Per tornare alla pagina di provenienza azionare il tasto BACK del browser
Documento

Doc. XVI-bis , n. 1

COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE

RELAZIONE SEMESTRALE SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGGE DELEGA 5 MAGGIO 2009, N. 42, SUL FEDERALISMO FISCALE

(articolo 3, comma 5, della legge 5 maggio 2009, n. 42)

Approvata nella seduta del 24 ottobre 2019

Trasmessa alle Presidenze il 24 ottobre 2019

(ai sensi dell'articolo 3, comma 5, della legge 5 maggio 2009, n. 42)

Pag. 3

I N D I C E

1. INTRODUZIONE Pag. 5
2. L'ATTIVITÀ DELLA COMMISSIONE » 6
3. L'ART. 119 DELLA COSTITUZIONE E LA LEGGE N. 42 DEL 2009 » 8
  3.1. L'autonomia finanziaria degli Enti territoriali » 8
  3.2. La mancata attuazione della legge n. 42 del 2009 » 10
  3.3. I vincoli previsti dagli obblighi comunitari » 12
  3.4. L'autonomia finanziaria degli Enti territoriali nella giurisprudenza costituzionale » 14
4. FABBISOGNI STANDARD, LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI E CAPACITÀ FISCALE » 16
  4.1. I fabbisogni standard e i LEP » 16
  4.2. Fabbisogni standard per i comuni e le province » 17
  4.3. Fabbisogni standard per le Regioni » 20
  4.4. I fabbisogni standard nell'ambito dell'autonomia differenziata » 21
  4.5. Analisi territoriale dei costi e fabbisogni standard realizzati » 22
  4.6. Criticità per il calcolo dei fabbisogni standard, dei costi standard e dei LEP » 28
    4.6.1. I costi standard » 28
    4.6.2. Indirizzo politico e scelte tecniche » 29
    4.6.3. La mancata definizione dei LEP » 30
    4.6.4. Finanziamento dei LEP e vincoli di finanza pubblica » 31
    4.6.5. La perequazione infrastrutturale e i meccanismi di verifica » 31
  4.7. La capacità fiscale » 31
    4.7.1. La tassazione immobiliare » 33
    4.7.2. Il Tax Gap » 33
    4.7.3. Stima della componente rifiuti » 33
    4.7.4. Capacità di riscossione » 34
5. LO STATO DELLA FINANZA DEGLI ENTI TERRITORIALI » 34
  5.1. La finanza delle Regioni a statuto ordinario » 34
    5.1.1. Quadro generale » 34
    5.1.2. Il finanziamento del settore sanitario » 36
    5.1.3. Il finanziamento delle altre spese » 39
  5.2. La finanza delle Regioni a statuto speciale » 39
  5.3. La finanza dei Comuni » 41
  5.4. La finanza delle Province » 43
  5.5. La finanza delle Città metropolitane » 44
  5.6. La finanza di trasferimento dallo Stato agli Enti territoriali » 44
  5.7. Il federalismo demaniale » 45
  5.8. La perequazione e gli interventi speciali » 46
  5.9. L'equilibrio dei bilanci degli Enti territoriali » 47
  5.10. L'armonizzazione dei bilanci pubblici » 50
  5.11. Organismi di supporto al processo di definizione del federalismo fiscale » 51
6. IL REGIONALISMO DIFFERENZIATO » 52
  6.1. Il quadro costituzionale e le procedure attuative » 53
    6.1.1. L'iniziativa » 53
    6.1.2. Il ruolo degli enti locali » 54
    6.1.3. Il ruolo del Parlamento » 54
  6.2. Contenuto delle intese » 58
  6.3. Temi specifici affrontati nelle audizioni » 62
    6.3.1. Inquadramento delle intese nel quadro del principio dell'autonomia degli Enti territoriali » 62
    6.3.2. L'efficientamento amministrativo » 64
    6.3.3. Il rispetto del principio di sussidiarietà » 65
    6.3.4. Rapporti tra le iniziative delle varie Regioni » 66
    6.3.5. Questioni di ordine finanziario » 68
       6.3.5.1. Costo finanziario delle intese » 68
       6.3.5.2. Eventuali effetti redistributivi » 70
       6.3.5.3. Effetti sulla pressione fiscale » 71
       6.3.5.4. Criteri di riparto delle risorse » 72
       6.3.5.5. Autonomia differenziata e vincoli di finanza pubblica » 73
7. CONCLUSIONI » 75
  7.1. La fine della fase di transizione e l'attuazione della legge n. 42 del 2009 » 75
  7.2. Il regionalismo differenziato » 77
Pag. 5

1. INTRODUZIONE

  La Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale è stata istituita dall'articolo 3 della legge 5 maggio 2009, n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione», che ne ha disciplinato le modalità di costituzione, le funzioni e le attività. Queste ultime sono individuate dal comma 5 del predetto articolo che, tra l'altro, dispone che la Commissione verifichi lo stato di attuazione della delega e ne riferisca ogni sei mesi alle Camere fino alla conclusione della fase transitoria secondo quanto previsto dalla stessa legge 42.
  In adempimento di tale disposizione, nella XVII legislatura, la Commissione ha approvato quattro relazioni semestrali per dare conto dello stato di attuazione della legge n. 42 del 2009: la prima (Doc. XVI-bis, n. 2), del 7 agosto 2014; la seconda (Doc. XVI-bis, n. 4), del 7 maggio 2015; la terza (Doc. XVI-bis n. 6), del 30 giugno 2016; la quarta (Doc. XVI-bis n. 28), del 18 gennaio 2018.
  La presente relazione è la prima approvata nel corso della XVIII legislatura e dà conto sia dello stato di attuazione della citata legge n. 42 del 2009 sia delle iniziative in corso da parte di alcune Regioni a statuto ordinario per la definizione di intese in materia di autonomia differenziata, ai sensi dell'articolo 116, comma terzo della Costituzione, tema del quale la Commissione si è occupata, in un periodo compreso tra il febbraio e il luglio 2019, al quale la relazione fa riferimento, attraverso un ampio ciclo di audizioni che hanno visto protagoniste le Regioni, i Ministri competenti, altre istituzioni coinvolte nel procedimento nonché rappresentanti del mondo accademico.
  I due temi – la valutazione dello stato di attuazione del federalismo fiscale, ai sensi dell'articolo 119 Cost. e della legge n. 42 del 2009 e le richieste di autonomia differenziata, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma Cost., – sono strettamente connessi, per almeno due motivi.
  In primo luogo si osserva che entrambi i temi riguardano il tema del rapporto tra autonomia degli Enti territoriali e funzioni e poteri dello Stato, declinato nel primo caso con riguardo i profili dell'autonomia finanziaria degli Enti territoriali e nel secondo caso con riferimento ad un maggiore spazio di autonomia nella competenza delle Regioni relative alle materie di legislazione concorrente.
  In secondo luogo si rileva che molti dei criteri alla base della normativa di cui alla legge n. 42 (definizione dei fabbisogni e dei costi standard, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, ecc.) costituiscono un punto importante della definizione anche delle intese ai sensi dell'articolo 116, comma terzo della Costituzione, per la parte relativa all'individuazione delle risorse finanziarie connesse al trasferimento delle funzioni oggetto dell'intesa. La stessa legge delega Pag. 6contiene un articolo (articolo 14) che fa anche riferimento al regionalismo differenziato. (1)
  La circostanza di una ripresa di attenzione sul tema dell'autonomia regionale recata dalla procedura di definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, comma terzo, della Costituzione, può costituire l'occasione per il Parlamento, il Governo e le autonomie territoriali (Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni) di una riflessione, a distanza di venti e dieci anni dall'approvazione della normativa sul federalismo fiscale, in sede costituzionale e di legge delega, per la piena applicazione di tali principi e per il superamento dei notevoli inadempimenti che si sono registrati in tale periodo su questa materia.
  Per tale motivo questa relazione si articola in modo diverso rispetto alle eccellenti relazioni presentate al Parlamento nella XVI e nella XVII legislatura, allorquando la Commissione fu investita dapprima dall'espressione dei pareri previsti dalla legge sugli schemi di decreti legislativi e dei provvedimenti ministeriali e della Presidenza del Consiglio attuativi dei principi del federalismo fiscale e poi dall'analisi dello stato di attuazione di tale normativa, in un contesto istituzionale nel quale la spinta autonomistica delle Regioni e degli altri soggetti di autonomia territoriale, ai sensi dell'articolo 5 della Costituzione, è apparsa oggettivamente interrotta.
  In un contesto politico-istituzionale ove, a partire dal 2017, tale spinta è ripresa, per iniziativa delle Regioni Lombardia e Veneto (che hanno sottoposto le iniziative per la definizione delle intese ex articolo 116, terzo comma Cost. a referendum consultivi) ed Emilia-Romagna, e alla quale si sono poi aggiunte tutte le altre Regioni, salvo, allo stato, l'Abruzzo e il Molise, occorre tenere insieme i due temi.
  La Commissione è oggi chiamata ad esprimere i propri orientamenti essenzialmente sullo stato di attuazione della normativa sul federalismo fiscale, evidenziandone gli elementi positivi e le inadempienze e fornendo il proprio contributo per un positivo esito delle procedure di definizione del regime differenziato, in un quadro di coerenza ordinamentale con i princìpi del federalismo fiscale, e di approfondimento parlamentare delle tematiche sottese all'attuazione dell'articolo 119 e dell'articolo 116, comma 3, della Costituzione.

2. L'ATTIVITÀ DELLA COMMISSIONE

  La Commissione si è costituita il 30 gennaio 2019.
  A partire dal mese di febbraio 2019 la Commissione ha svolto un vasto ciclo di audizioni, il cui filo conduttore è stato quello di affrontare congiuntamente i temi dello stato di attuazione della legge n. 42 del 2009, con particolare attenzione alla mancata realizzazione di parte rilevante di tale normativa, attuativa dell'articolo 119 della Costituzione, e, contemporaneamente, dello sviluppo delle iniziative per la definizione delle citate intese, ai sensi dell'articolo 116, comma terzo, della Costituzione.

Pag. 7

  Sono state svolte le seguenti audizioni:

21 febbraio 2019 Ministra per gli affari regionali Erika Stefani.
7 marzo 2019 Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome e Presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini (con la partecipazione del coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome Davide Carlo Caparini).
20 marzo 2019 Presidente Anpci (Associazione Nazionale Piccoli Comuni d'Italia), Franca Biglio (con la partecipazione del consulente dell'Anpci Vito Mario Burgio).
21 marzo 2019 Presidente e amministratore delegato SOSE (Soluzioni Per Il Sistema Economico S.P.A.) Antonio Dorrello e Vincenzo Atella (con la partecipazione del responsabile analisi della finanza pubblica SOSE Marco Stradiotto).
27 marzo 2019 Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana.
28 marzo 2019 Presidente IFEL – Istituto per la Finanza e l'Economia Locale – Fondazione Anci, Guido Castelli.
Vice Presidente Unione delle Province d'Italia (Upi) Carlo Riva Vercellotti (in rappresentanza del Presidente Michele De Pascale).
3 aprile 2019 Presidente della Regione Veneto Luca Zaia.
10 aprile 2014 Ministra della salute Giulia Grillo.
18 aprile 2019 Ministro dell'economia e delle finanze Giovanni Tria.
9 maggio 2019 Ministra per il sud Barbara Lezzi.
29 maggio 2019 Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Giancarlo Giorgetti.
6 giugno 2019 Presidente della Commissione Tecnica Per I Fabbisogni Standard (Ctfs)
Giampaolo Arachi.
12 giugno 2019 Alessandro Petretto, professore emerito di Economia pubblica presso l'Università degli Studi di Firenze; Alberto Lucarelli, professore di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II»; Enzo Balboni, professore emerito di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
13 giugno 2019 Antonio Saitta, professore di Diritto costituzionale presso l'Università di Messina; Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata presso l'Università di Bari; Barbara Randazzo, professoressa di Diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Milano.
20 giugno 2019 Ernesto Longobardi, professore di Scienza delle finanze presso l'Università di Bari; Giovanna Petrillo, professoressa di Diritto tributario presso il dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli.
26 giugno 2019 Floriana Margherita Cerniglia, professoressa di Economia politica presso la l'Università Cattolica di Milano.
3 luglio 2019 Maria Cecilia Guerra, professoressa di Scienza delle finanze presso l'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
10 e 17 luglio 2019 Alberto Zanardi, membro del Consiglio dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio.
17 luglio 2019 Maurizio Graffeo, Presidente della Sezione Autonomie della Corte dei conti, e consiglieri Alfredo Grasselli e Adelisa Corsetti.
Pag. 8

3. L'ART. 119 DELLA COSTITUZIONE E LA LEGGE N. 42 DEL 2009

3.1. L'autonomia finanziaria degli Enti territoriali

  La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di riforma del Titolo V della Costituzione, ha creato un «nuovo» modello dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie territoriali, secondo un modello di federalismo fiscale ispirato da un complessivo rafforzamento delle ragioni dell'autonomia.
  È utile ricordare brevemente il quadro normativo di riferimento.
  Il federalismo fiscale costituisce attuazione dei princìpi di cui all'articolo 5 della Costituzione, che prevede che la Repubblica, una e indivisibile, riconosca e promuova le autonomie locali, adeguando i princìpi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.
  Tale assetto trova la sua declinazione nell'articolo 119 della Costituzione, come modificato dalle leggi costituzionali n. 3/2001 e n. 1/2012.
  Il primo comma sancisce che le Regioni e gli enti locali sono dotati di «autonomia finanziaria di entrata e di spesa», nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. A tal fine il secondo comma precisa che godono di «risorse autonome» rappresentate da tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e il terzo comma prevede che dispongano di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio. Il quarto comma stabilisce che per i territori con minore capacità fiscale per abitante, la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo senza vincoli di destinazione.
  Il superamento del sistema di finanza per trasferimento da parte dello Stato è sancito dal quinto comma dell'articolo 119 che stabilisce che tali risorse nel loro complesso devono consentire alle Regioni ed agli altri enti locali di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
  In tema di perequazione tra le diverse realtà territoriali, per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, rimuovere gli squilibri economici e sociali, favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona o provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, il sesto comma prevede che lo Stato possa destinare risorse aggiuntive ed effettuare «interventi speciali» a favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. La funzione di perequazione delle risorse finanziarie è materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lett. e), della Costituzione).
  In tema di autonomia patrimoniale il settimo comma prevede che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato. Gli ultimi due commi prevedono che gli Enti territoriali possano ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con contestuale definizione di piani di ammortamento Pag. 9e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio e con esclusione di ogni garanzia dello Stato sui prestiti.
  Il rapporto tra Stato ed Enti territoriali in materia tributaria e contabile è fissato con chiarezza dall'articolo 117, secondo comma, lettera e), Cost., che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di «sistema tributario e contabile dello Stato, armonizzazione dei bilanci pubblici e perequazione delle risorse finanziarie. Lo Stato e le Regioni hanno competenza legislativa concorrente nella materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, nella quale è riservata alla competenza legislativa dello Stato la determinazione dei princìpi fondamentali (articolo 117, terzo comma, Cost.).
  La legge 5 maggio 2009, n. 42, ha dato attuazione all'articolo 119 Cost., attribuendo al Governo una delega complessa negli oggetti, nei princìpi e nei criteri direttivi, a ragione della obiettiva difficoltà di assicurare la transizione da un regime di finanza di trasferimento ad uno di autonomia finanziaria degli Enti territoriali e di loro conseguente maggiore responsabilizzazione nella gestione delle risorse.
  Il legislatore del 2009 ha inteso assicurare agli Enti territoriali accanto all'autonomia la necessaria responsabilità finanziaria, al fine di accrescere la trasparenza e la possibilità di verificare l'azione degli amministratori pubblici locali e l'utilizzazione delle risorse finanziarie.
  Il «valore sistemico della legge n. 42 del 2009» è stato sottolineato nel corso delle audizioni dal Governo, che ha affermato (v. audizione del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giorgetti del 29 maggio 2019) che «la legge n. 42 e i successivi decreti legislativi segnano una sorta di spartiacque nella storia delle relazioni fra centro e periferia istituzionale nel nostro Paese. È stato il più importante tentativo di raddrizzare l'albero storto della finanza pubblica italiana.»
  I princìpi fondamentali sono i seguenti:
   superamento della finanza di trasferimento, con eliminazione dal bilancio statale delle poste di spesa per finanziare gli Enti territoriali, sostituita da un'autonomia finanziaria con risorse proprie (c.d. fiscalizzazione dei trasferimenti e superamento del sistema di finanza derivata); per le Regioni si tratta di tributi regionali, istituiti con legge regionale e di tributi propri derivati, istituiti con legge statale, ove la legge regionale definisce la variazione delle aliquote, le esenzioni, le detrazioni e le deduzioni; per gli Enti locali di tributi istituiti con legge regionale;
   esclusione della doppia imposizione tra Stato e Enti territoriali (fatte le salve le addizionali degli enti su tributi statali), realizzata attraverso la riduzione delle imposte statali pari all'accrescimento dell'autonomia di entrata degli Enti territoriali; mantenimento del principio della progressività fiscale; contrasto a evasione ed elusione fiscale, con introduzione di meccanismi premiali, a tutti i livelli istituzionali;
   il sistema di finanza di trasferimento rimane per settori specifici, quali la spesa sanitaria e l'assistenza e il trasporto pubblico locale, con meccanismi di finanza derivata a destinazione vincolata;
   mantenimento di una doppia funzione perequativa, per superare le differenze territoriali per gli enti con minore capacità di finanziamento: perequazione integrale a costi standard per LEP relativi ai Pag. 10diritti civili e sociali e funzioni fondamentali; perequazione non integrale per altre funzioni e spese decentrate; tale funzione è riservata alla competenza esclusiva dello Stato e prevede l'adozione di strumenti di finanza di trasferimento da parte dello Stato;
   a finalità perequative e di superamento delle diversità territoriali vi è la possibilità, sempre con finanza di trasferimento da parte dello Stato, di disporre ulteriori risorse per interventi speciali, ad esempio nel settore infrastrutturale; eventuali finanziamenti comunitari non potranno avere valenza sostitutiva dei contributi dello Stato;
   possibilità di indebitamento per gli Enti territoriali solo per spese di investimento;
   individuazione del fabbisogno finanziario degli Enti territoriali con riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) relative ai diritti civili e sociali (articolo 117, secondo comma, lett. m) Cost.: sanità, assistenza, istruzione, funzionamento delle Regioni) e alle funzioni fondamentali (articolo 117, secondo comma, lett. p) Cost.). I LEP consentono il passaggio da un sistema di trasferimenti fondati sulla spesa storica ad un finanziamento, basato su fabbisogni e costi standard, ovvero parametri oggettivi che tengono conto delle diverse realtà territoriali e della necessità di assicurare servizi omogenei in tutto il territorio nazionale. Per la spesa relativa alle funzioni corrispondenti al LEP è garantito il finanziamento integrale del fabbisogno. La definizione dei LEP è di competenza statale.

3.2. La mancata attuazione della legge n. 42 del 2009

  Tra gli interventi normativi che danno effettiva attuazione alla legge n. 42 si ricordano:
   • la determinazione dei fabbisogni standard, per una P.A. più efficiente e trasparente e definizione delle capacità fiscali standard per gli enti locali;
   • la modifica dei sistemi contabili degli enti locali e loro armonizzazione;
   • l'adozione di nuove regole sulla armonizzazione dei bilanci pubblici, con il riaccertamento straordinario dei residui e la creazione del Fondo crediti di dubbia esigibilità per rafforzare il legame tra situazione contabile effettiva e bilanci di riferimento.

  Per altra parte la legge n. 42/2009 è rimasta largamente inattuata, sia per il mancato esercizio di parte del potere di delega, sia per una legislazione sopravvenuta successiva, con il perdurare di una fase di transizione, che ha mantenuto il carattere di finanza di trasferimento da parte dello Stato.
  Il Ministro dell'economia e delle finanze Giovanni Tria (2) ha espresso in audizione il convincimento che il disegno della legge n. 42 del 2009 sia ancora ampiamente condivisibile e che il percorso per la sua piena attuazione debba continuare, potenziando l'autonomia Pag. 11finanziaria, oggi riconosciuta solo in parte agli enti decentrati, e mettendo a punto i meccanismi di perequazione, oggi largamente disattesi con particolare riguardo al finanziamento integrale del fondo di solidarietà comunale.
  Tale fenomeno si sostanzia, pertanto, in una sostanziale disapplicazione dell'articolo 119 della Costituzione.
  Già nell'analisi della Commissione della scorsa legislatura era emerso il carattere derogatorio rispetto ai princìpi della legge n. 42 di molte successive modifiche legislative, motivate dall'esigenza di contenimento della spesa pubblica.
  Come già evidenziato dalla Commissione nell'ultima relazione approvata nella scorsa legislatura (Doc. XVI-bis n. 28, del 18 gennaio 2018) rimangono numerosi i mancati adempimenti delle previsioni della legge n. 42 del 2009.
  Il mancato esercizio del potere di delegazione legislativa e dei decreti legislativi ha riguardato alcuni importantissimi settori: la definizione dei LEP per i beni e servizi pubblici comunali ai fini della relativa perequazione integrale; la definizione dei fabbisogni standard e dei LEP per le regioni;» l'autonomia di entrata per gli enti locali, sia comuni che province; l'inadeguata adozione di meccanismi sanzionatori e premiali, che determina una penalizzazione per gli enti virtuosi che non aumentino le aliquote (es. per IMU) e un premio agli enti che hanno utilizzato la leva fiscale per rimediare ai conti in disordine. Un esempio in tal senso è dato dalla normativa sull'IMU: mentre la legge n. 42 vietava l'incremento della pressione fiscale, con la riforma dell'IMU, poi divenuta TASI, TARI e IMU, vi è stato un ampliamento della base imponibile, con riduzione del grado di autonomia impositiva degli enti (che possono scegliere tra un minimo e un massimo di aliquote); la legge di stabilità per il 2016, abolendo la Tasi sull'abitazione principale, ha cancellato circa 3,6 miliardi di euro di gettito per gli enti, aumentando in tal modo la dipendenza dai trasferimenti statali.
  Per le deleghe esercitate si rinvia alla citata Relazione approvata dalla Commissione il 18 gennaio 2018.
  Relativamente ai fabbisogni standard e ai LEP, per le Regioni tale inadempienza si riverbera anche nella procedura di definizione delle intese per l'autonomia differenziata ai sensi dell'articolo 116, comma terzo, Cost., per le quali nelle bozze di intesa pubblicate nel sito del Ministero per gli affari regionali si fa riferimento ad altri criteri (spesa storica e media pro capite nazionale) in assenza dei fabbisogni e dei LEP, tuttora non definiti dallo Stato.
  La legislazione in materia di finanza pubblica successiva alla legge n. 42/2009 è stata contrassegnata da interventi di carattere emergenziale, per le necessità di fronteggiare l'equilibrio dei conti pubblici, in un lungo periodo di crisi finanziaria nazionale ed internazionale, di rispettare i vincoli imposti dagli obblighi comunitari e di ridurre i trasferimenti statali agli Enti territoriali. In questo quadro, è mancato, e tuttora manca, un sistema di finanziamento assestato in cui inquadrare il finanziamento specifico delle funzioni eventualmente devolute. (3)
  Nei punti successivi saranno esaminati i contenuti della legislazione vigente nei diversi settori della finanza degli Enti territoriali, al fine Pag. 12di evidenziare le «tendenze di neo-centralismo» in materia. È stato definito come tale in audizione, nel quadro di un logoramento del decentramento e dell'autonomia anche per via finanziaria, che ha deformato l'impianto della legge 42 del 2009. (4)
  In generale, vi è stata una nuova espansione dei trasferimenti statali e una severa predeterminazione degli spazi di manovrabilità degli enti, una compensazione basata sul gettito effettivo e non sulle eventuali variazioni dal lato della base imponibile e sul maggior gettito potenziale dei Comuni per gli spazi di autonomia fiscale disponibili e il ripristino della tesoreria unica per gli Enti territoriali ha rafforzato il coordinamento statale verso l'autonomia degli enti.
  Dopo il 2011 si è assistito ad una fase di congelamento del federalismo fiscale, che sostanzialmente si è protratta sino ad oggi, disattendendo così l'impostazione della legge n. 42/2009 di fiscalizzazione dei trasferimenti erariali.
  Circa il concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, le autonomie territoriali sono state chiamate a compartecipare allo sforzo di risanamento della finanza pubblica, a partire dal 2010-2011.
  Va ricordato, da ultimo, che alle Regioni (anche a statuto speciale) e alle Province autonome, per gli anni dal 2017 al 2019, è stato imposto dall'articolo 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) un contributo complessivo in ragione di 3.980 milioni di euro per il 2017 e 5.480 milioni di euro sia per il 2018 che per il 2019. Come avvenuto per gli esercizi precedenti, le Regioni, in sede di auto coordinamento, individuano gli ambiti di spesa da tagliare, incluse le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza.
  Altri strumenti che lo Stato ha utilizzato per assicurare la compartecipazione degli Enti territoriali al risanamento della finanza pubblica sono stati gli interventi sul patto di stabilità interno, poi sostituito dal vincolo del pareggio di bilancio richiesto dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, i tagli lineari dei trasferimenti dello Stato, la revisione della spesa, con correlati risparmi o versamenti per il bilancio dello Stato e il ripristino del sistema di tesoreria unica.
 Tale complesso di misure ha reso difficile la programmazione di bilancio degli enti, incidendo sull'efficacia dell'azione amministrativa.

3.3. I vincoli previsti dagli obblighi comunitari

  Tale assetto normativo è stato integrato dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che ha introdotto il principio del pareggio di bilancio, modificando sia l'articolo 81 che l'articolo 119, primo comma Cost., nel senso di prevedere che le Regioni e gli enti locali abbiano autonomia finanziaria di entrata e di spesa nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e che concorrano ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea.Pag. 13
  In attuazione della legge costituzionale n. 1/2012, la legge «rinforzata» 24 dicembre 2012, n. 243, approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, al fine di assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni, ha previsto una serie di vincoli a carico degli Enti territoriali e di misure di controllo della finanza pubblica rispondenti ad inevitabili logiche di centralizzazione del sistema.
  Il concorso, ai sensi dell'articolo 97, primo comma, della Costituzione, di tutte le amministrazioni pubbliche al principio dell'equilibrio dei bilanci, si consegue quando il saldo strutturale, calcolato nel primo semestre dell'esercizio successivo a quello di riferimento, risponda ad almeno una delle seguenti condizioni: a) risulti almeno pari all'obiettivo di medio termine ovvero evidenzia uno scostamento dal medesimo obiettivo inferiore a quello indicato dall'articolo 8, comma 1; b) assicuri il rispetto del percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine ovvero evidenzi uno scostamento di tale percorso inferiore a quello indicato;
  Il concorso, ai sensi dell'articolo 97, primo comma, della Costituzione, di tutte le amministrazioni pubbliche ad assicurare la sostenibilità del debito pubblico, si realizza quando il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo indicato nei documenti di programmazione finanziaria e di bilancio supera il valore definito dall'Unione europea, sia garantito da una riduzione in coerenza con il criterio e la disciplina in materia di fattori rilevanti previsti dal medesimo ordinamento, essendo vietato il ricorso all'indebitamento per operazioni relative alle partite finanziarie.
  La legge n. 243/2012 dispone che i bilanci degli Enti territoriali si considerino in equilibrio quando, sia in sede di previsione che di rendiconto, conseguano un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali. Per il 2017-2019, con la legge di bilancio, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale, è prevista l'introduzione del fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa. A decorrere dal 2020 tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali. Se il rendiconto di gestione registra un valore negativo del saldo, l'ente adotta correzioni per assicurare il recupero entro il triennio successivo, in quote costanti.
  Con legge dello Stato devono essere definiti meccanismi premiali da applicare agli Enti territoriali, in rapporto all'equilibrio dei bilanci, alla qualità dei servizi, alla contenuta pressione fiscale, al tasso di incremento dell'occupazione negli Enti territoriali, ovvero di meccanismi sanzionatori in caso di mancato rispetto degli obiettivi di finanza pubblica (ad es. con l'ineleggibilità di amministratori per dissesto finanziario) o per mancato rispetto dei LEP o del livello delle funzioni fondamentali (ad es. con la previsione di un potere sostitutivo da parte dello Stato).
  Al fine di assicurare il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, la legge dello Stato, sulla base di criteri analoghi a quelli previsti per le amministrazioni statali e in base a parametri di virtuosità, può prevedere ulteriori obblighi a carico degli Pag. 14Enti territoriali per il concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica.
  Per le fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali, la legge prevede una specifica disciplina volta ad assicurare il concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali.

3.4. L'autonomia finanziaria degli Enti territoriali nella giurisprudenza costituzionale

  La giurisprudenza della Corte costituzionale ha conosciuto diverse fasi nell'interpretazione dei princìpi del federalismo fiscale.
  Prima del 2011 (in particolare con le sentenze n. 417 del 2005, n. 390 del 2004 e n. 375 del 2003), la Corte aveva precisato, in merito alla fissazione dei princìpi legislativi fondamentali da parte dello Stato che, affinché i vincoli statali potessero considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali, dovessero avere a oggetto o l'entità del disavanzo di parte corrente oppure, ma solo in via transitoria e in vista di specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, la crescita della spesa corrente degli enti autonomi. La legge statale può «stabilire solo un limite complessivo, che lascia agli stessi enti ampia libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e i diversi obiettivi di spesa». La sentenza n. 390 del 2004 precisava che la previsione da parte della legge statale di limiti all'entità di una singola voce di spesa non potesse essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica, perché l'apposizione con legge statale di un precetto specifico e puntuale sull'entità della spesa costituisce un'indebita invasione dell'area riservata alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge statale può prescrivere criteri e obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti per raggiungere quegli obiettivi.
  Dal 2011, invece, la Corte ha fornito una lettura estensiva della competenza statale in tema di coordinamento della finanza pubblica, considerandola sostanzialmente una materia di competenza esclusiva statale.
  La sentenza n. 273 del 2013 ha riconosciuto legittimo il protrarsi della fase transitoria, con il perdurare di forme di finanza derivata – ad esempio per il trasporto pubblico locale, in contrasto con l'articolo 119 Cost., motivato con la crisi economica nazionale e internazionale, con la conseguenza che il modello costituzionale di autonomia finanziaria deve in buona parte essere ancora realizzato.
  Con le sentenze n. 182 del 2011, n. 79 del 2013 e n. 64 del 2016 è stata ritenuta legittima la trasformazione del principio di coordinamento della finanza pubblica (articolo 117, terzo comma, Cost.) in principio di contenimento della spesa pubblica, con estensione della competenza statale in tema di coordinamento della finanza pubblica, avvicinandola a materia di competenza esclusiva statale. La legge statale può legittimamente imporre agli enti, con una disciplina che assume valore di princìpi fondamentali dell'ordinamento, misure per il coordinamento finanziario connesso a obblighi comunitari e vincoli Pag. 15complessivi, seppure transitori, alle politiche di bilancio degli enti, anche con limitazioni indirette alla loro autonomia di spesa.
  Una parziale revisione della giurisprudenza della Corte costituzionale si è avuta a partire dal 2015 (sentenze n. 272 nel 2015 e n. 65 del 2016), riaffermando princìpi di federalismo fiscale: lo Stato deve giustificare l'esercizio del potere di coordinamento per il perseguimento di chiari obiettivi di politica della spesa, con interventi proporzionali e virtuosi e forme di coordinamento «per obiettivi» meno pervasivi e non giustificati dal solo riferimento al principio del pareggio di bilancio, che lascino maggior spazio agli Enti territoriali. Devono essere valorizzate le intese in Conferenza Unificata per assicurare una maggiore condivisione degli obiettivi di finanza pubblica, e bilanciare la tutela degli equilibri finanziari con la garanzia delle autonomie territoriali. Nella sentenza n. 65 del 2016 la Corte costituzionale, affermando che una vera autonomia presuppone la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni per i servizi concernenti i diritti civili e sociali, attraverso moduli di leale collaborazione tra Stato e Regioni, sollecita il legislatore statale a procedere con la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni.
  Nella sentenza n. 101 del 2018 la Corte costituzionale ha affermato che « l'equilibrio complessivo – a meno di non voler pregiudicare con una sproporzionata compressione l'autonomia di un singolo ente territoriale – deve essere congruente e coordinato con l'equilibrio della singola componente aggregata se non si vuole compromettere la programmazione e la scansione pluriennale dei particolari obiettivi che compongono la politica della Regione e dell'ente locale».
  Nella sentenza n. 6 del 2019 la Corte ha chiarito come anche «le diacroniche rimodulazioni derivanti dalle pronunzie della Corte non possono essere rinviate ad libitum, ma devono essere adottate tempestivamente e comunque entro la prima manovra di finanza pubblica utile, perché altrimenti gli interessi costituzionalmente tutelati rimarrebbero nella sostanza privi di garanzia».
  Questo quadro impone alla Commissione di esaminare con chiarezza i limiti dell'applicazione della legge n. 42 del 2009 e di valutare lo stato di mancata attuazione dell'autonomia delle Regioni come elemento rilevante per la comprensione delle iniziative intraprese per ottenere l'autonomia differenziata, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Il federalismo fiscale e l'autonomia differenziata sono temi entrambi attinenti al principio di autonomia finanziaria delle Regioni.
  Dieci anni di inadempimento delle previsioni costituzionali e della legge n. 42 del 2009 non possono non essere considerati per una valutazione obiettiva delle richieste in atto di definizione delle intese.
  Qualora l'articolo 119, le altre norme costituzionali descritte e la legge n. 42 del 2009 fossero state pienamente attuate, vi sarebbe stata, ben prima, o ben più forte, la spinta politica e l'interesse istituzionale che ha mosso le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna e poi le altre Regioni presentatrici di richiesta di intesa ad attivare la procedura di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Nonostante siano passati quasi venti anni dall'approvazione del Titolo V, i ritardi e la continua fase di stallo di un disegno ordinato delle relazioni finanziarie tra i livelli di governo in Italia potrebbero aver Pag. 16anche aver contribuito ad accelerare le richieste di esercizio di maggiore autonomie da parte delle Regioni richiedenti.
  Se la questione cui occorre dare risposta è quella di una scelta contrapposta, legittimamente dal punto di vista politico, tra sistema centralistico e assetto autonomistico, si possono sostenere entrambe le prospettive.
  Va tuttavia ricordato che ci si trova in presenza di un quadro costituzionale e legislativo di riferimento che ha dato una risposta positiva alla questione, sancendo dal punto di vista normativo la prospettiva di percorsi di incremento dell'autonomia degli enti regionali, temperati da una serie di limiti, già citati, in primis la prospettiva degli interventi perequativi statali per garantire l'omogeneità delle diverse realtà territoriali, attraverso la riforma del 2001 del Titolo V della Costituzione e la legge n. 42 del 2009, che tra l'altro sono stato il risultato dell'azione di Parlamenti e Governi di diverso orientamento politico.
  Questo dato non può essere dimenticato per una valutazione obiettiva dei problemi che interessano questa stagione politico-istituzionale, per portare un contributo costruttivo all'individuazione di soluzioni a questioni che sono sul terreno e che le logiche di contrapposizione aprioristica, molto frequenti nel dibattito fuori del Parlamento, non contribuiscono a risolvere.

4. FABBISOGNI STANDARD, LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI E CAPACITÀ FISCALI

4.1. I fabbisogni standard e i LEP

  I fabbisogni standard e le capacità fiscali costituiscono il fondamento dell'autonomia finanziaria degli Enti territoriali di cui alla legge n. 42 del 2009, fondato sui criteri oggettivi del differenziale tra i primi e le seconde per definire il quantum delle risorse da ripartire e non già sul criterio disomogeneo costituito dalla spesa storica.
  Alla base del nuovo assetto dei rapporti finanziari tra lo Stato e gli enti locali vi è il superamento del sistema di finanza derivata e l'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali, nel rispetto dei princìpi di solidarietà e di coesione sociale.
  I fabbisogni standard e le capacità fiscali, introdotti con il decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, costituiscono i parametri cui ancorare il finanziamento delle spese fondamentali di comuni, città metropolitane e province, al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica, a vantaggio dell'attribuzione di risorse basate sull'individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali delle funzioni fondamentali degli enti locali. Tale processo è volto a garantire la massima responsabilizzazione di tutti i livelli di governo e l'effettività e la trasparenza del controllo democratico degli eletti da parte degli elettori. Insieme con le capacità fiscali i fabbisogni standard costituiscono i parametri sulla base dei quali ripartire il Fondo di solidarietà comunale costituito per la perequazione integrale dei livelli essenziali delle prestazioni.Pag. 17
  I fabbisogni standard esprimono il livello ottimale di un servizio valutato a costo standard ed esprimono quindi il peso specifico di ogni ente in termini di fabbisogno finanziario. I fattori di domanda e offerta, estranei alle scelte discrezionali degli amministratori locali, cui si collegano i differenziali di costo e di bisogno, sono sintetizzati in un coefficiente di riparto.
  Le necessità finanziarie sono espressione dei servizi offerti, delle caratteristiche territoriali e degli aspetti sociali, economici e demografici della popolazione residente nell'Ente territoriale. I fabbisogni sono poi utilizzati per distribuire un ammontare stabilito di risorse, secondo un coefficiente di riparto.
  Il D.Lgs. n. 216 del 2010 prevede che i fabbisogni standard riguardino le funzioni fondamentali dei comuni delle Regioni a statuto ordinario: funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo; funzioni di polizia locale; funzioni di istruzione pubblica; funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti; funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente; funzioni nel settore sociale. Per le province si tratta delle funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica, del campo dei trasporti della gestione del territorio, della tutela ambientale, dello sviluppo economico relativamente ai servizi del mercato del lavoro.
  La determinazione dei LEP costituisce materia di competenza legislativa esclusiva statale. Si segnala che dirimente per la quantificazione finanziaria del fabbisogno è altresì la questione della determinazione dei LEP, come viene chiarito meglio nei paragrafi che seguono.
  Per le Regioni sono stati definiti (5) i livelli essenziali di assistenza (LEA) per il settore sanitario. Questa mancanza, che inevitabilmente compromette l'osservanza dei princìpi di uguaglianza, libertà e solidarietà costituzionalmente protetti, è necessaria ai fini di una corretta e completa applicazione della normativa vigente sia in tema di federalismo della finanza comunale che in tema di regionalismo differenziato. Manca perciò il punto di riferimento per la definizione del giusto livello di risorse per ciascun ente e ciò rileva in particolare nell'ambito delle funzioni fondamentali, per le quali è previsto il finanziamento integrale attraverso l'autonomia impositiva e, se non sufficiente, attraverso il fondo perequativo. Per le altre funzioni o tipologie di spese decentrate opera la perequazione delle capacità fiscali, per tenere conto di livelli di risorse differenziati nei territori.
  Mentre per gli enti locali le previsioni legislative sono state in parte rispettate, per le Regioni vi è allo stato uno dei principali inadempimenti concernenti la legge n. 42 del 2009.

4.2. Fabbisogni standard per comuni e province

  Sono stati emanati in materia:
   • D.P.C.M. 21 dicembre 2012 Note metodologiche e fabbisogni standard delle funzioni fondamentali di polizia locale per i comuni e dei servizi del mercato del lavoro per le province;Pag. 18
   • D.P.C.M. 23 luglio 2014 Note metodologiche e fabbisogni standard per comuni e province relativi alle funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo;
   • D.P.C.M. 27 marzo 2015 Note metodologiche e fabbisogni standard per i comuni per le funzioni di istruzione pubblica, viabilità e trasporti, gestione del territorio e dell'ambiente e settore sociale;
   • D.P.C.M. 29 dicembre 2016 Revisione della metodologia di determinazione dei fabbisogni standard e aggiornamento dei coefficienti di riparto dei fabbisogni standard delle funzioni fondamentali dei comuni delle Regioni a statuto ordinario: i nuovi parametri di spesa dei fabbisogni, congiuntamente alla capacità fiscale, si applicano dal 2017 per ripartire il 40 per cento del Fondo di solidarietà comunale, per le funzioni di: istruzione pubblica; servizio smaltimento rifiuti; servizi di asili nido; funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo; funzioni di polizia locale; funzioni nel campo della viabilità; funzioni nel campo dei trasporti; altre funzioni nel settore sociale.
   • D.P.C.M. 21 luglio 2017 Nota metodologica per la determinazione dei fabbisogni standard e i coefficienti di riparto dei fabbisogni per province e città metropolitana per le funzioni fondamentali dell'istruzione (programmazione provinciale della rete scolastica e gestione dell'edilizia scolastica); del territorio (costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale); dell'ambiente (pianificazione territoriale di coordinamento, tutela e valorizzazione dell'ambiente); dei trasporti (pianificazione dei servizi di trasporto, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato); di funzioni generali (raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa ad enti locali).

  Da ultimo, con i D.P.C.M. 22 dicembre 2017 e 18 aprile 2019 sono stati aggiornati i fabbisogni standard dei comuni rispettivamente per il 2018 e 2019 a metodologie invariate.
  La definizione dei fabbisogni standard per circa 6.700 comuni e 323 unioni di comuni delle Regioni a statuto ordinario, 390 comuni e 52 unioni di comuni in Sicilia, 83 province, 186 comunità montane, è stata condotta dalla società partecipata dal MEF SOSE s.p.a., avvalendosi dell'Istituto per la finanza e per l'economia locale (IFEL), attraverso varie fasi: acquisizione di elementi conoscitivi dalle fonti ufficiali; rilevazione di dati attraverso questionari specifici a ciascun ente per ogni funzione fondamentale; costruzione di una banca dati per l'analisi degli output, degli input, delle modalità di gestione e delle scelte organizzative adottate nel processo di produzione dei servizi.
  Nell'audizione con la SOSE S.p.a. è stato approfondito il tema dei fabbisogni standard. (6)
  I fabbisogni standard consentono un'approfondita verifica delle modalità di esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali e della struttura della spesa, stimando statisticamente il fabbisogno finanziario di un ente, in base alle caratteristiche territoriali, agli Pag. 19aspetti sociodemografici della popolazione residente e alle caratteristiche strutturali dell'offerta dei servizi, ma non forniscono elementi probanti con riguardo alla qualità dei servizi.
  I fabbisogni standard permettono di determinare un'equa distribuzione delle risorse, perché individuano il reale fabbisogno di un particolare territorio, permettono anche di valutare se le risorse stanziate sono sufficienti a garantire l'erogazione delle funzioni assegnate e di monitorare il livello delle prestazioni effettivamente erogate, di stabilire se le risorse necessarie consentono di garantire i servizi in modo uniforme e, infine, forniscono al decisore politico una serie di elementi per valutare quali servizi sono obbligatori e quali no.
  Ne deriva la possibilità di stabilire ciò che è obbligatorio dare e quello che, invece, è superfluo da un punto di vista della spesa pubblica, confrontando gli enti e individuando «best practices».
  Le variabili considerate sono più di 70. (7) I dati raccolti sono organizzati e pubblicati sul portale OpenCivitas. Tra i profili che necessitano di perfezionamento si segnala l'esigenza di prevedere un livello minimo uniforme, cioè definire i livelli essenziali delle prestazioni e considerare il carico di costo aggiuntivo recato da determinati fattori, ad esempio le seconde case che comunque comportano costi per la spesa dei singoli comuni.
  Importante è l'affermazione fatta dalla SOSE nella citata audizione circa il fatto che «i fabbisogni standard possono essere visti come un tema fondamentale per ricucire il Paese, ovvero per riuscire a far capire esattamente cosa si fa nel Paese e, quindi, in una maniera oggettiva fare in modo che una serie di luoghi comuni vengano sfatati.»
  Sono sottoposti al parere parlamentare le modifiche alla metodologia in quanto presuppongono scelte politiche nella rilevazione e pesatura dei fattori e non anche gli aggiornamenti dei dati di riferimento. Già nella scorsa legislatura la Commissione si espresse nel senso di estendere il ruolo del Parlamento anche a questa seconda ipotesi, non essendo agevole distinguere le modifiche nel riparto delle risorse conseguenti all'aggiornamento della metodologia da quelle dovute alla diversa base dei dati di riferimento.
  Attiene al profilo delle scelte politiche misurare il livello delle prestazioni essenziali quale soglia di bene e/o servizio pubblico da erogare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, indipendentemente dall'offerta locale, così come la Costituzione afferma.
  Va ricordato, in tema di raccordo tra fase tecnica e politica, che la legge di bilancio 2018 (legge n. 205 del 2017, articolo 1, comma 883) prevede che la Commissione tecnica per i fabbisogni standard presenti alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale una relazione, con cadenza biennale, sullo stato di attuazione delle norme in materia di federalismo fiscale, con particolare riferimento Pag. 20ai livelli essenziali delle prestazioni e al funzionamento dello schema perequativo. Va sottolineata l'esigenza di richiedere alla CTFS e al SOSE di calcolare i LEP per i comuni e i LEP e i fabbisogni standard per le Regioni.

4.3. Fabbisogni standard per le Regioni

  I fabbisogni standard per gli enti locali sono stati definiti e si tratta di affinare e migliorare nel tempo le metodologie; per le Regioni, invece, è in corso di definizione da parte della SOSE s.p.a. la rilevazione dei fabbisogni standard per le Regioni per le spese diverse dalla sanità, quali i trasporti, il diritto allo studio e l'orientamento professionale, «mentre per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni occorre uno sforzo ulteriore in ambito politico». (8)
  In tale ambito, infatti, non è stato ancora attuato l'articolo 13 del D.Lgs. n. 68 del 2011 in tema di livelli essenziali delle prestazioni.
  L'articolo 1, comma 778, della legge n. 205/2017 (legge di bilancio per il 2018), ha rinviato nuovamente al 2020, l'entrata in vigore dei nuovi meccanismi di finanziamento delle funzioni regionali relative ai livelli essenziali di assistenza ed ai livelli essenziali delle prestazioni di cui al d.Lgs n. 68 del 2011.
  Sulla complessità di tale operazione la SOSE, nell'audizione citata, ha ribadito la necessità di tenere insieme i livelli essenziali delle prestazioni e l'offerta attuale di servizi, anche a domanda individuale, con i relativi problemi di standardizzazione.
  Nell'audizioni con la CTFS (9) è stato descritto il percorso per la definizione dei fabbisogni standard per le Regioni a statuto ordinario. Si tratta in sostanza di determinare i fabbisogni standard nelle materie diverse dalla sanità.
  La procedura prevede che la CTFS provveda a determinare i fabbisogni standard e le capacità fiscali standard per le Regioni a statuto ordinario, avvalendosi della ricognizione svolta dalla SOSE S.p.a., (10) in collaborazione con ISTAT e con la Struttura tecnica di supporto alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome presso il Centro interregionale di Studi e Documentazione – (CINSEDO), relativa ai livelli essenziali che le Regioni garantiscono e dei relativi costi.
  I passaggi descritti alla Commissione sono quattro: individuare e standardizzare la spesa corrente di riferimento, stimata in 11,66 miliardi; individuare il livello dei servizi offerti; calcolare, se possibile, i costi unitari standard; derivare la spesa standard di riferimento.
  Circa la metodologia, occorrerà verificare se si potranno applicare alle Regioni le tecniche già applicate nel caso dei comuni, in quanto per le Regioni i dati a disposizione sono molto inferiori. In alternativa si potrebbe considerare un approccio analogo a quello per la Pag. 21determinazione dei fabbisogni sanitari, individuando per ogni settore una o più Regioni benchmark che risultano essere efficienti nella fornitura di quei servizi e utilizzare il costo medio storico delle Regioni benchmark per quantificare la spesa. Di qui la necessità di definire i LEP, per poterli poi valorizzare al costo unitario.

4.4. I fabbisogni standard nell'ambito dell'autonomia differenziata

  Per la determinazione delle risorse le bozze d'intesa informali fanno riferimento (11) al criterio iniziale della spesa storica, successivamente sostituita dalla rideterminazione per ogni materia sulla base dei fabbisogni standard, fatti salvi i livelli essenziali delle prestazioni, entro un anno dall'approvazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Qualora i fabbisogni non fossero adottati entro tre anni da tale data le risorse dovranno essere almeno pari al valore medio nazionale pro capite della spesa statale.
  I fabbisogni standard per l'autonomia differenziata assumono quindi due ruoli: riferimento per stabilire l'ammontare assoluto delle risorse da attribuire alle Regioni; valenza perequativa nella fase a regime, per ripartire l'impatto finanziario di variazioni dei fabbisogni di spesa derivanti dall'evoluzione di variabili demografiche ed economiche, fra le Regioni con autonomia differenziata e il resto della comunità nazionale.
  In questo caso non si tratta di superare il criterio irrazionale della spesa storica, ma di effettuare una revisione di criteri di pianificazione della spesa a livello statale o per superare eventuali differenze tra territori nell'efficienza dell'attuale fornitura statale.
  La CTFS, l'UPB e la Corte dei Conti hanno espresso perplessità in Commissione sul criterio della media nazionale della spesa pro capite, perché appiattisce tutte le differenze strutturali che possono giustificare differenti livelli di fornitura di prestazioni o differenti livelli di costi sul piano territoriale, criterio questo che è stato ampiamente discusso e dibattuto nell'ambito delle audizioni tenute da questa Commissione, con ampia contrarietà da parte degli esperti che si sono espressi sul tema del ricorso al meccanismo del costo medio pro-capite regionalizzato poiché, oltre ad essere l'ipotesi più lontana dai bisogni dei cittadini, è logicamente e tecnicamente inadeguata. (12)
  Nel caso delle Regioni ad autonomia differenziata la CTFS ritiene che ci sarà una forte eterogeneità sia all'interno della finanza delle singole Regioni, che tra le Regioni. L'impatto finanziario delle varie materie potrebbe essere molto differenziato e potrebbero essere valutati schemi diversi di finanziamento tra le varie materie, come avviene oggi per la sanità. Poiché le materie sono determinate diversamente, a seconda delle richieste, in ciascuna regione, va valutato se determinare i fabbisogni per ogni singola materia ovvero per ogni singola regione.
  Circa i tempi necessari per addivenire a una definizione dei fabbisogni standard, una volta individuati i LEP, la CTFS ha affermato che se il quadro di finanziamento sarà sufficientemente chiaro, la Pag. 22tecnica già in parte sperimentata per i comuni consentirà di giungere alla definizione dei fabbisogni in tempi relativamente brevi. (13)

4.5. Analisi territoriale dei costi e fabbisogni standard realizzati

  Nell'ambito delle audizioni svolte di particolare interesse è stato il contributo della SOSE nell'analisi territoriale dei dati raccolti. (14)
  Un primo punto di osservazione è la ripartizione della spesa, disarticolata in spesa storica (desunta dai bilanci dei comuni), fabbisogni standard (stimata da SOSE) e media nazionale a seconda delle dimensioni dei comuni per numero di abitanti.
  I comuni di piccole dimensioni e di grandi dimensioni mostrano una spesa storica e una spesa standard, per abitante, superiore alla media nazionale, a causa delle diseconomie di scala con costi fissi non ripartibili e a causa della complessità dei servizi offerti nel secondo caso. Il criterio della spesa media (15), invece dei fabbisogni, penalizzerebbe i piccoli e i grandi comuni, a vantaggio dei comuni medi, che si troverebbero con un surplus di risorse senza averne la reale necessità.

Pag. 23

  Circa la ripartizione territoriale delle spese dei comuni, aggregata a livello regionale, nell'analisi della SOSE, intervenuta in audizione il 21 marzo 2019 si rileva che «emerge che i comuni e le regioni del sud spendono meno dei comuni del centro e del nord, però offrono anche meno servizi»
  Il dettaglio numerico è riportato nelle tre tabelle successive, con dati al netto del servizio dei rifiuti:

Pag. 24

Pag. 25

Molto interessante è l'analisi delle specifiche funzioni, relative ai servizi rifiuti, affari generali, servizi sociali, istruzione, viabilità e territorio, e spese per il personale, come riportato nei grafici sottostanti.

Pag. 26

Pag. 27

Pag. 28

4.6. Criticità per il calcolo dei fabbisogni standard, dei costi standard e dei LEP

4.6.1 I costi standard

  Nell'audizione con la Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS), sono state illustrate alcune criticità in materia, di ordine tecnico e normativo. (16)
  I fabbisogni standard costituiscono un parametro oggettivo, diverso da quello irrazionale della spesa storica, per ripartire in modo adeguato le risorse tra gli enti, considerando le funzioni fondamentali svolte e i LEP e comparare l'azione dei singoli enti per ridurre le inefficienze.
  Da un punto di vista pratico i fabbisogni standard sono il prodotto tra un costo minimo efficiente per un livello di quantità obiettivo, che potrebbe essere un livello essenziale delle prestazioni.
  Per molti servizi è certamente laborioso identificare separatamente costi e quantità. Esiste infatti un problema per individuare i costi standard, al fine di garantire un'adeguata efficienza del sistema.
  Ad esempio per gran parte delle funzioni fondamentali dei comuni, raggruppate nell'ambito dell'amministrazione generale (es. polizia locale, viabilità e territorio) il concetto di fabbisogno standard è stato ridefinito come la spesa media sostenuta da enti aventi le stesse caratteristiche strutturali, utilizzando in sostanza i dati storici di spesa, ponderati per le caratteristiche demografiche, economiche e sociali dell'ente, e le variabili aventi un impatto sui costi (ad es. economie di scala, costo del lavoro e degli immobili, ecc).
  Questo approccio è accettabile se si usa il fabbisogno standard per ripartire le risorse tra gli enti, perché consente il confronto. Non è invece adeguato per valutare il fabbisogno in termini assoluti, ossia con riferimento agli obiettivi e ai livelli essenziali delle prestazioni: il Pag. 29costo mediamente sostenuto potrebbe anche essere più elevato del costo efficiente, perché nei dati storici sono presenti anche i costi degli enti che erogano i servizi in modo non efficiente.
  L'individuazione di costi standard efficienti è stata utilizzata solo per le province e le città metropolitane, per individuare tagli di spesa nell'ambito della legge n. 190 del 2014. La SOSE fornì una elaborazione sulla media della spesa non relativa a tutti gli enti, ma soltanto ad un sottoinsieme di enti identificati come fornitori di servizi in maniera efficiente.

4.6.2 Indirizzo politico e scelte tecniche

  Un tema rilevante, emerso anche nel corso delle audizioni, è quello del rapporto tra indirizzo politico e scelte tecniche nella determinazione dei fabbisogni. L'adozione di determinate metodologie statistiche costituisce una scelta tecnica solo in apparenza, in quanto da essa dipende la distribuzione di risorse finanziarie, che è un effetto tipicamente politico. Ai fini della determinazione dei fabbisogni standard, la considerazione o meno di alcuni indicatori (ad es. la collocazione territoriale dell'ente), il riconoscimento di fabbisogni valutati con funzioni di spesa, o viceversa l'esclusione di fabbisogni stimati con funzioni di costo di servizi non offerti dall'ente (ad es. le spese per gli asili nido) ovvero la considerazione del costo del personale come variabile nella disponibilità dell'ente, quando invece costituisce un fattore non facilmente modificabile dall'ente nel breve periodo, o la necessità di differenziare la medesima struttura, in ragione delle specifiche territoriali e del carico ambientale e sociale sopportato (ad es. il concetto di strada provinciale è profondamente differenziato a seconda che si tratti di strade a traffico ordinario o a traffico intenso nei periodi turistici o interessate al traffico di mezzi pesanti o agricoli, ovvero che si trovino in territorio di pianura o montano, ove vi sono fenomeni atmosferici e climatici e l'assenza di altri mezzi di trasporto utilizzabili che incidono sull'usura), costituiscono scelte essenzialmente politiche. Per standardizzare la spesa o attraverso la funzione di spesa o attraverso la funzione di costo, esiste un problema, secondo la CTFS, di riuscire a considerare in maniera adeguata la specificità di diverse tipologie di comuni, come quelli turistici o quelli montani. Per standardizzare la spesa o attraverso la funzione di spesa o attraverso la funzione di costo, esiste un problema, secondo la CTFS, di riuscire a considerare in maniera adeguata la specificità di diverse tipologie di comuni, come, per esempio, quelli turistici, montani o insulari.
  Altri fattori sociali e territoriali che richiedono scelte politiche riguardano la necessità di tenere conto della diversa allocazione, in ciascuna Regione, fra Regione ed enti locali, delle funzioni relative agli ambiti propri delle funzioni fondamentali delle province e delle città metropolitane e conseguentemente della diversa incidenza di tali funzioni fondamentali per province e città metropolitane in relazione alla Regione di appartenenza.
  Nell'audizione con la SOSE S.p.a. è stata evidenziata (17) la necessità di un indirizzo politico in merito al tema dei servizi a Pag. 30domanda individuale, che non sono obbligatori. Ad esempio per gli asili nido, dove non è stata indicata alcuna spesa per i comuni che non forniscono il servizio, si tratta di definire se siano obbligatori o meno e con quale tipologia di servizio. Analogamente per il buono pasto sulla scuola. Il tema è quello di standardizzare variabili endogene, quali i servizi a domanda individuale, non ritenuti obbligatori ma fondamentali per il cittadino, al fine di garantire un livello uniforme su tutto il territorio nazionale (ad es. mensa, trasporto scolastico, asili nido, servizi per la donna che lavora e la gestione della famiglia). Attualmente, ad esempio, per il servizio asilo nido, non è stato assegnato un fabbisogno minimo per tutti i comuni, ma solo agli enti che lo hanno erogato, creando disparità di rilevazione.  (18) Naturalmente il tema della definizione dei LEP resta essenziale in particolare per servizi quali la mensa scolastica, il trasporto scolastico, i servizi per la donna che lavora, l'assistenza ai disabili e agli anziani non autosufficienti oltre che per gli stessi asili nido. (19)

4.6.3 La mancata definizione dei LEP

  La definizione dei fabbisogni standard è chiaramente incompleta dal punto di vista tecnico in assenza di una definizione dei LEP poiché i primi sono in larga parte la traduzione dei secondi. Pertanto, in assenza della definizione dei LEP tutto l'impianto del federalismo fiscale, e quindi anche l'attuazione del regionalismo differenziato, viene privato di un elemento essenziale. (20)
  La mancata definizione in sede normativa di quali siano i livelli essenziali delle prestazioni priva la CTFS di un riferimento cruciale per la identificazione dei fabbisogni, soprattutto in alcune funzioni, come l'istruzione pubblica, gli asili nido e il servizio di raccolta dei rifiuti, in cui tecnicamente è possibile distinguere costi da quantità. In questi settori quindi il problema non è l'individuazione della stima di costo, ma il parametro di moltiplicazione del costo, rappresentato dal livello delle prestazioni che si ritengono essenziali per il dato servizio, al fine di indicare esattamente le risorse che sono necessarie per soddisfare quel livello di servizio. Anche per la corretta determinazione dei fabbisogni standard nel caso di servizi a domanda individuale per cui è stato stimato il costo è necessario disporre dei LEP. (21) L'esplicita fissazione dei LEP sulle competenze devolute a favore delle regioni è importante anche ai fini del monitoraggio della quantità e della qualità dei servizi erogati e per l'eventuale attivazione dei poteri sostitutivi dello Stato in caso di mancato soddisfacimento dei LEP concernenti i diritti civili e sociali e/o di fallimento nella gestione delle materie trasferite, così come previsto dall'art. 120, comma 2 della costituzione».  (22)

Pag. 31

4.6.4 Finanziamento dei LEP e vincoli di finanza pubblica

  Il contemperamento del finanziamento dei fabbisogni standard con i vincoli di finanza pubblica può realizzarsi attraverso due modelli.
  Il modello bottom-up (dal basso verso l'alto): il livello di spesa complessivo si determina individuando costi standard e quantità da utilizzare rispetto ai fabbisogni per i LEP; tale livello di spesa complessivo non necessariamente sarebbe coerente con i vincoli di bilancio.
  Il modello top-down (dall'alto verso il basso), utilizzato per il finanziamento della sanità e per il Fondo di solidarietà comunale, parte invece dalla definizione prioritaria del livello complessivo della spesa, utilizzando i livelli obiettivo delle prestazioni (i livelli essenziali di assistenza-LEA) per ripartire tali risorse tra le Regioni. Per la predeterminazione delle risorse si utilizza fondamentalmente la capacità fiscale standard.
  Per il fondo comunale si è verificato uno scostamento tra le risorse calcolate con questo ultimo metodo, pari a circa 26 miliardi di euro, e i livelli di spesa storica, pari a 35 miliardi di euro. Lo scostamento è dovuto alla partecipazione dei comuni al consolidamento della finanza pubblica, che ha determinato una riduzione della capacità fiscale standardizzata.
  I problemi per il finanziamento degli enti locali sono stati evidenti e sono state trovate soluzioni di compromesso: considerare i costi a valori storici (nel caso dell'istruzione e degli asili nido) o limitare il target perequativo al 50 per cento, mantenendo il resto a spesa storica. L'esplicitazione dei LEP consentirebbe di ancorare i calcoli a parametri oggettivi.

4.6.5 La perequazione infrastrutturale e i meccanismi di verifica

  La mancata realizzazione della perequazione infrastrutturale incide sul calcolo dei fabbisogni, perché a parità di funzioni, il gap esistente tra infrastrutture dei diversi territori incide sullo svolgimento delle funzioni e sui relativi costi.
  I trasferimenti attivati dal Fondo di solidarietà comunale sono senza vincolo di destinazione. Non vi è una verifica a valle che le funzioni fondamentali e i LEP siano svolti in maniera adeguata. Per gli enti efficienti i risparmi di spesa, in assenza di vincolo di destinazione, possono essere utilizzati per altri scopi, ma l'assenza di verifiche sui risultati assicura risorse anche ad enti che non erogano i livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali.

4.7. La capacità fiscale

  L'altro elemento oggettivo, essenziale per consentire una redistribuzione delle risorse su base perequativa, non più legata al criterio statistico ma non oggettivo delle risorse storiche, è la determinazione delle capacità fiscali.
  La capacità fiscale dei comuni delle Regioni a statuto ordinario equivale al gettito tributario di spettanza di ciascun ente locale, applicando l'aliquota ordinaria in assenza di maggiorazioni o riduzioni Pag. 32d'imposta decise dall'ente. La stima considera le basi imponibili dei principali tributi comunali (IMU, TASI, addizionale comunale all'IRPEF), con appropriate regressioni econometriche per stimare in modo residuale la capacità fiscale relativa ai tributi minori, per i quali non sono disponibili informazioni precise. La capacità fiscale attuale è stimata in circa 26 miliardi di euro, di cui quasi il 50 derivante dal gettito standard di IMU e TASI. La capacità fiscale pro capite per il totale dei comuni delle Regioni a statuto ordinario risulta pari a 475 euro. I comuni delle Regioni del Centro-Sud hanno una capacità fiscale pro capite ben al di sotto del valore medio totale.  (23)
  L'articolo 1, comma 380-quater, della legge n. 228/2012 (Legge di stabilità 2013) prevede, per i comuni delle Regioni a statuto ordinario, che una quota percentuale dell'importo attribuito a titolo di Fondo di solidarietà comunale sia ripartito tra i comuni sulla base della differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard, entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento. La quota perequativa era del 20% in sede di prima applicazione, nel 2015, per poi salire al 30% nel 2016, al 40% nel 2017 e al 45% nel 2018. Per effetto della legge di bilancio per il 2019 (articolo 1, comma 921, legge n. 145/2018), che ha recepito l'Accordo del 29 novembre 2018 della Conferenza Stato-Città, invece di salire al 60%, come previsto dalla normativa, si è congelata la quota al 45% pur confermando la previsione dell'85% nel 2020 e del 100% nel 2021. I successivi incrementi all'85% nel 2020 e al 100% nel 2021 appaiono troppo ambiziosi. Il salto di 40 punti dal 45% all'85% porta però un oggettivo squilibrio nel sistema per cui è auspicabile che il legislatore ridisegni il percorso di gradualità. In tale occasione, però, andrà anche recuperata la finalità del superamento, sia pure graduale, della spesa storica. Attualmente il target perequativo è fissato per legge al 50% del dovuto. Ciò significa che l'attuale 45% di Fondo di solidarietà comunale ripartito in base ai fabbisogni standard e alla capacità fiscale equivale alla metà, al 22,5% (con il 77,5% ancora ancorato alla spesa storica) ciò in aperto contrasto con la legge 42/2009 che prevede il definitivo superamento della spesa storica, nonché con la stessa Costituzione che all'articolo 119 prevede l'integrale finanziamento delle funzioni assegnate agli enti locali. Il target perequativo oggi fissato al 50% deve quindi anch'esso crescere gradualmente verso il 100%, perché, se non modificato in una formula progressiva, impedisce il piano superamento della spesa storica.
  L'articolo 43, comma 5-quater, del decreto-legge n. 133/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 164/2014 disciplina la procedura per l'individuazione delle capacità fiscali dei comuni, prevedendo allo scopo un decreto del Ministro dell'economia. Con il DM MEF 11 marzo 2015 (poi modificato dal DM MEF 13 maggio 2016, dal DM MEF 2 novembre 2016 e dal DM MEF 16 novembre 2017) sono state adottate la nota metodologica relativa alla procedura di calcolo e la stima delle capacità fiscali dei comuni delle Regioni a statuto ordinario, individuando il gettito potenziale da entrate proprie dei comuni, sulla scorta della base imponibile e dell'aliquota legale.
  Dal decreto ministeriale del 30 ottobre 2018 si evince che la capacità fiscale media pro capite è di 475 euro per abitante con un Pag. 33massimo in Liguria (776) e un minimo in Calabria (253). Le imposte sugli immobili, comprensiva del Tax Gap sull'Imu, rappresentano oltre la metà del gettito complessivo (258 euro). Il tax gap pro capite, valorizzato al 10% di quello stimato, è massimo in Toscana e minimo nelle Marche.

4.7.1. La tassazione immobiliare

  Altro tema rilevante è quello degli effetti distorsivi determinati dalla trasformazione della tassazione immobiliare da ICI ad IMU, che determinando un extragettito ha creato il fenomeno di comuni incapienti in quanto tale extragettito va versato al fondo perequativo per aiutare i comuni più deboli, producendo una distorsione rispetto a quella che era l'origine della legge n. 42 che prevedeva l'alimentazione del fondo perequativo per i comuni in difficoltà non da parte dei comuni più «ricchi» ma da parte dello Stato. Ad una perequazione verticale si è sostituita una perequazione orizzontale. (24) In tema di tassazione immobiliare è stato più volte esaminato il tema della revisione del catasto come strumento necessario per individuare la corretta capacità fiscale dei comuni. (25)

4.7.2. Il Tax Gap

  Per Tax Gap si intende la differenza tra il gettito teorico ed effettivo delle imposte. Ad esempio per l'IMU e la TASI, si tratta della differenza tra il gettito catastale e il gettito effettivo.
  Includere tra i parametri della capacità fiscale una quota del tax gap risponde anche all'obiettivo di incentivare le attività di contrasto all'evasione fiscale. La Commissione, nella scorsa legislatura, ha più volte sottolineato l'esigenza di incrementare tale quota (che nella ripartizione del Fondo di solidarietà comunale 2017 era pari solo al 10%), al fine di rafforzare l'incentivo alla lotta all'evasione fiscale e garantire una maggiore equità complessiva del sistema.
  Altro profilo da implementare, per una corretta stima delle capacità fiscali, è quello di utilizzare, nel caso di servizi affidati all'esterno dai comuni, informazioni relative alle tariffe di tali servizi, che invece allo stato non hanno autonomo rilievo nei bilanci dei comuni.

4.7.3. Stima della componente rifiuti

  Un altro tema importante in materia di capacità fiscale dei comuni è quello della stima della componente rifiuti. Il servizio di smaltimento dei rifiuti concorre alla determinazione della capacità fiscale di ciascun comune delle Regioni a statuto ordinario, ed è inserito come componente di costo nel calcolo dei fabbisogni standard. Il corrispettivo riscosso è destinato integralmente alla copertura del costo del servizio e non si può rilevare pertanto uno sforzo fiscale esercitabile da parte dell'ente. La pesatura dei relativi oneri risponde Pag. 34alla necessità di «neutralizzare» la quota rifiuti nell'ambito del riparto del fondo di solidarietà comunale, qualora vi siano significative differenze di costo e di efficienza nella gestione del servizio.

4.7.4. Capacità di riscossione

  Altro tema esaminato è stato quello della capacità di riscossione dei tributi da parte delle Regioni, che incide sull'effettività del gettito fiscale. (26)

5. LO STATO DELLA FINANZA DEGLI ENTI TERRITORIALI

5.1. La finanza delle Regioni a statuto ordinario

5.1.1. Quadro generale

  La parte preponderante dei bilanci regionali (tra il 75 e l'80%) è impegnata dalle risorse per finanziamento della spesa sanitaria.
  Per le altre spese (istruzione e assistenza sociale, spese in conto capitale relative al trasporto pubblico locale) si sconta uno dei più seri inadempimenti dell'attuazione della legge n. 42 del 2009, ossia la mancata definizione delle spese riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP).
  L'impatto delle manovre finanziarie susseguitesi dal 2011 ha determinato criticità circa l'adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni da svolgere, limitando l'autonomia tributaria regionale, prevista dalla legge n. 42 del 2009.
  La norma fondamentale in questo processo di mancata attuazione dei princìpi della legge n. 42 del 2009, è l'articolo 1, comma 778, della legge n. 205/2017 (legge di bilancio per il 2018), che, aggiungendosi ai numerosi rinvii in precedenza intervenuti, ha rinviato nuovamente dal 2019 al 2020 l'entrata in vigore dei nuovi meccanismi di finanziamento delle funzioni regionali relative ai livelli essenziali di assistenza ed ai livelli essenziali delle prestazioni di cui al D.Lgs. n. 68 del 2011, tra cui l'attribuzione della compartecipazione IVA in base alla territorialità, la fiscalizzazione dei trasferimenti statali e l'istituzione dei fondi perequativi. In audizione il Ministero dell'economia e delle finanze Tria ha affermato che se la data del primo gennaio 2020 fosse confermata, sarebbe necessario in tempi brevi porre in essere importanti adempimenti, quali: la definizione dei LEP, l'applicazione del principio di territorialità delle entrate, la fiscalizzazione dei trasferimenti, la definizione delle modalità di perequazione.»
  Il D.Lgs. n. 68 del 2011 è centrale per la configurazione dell'autonomia finanziaria delle Regioni a statuto ordinario e delle province, e la conseguente soppressione di trasferimenti statali. Il decreto provvede pertanto ad individuare le compartecipazioni delle Regioni (a statuto ordinario) al gettito di tributi erariali ed i tributi delle Regioni medesime, nonché ad introdurre una disciplina dei meccanismi perequativi che costituiscono le fonti di finanziamento del complesso delle spese delle stesse Regioni. Pag. 35
  Il rinvio citato deriva dalla circostanza che la definizione dei nuovi meccanismi, per i quali il decreto legislativo n. 68/2011 prevedeva l'operatività dal 2013, richiede che siano previamente individuati i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e dei costi standard nelle materie diverse dalla sanità e che sia stato attuato il principio della territorialità nella compartecipazione IVA suddetta, oltre che si siano esattamente individuati i trasferimenti statali fiscalizzabili. La stessa perequazione è uno strumento tecnico che presuppone i LEP.
  Per riavviare il processo di definizione degli standard necessari al processo di autonomia finanziaria, l'articolo 1, comma 958, della legge n. 145/2018 (legge di bilancio per il 2019), ha previsto l'istituzione di un tavolo tecnico con la Ragioneria generale dello Stato e il Dipartimento delle finanze del MEF, il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri e le Regioni, per accelerare l'attuazione del decreto legislativo n. 68 del 2011, sui temi della fiscalizzazione dei trasferimenti erariali e l'attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di una quota del gettito riferibile al concorso di ciascuna regione nell'attività di recupero fiscale in materia di IVA e valutare eventuali adeguamenti della normativa vigente. (27)
  Rispondono invece a logiche di finanza di trasferimento gli interventi di cui alla legge n. 232/2016 (legge di bilancio per il 2017), articolo 1, commi 433, 437-439, con l'istituzione di due fondi per interventi a favore degli Enti territoriali:
  a) Fondo per il finanziamento di interventi a favore degli Enti territoriali solo in termini di saldo netto da finanziare: alimentato con risorse iscritte in conto residui non erogate, non utilizzate dalle Regioni per il pagamento dei debiti della P.A. e con le somme disponibili, e non utilizzate, sulla contabilità speciale istituita dall'articolo 45, comma 2, del decreto-legge n. 66/2014, per le operazioni di ristrutturazione del debito delle Regioni. Gli Enti che ne beneficiano per gli effetti sull'indebitamento netto devono conseguire un valore positivo del saldo di pareggio, il saldo non negativo tra entrate finali e spese finali. Il DPCM 10 marzo 2017 ha attribuito la quota di 1.706,6 milioni per il 2017 alle Regioni a statuto ordinario, quale contributo destinato alla riduzione del debito.Pag. 36
   b) Fondo per il finanziamento di interventi a favore degli Enti territoriali, con una dotazione di 969,6 milioni di euro per gli anni sino a 2026.

  I beneficiari, le finalità, i criteri e le modalità di riparto di entrambi i fondi sono definiti con D.P.C.M., previa intesa in Conferenza Unificata.
  Con la legge n. 205/2017 (legge di bilancio per il 2018, art. 1, commi da 775 a 777 è stata ridotta l'entità complessiva del concorso alla finanza pubblica delle Regioni a statuto ordinario di 300 milioni di euro per il 2018 (fissato in 2,39 miliardi) e di 200 milioni per il 2019 e 2020.
  La legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio per il 2019), anche a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 247 del 2017 e n. 101 del 2018, ha semplificato a decorrere dal 2019 le regole di finanza pubblica per le Regioni e gli enti locali: per rilanciare gli investimenti è stata prevista la possibilità di utilizzare senza limiti gli avanzi di amministrazione e i fondi pluriennali vincolati, correggendo così uno dei limiti principali dell'assetto precedente, con un impatto in termini di maggiori investimenti in un arco pluriennale stimabile in circa 23 miliardi: 14,6 miliardi per i comuni, 3,3 miliardi per le province e le città metropolitane e 5,5 miliardi per le Regioni, concentrate in prevalenza nel Nord, della Sardegna e della Puglia. Utilizzando i dati del SIOPE (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici), per le spese di investimento si registra, a partire dall'ultimo trimestre dello scorso anno, un'accelerazione della spesa ( 17,8 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente tra ottobre 2018 e febbraio 2019).  (28)
  Il tema degli investimenti è stato proposto molte volte in audizione con i diversi interlocutori, segnalando la grave carenza di risorse destinate allo sviluppo infrastrutturale del Paese e le necessità di colmare i gap esistenti tra i diversi territori italiani. Nell'audizione con la Ministra per il Sud Lezzi ci si è soffermati sull'attuazione della normativa del 2016 che prevede l'obbligo per le amministrazioni centrali di riservare al Mezzogiorno un volume complessivo di stanziamenti ordinari in conto capitale proporzionale alla popolazione di riferimento, pari almeno al 34% e sulla riorganizzazione del Fondo sviluppo e coesione. (29) Sul tema la Commissione si riserva di svolgere opportuni approfondimenti nel prosieguo della propria attività.

5.1.2. Il finanziamento del settore sanitario

  Il settore sanitario impegna gran parte dei bilanci regionali.
  Il D.Lgs. n. 68 del 2011 è già operativo nella parte sulla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard quale criterio di ripartizione del Fondo sanitario nazionale, secondo il livello di finanziamento stabilito nei Patti per la salute, mentre non è efficace la parte relativa alle fonti di finanziamento, che permane finanza di trasferimento da parte dello Stato.Pag. 37
  I fabbisogni standard nel settore sanitario sono finalizzati ad incentivare comportamenti «virtuosi» per il recupero dell'efficienza ed efficacia nella erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), per garantire un miglioramento strutturale degli equilibri di bilancio e massimizzare il soddisfacimento dei bisogni sanitari.
  Nel procedimento di determinazione dei fabbisogni standard, risulta prioritaria la determinazione della quota di ricchezza da destinare al finanziamento dei livelli essenziali di assistenza, ovvero il fabbisogno sanitario nazionale standard, da definire in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria e nell'ambito del quale sono poi fissati i fabbisogni regionali standard.
  Il fabbisogno sanitario nazionale standard è stabilito a seguito di intesa tra Stato e Regioni, secondo il fabbisogno derivante dalla determinazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), stabiliti con il D.P.C.M. 12 gennaio 2017, erogati in condizioni di efficienza ed appropriatezza.
  La quantificazione dei singoli fabbisogni standard regionali si basa sul calcolo del costo standard sanitario pro capite rilevato nelle Regioni individuate come «benchmark», che esprimono il costo di erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza, efficacia ed appropriatezza. La metodologia dei costi standard, attuata per ripartire il finanziamento cui concorre lo Stato, si riferisce ad aggregati di prestazioni, ricondotte ai tre macrolivelli: il 5 per cento per l'assistenza collettiva, il 51 per cento per l'assistenza distrettuale e il 44 per cento per l'assistenza ospedaliera. Il principale parametro utilizzato per il riparto fra le Regioni è rimasta la popolazione, pesata per classi di età, senza ulteriori indicatori capaci di rappresentare il diverso il bisogno di salute. (30) Pertanto, nel riparto finale la quota di ciascuna regione è pari alla sua quota di popolazione.
  Il calcolo dei costi standard nella sanità non incide sul livello di finanziamento totale ma solo sul criterio di riparto, secondo un approccio di tipo top-down, al fine di garantire l'invarianza dei saldi di finanza pubblica.
  Nell'analisi della Ministra della salute emerge come mentre le Regioni più virtuose sono riuscite a organizzare i propri servizi sanitari in maniera efficiente, rendendo così sostenibile la spesa sanitaria in relazione al livello di finanziamento loro assegnato, quelle meno virtuose hanno assicurato la sostenibilità della spesa sanitaria di fatto pregiudicando in molti casi l'adeguatezza della riorganizzazione delle prestazioni assistenziali e solo in parte attraverso azioni di efficientamento del sistema. Nel periodo compreso fra il 2012 e il 2016 si è assistito infatti a un più frequente e generalizzato ricorso alle risorse di parte corrente per finanziare gli investimenti.
  In audizione la Ministra della salute Grillo ha annunciato l'istituzione di un gruppo interistituzionale tra Ministero della salute, Ministero dell'economia e delle finanze e Regioni, per rivedere gli indicatori utilizzati, le cui risultanze, a distanza di sei anni, sono state in parte ritenute poco rappresentative delle realtà territoriali, in quanto eccessivamente legate alla performance del settore ospedaliero, conseguenza dovuta alla scelta iniziale di basarsi sui soli flussi Pag. 38informativi del nuovo sistema informativo sanitario (NSIS) del Ministero della salute.
  L'idea è quella di «determinare più correttamente il fabbisogno di salute, attraverso metodologie di stratificazione della popolazione per patologie, che consentiranno di ricostruire la prevalenza delle malattie e quindi i relativi costi. Ciò nell'ottica di una diversa programmazione delle politiche sanitarie e della redistribuzione delle risorse, che sia centrata effettivamente sui problemi di salute dei pazienti e sulle esigenze della popolazione, abbandonando quindi l'attuale sistema di programmazione, che è basato essenzialmente su una logica per fattori produttivi.».(31)
  In tema di mobilità sanitaria extraregionale, al fine di ridurre il fenomeno, i citati sistemi di interconnessione informativa renderanno possibile una mappatura precisa dei flussi, declinati per tipologia di prestazione, al fine di individuare situazioni di specifica carenza dell'offerta e di agevolare la redazione di un piano di contrasto della mobilità passiva, in grado di potenziare la capacità di offerta nei settori rivelatisi critici.
  Il Servizio Sanitario Nazionale è finanziato secondo i criteri stabiliti dal decreto legislativo n. 56 del 2000, mediante entrate proprie (ticket), i gettiti derivanti dall'IRAP e dall'addizionale regionale dell'IRPEF valutate ad aliquota base e fino a concorrenza del fabbisogno medesimo, mediante l'attribuzione alle Regioni di risorse a titolo di compartecipazione all'IVA. Fino al 2019 l'aliquota di compartecipazione IVA è stata fissata a saldo, al livello necessario per l'integrale copertura del fabbisogno sanitario delle Regioni a statuto ordinario; dal 2020 tale aliquota sarà determinata al livello minimo che consente la copertura del fabbisogno nella regione con maggiore IVA maturata nel territorio, garantendo la copertura integrale del fabbisogno sanitario nelle altre Regioni attraverso il Fondo perequativo. (32)
  Le componenti del finanziamento del Servizio sanitario nazionale vincolate per legge ad obiettivi specifici (quali gli obiettivi del Piano sanitario nazionale ex articolo 1, commi 34 e 34-bis, della legge n. 662 del 1996) sono finanziate a valere sul capitolo del bilancio statale denominato fondo sanitario nazionale. Se i valori del gettito dell'IRAP e dell'addizionale regionale dell'IRPEF risultano inferiori ai gettiti stimati, il differenziale è assicurato dal fondo di garanzia di cui all'articolo 13 del D.Lgs. n. 56 del 2000.
  L'articolo 1, comma 392, della legge n. 232/2016 (legge di bilancio 2017) aveva fissato il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale a 113.000 milioni per il 2017, a 114.000 milioni per il 2018 (poi ridotto a 113.936) e a 115.000 (poi ridotto a 114.396) milioni di euro per il 2019, poi rideterminato per l'anno 2019 in 113.404 milioni di euro.
  La legge di bilancio per il 2019 ha determinato il livello per il 2019 in 114.439 milioni di euro, incrementandolo di 2.000 milioni per il Pag. 392020 e di ulteriori 1.500 milioni per il 2021. L'accesso delle Regioni a tale incremento, dal 2020, è stato subordinato al raggiungimento di una specifica intesa in Conferenza Stato-Regioni, relativa al Patto per la salute per il triennio 2019-2021, che avrebbe dovuto essere stipulata entro il 31 marzo 2019. Il nuovo Patto per la salute, come stabilito dalla legge di bilancio 2019, dovrà definire misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati, nonché di efficientamento dei costi. Tra queste si ricordano la revisione del sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria a carico degli assistiti, la valutazione dei fabbisogni del personale del SSN, l'implementazione di infrastrutture e modelli organizzativi per l'interconnessione dei sistemi informativi, la promozione della ricerca in ambito sanitario, la valutazione del fabbisogno di interventi di ammodernamento tecnologico.

5.1.3. Il finanziamento delle altre spese

  Il lavoro svolto dalla Conferenza delle Regioni insieme a SOSE s.p.a., non ha portato all'applicazione delle prescrizioni normative in materia.
  Mancando la determinazione dei LEP e di un livello adeguato dei servizi, si deve continuare ad utilizzare per il riparto il criterio delle risorse storiche, che non tiene conto di indicatori di efficienza ed efficacia della spesa e dei servizi.
  Altra questione da valutare è il fatto che pure in presenza di un uguale imponibile, sussistono differenze nel prelievo e nella struttura dei tributi nei diversi territori, alla quale però non consegue un diverso livello delle prestazioni.
  La Ragioneria Generale dello Stato, nella Relazione per la Commissione Parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale – Le manovre di finanza pubblica a carico delle Regioni e degli enti locali del 18 febbraio 2018, ha stimato che il totale delle diverse misure relative alla finanza delle Regioni a statuto ordinario, per effetto della c.d. «manovra cumulata» dal 2011 al 2019 è pari a quasi 7 miliardi di euro sia per il settore non sanitario che per quello sanitario. La RGS afferma in tale documento che le Regioni a statuto ordinario, dal 2010 al 2015, hanno fronteggiato le manovre di finanza pubblica non riducendo la spesa corrente ma diminuendo le spese in conto capitale per investimento.

5.2. La finanza delle Regioni a statuto speciale

  Il finanziamento per le autonomie speciali è garantito principalmente da compartecipazione al gettito fiscale prodotto o riscosso nell'ambito territoriale regionale, come previsto dagli statuti o dalle norme di attuazione. Il comma 680 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016, determinando il contributo complessivo alla finanza pubblica per tutte le Regioni per gli anni 2017, 2018 e 2019, ha stabilito che il contributo di ciascuna autonomia speciale debba essere determinato con intese con la stessa Regione o Provincia autonoma, nell'ambito di accordi transattivi a carattere bilaterale. Da ultimo Pag. 40l'articolo 1, commi 875-886, della legge di bilancio per il 2019 ha dettato alcune norme di coordinamento dinamico fra Stato e autonomie speciali.
  Gli accordi con le autonomie speciali (Sicilia nel 2016, 2017, 2018 e da ultimo nel maggio 2019; Sardegna nel 2014 e 2016; regione Trentino-Alto Adige e province autonome di Trento e di Bolzano nel 2009 e 2014; Valle d'Aosta nel 2015 e 2018; Friuli-Venezia Giulia nel 2010, 2014 e da ultimo nel 2019) hanno riguardato il concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica (modalità e quantificazione del contributo), l'adozione del pareggio di bilancio di cui all'articolo 9 della legge n. 243 del 2012, l'adozione della riforma della contabilità degli Enti territoriali di cui al decreto legislativo n. 118 del 2011. Accordi e intese bilaterali hanno affrontato, inoltre, la rideterminazione delle aliquote di compartecipazione ai tributi erariali, nonché le modalità di determinazione del gettito spettante alla regione, spesso oggetto di contenzioso tra il Governo e la Regione; tali accordi hanno perciò comportato, da parte regionale, la rinuncia ai ricorsi costituzionali pendenti.
  Il percorso per l'attuazione, anche nelle Regioni a statuto speciale e le province autonome, di costi e fabbisogni standard per gli enti locali ivi presenti, come ricordato dalla Ministra Stefani nell'audizione del 21 febbraio 2019, non ha trovato, per il momento, attuazione, nonostante l'articolo 31 del decreto legislativo n. 68 del 2011 abbia previsto l'estensione alle autonomie speciali della normativa relativa ai costi e fabbisogni standard «a fini esclusivamente conoscitivi e statistico-informativi». L'articolo 1, comma 513, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017), ha previsto che la Regione siciliana ponga «in essere le azioni necessarie affinché gli enti locali del territorio regionale si sottopongano, anche ai sensi dell'articolo 8 della legge regionale 7 maggio 2015, n. 9, alle rilevazioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard poste in essere dalla SOSE – Soluzioni per il Sistema Economico Spa.
  Essendo definito rigidamente in sede pattizia il livello di compartecipazione ai tributi erariali non è legato a criteri oggettivi di connessione con i fabbisogni finanziari derivanti dall'esercizio delle funzioni nelle materie attribuite alla competenza delle Regioni e delle province autonome, proprie e trasferite dallo Stato. Va valutato pertanto se alle maggiori risorse garantite a ciascun ente in base al rispettivo statuto corrispondano più ampie funzioni svolte, ovvero se vi sia una sperequazione tra entrate garantite e spese necessarie.
  Il finanziamento del settore sanitario, mentre per le Regioni a statuto ordinario è integralmente a carico del bilancio dello Stato, per Valle d'Aosta, Friuli Venezia Giulia e Sardegna e le province autonome di Trento e di Bolzano è a carico delle stesse autonomie, mentre per la Regione Siciliana è a carico della regione per il 49,11 per cento e dello Stato per il residuo.
  Anche le Regioni a statuto speciale e le province autonome, come ribadito dalla Corte costituzionale, con le sentenze nn. 238 e 239 del 2015, possono essere destinatarie di misure statali unilaterali volte a garantire il coordinamento della finanza pubblica in un contesto di grave crisi economica, sebbene la legge 42 abbia prescelto invece un modello negoziale, in base al quale lo Stato ha concluso distinti Pag. 41accordi con ciascun ente interessato, condividendo il rispettivo contributo alla finanza pubblica.
  Le autonomie speciali usufruiscono poi di una manovrabilità fiscale che consente loro di attrarre nel proprio territorio nuovi contribuenti attraverso incentivi fiscali ed aliquote.
  Sul tema la Commissione si riserva di svolgere approfondimenti nel corso della legislatura.

5.3. La finanza dei Comuni

  La finanza dei comuni costituisce uno dei capitoli più tormentati nell'attuazione della legge n. 42 del 2009 e nei successivi interventi legislativi.
  Il decreto legislativo n. 23 del 2011 prevedeva la sostituzione dei trasferimenti statali con forme di fiscalità di autonomia, con carattere di continuità e generalità, per un totale di 11,3 miliardi di euro, fatti salvi i contributi speciali e quelli in essere sulle rate di ammortamento dei mutui per investimento, operando una redistribuzione delle risorse non più fondata sulla spesa storica ma sui fabbisogni standard e sulle capacità fiscali dei singoli comuni. Il fondo di solidarietà comunale, costituito a tal fine, è stato interessato a partire dal 2013, da tagli previsti dal legislatore, passando da 7 miliardi nel 2012 a 4,7 miliardi di euro nel 2015, e la sua ripartizione ha continuato a operare in un'ottica di salvaguardia degli equilibri di bilancio dei comuni interessati con risorse sostanzialmente invariate per ogni comune. Tale fondo risultava alimentato da una quota prefissata di gettito IMU di spettanza di ciascun comune e da una quota di risorse a carico del bilancio dello Stato. A partire dal 2015 il riparto del fondo di solidarietà comunale viene effettuato anche in base a meccanismi perequativi per consentire il passaggio graduale dalla distribuzione delle risorse in base alla spesa storica a un criterio basato su fabbisogni standard e capacità fiscali, non venendo più assicurata l'invarianza delle risorse. Più precisamente, il criterio perequativo ha assunto a riferimento la differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard: per i comuni con i fabbisogni standard superiori alle capacità fiscali la quota del fondo di solidarietà comunale spettante aumentava, mentre per i comuni con fabbisogni standard inferiori alle capacità fiscali si è applicata una riduzione della quota del fondo.
  L'ammontare del fondo, nel 2018, con il venir meno dell'imposizione immobiliare sulle abitazioni principali, è stato rideterminato al fine di garantire, nel suo ambito, le risorse necessarie a compensare i comuni. A tal fine il Fondo è stato incrementato di una quota c.d. «ristorativa» del mancato gettito (quantificata in 3.767,45 milioni di euro), che viene ripartita ogni anno tra i comuni interessati sulla base del gettito effettivo IMU e TASI derivante dagli immobili esentati relativo all'anno 2015. Al tempo stesso è stata ridefinita la quota parte dell'imposta municipale propria di spettanza dei comuni che lo alimenta, fissata ora in 2.768,8 milioni di euro (in luogo dei 4.717,9 milioni prima previsti), da versare all'entrata del bilancio dello Stato nei singoli esercizi. Per il 2018 e per il 2019, il Fondo ammonta a circa 6,5 miliardi.Pag. 42
  Al contempo, è andata aumentando progressivamente la quota parte del fondo da attribuire in base a fabbisogni standard e capacità fiscali anziché in base alle risorse storiche, per arrivare al raggiungimento del 100% della perequazione nell'anno 2021. Tuttavia la componente perequativa è ancora limitata al 50% (c.d. «target perequativo»), con il 40% per le componenti relative ai fabbisogni standard e il 10% per le capacità fiscali. Il target perequativo non appare coerente con la previsione costituzionale dell'integrale finanziamento degli enti locali e rende impossibile l'obiettivo del totale, sia pur graduale, superamento della spesa storica.
  Il fondo di solidarietà comunale allo stato è solo di parte corrente. Il passaggio a una ripartizione del fondo di solidarietà comunale sulla base del meccanismo perequativo anziché sulla spesa storica (nel 2018 era del 45% su base perequativa e per il 55% su base storica) si ripercuote soprattutto sui comuni di piccolissime dimensioni mentre quelli grandi subiscono penalizzazioni più limitate, come ricordato nell'audizione con la Corte dei Conti, nella XVII legislatura, il 2 febbraio 2017, secondo la quale «i comuni di piccole dimensioni sono mediamente più colpiti da alte percentuali di perequazione negativa». Proprio per consentire una applicazione più sostenibile del processo di redistribuzione delle risorse secondo i criteri perequativi, come ricordato in precedenza, la legge di bilancio per il 2019 (articolo 1, comma 921, legge n. 145/2018) ha, di fatto, determinato una sospensione dell'incremento della quota percentuale di risorse oggetto di perequazione – che nel 2019 era prevista crescere al 60% rispetto al 45% del 2018 – stabilendo che per tale anno la ripartizione del Fondo di solidarietà comunale sia confermata sulla base degli importi assegnati nel 2018.
  Altro tema da valutare nella stima dei fabbisogni standard è il rapporto tra servizi effettivamente forniti e il finanziamento di spese per servizi sinora non sostenuti.
  Già nella scorsa legislatura la Corte dei conti, in audizione preso la Commissione il 2 febbraio 2017, aveva evidenziato che il confronto tra fabbisogno e spesa storica standard mostra che oltre il 55% degli enti, per un totale di circa 29,5 milioni di abitanti, soprattutto di enti di piccole e medie dimensioni, ha un livello di spesa superiore a quello stimato come necessario per garantire le funzioni fondamentali.
  La capacità fiscale dei comuni è determinata da IMU e TASI e dall'addizionale comunale all'Irpef. Un ulteriore elemento di forte impatto da valutare con attenzione è il cosiddetto tax gap, definizione relativa a fenomeni di evasione fiscale significativi per la tassazione immobiliare, che incide nella determinazione della capacità fiscale.
  Il sistema delle entrate comunali è stato oggetto di numerosi interventi normativi che hanno modificato la disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 23 del 2011 sul federalismo fiscale municipale. L'imposizione sugli immobili è l'esempio emblematico, essendo stata oggetto di numerosi interventi, che hanno determinato un assetto normativo caratterizzato da elementi di transitorietà e, nel tempo, una sostanziale duplicazione dell'imposta sugli immobili (IMU e TASI), in merito alla quale sono in discussione presso la Commissione Finanze della Camera alcune proposte di legge volte ad accorpare la TASI nell'IMU.

Pag. 43

5.4. La finanza delle Province

  Sia per le Province che per le Città metropolitane i temi dell'assetto istituzionale si intersecano con quelli del finanziamento.
  L'evoluzione delle finanze provinciali è stata pesantemente influenzata dalle prospettive di riforma, prima dalla legge n. 56 del 2014 e, poi, dalla riforma costituzionale – successivamente non confermata dal referendum del dicembre 2016 – che ne prevedeva la soppressione, con l'effetto di creare una situazione di incertezza e di limitare, sia nell'estensione temporale che nella quantità, le risorse finanziarie garantite alle province, alle quali competono la cura di settori nevralgici quali la viabilità (oltre 130.000 km di strade provinciali) e le scuole (circa 6.000 edifici scolastici superiori).
  Anche da un punto di vista finanziario il finanziamento delle province prefigurato dagli articoli da 16 a 21 del D.Lgs. n. 68 del 2011, con la soppressione dei trasferimenti erariali e regionali e la loro sostituzione con entrate proprie (tributi propri, quali l'imposta provinciale di trascrizione (IPT), l'imposta RC auto, il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, il tributo ambientale, il canone di occupazione di aree pubbliche, la tassa per l'ammissione ai concorsi, i diritti di segreteria, l'imposta di scopo provinciale), compartecipazioni al gettito di tributi erariali (addizionale all'IRPEF e compartecipazione alla tassa automobilistica) e gettito, o quote di gettito, di tributi erariali e con risorse di carattere perequativo, è stato interessato da pesanti contributi imposti dalle manovre di coordinamento della finanza pubblica, dai tagli del fondo sperimentale di riequilibrio, dall'inasprimento delle misure di bilancio per il conseguimento degli obiettivi di pareggio e dall'imposizione di risparmi sulla spesa corrente (spending review), che hanno alterato la finalità programmatoria e perequativa ad esso assegnata dal D.Lgs n. 68.
  A seguito della soppressione dei trasferimenti erariali è stato istituito il Fondo sperimentale di riequilibrio delle province, con un importo iniziale di 1.039,9 milioni di euro, fino all'entrata in vigore del fondo perequativo, e poi drasticamente ridotto a 106,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020. Il Fondo sperimentale è ripartito secondo i criteri recati dal decreto ministeriale 4 maggio 2012, sulla base del criterio storico. (33)
  Dopo l'esito negativo del referendum sono state introdotte misure straordinarie per garantire il sostegno finanziario per l'esercizio delle funzioni fondamentali delle Province, quale l'articolo 1, commi 889-890, della legge di bilancio per il 2019, che ha stanziato un contributo di 250 milioni di euro annui per gli anni dal 2019 al 2033 per il finanziamento di piani di sicurezza a valenza pluriennale per la manutenzione di strade e scuole.
  La Corte dei conti in audizione presso la Commissione, il 23 febbraio 2017 parlò di «grave deterioramento delle condizioni di equilibrio strutturale dei relativi bilanci, al quale non hanno posto rimedio organico gli interventi di natura emergenziale succedutisi, in parte estranei al sistema regolativo della finanza locale».

Pag. 44

5.5. La finanza delle Città metropolitane

  Le città metropolitane, fatta eccezione per quelle istituite con legge regionale dalla Regione Siciliana e dalla Sardegna, nei confronti delle quali non trova diretta attuazione la legge n. 56, sono Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Roma Capitale, istituite a decorrere dal 1o gennaio 2015, nonché Reggio Calabria, istituita il 31 gennaio 2017.
  È necessario ancora pervenire a una concreta definizione sia delle funzioni fondamentali e delle funzioni non fondamentali (sono molteplici e tra loro diversificate le leggi regionali in proposito) che dei relativi livelli essenziali delle prestazioni. Con la legge 7 aprile 2014, n. 56 sono state attribuite alcune funzioni fondamentali specifiche per le città metropolitane, come il piano strategico del territorio metropolitano, la pianificazione territoriale generale, l'organizzazione generale dei servizi pubblici, la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale e dei sistemi di informatizzazione e digitalizzazione; cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della città metropolitana; cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con le città e le aree metropolitane europee.
  Anche per le città metropolitane rimane aperta la questione della determinazione dei LEP ed occorre identificare una fonte di finanziamento stabile e non occasionale, tenendo conto che esse devono affrontare problemi strategici, con funzioni più ampie e diverse rispetto alla dimensione comunale o provinciali (viabilità e scuole).

5.6. La finanza di trasferimento dallo Stato agli Enti territoriali

  La finanza derivata, ovverosia le risorse trasferite dallo Stato agli Enti territoriali, contrariamente alle previsioni dell'articolo 119 Cost. e della legge n. 42 del 2009, costituisce ancora una parte importante del finanziamento dei soggetti di autonomia. Il processo di superamento della finanza derivata e la sua trasformazione in maggiore autonomia di entrata è rimasta inattuata.
  La Corte costituzionale, nella sentenza n. 273 del 2013, ha legittimato i trasferimenti finanziari, anche se non riconducibili alle tipologie costituzionali.
  Si tratta di trasferimenti dallo Stato alle Regioni, di trasferimenti dallo Stato agli enti locali, e di trasferimenti dalle Regioni ai propri comuni e province.
  I più significativi riguardano il trasporto pubblico locale, l'assistenza delle politiche sociali, il diritto allo studio e all'edilizia scolastica, la politica abitativa e la prevenzione e l'edilizia sanitaria.
  Il complesso di tali stanziamenti era pari a oltre 8,6 miliardi di euro nel 2015, di cui 7,1 trasferimenti di parte corrente e 1,5 in conto capitale. L'ammontare complessivo dei trasferimenti destinati alle Regioni a statuto ordinario è di circa 1,3 miliardi di euro (di cui 1 miliardo di euro per funzioni LEP e 250 milioni di per funzioni non LEP) oltre a 6,1 miliardi di euro per il trasporto pubblico locale. Le Pag. 45manovre di finanza pubblica hanno ridotto notevolmente i trasferimenti a favore delle Regioni a statuto ordinario. Si stima che i trasferimenti dal bilancio dello Stato in favore delle Regioni potenzialmente fiscalizzabili ammontino a circa 6 miliardi.  (34)
  Per il trasporto pubblico locale, al fine di razionalizzare i servizi, è stato stabilito che una quota del fondo complessivo, inizialmente alimentato da una compartecipazione al gettito delle accise su benzina e gasolio, sia attribuita alle Regioni che dimostrano miglioramenti significativi sul piano della gestione dei servizi. Mentre la legge n. 42 riconduceva in parte ai LEP, dal 2018 il Fondo TPL è stato successivamente stabilizzato dal decreto-legge n. 50 del 2017, che ha dato una consistenza fissa al Fondo, con misure incentivanti e penalizzanti nella ripartizione del fondo, volte a sostenere lo sforzo di Regioni ed enti locali a riprogrammare i servizi secondo criteri oggettivi ed uniformi a livello nazionale, per perseguire obiettivi di efficienza e di centralità dell'utenza nell'erogazione del servizio nonché l'espletamento delle gare dei servizi. A decorrere dal 2019 il Fondo è suddiviso per il 10% sulla base dei proventi complessivi da traffico e dell'incremento dei medesimi registrato, a seguito delle rilevazioni dell'Osservatorio del trasporto pubblico e per il 10% in base ai costi standard. In entrambi casi la quota salirà al 20% negli anni successivi. Le percentuali regionali di riparto sono definite con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e le risorse sono ridotte qualora i servizi di trasporto pubblico locale e regionale non risultino affidati con procedure di evidenza pubblica entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento.
  Rientrano nell'assistenza alle politiche sociali il fondo per la non autosufficienza, il fondo nazionale per le politiche sociali e il fondo per il diritto al lavoro dei disabili, con uno stanziamento complessivo di 640 milioni di euro nel 2015.
  Gli interventi relativi all'istruzione scolastica e universitaria ammontavano a oltre 162 milioni di euro nel 2015, a valere sul fondo integrativo per la concessione di borse di studio.
  Per la casa e l'assetto urbanistico i trasferimenti ammontavano a 128 milioni di euro nel 2015.
  Circa la tutela della salute vi sono gli interventi in favore dei soggetti danneggiati da trasfusioni e il fondo per l'edilizia sanitaria.
  Di minore ammontare sono poi alcuni trasferimenti nel comparto agricolo e in campo ambientale, i primi pari a circa 28 milioni di euro e i secondi a circa 30 milioni.

5.7. Il federalismo demaniale

  Il processo di trasferimento di immobili demaniali patrimoniali dallo Stato agli Enti territoriali (c.d. federalismo demaniale), per dare attuazione all'articolo 119, settimo comma, Cost., è stato largamente inattuato, nonostante l'emanazione del decreto legislativo n. 85 del 2010.
  A fronte di oltre 9.300 beni richiesti dagli enti, secondo i dati dell'Agenzia del demanio (35), al 31 agosto 2018, tra procedura Pag. 46ordinaria (4997) e federalismo demaniale culturale (142) sono stati trasferiti 5.139 immobili per un valore di 1,83 miliardi di euro, con riferimento a 1.324 Enti territoriali.
  La lentezza del processo, come affermato nella Relazione della Commissione del 18 gennaio 2018, è dovuta ad una carenza progettuale e amministrativa degli enti interessati e a resistenze delle amministrazioni centrali.
 La destinazione dei beni trasferiti può essere la vendita o la loro valorizzazione, che richiede investimenti, specialmente per la manutenzione.
 Da ultimo, l'articolo 1, commi. 422 e segg. della legge di bilancio per il 2019 include nel programma di dismissioni immobiliari per il triennio 2019-2021 anche immobili dello Stato per i quali sia stata presentata richiesta di attribuzione da parte degli Enti territoriali, accolta dall'Agenzia del Demanio. La legge prevede un meccanismo premiale con l'attribuzione agli Enti territoriali di una quota fra il 5 ed il 15 per cento del ricavato della vendita degli immobili alla cui valorizzazione abbiano contribuito, destinando le somme alla riduzione del debito degli stessi o a spese di investimento.

5.8. La perequazione e gli interventi speciali

  L'incompleta attuazione della legge n. 42, in particolare per la fiscalità municipale di cui al D.Lvo n. 23 del 2011, con un continuo mutamento del finanziamento e del riparto del Fondo di solidarietà comunale, rende più complesso distinguere il finanziamento con finalità perequativa (articolo 119, terzo comma, Cost.) da quello con finalità aggiuntiva e solidaristica (articolo 119, quinto comma, Cost.).
  L'applicazione dei criteri perequativi riguarda i soli comuni delle Regioni a statuto ordinario, mentre per i comuni delle Regioni speciali il riparto avviene sulla base del solo criterio della compensazione delle risorse storiche. Quando il differenziale di risorse a disposizione dei comuni, generato dall'applicazione del meccanismo della perequazione, presenti uno scarto del 4 per cento rispetto a quelle storiche di riferimento si applica un meccanismo correttivo.
  Il tema della perequazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante, che l'articolo 13 della legge n. 42 del 2009 prevedeva pari alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard per l'esercizio delle funzioni e il totale delle entrate standardizzate, e che invece ha visto ridotto il target perequativo al 45,8% nel 2015 rispetto alla copertura del 100 per cento previsto dalla Costituzione, per evitare di sottrarre eccessive risorse da alcuni comuni e favorirne altri è stato ampiamente affrontato durante le audizioni in Commissione. (36) Circa i limiti dell'attuale meccanismo di perequazione previsto dalla legge n. 42 del 2009, nell'audizione con la SOSE S.p.a. sono stati individuati, tra i motivi che hanno impedito al meccanismo perequativo di raggiungere gli obiettivi pensati dal legislatore:
   in merito alla capacità fiscale, il fatto che le rendite catastali sono obsolete e sperequate tra i diversi territori, con un'iniquità nel gettito e nella determinazione della capacità fiscale standard;Pag. 47
   in materia di entrate, il fatto che i trasferimenti erariali senza vincolo di destinazione, di cui beneficiano alcuni comuni, non sono stati fiscalizzati e pertanto non sono considerati nel meccanismo perequativo;
   nei fabbisogni standard, il fatto che non esiste ancora un livello uniforme di servizio per i servizi a domanda individuale e che non è stato considerato l'effetto in termini di fabbisogno finanziario determinato dalla presenza delle seconde case.

  Altro problema in merito alla difficoltà ad applicare integralmente i meccanismi del fondo perequativo è collegato alla sostenibilità per tutti i comuni, atteso il fatto che le spese per affari generali, tra cui il costo del personale, è molto rilevante per molti comuni, particolarmente nel Sud. Se il rapporto dipendenti-popolazione previsto a livello nazionale è di 1:142, situazioni territoriali dove tale rapporto è molto più elevato rendono difficile l'applicazione integrale dei fabbisogni standard al 100 per cento.
  Sul tema degli interventi speciali sono stati emanati i decreti legislativi n. 228 e 229 del 2011, che richiedono un'adeguata programmazione e pianificazione degli investimenti in sede ministeriale e a perfezionare il sistema conoscitivo attraverso la banca dati delle opere pubbliche. Nonostante l'emanazione di tali decreti, molto resta ancora da fare in materia di perequazione infrastrutturale. (37)

5.9. L'equilibrio dei bilanci degli Enti territoriali

  La legge costituzionale n. 1 del 2012 che ha introdotto il vincolo dell'equilibrio di bilancio e la legge rinforzata n. 164/2016, di modifica della legge n. 243/2012, in materia di equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli enti locali, in attuazione dell'articolo 81 Cost., ha introdotto parametri che incidono anche sull'autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali, per armonizzare la disciplina dei vincoli di finanza pubblica, applicabili anche agli Enti territoriali, con il quadro delle regole contabili di cui decreto legislativo n. 118 del 2011.
  Con la legge n. 164 del 2016, i quattro saldi previsti dalla legge n. 243 del 2012 sono stati sostituiti da un unico saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, sia nella fase di previsione che in quella di rendiconto. Per rilanciare gli investimenti degli Enti territoriali, eliminando la gestione spesso poco trasparente dei residui attivi e passivi, il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa sono stati considerati nel saldo fra le entrate finali e le spese finali.
  L'introduzione, a partire dal 2016, della regola del pareggio di bilancio di cui alla legge n. 164 del 2016 bilancio 2016 è stata accompagnata da misure di flessibilità in ambito sia regionale che nazionale, volte a consentire in talune situazioni il ricorso all'indebitamento mantenendosi comunque il rispetto del saldo. A tal fine occorre far riferimento all'articolo 10 della legge n. 243/2012, modificato dalla legge n. 164/2016, il cui testo dispone che il ricorso all'indebitamento da parte delle Regioni e delle province autonome, Pag. 48dei comuni, delle province e delle città metropolitane è consentito esclusivamente per finanziare spese di investimento, e che le operazioni di indebitamento sono effettuate solo contestualmente all'adozione di piani di ammortamento di durata non superiore alla vita utile dell'investimento. Le operazioni di indebitamento suddette e le operazioni di investimento prevedono l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti, sulla base di intese regionali e di patti di solidarietà nazionali che garantiscono il rispetto del saldo di equilibrio di bilancio del complesso degli Enti territoriali della regione interessata, compresa la medesima regione. Le intese regionali e i patti di solidarietà nazionale, finalizzati alla redistribuzione degli spazi finanziari sul territorio, regionale e nazionale, avevano come obiettivo il pieno utilizzo degli spazi finanziari disponibili all'interno del sistema degli Enti territoriali per permettere un rilancio degli investimenti sul territorio.
  Sulla disciplina della regola del pareggio fin qui esposta, ed in particolare sul tema dell'utilizzo dell'avanzo di amministrazione, è successivamente intervenuta la Corte costituzionale, con decisioni orientate a ridurre i vincoli sulla gestione di bilancio degli Enti territoriali. Dapprima con la sentenza n. 247 del 2017 – che ha fornito una interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina del pareggio di bilancio con riferimento alle regole sull'avanzo di amministrazione e sul fondo vincolato (38) – e poi con la sentenza n. 101 del 2018, la Corte è giunta ad una declaratoria di incostituzionalità, relativa all'articolo 1, comma 466, della legge di bilancio 2017 (L. n. 232/2016), nella parte in cui stabilisce che, a partire dal 2020, ai fini della determinazione dell'equilibrio del bilancio degli Enti territoriali, le spese vincolate provenienti dai precedenti esercizi debbano trovare finanziamento nelle sole entrate di competenza e nella parte in cui non prevede che l'inserimento dell'avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato nei bilanci dei medesimi Enti territoriali abbia effetti neutrali rispetto alla determinazione dell'equilibrio dell'esercizio di competenza.
  La Corte, richiamando precedenti pronunce, ha affermato che «ove le norme [...] comunque riconducibili al coordinamento della finanza pubblica, precludessero l'utilizzazione negli esercizi successivi dell'avanzo di amministrazione e dei fondi destinati a spese pluriennali [...] il cosiddetto pareggio verrebbe [...] a configurarsi come “attivo strutturale inertizzato”, cioè inutilizzabile per le destinazioni già programmate e, in quanto tale, costituzionalmente non conforme agli artt. 81 e 97 Cost.».
  I commi da 819 a 826 dell'articolo 1 della legge n. 145/2018 (legge di bilancio per il 2019), dunque, nel dare attuazione alle sentenze della Corte costituzionale n. 247/2017 e n. 101/2018, hanno innovato la Pag. 49disciplina dell'equilibrio di bilancio degli Enti territoriali, rispetto a quanto definito prima nella legge di bilancio per il 2017 (ai commi 463 e seguenti, la maggior parte dei quali è conseguentemente abrogata).
  In base alle citate norme, le Regioni a statuto speciale, le province autonome e gli enti locali a partire dal 2019 – le Regioni ordinarie a partire dal 2021 (in attuazione dell'Accordo sottoscritto in sede di Conferenza Stato-Regioni il 15 ottobre 2018) – potranno utilizzare in modo pieno il risultato di amministrazione e il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa ai fini dell'equilibrio di bilancio, nel rispetto delle sole disposizioni previste dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (armonizzazione dei sistemi contabili).
  Pertanto, già in fase previsionale il vincolo di finanza pubblica coinciderà con gli equilibri ordinari, secondo la disciplina contabile armonizzata (di cui al D.Lgs. 118/2011) e le disposizioni del TUEL (D.Lgs. 267/2000). Gli enti, infatti, si considerano «in equilibrio in presenza di un risultato di competenza non negativo», desunto «dal prospetto della verifica degli equilibri allegato al rendiconto».
  La nuova normativa comporta inoltre, dal 2019, ulteriori importanti innovazioni, tra cui:
   la cessazione degli obblighi di monitoraggio e di certificazione, disposti dal comma 469 dell'articolo 1 della legge n. 232 del 2016. La verifica sugli andamenti della finanza pubblica in corso d'anno sarà effettuata direttamente attraverso il Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici (SIOPE);
   la cessazione della disciplina in materia di intese regionali e patti di solidarietà e dei loro effetti, anche pregressi.

  A decorrere dall'anno 2019, infatti, cessano di avere applicazione una serie di disposizioni in materia di utilizzo dell'avanzo di amministrazione e del debito attraverso il ricorso agli spazi finanziari assegnati agli Enti territoriali, che avevano trovato applicazione negli anni precedenti (39). In particolare, vengono meno le disposizioni e gli effetti del D.P.C.M 21 febbraio 2017, n. 21, volto a dare attuazione all'articolo 10 della legge n. 243/2012, che prevedeva che le operazioni d'investimento realizzate attraverso il ricorso al debito e all'utilizzo dei risultati d'amministrazione degli esercizi precedenti fossero effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale che garantissero il rispetto del saldo del complesso degli Enti territoriali della regione interessata, compresa la medesima regione.
  Di conseguenza, con particolare riferimento al ricorso all'indebitamento, la normativa ora vigente prevede che gli Enti territoriali possono effettuare operazioni di indebitamento, esclusivamente per finanziare spese di investimento, contestualmente all'adozione di piani di ammortamento di durata non superiore alla vita utile dell'investimento (articolo 10, commi 1 e 2, della legge n. 243 del 2012).

Pag. 50

5.10. L'armonizzazione dei bilanci pubblici

  Il tema rappresenta un caso di adeguata applicazione delle previsioni della legge n. 42 e successivi provvedimenti attuativi.
  Con il decreto legislativo n. 118 del 2011, corretto e integrato dal decreto legislativo n. 126 del 2014, è stato ridefinito l'ordinamento contabile degli Enti territoriali e dei loro enti e organismi strumentali, in attuazione della legge 42 e della legge costituzionale n. 1 del 2012 che ha attribuito l'armonizzazione dei bilanci pubblici tra le materie di legislazione esclusiva dello Stato.
  L'armonizzazione e il potenziamento della contabilità finanziaria si propone di rendere i bilanci pubblici omogenei, confrontabili e aggregabili, anche al fine di consentire il controllo dei conti pubblici nazionali, incrementando il possesso di informazioni rilevanti per gli interventi, ad esempio per il pagamento dei debiti pregressi e la chiusura della procedura di infrazione comunitaria per il ritardo dei pagamenti delle Amministrazione pubbliche.
  Il riaccertamento straordinario dei residui costituisce strumento fondamentale per definire l'ammontare dei debiti degli Enti territoriali liquidi ed esigibili e rappresentare risultati di amministrazione rappresentativi dell'effettiva situazione finanziaria dell'ente. I disavanzi generati dall'operazione di riaccertamento devono essere ripianati entro 30 esercizi, attraverso quote annuali costanti. La Corte costituzionale nella sentenza n. 18 del 2019 ha ritenuto legittimo un periodo temporale così lungo, per l'eccezionalità della situazione finanziaria di alcuni Enti territoriali che scontavano l'esistenza di deficit sommersi originati dall'effetto congiunto della scorretta prassi di sovrastima dei crediti e di sottovalutazione dei debiti.
  Nel Fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE) sono accantonate tutte le poste non effettivamente esigibili nel corso dell'anno, con conseguente definizione di un ammontare corrispondente all'importo delle entrate di dubbia e difficile esazione.
  Presso il Ministero dell'economia e delle finanze è stata istituita la «Commissione per l'armonizzazione contabile degli Enti territoriali (c.d. Commissione Arconet), con il fine di adeguare gli allegati al decreto legislativo n. 118 del 2011 all'evoluzione dell'ordinamento giuridico e alle esigenze di monitoraggio e di consolidamento dei conti pubblici.
  I bilanci sono redatti secondo il criterio della c.d. competenza finanziaria potenziata, con un avvicinamento della competenza alla cassa e una notevole riduzione dei residui. Allo scopo di garantire la copertura di spese imputate agli esercizi successivi è stato istituito il Fondo pluriennale vincolato.
  Dal 1o gennaio 2016 la riforma contabile prevista dal decreto legislativo n. 118 del 2011 costituisce il quadro di riferimento per tutti gli Enti territoriali e i loro enti e organismi strumentali. Per la prima volta anche le Regioni hanno un ordinamento contabile unico e omogeneo rispetto a quello previsto per gli enti locali e per i loro enti strumentali.
  Dal 2020 anche i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti sono tenuti ad adottare un sistema di contabilità economico patrimoniale, Pag. 51garantendo la rilevazione unitaria dei fatti gestionali, sia sotto il profilo finanziario che sotto il profilo economico patrimoniale.

5.11. Organismi di supporto al processo di definizione del federalismo fiscale

  La complessità della materia e l'elevato tecnicismo della trasformazione della finanza locale da derivata ad autonoma richiede il contributo di organismi tecnici, il cui apporto non può certo sostituirsi agli indirizzi politici in materia ma deve costituirne il presupposto istruttorio in sede tecnica.
  L'articolo 1, commi da 29 a 34 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), ha semplificato la procedura per l'approvazione delle note metodologiche e dei fabbisogni standard, istituendo la Commissione tecnica per i fabbisogni standard (CTFS) e sopprimendo la Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), in prima istanza individuata come sede per la condivisione dei dati e la loro elaborazione per la successiva adozione dei decreti legislativi attuativi.
  La Commissione tecnica per i fabbisogni standard (CTFS), istituita con D.P.C.M. 23 febbraio 2016, agisce come organo tecnico collegiale, con l'obiettivo di validare la metodologia da utilizzare per l'individuazione dei fabbisogni standard e l'aggiornamento della base dati utilizzata. La nota metodologica predisposta ai fini dell'individuazione dei fabbisogni possono essere sottoposte alla CTFS anche separatamente dalle elaborazioni relative ai fabbisogni standard. Sia la nota metodologica che il fabbisogno standard per i comuni e le province sono adottati con D.P.C.M. Il parere parlamentare è richiesto solo per l'adozione della nota metodologica, e non per l'adozione dei fabbisogni standard. La CTFS, ai sensi dell'articolo 1, comma 29-bis, della legge n. 208 del 2015, deve presentare, con cadenza biennale, alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale una relazione in merito allo stato di attuazione delle disposizioni di cui alla legge n. 42 del 2009.
  La presidenza della Commissione, la cui nomina compete alla Presidenza del Consiglio, è intervenuta nel maggio 2019, dopo una vacanza dal marzo 2018, e questo ha ritardato oggettivamente i lavori in materia di determinazione dei fabbisogni standard per le Regioni.
  Per il confronto politico tra Governo ed Enti territoriali in seno alla Conferenza unificata è istituita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. Tale organismo ha però mancato di divenire il punto di confronto come sede specializzata di analisi e negoziazione sull'autonomia finanziaria e il coordinamento della finanza pubblica tra Stato ed Enti territoriali.
  Per definire la metodologia per la determinazione dei fabbisogni, operazione tecnicamente complessa, la società Soluzioni per il Sistema Economico – SOSE S.p.A., società per azioni società partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze e dalla Banca d'Italia, partner metodologico del ministero per l'analisi strategica dei dati in materia tributaria e di economia d'impresa, opera per la elaborazione degli studi di settore e può avvalersi dell'Istituto per la finanza e per Pag. 52l'economia locale (IFEL) operante presso l'ANCI, nonché dell'ISTAT. Le metodologie risultanti dall'attività della Sose sono sottoposte alla valutazione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, nonché del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Uno spunto interessante è venuto in audizione circa la necessità di coordinamento nei vari momenti decisionali relativi alle varie partizione del federalismo fiscale, dal momento che la CTFS approva la proposta dei fabbisogni, la capacità fiscale è elaborata dal MEF e alle scelte relative al fondo di solidarietà comunale la CTFS non partecipa. (40)

6. IL REGIONALISMO DIFFERENZIATO

  Larga parte dell'approfondimento svolto dalla Commissione nel ciclo di audizioni svolte nel periodo febbraio-luglio scorso è stato incentrato sul tema del riconoscimento per le Regioni a statuto ordinario, con legge dello Stato, di forme di «autonomia differenziata» ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Va rilevato, innanzitutto, che la Commissione non ha potuto lavorare su testi definiti, pur avendoli formalmente richiesti al Governo. Il Governo ha risposto in Commissione che sino alla definizione di un'intesa non si possono considerare testi le bozze di lavoro. (41)
  Il processo di definizione delle intese ha preso l'avvio nella XVII legislatura, con la stipula tra i Presidenti delle Regioni interessate e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per gli affari Regionali e le autonomie Bressa il 28 febbraio 2018, di preaccordi per definire alcuni dei contenuti e delle procedure per l'attuazione della loro autonomia differenziata.
  Si ricorda inoltre che il Governo Conte I, nel contratto per il Governo del cambiamento, documento politico sottoscritto tra Movimento Cinque Stelle e Lega, nel punto 20 relativo a Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta «aveva indicato che «Sotto il profilo del regionalismo, l'impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell'agenda di Governo l'attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte. Il riconoscimento delle ulteriori competenze dovrà essere accompagnato dal trasferimento delle risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse. Alla maggiore autonomia dovrà infatti accompagnarsi una maggiore responsabilità sul territorio, in termini di equo soddisfacimento dei servizi a garanzia dei propri cittadini e in termini di efficienza ed efficacia dell'azione svolta. Questo percorso di rinnovamento dell'assetto istituzionale dovrà dare sempre più forza al regionalismo applicando, regione per regione, la logica della geometria variabile che tenga conto sia delle peculiarità e delle specificità delle diverse realtà territoriali sia della solidarietà nazionale, dando spazio Pag. 53alle energie positive ed alle spinte propulsive espresse dalle collettività locali. Occorre garantire i trasferimenti necessari agli Enti territoriali e una contestuale cessazione delle «politiche di tagli» compiute dagli ultimi Governi.»
  Si segnala, inoltre, che il procedimento di definizione dell'autonomia differenziata è stato individuato tra gli obiettivi citati, nel settembre 2018, nella Nota di aggiornamento al DEF 2018, lo strumento attraverso il quale il Governo aggiorna le previsioni economiche e di finanza pubblica del DEF in relazione alla maggiore stabilità e affidabilità delle informazioni disponibili sull'andamento del quadro economico e finanziario.

6.1 Il quadro costituzionale e le procedure attuative

  La procedura per la realizzazione delle forme di autonomia differenziata in base all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, è delineata dalla norma costituzionale, mentre la procedura di attuazione della materia è sostanzialmente non disciplinata.

6.1.1. L'iniziativa

  L'iniziativa in materia è di spettanza della singola Regione a statuto ordinario ed è presentata al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali, ai sensi dell'articolo 1, comma 571, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014), che impone al Governo di attivarsi sulle iniziative nel termine di 60 giorni dal loro ricevimento.
  Le modalità con cui Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna hanno attivato il percorso ex articolo 116, terzo comma, sono state diverse.
  Le Regioni Lombardia e Veneto hanno svolto il 22 ottobre 2017, con esito positivo, due referendum consultivi sull'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. (42)
  Va ricordato che sulla possibilità di svolgere tali referendum si è pronunciata con esito favorevole la Corte costituzionale. Con la sentenza n. 118 del 2015 la Corte si è pronunciata sulla legittimità costituzionale della legge della regione Veneto n. 15/2014 («Referendum consultivo sull'autonomia del Veneto») ritenendo che il quesito proposto («Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ?»), in quanto ripeteva testualmente l'espressione usata nell'articolo 116, terzo comma, Cost., si collocava nel quadro della differenziazione delle autonomie regionali prevista da tale disposizione. La Corte ha affermato che il referendum consultivo regionale lascia inalterato il procedimento di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, collocandosi in una fase anteriore ed esterna rispetto a tale procedimento. (43)Pag. 54
  La Regione Emilia-Romagna si è invece attivata, su impulso del Presidente della Regione, con l'approvazione da parte dell'Assemblea regionale, il 3 ottobre 2017, di una risoluzione per l'avvio del procedimento finalizzato alla sottoscrizione dell'intesa con il Governo richiesta dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Il 28 febbraio 2018, il Governo in carica, ha sottoscritto con le Regioni interessate tre distinti accordi preliminari che hanno individuato i princìpi generali, la metodologia e un (primo) elenco di materie in vista della definizione dell'intesa. (44)
  Nel giugno 2018 il Ministro per gli affari regionali e le Autonomie, Erika Stefani, ha formalmente riaperto i negoziati relativi alle richieste di intesa.

6.1.2. Il ruolo degli enti locali

  L'articolo 116, terzo comma, Cost. dopo aver precisato che l'iniziativa è delle Regioni, aggiunge l'inciso, «sentiti gli enti locali».
  Non sono precisati né il momento né le forme con le quali gli enti locali debbano essere sentiti. L'articolo 123, ultimo comma, della Costituzione prevede l'istituzione del Consiglio delle autonomie locali (CAL), come «organo di consultazione fra la regione e gli enti locali», disciplinato dallo Statuto regionale. Altra possibilità è quella per le Regioni di poter consultare singolarmente gli enti locali ovvero le associazioni di rappresentanza a livello regionale (ANCI e UPI). Il parere pare potersi configurare come obbligatorio ma non vincolante.

6.1.3. Il ruolo del Parlamento

  La legge di recepimento delle intese tra Governo e Regioni è approvata con una legge ordinaria rinforzata, in quanto approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti.Pag. 55
  Come è noto, dopo la riforma del Titolo V disposta dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 non è stato disciplinato il procedimento previsto per l'attribuzione di autonomia differenziata.
  Una prima questione attiene alla opportunità di una normativa nazionale di riferimento che definisca la cornice all'interno della quale formulare le intese. (45) Una seconda questione riguarda l'emendabilità in sede parlamentare del disegno di legge rafforzato che contiene le intese.
  Sulla questione della emendabilità in sede parlamentare del relativo disegno di legge non vi sono espresse disposizioni in merito.
  Le tre Regioni hanno espresso in audizione, con motivazioni diverse, l'orientamento a ritenere che la definizione integrale del testo delle intese debba avvenire nell'ambito del rapporto Governo-Regioni. Il Presidente della Regione Emilia-Romagna Bonaccini ha espresso la contrarietà circa la possibilità del Parlamento di modificare l'intesa voce per voce, per l'impossibilità della Regione «di poter intervenire in un dibattito che rischierebbe di essere stravolto senza che una delle due parti contraenti quell'intesa possa ribadire le proprie ragioni.», configurando invece il ruolo del Parlamento nella definizione della cornice istituzionale, tra cui la definizione dei fabbisogni standard e dei LEP. Nella stessa audizione il Coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome Caparini ha ritenuto che il meccanismo della partecipazione del Parlamento al processo di autonomia che ha inquadrato il ruolo del Parlamento nell'ambito del rapporto con il Governo, per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei fabbisogni standard. Il Presidente della Regione Lombardia Fontana, il 27 marzo 2019 ha ritenuto che «il principio di leale collaborazione fra Stato e autonomia territoriale mal si concilierebbe con un disegno di legge che intervenisse con integrazioni sostanziali rispetto alla volontà delle parti espressa nelle intese», auspicando invece un atto di indirizzo parlamentare, a fronte di una comunicazione del Governo sullo stato di negoziazione in corso con le Regioni, per orientare l'azione del Governo stesso nelle fasi successive.
  Il Presidente della Regione Veneta Zaia, ha proposto che in caso di accordo tra Governo e Regioni il testo della pre-intesa, non considerata quindi un provvedimento definitivo, sia sottoposto al parere del Parlamento, per poi tornare in Consiglio dei ministri per valutare le osservazioni e concludere l'intesa definitiva.
  Nel testo delle intese sottoscritte il 28 febbraio 2018 si fa espresso riferimento, per l'approvazione da parte delle Camere delle intese, alla procedura relativa all'approvazione delle intese tra Stato e confessioni religiose, di cui all'articolo 8 della Costituzione, che, come è noto, prevede l'inemendabilità del relativo disegno di legge.
  Il tema è stato oggetto di interessanti osservazioni nel corso delle audizioni con autorevoli esponenti della dottrina costituzionalistica italiana.Pag. 56
  Critico verso tale ultimo riferimento, contenuto nelle pre-intese del febbraio 2018, è stato il prof. Saitta, rilevando che a differenza dei rapporti con le confessioni religiose acattoliche non si tratta di rapporti con soggetti esterni allo Stato ma di rapporti con le Regioni, che sono enti di autonomia interni allo Stato stesso, per i quali il principio della negoziazione è insito in quanto previsto nell'art. 116 della Costituzione. Il Parlamento non deve avere il ruolo «di mero controllore o promotore finale delle intese, senza avere nessuna possibilità di incidere sulle scelte contenutistiche». (46)
  È stato sottolineato in audizione dalla prof.ssa Randazzo come gli aspetti procedurali per la decisione sull'autonomia differenziata siano essenziali, perché, in assenza di una legge di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, implicano garanzie di carattere sostanziale: non si può affidare tutto soltanto agli esecutivi (Giunte regionali e Governo dello Stato); è centrale il raccordo politico nella sede propria del Parlamento, valorizzando il ruolo delle Commissioni parlamentari, in specie della Commissione per l'attuazione del federalismo e della Commissione per le questioni regionali, integrata con i rappresentanti regionali, come previsto dall'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Rispetto al metodo previsto della negoziazione, qualora il Parlamento, non dovesse essere d'accordo con uno o più oggetti specifici dell'intesa, si impone una rinegoziazione sugli specifici punti. (47)
  La prof.ssa Cerniglia ha sottolineato che si tratta di una riforma importante, significativa e di sistema, rilevando che il comma 3 dell'articolo 116 non ha avuto una legge di attuazione, con un punto di debolezza derivante dal fatto che non ci sono criteri ben definiti, rispetto ai quali una regione può chiedere l'attivazione di tale procedura e in base ai quali lo Stato può decidere, affermando quindi la necessità di «evitare pericolose, incaute fughe in avanti, anche perché di fughe in avanti e di arretramenti in questi anni abbiamo fatto molta esperienza proprio sul tema del federalismo fiscale e sul percorso di decentramento, che in Italia è partito agli inizi degli anni ‘90.» (48)
  Altra questione importante esaminata è quella dei contenuti delle intese, oggetto di approvazione legislativa rispetto al DPCM attuativi delle stesse.
  In audizione è stata espressa una forte criticità circa l'ipotesi di rinviare i contenuti di natura economico-finanziaria (livelli essenziali, aspetti perequativi, costi standard, forme di finanziamento, ecc.) ad un DPCM, che come tale non sarebbe sottoposto a controllo né da parte Pag. 57del Parlamento, né del Presidente della Repubblica, né da parte della Corte Costituzionale. (49) In audizione è stato rilevato che «il processo che porterà all'approvazione delle intese non prevede né permette di quantificare ex ante le risorse finanziarie (ma anche umane e strumentali) necessarie. Questa quantificazione, e quindi gli effetti finanziari dell'autonomia differenziata, sarà conoscibile solo dopo l'approvazione delle intese con DPCM, quando cioè il processo sarà sottratto sia al vaglio parlamentare che a quello del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale, e sarà ampiamente irreversibile. Ciò si pone in palese contrasto con le previsioni della legge 42 del 2009 che, all'articolo 14, comma 1, dispone che l'assegnazione delle risorse finanziarie necessarie avvenga con la legge rafforzata con cui si attribuiscono, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, forme e condizioni particolari di autonomia». (50)
  In altra sede è stato affermato che non va confuso il profilo dell'attribuzione, che spetta alla legge di approvazione delle intese, da quello del trasferimento delle funzioni che può essere fatto anche con DPCM (51).
  La definizione delle questioni procedurali, in assenza di una legge di regolazione della procedura, attengono alle decisioni di spettanza delle Presidenze delle Camere.
  A prescindere da eventuali atti di indirizzo da parte delle Assemblee di Camera e Senato, nel dibattito svoltosi in materia in Commissione e in molte audizioni, si sono ventilate due soluzioni alternative: la piena emendabilità, secondo le ordinarie procedure parlamentari, sia in sede di commissioni permanenti che in Aula, dei relativi disegni di legge; l'espressione, sugli schemi di intese, prima della loro definitiva sottoscrizione da parte di Governo e Regioni, di pareri da parte di organi parlamentari competenti, quali, ad esempio, le Commissioni permanenti competenti per materia ovvero le Commissioni bicamerali competenti per materia, vale a dire la Commissione parlamentare sul federalismo fiscale per gli aspetti finanziari, dal momento che l'articolo 116 rinvia espressamente al rispetto dell'articolo 119 Cost., rispetto alla quale la legge n. 42 del 2009, istitutiva della Commissione, costituisce provvedimento di fondamentale attuazione, o la Commissione parlamentare per le Questioni regionali, per gli aspetti istituzionali. (52) Al proposito si ricorda il Pag. 58precedente di cui all'articolo 43, comma 5-quater, del decreto-legge n. 133/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 164/2014 che, in merito alla procedura per l'individuazione delle capacità fiscali dei comuni, da operarsi con una nota metodologica da adottarsi con decreto del Ministro dell'economia, previa intesa in Conferenza Stato-città ed autonomie locali, ha previsto l'espressione di parere sia della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale che delle commissioni competenti per materia delle Camere.
  La Commissione sottolinea la propria piena disponibilità ad attivarsi in tale procedura, per le competenze assegnate dalla legge e le esperienze maturate in materia, qualora sia quest'ultima la scelta procedurale effettuata dalle Presidenze di Camera e Senato.
  In merito alla valutazione degli effetti finanziari delle intese da parte del Parlamento va ricordato l'avviso espresso dall'Ufficio parlamentare di Bilancio sulla necessità che il Parlamento debba essere pienamente informato e consapevole fin dall'inizio di tali effetti, ritenendo che la quantificazione degli oneri finanziari debba sussistere nel momento della valutazione da parte del Parlamento. L'UPB, infatti, ha segnalato in audizione che «se non ci sono presidi ex ante all'entrata di nuove regioni, ci devono essere forti presidi ex post, ovvero modalità e procedure di riconoscimento dell'eventuale «fallimento» delle regioni nel gestire adeguatamente i servizi e le competenze aggiuntive acquisite e procedure per la conseguente riconduzione di queste regioni nell'alveo della responsabilità statale nel caso in cui non riuscissero a fornire adeguatamente questi servizi aggiuntivi». È stata invece ritenuta inappropriata la soluzione, prospettata attualmente nel testo delle bozze, che affiderebbe la quantificazione e determinazione delle risorse, dopo l'entrata in vigore delle leggi di approvazione, alla Commissione paritetica fra Stato e regione interessata. (53)

6.2. Contenuto delle intese

  L'ambito delle materie nelle quali possono essere riconosciute tali forme ulteriori di autonomia concerne:
   le materie che l'articolo 117, terzo comma, Cost. attribuisce alla competenza legislativa concorrente:
    rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni;
    commercio con l'estero;
    tutela e sicurezza del lavoro;
    istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;
    professioni;Pag. 59
    ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;
    tutela della salute;
    alimentazione;
    ordinamento sportivo;
    protezione civile;
    governo del territorio;
    porti e aeroporti civili;
    grandi reti di trasporto e di navigazione;
    ordinamento della comunicazione;
    produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia;
    previdenza complementare e integrativa;
    coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
    valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;
    casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
    enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale;
   un ulteriore limitato numero di materie riservate dallo stesso articolo 117, secondo comma, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato:
    a. organizzazione della giustizia di pace;
    b. norme generali sull'istruzione;
    c. tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.

  Attiene al contenuto delle intese anche il rinvio al «rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119». La norma, ampiamente descritta in precedenza, detta i princìpi di autonomia finanziaria degli Enti territoriali. Di qui emerge un evidente collegamento tra le intese in materia e la legge n. 42 del 2009, le cui previsioni in materia finanziaria trovano applicazione anche in questo contesto.
  Tra le Regioni il numero di materie richieste è stato diverso: ventitré del Veneto e della Lombardia, quindici dell'Emilia-Romagna.
  Non essendo a disposizione formale del Parlamento, in questa fase, i testi delle bozze di intesa in discussione, la Commissione non ha potuto approfondire i contenuti tematici delle stesse, riservandosi un successivo approfondimento una volta che queste siano definite.
  Alcuni temi, però, sono ugualmente emersi all'attenzione della Commissione in molte delle audizioni svolte.
  Il tema della scuola, che l'elenco di cui all'articolo 117, secondo e terzo comma, richiamato dall'articolo 116, comma terzo, dalla Costituzione, include tra le materie oggetto delle intese, costituisce una significativa diversità tra le tre proposte in esame, in forza di scelte Pag. 60politiche di indirizzo diverso: solo l'Emilia-Romagna non chiede la regionalizzazione della scuola, non volendo occuparsi del reclutamento o dell'inquadramento e della contrattualizzazione del personale scolastico e non chiedendo di regionalizzare l'ufficio scolastico regionale, «compiti che, per quanto ci riguarda, riteniamo sia giusto svolga lo Stato. Il nostro progetto non ha nulla a che fare con gli insegnanti dipendenti della regione, con graduatorie separate, con contratti di lavoro diversi, con la libertà di insegnamento o l'autonomia scolastica, tutte questioni su cui non abbiamo la minima intenzione di entrare». (54)
  Nell'audizione con il Presidente Zaia, viceversa, è stata sottolineata l'importanza della materia dell'istruzione per il Veneto, per dar vita a un modello organizzativo che affronti il problema delle carenze di organico. (55)
  Nello specifico riguardante l'istruzione, la Ministra ha affermato che nel contratto per il governo del cambiamento, al punto 22, è stato scritto che «che il legame dei docenti con il loro territorio non può essere declinato in chiave semplicemente autonomistica o regionalistica, nelle parti in cui ciò si traduce in una mera duplicazione di procedure e competenze che rischiano di inficiare il buon andamento del sistema scolastico.(56) La Ministra ha affermato che «con tali forme di differenziazione, non solo si verrebbe a creare un vulnus difficilmente sanabile, ma si istituirebbe un precedente che potrebbe influire in modo determinante nel sistema nazionale dell'istruzione su talune possibili derive a carattere localistico.» La giustapposizione tra funzioni e competenze statali e regionali che si verrebbe a creare circa la definizione dei ruoli, nonché le procedure di reclutamento stesso del personale della scuola, ovvero dirigenti, personale docente e ATA (amministrativo, tecnico e ausiliario) andrebbe contro un principio di semplificazione, dal momento che la creazione di identici ruoli e funzioni sarebbe disciplinata indifferentemente dallo Stato o dalla regione. Le norme in ordine alla mobilità regionale del personale scolastico non si conciliano e non tengono conto di quanto previsto attualmente dalla normativa nazionale in materia di assegnazione provvisoria. Altre valutazioni critiche riguardano la disciplina dei criteri del riconoscimento della parità scolastica e conseguentemente dell'assegnazione dei contributi a essa relativi nonché delle funzioni di vigilanza, che non può essere demandata tout court alle Regioni in alternativa allo Stato, senza creare una differenziazione nel trattamento fondata su base localistica e territoriale, e la programmazione dell'offerta formativa integrata, con un rischio di un appiattimento delle funzioni dell'apprendimento didattico-formativo sulle esigenze correlate alla formazione professionale.Pag. 61
  Anche in sede di dottrina, sul tema dell'istruzione e della formazione professionale, sono emerse visioni diverse.
  È stato rilevato dal prof. Balboni che l'articolo 33 Cost., laddove si riferisce alla Repubblica e non allo Stato per dettare le norme generali sull'istruzione, e prevede il diritto di enti e privati di istituire scuole, senza oneri per lo Stato, non configura un monopolio statale in materia. In quest'ottica la Repubblica, di cui all'articolo 5 e 114 Cost., è composta dallo Stato e dai soggetti di autonomia territoriale «ma non solo da loro, anche da tutto quell'insieme di poteri pubblici e arrivo a dire anche privati che, nella misura in cui spingono per svolgere funzioni pubbliche, sono la Repubblica, non sono lo Stato. (57) Il modello centralistico di amministrazione dell'istruzione, inclusa la formazione professionale, in vigore da 150 anni non costituisce l'unica modalità possibile, come d'altronde mostra l'esperienza di Paesi come l'Inghilterra e gli Stati Uniti.
  La valenza anche finanziaria del tema dell'istruzione è stata stimata dall'Ufficio Parlamentare di Bilancio, sulla base dei dati della Ragioneria Generale dello Stato, che l'eventuale trasferimento di personale scolastico dallo Stato alle Regioni implicherebbe un trasferimento finanziario di 27,7 miliardi se tutte e 15 le Regioni lo richiedessero (4,6 miliardi per la Lombardia, 2,3 per il Veneto). (58)
  La decisione del Governo su tale questione costituirà quindi una scelta avente un significato politico preciso, dovendosi rapportare a impostazioni diverse contenute nelle iniziative delle tre Regioni.
  Il tema della sanità è stato oggetto di dibattito nel corso dell'audizione con la Ministra della salute.
  In Linea generale la Ministra Grillo ha affermato in audizione che questo ambito ha una sua particolare specificità, e che «dovranno in ogni caso rimanere invariati i princìpi di fondo del nostro sistema sanitario, riconducibili in estrema sintesi ai concetti di universalità e unitarietà». Il complessivo equilibrio di un sistema plurale quale quello delle autonomie, ed integrato come la sanità, impone che al riconoscimento di maggiori poteri debba corrispondere l'intensificarsi dei relativi controlli da parte del Ministero (59), con una sorta di manutenzione straordinaria affidata al Governo centrale in tema di attuazione dei piani di rientro, andamento dei commissariamenti e applicazione dei Patti per la salute. «Fatte queste premesse, è altrettanto ovvio che le istanze delle Regioni finalizzate ad accrescere le loro prerogative organizzative, ad intensificare l'autonomia della gestione e nella provvista di personale, nonché ad assicurare ulteriore opportunità di formazione anche specialistica(60) sono viste con estremo favore dal Ministero della salute.»
  Sul dettaglio dei temi le richieste delle Regioni sono state definite come derivanti da esigenze reali, che il Ministero vorrebbe disciplinare in chiave generale: la questione del personale sanitario, ad esempio per la medicina generale e l'area dell'emergenza, interessate da Pag. 62fenomeni di precariato di medici non specialisti  (61), ove lo Stato centrale non è stato in grado di fornire risposte adeguate per superare le resistenze delle federazioni, dei sindacati, di alcune Regioni ed università, impedendo un processo di cambiamento che ha recato difficoltà alle Regioni chiamate ad erogare i servizi nei territori, con la proposta, condivisa tra Ministra e Regioni è quella di far accedere ai concorsi chi per cinque anni abbia lavorato nei pronto soccorsi ed incentivare alcune aree specialistiche o prestazioni in aree disagiate; sullo sblocco del tetto delle assunzioni vi è stata un'intesa con le Regioni. Circa l'ipotesi di costituire un fondo apposito per le Regioni che scontano un ritardo negli investimenti in conto capitale (62), è stato comunicato che il tema sarà discusso con le Regioni nell'ambito del nuovo patto della salute e con il Consiglio superiore di sanità e che coinvolge il tema della mobilità passiva (63), fondamentale sulle disuguaglianze tra le Regioni. La migrazione sanitaria dei pazienti è giustificata solo in caso di alte specializzazioni, in base ad una programmazione, non per patologie ordinarie.
  Circa lo strumento del commissariamento, che le Regioni hanno chiesto di cambiare, ne va cambiata la struttura che non può essere solo quella di ridurre i disavanzi, ma che può configurarsi come una sorta di commissariamento puntuale, cioè su una singola realtà regionale, quindi su una singola struttura aziendale. Quanto al ruolo pubblico-privato nella sanità (64), il tema va ricondotto alla programmazione, secondo le esigenze poste dalle Regioni e non a quello che l'erogatore privato vuole erogare.

6.3. Temi specifici affrontati nelle audizioni

  Il punto di vista delle tre Regioni interessate è stato espresso dai rispettivi Presidenti in audizione.
  Molti sono stati i temi importanti approfonditi dalla Commissione.

6.3.1. Inquadramento delle intese nel quadro del principio dell'autonomia degli Enti territoriali

  Le numerose audizioni svolte con autorevoli esponenti della dottrina italiana nei settori costituzionali e di scienza delle finanze hanno rappresentato un quadro molto variegato, talvolta opposto da un punto di vista culturale e scientifico, circa la configurazione delle intese in oggetto, coerentemente, del resto con la vivacità del dibattito in materia sia in sede politica che presso l'opinione pubblica e sui mezzi di comunicazione.
  È stato sottolineato dal prof. Balboni il valore sistemico di tali intese, che si pongono come l'occasione di ripensamento critico sulla concreta operatività dell'articolo 5 e del titolo V della Costituzione e l'occasione per procedere ad un «riordino di materie, competenze e funzioni che è meglio siano svolte dall'intero complesso della amministrazione Pag. 63regionale e locale, in spirito di «leale collaborazione» con lo Stato, ma anche di «virtuosa competizione» delle Regioni tra loro e delle Regioni con lo Stato, quando si intravvedano spazi e modalità di un miglioramento delle prestazioni pubbliche che vada a vantaggio di tutti». In questo quadro, fondato sui ricordati princìpi costituzionali, assumono valore, per l'equilibrio dei poteri tra Stato e soggetti di autonomia, la clausola della garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali dei cittadini sull'intero territorio nazionale, affidata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, l'esistenza di poteri sostitutivi dello Stato e le altre clausole volte a garantire l'eguaglianza sostanziale. (65)
  In audizione la professoressa Petrillo ha definito l'articolo 116, comma 3, una norma importante che rientra nel patto costituzionale, perché valorizza le autonomie, dando maggior responsabilità anche agli amministratori, elementi che fanno parte del patrimonio del federalismo fiscale, sempre improntato a una logica di solidarietà, con la possibilità che con esso si possa tornare ai princìpi del pluralismo istituzionale paritario di cui alla riforma del Titolo V e per valorizzare le autonomie locali, abbandonando la tendenza al riaccentramento dell'attività statale che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni. A tal fine è necessario attuare con chiarezza i meccanismi di perequazione e di definizione dei LEP. (66)
  Al contrario una visione molto critica del regionalismo differenziato è stata espressa dal prof. Lucarelli, per il quale l'articolo 116, comma 3 Cost., va comparato con i princìpi di solidarietà, di uguaglianza, di unità e indivisibilità, di cui agli articoli 1 2, 3 e 5 della Costituzione. In tale ottica la norma «non nasce con un ragionamento teso al trasferimento di materia, ma si ragiona intorno alle funzioni e si fa un ragionamento di natura più propriamente amministrativistica piuttosto che legislativa». Si parla al proposito di modifiche al regime delle competenze attraverso un artifizio di «decostituzionalizzazione», per il quale una legge ordinaria, a resistenza passiva, rinforzata può derogare al regime delle competenze, con un procedimento formalmente reversibile, ma sostanzialmente irreversibile. L'impianto delle intese non è tanto di differenziazione quanto di processo devolutivo, perché si realizza il trasferimento di un complesso delle materie non amministrative, ma legislative, alla competenza legislativa delle Regioni. In quanto incidente sulla forma di Stato rientrerebbe nella previsione di immodificabilità di cui all'articolo 139 Costituzione.
  Il regionalismo differenziato può servire, secondo il prof. Saitta, a superare la crisi endemica del regionalismo italiano, «come un'occasione preziosa per rilanciare la ragione profonda dell'istituzione delle Regioni, che era quella di mitigare le differenze economiche e sociali del Paese». Se affrontato «in termini disallineati può, invece, diventare occasione per acuire le differenze del Paese, che peraltro negli ultimi anni già hanno registrato una forte divaricazione».(67)Pag. 64
  Nell'analisi del prof. Viesti vi è la preoccupazione che «nell'insieme, si potrebbe configurare un assetto del Paese con due province autonome, quattro Regioni a Statuto speciale e altre ad autonomia differenziata, ma con ambiti differenti e con poteri e competenze centrali ritagliate ai margini. In un quadro del genere, che non si ritrova in nessun Paese del mondo, la realizzazione delle politiche pubbliche, la tutela dei diritti di cittadinanza, l'unità delle condizioni operative per le imprese potrebbero diventare problematici».(68)
  In audizione il prof. Longobardi (69) ha sottolineato la contrarietà della richiesta di trasferimento di alcune funzioni rispetto alla logica delle economie di scala, nella logica dell'efficienza allocativa delle risorse a livello dell'intero sistema. In alcune materie, ad esempio l'istruzione, vi sono i c.d. effetti spillover, effetti di traboccamento o esternalità, per cui del servizio prodotto e finanziato in una certa circoscrizione territoriale beneficiano anche cittadini residenti in altre circoscrizioni territoriali: in questi casi per l'efficienza allocativa sarebbe opportuno che tale servizio venisse prodotto ed erogato a un livello superiore di governo, che internalizzerebbe questi effetti di spillover.

6.3.2. L'efficientamento amministrativo

  La Corte dei conti ha definito il sistema delle intese Stato-Regioni come una manifestazione del principio di leale collaborazione più volte evocato dalla Corte costituzionale e di recente ha avuto sviluppo con riferimento ai rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali, che infatti sono stati regolati attraverso specifici accordi. (70)
  A prescindere dalle differenze politiche che hanno portato all'attivazione delle richieste di intesa, un tratto comune delle tre Regioni esplicitate nelle audizioni è la configurazione del progetto di autonomia differenziata come strumento di efficientamento dell'azione amministrativa regionale.
  Nelle parole del Presidente dell'Emilia-Romagna (71) l'obiettivo perseguito «è quello di rafforzare la capacità di risposta del sistema regionale ai bisogni dei cittadini e delle imprese, in particolare: per spendere meglio e più in fretta; per avere servizi migliori, più efficaci ed efficienti; per superare le sovrapposizioni burocratiche tra Stato, Regioni ed enti locali e per semplificare i procedimenti amministrativi, oltre che i processi autorizzativi; infine, per programmare di più e meglio, tanto per gli investimenti quanto per i servizi, in un Paese che troppo spesso vive del giorno per giorno». L'intento è quello di configurare l'autonomia non come un obiettivo, bensì come uno strumento per conseguire gli obiettivi fissati, per disporre di risorse certe e programmabili per le funzioni richieste.
  Nello stesso senso il Presidente della Lombardia (72): «Il significato della riforma è quello di cercare di efficientare questo Paese, cercare di Pag. 65fare in modo che emerga un principio di responsabilità molto maggiore, evitare che ci siano le giustificazioni che derivano dallo Stato centrale, dalla mancanza di fondi, che derivano, al contrario, dalla tranquillità che poi le proprie inadempienze vengano sanate dallo Stato centrale.»
  Al principio di sussidiarietà verticale si richiama il Presidente del Veneto (73) ritenendo che «se il centro decisionale è vicino al cittadino, il centro decisionale sia più responsabilizzato. (...) Potrebbe essere il pay off dell'autonomia. Vuol dire che la diminuzione delle catene decisionali ci permette di essere molto più performanti».
  È stato ritenuto il ruolo dell'autonomia differenziata non come un momento divisivo ma come una spinta all'efficientamento del Paese (74), in un quadro di solidarietà con altre Regioni più in difficoltà (75).
  Sempre sul tema dell'efficientamento è stato affermato in audizione dalla prof.ssa Randazzo che il processo di autonomia differenziata, valorizzando le best practises, e stimolando meccanismi positivi di contaminazione, può contribuire all'efficientamento complessivo, anche statale, delle istituzioni. (76)
  Un altro profilo proposto dalla Regione Veneto come motivazione dell'autonomia differenziata, attiene alla specificità del confronto con tre realtà territoriali confinanti, province di Trento, di Bolzano e Regione Friuli-Venezia Giulia, dotate di autonomia speciale, che per i vantaggi che tale regime offre ha determinato il fenomeno della richiesta di ben 32 comuni transfrontalieri di montagna su 574 del Veneto che chiedono il distacco dalla Regione. (77)

6.3.3. Il rispetto del principio di sussidiarietà

  Sul rapporto tra autonomia regionale e il pericolo di sostituire ad un centralismo statale un neocentralismo regionale (78) in luogo di un processo di sussidiarietà che riconosca la centralità dei territori, va segnalato l'approccio della Regione Emilia-Romagna, che ha inteso sin dall'inizio muovere dalla concertazione istituzionale e sociale con comuni e province, camere di commercio e università, associazioni di categoria e organizzazioni sindacali, professionisti e terzo settore, per la realizzazione di un progetto non per l'autonomia dell'ente regione, ma per l'autonomia del sistema territoriale dell'Emilia-Romagna. Sul medesimo tema, nell'audizione con il Presidente della Regione Veneto, è stato affermato che l'impostazione della Regione Veneto è quella di attribuire tutte le parti operative e gestionali, susseguenti alle decisioni assunte in sede legislativa dalla Regione, alle province e agli enti locali. Il tema del rispetto del principio di sussidiarietà è stato richiamato anche nell'audizione con l'IFEL del 28 marzo 2019.
  L'Unione delle Province d'Italia (UPI) ha espresso l'avviso di guardare con particolare favore al regionalismo differenziato purché Pag. 66avvenga nel perimetro del rispetto dell'articolo 5 della Costituzione e nel rispetto delle autonomie locali e con il superamento della legge n. 56 del 2014 relativo alle province per il quale è costituito un tavolo tecnico-politico presso la Conferenza Stato-città. (79)
  Preoccupazioni sul mancato rispetto del principio di sussidiarietà verticale per quanto riguarda rispetto ai contenuti delle bozze di intesa è stato espresso dal prof. Saitta in audizione, che ha ricordato come l'articolo 118 Cost. preveda che le funzioni di competenza delle Regioni sono attribuite ai comuni, alle province e alle città metropolitane in base al principio di sussidiarietà. (80)

6.3.4. Rapporti tra le iniziative delle varie Regioni

  Le intese ex articolo 116, terzo comma, Cost. non sono un'innovazione del sistema costituzionale ma una prima applicazione di una previsione che ormai risale a quasi 20 anni fa. A oggi, oltre alle tre Regioni citate, altre dieci hanno espresso interesse (Campania, Liguria, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria Regioni ordinarie conferendo al Presidente l'incarico di chiedere al Governo l'avvio delle trattative per ottenere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, mentre Basilicata, Calabria, Puglia hanno assunto iniziative preliminari).
  Circa il rapporto tra le tre iniziative e quelle successive da parte di altre Regioni (81), la titolarità dell'iniziativa assunta da parte di quasi tutte le altre Regioni è stata ascritta a riprova della condivisione, a livello degli Enti territoriali, della scelta di voler cambiare la propria organizzazione, stante l'inadeguatezza dell'assetto attuale, fermo restando la separazione procedurale e contenutistica delle varie iniziative d'intesa.
  Questo è un punto che è stato più volte affrontato, per l'impatto rilevante che l'attivazione dell'autonomia differenziata da quasi tutte le Regioni può determinare sull'assetto organizzativo dello Stato.
  Il tema della diversità di assetto tra le Regioni all'esito delle intese e sul valore delle stesse come momento rilevante di riorganizzazione dello Stato (82) va esaminato alla luce della strutturazione costituzionale della Repubblica, che nel momento in cui riconosce la potestà legislativa esclusiva, pur nel rispetto dei princìpi fondamentali stabiliti con legge dello Stato, consente discipline diverse tra Regione e Regione.
  Nel corso dell'audizione del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giorgetti del 29 maggio 2019 è stato sottolineato che la possibilità di differenziare le forme dell'autonomia tra le Regioni risponde ad una logica complessiva di sistema nell'impianto costituzionale. Oltre alle previsioni di cui all'articolo 116, terzo comma, Cost. vanno ricordate le previsioni di cui articolo 118, primo comma, Cost., Pag. 67che consente al legislatore statale di allocare le funzioni amministrative anche secondo un criterio di differenziazione; analogamente nel settore della sanità, per le Regioni sottoposte a piani di rientro dal disavanzo per la spesa sanitaria sono stati definiti piani di intervento differenziati, in caso di squilibri strutturali gravi, attraverso la sottoscrizione di patti che limitano l'autonomia regionale sul piano legislativo, regolamentare e amministrativo.
  Altro profilo sottolineato è la diversità dei progetti di intesa presentati dalle Regioni dopo le tre che hanno aperto la strada del procedimento, molto diversi tra loro anche per scelta delle materie oggetto di trasferimento, che la Costituzione consente senza richiedere una omogeneità tra tutte le Regioni. Il processo in atto avvicina la Repubblica a schemi costituzionali già sviluppati in altri sistemi costituzionali, dagli Stati federali ai Länder della Germania, dalla Catalogna e i Paesi Baschi, Scozia e Ulster. (83)
  Circa la compatibilità del regionalismo differenziato con alcuni princìpi costituzionali, la Prof.ssa Randazzo in audizione ha osservato che il principio di eguaglianza, applicabile anche agli ordinamenti regionali, esige che siano trattate in modo eguale situazioni uguali ed in modo diverso situazioni diverse, fornendo in tal modo solida protezione alle esigenze di differenziazione. Solo una concezione dell'eguaglianza astratta e assoluta obbligherebbe, con forzature, a riconoscere tale facoltà a ciascuna regione solo quando tutte avranno accesso al regime di differenziazione. Circa il rispetto del principio di solidarietà «richiede di essere rideclinato in modo da conciliarsi con l'affidabilità di cui deve dare prova chi se ne avvale. In ogni caso esso richiede di essere accompagnato dalla contestuale promozione e pratica di una cultura della cosa pubblica e della sua buona amministrazione la cui carenza sembra caratterizzare interi settori dell'amministrazione pubblica nostrana, a prescindere dai livelli di governo», tenendo insieme solidarietà e responsabilità che ne discende. L'articolo 5 reca la valorizzazione del pluralismo istituzionale, che non è secessionismo ma autonomia.
  Al contrario, nell'audizione con l'Ufficio parlamentare di Bilancio, sono stati ritenuti necessari momenti di coordinamento tra le Regioni richiedenti, per la standardizzazione delle modalità di trasferimento delle funzioni e con le altre Regioni, stante il quadro alquanto incerto nel quale l'impianto del federalismo regionale dovrebbe trovare attuazione. Come il Prof. Zanardi ha rilevato nella sua audizione, «va ricordato che il sistema di finanziamento delle Regioni non ha ancora trovato un suo adeguato assestamento. La legge di bilancio per il 2018 ha, da ultimo, rimandato al 2020 l'attuazione di alcune componenti rilevanti del D.Lgs. 68/2011 che, come detto, disciplina gli elementi costituiti fondamentali del complesso sistema di finanziamento e perequazione delle regioni a statuto ordinario nelle materie diverse dalla sanità (assistenza, istruzione e trasporto pubblico locale) nonché il meccanismo della perequazione infrastrutturale. A oggi non sono stati emanati i provvedimenti relativi alla determinazione dei fabbisogni standard delle spese regionali collegate ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e delle capacità standard destinate al finanziamento sia alle spesa LEP sia alle altre spese regionali, quelli relativi alla Pag. 68definizione degli schemi di perequazione regionale distinti tra spese LEP (sui fabbisogni standard) e spese non LEP (sulla capacità fiscale), quelli concernenti il principio di territorialità nell'attribuzione del gettito IVA e la fiscalizzazione dei trasferimenti aventi carattere di generalità e permanenza».(84)
  Il tema dell'eccessiva eterogeneità delle discipline adottate in sede regionale, conseguente alla riforma del Titolo V, del contenzioso tra Stato e Regione presso la Corte costituzionale e delle diversità di disciplina tra le varie Regioni è stato altresì affrontato durante le audizioni. (85)

6.3.5. Questioni di ordine finanziario

  Molteplici sono stati i profili esaminati.

6.3.5.1. Costo finanziario delle intese

  L'articolo 14 della legge n. 42 del 2009 prevede che «con la legge con cui si attribuiscono, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, forme e condizioni particolari di autonomia a una o più Regioni si provvede altresì all'assegnazione delle necessarie risorse finanziarie, in conformità all'articolo 119 della Costituzione e ai princìpi della presente legge», e che il finanziamento dell'autonomia differenziata deve essere garantito sulla base della metodologia di calcolo del fabbisogno standard e della valorizzazione dell'autonomia di entrata attraverso la fiscalizzazione dei trasferimenti, princìpi valevoli per il complesso delle Regioni a statuto ordinario.
  Per quanto concerne il tema degli effetti finanziari della definizione delle intese, il Ministro dell'economia e delle finanze, Giovanni Tria, nell'audizione del 18 aprile 2019 ha affermato che «in alcuni casi le richieste regionali non appaiono del tutto coerenti con i princìpi costituzionali (tali richieste sono spesso inerenti a materie diverse da quelle elencate nella Costituzione) e che, pertanto, vista la tassatività del disposto costituzionale, non possono essere oggetto di attribuzione. In particolare, tra le norme costituzionali che non possono essere derogate deve ricomprendersi l'articolo 117, secondo comma, lettera e), che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato.»
  Circa la quantificazione dei relativi costi il Ministro ha espresso una posizione molto prudente in Commissione, affermando che «solo successivamente all'entrata in vigore delle leggi di approvazione dell'intesa potrà prendere avvio il complesso processo di definizione delle specifiche attività amministrative correlate alle funzioni trasferite e dei relativi beni e risorse», attraverso i singoli decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che renderanno operativo il disegno di autonomia differenziata. «Questi ultimi, nel caso comportino nuovi o maggiori oneri, saranno emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse Pag. 69finanziarie. A ciascuno schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dovrà essere allegata una relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura».
  Di conseguenza, nell'attuale fase embrionale il Ministro non ha ritenuto possibile esprimere una valutazione degli impatti sulla finanza pubblica.
  L'UPB ha evidenziato in audizione che vi sono due modalità di finanziamento delle competenze aggiuntive: una «cooperativa», adottata per il finanziamento della spesa sanitaria, che prevede la revisione periodica dell'ammontare di risorse riconosciute per le funzioni devolute alle Regioni ad autonomia differenziata; una seconda, invece, definita «autonomista», che prevede di cristallizzare le aliquote di compartecipazione ad un livello fissato inizialmente. In tal caso se il gettito erariale compartecipato riferito al proprio territorio crescesse secondo le dinamiche osservate nel periodo 2013-2017, l'evoluzione delle entrate per le Regioni sarebbe stata sarebbe notevolmente superiore a quello del fabbisogno relativo alle funzioni trasferite. L'UPB ha riferito che nel periodo 2013-2017 l'evoluzione della spesa regionalizzata per l'istruzione nelle regioni Emilia, Veneto e Lombardia, rispetto all'evoluzione della loro IVA territorializzata mostra che «in questo periodo breve l'IVA della Lombardia è cresciuta di dieci punti percentuali di più rispetto a quanto gli era stato attribuito in termini di risorse per la fornitura statale di istruzione, nell'Emilia-Romagna il risultato è di sei punti in più, nel Veneto di otto punti in più. Si ha, quindi, evidenza del fatto che, se avessimo fissato nel 2013 il punto d'inizio del federalismo differenziato, noi avremmo avuto una divaricazione fra i percorsi di evoluzione temporale delle risorse collegate all'IVA e, dall'altra parte, della spesa storica dello Stato per l'istruzione in modo particolare».
  È stato altresì evidenziato dall'UPB nell'audizione del 10 luglio 2019 che il rischio che la frammentazione di servizi pubblici porti all'incremento dei costi per il venir meno delle economie di scala, ritenendo che «andrebbero comunque valutati i possibili maggiori costi per la Pubblica amministrazione nel suo complesso determinati dal minore sfruttamento delle economie di scala e di integrazione a livello nazionale: le strutture dell'Amministrazione centrale non fornirebbero più i servizi oggetto di autonomia rafforzata in una parte del territorio nazionale mentre sarebbe necessario attivare nuovi servizi amministrativi a livello decentrato (i quali, peraltro, potrebbero, su una scala più piccola, sfruttare maggiori economie di integrazione)». La questione delle economie di scala nell'allocazione delle materie andrebbe anche altresì opportunamente valutata in altri ambiti e funzioni, ad esempio, con riferimento alle infrastrutture.
  Il prof. Petretto ha affermato che «se il finanziamento dell'autonomia differenziata (o asimmetrica) non sarà inserito in un contesto generale di riforma della finanza delle Regioni a statuto ordinario, allo stato largamente non attuata, non potrà assumere il carattere di variazione al margine che la Costituzione intende assegnargli, per divenire invece un regime speciale, con un processo di sostanziale creazione di nuove Regioni a statuto speciale. L'applicazione della legge Pag. 70n. 42 del 2009, pur non essendo richiamata nelle bozze d'intesa, è imprescindibile, in quanto contiene tutti i pesi e contrappesi al suo interno, attraverso passaggi che prevedono meccanismi perequativi, il rispetto del pareggio di bilancio a livello consolidato e il mantenimento di una pressione fiscale contenuta, al fine di non determinare un impatto negativo sulla finanza dello Stato». (86)

6.3.5.2. Eventuali effetti redistributivi

  Tema essenziale è quello degli eventuali effetti redistributivi recati dall'autonomia differenziata nei confronti di altre Regioni. (87)
  Tutti i Presidenti delle Regioni auditi hanno sostenuto l'assenza di effetti redistributivi, sottolineando la neutralità finanziaria dell'operazione di trasferimento delle competenze.
  Il Presidente dell'Emilia-Romagna Bonaccini ha affermato che «Come dico sempre, non credo che stiamo attentando all'unità del Paese né a indebolire territori già più deboli se chiediamo di permetterci di farlo, a risorse nostre, senza chiedere un euro di più allo Stato.»
  Il Presidente della Lombardia Fontana ha affermato che «Non esiste nessun tipo di modifica delle condizioni economiche oggi esistenti. Noi chiediamo semplicemente che ci vengano trasferite delle competenze e che insieme alle competenze ci vengano trasferite le somme che lo Stato oggi spende per svolgere quelle competenze. È una falsità pensare che ci sia la sottrazione di qualche risorsa a danno di qualche altra regione o di qualche altro, addirittura ho sentito dire, servizio nazionale. Per quanto riguarda la solidarietà, non cambia assolutamente e rigorosamente nulla.» È stato altresì sottolineato, nella stessa sede, che il trasferimento di competenze determinerà una «situazione a costo zero» perché cambierebbe soltanto lo spenditore finale di quella somma.
  Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giorgetti, nell'audizione del 29 maggio 2019, ha affermato che «l'attuazione del regionalismo differenziato non comporterà una variazione che porti un indebito vantaggio nella quantità di risorse finanziarie attribuite a ciascuna singola Regione «differenziata» per l'esercizio delle funzioni attribuite, bensì una riallocazione di risorse già impiegate dallo Stato alla periferia. Non si dovranno determinare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica o, per altro verso, lo scarico di ulteriori costi sulla pressione fiscale sui contribuenti. Al contrario si svilupperà un procedimento di ulteriore «razionalizzazione» della spesa pubblica in ciascuna Regione», mantenendo i presidi costituzionali dell'unità della Repubblica (LEP, funzioni fondamentali, unità giuridica ed economica, potere sostitutivo, ecc.). «Mutando la potestà legislativa e le funzioni amministrative da Regione a Regione, anche l'intervento perequativo dovrà adattarsi a tale quadro istituzionale. Su questo tema, in ogni caso, è l'articolo 119, terzo comma, Cost., che detta la via maestra da seguire, ovverosia la perequazione delle capacità fiscali Pag. 71territoriali (articolo 119) e i c.d. interventi speciali (articolo 119, quinto comma, Cost.).» Sempre secondo il sottosegretario Giorgetti le bozze di intesa in discussione non innovano ai princìpi della perequazione, della solidarietà e della sussidiarietà nazionale.  (88) Il rinvio che l'articolo 116 terzo comma, fa all'articolo 119, rende automatico il ricorso ai criteri dei fabbisogni standard, dei costi standard e dei LEP, materia di competenza esclusiva dello Stato, cui spetta provvedere in materia.
  La Ministra per il sud Barbara Lezzi (89) ha ritenuto che le «richieste di autonomia previste nel contratto di governo devono essere accolte, senza però che questo rappresenti uno strumento per favorire alcune Regioni a scapito di altre. Il completamento del suo iter non dovrà in alcun modo comportare un surplus fiscale trattenuto al nord». In merito agli effetti finanziari dell'eventuale definizione delle intese nella stessa sede la Ministra ha espresso perplessità per esprimere una valutazione degli impatti sulla finanza pubblica, che sarà possibile solo dopo l'approvazione dei singoli decreti del Presidente del Consiglio e ha ritenuto necessario definire i livelli essenziali delle prestazioni. (90)
  Per quanto attiene al rapporto finanziario tra autonomia e unità nazionale e vincoli di solidarietà, il tema del c.d. residuo fiscale, con l'ipotesi sostenuta in precedenza a livello politico di trattenere a livello regionale una parte elevata del gettito fiscale prodotto, è stato oggetto di analisi in molte audizioni. (91) È stato rilevato come il testo delle bozze di intesa faccia riferimento all'attribuzione di risorse pari alla spesa precedentemente sostenuta dallo Stato per quelle stesse funzioni, senza più riferimenti al tema del residuo fiscale (92). Il Presidente della Regione Veneto, espressamente interpellato su tale questione, ha risposto che le bozze di intesa non riguardano il tema dei nove decimi di residuo fiscale, ma si riferiscono ad una compartecipazione sui tributi che prevede un tetto definito. Tale meccanismo ha una doppia valenza: in caso di aumento del gettito il sistema di premialità prevede una compartecipazione anche sull'extragettito; in caso di gettito effettivo inferiore rispetto al prefissato le Regioni devono far fronte da sole agli oneri per lo svolgimento delle funzioni.

6.3.5.3. Effetti sulla pressione fiscale

  Altro profilo rilevante è quello della neutralità fiscale dell'autonomia differenziata. Sul tema dell'eventuale aumento o dell'invarianza della pressione fiscale conseguente all'autonomia differenziata (93), il Ministro Tria ha ritenuto proprio dell'approccio federalista la possibilità Pag. 72di scegliere tra ridurre la pressione fiscale in alcune Regioni, per favorire lo sviluppo economico e aumentarla in altre per finanziare investimenti pubblici necessari allo sviluppo economico.

6.3.5.4. Criteri di riparto delle risorse

  Le risorse finanziarie saranno determinate all'inizio in termini di spesa storica, per poi arrivare ai fabbisogni standard e quantificate con decreti del Presidente del Consiglio di ministri su iniziativa del Ministero dell'economia, da sottoporre al vaglio parlamentare in sede di parere.  (94)
  Il Ministro dell'economia e delle finanze Tria ha ritenuto in audizione che mentre il criterio della spesa storica non è suscettibile di creare problemi finanziari, l'utilizzo del criterio della spesa media determinerebbe un aumento o una perdita di risorse per alcune Regioni (95), con la conseguente necessità di mettere a disposizione altre risorse per queste ultime. A tale problema le soluzioni proponibili sono due: o trasferire risorse da altre Regioni oppure prevedere una legge di copertura, secondo i princìpi contabili dello Stato italiano. Per tali motivi il Ministro Tria ha ritenuto che la direzione scientificamente più corretta è definire i fabbisogni standard e quindi non applicare il principio del costo medio. In direzione analoga la Ministra per il Sud Lezzi. (96)
  Circa i necessari passi procedurali per la definizione della strumentazione dei fabbisogni standard e dei LEP (97), cioè di un principio generale di controllo dell'efficienza della spesa pubblica per tutte le Regioni, il Ministro ha rivendicato il know-how acquisito dalle strutture competenti in questi anni, con una capacità di calcolo e di stima molto forte, che consente di «andare rapidamente nella direzione corretta dell'applicazione di questi princìpi e quindi andare verso l'approvazione – questo non dipende solo dal Ministero dell'economia – di queste intese per l'autonomia differenziata applicando questi princìpi».
  Circa i meccanismi di calcolo delle risorse (spesa storica per il primo anno, LEP e fabbisogni storici dopo tre anni e, in caso di mancata definizione di questi, utilizzo della media nazionale pro capite) l'utilizzo della media nazionale pro capite è stata ritenuta una misura non indicativa e non chiara, in quanto riferita ai costi di personale, più alti nel Mezzogiorno. (98) Il Coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome Caparini, circa il metodo di calcolo delle risorse finanziarie, ha inquadrato il criterio del valore medio nazionale pro capite come una clausola di salvaguardia rispetto all'individuazione dei LEP e dei fabbisogni standard, di spettanza statale per il quale nelle bozze di intesa è previsto un periodo di quattro anni. È stato altresì affermato che «non possono essere fatte ricadere sulle Regioni Pag. 73delle questioni che attengono a scelte che devono essere fatte a livello di potere centrale». (99)
  È stato affermato che l'elaborazione dei fabbisogni standard deve andare di pari passo con l'individuazione dei LEP. (100)
  Circa il modello di finanziamento la prof.ssa Cerniglia, criticando, nel testo delle bozze d'intesa, l'assenza di un espresso riferimento ai meccanismi di cui alla legge m. 42 del 2009, ha ritenuto che l'autonomia differenziata debba avere il regime di finanziamento proprio delle Regioni a Statuto ordinario e non uno vicino a quello delle Regioni a Statuto speciale. Tra i punti oggetto di necessario approfondimento vi sono la questione della destinazione delle maggiori risorse conseguenti a risparmi di spesa e di un eventuale extragettito derivante dall'aliquota di compartecipazione per effetto di un ciclo economico favorevole. Circa i criteri di riparto, per la spesa storica statale occorre partire da una base di dati condivisi e il criterio della media nazionale è stato ritenuto non condivisibile, per i fabbisogni standard si segnalano le difficoltà di definire i LEP, con la necessità di redistribuire le risorse tra le Regioni. (101)
  In audizione la prof.ssa Guerra ha ricordato che l'articolo 119 Cost. e la legge n. 42 del 2009 contemperano l'autonomia dei territori e la solidarietà tra i territori riferita a garantire ai cittadini i livelli essenziali delle prestazioni, in modo omogeneo sul territorio. Mentre per i LEP, riferibili ai diritti civili e sociali, sono garantiti costituzionalmente il finanziamento integrale e una perequazione secondo un sistema dei fabbisogni, per le spese autonome, ossia che non sono LEP, il finanziamento avviene con contributi decentrati e la perequazione, non integrale, avviene con riferimento alla capacità fiscale. A tutt'oggi questa distinzione non è stata di fatto operata, in quanto i LEP non sono ancora stati definiti e le modalità di perequazione non sono ancora state differenziate. (102)

6.3.5.5. Autonomia differenziata e vincoli di finanza pubblica

  Il tema dei requisiti soggettivi o criteri di «ammissione» al regionalismo differenziato è stato sollevato in audizione sia dall'Ufficio Parlamentare di Bilancio, sia dalla Corte dei Conti nell'ottica della partecipazione delle Regioni ai vincoli derivanti dalla partecipazione al quadro consolidato della finanza pubblica. (103) L'assenza di una legge di attuazione del dettato costituzionale non ha consentito di richiedere alle Regioni interessate il possesso di requisiti di solidità delle finanze regionali ed adeguatezza della capacità amministrativa per la presentazione delle richieste di intesa. Tale situazione è stata ritenuta come potenzialmente rischiosa per la formazione di deficit Pag. 74nei bilanci regionali e di peggioramento delle prestazioni fornite. Non risultano neanche previste procedure di riconoscimento dell'eventuale «fallimento» delle Regioni nel gestire adeguatamente i servizi e le competenze aggiuntive acquisite e procedure per la conseguente riconduzione delle funzioni alla responsabilità statale.
  Analogamente, sul piano dottrinario, nell'audizione della Prof.ssa Randazzo è stato affermato che non si possono non porre delle condizioni per accedere al regionalismo differenziato e la condizione è quella della virtuosità, particolarmente sul tema delle risorse. In tema di reversibilità delle intese, occorrono meccanismi di verifica dei risultati. (104) In audizione il prof. Saitta, rilevando che la durata decennale delle intese prevista dalle bozze del febbraio 2018 non compare in quelle del 2019, affermava che dalla lettura sistematica della Costituzione il regionalismo differenziato non possa essere un trasferimento sine die, perché altrimenti configurerebbe una sorta di ulteriore specialità, che richiede uno statuto approvato con legge costituzionale. (105)
  Circa il riferimento all'articolo 119, del quale la legge n. 42 del 2009 rappresenta l'attuazione, nell'audizione con l'Ufficio Parlamentare di Bilancio si è richiamata la situazione di largo inadempimento della relativa fase di attuazione, che riverbera i suoi effetti anche sull'autonomia differenziata. Al proposito si ritiene necessario realizzare prima pienamente il primo tipo di autonomia degli Enti territoriali oppure sviluppare i due processi di attuazione in parallelo, in modo da garantire adeguate coerenze fra i due processi di realizzazione.
  Sullo stesso tema è stato affermato che i ritardi nell'attuazione dell'articolo 119 e della legge n. 42 del 2009 non possono incidere oggi sulle iniziative di intesa, ma queste e il relativo percorso di approvazione delle stesse possono consentire di recuperare il tempo perduto e superare le carenze di attuazione, secondo un principio di leale collaborazione tra le Istituzioni. (106) Spetta al Parlamento svolgere un ruolo che ha svolto in chiave di supplenza il giudice costituzionale, che ha denunciato di frequente la «latitanza» del legislatore e il compito improprio di supplenza che è stato costretto a svolgere.
  In merito alla richiesta di certezza e programmabilità delle risorse che servono per finanziare gli investimenti infrastrutturali nei territori richiedenti le intese, si sottolinea che si tratta di problema che interessa tutte le Regioni e che richiede pertanto una soluzione globale. Per il riparto di risorse sono ipotizzabili due modelli contrapposti: quello «cooperativo» (top-down) utilizzato per la sanità dove si definisce prima l'importo totale delle risorse che le priorità nazionali e i vincoli di finanza pubblica consentono di attribuire alla funzione e poi si procede al riparto; quello «autonomista» in cui si definiscono prima aliquote fisse di compartecipazione, sulla base della spesa storica e sulla base dei fabbisogni standard, con l'effetto di creare divaricazioni in rapporto alla crescita del gettito e di non modificarsi in relazione a compatibilità generali di finanza pubblica Pag. 75e a priorità del sistema dell'intervento pubblico nazionale. Dal lato dello Stato la perdita del potere impositiva si traduce in una perdita parte della garanzia sul servizio del debito pubblico, con la conseguenza di dover allocare parte del debito pubblico alle Regioni richiedenti. (107)
  Anche ad avviso della Corte dei conti, «appare prioritario che il procedimento di finanziamento delle Regioni trovi un suo adeguato assestamento con l'attuazione del complesso sistema di finanziamento e perequazione delle Regioni a statuto ordinario nelle materie diverse dalla sanità, in particolare assistenza, istruzione e trasporto pubblico locale, nonché con il consolidamento della perequazione, compresa quella infrastrutturale», con la definizione degli schemi di perequazione regionale distinti tra spese LEP, fondate sui fabbisogni standard, e spese non LEP, basate sulla capacità fiscale, in quanto condizione propedeutica per la completa ed effettiva realizzazione del federalismo fiscale. (108) L'autonomia differenziale coinvolge il rispetto degli equilibri e la sostenibilità della finanza pubblica come declinati negli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione e le esigenze di coordinamento della finanza pubblica.

7. CONCLUSIONI

  Il lavoro svolto dalla Commissione è stato ampio, e contiene in sé gli spunti per gli approfondimenti che interesseranno i prossimi mesi ed anni di lavoro.
  Due sono i punti essenziali che emergono da questa relazione, relativamente alla legge n. 42 del 2009 e al regionalismo differenziato.

7.1. La fine della fase di transizione e l'attuazione della legge n. 42 del 2009

  Il decennio successivo all'approvazione della legge n. 42 è stato caratterizzato da interventi volti al contenimento della spesa pubblica, attraverso una pluralità di provvedimenti, emergenziali e provvisori, che hanno determinato una transizione infinita dal centralismo finanziario e compromesso le ragioni dell'autonomia finanziaria degli Enti territoriali.
  La Commissione ritiene necessario portare a conclusione il percorso avviato dieci anni fa e rimasto, almeno in parte, inattuato.
  Ciò presuppone interventi in sede normativa e amministrativa.
  Con riferimento alla determinazione dei fabbisogni standard, dei costi standard, della capacità fiscale e dei livelli essenziali delle prestazioni, l'esame in Commissione ha segnalato una serie di criticità e di necessità di indirizzi in sede politica, cui occorre dare risposte.
  I punti in discussione sono stati ampiamente illustrati nelle sezioni precedenti, cui si rinvia, grazie anche al contributo, sia istituzionale che tecnico, emerso nelle audizioni.Pag. 76
  Le questioni sono sufficientemente chiare.
  Quello che occorre è ora un atteggiamento propositivo e condiviso per dare soluzione a tali problemi.
  C’è un patrimonio di conoscenze e di esperienze da sfruttare in questa materia.
  La metodologia di calcolo dei fabbisogni standard per gli enti locali può consentire un buon punto di partenza per la definizione dei LEP a livello locale e per l'identificazione dei fabbisogni standard e dei LEP anche per le Regioni, pur con le dovute differenze. LEP e fabbisogni standard, insieme alla misurazione della capacità fiscale locale sono gli strumenti necessari affinché si possa completare, nel rispetto della normativa e dei princìpi costituzionali vigenti, il percorso di attuazione del federalismo per le regioni e per gli enti locali. Un federalismo che ha da un lato ha l'obiettivo di migliorare il livello di efficienza della pubblica amministrazione e la responsabilità dei rappresentanti nelle assemblee elettive nei confronti dei cittadini, ma dall'altro ha l'interesse di garantire in modo omogeneo l'offerta dei beni e dei servizi pubblici su tutto il territorio nazionale
  Il ruolo degli organismi tecnici operanti in materia (CTFS, SOSE e altri organismi) appare adeguato in termini di conoscenze tecniche ed expertise in materia.
  Quello che appare necessario, innanzitutto da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, che ha le attribuzioni e la responsabilità di attuare gli adempimenti in materia, è definire un cronoprogramma dei vari passaggi che compongono il complesso percorso della definizione dei fabbisogni dei LEP per le Regioni a statuto ordinario (input a SOSE e CTFS per raccolta ed analisi dei dati, formulazione delle ipotesi di lavoro, redazione delle note metodologiche, acquisizione di pareri parlamentari, ecc.), che sia ragionevole e certo per dare risposta al raggiungimento di obiettivi che non sono più rinviabili.
  L'affidamento dell'incarico a SOSE della predisposizione dei fabbisogni standard e ipotesi di LEP per le Regioni a statuto ordinario deve avvenire nel più breve tempo possibile. Trattasi infatti di un adempimento previsto dalla legge 42/2009 e pertanto strettamente connesso sia all'attività ordinaria della commissione bicamerale per il federalismo, sia preliminare allo stato di approfondimento della materia concernente il regionalismo differenziato.
  La Commissione parlamentare ha partecipato nelle scorse legislature, con un ruolo rilevante, alla definizione delle note metodologiche relative ai fabbisogni standard per gli enti locali. Questo ruolo deve essere svolto nell'ipotesi di aggiornamento e revisione di queste, in base alle esperienze raccolte, per la definizione degli standard relativi alle Regioni e, in generale per l'espressione di indirizzi politici che sono emersi come necessari, ad esempio per definire tutti gli elementi da considerare tra quelli rilevanti per definire il fabbisogno standard o per stabilire i livelli essenziali delle prestazioni.
  Il punto finale di questo lavoro deve essere quello di disporre, nel più breve tempo possibile, di un apparato metodologico pronto ed efficace, che consenta finalmente la piena attuazione della legge n. 42 del 2009 per l'attuazione del federalismo nelle regioni e negli enti locali e che fornisca, al termine del periodo transitorio, la strumentazione Pag. 77necessaria per le intese tra lo Stato e le Regioni che fanno richiesta di maggiore autonomia, una volta che queste siano definite.
  È possibile altresì che in materia di autonomia finanziaria degli Enti territoriali, per dare soluzione ad alcuni problemi evidenziatisi nel corso delle audizioni e per intervenire razionalizzando l'enorme mole di normative settoriali intervenute negli ultimi dieci anni, si rendano necessari ulteriori interventi-quadro. Su questo tema, rinviando ai problemi enunciati nella relazione, si chiama il Governo ad operare una riflessione.
  Specifiche riflessioni devono essere condotte su temi ordinamentali, quali l'assetto delle province e delle città metropolitane, su aspetti importanti per la autonomia finanziaria degli Enti territoriali, quale il trasferimento di immobili nel demanio regionale, che richiedono approfondite valutazioni da parte del Governo e del Parlamento.

7.2. Il regionalismo differenziato

  Le intese in materie di autonomia differenziata costituiscono attuazione di norme costituzionali e come tali, al di là delle legittime e fisiologiche diversità di vedute ed orientamenti politici, non possono non trovare una soluzione nelle sedi opportune.
  Lo sviluppo delle iniziative in tema di regionalismo differenziato va collocato nel quadro di venti anni di mancate risposte alle istanze dell'autonomia. Non si possono comprendere le ragioni dei soggetti di autonomia che si sono mossi in questa direzione se non si considerano le dinamiche della storia del rapporto Stato-autonomie che sono state ampiamente descritte nella relazione.
  Dall'esame in Commissione è emersa una serie di elementi positivi come anche di elementi critici, molti dei quali derivanti da scelte pregresse, legate alla mancata definizione delle regole procedurali per l'attuazione dell'articolo 116, comma terzo, che hanno oggettivamente creato incertezze e differenze interpretative.
  Di tutto questo vi è ampia traccia nei lavori della Commissione e su questo si rinvia pertanto alle pagine precedenti.
  È essenziale ribadire che la riforma in via di definizione costituisce un momento molto importante di innovazione e di riforma dell'assetto organizzativo della Repubblica, coinvolgendo lo Stato e le autonomie e che tale processo deve essere svolto con responsabilità e nello spirito di leale collaborazione tra istituzioni.
  Pertanto, sarebbe opportuna una partecipazione piena delle principali istituzioni rappresentative le cui attività sono direttamente e/o indirettamente influenzate dalle decisioni che saranno perse in attuazione dell'articolo 116 della Costituzione. Affrontare insieme tutti gli aspetti controversi legati al regionalismo differenziato non solo aggiunge la necessaria trasparenza alla formulazione di scelte così importanti per i cittadini italiani, ma permette, condividendone le responsabilità, di presidiare in modo consapevole al processo di ampliamento dell'autonomia regionale affinché si mantengano ferme le garanzie costituzionali in un percorso che deve essere svolto nell'interesse dell'intero Paese.
  È pertanto necessario ribadire che il percorso intrapreso in tema di regionalismo differenziato non debba assumere i caratteri di un Pag. 78neocentralismo regionale sia nell'attribuzione delle funzioni sia nella ripartizione delle risorse agli enti locali (Province, Città Metropolitane, Comuni).
  Il ruolo del Parlamento, nelle forme che saranno decise dai Presidenti delle Camere, non può che essere rilevante. La Commissione potrebbe rappresentare, in tal senso, un interlocutore istituzionale adeguato per competenze e per l'attività svolta in materia a partire dalla XVI legislatura.
  Il quadro di gravi inadempienze nell'attuazione dell'articolo 116 Cost. e degli adempimenti di cui alla legge n. 42 del 2009 rappresenta un precedente negativo da non seguire, ma resta comunque un utile riferimento per quanto attiene alla strumentazione tecnica che questa può e deve utilizzare, desumendola dalla citata legge. La definizione dei LEP e la misurazione dei fabbisogni standard, così come la formulazione di meccanismi perequativi, che assicurino i princìpi di solidarietà nazionale, costituiscono gli aspetti tecnici necessari emersi dal dibattito in Commissione.
  La necessità, ma anche l'opportunità dinanzi alla quale ci si deve confrontare ora, è avviare un processo che serva a dare risposte per entrambi i profili riguardanti l'autonomia degli Enti territoriali, richiamandosi a quanto detto nei paragrafi precedenti.

Pag. 79Pag. 80

   (1) La Ministra per gli affari regionali e le autonomie, Erika Stefani nell'audizione del 21 febbraio 2019 ha affermato che sebbene i due temi, sebbene stiano su piani diversi, tuttavia «si intersecano nel momento in cui si tratta del finanziamento e dell'aspetto economico di tutto l'apparato del riconoscimento delle forme di autonomia e dell'attribuzione delle competenze».

   (2) V. audizione del Ministro dell'Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, il 18 aprile 2019

   (3) v. Audizione di Maria Cecilia Guerra, Professoressa di Scienza delle Finanze presso l'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, il 3 luglio 2019

   (4) v. Audizione del 28 marzo 2019 del Presidente Guido Castelli dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL), Fondazione dell'ANCI che si occupa prevalentemente di economia e finanza locale, che ha utilizzato tale espressione «nel quadro di un logoramento del decentramento e dell'autonomia anche per via finanziaria, che ha deformato l'impianto della legge 42 del 2009»

   (5) v. Audizione del Ministro dell'Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, il 18 aprile 2019

   (6) v. Audizione del Presidente Antonio Dorrello e dell'Amministratore delegato Vincenzo Atella della SOSE – Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A, il 21 marzo 2019

   (7) Il direttore generale Atella, della SOSE, nella citata audizione, ha ricordato le principali: numero di abitanti; composizione demografica; altimetria; superficie del comune e densità abitativa; numero di immobili; km di strade comunali; quantità dei servizi offerti; rischio sismico; presenze turistiche; economie e diseconomie di scala; indice di deprivazione socio-economica; classi climatiche; quantità di rifiuti prodotti; numero di scuole e loro caratteristiche (comunali o statali); costo del lavoro interno ed esterno; pendolari entranti; numero dei veicoli; prezzo dei carburanti. Ad esempio, è possibile conoscere, per i decisori politici, il costo del servizio per ogni bambino in un asilo nido o in una scuola per l'infanzia ovvero il costo del servizio svolto con personale interno del comune o utilizzando una ditta esterna

   (8) v. Audizione della SOSE del 21 marzo 2019

   (9) v. Audizione di Giampaolo Arachi, Presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS), il 6 giugno 2019

   (10) SOSE, nel corso del 2018 ha individuato la spesa storica corrente di riferimento su cui calcolare i fabbisogni standard ed ha effettuato una ricognizione del livello dei servizi offerti nelle materie: affari generali; istruzione, orientamento e formazione professionale; trasporto pubblico locale; settore sociale, comprensivo d'infanzia e asili nido; natura, opere e viabilità; sostegno alle attività economiche; altre funzioni residuali degli enti regionali

   (11) v. Audizione di Giampaolo Arachi, Presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS), il 6 giugno 2019

   (12) v. al proposito le audizioni dei prof. Cerniglia, Guerra, Petretto, Zanardi.

   (13) v. Intervento del Pres. Cristian Invernizzi nella seduta del 6 giugno 2019

   (14) Nella pagina internet della Commissione sul sito Parlamento.it, all'indirizzo https://www.camera.it/leg18/1058?idLegislatura=18&tipologia=audiz2&sottotipologia= audizione&anno=2019 &mese=03&giorno=21&idCommissione=62&numero=0004&file=indice–stenografico sono consultabili i documenti depositati dalla SOSE in audizione concernenti le analisi in oggetto

   (15) v. sul punto intervento dell'on. Grimaldi

   (16) v. Audizione di Giampaolo Arachi, Presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS), il 6 giugno 2019

   (17) v. Intervento del responsabile analisi della finanza pubblica SOSE, Marco Stradiotto, nell'audizione del 21 marzo 2019

   (18) In realtà, per gli asili nido, con la legge 107/2015 non può più parlarsi di servizio a domanda individuale, in quanto il nido rientra nella scuola statale dell'infanzia che va da 0 a 6 anni

   (19) v. Intervento dell'on. Francesca Anna Ruggiero nella seduta del 6 giugno 2019

   (20) v. Audizione prof.ssa Maria Cecilia Guerra, Professoressa di Scienza delle Finanze presso l'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, il 3 luglio 2019

   (21) v. Audizione di Giampaolo Arachi, Presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS), il 6 giugno 2019 ed interventi degli onn. Ruggiero e Lovecchio

   (22) v. Audizione di Alberto Zanardi, membro del Consiglio dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio. Zanardi, il 17 luglio 2019)»

   (23) v. Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Giovanni Tria, il 18 aprile 2019

   (24) Sul punto v. anche audizione, il 28 marzo 2019, di Guido Castelli, Presidente dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL)

   (25) v. Intervento dell'on. Roger De Menech il 6 giugno 2019

   (26) v. Intervento della sen. Roberta Ferrero nella seduta del 9 maggio 2019

   (27) La SOSE ha predisposto l'11 dicembre 2017, un documento, ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge n. 50 del 2017, che riporta i risultati relativi alla predisposizione di metodologie utili al calcolo dei fabbisogni standard delle Regioni a statuto ordinario, in base ai criteri di cui all'articolo 13 del decreto-legge n. 68 del 2011, con le variabili socio-economiche di contesto e l'indicatore del livello del servizio, in correlazione con i costi medi per stimare l'efficienza della funzione di produzione. I criteri utilizzati sono quelli del principio di territorialità con il quale attribuire il gettito derivante dall'aliquota di compartecipazione IVA dal 2020, tenendo conto del luogo in cui avviene la cessione di beni; della fiscalizzazione dei trasferimenti statali di parte corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, in conto capitale, da individuare con DPCM entro luglio del 2019 e rideterminazione dell'aliquota dell'addizionale regionale IRPEF in modo da garantire al complesso delle Regioni a statuto ordinario entrate corrispondenti ai trasferimenti statali soppressi; dell'istituzione di un fondo perequativo alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell'IVA, determinata in modo tale da garantire in ogni regione il finanziamento integrale delle spese riconducibili ai LEP, nonché con la valutazione del gettito dell'IRAP e dell'addizionale regionale dell'IRPEF, e di quote di fondo perequativo per il finanziamento delle altre spese: le Regioni con maggiore capacità fiscale alimentano il fondo perequativo, mentre quelle con minore capacità fiscale partecipano alla ripartizione del medesimo fondo, al fine di ridurre le differenze interregionali di gettito per abitante rispetto al gettito medio nazionale per abitante

   (28) v. Audizione del Ministro dell'Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, il 18 aprile 2019

   (29) v, ad esempio, intervento degli onn. Gian Mario Fragomeli e Paolo Russo e dell'on. Francesca Anna Ruggiero nella seduta del 9 maggio 2019

   (30) v. Audizione della Ministra della salute, Giulia Grillo, il 10 aprile 2019

   (31) Lo schema di decreto interministeriale che innova il nuovo sistema di garanzia dei LEA per il monitoraggio dell'assistenza sanitaria, introducendo finalmente indicatori omogenei, misurabili e solidi, ha acquisito l'intesa della Conferenza delle Regioni e delle province autonome il 13 dicembre 2018, con l'impegno di farlo entrare in vigore a partire dal 2020, quindi per tutto il 2019 sarà ancora in fase sperimentale, v. Audizione della Ministra della salute, Giulia Grillo, il 10 aprile 2019

   (32) v. Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Giovanni Tria, il 18 aprile 2019

   (33) v. Audizione del Ministro dell'Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, il 18 aprile 2019

   (34) v. Audizione del Ministro dell'Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, il 18 aprile 2019

   (35) v. Audizione del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giorgetti del 29 maggio 2019

   (36) v. Interventi dell'on. Gabriella De Girolamo, dell'on. Giorgio Lovecchio nella seduta del 20 marzo 2019, v. dell'on. Gian Mario Fragomeli e del Sen. Marco Perosino nella seduta del 20 marzo 2019

   (37) v. Audizione del Ministro dell'Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, il 18 aprile 2019

   (38) In particolare, la sentenza fa riferimento alla circostanza che la regola del pareggio per come formulata, esclude l'avanzo di amministrazione dalle entrate computabili ai fini del conseguimento dell'equilibrio di bilancio, atteso che tale risultato deriva da risorse non imputabili alla competenza economica dell'esercizio: ciò non consente quindi agli enti di utilizzare nell'esercizio corrente la quota di avanzo conseguita nell'anno precedente. Sul punto la Consulta ha dichiarato la legittimità delle norme sopradette, fornendone però nel contempo una interpretazione "costituzionalmente orientata". Nel riconoscere che l'esclusione dell'avanzo in questione dal saldo soggetto al pareggio costituirebbe, ove fosse permanente, una immotivata penalizzazione finanziaria degli enti virtuosi, la Corte afferma infatti che tale esclusione risulta giustificabile unicamente in via transitoria, vale a dire con riferimento al bilancio di previsione. Una volta invece che l'avanzo risulti consolidato, vale a dire accertato in sede di rendiconto, lo stesso può essere iscritto in bilancio tra le entrate del nuovo esercizio in corso, in quanto, precisa la sentenza il risultato di amministrazione è parte integrante del concetto di equilibrio di bilancio

   (39) Si tratta, in particolare, dei commi da 485 a 493 (assegnazioni di spazi finanziari nell'ambito dei patti nazionali) e dei commi 502 e da 505 a 509 (spazi finanziari assegnati alle province di Trento e Bolzano per effettuare investimenti mediante l'utilizzo dell'avanzo di amministrazione) dell'articolo 1 della legge n. 232 del 2016. È prevista, altresì, l'abrogazione dell'articolo 43-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, volto ad attribuire spazi finanziari nell'ambito dei patti di solidarietà nazionale agli enti colpiti dal terremoto del 2016 e del 2017 per l'utilizzo degli avanzi di amministrazione e del debito, finalizzati ad investimenti per la ricostruzione

   (40) v. Audizione di Giampaolo Arachi, Presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS), il 6 giugno 2019

   (41) v. Audizione della Ministra per gli affari regionali e le autonomie, Erika Stefani, il 21 febbraio 2019

   (42) Al referendum lombardo hanno partecipato 3.030.000 elettori, pari al 38,2% degli aventi diritto, il 95 per cento dei quali si è espresso a favore del quesito referendario proposto: Al referendum veneto hanno partecipato 2.328.000 elettori, al 57,2% degli aventi diritto, il 98,1 per cento dei quali si è espresso a favore del quesito referendario proposto

   (43) Con la stessa sentenza sono state dichiarate l'illegittimità costituzionale della legge del Veneto n. 16/2014 recante "Indizione del referendum consultivo sull'indipendenza del Veneto", e di alcune disposizioni della legge n. 15/2014 relative ad altri quattro quesiti oggetto di referendum consultivo: "Vuoi che una percentuale non inferiore all'ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all'amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio regionale in termini di beni e servizi ?" e "Vuoi che la Regione mantenga almeno l'ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale ?" in quanto tali due quesiti interferiscono con la materia tributaria, in contrasto con le disposizioni dello statuto regionale che non ammettono referendum consultivi relativi a leggi tributarie e violano, inoltre, gli equilibri della finanza pubblica, incidendo sui legami di solidarietà tra la popolazione regionale e il resto della Repubblica; "Vuoi che il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non sia soggetto a vincoli di destinazione ?", in quanto rimuovendo di tutti i vincoli di destinazione gravanti su risorse finanziarie spettanti alla regione, violava la previsione costituzionale che consente allo Stato di destinare alle autonomie territoriali risorse aggiuntive per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni (articolo 119, quinto comma, Cost.); "Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale ?", in quanto il quesito incideva su scelte fondamentali di livello costituzionale che non possono formare oggetto di referendum regionali

   (44) Gli Accordi preliminari del 28 febbraio 2018 prevedono (articolo 2 delle Disposizioni generali) che l'intesa abbia una durata decennale, potendo comunque essere modificata in qualunque momento di comune accordo tra lo Stato e la Regione, "qualora nel corso del decennio si verifichino situazioni di fatto o di diritto che ne giustifichino la revisione". In tutti e tre gli Accordi preliminari le materie di prioritario interesse regionale oggetto del negoziato nella prima fase della trattativa sono le seguenti: tutela dell'ambiente e dell'ecosistema; tutela della salute; istruzione; tutela del lavoro; rapporti internazionali e con l'Unione europea. Tutte e tre le Regioni si sono riservate la possibilità di estendere il negoziato – in un momento successivo – ad altre materie. L'Accordo preliminare con la Lombardia, a differenza di quelli con l'Emilia-Romagna e con il Veneto, fa espressa menzione – quale oggetto di un eventuale successivo accordo – di materie di interesse delle autonomie locali, quali il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e il governo del territorio

   (45) Nell'audizione del 10 luglio 2019 il professor Alberto Zanardi dell'UPB ha affermato che «un'eventuale legge quadro di attuazione del dettato costituzionale avrebbe dovuto prevedere dei criteri in termini di solidità delle finanze regionali e in termini di adeguatezza della capacità amministrativa delle regioni, che avrebbero dovuto fare in un certo senso da filtro rispetto alle richieste da parte delle singole regioni»

   (46) v. Audizione di Antonio Saitta, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Messina, il 13 giugno 2019. L'utilizzo di tale norma è stata criticata dal sen. Errani nella seduta del 27 marzo 2019. Il Prof. Saitta ha proposto di richiamarsi alla prassi seguita nei primi anni 1970 (criticata allora dalla dottrina) in occasione dell'approvazione degli statuti regionali, quando, in sede di commissione, il Parlamento instaurò un vero e proprio confronto tra il Governo e le singole Regioni e quest'ultime, per non andare incontro a possibili bocciature dei loro statuti, ritennero di modificare i contenuti degli statuti stessi, nonostante che la lettura dell'articolo 123 Cost. precedente alla riforma del titolo V del 1999 sembrasse dare al Parlamento solo il ruolo di controllore finale di statuti predisposti dai consigli regionali e che il Parlamento avrebbe potuto soltanto approvare o respingere in blocco

   (47) v. Audizione di Barbara Randazzo, Professoressa di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Milano, il 13 giugno 2019

   (48) v. Audizione di Floriana M. Cerniglia, professoressa di Economia Politica presso l'Università Cattolica di Milano il 26 giugno 2019

   (49) Di questo orientamento sono stati Alberto Lucarelli, Professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II», il 12 giugno 2019, Antonio Saitta, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Messina, il 13 giugno 2019 e Maria Cecilia Guerra, Professoressa di Scienza delle Finanze presso l'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, il 3 luglio 2019

   (50) v. Audizione di Maria Cecilia Guerra, Professoressa di Scienza delle Finanze presso l'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, il 3 luglio 2019

   (51) v. Audizione di Barbara Randazzo, Professoressa di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Milano, il 13 giugno 2019

   (52) Nella XVII legislatura la Commissione parlamentare per le questioni regionali, a conclusione di un'indagine conoscitiva sull'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, ha approvato un documento conclusivo (Doc. XVII-bis, n. 13 del 6 febbraio 2018), nel quale ha evidenziato come il percorso autonomistico delineato dall'articolo 116, terzo comma, miri ad arricchire i contenuti e a completare l'autonomia ordinaria, nell'ambito del disegno delineato dal Titolo V della parte II della Costituzione e come l'attivazione di forme e condizioni particolari di autonomia presenti significative opportunità per il sistema istituzionale nel suo complesso, oltre che per la singola Regione interessata. La valorizzazione delle identità, delle vocazioni e delle potenzialità regionali determinano infatti l'inserimento di elementi di dinamismo nell'intero sistema regionale e, in prospettiva, la possibilità di favorire una competizione virtuosa tra i territori. L'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, non deve peraltro essere intesa in alcun modo come lesiva dell'unitarietà della Repubblica e del principio solidaristico che la contraddistingue. Uno dei punti più delicati del dibattito riguarda il tema delle risorse finanziarie che devono accompagnare il processo di rafforzamento dell'autonomia regionale. Al riguardo, nell'ambito dell'indagine conoscitiva è emersa come centrale l'esigenza del rispetto del principio, elaborato dalla giurisprudenza costituzionale, della necessaria correlazione tra funzioni e risorse

   (53) v. Audizione del professor Alberto Zanardi, membro del consiglio dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio il 10 luglio 2019

   (54) Audizione del 7 marzo 2019 di Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia-Romagna

   (55) Nell'audizione del 3 aprile 2019 è stato ricordato che in Veneto, nell'anno 2018-19 i dirigenti scolastici titolari sono 336 per 600 scuole, con 264 con doppio incarico di reggente. Anche per il ruolo di direttore di servizi generali e amministrativi, solo 359 scuole hanno un dirigente. Su 52.056 posti di docenti, a causa delle dinamiche della mobilità interregionale, dell'esaurimento delle graduatorie concorsuali e dei pensionamenti, circa il 20 per cento dei posti è ricoperto da personale supplente, con ripercussioni sulla continuità didattica

   (56) Nel contratto per il governo sottoscritto da Salvini e Di Maio (consultabile in https://s3-eu-west-1.amazonaws.com/associazionerousseau/documenti/contratto–governo.pdf) al punto 22 è riportato l'inciso «Saranno introdotti nuovi strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio, affrontando all'origine il problema dei trasferimenti (ormai a livelli record), che non consentono un'adeguata continuità didattica».

   (57) v. Audizione di Enzo Balboni, Professore emerito di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano il 12 giugno 2019

   (58) v. Audizione del professor Alberto Zanardi, membro del consiglio dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio il 10 luglio 2019

   (59) v. sul tema l'intervento in audizione del sen. Paolo Saviane

   (60) Sul tema v. interventi degli onn. Angela Ianaro e Paolo Russo e del sen. Stefano Collina

   (61) v. Interventi del sen. Vasco Errani, del sen. Marco Perosino, dell'on. Roger De Menech

   (62) v. sul tema l'intervento in audizione dell'on. Gian Mario Fragomeli

   (63) v. sul tema gli interventi in audizione del sen. Marco Perosino, del sen. Vasco Errani, e dell'on. Roger De Menech

   (64) v. sul tema l'intervento in audizione dell'on. Cattaneo

   (65) v. Audizione di Enzo Balboni, Professore emerito di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano il 12 giugno 2019

   (66) v. Audizione di Giovanna Petrillo, professoressa di diritto tributario presso il dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, il 20 giugno 2019

   (67) v. Audizione di Antonio Saitta, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Messina, il 13 giugno 2019

   (68) v. Audizione di Gianfranco Viesti, Professore di economia applicata presso l'Università di Bari, il 13 giugno 2019

   (69) v. Audizione di Ernesto Longobardi, professore di scienza delle finanze presso l'Università degli Studi di Bari Aldo Moro, il 20 giugno 2019

   (70) v. Audizione della Corte dei Conti, Presidente della Sezione delle Maurizio Graffeo, consiglieri Adelisa Corsetti e Alfredo Grasselli, e Andrea Petrella, il 17 luglio 2019

   (71) Audizione del 7 marzo 2019 di Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia-Romagna

   (72) Audizione del 19 marzo 2019 di Attilio Fontana, Presidente della Regione Lombardia

   (73) v. Audizione del 3 aprile 2019 con il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia

   (74) v. Su questo tema l'on. Cattaneo nella seduta del 27 marzo 2019

   (75) v. Su questo tema l'on. Osnato nella seduta del 27 marzo 2019

   (76) v. Audizione di Barbara Randazzo, Professoressa di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Milano, il 13 giugno 2019, in risposta ad interventi di sen. Presutto e on. De Menech

   (77) v. Audizione del 3 aprile 2019 con il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia

   (78) v. Interventi dell'on. De Menech nelle audizioni con la Ministra per gli affari regionali e le autonomie, Erika Stefani, il 21 febbraio 2019, con il Presidente del Veneto, Luca Zaia, il 3 aprile 2019 e con l'ANPCI il 20 marzo 2019

   (79) v. Audizione del Vicepresidente dell'UPI Carlo Riva Vercellotti, del sen. Stefano Collina e dell'on. Paolo Russo il 28 marzo 2019

   (80) v. Audizione di Antonio Saitta, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Messina, il 13 giugno 2019

   (81) v. Su questo tema l'intervento dell'on. Fragomeli nella seduta del 27 marzo 2019 e la risposta del Presidente della Lombardia Fontana

   (82) v. Su questo tema il sen. Errani nella seduta del 27 marzo 2019 e il sen. Marco Perosino nella seduta del 20 marzo 2019

   (83) v. Audizione del 3 aprile 2019 con il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia

   (84) v. Audizione del professor Alberto Zanardi, del consiglio dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio il 10 luglio 2019

   (85) v. Audizione dell'Associazione Nazionale Piccoli Comuni d'Italia, Presidente Franca Biglio, il 20 marzo 2019

   (86) v. Audizione del Prof. Alessandro Petretto, Professore emerito di economia pubblica presso l'Università degli Studi di Firenze, 12 giugno 2019

   (87) v. Su questo tema il sen. Presutto nella seduta del 27 marzo 2019, facendo riferimento alla stima di costo di 27 miliardi indicata dal Presidente della Regione Lombardia in audizione presso la Commissione nella XVII legislatura

   (88) v. Audizione del 3 aprile 2019 con il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia

   (89) v. Audizione della Ministra per il Sud, Barbara Lezzi il 9 maggio 2019

   (90) A tal proposito la Prof.ssa Cerniglia, nell'audizione del 26 giugno 2019 ha sottolineato come «in base al comma 4 dell'articolo 119, allo Stato incombe l'obbligo della perequazione delle risorse finanziarie che va implementata non in una prospettiva meramente statica e redistributiva, bensì in una prospettiva dinamica, cioè come una politica che deve portare nel tempo a ridurre le condizioni da cui dipende il divario».

   (91) v. Interventi dell'on. De Menech nell'audizione del 21 febbraio 2019 e del 3 aprile 2019, che richiamava i provvedimenti della regione Veneto che si riferivano ai nove decimi di residuo fiscale

   (92) v. Audizione di Enzo Balboni, Professore emerito di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano il 12 giugno 2019

   (93) V. Intervento in audizione dell'on. Roger De Menech

   (94) v. Audizione della Ministra per gli affari regionali e le autonomie, Erika Stefani, il 21 febbraio 2019

   (95) v. Intervento in audizione del sen. Vincenzo Presutto

   (96) v. Intervento dell'on. Vita Martinciglio nella seduta del 9 maggio 2019

   (97) v. Interventi in audizione dell'on. Paolo Russo, dell'on. Marco Osnato, dell'on. Roger De Menech e del sen. Presutto

   (98) v. Intervento di on. Navarra nell'audizione del 7 marzo 2019

   (99) v. Audizione del Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana il 27 marzo 2019

   (100) v. Intervento dell'on. Russo nell'audizione del il 21 febbraio 2019

   (101) v. Audizione di Floriana M. Cerniglia, professoressa di Economia Politica presso l'Università Cattolica di Milano il 26 giugno 2019

   (102) v. Nell'audizione di Maria Cecilia Guerra, Professoressa di Scienza delle Finanze presso l'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, 3 luglio 2019, è stato rilevato che «poiché moltissime delle funzioni di cui si chiede l'attribuzione non riguardano LEP, è difficile capire il riferimento per tali funzioni a un calcolo di fabbisogni standard».

   (103) v. Audizione del professor Alberto Zanardi, membro del consiglio dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio il 10 luglio 2019 e audizione della Corte dei Conti, Presidente della Sezione delle Maurizio Graffeo, consiglieri Adelisa Corsetti e Alfredo Grasselli, il 17 luglio 2019

   (104) v. Audizione di Barbara Randazzo, Professoressa di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Milano, il 13 giugno 2019

   (105) v. Audizione di Antonio Saitta, Professore di diritto costituzionale presso l'Università di Messina, il 13 giugno 2019

   (106) v. Audizione di Barbara Randazzo, Professoressa di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Milano, il 13 giugno 2019, in risposta ad interventi di sen. Errani e on. Russo

   (107) v. Audizione del professor Alberto Zanardi, membro del consiglio dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio il 10 luglio 2019

   (108) v. Audizione della Corte dei Conti, Presidente della Sezione delle Maurizio Graffeo, consiglieri Adelisa Corsetti e Alfredo Grasselli, e Andrea Petrella, il 17 luglio 2019.