solo per il fatturato importante che lei ha richiamato, che riguarda l'export dei nostri prodotti di eccellenza. Lo sono perché noi rischiamo, dopo la pandemia e dopo i dati che lei anche oggi ci ha ricordato in maniera molto puntuale, di perdere intere filiere e molte imprese.
Inoltre, noi sappiamo che oggi questa situazione potrebbe causare crisi alimentari pesanti e nuovi esodi. Il vice direttore della FAO ce lo ha ricordato spesso in questi giorni. C'è una proiezione delle possibili pesanti conseguenze soprattutto in alcuni Paesi del Nord Africa. Lei ci ha giustamente ricordato che noi, nel nostro Paese, non rischiamo di trovare gli scaffali vuoti, ma l'aumento in atto da settimane dei prezzi dei beni di prima necessità può peggiorare le condizioni di accesso, per molte famiglie a basso reddito, ai beni alimentari primari: pane, pasta e latte, ossia quello che i nostri nonni chiamerebbero “pane quotidiano”.
È vero: l'Europa ha preso atto di questa situazione e dei suoi rischi e lo ha fatto velocemente. Le conclusioni del Consiglio europeo di qualche giorno fa citano in due punti il tema. Il Presidente Draghi lo ha fatto anche nel dibattito che c'è stato in quest'Aula mercoledì scorso. Si richiama, nella risoluzione del Consiglio europeo, il tema dell'aumento dei prezzi e la sicurezza alimentare, si parla di interventi immediati per i cittadini e per gli agricoltori - quindi, nell'immediato - e poi si parla di obiettivi e di misure a medio termine. Si richiama l'impegno al lavoro multilaterale per ridurre l'insicurezza alimentare e, ovviamente, noi su tutto questo attendiamo con ansia la coerenza degli atti. Lei ha già esposto, in modo preciso e dettagliato, il quadro delle difficoltà che ci stanno davanti. A tutto questo occorre aggiungerne un'altra: la mancanza di pioggia e, quindi, la pesante situazione che noi ci troviamo a vivere con le risorse idriche (non per colpa della guerra, ma della crisi climatica).
Noi abbiamo trasmesso nelle scorse settimane alcune nostre proposte e alcune nostre idee. Abbiamo visto importanti primi risultati, Ministro, nei provvedimenti che sono stati adottati e che oggi sono in discussione alla Camera e al Senato: le misure per attenuare i costi dell'energia e dei carburanti e la proroga dei mutui. È importante poi che si intervenga finalmente per l'equiparazione del digestato. È stato importante accelerare il bando per l'agrisolare, che consentirà la copertura dei tetti delle stalle e degli edifici e anche la sostituzione dei materiali più inquinanti e pericolosi. È importante che la Commissione europea abbia mosso i primi passi per utilizzare la riserva di crisi per l'agricoltura e proprio ieri per la pesca, liberando risorse. È importante che siano stati sbloccati alcuni vincoli della PAC, che avrebbero impedito l'aumento delle aree coltivabili nel nostro Paese. Tutto questo è molto utile, ma noi pensiamo che non sia abbastanza. Guardi, Ministro, lei non troverà in noi una voce che le chiederà di fermare la transizione ecologica e riscrivere la PAC, ma è certo che la strada aperta e la fase che stiamo vivendo ci chiede di avere un orizzonte di costruzione e di scrittura di nuove politiche, capace di interpretare il tempo che stiamo vivendo e capace di mettere in campo concretamente quella parolina che ci piace tanto, cioè resilienza. Non la troverà perché noi siamo convinti che oggi paghiamo anche in questo comparto, in quello agricolo, il prezzo di una dipendenza enorme del settore dal fossile e dalle importazioni. Fermare la transizione e tornare indietro, come qualcuno ipotizza, sul terreno della qualità e della sostenibilità sarebbe semplicemente un errore mortale per noi e per il nostro Paese, e la siccità che stiamo vivendo sta qui a ricordarcelo.
La strada da lei indicata, Ministro, per noi è quella giusta e ci troverà al suo fianco, ma pensiamo anche che sia urgente, in questo momento, da un lato dare messaggi molto forti e adottare provvedimenti concreti in tempi velocissimi e, dall'altro, costruire un orizzonte strategico di medio periodo anche condizionando i principali strumenti che sostengono l'agricoltura e la pesca verso una maggiore buona produzione nazionale e verso il rafforzamento delle filiere, senza alcuna ambizione neo-protezionistica e autarchica ma anche senza smarrire gli obiettivi del Green Deal. Bene, quindi, per quanto già avvenuto, ma noi chiediamo anche risposte più forti a livello europeo, a partire dalle proroghe alle deroghe ai limiti degli aiuti di Stato. Inoltre, quelle misure a medio termine, di cui si parla nella risoluzione del Consiglio europeo, si devono tradurre in uno strumento forte e nuovo a sostegno della transizione energetica e della sicurezza alimentare europea e anche capace di rendere più rispondente al nuovo scenario la stessa PAC, che - tutti sappiamo - è stata scritta in un'altra epoca.
Serve davvero un vero e proprio piano europeo per rafforzare l'autonomia alimentare dell'Unione europea e il suo ruolo nella cooperazione allo sviluppo, di cui si fa riferimento, appunto, nella stessa conclusione del Consiglio europeo.
Pensiamo anche, però, che il nostro Paese possa fare di più. La multifunzionalità dell'agricoltura è una ricchezza che va riconosciuta e sostenuta insieme agli sforzi del settore, per esempio per le agroenergie. Chiediamo anche uno sforzo per accrescere, se è possibile, quel cofinanziamento ai 50 milioni della riserva di crisi. Pensiamo che il reddito agricolo si sostiene se agli agricoltori viene riconosciuto il giusto prezzo e su questo noi chiediamo, Ministro, davvero uno sforzo anche di osservazione delle dinamiche discutibili degli aumenti dei prezzi. Ancora, noi pensiamo che occorra ragionare su una misura di intervento che riguarda la spesa delle famiglie a basso reddito (la Francia lo sta facendo). Dobbiamo garantire a tutte le famiglie l'accesso ai prodotti alimentari di prima necessità. Il Governo decida con quale strada, ma per noi è fondamentale questa misura.
In conclusione, Ministro, sappiamo che non tutto è nelle nostre mani, sappiamo che siamo di fronte a dinamiche complesse, ma sappiamo anche che i Governi dovranno confrontarsi sempre, d'ora in avanti, con la complessità. Nella storia del mondo, la guerra ha sempre generato povertà e fame. In un mondo globalizzato gli effetti possono essere devastanti e rendere ancora più squilibrati i sistemi alimentari, che oggi non sono né equi né sostenibili. Noi, però, qui siamo il Parlamento, lei ci rappresenta nel Governo e nei consessi internazionali; le chiediamo di rappresentare pienamente, in questo passaggio, la richiesta di lavorare affinché non un'azienda agricola e della pesca cessi la sua attività, non una famiglia debba rinunciare a un'alimentazione dignitosa. Noi pensiamo che si possa fare, e per questo siamo al suo fianco (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Nevi. Ne ha facoltà.
RAFFAELE NEVI (FI). Grazie, Presidente. Signor Ministro, ci consenta di esprimere, anche come gruppo di Forza Italia, come ha fatto il Ministro, la nostra vicinanza e solidarietà al popolo ucraino che, mentre parliamo, combatte per la libertà del proprio Paese.
Signor Ministro, noi abbiamo apprezzato le sue parole e la sua dinamicità, anche nel cercare di rispondere, in tempi rapidi, a una crisi molto profonda e, a nostro avviso, anche strutturale, di un comparto assolutamente fondamentale, come ormai dicono tutti. Abbiamo apprezzato le prime misure che il Governo ha predisposto per cercare di alleviare le sofferenze - perché di questo si tratta - dei tanti imprenditori agricoli, che, mentre parliamo, hanno a che fare con problemi di tutti i tipi: problemi di approvvigionamento di materie prime, problemi di incremento pazzesco dei costi dell'energia, problemi di prospettiva per quanto riguarda l'acqua - abbiamo parlato della siccità -, problemi di liquidità. Infatti, quando uno produce in perdita, come sta succedendo a molti imprenditori, chiaramente, a un certo punto, ha anche problemi di liquidità e sappiamo bene quanto sia difficile anche il tema dell'accesso al credito, sul quale poi tornerò a discutere. Abbiamo, quindi, la necessità di fare presto, con misure efficaci, che evitino la chiusura delle imprese. Abbiamo apprezzato particolarmente la norma che consente la ristrutturazione dei mutui agrari e di portarli fino a 25 anni di durata. È una misura che noi di Forza Italia abbiamo chiesto a più riprese, anche nei mesi passati; finalmente l'abbiamo inserita in un provvedimento; ora speriamo che il sistema bancario non faccia resistenza, ma che si proceda rapidamente all'attuazione, che sicuramente genererà un liquidità positiva per le imprese. Abbiamo apprezzato i crediti di imposta; abbiamo apprezzato i 20 milioni per la pesca - abbiamo constatato che i pescherecci sono rimasti fermi -, con un comparto particolarmente colpito . Il Governo ha risposto nell'immediato, cercando di approntare, senza scostamenti di bilancio ulteriori, con le risorse disponibili, alcune prime misure, in attesa dell'Europa. Su questo, signor Ministro, invece, siamo molto più critici. I risultati del Consiglio europeo non ci sembrano all'altezza della difficoltà e delle sfide che abbiamo davanti in questo momento; 500 milioni sono sicuramente una prima risposta, ma certamente dobbiamo essere coscienti che sono come una goccia in un mare, se è vero, come è vero e come lei pure ha sottolineato, che questa crisi vale, solo per l'Italia, solo per il nostro Paese, 9 miliardi di euro. Quindi, su questi numeri, c'è tutto. L'Europa ci dà 50 milioni, ben vengano, ma, insomma, siamo praticamente quasi a zero. Su questo noi abbiamo bisogno di una risposta europea vera, efficace. Non a caso, noi di Forza Italia abbiamo fatto una conferenza stampa pochi giorni fa, proprio nella sede del Parlamento europeo, dove abbiamo presentato le nostre idee per evitare che quello che sta succedendo riaccada in un prossimo futuro. Abbiamo presentato il nostro Piano - l'ho qui, con me - che abbiamo chiamato Re Food EU, chiaramente in coerenza con il Piano RePower EU, che prevede un incremento della produzione di energia per le imprese e per i cittadini. Così come l'energia, secondo noi, è assolutamente fondamentale il tema dell'alimentazione. Abbiamo scritto in tale Piano quello che, a nostro avviso, è importante. Innanzitutto, signor Ministro, mi consenta di sottolineare una cosa che lei ha rilevato anche in altri recenti interventi: noi non siamo per nulla convinti che ci sia la necessità solo di sospendere la PAC e la Farm to Fork. Noi pensiamo che ci sia la necessità, alla luce di quello che è successo in precedenza con la pandemia e poi, adesso, con la guerra in Ucraina, di rivedere questi piani, di ridefinire le nostre priorità, anche alla luce di quello che sta succedendo intorno a noi, perché poi, e concludo, Presidente, è vero che siamo l'Europa, ma intorno a noi abbiamo la Cina, che fa un Piano quinquennale in cui aumenta significativamente la produzione di materie prime agricole, e la Russia ha fatto altrettanto. Noi pensiamo che ci debba essere un nuovo Recovery Plan europeo che ci faccia vincere le cinque sfide che abbiamo davanti a noi. La prima è quella della gestione dei profughi, perché certamente dobbiamo a questa popolazione un'accoglienza. La seconda è il tema dell'energia, la terza è il tema della difesa, la quarta è la ricostruzione post-bellica dell'Ucraina, che si può trasformare, anche per le nostre imprese, in un'opportunità, e poi certamente il tema dell'autosufficienza alimentare, così l'abbiamo voluta chiamare. Ecco, quindi, che dobbiamo marciare più speditamente per il raggiungimento di questi obiettivi. Certamente ci vogliono risorse in più, certamente ci vogliono anche attenzioni in più. Penso, per esempio, a tutto il tema delle nuove biotecnologie agrarie, che ci possono permettere di incentivare la produzione, ma anche su questo tema l'Europa deve finalmente sganciare la normativa sulle TEA dalla normativa sugli OGM, e su questo ci aspettiamo e vogliamo che il Governo italiano faccia una pressione forte, perché è questo il momento, dopo che, da ultimo anche il Regno Unito, negli ultimi giorni ha proceduto al riconoscimento di queste nuove tecnologie come fondamentali.
Solo se faremo questo riusciremo a traguardare il futuro con maggiore serenità per i nostri cittadini, ma soprattutto per le nostre imprese, che poi sono quelle che danno lavoro a milioni di persone e che ci consentono anche la tenuta sociale di alcune zone fondamentali, e anche un po' interne, del nostro territorio italiano (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Caretta. Ne ha facoltà.
MARIA CRISTINA CARETTA (FDI). Grazie, Presidente. Ministro Patuanelli, dopo due anni di pandemia credo che nessuno avrebbe voluto o si sarebbe tanto meno aspettato di ritrovarsi in quest'Aula a discutere di sicurezza alimentare, di materie prime, di approvvigionamento.
Fratelli d'Italia, a più riprese, in totale solitudine, ha evidenziato la necessità di concentrare una maggiore quota di produzione alimentare all'interno della nostra Nazione, per ridurre la dipendenza da attori stranieri. Ogni volta siamo stati sbeffeggiati e scherniti da parte del mondo politico, in quanto ritenuti colpevoli di sovranismo, di ragionare con modalità appartenenti al secolo scorso. Eppure eccoci qua a discutere di una nuova crisi del comparto alimentare (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
“La scarsità di cibo diventerà un problema reale”: queste sono le parole del Presidente degli Stati Uniti d'America, pronunciate pochi giorni fa in relazione alla guerra in corso tra Russia e Ucraina. Mentre in Italia il dibattito sulla sicurezza e la sovranità alimentare non è mai stato affrontato, ci sono stati competitor europei, oggi alla guida dell'Unione Europea, che invece questo ragionamento lo hanno fatto - dall'energia all'alimentazione - e ora sono nettamente avvantaggiati rispetto a noi. In Italia, questo dibattito veniva derubricato a mera nostalgia autarchica e intanto la Repubblica popolare cinese incrementava gli acquisti di grano, mais, fertilizzanti e materie prime in agricoltura, portando ad una progressiva crescita dei prezzi, che ha lentamente cinto il collo del nostro comparto produttivo.
Nella primavera del 2021, dopo l'insediamento del Governo di cui lei fa parte, abbiamo lanciato un grido di allarme riguardo allo scenario che andava delineandosi anche prima che scoppiasse la guerra. Questo allarme non è stato ascoltato ed oggi ci troviamo con l'ennesima emergenza per i comparti ittico e agricolo, con decreti d'urgenza ed informative parlamentari.
Eppure, i segnali nel tempo sono stati molteplici, come evidenziato dall'indice dei prezzi della FAO, che ha segnato per mesi incrementi continui dei prezzi di qualsiasi materia prima ad uso alimentare: zucchero, olio vegetale, carne, prodotti lattiero-caseari, mais e cereali hanno tutti visto un rincaro sempre più marcato nel 2021, sia per le condizioni climatiche, che geopolitiche, anche a causa dell'enorme attività di acquisto cinese sui mercati internazionali.
Questi, signor Ministro, sono alcuni dei dati che Fratelli d'Italia ha più volte evidenziato in questo Parlamento durante tutto l'anno 2021 e che sono rimasti inascoltati da lei e dai colleghi della sua maggioranza. Quando, nella seconda metà del 2021, la Cina ha intensificato gli acquisti di grano e materie prime alimentari, dando il via a una nuova scia di rincari, a partire dallo scorso autunno, arrivando a immagazzinare circa il 60 per cento del grano presente sui mercati globali, perché non abbiamo reagito (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)? Il rincaro dell'energia, il cosiddetto energy crunch, ha portato i prezzi di petrolio e gas a valori spaventosamente elevati: si tratta di materie energetiche, da cui l'Italia dipende in modo disperato. Conseguenza diretta di questi rincari è stato il raddoppio del prezzo del gasolio ad uso agricolo e ittico rispetto a marzo 2021, a parità di condizioni, cioè sempre facendo salve le difficoltà della pandemia, la mancanza di liquidità, la crisi della distribuzione alimentare, la stagnazione dell'economia reale. Giusto per fare un esempio concreto, il pieno di gasolio di un peschereccio è passato da 700 euro a 1.300 euro, a fronte di entrate economiche sempre più ridotte. Ogni anno inesorabilmente le giornate di fermo pesca sono aumentate e l'attività della nostra flotta si è inevitabilmente ridotta e contratta. In tre anni lo sforzo di pesca è stato ridotto di oltre il 20 per cento, mentre negli ultimi dieci anni la nostra flotta di pesca nazionale si è ridotta di oltre il 16 per cento. Ci aspettavamo un cambiamento, signor Ministro, da lei, dal suo Governo, dal cosiddetto Governo dei migliori (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Eppure il 2022 vedrà ulteriori quattro giorni di fermo pesca in più rispetto al 2021, a cui si aggiunge un rincaro insostenibile dei costi del gasolio e dei costi della logistica, che è ormai fuori controllo. Quindi, la nostra flotta lavorerà di meno in condizioni più pericolose e avrà un'attività sempre meno redditizia, che si ripercuoterà sul prezzo del prodotto finale, dando spazio a produttori stranieri che assorbiranno le quote di mercato dei nostri produttori. Mentre altri Paesi e competitor internazionali lavoravano per rafforzare le proprie strutture produttive, noi in Italia, con l'ambientalismo da salotto, abbiamo sacrificato la nostra produttività e ci siamo completamente ritirati dalla corsa dell'approvvigionamento alimentare.
Questo vuol dire che siamo doppiamente deboli, sia perché dipendiamo in modo eccessivo dall'estero, sia perché non disponiamo degli strumenti di breve termine per poter sostituire le quote di prodotto legate ai mercati extraeuropei. Abbiamo enormi difficoltà nell'approvvigionamento energetico e di materie prime e nella produzione di fertilizzanti; un deficit emerso in modo plastico nella primavera del 2022, ma facilmente intuibile già nel corso del 2021.
Signor Ministro, come Fratelli d'Italia, abbiamo chiesto a più riprese interventi strutturali per potenziare la nostra logistica da Nord a Sud, sulla sovranità e la sicurezza alimentare, al fine di ridurre la dipendenza dall'estero, che oggi ci colpisce così duramente. Rilanciare la produttività europea significa dotarci, non solo della necessaria sicurezza e sovranità alimentare, che a questo punto deve trovare una dimensione fortemente nazionale, ma significa anche disporre di uno strumento di politica estera in più per difendere i nostri confini. Se noi importiamo il 64 per cento del nostro fabbisogno annuale di grano, ci sono Paesi che, da Russia e Ucraina, importano quasi la totalità del prodotto, Paesi come Egitto, Algeria e Mali, che ricoprono una rilevanza strategica per la nostra politica estera.
Abbiamo bisogno - e concludo Presidente - di misure coraggiose, che sostengano la domanda interna e la ripresa delle filiere nazionali della pesca e dell'agricoltura. Abbiamo bisogno di creare distretti produttivi per le materie prime strategiche e soprattutto di operare in sede europea per cambiare paradigma sulle politiche agricole, con programmi di sviluppo delle capacità di produzione e stoccaggio delle materie prime (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gadda. Ne ha facoltà.
MARIA CHIARA GADDA (IV). Grazie, Presidente. Signor Ministro, è vero, dobbiamo affrontare sfide impreviste. La pandemia ha generato una grande confusione e un grande sconquasso all'interno dei mercati e oggi la crisi e la guerra in Ucraina stanno davvero mettendo in discussione addirittura il nostro sistema produttivo e la sicurezza alimentare. Però, le sfide impreviste ci hanno anche fatto vedere - come la sua analisi dimostra - che avevamo e abbiamo tuttora tanti nodi al pettine, tante risposte che nel corso del tempo non sono state date e sulle quali non si è previsto a sufficienza. Oggi, chi produce, ma soprattutto i cittadini, ritrovano i tanti “no” che il nostro Paese ha vissuto - sull'energia, sulle infrastrutture e sulle mancate scelte - nel prezzo del pane, ritrovano questi “no” nell'impossibilità di dare sviluppo a tante aree del Paese, che invece ne avrebbero davvero l'opportunità.
Oggi, in questo momento, abbiamo bisogno di lavorare su due livelli: su quello strategico, delle scelte, sul fronte energetico e sul fronte infrastrutturale, ma dobbiamo anche lavorare - perché questo ci impone la quotidianità - sulla concretezza delle risposte.
Le analisi sono fondamentali per scegliere, ma oggi i cittadini e le imprese chiedono risposte concrete e immediate. Lei ha citato molte misure, sulle quali il gruppo di Italia Viva ha lavorato e noi crediamo che sia importante assegnare risorse al mondo della pesca, crediamo che sia fondamentale e necessario sbloccare e aiutare le imprese sul fronte della liquidità e dell'accesso al credito. Ma il punto che le voglio porre oggi è questo. Sono due le domande: il come e il quando. Nel momento in cui, ancora oggi, il mondo della pesca aspetta di avere accesso a misure decise da questo Parlamento, approvate dal Governo, sul sistema pensionistico e sulle misure che riguardano degni ammortizzatori sociali, noi abbiamo uno scollamento tra quello che diciamo, quello che proponiamo e quello che effettivamente arriva alle imprese, nel momento in cui questo serve. Lo stesso vale anche per altre misure. Gliene cito una a cui tengo moltissimo: il Fondo indigenti che, in una situazione emergenziale, serve per sostenere le imprese in crisi e, dall'altro lato, per rispondere al bisogno sociale crescente di povertà alimentare nel nostro Paese e che sarà sempre più importante nei prossimi mesi, anche con l'arrivo dei profughi dall'Ucraina.
Servono strumenti più adeguati alle nuove esigenze di questo tempo; dobbiamo avere una pubblica amministrazione efficiente che sia in grado di far cadere a terra nell'attuazione le misure importanti di programmazione che mettiamo in campo. Lo stesso vale sulle risorse importanti del Piano nazionale di ripresa e resilienza e sugli investimenti che il nostro Paese deve fare. Siamo in un momento in cui la siccità e i cambiamenti climatici rischiano di aggravare ulteriormente la situazione di tanti comparti e abbiamo ancora aree del Paese dove un sindaco, oggi, deve decidere se dare l'acqua all'agricoltura o se darla ai cittadini della città, perché spesso, in alcune aree del Paese, per bagnare i campi si usa addirittura l'acqua potabile. Quindi, da questo punto di vista, come chiede da tanti mesi anche il gruppo di Italia Viva e noi siamo al suo fianco in questo, bisogna sbloccare le infrastrutture, davvero bisogna rendere efficaci le misure che, insieme, abbiamo deciso che sono importanti per lo sviluppo del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).
E mi consenta di toccare un altro tema che è strategico, perché oggi, se ci sono imprese della trasformazione agroalimentare che pastorizzano i nostri prodotti, che li mettono sottovuoto, che li congelano e che usano energia, e lo stesso vale per le stalle e per le serre, noi dobbiamo dire a queste imprese che abbiamo capito che i “no” sul fronte energetico, i “no” sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento non vanno bene. In quest'Aula, ho sentito che, finalmente, anche da parte del suo gruppo, abbiamo raggiunto un accordo rispetto alle fonti di energia alternative e rinnovabili che riguardano il mondo dell'agricoltura. Ma lei che è stato anche Ministro dello Sviluppo economico si ricorderà quanti “no” sul biogas, sul biometano, su tutte quelle forme di energia che, oggi, sarebbero servite al Paese per avere costi più bassi dell'energia, ma soprattutto per consentire anche al nostro mondo agricolo di essere più competitivo. Quindi, deve finire il tempo dei “no” e, soprattutto, quando si fanno queste scelte, le stesse devono essere fatte nei tempi giusti. Il nostro Paese è dipendente sulle materie prime, ma anche sui fertilizzanti e sui mezzi tecnici. Allora - ci sono in questo momento emendamenti anche con riferimento al “decreto energia” -, sblocchiamo tutte quelle misure che riguardano, ad esempio, il bio-digestato. Il come e il quando sono fondamentali per dare risposte al mondo agricolo e al mondo della produzione.
Sul fronte energetico, nel “decreto Energia” facciamo insieme un passo in avanti; nel nostro Paese, ci sono non soltanto le imprese energivore, ma anche le imprese della trasformazione agricola e agroalimentare, che sono testimonial del nostro made in Italy e che hanno consumi energetici preponderanti nei costi di impresa; quindi, riconosciamo questo approccio, riconosciamo il fatto che non si possa più considerare, nelle misure di sostegno, anche in un periodo emergenziale, la classica divisione che abbiamo avuto, ad esempio durante la pandemia, sui codici Ateco. Ci sono linee strategiche importanti, ma anche scelte concrete che possiamo fare insieme.
Il gruppo di Italia Viva, in questo, sarà al suo fianco, come lo sarà, con grande determinazione, nella posizione che il nostro Paese deve avere in Europa. La transizione ecologica e sostenibile è fondamentale, ma deve essere fondamentale in un quadro in cui si contempla la sostenibilità economica, ambientale e sociale del sistema. Quindi, all'Europa, un Paese come il nostro, che è Paese produttore, Paese trasformatore, deve chiedere più risorse per l'agricoltura, più risorse per quella sicurezza alimentare che determina anche la pace sociale e la coesione sociale di cui abbiamo bisogno in questo momento storico. Infatti, quando manca il cibo o quando il cibo diventa meno accessibile per le persone, questo è un problema grande per la politica. Quindi, davvero, le chiediamo più coraggio, più determinazione, più impegno e noi saremo al suo fianco in questo percorso (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lombardo. Ne ha facoltà.
ANTONIO LOMBARDO (CI). Grazie, Presidente. Signor Ministro, la ringraziamo per la sua relazione puntuale sulla difficile situazione che il settore agroalimentare, uno dei pilastri dell'economia italiana, sta vivendo. Siamo in un momento estremamente difficile: ai due anni di pandemia e a una gravissima crisi sanitaria ed economica, da cui pian piano stavamo cercando di uscire, si è aggiunto lo scoppio del conflitto russo-ucraino con ricadute inevitabili anche sul nostro Paese. L'aumento generalizzato di quasi tutte le materie prime ha colpito il settore agroalimentare che non riesce più a redistribuire gli aumenti lungo la filiera produttiva, come lei menzionava durante la sua relazione.
Sono quasi 100 mila le aziende agricole italiane che rischiano di fermare l'attività a causa dell'esplosione dei costi di produzione, che superano, di gran lunga, quanto pagato agli agricoltori e agli allevatori per i loro prodotti, dal latte alla frutta, dalla carne alla verdura, riducendo l'autonomia alimentare del Paese e la sua capacità di rispondere agli shock di approvvigionamento generati dalle tensioni internazionali. In pratica, più di un'azienda agricola su dieci si trova in una situazione così critica da portare alla cessazione dell'attività, ma ben circa un terzo del totale nazionale si trova, comunque, costretto a lavorare in una condizione di reddito negativo, con un impatto non solo sul fronte produttivo, ma anche su quello occupazionale, ambientale, della biodiversità e della gestione dei territori.
Dall'energia ai concimi, dal foraggio per gli animali alle sementi, dal gasolio alle piantine, la prima linea dei rincari sulla quale stanno combattendo le aziende agricole si allunga sempre di più, con aumenti dei costi che vanno dal più 170 per cento per i concimi, a più il 90 per cento per i mangimi e a più il 130 per cento per il gasolio. L'incertezza sui prezzi di vendita, con le quotazioni in balia delle speculazioni di mercato, rappresenta uno scenario drammatico che colpisce il nostro territorio. Il taglio del raccolti, causato dall'incremento dei costi, rischia di aumentare la dipendenza dall'estero per approvvigionamenti agroalimentari con l'Italia che è già obbligata ad importare moltissime materie prime. Per il comparto agricolo, pertanto, si prospetta un autentico annus horribilis, capace di mettere a rischio la sicurezza alimentare nelle aree più povere del globo e destinato a colpire gravemente i consumi nel resto del mondo. È una guerra che sta portando alla fame decine di milioni di persone in Africa e in Medioriente, Paesi che dipendono quasi interamente dalle importazioni di grano dal mar Nero.
L'attuale crisi ha dimostrato quanto, oggi, l'Unione europea e l'Italia siano legate a merci e servizi provenienti da questi territori. Dovremmo, pertanto, fare considerazioni e ragionamenti per evitare che future situazioni di conflitto, che speriamo non accadano mai più, possano metterci ulteriormente in crisi. Ad esempio, per sostituire le importazioni di grano tenero, di mais e di girasoli, da Russia e Ucraina, avremo la necessità di coltivare 200 mila o 300 mila ettari in più, un quantitativo di suolo difficile da trovare in Italia per questi scopi. Allora, o si trovano nuovi mercati sui quali acquistare queste materie, oppure si aumentano le rese produttive. In questa seconda ipotesi, però, le questioni di sostenibilità ambientale rimangono prioritarie. Dunque, soltanto un vero e proprio concreto approccio legato all'innovazione in agricoltura potrà permettere di superare tutte queste criticità.
Anche il mercato dei fertilizzanti sta andando verso una crisi di proporzioni inedite: un crollo delle forniture e un conseguente aumento dei prezzi colpiranno duro i produttori proprio in un momento critico per l'emisfero settentrionale con l'arrivo della stagione di semina per le colture. Si tratta di una situazione destinata ad avere pesanti conseguenze sull'agricoltura mondiale. La Russia, infatti, è il primo esportatore al mondo di fertilizzanti con 50 milioni di tonnellate prodotti ogni anno. La guerra sta influenzando anche in modo più indiretto la produzione e i costi dei concimi chimici; i processi industriali con cui si producono i fertilizzanti richiedono infatti enormi quantità di energia e quindi petrolio e gas, i cui i prezzi stanno schizzano alle stelle in queste settimane di guerra. Occorre agire tempestivamente per tutte le imprese del settore, adottando misure di sostegno alle filiere più a rischio e individuando misure adeguate a sostenere il potenziamento delle produzioni nazionali. Occorre una diversificazione dei mercati di approvvigionamento sui prodotti ed è necessario, come lei ha dichiarato, attivare un regime di aiuto straordinario sul modello dell'emergenza COVID per autorizzare aiuti di Stato in deroga, attivare un programma di ristrutturazione del debito delle imprese agricole in deroga alle norme sugli aiuti di Stato, adottare misure per sostenere la domanda interna, sostenere il potenziamento delle produzioni nazionali e finanziare specifiche misure di sostegno alle filiere più esposte, anche con la sospensione degli oneri previdenziali a carico dei datori di lavoro.
Una grande occasione a sostegno del comparto, come lei ribadiva, è rappresentata dal PNRR che, per l'agroalimentare, prevede interventi per 7,9 miliardi, che comprendono anche le azioni ricomprese all'interno del Ministero della Transizione ecologica. A questi stanziamenti, si devono aggiungere i 50 miliardi della PAC, 2 miliardi della legge di bilancio del 2022 e, da ultimo, i 195 milioni di euro compresi nel pacchetto anticrisi per l'agricoltura nel “decreto-legge Ucraina”. Rinegoziazione del debito, implementazione del Fondo per le imprese agricole e cessione del credito di imposta per il caro carburante: sono questi i tre asset fondamentali attraverso cui si delinea la politica di sostegno al comparto. Si tratta di misure importanti e certamente apprezzabili e condivisibili.
In particolare, lo spinosissimo tema della crisi di liquidità, aggravata dall'eccezionale incremento dei costi dell'energia e delle materie prime, ha spinto il Governo ad allargare anche alle imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura lo strumento della rinegoziazione e della ristrutturazione dei mutui, mentre sarà consentito allungare fino a 25 anni il periodo residuo di rimborso. Si tratta di una misura molto importante. Concludo, ricordando che il settore agroalimentare, quel settore che tutti noi abbiamo elogiato poiché, durante la pandemia, non ci ha mai fatto mancare il cibo sugli scaffali, oggi è in forte, fortissima difficoltà ed ha bisogno di attenzione e interventi urgenti. Coraggio Italia sarà sempre a fianco di tutti gli agricoltori, pescatori e allevatori italiani, portando ai tavoli istituzionali le istanze di queste fondamentali categorie produttive e non facendo mancare mai sostegno e vicinanza. Coraggio Italia, signor Ministro, sarà anche accanto a lei in tutte le azioni che il suo Dicastero metterà in atto per la tutela degli agricoltori e dell'intero settore agroalimentare italiano (Applausi dei deputati del gruppo Coraggio Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fornaro. Ne ha facoltà.
FEDERICO FORNARO (LEU). Grazie, signor Presidente. Signor Ministro, la ringrazio sinceramente per le argomentazioni, la pacatezza e anche la capacità di analisi fuori da logiche retoriche e propagandistiche, d'altronde, ci troviamo di fronte a una situazione complessa che non si risolve con le battute propagandistiche né con richiamo di vecchi slogan. Ci troviamo, in questo settore, non solo di fronte a un doppio shock - lo shock, prima, della pandemia e, oggi, di una guerra, peraltro ancora in corso, di cui non sappiamo e non conosciamo gli effetti nel medio e lungo periodo - ma, salvo qualche intervento, a nostro giudizio, non si sottolinea abbastanza che siamo dentro uno shock globale, ormai da anni, che è quello dei cambiamenti climatici. Quindi il sistema è oggettivamente sotto stress e non si risolve - lo dico con assoluta sincerità e rispetto - con alcuni slogan, per cui sembra che tutti i problemi dell'agricoltura italiana siano in Europa, come sempre nemico esterno, e, come nemico interno, gli ambientalisti da salotto. Ci dovremmo interrogare, invece, anche in maniera autocritica, per esempio, sul tema del consumo del suolo, se è vero, come è vero, che oggi, in una regione che ha il più alto consumo di suolo in Italia, che è il Veneto, circa l'11 per cento dei capannoni industriali è, in questo momento, inutilizzato. Quello è terreno sottratto all'attività agricola; di norma, questo è stato nella storia. Credo che bisogna ripartire anche con un po' di umiltà, evitando, quindi, slogan che ci facciano ritornare indietro. Abbiamo apprezzato nel suo intervento la capacità progettuale e il provare a guardare avanti: non si può pensare di tornare indietro, per esempio, sulla diminuzione dell'uso della chimica nella nostra agricoltura; non si può tornare indietro sulla transizione ecologica. Dobbiamo provare a utilizzare questi tre shock, uno di lungo periodo e altri due che speriamo possano terminare, se non nei prossimi mesi, nell'arco di un paio d'anni. È del tutto evidente che riposizionare vuol dire anche dare valore, e in questo negli ultimi decenni c'è una colpa complessiva anche della politica, dare il giusto valore al settore primario. Ci siamo cullati nell'idea che il settore primario, in fondo, potesse essere sostituito o una parte di quella produzione proprio dall'interconnessione globale dei mercati. Questi shock ci riportano alla realtà a cui, a nostro giudizio, non si può dare - e lo abbiamo apprezzato nel suo intervento - una risposta nella logica di un nuovo modello autarchico, il cosiddetto sovranismo alimentare. Il problema è dare una risposta a problemi che esistono, ad alcuni nodi strutturali che questa vicenda in particolare, la guerra, ha finito per esaltare, ma si può fare questo soltanto in una logica europea; è la dimensione dell'Europa, che è un gigante economico, a cui bisogna dare anche le gambe per poter essere, da questo punto di vista, un attore globale. Se c'è un limite, se vogliamo analizzare questi anni, è che noi siamo, certamente, come Europa, per dimensioni demografiche, per capacità produttiva, anche in agricoltura, un gigante, a cui, però, dietro non corrisponde un'adeguata capacità geopolitica e nella politica estera, perché, come sono state descritte, alcune delle azioni che hanno caratterizzato questi anni hanno visto coincidere strategie alimentari con azioni di politica estera.
C'è un altro punto su cui noi vorremmo soffermarci e lo abbiamo fatto, se lo ricorderà, signor Ministro, nel question time di un paio di settimane fa: è la questione della speculazione. Lei l'ha citata, poi non ha approfondito, se non richiamando ad un concetto, che condividiamo, che è quello della trasparenza dei mercati, ed ha anche denunciato una difficoltà, un deficit informativo, l'assenza di dati sugli stock delle varie materie prime. Però, accanto a questo - e qui c'è la dimensione globale - è evidente che, come ci sono controlli e ci sono enti preposti in maniera molto forte ed efficace al controllo delle borse azionarie, probabilmente, bisognerà ripensare anche il sistema di controllo sulle borse merci, perché alcuni strumenti finanziari che possono avere un senso sul mercato azionario, se ribaltati sui prodotti, producono effetti devastanti. È evidente che qualcuno ci sta speculando, non in ragione di crescita di costi delle materie prime reali, ma perché pensa, attraverso manovre finanziarie, di poterne trarre un profitto. La storia ci dice con grande chiarezza che sono questi i momenti in cui i pescecani si muovono e bisogna che ci sia una risposta forte dello Stato in questa direzione. In estrema sintesi, quindi, crediamo che le linee che lei ha descritto in questa sua informativa siano giuste, siano condivisibili, che sia un'occasione importante per ridare forza, per rilanciare un'agricoltura italiana che guarda verso il futuro, traendo anche lezione dagli errori del passato, che prova, quindi, a guardare avanti e non a tornare indietro (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tasso. Ne ha facoltà.
ANTONIO TASSO (M-MAIE-PSI-FE). Grazie, Presidente. Ministro Patuanelli, l'ho ascoltata attentamente, concordo con tutto quello che ha detto. La crisi sta attanagliando i settori agroalimentari e della pesca del nostro Paese, che già attraversavano momenti difficili in condizioni normali, ma oggi, a seguito di una pandemia, che non sappiamo neanche se è veramente a termine, e delle conseguenze non ancora ben definite del conflitto in Ucraina, diventa un tema improcrastinabile.
Sul fronte energetico, la situazione, lo ha ricordato, è drammatica: l'elenco delle difficoltà che si stanno affrontando e che stanno affrontando i produttori è lungo - due minuti non bastano - e va dal prezzo del gasolio triplicato a quello dei mangimi, dei fertilizzanti, che sono arrivati a livelli insostenibili, al famigerato caro bollette, che pesa maggiormente per quei comparti che hanno bisogno, ad esempio, di riscaldare le serre. Come si risponde a tutto questo? Lei ha dato delle precise indicazioni: di certo, con l'adozione di un Energy Recovery Fund comunitario, l'attivazione di tutte quelle specifiche misure di sostegno alle filiere agroalimentari e della pesca che sono in crisi, insomma, l'ormai famoso whatever it takes per tali comparti. Lei ha giustamente fatto anche riferimento al potenziamento degli approvvigionamenti idrici e qui, onestamente, mi coglie lo sconforto nel constatare che la regione da cui provengo, cioè la Puglia, non sta approfittando delle risorse che potrebbero derivare dal PNRR. È noto che la Puglia produce prodotti di altissima qualità e che è necessario che non perda occasioni come questa, per le quali mi impegnerò personalmente rapportandomi con lei, Ministro, pur non essendo nella Commissione di riferimento. Infine, lei ha giustamente fatto riferimento al sostegno - e chiudo, Presidente - dovuto a un Paese aggredito, sostegno in termini di aiuti di prima necessità, medicinali, accoglienza e aiuti militari difensivi, perché non si può rimanere inermi mentre qualcuno ti percuote senza pietà.
Ma è necessario che la nostra grande attenzione verso questa esigenza umanitaria sia commisurata alle urgenti esigenze delle famiglie e dei cittadini italiani in questi drammatici momenti, altrimenti il nostro popolo farebbe fatica ad accettare le decisioni che stiamo adottando in tale ambito. Concludo, augurandole davvero buon lavoro, soprattutto in Europa, Ministro.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tondo. Ne ha facoltà.
RENZO TONDO (M-NCI-USEI-R-AC). Grazie, signor Presidente. Signor Ministro, devo dirle che sono venuto volentieri ad ascoltarla, ho sentito l'intervento via radio perché stavo arrivando e non potevo mancare l'occasione di parlare, come ex presidente della regione, al Ministro - l'unico - della mia regione. Io ho seguito il suo impegno come Ministro dell'Agricoltura, devo dire che il suo impegno, così come la relazione di oggi, appaiono e sono apprezzabili per il buon senso con cui ha orientato la sua azione politica all'interno del Governo. Preannuncio quindi un giudizio favorevole su quello che lei ci ha detto e sugli impegni che si sta assumendo, soprattutto nei confronti dell'Europa. In una vicenda drammatica come quella che stiamo vivendo, l'unica cosa, credo, di carattere positivo è il fatto che, per lo meno, il tema dell'agricoltura - che è sempre stato considerato marginale, diciamoci la verità, perché riguardava poche persone - torna al centro dell'attività politica. Ma soprattutto, cosa che sembrava impossibile si verificasse, la gente, più che temere la bomba, teme la mancanza di cibo, e questo secondo me è molto significativo. Quindi dobbiamo ragionare su questo. Un agricoltore oggi mi ha detto: pensa, Tondo, io per pagarmi il caffè in piedi al bar, devo produrre 3 litri di latte. C'è una sperequazione notevole: 3 litri di latte, per pagarmi un caffè al bar. Ho sentito molte cose sull'energia e sull'ambiente. Non dimentichiamoci che noi siamo stati la regione che ha rinunciato al nucleare e poi ha bruciato il mais per produrre energia con i termovalorizzatori. C'è qualcosa che non va in questa vicenda. E allora, signor Ministro, concludo, ringraziandola per le sue parole e augurandole di mantenere gli impegni e di poterli portare avanti. Però mi permetto di dirle: continui sulla produzione in materia di agricoltura e zootecnia e, soprattutto, lei, che è di Trieste, valuti davvero se non sia il caso di valutare - scusi il bisticcio di parole, avrà letto Il Piccolo di oggi - la possibilità di entrare in joint venture con Croazia e Slovenia sul termovalorizzatore di Krsko. Credo che sia il momento opportuno per farlo: il nucleare rimane di là, ma potremo partecipare anche nel board e garantirci sicurezza. Ancora un'ultima cosa: l'idrogeno per l'autoconsumo. Abbiamo un emendamento presentato dal gruppo Noi con l'Italia sul tema dell'ambiente. Consentiamo l'accumulo di energia per autoconsumo: la montagna ne trarrà vantaggio e i piccoli agricoltori ancora di più.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Romano. Ne ha facoltà.
PAOLO NICOLO' ROMANO (MISTO-EV-VE). Grazie, Presidente. L'ingiustificato attacco subito dall'Ucraina da parte di Putin, oltre al dramma sociale inaccettabile e alle vittime innocenti, a cui vogliamo ribadire la vicinanza e la solidarietà di Europa Verde, ci fa riflettere sulla nostra sostenibilità alimentare e sull'uso incontrollato di pesticidi nell'agricoltura. Lei, Ministro Patuanelli, ha sottolineato che l'attuale conflitto richiede l'accantonamento delle misure europee a protezione della biodiversità e dell'agricoltura biologica. Mi spiace, ma noi di Europa Verde la pensiamo in maniera diametralmente opposta. La biodiversità e la tutela ambientale non possono e non devono diventare un optional. Il conflitto Russia-Ucraina non deve diventare un pretesto per fare un passo indietro sugli obiettivi climatici e ambientali.
Lei, Ministro, vorrebbe incrementare le produzioni agricole, utilizzando anche superfici lasciate a riposo, ma così si aumenterebbe l'uso di pesticidi chimici, impattando fortemente sulla già devastante emergenza ecologica, oltre che sulla salute delle persone. Dobbiamo, invece, incrementare l'agricoltura biologica e l'agroecologia anche sui terreni incolti, anziché utilizzarli per coltivazioni destinate alla produzione di mangimi animali per gli allevamenti intensivi. Europa Verde sostiene la strategia Farm to Fork europea per ridurre notevolmente la dipendenza dai pesticidi. Dobbiamo triplicare l'agricoltura biologica entro il 2030: costerebbe alle finanze pubbliche solo circa 1,85 miliardi di euro all'anno, invece di spendere ingenti somme di denaro per i pesticidi, che è una sciocchezza anche economica, oltre che ambientale. Numerosi studi scientifici indipendenti dimostrano che con l'agroecologia la produzione non diminuisce, ma si crea resilienza, molto più importante dell'efficienza dell'agricoltura intensiva. Per essere chiari, il bosco è un sistema resiliente che permette di autorigenerarsi. Concludo, la monocoltura, invece, è un sistema cosiddetto efficiente, ma nel quale basta un parassita per rovinare tutta la stagione. Per queste ragioni, noi riteniamo che non siano accettabili accantonamenti sulle misure europee a protezione della biodiversità e dell'agricoltura biologica, oltre a deroghe sull'utilizzo di pesticidi in aree di interesse ecologico. Ciò comprometterebbe un aumento irreversibile dell'inquinamento e la perdita di biodiversità.
PRESIDENTE. È così esaurita l'informativa urgente. Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15.
La seduta, sospesa alle 13,45, è ripresa alle 15,05.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Boldrini, De Carlo, Fantuz, Grimaldi, Polidori e Racchella sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente 124, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Preavviso di votazioni elettroniche (ore 15,06).
PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Seguito della discussione delle mozioni Meloni ed altri n. 1-00485 e Fiorini, Orrico, Benamati, Perego di Cremnago, Mor, Timbro ed altri n. 1-00598 concernenti iniziative a sostegno del settore della moda.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni Meloni ed altri n. 1-00485 (Seconda ulteriore nuova formulazione) e Fiorini, Orrico, Benamati, Perego di Cremnago, Mor, Timbro ed altri n. 1-00598 (Ulteriore nuova formulazione) concernenti iniziative a sostegno del settore della moda (Vedi l'allegato A).
Avverto che, dopo la conclusione della discussione sulle linee generali, che ha avuto luogo nella seduta di martedì 8 marzo 2022, sono state presentate una seconda ulteriore nuova formulazione della mozione Meloni ed altri n. 1-00485 e un'ulteriore nuova formulazione della mozione Fiorini, Orrico, Benamati, Perego di Cremnago, Mor, Timbro ed altri n. 1-00598, che sono già state iscritte all'ordine del giorno.
(Parere del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, che esprimerà altresì il parere sulle mozioni all'ordine del giorno.
ANNA ASCANI, Sottosegretaria di Stato per lo Sviluppo economico. Grazie, Presidente. Per quanto riguarda la mozione Meloni ed altri n. 1-00485, le premesse si considerano accolte.
Sul primo impegno, il parere è favorevole con riformulazione: “a valutare l'opportunità di adottare iniziative per attuare una politica di tutela ambientale anche dedicata al settore tessile e orientata in particolare ai temi della transizione verso un'economia circolare, anche con riguardo a (…)”. La parte restante dell'impegno - lettere a), b), c), d) ed e) - rimane identica. Sull'impegno n. 2, parere favorevole con riformulazione: “ad attivare, in ambito europeo, tutte le iniziative di competenza per prevedere lo stanziamento di fondi dedicati alla sostenibilità e all'innovazione”. Sull'impegno n. 3, parere favorevole, con riformulazione: “a proseguire le iniziative di sostegno all'innovazione creativa, anche mediante: il sostegno all'attività di realizzazione dei campionari e delle collezioni del settore tessile abbigliamento privi di fibre sintetiche e poliestere (PU), contenenti almeno il 30 per cento di materiale riciclato e rispettose dei principi di economia circolare, nei limiti della normativa sugli aiuti di Stato con contributi a fondo perduto”. Impegno n. 4, parere favorevole con riformulazione: “a valutare l'opportunità di adottare iniziative, compatibilmente con i saldi di finanza pubblica, per attivare gli strumenti agevolativi per incentivare la rilocalizzazione delle produzioni, almeno per articoli e/o servizi innovativi, favorendo nuovi investimenti industriali con: a) agevolazioni fiscali per periodi medio-lunghi (5-10 anni); b) finanziamenti agevolati o contributi a fondo perduto per riconversione di aree industriali e di impianti/macchinari”. Sull'impegno n. 5, parere favorevole con riformulazione: “a valutare l'opportunità di adottare le iniziative di competenza per inserire nei decreti attuativi di prossima adozione relativi al Piano nazionale di ripresa e resilienza per il rilancio dell'Italia o in altri provvedimenti il sistema moda come elemento di sviluppo dell'innovazione, della competitività, della transizione ecologica, della rivoluzione verde mediante l'attivazione di strumenti agevolativi e il sostegno all'innovazione negli eventi. Impegno n. 6, parere favorevole. Impegno n. 7, parere favorevole con riformulazione: “a valutare l'opportunità di promuovere campagne di comunicazione per sensibilizzare i consumatori ad acquisti sostenibili in favore di una maggiore trasparenza circa la riparabilità, la provenienza da materiale riciclato e la riciclabilità dei prodotti, al fine di veicolare gli utenti verso scelte consapevoli”. Impegno n. 8, parere favorevole con riformulazione: “anche alla luce delle recenti situazioni emergenziali, compresi i recenti avvenimenti di guerra in Ucraina, ad adottare iniziative anche volte ad aiutare bisognosi e profughi, nel segno della sostenibilità e dell'allungamento del ciclo di vita dei prodotti, mediante sostegno, anche attraverso sgravi fiscali e crediti d'imposta, alle attività che effettuano cessioni di eccedenze di magazzino nella moda”.
Per quel che riguarda la mozione Fiorini, Orrico, Benamati, Perego di Cremnago, Mor, Timbro ed altri n. 1-00598 ed altri, il parere è favorevole sulle premesse e sugli impegni.
(Dichiarazioni di voto)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto. Ha chiesto di parlare la collega Timbro. Ne ha facoltà.
MARIA FLAVIA TIMBRO (LEU). Grazie, Presidente. Il settore della moda e più precisamente quello del tessile e dell'abbigliamento è il settore produttivo italiano che, con molta probabilità, uscirà per ultimo dalla crisi scaturita dalle restrizioni pandemiche da COVID-19.
Il calo repentino delle vendite, la chiusura improvvisa di fabbriche e negozi, il blocco delle frontiere, la difficoltà a reperire materie prime e la diminuzione, per non dire l'azzeramento, quantomeno per un periodo significativo, del turismo hanno portato ad un cambiamento, che potremmo definire strutturale, nella domanda e nel comportamento dei consumatori di questo mercato, che prima della pandemia non aveva vincoli né confini geografici. Un mercato nel quale il nostro Paese è sempre stato capofila nel mondo.
Si tratta di un settore produttivo a vocazione prevalentemente artigiana, che occupa circa 5 mila addetti e che è stato in grado di produrre nel 2019 un fatturato di circa 98 miliardi, per poi subire nei fatidici 13 mesi successivi, quindi dal marzo 2020 al marzo 2021, una perdita di fatturato di oltre 20 miliardi di euro.
Le tensioni esplose durante il primo lockdown a causa del blocco delle forniture, ma anche la mancanza di liquidità, le ripetute cancellazioni di ordini e i ritardi nei pagamenti hanno accelerato la consapevolezza - che tra l'altro queste mozioni consolidano - che oggi il settore della moda abbia la necessità di procedere ad una profonda e strutturale revisione di se stesso. Dal 2019, infatti, sono radicalmente cambiate le abitudini, i consumi e, da ultimo, anche le modalità di acquisto da parte dei consumatori. L'esperienza, infatti, dell'acquisto nei luoghi fisici, nei negozi, che è sempre stata il punto decisivo del processo di vendita, è stata soppiantata dall'acquisto sulle piattaforme digitali e sui sistemi e-commerce. In poco meno di 8 mesi, nel corso del 2020, la quota di vendite sul canale e-commerce è passata dal 16 al 29 per cento.
Altro e forse probabilmente più devastante effetto che l'indotto ha subito a causa della pandemia è stato certamente il crollo della domanda. È soltanto grazie poi alla costanza, all'impegno e alla resilienza degli operatori del settore, che hanno saputo anche sfruttare al meglio gli incentivi statali messi a loro disposizione, che si è giunti, nel gennaio 2021, ad una timida ripresa. La nostra tradizione artigiana ha dimostrato, quindi, ancora una volta, di essere in grado di rialzarsi, di rinnovarsi, di garantire, anche in condizioni di mercato differenti, tecnologia, creatività e qualità dei prodotti. Oggi però, inevitabilmente, si deve andare verso un processo di innovazione e di radicale cambiamento del settore.
Sono stati avviati percorsi di digitalizzazione delle aziende, si utilizzano i canali social per la promozione e la ricerca di nuove competenze, si tentano soluzioni per integrare l'esperienza del cliente sui vari canali, fisici e digitali.
Questo non è stato e non è sufficiente: l'inizio della stagione 2022-2023 ha registrato dati peggiori di quelli sperati. Ecco perché non si può procrastinare una seria riflessione sul nuovo ruolo che l'industria della moda è chiamata ad interpretare e su come questo ruolo soprattutto debba calarsi nella società nella quale viviamo e nelle sfide che ci pone il PNRR.
Le nostre aziende e i nostri brand si destreggiano con un contesto di complessità produttiva, distributiva e organizzativa che ha accelerato il loro necessario cambio di passo. In questa direzione una spinta importante è venuta anche dai consumatori, sempre più orientati verso una maggiore giustizia e sostenibilità sociale.
Oggi il settore della moda, anche grazie alla tappa del Fashion Pact di Biarritz, ha l'occasione, che non può perdere, di tenere finalmente insieme due sfere fino ad oggi incompatibili tra loro, produzione e sostenibilità. L'industria manifatturiera guarda quindi alla sfida della transizione ecologica come una svolta necessaria, e lo fa cercando di ridurre sprechi ed emissioni, impostando politiche industriali di recupero, di riciclo, di riutilizzo di materiali, provando a costruire un sistema di economia circolare dentro un sistema, quello della moda, che in passato è stato certamente tra i meno sostenibili.
Si va dunque verso la fine del fast fashion, ma lo si deve fare accompagnando questo fondamentale indotto italiano, simbolo del made in Italy nel mondo, con un piano straordinario di sostegno alle imprese che in questo settore operano da sempre e a quelle che verranno.
In questo senso, tre sono le linee direttrici, gli obiettivi sui quali si deve impegnare il Governo: l'incentivazione delle filiere produttive del settore manifatturiero della moda, l'incentivazione del percorso del settore verso la transizione ecologica, la digitalizzazione e la sostenibilità della filiera, senza che questa perda le caratteristiche di creatività e unicità che ha sempre avuto, la previsione di misure di supporto alla formazione e alla crescita dei giovani impegnati.
In questa ottica, tanti gli interventi concreti, efficaci e solidi previsti. Giusto, quindi, ipotizzare sostegni economici alle imprese, per ammortizzare i costi dovuti agli aumenti energetici; giusto il potenziamento delle misure a tutela della competitività dei marchi storici, predisponendo anche agevolazioni affinché realtà consolidate a rischio di chiusura possano essere rilevate da altre consolidate imprese nazionali; giusta l'istituzione di un sistema tecnico normativo che premi gli operatori che puntano ai mercati in cui sono maggiormente garantiti i diritti dei lavoratori. Inevitabile un programma di incentivi che consentano la crescita della filiera e ne supportino il percorso verso l'adozione di modelli più innovativi.
Il futuro inevitabilmente va in questa direzione. Doveroso, da ultimo, l'intervento a sostegno delle nuove generazioni, che più di tutte chiedono percorsi di sostenibilità economica dei prodotti del made in Italy. A loro si devono iniziative che favoriscano la nascita di programmi formativi che scaturiscano dalla collaborazione degli ITS, delle università e della filiera dell'artigianato e della moda, perché solo così si potranno porre le basi per l'inevitabile e tanto temuto cambio generazionale dentro un settore che rischia di perdere ingente e insostituibile manodopera. Il percorso è lungo, tanti sono gli interventi da mettere in campo a sostegno di un settore che, ad oggi, ha pagato un prezzo troppo alto; un settore che è stato, lo abbiamo detto, e deve continuare ad essere uno dei migliori biglietti da visita dell'Italia nel mondo.
Per questa ragione, riconoscendo la necessità che il Governo assuma un impegno in questa direzione, dichiaro il voto favorevole alle mozioni da parte del gruppo di Liberi e Uguali (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Baratto. Ne ha facoltà.
RAFFAELE BARATTO (CI). Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, la discussione di oggi, pur essendo stata, da tempo, calendarizzata, avviene in un momento cruciale per gran parte del sistema industriale italiano. In piena ripresa, dopo la profonda recessione conseguenza della pandemia, la crisi politica creata dalla scellerata invasione russa in Ucraina è piombata anche nel settore della moda e del lusso, fiore all'occhiello della nostra industria. Le sanzioni imposte alla Russia, doverose e mezzo imprescindibile per imporre il rispetto dell'ordine internazionale, nonché la crisi congiunturale legata al conflitto, offrono l'occasione per riflettere sulle debolezze di un sistema industriale sviluppatosi enormemente negli anni Ottanta e consolidatosi variamente, con profonde incongruenze; offrono, inoltre, l'occasione per rivedere, laddove necessario, anche la nostra politica industriale.
L'Italia è il primo Paese dell'Unione europea per occupazione nei settori del tessile, abbigliamento e pelletteria. A livello globale, il recente report The Business of Fashion vede una ripresa dell'industria della moda per il 2022, con vendite che supereranno del 3-8 per cento i livelli registrati nel 2019, più marcata in Cina e negli Stati Uniti e più lenta in Europa. Se si guarda, in particolare, la moda di alta gamma in Italia, che rappresenta circa un terzo del totale della moda italiana, si apprezza una crescita, nel 2021, di quasi il 30 per cento rispetto al 2020, riuscendo a raggiungere il livello di fatturato totale del 2019. A livello globale, ci troviamo di fronte a una sorta di euforia post bellica, un impulso a godersi la vita dopo mesi nel pieno della pandemia. Il 2021, ha chiuso molto positivamente, con i consumatori di tutto il mondo che sono tornati a spendere in maniera importante per i prodotti di moda e di lusso dell'alta gamma ancora più del 2019; in alcuni casi, addirittura il doppio. Ci si aspetta anche per l'Asia un trend molto positivo, con il settore dell'alta gamma in crescita dell'11-12 per cento, fino a punte del 18 e 19 per cento per i big player.
Dopo quasi due anni di turbolenze, il settore della moda a livello globale sembra, dunque, pronto a riprendersi, e pur tuttavia, anche se questi numeri appaiono rosei, non ci possono far dimenticare la fragilità di un settore che, negli anni, è cresciuto a dismisura, senza tuttavia prestare attenzione alla conservazione delle professionalità, del know-how e di quel saper fare che ha coniato l'espressione del made in Italy. A tal proposito, mi pare corretto ricordare a quest'Aula che ancora non vedono la luce norme concrete per la tutela del made in Italy in ampi settori interessati dalle mozioni in oggetto. Tutte le misure ivi indicate, seppure condivisibili, mancano, quindi, di un requisito fondamentale: la tutela della proprietà industriale della moda italiana, che è ancora oggetto di contraffazione, privilegiando soprattutto il mondo dell'Asia. Un fenomeno, quello della contraffazione, che sconta un peccato originale, quello della delocalizzazione senza limiti che per anni ha sacrificato sull'altare dei maggiori profitti le peculiarità territoriali del know-how, una tradizione manifatturiera senza pari nel mondo.
Credo che qui ci dobbiamo tutti franchezza. Per anni, a quella parte del mondo abbiamo regalato competenze che, diversamente, non avrebbero mai potuto maturare. Solo di recente, negli ultimi anni, con l'avvento dell'etica del prodotto e il ritorno di una maggiore consapevolezza del consumatore, anche la nostra industria del settore ha fatto marcia indietro, anche se alcune volte solo a metà. Il cosiddetto fenomeno del reshoring, contrapposto a quello delle delocalizzazioni, si è ampliato, con produzioni che tornano in Italia e rianimano interi settori. Tuttavia, c'è da fare ancora molto. Sempre di più, le aziende dei settori tessili e del lusso dovranno affrontare importanti sfide, data la pressione esercitata dai maggiori costi, da quei colli di bottiglia logistici, che, in realtà, incidono sul consumatore sotto forma di prezzi più alti, e da forniture sicuramente raggiungibili con più fatica. Le aziende, quindi, dovranno rivedere i propri modelli di filiera per renderli il più possibile flessibili e resilienti. Ma in questo la politica deve inserirsi, da un lato per favorire e agevolare gli investimenti e, dall'altro, pretendendo che anche le produzioni tornino in Italia, dove, voglio ricordarlo, abbiamo la mano d'opera più preparata e stimata al mondo.
Il valore del marchio made in Italy dipende largamente da come il settore ripartirà dopo questa crisi, da quanto valore si vorrà riconoscere al fattore umano e alla tradizione manifatturiera locale italiana non a parole, non dietro un'etichetta, ma nei fatti. Il made in Italy o è fatto in Italia o non lo è (Applausi dei deputati del gruppo Coraggio Italia)!
Vedete, colleghi, non c'è una cucitura, un'asola, una bordatura, una saldatura e, ancora, un occhiale e una scarpa che, fatti in Italia, si possano eguagliare. Si tratta di un valore inestimabile che abbiamo il dovere di tutelare. Io, colleghi, arrivo da una terra famosa per le calzature sportive. Anni addietro, per spiegare le meraviglie di ciò che caratterizza il nostro Paese, un grande imprenditore, che fece fortuna nel settore dei pattini da ghiaccio, disse che i pattini si potevano fare in tutto il mondo, ma inspiegabilmente costruiti a Montebelluna, in Veneto, in Italia, uscivano tecnicamente migliori degli altri. È questa meraviglia e questa professionalità incredibilmente redditizia che dobbiamo preservare.
Accanto all'eccessivo sfilacciamento delle filiere sta anche un'altra evidente criticità: la dimensione delle nostre imprese, che impedisce spesso l'accesso necessario al credito. La ridotta dimensione media delle aziende rispetto a quelle degli altri Paesi dell'Unione europea deve, allora, essere bilanciata da una forte interazione tra le imprese che favorisca un'elevata capacità di innovazione, consenta una maggiore flessibilità e un elevato grado di specializzazione, garantendo una forte competitività della filiera. La logica dei distretti e delle reti di imprese diventa, allora, imprescindibile. È fondamentale per un settore di altissimo rilievo economico, produttivo e commerciale per l'economia italiana, come quello della filiera della moda, escogitare strategie a lungo termine per mutare pelle senza cambiare identità, al contempo ponendo fine alle contraddizioni che, negli anni, hanno depauperato il valore e la sostenibilità del made in Italy. Queste indicazioni, valide certamente per tanti, diventano imperative per le aziende italiane, che dovranno dimostrare una tempra forte e innovativa. Credo che il PNRR e la transizione ecologica rappresentino l'ultima occasione per una virata risolutiva.
Chiudo, Presidente. Relativamente agli impegni richiesti al Governo nella mozione oggi in discussione, nell'ambito di misure volte a sostenere e incentivare la crescita delle filiere produttive del tessile, abbigliamento, pelletteria, cuoio, calzature, occhialeria, dell'attività manifatturiera e della politica industriale, esprimiamo una condivisione generale di fondo (Applausi dei deputati del gruppo Coraggio Italia).
PRESIDENTE. L'onorevole Mor ha fatto sapere che non è riuscito ancora ad arrivare in Aula. Ha chiesto di parlare l'onorevole Butti. Ne ha facoltà.
ALESSIO BUTTI (FDI). Grazie, Presidente. Innanzitutto, desidero informare l'Aula che Fratelli d'Italia ha colto due obiettivi con questa discussione, direi anche importanti. Il primo è quello di aver posto all'attenzione del Parlamento la situazione anche grave in cui versa tutto il comparto della moda italiana. Abbiamo prospettato i problemi ma anche soluzioni.
Il secondo obiettivo che abbiamo colto è che le riformulazioni del Governo sono di lievissima entità, peraltro più di carattere lessicale e, quindi, confortano il gruppo di Fratelli d'Italia circa la bontà delle proposte avanzate. Noi stiamo parlando di una filiera produttiva, quella della moda, che è molto restia a chiedere aiuti allo Stato.
È un settore valorizzato dal temperamento di imprenditori che sono fieri del loro lavoro, che sono gratificati per i risultati che hanno raggiunto in questi decenni, che sono orgogliosi dello straordinario contributo reso al sistema made in Italy nel mondo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
Qui parliamo di un fatturato di 80 miliardi, 500 mila addetti e 224 mila aziende, cioè il 12,5 per cento dell'occupazione dell'industria manifatturiera italiana. Questa è una carta d'identità che non ammette ulteriori commenti. Quello della moda non è un mondo per capitani coraggiosi, nutriti con fondi statali. È un ecosistema fragile che ad ogni stagione si rimette in discussione e in gioco sulle tendenze della moda ed è consapevole delle sfide che sono imposte dalla transizione ecologica. Sono aziende che già stanno investendo, indipendentemente dalle decisioni che andremo ad assumere oggi, ma che, proprio per quanto accaduto negli ultimi mesi e negli ultimi anni, chiedono di essere sostenute per rendere il più velocemente possibile l'ecosistema del tessile e, comunque, del sistema moda Italia idoneo alla transizione in corso.
La filiera della moda, del resto, era già in crisi prima del COVID. Il 2021 è stato altalenante, ma è stato preceduto da un 2020 dove c'è stato un tracollo, ad esempio nei distretti tessili, del 30 per cento del fatturato. Sembrava poi che il 2022 potesse partire meglio e non già per i sussidi statali, spesso non richiesti e molto più spesso non pervenuti in misura adeguata al sistema moda Italia, ma per una reazione virtuosa e orgogliosa dell'intero comparto che è forte della propria fantasia e del proprio estro. Tutto questo, nonostante la concorrenza sleale - decisamente sleale! - dell'Est europeo che è disinteressato alle regole etiche e ancora più alle questioni della transizione ecologica; tutto questo, nonostante la tassazione insostenibile imposta dai Governi italiani; tutto ciò, nonostante il costo del lavoro che mette in ginocchio le nostre imprese; tutto ciò, nonostante una burocrazia veramente asfissiante.
Tuttavia, sottosegretaria Ascani, questo è un comparto che chiede rispetto e attenzione. Lo chiede per quel patrimonio di imprenditorialità, di maestranze qualificate, di competenze e di know-how che il mondo intero ci invidia. Facciamo attenzione a quello che andremo a decidere a vantaggio di questo importante settore, perché non chiede assistenza - intesa nell'accezione più deteriore e statalista del termine - ma semplicemente di poter lavorare.
Pur nelle fragilità che il sistema ha individuato e alle quali sta già predisponendo delle soluzioni, ciò che ha colpito in modo determinante tutto questo settore è stato lo shock energetico, frutto, secondo noi, della miopia in tema di politica industriale ed energetica dell'Italia e dell'Europa; certamente il costo dell'energia ha messo ulteriormente in difficoltà tutto il settore e quel che è peggio è che di questi costi dell'energia non hanno responsabilità i singoli imprenditori.
Allora, lo Stato non si limiti a ridurre i costi cosiddetti di sistema delle bollette per qualche settimana; intervenga anche in modo deciso, molto più deciso per quanto riguarda le accise dei carburanti, perché il costo dei carburanti sta lievitando nuovamente, dopo qualche giorno di sosta. E agli occhi di un imprenditore non è sostenibile che ci sia il 55 per cento delle tasse su ogni litro di carburante; agli occhi dell'imprenditore non è concepibile che al 60 per cento abbia un socio occulto che è lo Stato. Oggi l'imprenditore lavora, con tutto ciò che ne consegue per la forza lavoro, per lo Stato fino a giugno inoltrato, inizio luglio, poi può cominciare a pensare a sé e ai lavoratori che ha nelle proprie aziende.
Concludo. La Commissione europea ha aggiornato la disciplina in materia di aiuti di Stato per il clima, per l'ambiente, per l'energia, includendo anche - ed è un passaggio che noi rivendichiamo, anche in sede europea - la nobilitazione tessile che prima era esclusa. È indispensabile, però, recepire, entro qualche giorno, il provvedimento comunitario per consentire alle nostre PMI di beneficiare delle agevolazioni previste per le imprese energivore e per poter utilizzare il credito di imposta che tutti insieme abbiamo inserito nel “decreto Sostegni-ter” e nel “decreto Energia”. E' una drammatica corsa contro il tempo per affrontare la quale Fratelli d'Italia chiede al Governo una serie di interventi, elencati nella nostra mozione, che tra poco andremo a votare (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mor. Ne ha facoltà.
MATTIA MOR (IV). Grazie, signor Presidente. Grazie a tutti. La moda italiana è sinonimo di eccellenza, di qualità, di creatività, ma, soprattutto, di lavoro. In giorni di crisi e di sofferenza come questi, quando, ogni mattina, leggiamo sui giornali notizie e vediamo immagini che ci scioccano per una guerra, che è assurdo pensare nel 2022, potrebbe sembrare strano essere in quest'Aula a parlare di moda. Eppure, questo sarebbe un errore, perché la moda italiana non è uno slogan da portare in giro per il mondo; non è soltanto immagine, leggerezza, divertimento o comunicazione. La moda italiana è un comparto che conta 500 mila occupati, che genera un fatturato che si aggira intorno ai 98 miliardi di euro, l'8,5 per cento dell'intera manifattura italiana e che, nei primi 10 mesi del 2021, ha segnato un più 16 per cento nell'ambito ristretto della moda e un più 39 per cento nei settori collegati, per quanto riguarda l'export.
La moda è un pezzo centrale del nostro Paese, colleghi; è una locomotiva economica, è uno spaccato della nostra società e dei nostri territori. Per essere più espliciti, la moda italiana, nel solo 2021, ha segnato, sempre in termini di export, numeri di crescita importanti, di rimbalzo rispetto all'annus horribilis del 2020; con la Cina, un più 50 per cento; con gli Stati Uniti, un più 31 per cento; con la Francia, un più 20 per cento.
L'Italia è un punto di riferimento di grandi marchi internazionali che qui aumentano sempre più gli investimenti, è un punto di approdo per gli investitori finanziari, ma soprattutto è la terra di artigiani, di filiere produttive, di piccole e medie imprese che producono per tutti i marchi del mondo.
L'ultima “Settimana della moda” ha contato un giro d'affari di 10 miliardi e 128 mila sono state le persone occupate; ha un ritorno di immagine florido, non solo economicamente, ma anche in termini di presenze di grandi marchi e di eventi, e questa è un'ottima notizia per Milano che, intorno a queste “Settimane”, costruisce opportunità di lavoro, identità culturale e che ci vedrà sempre più in prima linea per farla tornare ai livelli degli anni d'oro, post-Expo e pre-pandemia, ancor di più su questi temi, con il lavoro d'Italia Viva, grazie all'assessora allo sviluppo economico e alle politiche del lavoro, con delega al commercio, alla moda e al design Alessia Cappello.
Ripartire dopo una crisi economica dovuta alla pandemia, che ha contratto le vendite del 30 per cento, coinvolgendo tutta la filiera, sino addirittura alla vendita al dettaglio, e che ha visto saracinesche abbassarsi, produzioni interrompersi ed eventi cancellati, non è assolutamente semplice.
Nel periodo marzo 2020-marzo 2021 abbiamo subìto una perdita del 13 per cento di fatturato, le famiglie italiane hanno ridotto i consumi del 19 per cento, l'export ha subito una contrazione del 19 per cento e si è assistito alla chiusura di 130 mila punti vendita. Nel 2021 dobbiamo dire grazie - e non ci stancheremo mai di dirlo - alla campagna vaccinale efficiente ed efficace, che ha portato a una ripartenza e una ripresa, il rimbalzo è stato del 63 per cento rispetto al 2020. La Camera della moda ci racconta come abbiamo recuperato una grande fetta delle perdite del 2020, con un più 24 per cento su base semestrale. I saldi invernali, infine, hanno dato una nuova spinta a una ripresa del commercio e della moda stessa, che era fortemente necessaria.
In merito, poi, al tema centrale della sostenibilità, la moda italiana, da tempo si è imposta a impegnarsi nel creare un sistema più virtuoso e più sostenibile, appunto, ed è un'esigenza impellente perché i dati ci ricordano quanto sia forte l'influenza del comparto della moda nelle emissioni di gas climalteranti, purtroppo; però, la filiera della moda in Italia ha portato appunto avanti decisioni che riguardano l'economia circolare e che portano al riciclo dei materiali e alla lotta allo spreco; ha ridimensionato lo scarto dei tessuti del 75 per cento, negli ultimi anni, recuperando 22 mila tonnellate di scarti, e questo sta portando a un cambiamento culturale, anche presso i nostri consumatori. Inoltre, il settore della moda in Italia è uno dei comparti che investe più in innovazione e tecnologia; il 14 per cento delle imprese manifatturiere italiane che investe in attività innovative è riconducibile al settore della moda e il 10 per cento delle spese in innovazione e tecnologia del settore manifatturiero italiano sono riconducibili al settore della moda. La sfida della moda italiana è appunto la sfida che adesso porterà anche cambiamenti delle competenze nel mercato del lavoro, anche in vista dell'inevitabile passaggio di consegne che le nostre filiere artigiane hanno nel portare avanti determinate tradizioni, che non possono essere perse e un know-how, che può essere perso.
La moda italiana ha bisogno, dunque, di incentivi e interventi che permettano di consolidare il comparto e un aumento della formazione, provando anche a promuovere iniziative volte alla collaborazione tra associazioni, marchi prestigiosi, investitori e l'universo della formazione tutta. Non bastano le linee guida e le manifestazioni di intenti, ma servono gli investimenti e la ripresa di un tavolo strategico, che è quello che il Governo Renzi, nella scorsa legislatura, per primo aveva avviato e portato avanti, con risultati molto importanti in termini di crescita e di esportazioni record. La nostra esperienza di Governo, signor Presidente, ci ricorda come la politica possa fare per aiutare le imprese a crescere quando le ascolta, quando le accompagna con strumenti di promozione, quando le porta in giro per il mondo.
In un momento come questo, in cui bisogna spingere ancora di più l'export e prendere determinate decisioni, oggi, con questa mozione di maggioranza, impegniamo il Governo a prendere una serie di impegni nei confronti del settore, con tre punti principali; nell'ambito di misure volte a sostenere e incentivare la crescita delle filiere produttive, chiediamo di proseguire e di accelerare i lavori del tavolo della moda istituito presso il Mise, anche attraverso il coinvolgimento di tutte le realtà interessate, con un focus particolare sull'internazionalizzazione delle nostre imprese; inoltre, immaginare un piano strategico che consenta la crescita del sistema moda Italia attraverso le fiere, l'internazionalizzazione e la crescita dimensionale delle imprese, perché è ancora troppo frammentato il nostro settore, le nostre imprese sono ancora possibili prede di acquisti internazionali, Dobbiamo, inoltre, porci a scudo contro il caro energia e prevedere un percorso normativo che porti a riaprire il tema di adeguamento dei contratti in essere, considerando l'aumento del costo delle materie prime; intervenire significa favorire l'aggregazione di imprese manifatturiere, perché l'aggregazione, in un momento come questo, in cui si gioca su scale diverse, su altri campionati, con grandi investimenti, servono capacità manageriali, organizzative e finanziarie che le nostre imprese in parte hanno, ma, nella maggior parte dei casi, purtroppo non hanno e le trovano presso investitori terzi; dobbiamo sperare, auspicare, incentivare, affinché siano le nostre imprese a fare da aggregatrici e da compratrici, a loro volta.
Vado a concludere. Nell'ambito di misure volte ad incentivare la transizione ecologica e lo sviluppo tecnologico, impegniamo il Governo a prevedere strumenti agevolativi per chi investe in tecnologie innovative e sostenibili a livello sociale e ambientale, al fine di garantire ulteriormente il processo di tracciabilità, di trasparenza di transizione ecologica del comparto; ad inasprire le pene previste in materia di prodotti contraffatti; ad avanzare proposte per una regolamentazione più stringente in materia di traffico di rifiuti tessili; a supportare la digitalizzazione del settore; a sviluppare ulteriormente le misure agevolative dei crediti di imposta, in ricerca, sviluppo, innovazione e design, efficaci, in termini di ricadute effettive, su tutto il sistema produttivo nazionale.
Nell'ambito delle misure di supporto ai giovani, alla crescita e alla formazione, impegniamo il Governo ad adottare iniziative per istituire appositi programmi di studio e di formazione, valorizzando il know-how delle imprese e degli enti del comparto e favorendo la partecipazione delle imprese del settore con proposte formative già sviluppate dagli ITS, dagli istituti di formazione tecnica superiore. Infine, chiediamo di favorire la creazione di scuole di moda o di corsi di apprendistato delle competenze artigianali favorendo, mediante il sostegno pubblico, l'accesso gratuito ai giovani talenti che in Italia non mancano. Sono questi alcuni degli impegni che chiediamo al Governo che, mai come in questa fase, deve fare da faro, deve fare da leva alle nostre imprese per poter farle crescere, anche perché la moda ha una ricaduta fondamentale sui nostri territori, ma è fondamentale anche per lo sviluppo della nostra cultura, per i nostri posti di lavoro, per il soft power italiano portato in giro per il mondo. Sostenere la moda italiana in questo momento, in un momento di tale incertezza e di tale difficoltà, significa pensare all'Italia a pensare al nostro futuro. Per questo annuncio, il voto favorevole Italia Viva su questa mozione (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il Presidente Rampelli. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI (FDI). Grazie, Presidente Rosato. Colleghi deputati, rappresentanti del Governo, già abbiamo ascoltato una parte della dichiarazione di voto da parte del collega Alessio Butti, per conto di Fratelli d'Italia, competente per materia e soprattutto ben radicato in tutti i meccanismi che hanno caratterizzato fin qui la produzione, in questo settore dell'economia italiana. Le parole aggiuntive, diciamo così, che a me piacerebbe poter sviluppare in questa dichiarazione di voto sono relative al fatto che, troppo spesso, l'Italia in alcuni processi giunge fuori tempo massimo. Per Italia intendo ovviamente il Governo italiano, coloro i quali amministrano, per conto dello Stato, i suoi destini e sono chiamati ad assumersi responsabilità e, possibilmente, a prevedere quello che accadrà da qui ai prossimi mesi e ai prossimi anni, proprio per evitare di trovarsi con l'acqua alla gola. Del prestigioso settore di cui ci stiamo occupando tutti andiamo orgogliosi, inutile nascondersi dietro un dito. È inutile anche nascondere che è uno dei tratti dominanti da un punto di vista economico, ma anche dal punto di vista della filiera della sartoria, dell'artigianato diffuso, industriale, certamente, e dal punto di vista dei grandi marchi. Oggi, lo è anche dal punto di vista della necessità che viene posta da questo mondo diffuso, di essere sostenuto non nel senso che tradizionalmente abbiamo potuto constatare e recepire anche in quest'Aula, cioè di avere una sorta di elemosina, di incoraggiamento economico, che taluni hanno anche definito, in altre stagioni politiche, di tipo quasi parassitario, ma nel senso di chiedere un sostegno a una trasformazione. Siamo perfettamente sintonizzati sulla lunghezza d'onda della transizione ecologica applicata, in questo caso, a un settore di cui, forse distrattamente, buona parte dei colleghi, ma anche del Governo, fino alla mozione di Fratelli d'Italia, cui fortunatamente - ne siamo davvero felici - hanno fatto seguito altre mozioni di altri gruppi parlamentari, non si è avuta cognizione. In particolare, non si è avuta cognizione di quanto questo settore, se non viene aiutato, incentivato, sostenuto in questa trasformazione all'insegna della transizione ecologica sia comunque fortemente inquinante. Intanto, voglio ricordare quello che diceva anche il collega Butti poco fa, sono numeri che devono essere scolpiti nei nostri resoconti stenografici, affinché rimangano agli atti del Parlamento italiano: parliamo di 80 miliardi di fatturato l'anno, 500.000 addetti, 224.000 aziende, l'8,5 per cento del volume di affari dell'industria manifatturiera e il 12,5 dell'occupazione. Il sistema delle subforniture italiane, inoltre, rifornisce il 60 per cento della moda di qualità mondiale e il 77,8 per cento delle esportazioni totali europee proviene da qui.
Certamente, c'è anche qualche dato negativo, altrimenti non saremmo qui a discutere, non avremmo ispirato questa riflessione e questo dibattito e non procederemmo all'approvazione delle conseguenti mozioni.
Il World Economic Forum dice che l'industria della moda è il secondo settore più inquinante al mondo dopo quello petrolifero. La percentuale di emissioni di gas serra, cioè di CO2, in atmosfera è pari al 10 per cento, quindi cifre importanti e, ripeto, probabilmente poco conosciute. È inutile che qui ci occupiamo, magari anche facendoci del male alla “tafazziana” maniera, di gas e combustibili fossili di tipo tradizionale quando, invece, con poco potremmo sostenere la trasformazione di un settore che, pure, è responsabile del 10 per cento di emissioni di anidride carbonica in atmosfera. Inoltre, il 20 per cento delle risorse idriche totali è impiegato nella produzione tessile che è quindi responsabile, anche a questo riguardo, di una importante quota di utilizzo e, talvolta, di un cattivo impiego di questa risorsa indispensabile: parliamo della tintura, della finitura e del lavaggio dei capi sintetici che – pensate - rilascia 0,5 milioni di tonnellate di micro fibre nei corsi d'acqua. Parliamo, praticamente, di circa 50 miliardi di bottiglie di plastica. Abbiamo fatto e stiamo facendo questa crociata contro le bottiglie di plastica tradizionali e forse, con minore impiego di risorse e di energie, potremmo fare un'azione paradossalmente più incisiva e magari anche meno dannosa per la nostra filiera industriale. L'ISPRA, quindi un istituto pubblico, ci dice, in relazione ai dati di inquinamento, che anche altri prodotti del settore, pari a 745.458 tonnellate di rifiuti speciali, contribuiscono a questo stato di inquinamento, è un dato del 2018.
La discussione di oggi è dunque particolarmente rilevante. Questa mozione di Fratelli d'Italia vede come prima firmataria la nostra presidente Giorgia Meloni. Siamo molto soddisfatti che questa discussione abbia coinvolto il Parlamento in tutta la sua globalità e siamo soddisfatti anche dei pareri che sono stati espressi da parte del Governo che, in buona sostanza, confermano sia nelle premesse sia negli impegni la bontà della nostra analisi e delle proposte che abbiamo messo in campo per provare a sostenere il settore della moda in quanto tale e soprattutto, nel settore della moda, ad agevolare queste trasformazioni. Ripeto ancora, per la terza volta, e lo sottolineo, che si tratta di trasformazioni all'insegna della transizione ecologica.
Se il Governo avesse la compiacenza di diventare operativo e di non attendere, come da due o tre anni, per doverci flagellare in un'autocritica complessiva di cui pagherebbero il prezzo non tanto gli utenti ma anche e soprattutto le imprese di questo settore, sarebbe cosa gradita, sarebbe sicuramente cosa utile e riuscirebbe a far restare in pista questa fondamentale eccellenza italiana (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Perego di Cremnago. Ne ha facoltà.
MATTEO PEREGO DI CREMNAGO (FI). Grazie, Presidente. La moda è il simbolo del made in Italy nel mondo. Rappresenta la storia del costume nel nostro Paese, la nostra estetica, la nostra immagine e, se pensiamo alle grandi città del mondo, in tutte c'è un negozio della moda italiana, dei grandi marchi italiani: Armani, Prada, Versace, Ferragamo, solo per citarne alcuni. Questo credo che rappresenti il miglior biglietto da visita del nostro Paese perché quello che la moda sa fare è attrarre nel suo indotto investimenti, turisti, consumatori che entrano nelle boutique in Italia e nel mondo. Credo che questo sia un elemento di grande orgoglio del nostro Paese. Del resto, è anche un'industria il cui fatturato è intorno ai 100 miliardi di euro e che impiega 500 mila addetti con 55 mila piccole e medie imprese, 108 mila imprese di distribuzione e 15 mila grandi aziende. Questo solo per dare qualche numero. È un settore che più di altri ha subito l'impatto della pandemia, ha subito una flessione dei fatturati: pensiamo all'esposizione del retail della moda in Cina e a quanto sia stato grave il danno che ha subito il settore.
Veniamo poi anche a queste settimane, a quello che sta accadendo in Russia, un mercato che per la moda vale un miliardo e mezzo che però significa anche 250 milioni investiti in Italia dai consumatori russi. Quindi, io credo che più di altri settori sia necessario in questo momento sostenere questo grande asset del nostro Paese; un asset di qualità, perché è fatto anche di tante realtà territoriali, di artigiani, di piccoli produttori che alimentano questo sistema virtuoso di connessione fra le grandi aziende e le piccole e medie imprese; e ciò è distribuito su tutto il territorio nazionale, dalla Lombardia al Piemonte, al Veneto e alle Marche; in ogni regione c'è un distretto artigianale che si tramanda di generazione in generazione ed è proprio per questo che, forse, dovremmo anche pensare a come sostituire questi 65 mila artigiani che andranno in pensione con le nuove generazioni.
In questo senso, uno degli aspetti, una delle ambizioni di questa mozione - che ha avuto un lavoro di concerto con tutti i partiti della maggioranza, un lavoro che si è svolto con un obiettivo comune – è quella di sostenere il settore. Ecco, rispetto alla formazione, il legame con gli ITS, la capacità e la volontà di formare i giovani e attrarli verso questo settore, credo che sia un aspetto fondamentale, altrimenti perderemmo questo asset fondamentale che è il savoir-faire italiano, che tutti ci riconoscono, che tutti ci invidiano, che tanti ci copiano ma che nessuno riesce a fare come lo facciamo noi (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
Allora, in questo senso, credo che sia anche importante tenere presenti i grandi passi avanti che sono stati compiuti da questa industria; ovvero, durante la pandemia si è sviluppato il mercato dell'e-commerce, il canale distributivo dell'e-commerce, la digitalizzazione e anche in questo senso la mozione vuole sostenere quelle iniziative volte a trasformare la vendita, che è il passaggio finale: dalla magia della produzione si arriva alla vendita e al consumatore, e in questo senso molto è stato fatto.
Lasciatemi anche dire che questo settore può vantare un'innovazione tecnologica, essere precursore, ad esempio, nelle relazioni con il cliente finale. Da anni, tante aziende stanno sviluppando dei software di sviluppo tridimensionale, di biometria, per permettere al cliente di entrare in negozio e avere un'experience, potersi misurare anche con la realtà aumentata e capire quindi quale possa essere il prodotto che meglio si confà alle sue aspettative.
È un'industria di qualità, ma si è detto che è un'industria che non segue la transizione ecologica. Ecco, qui, invece, vorrei fare una precisazione, perché se c'è una cosa che l'industria nazionale della moda sta facendo è quella di innovare, di essere sostenibile. Non facciamo l'errore di paragonare la moda italiana al fast fashion, che è un fenomeno che non ci appartiene, che riguarda altri Paesi, che riguarda produzioni massicce e di materiale che, appunto, è fast, cioè che viene consumato e viene poi gettato. Tutto diverso dalla produzione di qualità: i nostri prodotti durano nel tempo ed è questo l'elemento di forza che ci distingue ed è anche per questo che ci differenziamo dai nostri competitor negli altri Paesi.
Noi abbiamo una catena integrata di retail e, quindi, in questo senso, credo che il sostegno ai nostri negozi, alle boutique, ai marchi storici, anche con la possibilità di agevolazioni fiscali per chi dovesse comprare i marchi storici, sia fondamentale. Se pensiamo anche all'esperienza dei marchi italiani che sono stati acquisiti - penso ai francesi, in particolare, che negli ultimi decenni hanno fatto shopping delle nostre aziende - va subito detto, però, che questa non è stata un'acquisizione ostile, perché spesso le aziende sono state, anzi, fatte crescere, ne è stato mantenuto il tessuto produttivo, è stata mantenuta l'occupazione; quindi, non sono state acquisizioni che devono essere viste come elemento negativo.
Tuttavia, noi avremmo avuto l'aspettativa di un sistema nazionale che potesse sostenere le aziende storiche che sono un nostro patrimonio e che si tramandano di famiglia in famiglia, di generazione in generazione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Quindi, dovremmo favorire la capacità di poterle acquisire e far sì che rimangano nel patrimonio italiano.
Riguardo alle politiche di transizione, ci sono importanti passaggi significativi fatti dalle nostre industrie - e penso anche all'industria della conceria - per evitare i consumi d'acqua, per favorire il riciclo di materiali. Quindi, non si può certo dire che questa industria non abbia sostenuto e non abbia incentivato un processo di sostenibilità; penso anche al Green Carpet Fashion Awards, una riconoscenza che viene data ogni anno alle aziende che più investono nella sostenibilità. Del resto, la comunicazione stessa delle aziende è volta a incentivare l'acquisto di prodotti di qualità. Soprattutto, un altro elemento sul quale credo che si debba essere vigili è quello di contrastare le merci contraffatte, che sono una piaga per l'economia del nostro sistema moda (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente), i falsi che inquinano il mercato internazionale e sui quali la protezione del nostro Governo e del Parlamento deve essere fondamentale, perché spesso è capitato di vedere, soprattutto nel Far East, tanti nostri marchi italiani copiati da aziende locali che hanno approfittato, forse, anche delle debolezze del nostro sistema normativo.
Rispetto al Patent box, questa è un'altra delle importanti innovazioni che noi chiediamo di estendere, perché vengano fatti dei crediti d'imposta per tutti gli investimenti fatti sui marchi, sui brevetti che sono il cuore dell'investimento delle aziende. Penso anche alle ricadute che ci sono nel tessuto urbano. Io sono di Milano, la città di Milano è la capitale della moda nel mondo e quello che il settore moda ha saputo fare è anche di favorire la rigenerazione urbana, favorire il turismo, attrarre investimenti, attrarre capitali, in un volano virtuoso in cui le grandi aziende di moda, così come le piccole, sanno fare economia, sanno fare impresa, sanno fare sistema e, allora, anche in questo senso, la Camera della moda italiana, un'importante istituzione che tutela le grandi aziende, così come le piccole aziende, va favorita.
Ci sono, anche, poi, gli esempi virtuosi di nostri imprenditori che hanno invertito la tendenza, cioè che hanno acquisito marchi francesi, vorrei citarne uno solo, per esempio, Moncler, un grande marchio francese del passato, che è stato comprato da un imprenditore italiano ed è stato valorizzato, fatto crescere; è un'azienda da un miliardo di fatturato che impiega migliaia di dipendenti. Questo è il senso della nostra capacità di fare impresa, tipico tratto italiano, soprattutto in una dimensione, quella della moda, che vede piccole e grandi realtà, a cui credo che il pubblico debba dare più sostegno, che il Governo e il Parlamento debbano dare più sostegno e questo è il senso di questa mozione, perché spesso gli imprenditori si sono trovati, ad esempio, con la pandemia, con eccedenze di magazzino, perché non era ovviamente stato previsto - siccome si produce in anticipo e si consegna mesi dopo - che la pandemia avrebbe fermato tutto, eppure si sono rialzati, hanno deciso di invertire la tendenza, hanno puntato tutto sul digitale, sull'e-commerce, hanno fatto crescere comunque in un momento molto difficile per il Paese non soltanto la nostra economia, ma l'immagine nel mondo, con forza, con capacità e con coraggio (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). E questo è il senso del made in Italy, quel tratto unico che ci distingue, quel tratto che fa dell'Italia un grande Paese, che fa della moda uno dei pilastri di questo Paese. Non mi stancherò mai di dirlo: questo è un Paese che potrebbe vivere di moda, di cultura, di turismo, se avesse la capacità di fare di più “sistema Paese” e questa mozione, forse, è un primo passo: riconosce l'attenzione del Parlamento verso questo settore e ha trovato una convergenza di tutti i partiti, per cui anche Forza Italia, che si è sempre spesa per il settore della moda, così come per il tessile e per l'abbigliamento, sostiene fortemente questa mozione e per questo dichiaro il nostro voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zardini. Ne ha facoltà.
DIEGO ZARDINI (PD). Presidente, sottosegretaria, colleghe e colleghi, il settore manifatturiero del tessile, moda e accessori, aggregato comprensivo dei settori pellicceria, calzature, concia, occhialeria, oreficeria, argenteria, gioielleria, pelletteria, tessile e abbigliamento, costituisce storicamente uno dei motori dell'industria italiana e dell'economia del Paese ed ha una rilevanza primaria nel sistema economico italiano. Rappresenta, allo stesso tempo, uno degli assi portanti dell'industria del made in Italy nel mondo. Come hanno ricordato i colleghi, parliamo di circa mezzo milione di addetti e oltre 224 mila aziende per un fatturato di 80 miliardi. Il settore si è affacciato al 2019 con numeri da record, reduce, però, da profonde trasformazioni e da una dura battaglia a livello internazionale per quelli che sono stati i processi di globalizzazione, ovverosia, il settore ha pagato l'affacciarsi di nuovi Paesi produttori che prima di diventare mercati di assorbimento dei nostri prodotti sono stati dei competitori. L'Italia ha sofferto, i nostri produttori hanno combattuto, c'è stata una modifica anche di quella che è la base della qualità della produzione nazionale, sia nel campo dei tessuti, sia in quello dei capi confezionati. Al di là della rilevantissima importanza della grande moda, il tessile è sempre stato costituito da produzione di tessuti di qualità e produzione di capi di buongusto. In questo settore molto è stato fatto, soprattutto dal punto di vista dell'innovazione nella produzione e nella qualità dei tessuti. Per quanto riguarda la produzione di questi, molti sono stati i problemi che hanno caratterizzato il tessile italiano, soprattutto la competitività di questi Paesi esteri, che spesso hanno tecniche di lavoro, rispetto di parametri ambientali e di tutela del mondo del lavoro molto diversi dai nostri. A fianco della produzione, il tema della realizzazione e della vendita dei capi confezionati ha spinto il comparto italiano verso l'alta qualità. Il bilancio settoriale del 2020 si è chiuso con perdite gravi e ben peggiori rispetto a quelle dell'ultima crisi economica del 2008-2009. Gli effetti della crisi pandemica non hanno risparmiato il comparto che, anzi, risulta tra le industrie manifatturiere più colpite nel nostro Paese. Le misure di contenimento del contagio adottate sia a livello nazionale sia a livello internazionale hanno influito pesantemente sul settore in termini diretti e indiretti. Gli effetti pandemici sono stati accentuati proprio perché l'industria italiana manifatturiera dei menzionati settori occupa un ruolo di primaria importanza nelle filiere internazionali, partecipando attivamente e con posizioni di leadership ai diversi passaggi produttivi, fornendo le catene di approvvigionamento internazionale.
Secondo le stime elaborate dal Centro studi di Confindustria Moda, il fatturato annuo del 2020 è stato in calo nell'ordine del 26 per cento. Considerando che, nel 2019, il fatturato del comparto aveva raggiunto i 98 miliardi di euro, tale variazione si è tradotta in una perdita di oltre 25 miliardi. Sulla base dei dati preconsuntivi esaminati da Confindustria Moda, il tessile, moda e accessorio, chiude il 2021 con un fatturato di circa 92 miliardi di euro, registrando una crescita oltre le attese del settore, con più 22 per cento rispetto al 2020, ma con un meno 6,4, ancora da colmare, rispetto al 2019. Dai risultati dell'ottava indagine dell'associazione di categoria relativo all'impatto del COVID sulle imprese del comparto emerge, inoltre, che i ricavi nel primo trimestre 2022 stavano realizzando un trend di crescita del 14 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021. Purtroppo, però, per più di 7 aziende su 10, l'aumento dei costi delle materie prime e dell'energia minaccia la ripresa. Le nostre imprese si avvicinavano ai livelli del 2019 e tornavano crescere i posti di lavoro, ma il balzo dei costi, aggravato dalle doverose sanzioni verso la Federazione russa, rischia di essere una grave minaccia, specialmente per le aziende più energivore a monte della filiera e quelle più agganciate alle esportazioni o al turismo. Le previsioni fatte fino a pochi giorni prima dello scoppio della guerra, indicavano il 2022 all'insegna della ripresa economica, con la fascia di lusso che aveva già raggiunto i livelli pre-COVID alla fine del 2021 e i segmenti premium e mass che dovevano tagliare il traguardo nel corso di quest'anno. Il ritorno alla vita sociale, infatti, ha spinto le persone ad acquistare capi ed accessori. A scoraggiare oggi i clienti, però, ci sono i prezzi in aumento, spinti dall'incremento dei costi delle materie prime, dell'energia e della logistica, aumenti che purtroppo, a causa della crisi internazionale conseguente alla situazione di guerra tra Russia e Ucraina, si verificano in presenza di un quadro di ulteriore destabilizzazione in Europa e in Italia dopo i due anni della pandemia, con l'aggiunta di questa nuova incognita sull'export e sull'incoming turistico russo e ucraino, soprattutto per quanto riguarda i mesi estivi. Cruciale è stato anche l'impatto in termini di occupazione, specialmente femminile, e di perdita di competenze ai diversi livelli proprio per la contrazione delle produzioni. Il settore è fortemente impegnato sul lato della sostenibilità, sia di prodotto sia di processo produttivo, con un filo conduttore tra tecnologie abilitanti, sostenibilità ecologica e sociale per attuare processi di transizione ecologica piena e in linea con le sfide economiche e sociali della Commissione europea, caratteristica che, a causa delle negatività economiche e sociali dovute alla pandemia ed ora anche dalla guerra, non ha potuto esprimersi appieno, limitando gli investimenti e l'offerta complessiva del comparto in tal senso. La crisi del settore della moda ha colpito gravemente anche il commercio al dettaglio, con rilevanti perdite economiche per i negozi di moda. I consumi di prodotti del settore hanno registrato una diminuzione di circa 20 miliardi di euro a seguito delle restrizioni varate per contrastare la pandemia.
Secondo alcuni studi di settore, a causa degli effetti del COVID, tra cui il crollo dello shopping da turismo e il minor reddito disponibile per le famiglie, si rischia la chiusura di 20 mila negozi di moda su 115 mila punti vendita, con una ricaduta sull'occupazione che potrebbe interessare oltre 50 mila addetti. Va ricordato, inoltre, come in tale settore sia determinante la stagionalità del prodotto venduto. I beni variano e si differenziano a seconda del periodo di vendita e, se non sono venduti nella stessa stagione, sono suscettibili di notevole deprezzamento. Gli effetti negativi sulle rimanenze finali di magazzino sono state, infatti, notevoli, a partire dal cambio di stagione, che è stato penalizzato dal lockdown e dall'assenza dei ricavi, sino ad arrivare all'obsolescenza della merce stagionale. Sarebbe inoltre opportuno, come azione di politica industriale, dare ulteriore seguito a quanto è già stato fatto dal legislatore per quanto riguarda il credito d'imposta pari al 30 per cento del valore delle rimanenze finali di magazzino per l'attività di studio, l'ideazione e la realizzazione delle collezioni da parte delle imprese del settore, attività che, nel bonus campionari, attivato nel 2011, è stata definita come un'attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo.
L'attività di ricerca e di sviluppo richiede, di conseguenza, notevoli risorse e assume una valenza strategica nel determinare il successo dell'impresa. Tale attività andrebbe rafforzata anche attraverso l'utilizzo di programmi di studio e di formazione coordinati a livello nazionale che favoriscano una migliore partecipazione delle imprese del comparto all'interno di tali programmi, in sinergia con la proposta formativa già sviluppata dagli ITS e dai diversi istituti di formazione tecnica superiore e rafforzata predisponendo gli opportuni strumenti agevolativi per favorire l'acquisizione, da parte di tali istituti, di tecnologie, macchinari ed equipaggiamenti provenienti dalle imprese italiane con caratteristiche di innovazione per garantire un potenziamento e un upgrade della formazione tecnico-pratica, allineando l'insegnamento alle necessità delle imprese del settore manifatturiero del tessile, moda e accessorio.
La mozione di maggioranza affronta tutti questi temi, impegnando il Governo, in particolare, ad aiutare il settore a superare la crisi dovuta alla pandemia, prima, e, poi, agli effetti degli aumenti dei costi di produzione e delle sanzioni dovute alla guerra. Tutto questo, puntando ad innovare il comparto, sostenendolo sul piano della liquidità, valorizzandone gli aspetti qualitativi e di sostenibilità ambientale, passando dalla formazione. È per tutte queste ragioni, che annuncio il voto favorevole del Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fiorini. Ne ha facoltà.
BENEDETTA FIORINI (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, secondo i dati dell'ottava indagine relativa all'impatto del COVID-19 sulle imprese del settore realizzata da Confindustria Moda, abbiamo ricavi attesi in salita del 14 per cento sul primo trimestre 2021 e il ricorso alla cassa integrazione per 25 aziende su 100, in rapida discesa rispetto al 42 per cento del quarto trimestre 2021. Per il settore, dunque, una tenue ripartenza c'è, ma a crescere sono anche i timori legati alla pandemia non ancora conclusa, alla guerra in Ucraina e agli aumenti dei costi di materie prime ed energia, che in questi due eventi sono inevitabilmente connessi. Si tratta di fattori che spaventano non poco le nostre aziende, perché siamo ancora in una fase molto delicata della ripartenza. I ricavi, per quanto in crescita, restano ancora sotto i livelli del 2019, anche perché il settore continua ad essere fortemente penalizzato dai flussi turistici limitati e anche dalle inevitabili ripercussioni che le doverose sanzioni inflitte alla Russia avranno sul nostro export e su tutto il tessuto produttivo.
Ricordiamolo, l'Italia è il primo produttore di moda del lusso al mondo ed è il primo produttore di moda in Europa. La moda è uno dei perni più importanti della nostra economia di esportazione ed è un grande volano del made in Italy, senza contare che, mediamente, oltre un quarto dei fornitori dei gruppi europei del settore ha sede in Italia, con picchi di oltre l'80 per cento nella fascia alta del mercato.
Nel contesto attuale così fortemente precario, l'aumento dei costi delle materie prime, il balzo del prezzo dell'energia, pensiamo a tutte le aziende energivore che sono a monte della filiera, costituiscono una grave minaccia alla ripresa. Il rischio di pesanti ricadute è concreto e dunque anche il ritorno a livelli pre-COVID entro fine 2022 appare sempre più difficile. Per far sì che questi eventi non vadano a danneggiare il processo di ripresa in atto, è necessario che il Governo si attivi al più presto. È fondamentale che vengano introdotte subito misure capaci di garantire una reale diminuzione dei costi energetici, attraverso una defiscalizzazione e una progressiva riduzione degli oneri in bolletta. Dobbiamo ascoltare e sostenere le richieste di chi, questa ripresa, la sta faticosamente portando avanti da tempo. I dati dimostrano con grande chiarezza la qualità e la consistenza del made in Italy, del tessile, della moda e dell'abbigliamento, della pelletteria, delle calzature, delle occhialerie e di tutto il nostro artigianato che ha saputo mantenersi produttivo e competitivo nel mondo, nonostante le drammatiche conseguenze legate alla pandemia.
La ripresa del settore, realizzata a partire dal gennaio 2021, si è concretizzata con continuità, grazie alle indubbie capacità dell'artigianato italiano, che ha saputo donare nuova linfa e ulteriore spinta a tutto il comparto. Artigiani e PMI hanno saputo sfruttare appieno gli incentivi riconosciuti e le riaperture concretizzatesi anche grazie al costante lavoro del gruppo della Lega e dei suoi Ministri. Non possiamo permettere che questa prova di resistenza, questo sforzo produttivo, commerciale ed economico venga disperso, anche alla luce dei posti di lavoro dell'indotto che ruotano attorno al settore. Nelle sole sei regioni che trainano il settore - Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, Piemonte, Marche, Toscana - sono occupate 252 mila persone nelle micro e piccole imprese. Adesso occorre fare di più, a cominciare da un utilizzo strategico dei fondi del PNRR. Dall'analisi dei bilanci di sostenibilità del 2020 emerge la crescente attenzione alle tematiche ambientali e di sostenibilità. Le multinazionali della moda e tutta la filiera sono impegnate per un futuro più sostenibile e per la salvaguardia dell'ambiente, con più incisività rispetto allo sforzo compiuto negli anni precedenti. Diminuiscono i consumi idrici, le emissioni CO2, i rifiuti prodotti, e aumenta il ricorso all'energia elettrica rinnovabile. Ormai l'industria è proiettata in questa direzione, alla transizione ecologica, ponendo le condotte di tutela ambientale al centro delle proprie scelte.
Noi dobbiamo, però, accompagnare le nostre imprese in questo percorso, perché sono e saranno sempre più chiamate ad uno sforzo ulteriore, che consenta loro di coniugare innovazione, sviluppo, produzione e sostenibilità ambientale. Oggi non è più immaginabile che le imprese operino una transizione ecologica in assenza di un intervento collettivo che fornisca gli adeguati strumenti normativi. Permettere lo sviluppo dell'economia circolare e una produzione green nel comparto della moda significa, quindi, prima di tutto, investire nel settore e predisporre azioni politiche e legislative adeguate a consentire all'ecosistema tessile, e non solo, di realizzare una realtà sostenibile lungo tutte le fasi del processo produttivo. È necessario, per questo, introdurre strumenti agevolativi per le imprese che investono in nuove tecnologie e prodotti innovativi nel settore ambientale ed energetico. Occorre prevedere lo sviluppo e il supporto di attività e iniziative di riciclo e recupero dei prodotti o scarti di lavorazione, contestualmente incentivando l'economia circolare anche per mezzo di contributi e detassazione. Sarà, quindi, fondamentale sostenere gli investimenti volti a consentire l'adeguamento degli impianti alle più moderne tecnologie in materia di smaltimento, riciclo, recupero, depurazione e riduzione di emissioni. Senza questi decisivi interventi si rischia di compromettere il processo di transizione delle filiere produttive e moda, che si troverebbero da sole a dover sostenere nuovi pesanti oneri finanziari in un contesto già molto difficile. Proprio perché il contesto è difficile, è importante potenziare le misure a tutela della competitività dei marchi storici italiani, definendo agevolazioni fiscali e finanziari per l'acquisto, da parte di imprese nazionali, delle aziende a rischio di cessione delle attività. Dobbiamo tutelare la proprietà industriale ed intellettuale. È necessario mettere in campo un piano straordinario di supporto alle imprese del sistema moda italiano, sia per le PMI, che per i grandi marchi, e per far questo occorre proseguire gli incontri del Tavolo della moda, istituito presso il Ministero dello Sviluppo economico, chiamato ad affrontare la gestione delle emergenze, che deve oggi essere sempre più orientato a progettare il rilancio del settore; un settore dove, lo sappiamo, cruciale è anche il ruolo delle manifestazioni fieristiche, e come Lega abbiamo lavorato molto per sostenerlo e metterlo in sicurezza.
Dobbiamo predisporre azioni di supporto alle filiere presenti nei distretti della moda, sia per le PMI, sia per i grandi marchi italiani.
È necessario che la politica industriale di sviluppo del comparto dell'industria manifatturiera italiana sia integrata alla politica commerciale delle nostre città, anche attraverso il potenziamento della collaborazione tra enti locali, Camera di commercio, associazioni di categoria delle micro, piccole e medie imprese.
Onorevoli colleghi, il momento è drammatico e lo sappiamo tutti. Non è facile per nessuno. Occorre, però, arginare le conseguenze di un'emergenza che è stata prima sanitaria ed economica ed oggi energetica, aggravata pesantemente dalla guerra in corso. Un contesto che sta mettendo a dura prova il nostro tessuto produttivo. Dobbiamo proteggere la nostra economia e la nostra Nazione che, a livello di imprese nel manifatturiero, è all'apice del mondo.
La mozione che oggi votiamo è orientata a questo obiettivo, seguendo tre direttrici che tutti noi condividiamo: sviluppo della filiera, incentivi della transizione ecologica e supporto ai giovani. Adesso è essenziale che il Governo dia seguito agli impegni contenuti nella mozione per favorire la ripresa e contenere le crisi in atto.
Non possiamo permetterci di disperdere il nostro patrimonio più grande, uno degli asset più importanti dell'Italia, che va tutelato in termini di identità nazionale, capacità di innovazione, creatività, sostenibilità e ricerca, anche oggi nel percorso decisivo della transizione. Per questo dichiaro il voto favorevole del gruppo della Lega (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Orrico. Ne ha facoltà.
ANNA LAURA ORRICO (M5S). Grazie, Presidente. La moda e il design sono universalmente riconosciuti come tratti distintivi del made in Italy non solo per la creatività e il talento dei nostri stilisti o per la preziosa manualità dei nostri artigiani, quanto anche per la qualità dei prodotti, frutto di un'accurata ricerca delle materie prime e di uno stile unico.
Il comparto tessile italiano esprime il 77,8 per cento delle esportazioni europee e il nostro sistema di subfornitura fornisce il 60 per cento della moda di qualità nel mondo. Vale la pena ricordare che il fatturato complessivo del settore moda è di circa 80 miliardi e rappresenta l'8 per cento del PIL nazionale. Ma la filiera della moda nel nostro Paese è composta da 55 mila micro e piccole imprese nel tessile e 36 mila imprese artigiane; dunque, il settore presenta un'elevata vocazione artigiana complementare alle grandi industrie che rappresentano il 50 per cento del fatturato del settore.
Ultimo punto di trasmissione della catena di valore è la distribuzione commerciale che, quanto il resto della filiera, ha pagato le conseguenze dei lockdown imposti dalla lotta contro il COVID-19, con la chiusura di circa 13 mila punti vendita in tutta Italia.
Dopo il turismo, il settore della moda è quello che più ha risentito, in termini di costi economici e occupazionali, della crisi sanitaria ed economica generata dalla pandemia. La difficoltà nel reperire le materie prime, il rincaro dei costi energetici per un settore che ha consumi molto elevati, nonché i ripetuti lockdown, hanno provocato una caduta importante dei ricavi.
Di fronte a questi dati e ad un settore che ha un impatto nevralgico sui territori in termini sociali e ambientali, l'esigenza di coniugare efficienza economica, sostenibilità ambientale e sociale è diventata molto più forte, accelerata sicuramente dalla pandemia e dalla sempre più crescente attenzione dei consumatori verso prodotti sostenibili ed etici, quindi rispettosi dell'ambiente, quanto dei diritti umani e dei lavoratori, spesso oggetto di profonde contraddizioni nel sistema delle grandi industrie di questo comparto. Manodopera sottopagata e poco qualificata, perdita di posti di lavoro a causa delle delocalizzazioni sono temi urgenti che è necessario affrontare con risolutezza, attraverso investimenti sulla formazione e l'aggiornamento professionale degli addetti ai lavori, maggiori e severi controlli, incentivi alle imprese che concretizzino programmi di responsabilità sociale d'impresa e welfare aziendale per creare un ambiente di lavoro sano e competitivo sul piano del benessere e della produttività dei lavoratori.
Transizione ecologica, transizione digitale e formazione sono le tre leve che possono restituire ulteriore slancio alla filiera della moda.
Inizio dal tema della formazione che significa non solo formare nuove figure e manager capaci di assistere le imprese del comparto sul piano dell'innovazione e dell'internazionalizzazione, ma voglio riferirmi in particolare al trasferimento di competenze e manualità dei nostri artigiani alle giovani generazioni, dunque ad incentivi e strumenti che stimolino i nostri giovani ad avvicinarsi alle botteghe artigiane, ad apprenderne mestieri antichi, affinché non vadano persi, e con essi un grande patrimonio culturale fatto di creatività e talento.
Altrettanto rilevante è il supporto alla creazione di ecosistemi nei quali le micro e piccole imprese della filiera della moda possano usufruire di infrastrutture fisiche, digitali e conoscenze per crescere, fare rete e dare vita a distretti produttivi in grado di valorizzare le produzioni locali e connettersi con la rete di distribuzione nazionale ed internazionale.
Sul comparto moda l'attenzione relativa alla transizione ecologica non è meno rilevante. Parliamo di un'industria che emette molte quantità di CO2, consuma grandi quantità di energia e di acqua, ha un'intensa attività di gestione degli scarti e dei rifiuti da lavorazione. Non è trascurabile, inoltre, il problema della gestione dei prodotti al termine del loro utilizzo. Pensiamo ai capi di abbigliamento che non indossiamo più o alle giacenze invendute nei magazzini. L'intero settore tessile ha prodotto in totale nel 2019 circa 480 mila tonnellate di rifiuti; la metà proviene dall'industria tessile, seguita dalla raccolta urbana che incide per il 30 per cento.
In risposta a tali criticità è fondamentale incentivare investimenti in tecnologie e impianti in grado di recuperare materia dagli scarti di lavorazione e ridurre le emissioni di CO2 con riguardo all'intera filiera, introdurre sistemi di tracciabilità ed etichettatura degli abiti che indichino la composizione del tessuto e i metodi di lavaggio più sostenibili, nonché promuovere un sistema di responsabilità estesa del produttore che consenta di evitare che la transizione ecologica si risolva in un mero greenwashing per alcuni comparti industriali di questa grande e variegata filiera. Su questo tema anche la distribuzione commerciale potrebbe avere un importante ruolo nel recupero di prodotti usati per favorire il loro riciclo o il riuso, ad esempio attraverso la donazione dei prodotti in buono stato o la donazione delle eccedenze di magazzino ad enti di beneficenza. La digitalizzazione e in generale l'innovazione tecnologica sono altrettanti punti cruciali per l'industria della moda nell'affrontare le sfide del futuro.
Sappiamo quanto l'e-commerce sia diventato importante nelle abitudini dei consumatori, soprattutto in conseguenza delle chiusure imposte dall'emergenza sanitaria; pertanto, oggi diventa fondamentale saper coniugare l'attività di cura del cliente in negozio con la possibilità di sfruttare il sistema delle vendite online in tutte le sue svariate forme. La digitalizzazione e l'esigenza di preservare attività imprenditoriali e posti di lavoro sono sfide alle quali lo Stato non può mancare di rispondere, supportando le imprese in percorsi di formazione, accompagnamento e innovazione responsabile.
Le tecnologie più sorprendenti, come l'intelligenza artificiale ad esempio, possono diventare strumenti utili per programmare la produzione, ridurne i costi e rispondere al meglio alle aspettative dei consumatori.
Una maggiore sinergia tra università, centri ricerca e filiera moda, soprattutto per le micro e piccole imprese che la compongono in misura prevalente, potrebbe generare una migliore capacità di governare l'evoluzione tecnologica e, dunque, guidare l'innovazione in tutti i suoi passaggi, mitigandone eventuali impatti negativi. Il comparto moda nazionale ha dimostrato una generale e significativa resilienza nel contesto emergenziale pandemico…
PRESIDENTE. Onorevole Orrico, mi scusi. Chiederei maggiore silenzio in Aula a tutti i gruppi, cortesemente, tutti, tutti, grazie.
ANNA LAURA ORRICO (M5S). …e questo grazie all'organizzazione produttiva del settore dove grandi realtà imprenditoriali convivono con e fioriscono grazie alla presenza di micro e piccole imprese localizzate in distretti o territori altamente specializzati, dove l'artigianalità ha saputo mantenersi e rinnovarsi con l'avanzare del tempo, delle tecnologie, dei gusti e delle scelte dei consumatori, e grazie anche all'elevata qualità dei prodotti che genera un alto valore di vendite estere. Sostenibilità, innovazione e responsabilità sono i driver di un modello di sviluppo che l'Italia deve riprendere e rafforzare, soprattutto in tempi difficili come quelli che stiamo affrontando. Fondamentale è che il ricambio generazionale avvenga sulla scorta di queste tracce, anche e soprattutto in un settore come quello della moda che rappresenta l'identità culturale, il genio e il saper fare che tutti identifichiamo quando parliamo di made in Italy. Ed è su questa traiettoria che vanno indirizzati tutti gli sforzi delle istituzioni, delle imprese e del mondo della formazione.
Per tutte queste ragioni, annuncio il voto favorevole del MoVimento 5 Stelle sulla mozione di maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.
(Votazioni)
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Pregherei i colleghi di prendere posto, cortesemente, prendere le tessere e tutto quello che serve. Come da prassi, le mozioni saranno poste in votazione per le parti non assorbite e non precluse dalle votazioni precedenti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Meloni ed altri n. 1-00485 (Seconda ulteriore nuova formulazione), nella riformulazione proposta dal Governo e accettata dai presentatori, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva (Vedi votazione n. 1).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Fiorini, Orrico, Benamati, Perego di Cremnago, Mor, Timbro ed altri n. 1-00598 (Ulteriore nuova formulazione), su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva (Vedi votazione n. 2).
Seguito della discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00572, Porchietto ed altri n. 1-00580, Benamati ed altri n. 1-00582, Chiazzese ed altri n. 1-00583, Lollobrigida ed altri n. 1-00587 e Moretto ed altri n. 1-00595 concernenti misure a sostegno del comparto automobilistico (ore 16,30).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00572, Porchietto ed altri n. 1-00580, Benamati ed altri n. 1-00582, Chiazzese ed altri n. 1-00583, Lollobrigida ed altri n. 1-00587 e Moretto ed altri n. 1-00595 concernenti misure a sostegno del comparto automobilistico (Vedi l'allegato A).
Avverto che, dopo la conclusione della discussione sulle linee generali, che ha avuto luogo nella seduta di lunedì 14 febbraio 2022, sono state presentate le mozioni Lollobrigida ed altri n. 1-00587 e Moretto ed altri n. 1-00595, che sono già state iscritte all'ordine del giorno.
Avverto, inoltre, che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Molinari ed altri n. 1-00572 che è stata sottoscritta, tra gli altri, anche dai deputati Chiazzese, Benamati, Porchietto, Moretto, Scanu, Fornaro, Tasso, Angiola, Lupi e Schullian che, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne diventano rispettivamente il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il settimo, l'ottavo, il nono, il decimo e l'undicesimo firmatario. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A).
Contestualmente alla presentazione della nuova formulazione della mozione n. 1-00572, le mozioni Porchietto ed altri n. 1-00580, Benamati ed altri n. 1-00582, Chiazzese ed altri n. 1-00583 e Moretto ed altri n. 1-00595 sono state ritirate dai rispettivi presentatori.
Avverto infine che è stata presentata la mozione Vianello ed altri n. 1-00616. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A).
(Parere del Governo)
PRESIDENTE. Invito la rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulle mozioni all'ordine del giorno.
ANNA ASCANI, Sottosegretaria di Stato per lo Sviluppo economico. Grazie, Presidente. Sulla mozione Molinari ed altri n. 1-00572 il parere è favorevole sulle premesse e sugli impegni.
Con riferimento alla mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00587, sul primo impegno il parere è contrario; sul secondo impegno il parere è contrario; sul terzo impegno il parere è favorevole, con la seguente riformulazione: “a valutare l'opportunità di promuovere un'articolata azione di politica industriale che preveda l'individuazione di tutti i siti produttivi dell'indotto automobilistico italiano tradizionale, anche tramite un idoneo monitoraggio della situazione esistente, per valutare le ipotesi di riconversione”; sul quarto impegno il parere è contrario; sul quinto impegno il parere è favorevole, con la seguente riformulazione: “a valutare l'opportunità di adottare iniziative per garantire processi di aggiornamento e formazione del personale impiegato nel settore soggetto a particolari modifiche del ciclo produttivo e delle tecnologie impiegate”; sul sesto impegno il parere è contrario; sul settimo impegno il parere è contrario; sull'ottavo impegno il parere è contrario.
Per quanto riguarda la mozione Vianello ed altri n. 1-00616, dalle premesse va espunta la parte: “infine si deve intervenire a livello normativo al fine di (…)” sino alla fine delle premesse (quindi, la parte finale delle premesse). Per quanto riguarda gli impegni: sul primo il parere è contrario; sul secondo il parere è contrario; sul terzo il parere è contrario; sul quarto il parere è favorevole; sul quinto il parere è favorevole; sul sesto il parere è favorevole; sul settimo il parere è favorevole; sull'ottavo il parere è favorevole; sul nono il parere è contrario.
PRESIDENTE. Onorevole sottosegretaria Ascani, se cortesemente ci precisa il parere sulle premesse della mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00587.
ANNA ASCANI, Sottosegretaria di Stato per lo Sviluppo economico. Il parere è favorevole.
(Dichiarazioni di voto)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare il collega Vianello. Ne ha facoltà.
GIOVANNI VIANELLO (MISTO-A). Grazie, Presidente. E' una mozione abbastanza importante, devo dire rilevante, visto quanto pesa l'industria delle auto sul PIL italiano. È importante, quindi, non solo da un punto di vista produttivo, ma anche di occupazione, visto il larghissimo numero di occupati nel settore e, contestualmente, anche dal punto di vista ambientale. Nell'ottica, appunto, della transizione ecologica, siamo qui oggi ad avanzare alcune proposte per indicare una strada: quella della transizione ecologica, quella vera. La transizione ecologica, di fatto, non si raggiunge se continuiamo a perdurare con lo status quo, cioè con gli incentivi ad auto a combustibili ma anche a quelle ibride. Infatti, se continueremo a incentivare questo genere di veicoli, non faremo nient'altro che allungare i tempi per realizzare la transizione ecologica e daremo anche un segnale negativo all'industria, perché è ovvio che, fino a quando ci saranno incentivi sulle auto a combustibili fossili, l'industria italiana non verrà spinta verso la transizione ecologica, quindi verso il modello delle auto elettriche, perché, colleghi, al netto di quello che si possa pensare, quello è il futuro. È il futuro che in molti Paesi già sta diventando presente e noi siamo terribilmente in ritardo, proprio perché la politica fino ad oggi adottata è stata quella di mantenere sempre e comunque incentivi sulle auto a combustibili fossili.
Per noi devono essere divisi questi discorsi, deve essere divisa la strada e deve essere anche e soprattutto portato avanti il concetto di incentivare ciò che è positivo per l'ambiente e ciò che potrebbe creare nuovi posti di lavoro.
Se consideriamo la componentistica attuale in Italia, sono circa 70 mila gli occupati che dall'oggi al domani potrebbero trovare seri problemi occupazionali proprio a seguito della transizione all'elettrico, proprio perché, in tutti questi anni, da parte dello Stato non c'è stata un'indicazione chiara nella formazione dei lavoratori e anche nello sviluppo delle aziende nel settore elettrico. Contestualmente, quindi, dobbiamo incentivare, sì, le auto elettriche, ma anche applicare un principio europeo, recepito dall'ordinamento italiano, ossia quello che chi inquina paga. Infatti, come ben sappiamo, soprattutto, ma non solo, in Pianura padana e nel Nord Italia le concentrazioni di PM10 e di PM 2,5 hanno creato intere aree che oggi sono sottoposte a procedura di infrazione sulla qualità dell'aria, di cui il trasporto è uno degli attori - non è l'unico sicuramente - che concorre a questo inquinamento e, quindi, ad abbassare la qualità della vita dei cittadini in quelle zone. D'altra parte, siamo terribilmente in ritardo anche per quanto riguarda l'infrastrutturazione del nostro Paese. Nel 2012, a seguito del “decreto Passera”, era previsto un piano per le installazioni delle ricariche elettriche in Italia, quelle più veloci, quelle a media velocità di ricarica e quelle lente. Ebbene, oggi, a dieci anni di distanza, dobbiamo non solo accelerare, ma modernizzare. Oggi, la tecnologia ci dà la possibilità di avere già colonnine di ricarica elettrica che permettono di risolvere quello che era uno dei problemi che la clientela e chi, comunque, si affacciava sul mercato elettrico trovava, cioè i lunghi tempi di attesa per la ricarica. Presidente, le nuove tecnologie ce lo permettono e già sulle autostrade italiane, da qualche mese, si stanno installando colonnine di ricarica elettrica ad alta velocità che permettono agli autisti e ai conducenti di poter ricaricare, in breve tempo, il proprio veicolo elettrico. Questa sicuramente è una strada innovativa, però, visto che Autostrade per l'Italia, di fatto, su questo argomento era abbastanza sonnolenta e non le interessava, ci sono voluti interventi che abbiamo fatto nelle scorse leggi di bilancio. Voglio citare, anche qui, il collega Chiazzese e il collega Sut tra le persone che hanno lavorato tantissimo su questo tema. Tuttavia, ogni volta che andiamo a incentivare nuovamente un parco mezzi che si basa sulle fonti fossili - quindi, parliamo già di 20 grammi di CO2 in su, emessi per chilometro -, stiamo ritardando la transizione all'elettrico. Lo permettiamo a veicoli in circolazione su cui, comunque, secondo la richiesta della Commissione europea (il Fit for 55), nel 2035 dovrebbe esserci il bando della vendita (il bando rispetto ai veicoli endotermici).
Il recepimento italiano, come al solito, fa eccezioni. Il recepimento italiano è quello che permetterà, invece, il divieto per i furgoni, ad esempio, dal 2040 e non dal 2035. C'è questa eccezione ed è un gravissimo errore, Presidente, perché i veicoli commerciali sono quelli che percorrono più chilometri rispetto alla mobilità privata, per cui non intervenire in questo settore in maniera risoluta, come si è deciso, invece, con i veicoli normali privati, ci farà ritardare ulteriormente la transizione ecologica, ma, soprattutto, concorrerà a tenere alto il livello di inquinanti.
Vede, Presidente, il Parlamento italiano deve dare un segnale di discontinuità rispetto al passato più remoto, ma anche al passato recente. Infatti, è ovvio che le imprese e le industrie, fino a quando ci saranno incentivi sulle fonti fossili, continueranno a sviluppare questo tipo di tecnologie, che sono tecnologie già vecchie e morte, morte perché, di fatto, si basano su combustibili fossili e sappiamo tutti dove ci sta portando la dipendenza dal fossile nei vari settori dell'economia italiana. Ecco perché occorre andare a incentivare solo la parte elettrica, solo il futuro, anche immedesimandosi - il Parlamento deve immedesimarsi - nei cittadini.
Dobbiamo permettere alla cittadinanza di poter avere un'auto elettrica - sì -, ma anche la possibilità di potersela ricaricare a casa, magari col proprio impianto fotovoltaico. Questa sarebbe una vera rivoluzione, valorizzando anche la condivisione dell'energia tra l'auto e la casa, per cui l'auto potrebbe addirittura diventare - come già succede con il Vehicle-to-Grid - una batteria per alimentare casa, per esempio nelle ore notturne.
Presidente, abbiamo letto parti della mozione di maggioranza e penso che manchi soprattutto di coraggio e di realismo nei confronti di quello che avviene nel mondo. Dalle altre parti, si sta puntando molto sull'elettrico ed è per questo che poi vediamo che la Volkswagen fa un piano da 50 miliardi di euro in Germania, mentre in Italia, invece, non si vedono questi tipi di investimenti da parte dei privati, perché il segnale che la politica sta dando è quello di mantenere lo status quo e, quindi, le fonti fossili.
La nostra mozione parla non solo di questo, ma anche della necessità di incominciare a occuparsi seriamente del problema delle batterie, del loro smaltimento, riciclo e riutilizzo, azioni fondamentali in un'economia sana. Inoltre, puntiamo ad aggiornare la rete infrastrutturale di ricarica elettrica e a dare segnali anche sul trasporto pubblico locale; negli ultimi 5 anni - lo abbiamo visto tutti - nelle amministrazioni locali si sono tutti impegnati - e concludo Presidente - ad acquistare autobus a metano; bene, fino a un qualche tempo fa, era comprensibile, perché c'erano rifornimenti di metano e non c'erano rifornimenti di ricarica elettrica, oggi, però questo non dobbiamo permetterlo più; dobbiamo fare in modo che le amministrazioni pubbliche siano capaci di erogare corrente elettrica con le proprie colonnine e di avere un parco mezzi che sia totalmente elettrico, perché è il primo segnale che diamo alla cittadinanza.
Per questo, annuncio che valuteremo nel dettaglio ogni impegno della maggioranza e chiederemo la votazione per parti separate (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alternativa).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bersani. Ne ha facoltà.
PIER LUIGI BERSANI (LEU). Signor Presidente, noi voteremo la risoluzione di maggioranza, ma con l'occasione vorrei aggiungere qualche considerazione.
L'automotive per la sua visibilità e per il peso che ha nei consumi e nella produzione diventa una specie di punta dell'iceberg di una sfida più grande che abbiamo di fronte per tutta la nostra industria. Bisogna dirci una cosa, prima di ogni altra: questa non sarà una fase di innovazione o di cambiamento; questo è un salto tecnologico secolare, paragonabile forse solo a quello di fine Ottocento, primi Novecento, e questo salto tecnologico incrocia un'epocale sfida ambientale.
Ci occupiamo di energia, di transizione ecologica, in particolare oggi, ma la sfida digitale non sarà da meno. Infatti, l'algoritmo e la piattaforma hanno solo cominciato a presentare le potenzialità trasformatrici che hanno non solo nei servizi, ma anche nella produzione industriale. Quindi, noi andiamo in una terra largamente incognita, in un percorso che durerà quindici o vent'anni, cosa di cui noi, nella nostra vita, non abbiamo esperienza.
Allora, vorrei porre un punto che mi sembra cruciale e negletto, e cioè: ma abbiamo una governance adeguata per un passaggio di questo genere? Anche stando alle cose che giustamente elenchiamo in queste mozioni, ci si pone una banale domanda: chi le fa? Chi le fa, con operatività e continuità, tirando di lungo? Pensiamo che si possa fare per via amministrativa, solo per via di incentivi, che ci sono e non ci sono, che sono saltuari per definizione? Noi, qui, lo scriviamo: non stiamo sollecitando o solo qualificando la domanda, noi parliamo dell'offerta, noi parliamo di investimenti di processo e di prodotto, parliamo di progettazione della filiera del motore elettrico o a idrogeno, parliamo di nuova componentistica, cominciando dalle batterie, parliamo di processi di riconversione nell'ambito della meccanica e delle tecnologie. Quindi, noi siamo di fronte al seguente problema: abbiamo l'esigenza di una pianificazione e di una programmazione in condizioni di mercato; questo è il punto, piuttosto inedito. Come siamo attrezzati? Qui bisogna che ci diciamo la verità perché su queste cose non si scherza, per il futuro del Paese. Prima verità: noi abbiamo deciso, giustamente, di sciogliere l'IRI, perché non era il caso che lo Stato producesse direttamente, a cominciare dai panettoni, ma noi non abbiamo attrezzato una piattaforma di autorevolezza e di durata a sostegno delle policy industriali, della politica industriale; è talmente vero, scusate se esagero, che perfino quando lo Stato è azionista - e qui non dipende dai Governi, tutti quanti eh? - si ricorda di essere azionista solo quando c'è da fare le nomine.
Seconda verità, parallela: la politica, il Governo, il Parlamento, noi, diciamocelo chiaro, non dimostriamo di essere attrezzati a decidere per obiettivi e per selettività, a individuare quali sono i driver che possono garantire a tutto il sistema questo passaggio. Non siamo attrezzati e i precedenti non incoraggiano; abbiamo avuto un precedente, nel 2007 fu lanciato il Programma selettivo Industria 2015 che, se lo leggete, sarebbe attuale anche oggi; fu demolito, con l'accusa di dirigismo.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI (ore 16,47)
PIER LUIGI BERSANI (LEU). Adesso ci vorrebbe un Programma Industria 2040 e, quindi, una selezione delle filiere è urgente anche parlando di automotive. Ma noi pensiamo davvero che possa esserci una produzione, seria, automobilistica senza una filiera sull'energia e l'efficienza energetica, sulla siderurgia, su parti della chimica, sull'elettronica sulle tecnologie del digitale, in particolare i semiconduttori? Non sarebbe possibile, dico per l'Europa, ma anche per l'Italia.
E, allora, bisogna passare a una fase di selezione e affidare le scelte che abbiamo selezionato a strumenti che siano all'altezza di questa sfida. Io non credo che questa cosa di cui parlavo, sulla quale sarebbe ora di aprire una discussione, possa essere risolta con expertise o con tavoli ministeriali, li ho praticati. Non credo che possa essere questo e neanche credo che possa essere risolta con parziali interventi di Invitalia o di Cassa depositi e prestiti. Si rischia la frammentazione, l'occasionalità e anche il deragliamento. Davanti a una sfida totalmente nuova non possiamo usare gli strumenti vecchi, quindi, bisogna mettere ordine nella cassetta degli attrezzi e qualche idea potrebbe esserci - solo si potesse discuterne - che accompagni questi 15 anni, di cui il PNRR è solo la fase 1, è solo l'abbrivio. Stando alla automotive, se prendiamo le cose che stiamo scrivendo qui e potessimo metterle in fila, in sequenza, non verrebbe fuori che noi, per i primi due o tre anni, dovremmo occuparci principalmente di sgombrare il parco auto da quelle più vecchie e inquinanti? Ne avremmo un beneficio ambientale, avremmo gli stabilimenti “in tiro” e ciò potrebbe imparentarsi con il tema sociale. Infatti, non lo dico io, lo dicono i più grandi ambientalisti come Alex Langer, senza la gamba sociale la battaglia ambientale deraglia; e in questi due o tre anni, forza, attrezziamo il sistema delle ricariche in questo Paese. Forza! Avviamo la progettazione di nuove iniziative industriali, di progetti di riconversione e adeguiamo, perbacco, la legislazione! Ma devo essere io a dirlo, qui? Ma se vogliamo davvero attrezzare le stazioni di servizio per le ricariche veloci - non ci sono solo le autostrade eh? - bisogna correggere la cosiddetta “legge Bersani” sulla distribuzione dei carburanti. Se vuoi fare 7 mila megawatt di rinnovabili l'anno, sempre che ci riesci, e vuoi che la luce arrivi, devi rimettere mano alla “legge Bersani” della riforma del sistema elettrico e occuparti di trasmissione, di dispacciamento, di accumuli, di chi fa che cosa. Una volta avviato tutto questo, passi all'elettrico, perbacco, ma ci passi in sequenza, in un modo ragionato e non affastellando tutto. Bisogna ragionare su come facciamo ad avere gli strumenti per questo.
Aggiungo anche un particolare di questi due o tre anni, per quanto riguarda le materie prime. Noi adesso veniamo via dai combustibili fossili gradualmente e bisognerà fare un discorso anche con quelli che ce li stanno dando da quarant'anni. Se non vogliamo farlo con la Russia, dovremmo farlo con l'Algeria e con qualche altro perché prima siamo andati dicendo che ne volevamo molto e da un certo punto diciamo che non lo prendiamo più. Ma c'è una riconversione anche nel campo delle materie prime. I nuovi minerali chi ce li ha? Quei Paesi lì; noi abbiamo qualcosina ma sono di difficilissima estrazione e non riusciremo mai a andarli a prendere in un territorio così delicato come il nostro. Quante cose da fare per mettere ordine!
Dicono di correggere il PNRR: no, bisogna affiancarlo, implementare la parte strumentale di questo percorso, dare selezione e sostegno di continuità.
Ultima considerazione tornando al tema dell'automotive. Si dice che il mercato è fermo. Certamente, è fermo. Sarà vero che in Germania fanno qualcosa, ma se qualcuno deve prendere una macchina nuova si sente dire, se vuole quella che desidera, che deve aspettare 3, 4 o 6 mesi. In secondo luogo, la gente è portata a pensare mediamente che il nuovo non è ancora molto gestibile e l'antico, da qui in poi, è da buttar via, quindi, si ferma. Se ci fosse un percorso scandito, leggibile e ordinato varrebbe ben di più degli incentivi, che io sostengo, intendiamoci bene (Applausi dei deputati dei gruppi Liberi e Uguali e Partito Democratico)!
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO (ore 16,53)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pettarin. Ne ha facoltà.
GUIDO GERMANO PETTARIN (CI). Grazie, Presidente. Colleghi, il dibattito che stiamo facendo io non ho difficoltà a classificarlo come uno tra i più importanti tra quelli che si sono svolti e che si svolgeranno in quest'Aula in questa legislatura. Lo è, come sappiamo, per tanti motivi: il primo, è la rilevanza del settore automotive in Italia; il secondo, è il numero degli occupati; il terzo, non cosa da poco, è il valore identitario del settore per il cosiddetto made in Italy; il quarto è l'impatto sulla riuscita complessiva della transizione energetica su tutte le scelte che faranno riferimento a questa e che assumerà il Governo in questo settore. Più che in altre occasioni, le decisioni che assumeremo qui avranno un impatto sul futuro, non semplicemente di un settore e di decine di migliaia di famiglie, ma sul ruolo industriale del nostro Paese in Europa e nel mondo.
Il settore automotive è stato - lo sappiamo tutti - tra i più colpiti dalla congiuntura economica in conseguenza della pandemia, con un crollo vertiginoso delle immatricolazioni che solo in parte era stato riassorbito grazie al rimbalzo degli ultimi mesi, prima del 24 febbraio, e che ora mostra un altro pesantissimo segno di rallentamento. Questa crisi congiunturale arriva, come se non bastasse, nell'ambito di una vera e propria rivoluzione industriale dalla quale non potrà che risultare un fortissimo livellamento del settore e, verosimilmente, con concentrazione delle attività in alcuni player mondiali, dato che poche grandi e grandissime case svolgeranno il ruolo di protagoniste. Il trend è chiarissimo e la corsa alle aggregazioni e agli investimenti ponderosi che le grandi case stanno effettuando per la transizione all'auto elettrica è evidente. Investimenti di grandissima portata che, in parte, vengono subiti e, in parte, sono obbligati dalle norme che a livello europeo ci siamo intesi dare, rispettando gli impegni internazionali.
Da ultimo, cito solo il “Fit for 55” che imprimerà un'ulteriore e pesante svolta a una industria già profondamente segnata. Il pacchetto di norme, infatti, come sappiamo è stato introdotto con lo scopo di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli raggiunti nel 1990.
Naturalmente, in questo contesto - lo ricordo incidentalmente - la situazione terribile della guerra tra Russia e Ucraina ha degli impatti sul mondo dell'ecocompatibilità immediati e che dovranno naturalmente essere tenuti in considerazione. Si tratta di misure comunque lodevoli in termini sia di principi sia di conseguenze ipotizzate ma che non considerano alcuni aspetti che noi riteniamo cruciali. Il primo è che le materie prime non si trovano in Europa, che pure ha la primazia, un tempo assoluta, nel settore dei microchip. Il secondo aspetto è che il mercato dell'auto elettrica è ancora fragilissimo ed in parte è dopato dagli incentivi, rischiando così di tradursi in una bolla dalle conseguenze potenzialmente devastanti per tutto il settore in Europa. Il terzo aspetto è che l'imposizione di cambiamenti epocali così ravvicinati rischia di avere impatti sociali devastanti, con drastiche ricadute occupazionali in conseguenza dell'impossibilità di riassorbire plaghe così importanti di disoccupazione. Il quarto e più importante aspetto è quello della transizione energetica nell'ambito della mobilità sostenibile che deve essere accompagnata, prima di tutto, dagli investimenti nelle infrastrutture, mentre oggi la sensazione è che noi vogliamo mettere il carro davanti ai buoi. Prendi un'auto elettrica, la ricaricherai! Sì, dove, quando, in che momento, per quanto tempo, in che occasione e fermandomi quante volte? Altro che il carro davanti ai buoi! Il rischio di questo stato di cose è stato palesato anche dai colleghi firmatari delle mozioni che oggi discutiamo ed è già visibile nella filiera produttiva, con le crisi industriali emerse negli ultimi mesi anche nel Friuli-Venezia Giulia, che è la mia regione.
La rincorsa di obiettivi di abbattimento delle emissioni, priva del sostegno di un poderoso piano di rivoluzione industriale europeo, rischia di lasciare sul terreno piccoli produttori, eccellenze nei settori del design e della produzione di componentistica, migliaia di posti di lavoro e, con essi, il primato italiano in questo settore.
Chiedere con forza una visione strategica in questo senso, che non ci condanni a diventare marginali rispetto alle grandi potenze industriali, non significa negare l'importanza della transizione ecologica, significa affermarla, ma rendendola consapevole, sostenibile e pragmatica. Per questo al Governo chiediamo ragionevolezza ed un serio appello per una politica industriale comune a livello europeo in questo settore, di modo che l'Europa, anche qui, batta finalmente un colpo, non limitandosi solamente a parole, ma facendo quei fatti che ci porteranno ad essere una vera, unica Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo Coraggio Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Librandi. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO LIBRANDI (IV). Grazie, Presidente. Illustrissimo Presidente, gentili colleghi, dalla fine della pandemia all'emergenza energetica, fino alla terribile guerra in Ucraina, stiamo di certo vivendo una stagione molto difficile che probabilmente nessuno sarebbe stato in grado di prevedere all'inizio di questo 2022.
Le questioni internazionali amplificano i problemi della nostra società e, in particolare, rallentano la ripresa della nostra economia. Il timore è che il rimbalzo del 2021 possa essere solo una parentesi tra due fasi recessive. Ovviamente il Governo e il Parlamento stanno facendo il massimo per scongiurare questo scenario e dovranno continuare con interventi puntuali e sostegni economici ai settori più esposti. La grave crisi dell'industria automobilistica, che a febbraio ha registrato un crollo delle vendite, con una riduzione del 22,6 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021, merita un'attenzione particolare. L'automotive, con il suo indotto, è da sempre un vanto della storia industriale del nostro Paese, oltre a essere un settore trainante di tutta l'economia europea. Ricordiamo che il mondo dell'automotive in Italia conta in totale 166.000 lavoratori mentre in Europa sono complessivamente 12,6 milioni. In Italia, l'automotive genera direttamente un fatturato di circa 52 miliardi di euro e, se si considerano anche le attività indirette, il fatturato raggiunge i 106 miliardi di euro, circa il 6 per cento del PIL. L'industria automobilistica è anche uno dei principali settori produttivi in Europa e, da sola, vale 859 miliardi di euro di fatturato pari al 6,4 per cento del PIL. Sono numeri a dir poco impressionanti. Purtroppo, nel periodo gennaio-febbraio 2022 si calcola una perdita di più di 60 mila immatricolazioni su base annua, ben 125 mila in meno rispetto al primo bimestre del 2019, e si registra anche un rallentamento delle vendite di auto elettriche, il primo dopo due anni di crescita consecutivi. Le auto 100 per cento a batteria perdono l'8 per cento delle immatricolazioni rispetto a febbraio 2021, fermandosi a una quota di mercato mensile del 2,8 per cento; male anche le auto ibride che hanno chiuso il mese scorso con una perdita del 7 per cento.
Di conseguenza, anche la componentistica soffre: Bosch ha annunciato 700 esuberi nello stabilimento di Bari, patria del diesel common rail; Marelli ha comunicato ai sindacati il rischio per 550 dipendenti, la pisana Vitesco Technologies prevede 750 esuberi nel 2024. Una tempesta perfetta si sta abbattendo sul settore automotive: la crisi dei chip, il caro energia e dei costi delle materie prime, i volumi di produzione incerti a causa della pandemia e la transizione ecologica, che ha effetti soprattutto sull'industria italiana. Infatti, se i grandi colossi hanno maggiori capacità di riconversione e prospettive di innovazione, la manifattura made in Italy della componentistica è a forte rischio, senza adeguato supporto. Senza interventi di sostegno alla transizione ecologica e alla costruzione di gigafactory europee, la graduale messa al bando dei motori endotermici decreterà la dipendenza della filiera europea dell'automotive dalla Cina che produce l'80 per cento delle batterie mondiali. È necessario ripensare ai modelli produttivi e aggiornare produzioni, competenze e know-how specifici, ma la riconversione non avviene dall'oggi al domani, serve la capacità di guardare in prospettiva e bisogna creare fin d'ora condizioni favorevoli. Occorre, pertanto, un intervento coordinato a supporto della transizione e dell'innovazione del settore.
La presente mozione si inserisce in un frangente di grande complessità, ma arriva puntuale per fissare obiettivi e assicurare la giusta attenzione. Italia Viva sostiene con convinzione la presente mozione su cui esprime chiaramente il suo voto favorevole; riteniamo indispensabili le misure per sostenere la filiera dell'automotive, sia sul fronte della produzione e dell'approvvigionamento, sia su quello della vendita, con un sistema di incentivi all'acquisto di veicoli a basse emissioni, in ottica pluriennale, al fine di accelerare il ricambio del parco auto, promuovere azioni per il sostegno degli operatori del settore e raggiungere i traguardi previsti nel processo di transizione. L'approccio vincente per l'automotive e per il Paese è basato sulla creazione di stimoli e incentivi. In fase di discussione ci siamo battuti per evitare formulazioni troppo complicate e continueremo ad opporci a tasse e malus che finiscono solo per danneggiare imprese e lavoratori.
Dal punto di vista istituzionale, bisogna proseguire i lavori del tavolo automotive già istituito dal Ministero dello Sviluppo economico, insieme a tutte le parti interessate ed agli altri dicasteri competenti. Chiediamo di correlare il fondo pluriennale per la riconversione dell'industria automotive e delle imprese ad un piano strategico nazionale per l'Italia e per l'industria automobilistica italiana per sostenere l'intera filiera nazionale nel passaggio verso produzioni sempre più ecologiche, perseguire la finalità di ridurre le emissioni di CO₂ e non trascurare nuovi possibili soluzioni rinnovabili. In tal senso, va incentivato l'utilizzo di carburanti sintetici, dei low-carbon fuels e dei biocarburanti, anche per accompagnare le filiere connesse a quelle dell'automotive, come il comparto petrolchimico e della raffinazione, verso una transizione sostenibile che porti alla valorizzazione di comparti di eccellenza italiani, legati alla produzione di biometano, bioetanolo, metanolo e idrogeno. Tutto ciò avrebbe un impatto straordinario per l'indipendenza energetica del nostro Paese, mitigando gli effetti dell'attuale crisi internazionale.
D'altro canto, bisogna scongiurare i licenziamenti e la delocalizzazione di importanti aziende operanti nel settore, adoperandosi per favorire la risoluzione delle crisi aziendali e individuare le strategie più idonee di rilancio. Alle misure congiunturali e di breve periodo vanno accompagnati interventi che migliorino il livello di competitività. La chiave è l'investimento in innovazione e ricerca. È fondamentale valorizzare il notevole capitale umano dell'industria automobilistica italiana, anche sostenendo la riqualificazione professionale dei lavoratori oggi occupati. Bisogna rafforzare i progetti di ricerca e sviluppo con politecnici, università e centri di ricerca nel settore della mobilità, sia individuale che collettiva, prevedendo semplificazioni burocratiche e incentivi adeguati all'attrazione di investimenti stranieri. Così l'Italia potrà rispondere alle prossime sfide tecnologiche dell'automotive: il miglioramento dell'efficienza dei veicoli elettrici e a idrogeno, l'auto senza conducente e le flying car. La presente mozione impegna il Governo a uno sforzo importante, ma assolutamente necessario. L'automotive rappresenta uno dei tanti banchi di prova per un Paese ed un Continente chiamati a progettare il proprio futuro economico in modo che sia sostenibile, duraturo, senza che nessuno venga schiacciato dalla congiuntura economica e dalla rapidità dei cambiamenti. Nonostante tutte le difficoltà, continuiamo a lavorare con fiducia, facendo leva sulla forza dei nostri talenti e delle nostre imprese. L'Italia c'è e dovrà continuare ad esserci (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Butti. Ne ha facoltà.
ALESSIO BUTTI (FDI). Grazie, Presidente. Anticipo immediatamente quello che sarà il giudizio del gruppo di Fratelli d'Italia sulle mozioni, dicendo subito che le riformulazioni presentate dalla sottosegretaria alla mozione di Fratelli d'Italia sono inaccettabili e, quindi, chiederemo il voto della mozione così com'è e non per parti separate, perché vi dovete assumere la responsabilità di quello che non state decidendo per la filiera dell'automotive (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
Per capirci meglio, già la legge di bilancio del 2022, che avete votato, ha stroncato le aspettative della filiera dell'automotive, nonostante i tentativi di Fratelli d'Italia di migliorare quel testo e di avanzare anche emendamenti. In queste condizioni, è bene sapere che avremo 160 mila immatricolazioni in meno rispetto ad una previsione che già era pessima per il 2022 e i piani del Governo, secondo noi, non solo scontano un clamoroso ritardo, ma sono insufficienti e - nessuno si offenda - anche concettualmente arcaici.
Noi accogliamo positivamente gli annunci, ad esempio, del Ministro Giorgetti che, per tutto il mese di febbraio, ha parlato di questo fondo pluriennale per l'automotive (un miliardo all'anno fino al 2030); tuttavia, constatiamo che avete già problemi finanziari per reperire le risorse per il 2022. Quello che vi chiediamo è di non sbilanciare il fondo sull'incentivo alla domanda e le spieghiamo anche perché. La banale politica concentrata solo sugli incentivi alla vendita ci porterà ad essere un Paese senza industria e senza finanza. State già creando fenomeni di deindustrializzazione irreversibili, lo dicono gli analisti. La mobilità del futuro, qualche collega mi ha preceduto su questo, non è un settore a sé stante, però noi approfondiamo l'analisi e aggiungiamo che i tre componenti più importanti in questo momento nello sviluppo industriale e digitale - e parlo di energia, di telecomunicazioni e di automotive - saranno il fulcro, saranno le applicazioni dell'automobile del futuro.
Oggi Tesla che, peraltro, proprio tra ieri e oggi, ha aumentato a dismisura la propria quotazione, il proprio valore in Borsa, è certamente una casa produttrice di automobili, ma, prima ancora, è la prima azienda al mondo per robotica, ecco la convergenza di cui noi cerchiamo di parlare. Di questo passo, l'industria automobilistica italiana, quella tradizionale, tra qualche anno non esisterà più - ha ragione pure Bersani, quando lo dice, ascoltate almeno Bersani - e quella esistente, sottosegretario Ascani, è stata ingoiata dal gruppo Stellantis; ricordo sommessamente a me stesso che, del gruppo Stellantis, il 6 per cento fa riferimento direttamente al Governo francese. Qualcuno dice che noi siamo fissati con la sovranità, in questo caso la sovranità industriale, però fummo definiti miopi quando criticammo il trasferimento all'estero della sede legale e fiscale della FIAT; fummo accusati di disfattismo, quando tentammo di opporci al prestito concesso a FIAT Chrysler, con garanzia statale, per 6 miliardi e 300 milioni, mentre altre aziende, meno fortunate di FIAT, morivano di fame. Quel mondo lì, quello che ho appena illustrato, dell'automobile, è finito, è al crepuscolo. Con l'auto elettrica e, poi, con la guida autonoma, i nuovi produttori saranno Apple, Samsung, LG, tutti quei marchi, tutti quei brand di elettronica e di software. E, con la trazione elettrica, sarà un trionfo di servizi costruiti ad hoc e l'auto sarà, sì, un nuovo mezzo di locomozione, ma si nutrirà di intelligenza artificiale e di nuovi software.
La transizione deve essere non solo sostenibile, ma anche intelligente e, allora, vediamo insieme i punti di forza e i punti di debolezza. Ad esempio, tutti parlano di auto elettrica: bene, giusto, corretto, ma ricordiamo che la messa al bando dei motori endotermici entro il 2035 consegnerà definitivamente la filiera europea dell'automotive alla dipendenza dalla Cina per quanto riguarda la produzione delle batterie, che sono cose diverse rispetto ai chip di cui parlava il Presidente Draghi la settimana scorsa. Bene le iniziative sullo stabilimento molisano, ma non basta, sono iniziative infinitesimali. Ricordiamo che occorre trovare, peraltro, anche un efficace sistema di smaltimento delle batterie, perché, sennò, è inutile che parliamo di sostenibilità.
Ricordiamo che, se in Europa si smettesse oggi di produrre auto a diesel e benzina, potremmo perdere, a causa di una transizione non programmata, non disciplinata e poco intelligente, un milione di posti di lavoro, perché, come continuiamo a ripetere, le transizioni, specie quelle mal governate, costano in termini sociali. Se, invece, la gestione sarà virtuosa, con una visione ampia in grado di coinvolgere, certamente, il mercato domestico, poi quello europeo, poi quello globale, allora questa transizione potrà portare, entro il 2050, a 15 milioni di posti di lavoro in più. Nessun Paese europeo, men che meno l'Italia, può ritenersi autosufficiente rispetto al balzo di paradigma che ho appena illustrato e nessuno può pensare di contare sulle proprie energie economiche o finanziarie o sulle proprie risorse.
Bisogna costruire impianti per la produzione di batterie, pensando allo smaltimento, sostenere investimenti industriali in nuove tecnologie, formare il personale e la manodopera e - torno a ripeterlo - creare un fondo per mitigare i contraccolpi dell'occupazione, che già ci sono e ci saranno sempre di più in futuro. Poi vogliamo ragionare di incentivi sulla vendita? Ma certo che sono utili, sono utili al concessionario che vende e sono utili all'automobilista che acquista, ma dov'è il beneficio strutturale? Non c'è il beneficio strutturale. Gli incentivi alle imprese, la riqualificazione del personale non possono essere praticati, se non si creano le condizioni di investimento per l'impresa perché, in pochi anni, l'industria automotive sarà un'altra cosa e noi rischiamo di affrontare, in modo vecchio, le crisi aziendali che sicuramente ci saranno; utilizzeremo misure tampone per coloro che verranno espulsi dal mondo produttivo. E, allora, ci vuole una politica di convinta riconversione, ma non sulle linee produttive. Per montare un'auto elettrica occorrono 20 ore e la componentistica è ridotta all'osso, tutto il resto è alla voce servizi e, allora, su questo si investa con coraggio. Gli incentivi alla ricerca sono per noi indispensabili, a partire, ad esempio, da quelle università che già oggi applicano la ricerca al sistema dei trasporti. E poi interrogatevi sui motivi per cui ENEL, che ormai è un colosso nel trasporto pubblico locale elettrificato, va a investire addirittura in Centro America o nell'America meridionale ed evita di investire in Italia, che è veramente una cosa folle.
E, allora, investiamo sulle startup. Cassa depositi e prestiti, che adesso è troppo impegnata nelle vicende delle telecomunicazioni, ha una società che si occupa di sostegno alle startup e non mi risultano - e sono abbastanza informato, sottosegretario - iniziative a favore della mobilità futura di un certo livello. Lo ripetiamo ormai da due anni: c'è un problema di approvvigionamento di semiconduttori per le fabbriche di auto in Italia e in Europa; l'abbiamo ascoltato con incredibile ritardo la settimana scorsa anche per voce del Presidente Draghi, noi lo ripetiamo da due anni e mezzo esattamente.
Concludo. Per realizzare un'auto elettrica occorrono 3.500 chips, oggi non ci sono chips. I produttori di automobili hanno ridotto la produzione, con ciò che ne consegue in termini di occupazione. È un'emergenza continentale. Gli stabilimenti di Melfi e di Cassino sono a rischio, sottosegretario. E, allora, affrontiamo il tema in modo organico, pensando alle minori emissioni, alla nostra sovranità industriale, al potenziamento della ricerca nazionale, alle vetture del futuro, alla formazione della nuova occupazione. Su questa traccia Fratelli d'Italia c'è e per questo ha presentato una mozione; altrimenti, voteremo sistematicamente contro (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Porchietto. Ne ha facoltà.
CLAUDIA PORCHIETTO (FI). Grazie, Presidente. Presidente, mi permetto - lo dico anche al Governo - di iniziare questo intervento a favore, chiaramente, della mozione che la maggioranza ha adottato, facendo alcuni passaggi, se mi permettete, storici e alcuni nomi che io ritengo importanti, anche se, probabilmente, ai più, in quest'Aula, diranno poco. Cossato, Allemano, Balbo, Bertone, Boano, Boneschi, Coggiola, Caprera, Faina, Fantuzzi, Mazzanti, Meteor, Michelotti, Montescani, Monviso, Pininfarina, Stabilimenti Farina, Vignale, Viotti, Zagato: sono alcuni dei grandi carrozzieri italiani di cui, ormai, abbiamo perso le tracce, ne sono rimasti veramente pochi in Italia. Sono quelli che hanno fatto grande il design italiano, grande il made in Italy in Italia, ma sono anche quelli che hanno trascinato questo settore e questo comparto dell'automotive in Italia, creando quel settore e quella filiera che oggi veramente rischiamo di perdere. Ho ascoltato con attenzione gli interventi che mi hanno preceduto, a partire dall'intervento dell'onorevole Bersani, finendo con l'intervento del collega Butti di Fratelli d'Italia e mi diventerebbe veramente difficile non condividere i concetti e le riflessioni che loro hanno posto a quest'Aula, anche se, probabilmente, gli strumenti e, forse, non l'obiettivo, ma il percorso e la strategia che noi vorremmo mettere in atto potrebbero essere diversi rispetto a quello che è stato prospettato. Ma credo che il Governo, in questo frangente, abbia la necessità di un sostegno importante da parte del Parlamento ed è quello che noi, all'interno degli impegni che la maggioranza ha preso con questa mozione, vogliamo mettere a disposizione del Governo.
Io arrivo da un'area che è stata la culla, fino a poco tempo fa, del sistema auto, cioè da Torino. Mirafiori negli anni Settanta contava più di 70 mila dipendenti, uno stabilimento che aveva più di 2 milioni di metri quadrati, 20 chilometri interni di linee ferroviarie, era una città nella città. Oggi è una città fantasma, in una città che stenta, comunque, a ritrovare una propria identità. Ma, fortunatamente, abbiamo una filiera, che è quella dei fornitori dell'auto, che ha saputo reggere, mi permetto di dire, nonostante la mancanza di politiche industriali in tutti questi anni. Abbiamo più di 5 mila imprese, che contano 278 mila addetti, che oggi operano nel mondo globalizzato al servizio di quelle che sono ancora le grandi case produttrici del settore dell'automotive.
Io credo che da questo noi si debba partire, dall'attenzione politica che dobbiamo rivolgere a questo settore, dal motivo per cui molto spesso ci siamo trovati a discutere, magari con ragionamenti e, magari, anche con divergenze di pensieri rispetto agli interventi che devono essere fatti, ma con la volontà di intervenire; soprattutto, abbiamo un obiettivo, che è quello di sopperire a quella mancanza di politiche industriali che abbiamo scontato in troppi e in tanti anni. Io mi permetto di sottolineare a chi ha più esperienza di me in queste Aule parlamentari che c'è stato un momento in cui la politica industriale a favore dell'auto non la faceva il Governo, non la faceva la Nazione, ma la faceva l'unica grande industria automobilistica che noi avevamo in Italia: sceglieva quali fossero le politiche industriali da portare avanti, sceglieva quali fossero gli interventi da fare in termini non soltanto di finanziamenti, ma anche di percorsi formativi e di interventi sui lavoratori dipendenti o non, sceglieva cosa doveva fare l'Italia. Sinceramente, mi chiedo se il Governo di quei tempi o, comunque, la politica di quei tempi avesse deciso scientemente di lasciar fare la politica a una grande impresa di natura privatistica, se non del tutto privata, o se invece non fosse in grado di sopperire, essa stessa, a quelle che erano le mancanze del sistema politico in quel momento.
Sta di fatto che gli interessi, che erano principalmente quelli degli azionisti, non collimavano con gli interessi della collettività. Eppure, abbiamo lasciato che questo venisse fatto e rifatto per tantissimi anni. E oggi ci troviamo in una situazione in cui la filiera ha dovuto accompagnare le produzioni di auto all'estero. Abbiamo molti dei fornitori della prima filiera che operano in Polonia, in Brasile, in India, e qui in Italia è rimasta soltanto quella parte di filiera importante e tecnologicamente sicuramente accattivante, che sta servendo le grandi industrie del nord dell'Europa. Le politiche nazionali un tempo non sono state, come dicevo, a favore del sistema. Abbiamo sbagliato le politiche fiscali: ricordiamoci l'indetraibilità dell'IVA, dei costi, delle manutenzioni, che sono ai minimi storici rispetto a quello che fanno gli altri Paesi, la ricerca e sviluppo, lo ricordava anche il collega Butti precedentemente; abbiamo tipi diversi di interventi tra il sistema italiano, ad esempio, e il sistema francese nel determinare i crediti di imposta per ricerca e sviluppo.
Abbiamo avuto, negli anni, annunci di piani specifici per il settore, senza però ragionare su un piano strategico pluriennale che mettesse in sicurezza coloro i quali volevano investire in Italia, rispetto a chi, invece, investiva nel resto dell'Europa e aveva il Governo al proprio fianco perché determinava piani e incentivi di carattere pluriennale. Questa è stata l'Italia fino a poco tempo fa e i risultati li stiamo vedendo in questo momento.
Abbiamo passato due anni difficilissimi di lockdown, che hanno generato un tracollo delle vendite delle auto in Italia. Abbiamo dei settori che oggi scontano una difficoltà nel reperire finanziamenti perché fanno parte di quella filiera automotive cosiddetta tradizionale, che rischia, se non interveniamo oggi con politiche cogenti, di dover chiudere nei prossimi anni. Abbiamo, secondo noi, una timidezza significativa rispetto a quelli che sono oggi gli interlocutori europei sul tema del pacchetto Fit for 55. Il pacchetto Fit for 55 è stato presentato, a parer nostro, con un errore di valutazione, vale a dire che all'interno del pacchetto non si ragionava per ridurre drasticamente la CO2, ma si ragionava per accompagnare il sistema verso un unico settore, quello dell'auto elettrica, dimenticandosi che non si doveva partire da quella tecnologia, ma dall'obiettivo che si voleva raggiungere, attraverso molteplici tecnologie che non potevano e non possono, ancora oggi, consistere soltanto nell'elettrificare completamente il sistema della mobilità. Occorre ripristinare il principio della neutralità ecologica, dobbiamo ritornare a identificare quello che è il modello di decarbonizzazione e dobbiamo tornare a mettere al centro dell'attenzione le specifiche tecniche e tecnologie che possono rendere disponibili anche altri sistemi; e, soprattutto, non disperdere la nostra filiera, quella filiera che si basa su un motore endotermico, che, attraverso i carburanti sintetici, può ancora essere oggetto e cuore dell'attività della filiera italiana.
Dobbiamo semplificare e dobbiamo rafforzare gli strumenti di politica industriale, quelli che sono già a disposizione, così come dobbiamo incentivare questi sistemi. Dobbiamo creare incentivi fiscali per la riconversione produttiva. Dobbiamo aiutare le imprese, che sono quasi sempre medio-piccole, ad aggregarsi attraverso agevolazioni e incentivi; stimoli alla domanda sicuramente e incentivi per abbattere il costo delle auto a bassa emissione sono fondamentali, ma sicuramente non possono essere l'unico percorso che il Governo deve e può individuare.
Gli interventi, però, che hanno fatto, nelle settimane scorse, sia il Ministro Giorgetti, sia il Vice Ministro Pichetto, non hanno lasciato dubbi, non hanno ragionato soltanto su politiche di incentivi nei prossimi anni. Hanno fatto presente che oggi sono necessari incentivi per far sì che il sistema della filiera auto regga e che regga il sistema auto, ma questi devono essere accompagnati in un'ottica di décalage, per avviare un percorso di politiche industriali, che è ciò che noi ci aspettiamo che si possa fare. Occorre, soprattutto, fare sintesi a livello europeo e occorre far prevalere la nostra strategia e i nostri obiettivi sul sistema produttivo, sull'automotive, che per noi significa uno degli ambiti strategici più importanti dal punto di vista occupazionale e dal punto di vista del PIL (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Occorrono operazioni significative, le nostre imprese non sono seconde a nessuno, le nostre imprese possono essere supportate per operazioni di acquisto di aziende estere, così come noi possiamo immaginare di incentivare una strategia di attrazione di investimenti esteri in Italia, ma il tutto deve essere correlato da azioni sinergiche e da serie politiche industriali, che, come ricordava anche il collega Bersani, ormai da decenni non vediamo in Italia.
Non credo che si possano addossare tante colpe a questo Governo, mi permetto di sottolinearlo. Questo Governo, lo sappiamo, è nato in un momento drammatico, con tutta una serie di azioni che dovevano essere fatte in fase emergenziale per ridare credibilità al Paese. Quella credibilità oggi ce l'abbiamo. Da questo momento in avanti, noi parlamentari, noi Parlamento, dobbiamo essere a fianco del Governo, così come ci hanno chiesto il Ministro e il Vice Ministro, per costruire un percorso che vada incontro alle necessità di questo settore fondamentale. Questo è il motivo che porta Forza Italia a dire con serietà e con responsabilità “sì” alla mozione di maggioranza, “sì” ad un intervento condiviso con il Parlamento da parte del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Benamati. Ne ha facoltà.
GIANLUCA BENAMATI (PD). Grazie, Presidente. L'altro giorno, conversando con alcuni giornalisti, è uscito un titolo interessante, esemplificativo: ‘l'auto sta andando a sbattere'. Ed è proprio così! In questo momento, quell'auto che ha fatto la storia italiana del dopoguerra, che ha ricostruito il Paese con la ripresa industriale degli anni Sessanta, insieme ai frigoriferi e al gas della Val Padana, oggi attraversa una crisi - che veniva prima richiamata - profondissima.
Due motivi li abbiamo sotto gli occhi. Da un lato, la pandemia, prima sanitaria e poi dell'energia e delle materie prime, che hanno contratto le immatricolazioni nel Paese: da 1 milione e 900 mila vetture nel 2019, pur in presenza di robusti incentivi, siamo passati ad 1 milione e 380 mila nel 2020 e a 1 milione e 460 mila nel 2021. Oggi abbiamo una situazione ancora bloccata, come si diceva, per lo stop and go degli incentivi, e a fianco a questo adesso vi è una carenza di materie prime e semilavorati che rende difficile le vendite e le consegne.
Dall'altro punto di vista, vi è una povertà veicolare italiana: abbiamo quasi 40 milioni di vetture, 6,6 italiani su 10 possiedono l'automobile, questo è un segno anche del nostro sistema sociale, caratterizzato dalla geografia del Paese e da una mobilità molto fondata sulla mobilità individuale. Però è un parco veicolare vecchio: il 30 per cento di quelle vetture è ancora compreso fra euro 0 ed euro 3. Ecco questo è il ‘sistema automobile' che si sta presentando alla sfida epocale della transizione ecologica e della transizione tecnologica e digitale. Veniva richiamata prima la transizione ecologica, che noi condividiamo in pieno, con gli obiettivi 2050 dello 0 netto di emissioni di CO2, con la politica europea di avvicinamento a quegli obiettivi, ma che ci porta anche a vedere un cambio nelle motorizzazioni.
Il sistema elettrico, Presidente, signora sottosegretaria, non è solo un tema di discussione ideologica e tecnica. Noi in Europa siamo produttori ed esportatori di autoveicoli. I grandi mercati mondiali, dalla Cina agli Stati Uniti, quelli comparabili con noi, si stanno orientando sulla motorizzazione elettrica. Non possiamo non entrare in questo settore se non vogliamo abdicare al nostro ruolo di grandi produttori continentali, e l'Italia dentro il continente deve fare la sua parte. Ma a fianco a questo ci sono anche le nuove motorizzazioni, quelle endotermiche, sempre più efficienti, che possono utilizzare biocombustibili, rivitalizzando anche una filiera, quella della chimica. Ma non è solo questa la sfida, veniva detto prima: c'è una sfida tecnologica, la guida assistita, l'Internet delle cose, sia nel prodotto che nel processo.
Questo è il tema che stiamo affrontando con questa mozione; una mozione che - perdonatemi colleghi se metto l'accento su questo - stabilisce che questa maggioranza politicamente indica al Governo l'importanza del settore auto in Italia per il futuro del settore industriale e per il futuro del Paese.
L'auto, dicevamo, richiama molte filiere, dall'energia alla chimica, all'elettrotecnica, all'elettronica, e non è solo incentivi. Sono infrastrutture: stavamo dicendo prima, è necessaria un'ampia infrastrutturazione del Paese, sia per la parte elettrica, le colonnine di ricarica, sia per la parte dei nuovi combustibili. Sono necessarie misure per far riprendere la produzione di autoveicoli in Italia, mai così bassa dagli anni Settanta; in questo Stellantis può e deve fare la sua parte. Stabilimenti come Melfi, gli altri stabilimenti come Mirafiori, sono punti importanti su cui investire, la gigafactory, i nuovi modelli. Ma in questo senso anche pensare a un ritorno delle produzioni dall'estero, veniva detto in precedenza della produzione dei componenti critici dall'estero. Sono tutte questioni da inseguire.
Ora, vado alla conclusione dicendo che, per la prima volta, nelle nostre battaglie, nelle battaglie di questo Parlamento non si è mai discusso di automobili così tanto come in questa legislatura e in questa Camera. Questa battaglia oggi sta approdando a dei risultati. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza sono state poste delle tessere di un mosaico più ampio; sono stati allocati 3-4 miliardi su alcuni capitoli importanti, le batterie, i semiconduttori, l'idrogeno. Molto viene investito sul tema delle colonnine elettriche convenzionali e quelle a ricarica veloce, e nel “decreto Energia” in conversione alla Camera, in trattazione nelle Commissioni, noi abbiamo uno stanziamento di 8,7 miliardi fino al 2030.
Siamo quindi in presenza, per la prima volta, di un sistema di risorse, che era quello che il Parlamento chiedeva, di 12-13 miliardi dedicati all'automotive, soldi che non vanno sprecati; e, per non sprecare questi soldi - ha ragione il collega Bersani - serve uno strumento specifico. Aggiungo che serve anche un piano organico, che veda incentivi, non solo incentivi, perché in questo momento la vendita non si sostiene solo con gli incentivi, in quanto c'è carenza di produzione; ma serve una misura organica che veda naturalmente la ripresa di ricerca e sviluppo. Guardate che l'automobile italiana ha avuto uno dei suoi punti di forza nel Politecnico di Torino, che sfornava ingegneri capaci di dare gambe a quelle idee! Quindi lauree tecniche, ITS, formazione delle lavoratrici e dei lavoratori che si trovano a cambiare il loro profilo di lavoro. Transizione delle aziende: anche qui, noi abbiamo detto produzione ai minimi dagli anni Sessanta, ma l'automobile in Italia si è difesa con la componentistica, veniva richiamato dalla collega Porchietto. In un'automobile tedesca c'è il 40 per cento di lavoro italiano. Siamo rimasti in piedi perché abbiamo saputo partecipare a queste grandi sfide, ma un'azienda che oggi produce cilindri, pistoni, rettifiche per le parti mobili, quando affronta la motorizzazione elettrica, è fuori mercato. E allora dobbiamo lanciare un grande programma di aiuto a queste aziende, modello Industria 4.0, con sostegni agli investimenti, al cambio delle attrezzature e, come dicevo, alla formazione del personale. Questi sono i punti che chiediamo al Governo di mettere su carta in maniera chiara. Ci sono le risorse finalmente, c'è il tempo, c'è una sfida epocale. Da una sfida può nascere anche un'opportunità: l'auto italiana, che stava attraversando un periodo, diciamo così, non proprio positivo, può ritrovare, in questo momento, nelle nuove motorizzazioni, nei nuovi sistemi tecnologici un rilancio. Dobbiamo volerlo.
Concludo, Presidente, dicendo che, oggi, per noi la cosa più importante che stiamo discutendo, al di là della parte squisitamente tecnica delle nostre discussioni di politica industriale, è aver riportato il Parlamento, il Governo, la pubblica opinione alla forte consapevolezza che l'automobile in Italia deve continuare ad essere una parte del futuro industriale del nostro Paese e una parte del futuro del Paese stesso, del suo benessere e della sua crescita (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Piastra. Ne ha facoltà.
CARLO PIASTRA (LEGA). Presidente, onorevoli colleghi, l'automotive italiano non è soltanto un settore dell'industria: è come un brand che rappresenta il made in Italy, che ha permesso al nostro Paese di conquistare nuovi mercati, raggiungere continenti, diffondere il valore della meccanica italiana, dello stile e dell'eleganza in tutto il mondo. Non vorremmo che alcune scelte non prese per tempo, in preda all'impulso di seguire alcune tendenze, senza peraltro un doveroso percorso di accompagnamento, provocassero al nostro Paese danni irreparabili, ad un tessuto produttivo sul quale oggi aleggiano ombre inquietanti, dalla guerra che ha aggravato una situazione economica internazionale, già resa precaria dall'aumento dei costi delle materie prime, alla scarsa disponibilità sui mercati di alcune componenti elettroniche fondamentali, per le quali l'Asia è diventata monopolista, fino al problema delle energie, che stiamo toccando con mano, con la difficoltà per imprese e famiglie, cui è andato il supporto del Governo attraverso una serie di misure che stanno consentendo di calmierare i prezzi del carburante e di venire incontro ai cittadini sul fronte del caro energia.
Sul lato del sostegno ad un settore strategico come l'automotive, credo che il lavoro di mediazione e sintesi, che è stato fatto dalle forze politiche in quest'Aula, abbia prodotto un risultato positivo. Aggiungo che non è la prima volta che il settore automobilistico italiano ha vissuto difficoltà, seppure le criticità di oggi non siano forse rapportabili a quelle del passato. Parliamo di un settore che, quando l'Italia usciva dal boom economico, ha visto la principale azienda italiana del settore contare oltre un milione di dipendenti a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, al netto dell'indotto. La meccanica e le aziende del comparto hanno resistito agli anni dell'austerity, dovendo però fare i conti, a partire dal 1981, con alcune politiche di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale che ridussero di alcune centinaia di migliaia di dipendenti le proprie forze lavoro.
A metà anni Novanta lo zoccolo duro dell'automotive italiano era ridotto a circa la metà degli occupati che si contavano circa 20 o 30 anni prima. L'industria aveva conosciuto i chiaroscuri della riorganizzazione del settore, con la robotica e l'elettronica che avevano fatto il loro ingresso, a partire soprattutto dagli anni Ottanta, ma anche con il progressivo passaggio ad un modello produttivo di tipo just in time. In sostanza, per limitare in maniera decisiva gli oneri derivanti dallo stoccaggio, dalle manutenzioni e dai costi di magazzino, tutto doveva arrivare negli stabilimenti industriali giusto in tempo per essere installato, lavorato, trasformato, né prima né dopo. Un modello in grado di garantire una riduzione dei costi fino all'80 per cento rispetto all'epoca precedente per quanto riguarda i costi passivi di stoccaggio, magazzino e manutenzioni e che ha nelle articolazioni di un'azienda strutturata a filiera sul territorio il suo punto di forza e di efficienza. La Toyota, in particolare, ha fatto proprio questo modello industriale nel corso degli anni, esattamente come la Ford aveva fatto proprio il modello della vecchia catena di montaggio. Quel modello lo vediamo declinato in quasi ogni ambito produttivo e diventa efficace nella misura in cui le varie componenti di quella filiera interagiscono e comunicano, facendo arrivare le varie componenti da punti diversi del globo collegati in rete. Un modello produttivo che è anche responsabile del fatto che il lavoro può essere attivato e messo in standby, esattamente al pari della produzione. Se l'ordinativo c'è, la vettura viene prodotta e lo stabilimento è in funzione; in assenza di questo, l'azienda è ferma e come tale non può permettersi lavoratori a braccia conserte.
Perché ho voluto aprire con questa lunga parentesi? Per dire che sostanzialmente se il mercato dell'auto e di qualsiasi bene di consumo oggi si ferma, avremo una pletora di lavoratori che risulterà eccedente. Se non sapremo governare questa transizione, il rischio vero è quello di vedere inattivi stabilimenti che risulteranno obsoleti, osservando, perciò, scomparire parti importanti di un settore produttivo che pure ha vissuto e ha attraversato altre epoche difficili, alle quali, però, ha sempre risposto, innovando se stesso e, in ogni caso, continuando a creare posti di lavoro; lo stesso lavoro che oggi tante persone chiedono di poter continuare a svolgere, pur nella consapevolezza che le sfide della nostra epoca si svolgeranno su tavoli molto diversi, quali quelli della lotta ai cambiamenti climatici, della diversificazione energetica e della difesa del lavoro, in un'epoca contraddistinta da un conflitto che sta assumendo i contorni di una catastrofe umanitaria.
Per difendere il nostro know-how e i posti di lavoro del comparto dell'automotive non possiamo inoltre limitarci ad osservare che i lavori di oggi non esisteranno più domani e in futuro faremo lavori che oggi non esistono. Sono parole da utilizzare in qualche convegno sul tema, ma qui parliamo del destino di decine di migliaia di lavoratori. Anche nella transizione occorre garantire un'occupazione e un reddito a centinaia di migliaia di famiglie che fanno parte di una filiera. Le filiere industriali automotive e carburanti, oltre a costituire eccellenze ed essere da anni asset strategici per il nostro Paese, hanno tutte le capacità innovative, tecnologiche e professionali per contribuire in maniera vincente alle sfide che i cambiamenti climatici ci stanno portando.
Di sicuro, in un mercato globale, dove industrie e mercati non hanno un carattere nazionale, checché se ne dica, i nostri competitor internazionali non stanno a guardare. La Cina da tempo ha preso il controllo di un'industria strategica per gli anni a venire, potendo contare su accordi bilaterali che le permettono di estrarre alcune delle materie prime fondamentali per il raggiungimento di tutti gli obiettivi strategici del PNRR. Quello che non deriverà dall'industria estrattiva la Cina sarà in grado di offrirlo, con un conto salato per l'Occidente, attraverso un minuzioso riciclo di tutti i materiali necessari allo sviluppo di batterie e componenti elettriche ed elettroniche. Inoltre, il 5G e l'intelligenza artificiale hanno già permesso ad altre potenze straniere di fare balzi importanti per quanto riguarda la guida senza pilota umano e con una forma di controllo da remoto. Lo abbiamo capito chiaramente quando i mezzi che trasportavano farmaci e beni di consumo lungo le autostrade cinesi viaggiavano senza bisogno degli autisti, che erano all'epoca in lockdown. Credo che sul piano dell'innovazione industriale il nostro Paese abbia fatto tantissimo in questi anni. Mi sono trovato molto spesso in quest'Aula ad apprezzare la qualità della ricerca in ambito privato oltre che pubblico e penso, ad esempio, anche all'industria aerospaziale, strettamente legata a quella dell'automotive per le tecnologie ad essa collegate. Ci troviamo tuttavia in un'epoca storica che rischia di non lasciare molti spazi di manovra per chi non saprà cogliere le opportunità del momento. Cito come mero esempio le decine di migliaia di lavoratori del comparto che rischiano il loro posto di lavoro nella sola Emilia, dalla quale provengo, che è da sempre la terra dei motori.
L'altro rischio dal quale guardarsi è quello che alcuni player industriali presenti da noi decidano di seguire le sirene provenienti da altri Paesi, anche extra Unione europea, in funzione di incentivi o zone a fiscalità di vantaggio che potrebbero consentire di sviluppare in maniera diversa il loro business, dal momento che il nostro Paese è tristemente condizionato anche da altri fattori, quali la dipendenza energetica verso l'estero e il peso delle tariffe energetiche per famiglie e imprese, un livello di tassazione troppo elevato per le imprese, un cuneo fiscale che certamente non avvantaggia i lavoratori e un livello di burocrazia e di adempimenti che forse non ha eguali. Qui, invece, può essere una prospettiva la definizione di un quadro normativo e regolamentare inclusivo, sottolineo neutrale, chiaro e stabile derivante da una strategia di decarbonizzazione aperta al mantenimento e all'evoluzione delle tecnologie già esistenti e dalla valorizzazione di nuove soluzioni.
Il ritrovato clima di unità a livello internazionale dei Paesi occidentali - ma non solo - dovrebbe diventare anche un luogo di confronto per cercare soluzioni efficaci sul tema delle delocalizzazioni. Credo, insomma, di aver ricostruito il quadro della situazione.
Signor Presidente, nel concludere questo mio intervento vorrei ancora rinnovare la necessità di esprimere un voto favorevole sul documento che è stato condiviso in quest'Aula, affinché quello che decideremo in questa sede tenga conto di alcuni fattori cruciali. Infatti, la transizione ecologica è importante, ma deve esserlo anche la garanzia di accompagnare il cambiamento e di assicurare un emolumento ai tanti lavoratori che oggi vivono in apprensione questa situazione drammatica, fra scenari apocalittici nel cuore dell'Europa, costi dell'energia balzati alle stelle, aumento dei prezzi al consumo e delle incertezze di chi si interroga per il proprio destino professionale. Non vogliamo che la transizione ecologica e i rischi che riguardano l'intero settore dell'auto debbano diventare unicamente un costo che ricade sulle spalle dei nostri cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Chiazzese. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CHIAZZESE (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, il settore dell'automotive sta cambiando pelle nel bel mezzo di una pandemia, oggi anche energetica, e di una guerra nel continente europeo. Presidente, questa è una sfida già di per sé difficile e delicata e ora deve anche fare i conti con un contesto reso più complesso da eventi eccezionali che incidono pesantemente sull'economia italiana e su quella globale.
Eppure, colleghi, questo è il momento di indicare la strada, di interpretare etimologicamente la crisi come opportunità e come scelta di definire la direzione e, al netto di un contesto innegabilmente difficile, alcuni indicatori possono farci da bussola in questa scelta. L'Europa, infatti, si sta orientando per mettere al bando le auto ad alimentazione termica, dunque dipendenti da fonti energetiche fossili, a partire dal 2035, e intanto i cittadini mostrano di apprezzare sempre di più i modelli ad alimentazione elettrica. Le auto a batteria in Italia, infatti, sono passate da percentuali da prefisso telefonico di inizio 2019 alle percentuali a doppia cifra di oggi, dopo soli tre anni. Non solo, nell'Unione europea nel 2021 sono state consegnate un totale di 1.205.000 mila auto elettriche, ben il 10,3 per cento del mercato, con una crescita del 63 per cento. In Italia la crescita è stata ancora maggiore, del 128 per cento, con addirittura 136 mila mezzi immatricolati. Infatti, diversi produttori hanno deciso di anticipare i loro piani e puntare subito sulla produzione di veicoli a batterie.
Eco-energie, trasporto pubblico, auto elettriche per la mobilità privata e città sempre più pulite e resilienti. Questa è la nostra meta, insieme a quella di un comparto automobilistico ovviamente rigenerato, con aziende produttrici di casa nostra e il loro indotto nuovamente in grado di ricoprire un ruolo di primo piano a livello internazionale. Noi non ci dobbiamo disunire davanti a questa sfida che è tutt'altro che ideologica, colleghi, perché se non si cambia tenendo insieme imprese e ambiente non si vince, anzi si perde miseramente.
A fine febbraio, mentre le truppe russe entravano in Ucraina inaugurando un conflitto che ha la questione energetica nel suo DNA, l'IPCC delle Nazioni Unite ci dava ulteriore conferma della gravità della crisi climatica e della necessità di accelerare nella direzione della drastica riduzione delle emissioni inquinanti. Certo, colleghi, dobbiamo dirci che il nostro Paese paga la scelta miope dei passati Governi di legarci a doppio filo a fonti energetiche fossili dipendenti dai Paesi esteri. Ora c'è una emergenza e naturalmente una necessità di diversificare l'approvvigionamento - e ci mancherebbe altro -, ma l'emergenza e la sua gestione non devono farci perdere lucidità. Al tempo stesso, però, dobbiamo ripensare il nostro sistema produttivo, per cogliere le opportunità di questa transizione, necessaria e indifferibile. C'è, ad esempio, da implementare una fitta rete di punti di ricarica di ultima generazione, sia domestica, a bassa potenza, che extraurbana, autostradale, ad alta potenza; sono da valorizzare le eccellenze italiane che già oggi esistono, che ci sono, che sono all'avanguardia nella produzione di componentistica per auto elettriche e per infrastrutture di ricarica; c'è da iniziare a produrre e riciclare batterie, e siamo lieti di aver ottenuto che a breve lo si farà nella gigafactory di Termoli, in Molise; infine, c'è da realizzare in casa nostra quante più componenti dedicate all'elettrico, riducendo il più possibile l'importazione dall'estero, valorizzando il know-how delle imprese italiane e creando occupazione.
Presidente, questi non sono sogni, perché abbiamo già a disposizione fondi per realizzare questi obiettivi, a partire dai 750 milioni di euro che sono, nel PNRR, dedicati proprio alla diffusione delle colonnine di ricarica. Il MoVimento 5 Stelle non ha mai smesso di lavorare per riaffermare questa visione, per tradurla in atti e fatti concreti e, infatti, abbiamo difeso strenuamente gli incentivi all'elettrico, con la scelta di chiedere un contributo alle auto più inquinanti proprio per consentire l'acquisto di auto a trazione pulita anche a chi ha minori disponibilità economiche. Su questo punto, quello dell'ecotassa sui veicoli ad alte emissioni di CO2, abbiamo dibattuto, anche a lungo, con i colleghi di altre forze politiche; alla fine hanno convenuto con noi che è una norma di buonsenso, di fiscalità ambientale, basata sul principio del chi inquina paga; non è affatto scandaloso che chi acquista un grosso SUV o una supercar nuova paghi una tassa che serva poi a finanziare i cittadini che hanno disponibilità economiche minori e che vogliono acquistare un'auto a zero emissioni. Oggi questo principio è parte integrante della mozione all'esame di quest'Aula e ci possiamo ritenere soddisfatti del risultato che abbiamo ottenuto.
Poi, bisogna smetterla con un atteggiamento reazionario, quello sì ideologico, secondo il quale il cambiamento equivale a un bagno di sangue, mentre mantenere inalterate le cose è la scelta più saggia.
Presidente, basta osservare veramente le dinamiche di mercato degli ultimi anni per capire che l'automotive è davanti a un bivio: o ripensa il suo futuro o rinuncia ad avere un futuro, tertium non datur e, quindi, qual è veramente la scelta più saggia? Non può essere che quella di concentrare l'attenzione alle risorse nell'accompagnare questa transizione, in modo che porti con sé occupazione e valorizzi l'expertise e le competenze dei nostri lavoratori, dei tanti tecnici, delle nostre piccole, medie e grandi imprese. Come MoVimento 5 Stelle, noi siamo orgogliosi di queste imprese, orgogliosi di questi professionisti. Nei mesi passati abbiamo sempre sentito parlare di soldi che vanno ai produttori stranieri, ma ciò a cui non abbiamo assistito sono profonde riflessioni su come possiamo far restare questi soldi in Italia. Abbiamo sentito parlare di posti di lavoro dimezzati davanti a uno scenario di transizione, scenario di transizione che, invece, l'occupazione può addirittura aumentarla. Ricordo a tutti noi che siamo qui per costruire soluzioni e non per sentir dire che la transizione non è soltanto rose e fiori; siamo qui per accompagnarla e promuoverla questa transizione, questo Governo è qui esattamente per questo, avviare, potenziare e gestire la transizione ecologica, energetica, tecnologica e burocratica, colleghi; è sul raggiungimento di questi obiettivi che misuriamo, e continueremo a misurare, i risultati del Governo.
Lo scorso 10 dicembre, il CITE ha messo nero su bianco l'impegno a definire le tempistiche di sostituzione dei veicoli con motore a combustione interna, decidendo, in linea con la maggior parte dei Paesi avanzati, tra l'altro, che il phasing out delle automobili con motore a combustione interna deve avvenire entro il 2035; personalmente, penso - ma lo pensano anche importanti esponenti di Confindustria, non solo ambientalisti come Greta, per intenderci - che questo phasing out, questo divieto rischia di essere addirittura anacronistico, perché, da un lato, molte case automobilistiche già entro il 2030 produrranno soltanto vetture elettriche e, dall'altro lato, ci sono già importantissimi trend di crescita delle immatricolazioni di vetture elettriche, per cui è difficile ipotizzare che al 2035 ci siano persone che ancora si indirizzeranno verso i motori termici, che comunque restano sempre poco efficienti. C'è, ancora, da ricordare l'efficienza di un'auto “alla spina”, di un'auto elettrica: una vettura elettrica converte l'80 per cento dell'energia per il movimento, mentre l'auto a motore termico, è un dato di fatto, non va oltre il 20 per cento, e il restante 80 per cento lo dissipa sotto forma di calore, più o meno come una stufa che oggi noi usiamo per scaldarci. Questo vero e proprio spreco di energia e risorse vale, allo stesso modo, anche per i biocarburanti, per i quali bisogna anche prestare attenzione a un altro rischio: le colture legate alla loro produzione potrebbero mettere in competizione la produzione di energia con la produzione di cibo. Come decisori politici, dobbiamo tener conto di questi dati e spingere al massimo per efficientare sempre più i nostri consumi energetici.
C'è, poi, un altro aspetto che viene spesso evocato come spauracchio, senza base scientifica, ossia la produzione di emissioni di CO2 delle vetture elettriche, ma basta andare su Google e scrivere life cycle assessment, vale a dire l'analisi delle emissioni dell'intero ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento, per verificare che, già alimentando le batterie con il mix energetico attuale, l'elettrico emette molta meno CO2 dell'endotermico. Poi c'è da incrementare il filone di dello sviluppo del riciclo, del riuso delle batterie, e in Italia abbiamo già realtà, come RSE, società del gruppo GSE, ENEA, diverse università, che non vedono l'ora di giocare un ruolo da protagoniste in questo settore. Immaginiamo cosa vuol dire, in termini di risparmio, salvaguardia dell'ambiente e posti di lavoro, creare un sistema per cui le batterie esauste vengono smontate, recuperando la gran parte dei materiali e magari anche riassemblate in chiave circolare. Ecco perché insistiamo sulla necessità di innescare una grande mobilitazione di tutti i soggetti coinvolti nel presente e nel futuro dell'industria automobilistica italiana e nel suo indotto, che peraltro serve anche molti produttori esteri; sono ricercatori, tecnici, imprenditori, forze sindacali, anche istituzioni.
La crisi che stiamo attraversando è particolarmente dura, è vero, nessuno lo nasconde, ma non deve distogliere il nostro sguardo dal treno che sta passando proprio in questo momento; se lo perdessimo resteremmo fermi a un'idea che tutti, nel mondo, ritengono ormai superata, peggio ancora se cercassimo di fermarlo, ci faremmo soltanto molto male. Allora, è molto meglio, con un po' di coraggio, prendere la rincorsa a salire al volo, Presidente, su questo treno, che trasforma la crisi in opportunità, certamente costa fatica e impegno, ma sicuramente meno danni e meno dolore delle altre opzioni.
Presidente, concludo, il MoVimento 5 Stelle ha già scelto, e dichiaro il voto favorevole sulla mozione in esame (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.
(Votazioni)
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Come da prassi, le mozioni saranno poste in votazione per le parti non assorbite e non precluse dalle votazioni precedenti.
Avverto che la componente Alternativa del gruppo Misto ha chiesto la votazione per parti separate della mozione Molinari, Chiazzese, Benamati, Porchietto, Moretto, Scanu, Fornaro, Tasso, Angiola, Lupi e Schullian ed altri n. 1-00572 (Nuova formulazione), nel senso di votare dapprima le premesse, congiuntamente ai capoversi primo, secondo e quarto del dispositivo, quindi congiuntamente i capoversi terzo, quinto, sesto e settimo del dispositivo.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Molinari, Chiazzese, Benamati, Porchietto, Moretto, Scanu, Fornaro, Tasso, Angiola, Lupi e Schullian ed altri n. 1-00572 (Nuova formulazione), limitatamente alle premesse e ai capoversi primo, secondo e quarto del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva (Vedi votazione n. 3).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Molinari, Chiazzese, Benamati, Porchietto, Moretto, Scanu, Fornaro, Tasso, Angiola, Lupi e Schullian ed altri n. 1-00572 (Nuova formulazione), limitatamente ai capoversi terzo, quinto, sesto e settimo del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere favorevole
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva (Vedi votazione n. 4).
Passiamo alla votazione della mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00587. Avverto che i presentatori non hanno accettato le riformulazioni proposte dal Governo e, pertanto, il parere deve intendersi contrario alla mozione nella sua interezza.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00587, con il parere contrario del Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge (Vedi votazione n. 5).
Passiamo alla votazione della mozione Vianello ed altri n. 1-00616. Avverto che i presentatori hanno chiesto la votazione per parti separate, nel senso di votare: dapprima, congiuntamente i capoversi quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere favorevole; quindi, distintamente i capoversi primo, secondo, terzo, e nono del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario; a seguire, ove il dispositivo venga in tutto o in parte approvato, la premessa, ad eccezione dell'ultimo capoverso. Il parere del Governo è favorevole; infine, l'ultimo capoverso della premessa, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Vianello ed altri n. 1-00616, limitatamente ai capoversi quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva (Vedi votazione n. 6).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Vianello ed altri n. 1-00616, limitatamente al primo capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge (Vedi votazione n. 7).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Vianello ed altri n. 1-00616, limitatamente al secondo capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge (Vedi votazione n. 8).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Vianello ed altri n. 1-00616, limitatamente al terzo capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge (Vedi votazione n. 9).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Vianello ed altri n. 1-00616, limitatamente al nono capoverso del dispositivo, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge (Vedi votazione n. 10).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Vianello ed altri n. 1-00616, limitatamente alla premessa, ad eccezione dell'ultimo capoverso, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva (Vedi votazione n. 11).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Vianello ed altri n. 1-00616, limitatamente all'ultimo capoverso della premessa, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge (Vedi votazione n. 12).
Secondo le intese intercorse tra i gruppi, l'esame degli ulteriori argomenti iscritti all'ordine del giorno è rinviato ad altra seduta.
Proposta di trasferimento a Commissione in sede legislativa di un disegno di legge.
PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di mercoledì 30 marzo 2022 l'assegnazione, in sede legislativa, del seguente disegno di legge, del quale la sotto indicata Commissione, cui era stato assegnato in sede referente, ha chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento in sede legislativa, che proporrò alla Camera a norma del comma 6 dell'articolo 92 del Regolamento:
alla VIII Commissione (Ambiente):
S. 1571 – “Disposizioni per il recupero dei rifiuti in mare e nelle acque interne e per la promozione dell'economia circolare (‘legge SalvaMare')” (approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (1939-B) (La Commissione ha elaborato un nuovo testo).
Interventi di fine seduta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Maschio. Ne ha facoltà. Cortesemente, colleghi, maggior silenzio anche per consentire al collega di fare il suo intervento.
CIRO MASCHIO (FDI). Grazie, Presidente. Visto l'argomento, le chiedo di attendere un attimo che ci sia maggiore silenzio.
PRESIDENTE. Condivido, onorevole Maschio. Chiederei alla collega Ehm se vuole intervenire.
TOMMASO FOTI (FDI). Presidente, lasciamo uscire la gente, prima, e parla lui per primo!
PRESIDENTE. Onorevole, lasci che presieda io. Il collega Maschio potrà fare il suo intervento. Ho chiesto solo alla collega Ehm se voleva farlo nel frattempo. Non c'è nulla di straordinariamente complicato. Prego, collega Ehm
YANA CHIARA EHM (MISTO-M-PP-RCSE). Presidente, concordo anch'io con il collega che, in quanto vi è veramente molto rumore in quest'Aula, essendo molto importante questa tematica attendo gentilmente che l'Aula possa sistemarsi ed essere tranquilla.
PRESIDENTE. Attenderemo che ci sia maggior silenzio. Colleghi, pregherei di uscire o di accomodarsi. Prego, collega Maschio.
CIRO MASCHIO (FDI). Grazie, Presidente. Il 29 marzo di venticinque anni fa, all'età di 35 anni, moriva in un incidente stradale Nicola Pasetto (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), deputato del Movimento Sociale, prima, e di Alleanza nazionale, poi. Nicola era decisamente una persona fuori dal comune, di quelle che nascono una volta ogni cento anni. Era dotato di un talento straordinario, di un grande carisma unito a grandi doti organizzative che l'avevano portato a bruciare le tappe del suo percorso politico, che iniziò all'età di 14 anni. Fu segretario del Fronte della Gioventù a 16 anni, eletto in consiglio comunale a Verona a diciott'anni, il più giovane consigliere comunale d'Italia e poi eletto deputato nel Movimento Sociale Italiano, nel 1992 e, successivamente, in Alleanza Nazionale, nel 1994 e nel 1996. Era il leader indiscusso della destra veneta e non solo, sia negli anni dell'opposizione sia negli anni della destra di Governo. Fu deputato impegnato in Commissione giustizia, in Commissione finanze e in Commissione affari sociali, firmò circa 250 proposte di legge oltre 850 atti di indirizzo e di controllo, decine di interventi. Era un lavoratore instancabile, determinato e preparato e, al tempo stesso, protagonista di tante battaglie politiche e parlamentari che conduceva con quel piglio di fantasia, goliardia e riverenza tipicamente veronese di cui era uno straordinario interprete.
Famosi tanti episodi, uno quando mollò dei topolini nell'aula del consiglio comunale per protestare contro la maggioranza che non voleva approvare una delibera per migliorare le fognature in una periferia della città, per far capire come sarebbero stati i cittadini in mancanza di questo intervento e, anche in Aula, le famose banconote da 50 mila lire finte con la faccia del Ministro Goria e tante altre sedute parlamentari molto movimentate che lo vedevano sempre in prima fila. Al tempo stesso, nella vita privata era un uomo di grande generosità, di profonda fede, capace di gesti di carità a favore delle persone più deboli, lontano dai riflettori. Credo che questo sia testimoniato anche dal ricordo commosso dell'allora Presidente della Camera, Violante, colpito, il giorno dei funerali, quando scoprì questo lato umano meno conosciuto di Nicola Pasetto e, se mi consente, leggo brevemente anche questa citazione dell'allora Presidente Violante che disse: Voglio ricordarlo come parlamentare sospinto da una fortissima passione politica, che costituiva l'espressione di una partecipazione intensa agli ideali in cui credeva. Intensa ed a volte irrequieta, come sappiamo, ma vi erano dentro di lui una passione e una vitalità particolari e questo credo che renda particolarmente doloroso ricordarlo, anche per quelli che sono stati suoi avversari.
Concludo, ricordando che Nicola era questo e molto altro; ancora oggi, a distanza di tantissimi anni, il ricordo di lui è ancora vivissimo nei tantissimi che l'hanno conosciuto. Ci ha lasciato un esempio straordinario di coerenza e ci ha dimostrato, alla faccia dell'antipolitica, quanto bello e quanto alto possa essere l'impegno politico, oggi, per tutti noi. Il suo motto - e concludo Presidente -, che più lo caratterizzava, era: le radici nel futuro. Era profondamente legato alle sue radici e al tempo stesso fortemente proiettato al futuro. Ecco, credo che noi oggi possiamo e dobbiamo continuare a conservare le nostre radici e a guardare il futuro della nostra Nazione, ispirati al suo esempio di coerenza e sono certo che sarà orgoglioso di quello che stiamo facendo e qualche volta, in certe nostre esuberanze molto simili alle sue, sarà anche molto divertito (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Maschio, per questo sentito e bel ricordo del collega. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ehm. Ne ha facoltà. Ritorniamo nei tempi consueti.
YANA CHIARA EHM (MISTO-M-PP-RCSE). Grazie, Presidente. Il “pifferaio di Putin”, il “professor ribelle”, sono solo alcuni degli insulti riservati recentemente al professor Alessandro Orsini, che lo hanno sottoposto a una vera e propria gogna mediatica, oltre ogni limite e inaccettabile. Il motivo di tutto ciò? Semplice quanto sconcertante: l'espressione libera di un'analisi fondata da anni di studi e ricerca in disaccordo da quella polarizzante narrazione mainstream sul conflitto russo-ucraino cui siamo ormai abituati. Da anni sentiamo ripetere che opinioni su temi così delicati e complessi dovrebbero essere fornite da esperti. In questo caso stiamo parlando di un professore associato della LUISS “Guido Carli”, un ateneo prestigioso, nonché fondatore e direttore dell'Osservatorio sulla sicurezza internazionale. Le sue analisi hanno dato seguito a forti pressioni mediatiche e politiche da parte di quei partiti democratici che hanno fatto della guerra in Ucraina un argomento da talk show, dividendo in maniera banale e superficiale il mondo tra buoni e cattivi. E così, mentre al professor Orsini arriva dapprima la censura da parte della stessa università, pochi giorni dopo i vertici della Rai, emittente del servizio pubblico, decidono di stralciare il contratto, peraltro già firmato, con la trasmissione #cartabianca, senza alcun consulto con la presentatrice Bianca Berlinguer.
Presidente, siamo di fronte a un precedente gravissimo. Il nostro Paese, che si vanta ancora di essere una democrazia, deve garantire il diritto alla pluralità delle opinioni e soprattutto il diritto alla libera espressione di ciascuno. Con le colleghe di Manifesta abbiamo presentato un'interrogazione, chiedendo al Premier Draghi e alla Ministra dell'Università, Messa, che si faccia quanto prima chiarezza sui fatti accaduti e che episodi come questi vengano condannati duramente a sostegno della libertà di espressione, di parola, di idee e di opinioni (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Manifesta, Potere al Popolo, Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lorenzin. Ne ha facoltà.
BEATRICE LORENZIN (PD). Presidente, onorevoli colleghi, questo 29 marzo è una giornata in cui vorremmo ricordare e portare alla memoria di tutti una figura che è stata di ispirazione per migliaia di medici nel mondo e, penso, per tutti quelli che, come noi, hanno assistito anche all'evolversi di questa pandemia, Carlo Urbani. Carlo Urbani è stato un grandissimo medico dell'OMS, un infettivologo; lui ha svolto la sua vita nel Vietnam, nel Laos, nei luoghi in cui negli anni Ottanta e Novanta si consumavano situazioni molto rischiose. Lì, per primo, ad Hanoi, identificò il primo paziente con la SARS. La sua azione, la sua tempestiva capacità di individuazione del nuovo virus, di questo nuovo virus, e la segnalazione all'Organizzazione mondiale della sanità permisero all'epoca di salvare veramente migliaia e migliaia di vite, forse centinaia di migliaia, rispetto ad un'altra pandemia che ha colpito appunto vent'anni fa il mondo. Come dicevo, Carlo Urbani è morto di SARS; lui ha svolto la sua funzione all'interno di Medici Senza Frontiere, ha lavorato per anni con Medici Senza Frontiere, divenne anche il responsabile italiano e fu l'uomo che per Medici Senza Frontiere prese il premio Nobel nel 1999. Una grande figura, una persona di spessore, di grande sensibilità, ricordato come padre, come amico, come medico e da chi di noi si occupa di salute - come dicevo - come fonte d'ispirazione. Allora, siamo ancora dentro il COVID; credo che questi due anni abbiano lasciato in ognuno di noi ferite molto ampie ed è un'occasione per ricordare quelli che lavorano sul campo, sempre, in ogni momento, per evitare che i virus prendano il sopravvento (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Andrea Romano. Ne ha facoltà.
ANDREA ROMANO (PD). Grazie, Presidente. In queste settimane in Italia vi è stato un dibattito molto vivace sull'aggressione del regime di Putin all'Ucraina, un dibattito che ha visto due posizioni anche molto diverse e contrapposte tra di loro. Vi è stato in questo dibattito anche chi ha invitato gli ucraini ad arrendersi, chi ha giustificato le ragioni dell'aggressione di Putin, chi ha dato la colpa persino agli ucraini del massacro a cui tutti i giorni i civili ucraini sono sottoposti. È stato inevitabile, noi siamo una grande democrazia che ha anche questo tipo di dibattiti, ma il punto non è questo. La cosa significativa, Presidente, è che tra coloro che hanno difeso le ragioni di Putin, le ragioni dell'aggressione, c'è qualcuno che non voleva solo affermarlo - come è possibile, come è legittimo, come è anche naturale in una grande democrazia come l'Italia - ma che pretendeva di essere pagato dai soldi di tutti gli italiani per affermarlo, qualcuno che pretendeva di essere pagato dalla Rai, dal servizio pubblico radiotelevisivo, per affermare tesi profondamente infondate, tesi sbagliate, tesi ingiuste, tesi persino immorali, mi riferisco naturalmente ad Alessandro Orsini, citato anche poco fa dalla collega Ehm. C'è stato chi ha ritenuto inaccettabile questa pretesa di Orsini, non tanto la pretesa di affermare queste tesi, ingiuste, ingiustificate e immorali, ma la pretesa di essere pagato dal servizio pubblico radiotelevisivo per affermarle, per l'appunto. Oggi, Orsini ha annunciato una querela nei confronti del sottoscritto, credo rappresentante in questo caso di altre opinioni dello stesso tenore, una querela per averlo definito “pifferaio di Putin” e aver affermato la non accettabilità della sua pretesa di essere pagato. Forse potrei ricordare a Orsini che “pifferaio” era il termine che Elio Vittorini usava nei confronti di Togliatti in una famosa polemica intorno alla rivista Il Politecnico nel secondo dopoguerra, ma non sono sicuro che Alessandro Orsini conosca questa polemica. Ma il punto non è questo, Presidente, il punto è che evidentemente Orsini preferisce i Parlamenti o i finti Parlamenti delle dittature come la Russia di Putin al Parlamento della Repubblica italiana, Parlamento della Repubblica italiana nel quale è possibile e legittimo che i parlamentari esprimano qualunque opinione nel pieno rispetto dell'articolo 68 della Costituzione che evidentemente il professor Orsini non conosce.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole.
ANDREA ROMANO (PD). Qui non siamo a Mosca, Presidente - finisco - non siamo nella Duma di Putin, siamo nel Parlamento della Repubblica italiana e i parlamentari della Repubblica italiana, per quanto possa dispiacere ad Orsini, sono liberi di esprimere qualunque opinione nell'esercizio del proprio mandato e, quindi, io affermo, nel pieno esercizio del mio mandato parlamentare, che Orsini, ripetendo e rilanciando le tesi della propaganda russa, ha fatto niente di diverso dalle funzioni di essere un pifferaio di Putin (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Mercoledì 30 marzo 2022 - Ore 9,30:
(ore 9,30 e al termine del punto 14)
1. Assegnazione a Commissione in sede legislativa del disegno di legge n. 1939-B .
2. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
BRUNO BOSSIO e MAGI; FERRARESI ed altri; DELMASTRO DELLE VEDOVE ed altri; PAOLINI ed altri: Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e alla legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia. (C. 1951-3106-3184-3315-A)
Relatore: PERANTONI.
3. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
FERRARI ed altri; DEIDDA ed altri; GIOVANNI RUSSO ed altri; DEL MONACO ed altri; DEL MONACO ed altri; FERRARI ed altri: Disposizioni di revisione del modello di Forze armate interamente professionali, di proroga del termine per la riduzione delle dotazioni dell'Esercito italiano, della Marina militare, escluso il Corpo delle capitanerie di porto, e dell'Aeronautica militare, nonché in materia di avanzamento degli ufficiali. Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale. (C. 1870-1934-2045-2051-2802-2993-A)
Relatori: ARESTA e FERRARI.
4. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
FIANO ed altri; PEREGO DI CREMNAGO ed altri: Misure per la prevenzione dei fenomeni eversivi di radicalizzazione violenta, inclusi i fenomeni di radicalizzazione e di diffusione dell'estremismo violento di matrice jihadista. (C. 243-3357-A)
Relatore: FIANO.
5. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:
S. 865 - D'INIZIATIVA POPOLARE: Modifica all'articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall'insularità. (Approvata, in prima deliberazione, dal Senato). (C. 3353)
Relatrice: ALAIMO.
6. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:
MELONI ed altri: Modifiche alla parte II della Costituzione concernenti l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. (C. 716-A)
Relatori: BRESCIA, per la maggioranza; PRISCO, di minoranza.
7. Seguito della discussione della proposta di legge:
CORDA ed altri: Norme sull'esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato). (C. 875-B)
Relatore: ARESTA.
8. Seguito della discussione delle mozioni Scerra ed altri n. 1-00586 e Valentini ed altri n. 1-00610 concernenti iniziative in materia di disciplina di bilancio e governance economica dell'Unione europea .
9. Seguito della discussione delle mozioni Gadda ed altri n. 1-00573, Baldino ed altri n. 1-00611 e Bonomo ed altri n. 1-00612 concernenti iniziative in materia di Servizio civile universale .
10. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:
FORNARO ed altri: Modifica all'articolo 57 della Costituzione, in materia di base territoriale per l'elezione del Senato della Repubblica. (C. 2238-A)
Relatore: FORNARO.
11. Seguito della discussione delle mozioni Lupi e Schullian n. 1-00540, Vianello ed altri n. 1-00545 e Masi ed altri 1-00614, concernenti iniziative in materia di energia nucleare di nuova generazione .
12. Seguito della discussione della Relazione sull'attività svolta dal 1° gennaio 2021 al 9 febbraio 2022, approvata dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. (Doc. XXXIV, n. 8)
(ore 15)
13. Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata .
(ore 16,30)
14. Votazione per schede per l'elezione di un componente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
La seduta termina alle 18,25.
SEGNALAZIONI RELATIVE ALLE VOTAZIONI EFFETTUATE NEL CORSO DELLA SEDUTA
Nel corso della seduta sono pervenute le seguenti segnalazioni in ordine a votazioni qualificate effettuate mediante procedimento elettronico (vedi Elenchi seguenti):
nella votazione n. 2 la deputata Vizzini ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto favorevole;
nella votazione n. 4 il deputato Gariglio ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole;
nella votazione n. 7 il deputato Pastorino ha segnalato che ha erroneamente espresso voto contrario mentre avrebbe voluto esprimere voto favorevole.
VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO
INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 12) | ||||||||||
Votazione | O G G E T T O | Risultato | Esito | |||||||
Num | Tipo | Pres | Vot | Ast | Magg | Fav | Contr | Miss | ||
1 | Nominale | Moz.Meloni e a.1-485 sec. unf rif. | 420 | 420 | 0 | 211 | 420 | 0 | 101 | Appr. |
2 | Nominale | Moz. Fiorini e a. 1-598 u.n.f. | 417 | 409 | 8 | 205 | 409 | 0 | 101 | Appr. |
3 | Nominale | Moz. Molinari e a. n. 1-572 n.f. | 430 | 380 | 50 | 191 | 380 | 0 | 99 | Appr. |
4 | Nominale | Moz. Molinari e a. n.1-572 n.f. pII | 430 | 397 | 33 | 199 | 397 | 0 | 99 | Appr. |
5 | Nominale | Moz. Lollobrigida e a. n. 1-587 | 433 | 422 | 11 | 212 | 48 | 374 | 99 | Resp. |
6 | Nominale | Moz. Vianello e a. n. 1-616 | 432 | 400 | 32 | 201 | 397 | 3 | 99 | Appr. |
7 | Nominale | Moz. Vianello e a. n. 1-616 pII | 429 | 393 | 36 | 197 | 121 | 272 | 99 | Resp. |
8 | Nominale | Moz. Vianello e a. n. 1-616 pIII | 430 | 299 | 131 | 150 | 29 | 270 | 99 | Resp. |
9 | Nominale | Moz. Vianello e a. n. 1-616 pIV | 433 | 399 | 34 | 200 | 26 | 373 | 99 | Resp. |
10 | Nominale | Moz. Vianello e a. n. 1-616 pV | 432 | 398 | 34 | 200 | 135 | 263 | 99 | Resp. |
11 | Nominale | Moz. Vianello e a. n. 1-616 pVI | 429 | 396 | 33 | 199 | 395 | 1 | 99 | Appr. |
12 | Nominale | Moz. Vianello e a. n. 1-616 pVII | 430 | 396 | 34 | 199 | 26 | 370 | 99 | Resp. |
F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui é mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi é premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.