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Documento

Doc. XXIII, n. 31

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE ALLE COMUNITÀ DI TIPO FAMILIARE CHE ACCOLGONO MINORI

(istituita con legge 29 luglio 2020, n. 107)

(composta dai deputati: Cavandoli, Presidente, Noja, Vicepresidente, Battilocchio, Segretario, Ascari, Avossa, Baroni, Bellucci, Cantone, Colmellere, D'Arrando, De Lorenzo, Fiorini, Giannone, Menga, Nappi, Rizzo Nervo, Tripodi, Troiano, Vietina e Zicchieri e dai senatori Guidolin, Vicepresidente, Boldrini, Segretario, Balboni, Binetti, Botto, Catalfo, Ciampolillo, Collina, D'Angelo, Fregolent, Lonardo, Malan, Mininno, Pavanelli, Pellegrini, Pillon, Rizzotti, Saponara, Sbrollini e Unterberger)

RELAZIONE CONCLUSIVA SULL'ATTIVITÀ SVOLTA

(Relatore: on. Laura Cavandoli)

Approvata dalla Commissione nella seduta del 15 settembre 2022

Comunicata alle Presidenze il 15 settembre 2022
ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 29 luglio 2020, n. 107

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INDICE

  I. Istituzione, costituzione e attività istruttorie della Commissione ... 5

  1. Elementi normativi ... 5

  2. La costituzione della Commissione e il suo assetto organizzativo ... 11

  3. Le modalità di svolgimento dell'inchiesta ... 12

  4. Le audizioni ... 14

   a) Le audizioni di Ministri ... 14

   b) Le audizioni di magistrati ... 19

   c) Le audizioni del Garante nazionale e dei Garanti regionali ... 23

   d) Le audizioni di esperti ... 29

   e) Le audizioni di familiari di minori e di loro rappresentanti legali ... 36

   f) Le altre audizioni: associazioni e categorie professionali ... 38

  II. I principali filoni di indagine sviluppati e le risultanze ... 47

  5. Premessa: Il necessario riferimento alla legge istituiva ... 47

   a) verificare lo stato e l'andamento degli affidatari e delle comunità di tipo familiare che accolgono minori, nonché le condizioni effettive dei minori affidati con riferimento anche al rispetto del principio della necessaria temporaneità dei provvedimenti di affidamento ... 47

   b) verificare il numero dei provvedimenti emessi dai tribunali per i minorenni ai sensi degli articoli 330, 332 e 333 del codice civile e dell'articolo 38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, dalla data di entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219 ... 52

   c) verificare le modalità operative dei Servizi sociali di primo e secondo livello e il loro ruolo nel processo ... 56

   d) verificare l'esito attuativo dei provvedimenti emessi dai tribunali per i minorenni ai sensi degli articoli 330, 332 e 333 del codice civile e del citato articolo 38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, dalla data di entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219 ... 68

   e) verificare l'effettiva temporaneità dei provvedimenti di affidamento ... 78

   f) verificare il rispetto dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per le strutture di tipo familiare e le comunità di accoglienza dei minori ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro per la solidarietà sociale 21 maggio 2001, n. 308, nonché il rispetto degli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che in base alla disciplina statale e regionale devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare che accolgono minori ... 81

   g) effettuare controlli, anche a campione, sull'utilizzo delle risorse pubbliche e private destinate alle comunità di tipo familiare che accolgono minori e valutare la congruità dei costi anche con riferimento alle differenze di carattere territoriale ... 87

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   h) valutare se nella legislazione vigente sia effettivamente garantito il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia e rispettato il principio in base al quale l'allontanamento del minore dalla famiglia di origine deve costituire un rimedio residuale e che in ogni caso esso non può essere disposto per ragioni connesse esclusivamente alle condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale ... 90

   i) verificare il rispetto della circolare n. 18/VA/2018, adottata con delibera dell'11 luglio 2018 del Consiglio superiore della magistratura, nonché di quanto disposto ai sensi dell'articolo 8 della presente legge, con particolare riguardo al divieto di esercizio delle funzioni di giudice onorario minorile per coloro che rivestono cariche rappresentative in strutture ove vengono inseriti i minori da parte dell'autorità giudiziaria, che partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture, che prestano a favore di esse attività professionale anche a titolo gratuito o che fanno parte degli organi sociali di società che le gestiscono ... 101

  6. Altre tematiche approfondite ... 105

   l) L'ascolto del minore ... 105

   m) La questione della inadeguatezza parentale nelle separazioni ... 109

  7. Conclusioni ... 114

Pag. 5

  I. Istituzione, costituzione e attività istruttorie della Commissione

  1. Elementi normativi

  La presente relazione finale sintetizza l'intera attività, le informazioni raccolte e gli atti di approfondimento e indagine compiuti nel corso della sua attività dalla «Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono i minori», istituita ai sensi della Legge n. 107 del 29 luglio 2020. Tale legge ha altresì introdotto alcune norme di modifica dell'ordinamento relative a «disposizioni in materia di diritto del minore ad una famiglia».
  L'istituzione della Commissione deriva dalla necessità di indagare il funzionamento complessivo del sistema di tutela dei minori fuori famiglia e la sua adeguatezza a rispondere a quanto stabilito dall'ampia normativa internazionale e nazionale in materia. Il riferimento va in particolare, oltre che alle pronunce della Corte europea per i diritti dell'uomo, alla legge 4 maggio 1983, n. 184 (e successive modificazioni), che ha sancito definitivamente il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia, portando a compimento il delicato processo di chiusura e trasformazione dei vecchi orfanotrofi, e alla Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge n. 176 del 1991, che ha stabilito che ogni minore, il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato, in conformità con la propria legislazione nazionale.
  L'inchiesta prende anche le mosse dai contenuti del Documento approvato dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza nella seduta del 17 gennaio 2018, a conclusione dell'indagine conoscitiva sui minori «fuori famiglia» (Doc. XVII-bis, n. 12), svolta in tutto il territorio nazionale sulle attività e sul funzionamento delle comunità e dei centri a cui vengono affidati i minori e sui criteri di scelta, valutazione e controllo delle famiglie affidatarie. La citata indagine conoscitiva ha evidenziato l'inadeguatezza del sistema di rilevazione dei dati concernenti i minori fuori famiglia, che non è apparso idoneo a garantire informazioni aggiornate e fruibili sul numero complessivo degli stessi e la loro relativa collocazione.
  Nel documento conclusivo la Commissione infanzia ha inoltre rilevato che «per quanto riguarda la tipologia e il numero delle strutture di accoglienza per minori, la Commissione ha potuto constatare che i dati disponibili non sono univoci e aggiornati come dovrebbero», ha stigmatizzato «l'eccessiva durata della permanenza di minori nelle comunità familiari, oltre i 2 anni previsti dalla legge» e ha richiamato «ancora una volta il pieno rispetto del dettato della legge n. 149 del 2001, che dispone espressamente che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia».
  L'emergere di gravi vicende come quella dei Servizi sociali della Val d'Enza ha inoltre indotto a un rinnovato interesse per la tematica dei controlli, sia in relazione ai requisiti minimi delle comunità di accoglienza, sia sulle figure professionali che operano all'interno di tali Pag. 6contesti, al fine di garantire al minore le migliori condizioni di sviluppo e crescita relazionale.
  Preceduta da un ampio dibattito parlamentare e giornalistico, la legge 29 luglio 2020, n. 107 (da ora in poi legge istitutiva), ha dunque creato la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori.
  La legge istitutiva si compone di nove articoli che individuano puntualmente le finalità e le modalità operative della Commissione.
  In particolare, all'art. 1 viene evidenziata la natura giuridica della Commissione a cui, in applicazione dell'art. 82 della Costituzione, vengono attribuite funzioni inquirenti. Alla Commissione spettano dunque i poteri di indagine ed esame meglio definiti all'articolo 4.
  A differenza di altri organi creati a livello regionale o anche comunale, come ad esempio la Commissione istituita nella Regione Emilia-Romagna dopo la vicenda della Val d'Enza, la Commissione può procedere con audizioni testimoniali e ad essa non può essere opposto il segreto d'ufficio, professionale o bancario, ma solo quello tra avvocato difensore e persona assistita in giudizio, per vincolo processuale riconducibile al mandato alle liti.
  Tali poteri, analoghi a quelli dell'autorità giudiziaria, devono essere esercitati nel quadro, a suo tempo definito con sentenza n. 231/1975 dalla Corte Costituzionale, che ha affermato che compito delle Commissioni parlamentari di inchiesta «non è di giudicare, ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l'esercizio delle funzioni delle Camere» e che i poteri d'inchiesta conferiti alla Commissione dovrebbero «salvaguardare le prerogative della ricorrente autorità giudiziaria, anch'essa titolare di un parallelo potere d'investigazione, costituzionalmente rilevante».
  L'articolo 3, comma 1, della legge istitutiva definisce l'ambito dell'inchiesta. Questa verte sui seguenti punti, individuati nei commi del citato articolo:

   a) verificare lo stato e l'andamento degli affidatari e delle comunità di tipo familiare che accolgono minori, nonché le condizioni effettive dei minori affidati con riferimento anche al rispetto del principio della necessaria temporaneità dei provvedimenti di affidamento.

  Primo compito della Commissione è approfondire lo stato di coloro che siano stati designati «affidatari» da un provvedimento giudiziario, che essi siano nuclei familiari o comunità, dunque organizzazioni complesse, deputate ad accogliere minori, e le condizioni effettive dei minori.
  Come si dirà anche in seguito, questo primo e precipuo compito della Commissione è ostacolato dall'assenza di un'anagrafe degli affidamenti extra-familiari in grado di fornire un quadro aggiornato dei minori privi di ambiente familiare idoneo e di rilevare la diffusione e le caratteristiche delle comunità di accoglienza e delle famiglie affidatarie.
  L'analisi compiuta si è dunque dovuta concentrare in maniera problematica sui modelli in essere, prendendo le mosse anche dalle segnalazioni che, più o meno fondatamente, hanno indicato criticità.
  Altro punto rilevante è la verifica della effettiva temporaneità degli affidi, che va letto insieme al richiamo a verificare le «condizioni Pag. 7effettive» dei minori, non dunque una mera analisi burocratica, ma un'analisi centrata sulle effettive condizioni di vita che il minore deve affrontare in ragione del proprio collocamento in strutture di accoglienza.

   b) verificare il numero dei provvedimenti emessi dai tribunali per i minorenni ai sensi degli articoli 330, 332 e 333 del codice civile e dell'articolo 38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, dalla data di entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219.

  Altra prerogativa della Commissione è quella di effettuare un controllo su quali e quanti provvedimenti giudiziari in materia di responsabilità genitoriale sono stati emessi relativamente a: decadenza dalla responsabilità genitoriale, ex art. 330 c.c.; reintegrazione nella responsabilità genitoriale, ex art. 332 c.c.; condotta del genitore pregiudizievole ai figli, ex art. 333 c.c.; art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile.
  Sul punto, la legge istitutiva presenta una formulazione discutibile in quanto fa riferimento ai soli Tribunali per i minorenni, tralasciando cioè il disposto della legge 219/2012 che ha attribuito al Tribunale ordinario davanti al quale sia stato instaurato un procedimento ai sensi degli articoli 337-bis e ss. la competenza ad adottare nei confronti della coppia genitoriale anche i provvedimenti ablativi e limitativi della responsabilità genitoriale, di cui agli articoli 330 e 333 c.c. La Commissione ha dunque ritenuto di considerare anche questi provvedimenti dei Tribunali ordinari, anche perché ha ricevuto numerosi esposti che riguardano casi di allontanamento di minori disposti da questi ultimi.

   c) verificare le modalità operative dei Servizi sociali di primo e secondo livello e il loro ruolo nel processo.

  Le modalità operative dei Servizi sociali sono un tema amplissimo, che costituisce tra gli argomenti che hanno occupato maggiormente la Commissione nelle proprie attività di indagine parlamentare. Il riferimento va naturalmente alla nozione di livelli essenziali concernenti le prestazioni agli utenti dei Servizi sociali (legge 328/2000 e art. 117, c. 2, lett. m., della Costituzione) e al tema delle prestazioni che devono essere garantite per scongiurare gli allontanamenti di minori, che, a norma di legge, non possono avvenire per ragioni economiche.
  Ai fini dell'inchiesta il dato di maggior interesse non è però quello, pur importantissimo, delle politiche poste in essere a vantaggio dei minori e delle loro famiglie, ma delle molteplici funzioni svolte dal Servizio sociale nei procedimenti, che vanno dalla segnalazione, all'esecuzione, al monitoraggio dei provvedimenti e che non appaiono esenti da criticità.

   d) verificare l'esito attuativo dei provvedimenti emessi dai tribunali per i minorenni ai sensi degli articoli 330, 332 e 333 del codice civile e del citato articolo 38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, dalla data di entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219.

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  Speculare alla lett. b) dell'art. 3, comma 1, è la lett. d) che stabilisce come le verifiche e le indagini sono da rivolgere anche al termine dei procedimenti, con riguardo non solo all'esito degli stessi per comprenderne quale sia stata la risposta giudiziaria al percorso processuale intrapreso, ma alla fase esecutiva che li definisce in concreto.
  La valutazione è naturalmente importante per comprendere se l'attuazione dei provvedimenti abbia effettività di tempo e di risultato nell'obiettivo di tutela che il suo contenuto si prefigge di raggiungere. Non secondaria è inoltre la questione dell'esecuzione, sulla quale pure si possono riscontrare criticità.

   e) verificare l'effettiva temporaneità dei provvedimenti di affidamento.

  Un obiettivo che sin dall'inizio è apparso come elemento da porre al centro dei controlli e delle indagini, è costituito dalla durata dei provvedimenti di affidamento, in cui il tempo dell'affido è spesso indefinito e indeterminato, o talora prorogato. Come si rileverà più avanti si tratta di un dato che, allo stato, non è sempre agevolmente rilevabile.

   f) verificare il rispetto dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per le strutture di tipo familiare e le comunità di accoglienza dei minori ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro per la solidarietà sociale 21 maggio 2001, n. 308, nonché il rispetto degli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che in base alla disciplina statale e regionale devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare che accolgono minori.

  Altro aspetto importante, ai fini della valutazione delle condizioni di vita del minore all'interno di una comunità, è verificare quali siano le caratteristiche organizzative, fisiche, costitutive delle strutture, quali siano le risorse umane, le competenze applicate al funzionamento corretto delle stesse a beneficio dei minori che là vengono collocati.
  In quest'ambito la Commissione, che non può che operare a campione, svolge una funzione parallela a quella che dovrebbe essere svolta dalle istituzioni deputate (procure minorili, ASL, NAS dei Carabinieri).

   g) effettuare controlli, anche a campione, sull'utilizzo delle risorse pubbliche e private destinate alle comunità di tipo familiare che accolgono minori e valutare la congruità dei costi anche con riferimento alle differenze di carattere territoriale.

  Anche sotto questo aspetto la Commissione non si sostituisce ad altre istanze presenti nell'ordinamento.
  Il controllo delle strutture, siano esse pubbliche o private, deputate all'accoglienza del minore si è basato su controlli effettuati a campione. Le verifiche sono state compiute anche nell'ottica di stabilire se l'impiego delle risorse finanziarie da parte delle strutture sia efficace e congruo rispetto all'impegno di spesa che esse producono.

   h) valutare se nella legislazione vigente sia effettivamente garantito il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia e rispettato il principio in base al quale l'allontanamento del minore Pag. 9dalla famiglia di origine deve costituire un rimedio residuale e che in ogni caso esso non può essere disposto per ragioni connesse esclusivamente alle condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale.

  La ratio della legge 107/2020 trova esplicazione proprio alla lett. g) dell'art. 3, comma 1, in quanto viene posto l'accento proprio sul diritto del minore a crescere nella propria famiglia e sul fatto che gli allontanamenti devono rappresentare l'eccezione alla regola della «conservazione» del nucleo familiare, ove non ci siano situazioni di pericolo e rischio per l'incolumità del minore. La valutazione del rispetto di questo principio, che caratterizza tanto la legislazione nazionale che le convenzioni internazionali in materia, non può naturalmente limitarsi al puro dato normativo, ma richiede una complessiva riflessione sugli strumenti normativi e sulle prassi in uso, anche alla luce della recente riforma del processo civile.

   i) verificare il rispetto della circolare n. 18/VA/2018, adottata con delibera dell'11 luglio 2018 del Consiglio superiore della magistratura, nonché di quanto disposto ai sensi dell'articolo 8 della presente legge, con particolare riguardo al divieto di esercizio delle funzioni di giudice onorario minorile per coloro che rivestono cariche rappresentative in strutture ove vengono inseriti i minori da parte dell'autorità giudiziaria, che partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture, che prestano a favore di esse attività professionale anche a titolo gratuito o che fanno parte degli organi sociali di società che le gestiscono.

  Ultimo tema individuato dalla legge istitutiva è l'analisi dell'organizzazione degli uffici giudiziari del Tribunale per i minorenni, in particolare della componente onoraria non togata. Si tratta di una materia che è stata profondamente modificata dalla recente riforma del processo civile, ma che mantiene una sua attualità alla luce di possibili conflitti di interesse della componente onoraria, alla quale viene spesso delegata buona parte della procedura. Relativamente a questi aspetti sono nel frattempo intervenute diverse disposizioni restrittive del Consiglio superiore della magistratura, a cui si farà accenno più avanti.
  Gli argomenti individuati dall'articolo 3, comma 1, costituiscono un vasto insieme di tematiche, che si collegano a numerose iniziative legislative, in discussione presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati, e che si sovrappongono in parte all'attività di altri organi, quali la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, che non dispone di poteri di inchiesta.
  Si ricorda, in particolare, che la Commissione giustizia della Camera ha avviato il 17 settembre 2019 l'esame della proposta di legge 2047 (Ascari), recante modifiche al codice civile e alla legge n. 184 del 1983 in materia di affidamento dei minori. Successivamente, nella seduta del 21 gennaio 2020, è stata abbinata la proposta di legge C. 2102 (Bazoli) e nella seduta dell'8 aprile 2021 sono state abbinate le proposte C. 2264 (Locatelli) e C. 2897 (Ascari). Da ultimo sono state abbinate anche le proposte C. 2796 (Bellucci), C. 2937 (Giannone) e C. 3148 (Boldrini). Tutte le proposte, pur divergendo parzialmente quanto all'oggetto, presentano profili comuni con riguardo alla volontà di intervenire sulla disciplina codicistica relativa ai presupposti e ai Pag. 10procedimenti da seguire per la dichiarazione di decadenza e per la limitazione della responsabilità genitoriale, e sulla disciplina dell'affidamento dei minori, di cui alla legge n. 184 del 1983. Nell'ambito dell'esame di tali proposte di legge, la Commissione Giustizia ha svolto numerose audizioni, acquisendo materiale di interesse che è stato tenuto presente nell'inchiesta.
  Va infine ricordato che la legge 8 marzo 2019, n. 21, all'articolo 2, nell'individuare le competenze della Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti accaduti presso la comunità «Il Forteto», attribuisce a quella Commissione bicamerale, il compito di formulare proposte in ordine:

   «a) all'adozione di nuovi strumenti di controllo delle comunità alloggio presenti sul territorio nazionale;

   b) al potenziamento del sistema dei controlli sui soggetti responsabili dell'affidamento familiare e, laddove siano emerse responsabilità e negligenze in capo ad essi, alle modalità con cui applicare gli opportuni provvedimenti sanzionatori».

  La disciplina stabilita dalla legge istitutiva è in linea con quella normalmente prevista per le commissioni bicamerali d'inchiesta.
  La Commissione è chiamata a completare i propri lavori entro la fine della XVIII legislatura e a presentare alle Camere, nei trenta giorni successivi alla fine dei lavori, la relazione conclusiva della sua attività di indagine. Sono ammesse relazioni di minoranza (art. 1). La Commissione può inoltre riferire alle Camere «ogniqualvolta ne ravvisi la necessità».
  La Commissione è composta da 20 senatori e 20 deputati, nominati dai Presidenti della Camera di appartenenza (in proporzione al numero dei componenti i Gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento). Nella designazione dei componenti si tiene conto anche «della specificità dei compiti assegnati alla Commissione» (art. 2).
  L'articolo 4 della legge istitutiva disciplina l'attività di indagine della Commissione, che procede con gli stessi poteri e limitazioni dell'autorità giudiziaria (comma 1, che riproduce il contenuto dell'articolo 82 della Costituzione). I poteri coercitivi che la Commissione d'inchiesta può esercitare sono naturalmente quelli propri della fase «istruttoria» delle indagini giudiziarie, dato che la Commissione è priva di poteri giudicanti e non può quindi accertare reati ed irrogare sanzioni.
  La Commissione quindi può disporre ispezioni e perquisizioni domiciliari, sequestri, perizie, ricognizioni ed accompagnamento coattivo dei testi renitenti. Con riferimento al profilo delle testimonianze davanti alla Commissione, la legge rinvia all'applicazione degli articoli 366 (Rifiuto di uffici legalmente dovuti) e 372 (Falsa testimonianza) del codice penale (comma 2).
  Alla Commissione – limitatamente all'oggetto delle indagini di sua competenza – non può essere opposto il segreto d'ufficio né quello professionale o bancario. È sempre opponibile, invece, il segreto tra difensore e parte processuale.
  L'articolo 5 prevede, inoltre, la possibilità per la Commissione di acquisire copie di atti e documenti relativi a procedimenti o inchieste Pag. 11in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti. Si prevede contestualmente il mantenimento del regime di segretezza fino a quando gli atti e i documenti trasmessi siano coperti da segreto.
  L'articolo 6 reca disposizioni in merito all'obbligo del segreto, con riguardo agli atti e ai documenti, dei quali è vietata la divulgazione, mentre l'articolo 7 demanda al Regolamento interno di regolare l'attività e il funzionamento della Commissione. Prevede inoltre che la Commissione possa avvalersi dell'opera di agenti e di ufficiali di polizia giudiziaria, nonché di magistrati collocati fuori ruolo e di tutte le collaborazioni che ritenga necessarie di soggetti interni ed esterni all'amministrazione dello Stato.
  Va ricordato infine che la legge istitutiva ha introdotto due norme immediatamente precettive, che non riguardano, in senso stretto, l'inchiesta, ma sono connesse ad essa. In particolare:
  L'articolo 9 della legge ha inserito un comma (3-bis) all'articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, che stabilisce che i provvedimenti di allontanamento dei minori dalle famiglie «devono indicare espressamente le ragioni per le quali non si ritiene possibile la permanenza nel nucleo familiare originario e le ragioni per le quali non sia possibile procedere ad un affidamento ad una famiglia».
  L'articolo 8 della legge ha introdotto una serie di modificazioni alla legislazione vigente in materia di disciplina della incompatibilità dei giudici onorari minorili, stabilendo che «non possono essere nominati giudice onorario del tribunale per i minorenni o consigliere onorario della sezione di Corte d'appello per i minorenni coloro che rivestono cariche rappresentative in strutture ove vengono inseriti i minori da parte dell'autorità giudiziaria, che partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture, che prestano a favore di esse attività professionale anche a titolo gratuito o che fanno parte degli organi sociali di società che le gestiscono». Tale divieto di nomina si estende anche al coniuge o convivente o parente entro il secondo grado.

  2. La costituzione della Commissione e il suo assetto organizzativo

  La Commissione si è costituita con la elezione del Presidente, del Vicepresidente e dei Segretari nella prima seduta del 27 maggio 2021. È stata eletta Presidente la deputata Laura Cavandoli, mentre sono stati elette Vicepresidenti la senatrice Barbara Guidolin e Lisa Noja e segretari il deputato Alessandro Battilocchio e la senatrice Paola Boldrini.
  La legge istitutiva (articolo 7) demanda la disciplina dell'attività e del funzionamento della Commissione ad un apposito regolamento interno, che è stato approvato nella seduta del 16 giugno 2021.
  Il regolamento – adottato con votazione dei singoli articoli e approvazione finale – è stato predisposto sul modello degli analoghi organismi parlamentari e definisce le regole di funzionamento della Commissione.
  Quanto ai contenuti, i poteri dell'Ufficio di presidenza (articoli 5 e 7), del Presidente, dei vicepresidenti e dei segretari (articolo 6), le modalità di convocazione della Commissione (articolo 8) e la disciplina del numero legale (articolo 10) sono stati mutuati dal Regolamento della Camera.Pag. 12
  Il regolamento interno prevede, inoltre, la possibilità di svolgimento sia di libere audizioni (articolo 14, comma 1, e articolo 16) sia di esami testimoniali e confronti (articolo 15); precisa che, qualora emergano notizie di reato, ne viene data informazione all'autorità giudiziaria (articolo 18); disciplina l'attività dell'archivio (articolo 19) e la possibilità di avvalersi di collaborazioni esterne (articolo 23).
  In particolare, il regolamento ha fissato (art. 23, comma 1) il limite massimo delle collaborazioni nel numero di 10 collaboratori, «di qualificata e riconosciuta competenza nelle materie di interesse della Commissione».
  La Commissione ha successivamente attivato la collaborazione di 7 collaboratori: gli avvocati Simona Donati, Laura Lecchi, Francesco Morcavallo e Cristina Perozzi Palestini, le dottoresse Laura Laera e Adriana Scaramuzzino, già magistrati minorili, e la professoressa Lucia Ercoli. Tutti gli incarichi sono a tempo parziale e a titolo gratuito, con l'eccezione di quello dell'avvocato Lecchi, che è a tempo parziale e a titolo oneroso.
  Sulla base delle designazioni delle amministrazioni di provenienza, la Commissione ha scelto inoltre di avvalersi della collaborazione di tre ufficiali di collegamento: il colonnello Alfredo Antro, dell'Arma dei Carabinieri; il tenente colonnello Filippo D'Albore della Guardia di finanza; il Vice Questore aggiunto Luca Carlà, della Polizia di Stato.
  L'assetto organizzativo della Commissione si è completato con l'approvazione, nella riunione dell'Ufficio di presidenza del 16 giugno del 2021, della deliberazione sul regime di divulgazione degli atti e dei documenti, sulla base dell'articolo 19 del regolamento, che istituisce l'archivio della Commissione e stabilisce che la Commissione definisce i criteri generali per la classificazione degli atti e dei documenti, anche al fine di stabilirne la consultazione e la riproducibilità nell'ambito della Commissione stessa, nonché la trasmissione alle autorità richiedenti.
  La deliberazione definisce i criteri di classificazione dei documenti formati o acquisiti dalla Commissione, distinguendo tre livelli di classificazione: segreti, riservati, liberi. In proposito va segnalato che la Commissione ha applicato il segreto funzionale a numerosi documenti acquisiti, in quanto contenenti dati personali e, in molti casi, dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute, la vita sessuale o rapporti riservati di tipo familiare.

  3. Le modalità di svolgimento dell'inchiesta

  La materia oggetto dell'inchiesta è ampia e articolata e ha comportato per la Commissione un notevole sforzo organizzativo, alla luce delle modeste risorse assegnate e anche del grave ritardo nella sua costituzione.
  Tra la legge istitutiva e la effettiva costituzione della Commissione è infatti trascorso quasi un anno fino a che la Commissione si è effettivamente costituita con la elezione del Presidente, del Vicepresidente e dei Segretari nella prima seduta del 27 maggio 2021. In conseguenza poi dello scioglimento anticipato delle Camera, la Commissione ha avuto a disposizione circa un anno di lavoro, che è uno spazio di tempo largamente inadeguato, considerato che molte delle questioni individuate dalla legge istitutiva (come il reperimento dei Pag. 13dati) sono già da molti anni oggetto di attività di più Ministeri, che non si sono ancora concluse.
  Ci si riferisce, in particolare, alla questione della raccolta sistematica di dati sui minori allontanati dalla famiglia, per la quale non risulta ancora a regime il sistema S.In.Ba. (Sistema informativo nazionale sulla cura e la protezione dei bimbi e delle loro famiglie), già varato con il d.lgs. n. 147 del 2017, e si continua ad operare con monitoraggi periodici, sulla base dei dati trasmessi dalle Regioni al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.
  In questo contesto la Commissione si è posta come obiettivo quello di svolgere una propria autonoma attività conoscitiva, compatibilmente con i tempi ristretti e l'esile struttura di cui ha potuto disporre. Gli strumenti utilizzati sono stati tre.
  In primo luogo, procedere ad un'autonoma raccolta di dati, non intendendola come sostitutiva, ma come verifica e integrazione dei dati di fonte ministeriale. Si è trattato, in sostanza, di un primo tentativo di guardare in concreto ai fenomeni, superando le retoriche, non sempre fondate, che caratterizzano il dibattito sul sistema di tutela dei minori.
  In secondo luogo acquisire valutazioni e punti di vista da tutti i soggetti interessati, facendo emergere criticità e buone pratiche, in modo da arrivare a una valutazione non solo e non tanto quantitativa, ma piuttosto qualitativa dei diversi aspetti individuati nella legge istitutiva.
  Primo riferimento sono stati i Ministri interessati: Lavoro e politiche sociali; Pari opportunità e famiglia; Salute; Giustizia e Interno. Ciò comunque nella consapevolezza che la materia oggetto dell'inchiesta è oggetto di competenze regionali e dell'autorità giudiziaria, che limitano quella dei Ministeri interessati.
  Un secondo ambito di confronto sono state le Autorità giudiziarie minorili, alle quali sono state trasmesse varie richieste di dati, il Garante nazionale e i Garanti regionali per l'infanzia. Il confronto con queste realtà istituzionali è stato particolarmente produttivo, anche in virtù dell'ampia collaborazione offerta dai soggetti interessati. Anche in questo ambito, va tuttavia segnalata la mancanza di collaborazione da parte del Tribunale per i minorenni di Roma, una delle autorità giudiziarie minorili maggiormente oggetto di esposti, che lasciano intravedere un quadro piuttosto preoccupante. Tale Tribunale non ha fornito dati, né risposte alle richieste di documentazione inviate, sottraendosi di fatto a qualunque valutazione sulla propria attività. Ulteriori elementi sono stati tratti dal confronto con realtà associative (magistrati, avvocati, associazioni di comunità, giuristi), a cui sono state dedicate numerose audizioni, soprattutto nei primi sei mesi di attività della Commissione.
  Infine, la Commissione si è data come terzo strumento operativo l'acquisizione di segnalazioni o esposti da cittadini e famiglie, attivando sul sito della Commissione stessa un modulo per la ricezione di esposti provenienti da privati cittadini, basato su una autenticazione mail. Ciò nella convinzione che le criticità del sistema di tutela dei minori possano essere adeguatamente analizzate anche a partire da casi singoli, superando l'immagine un po' asettica che emerge dalle statistiche, che peraltro, come si è richiamato, sono carenti sotto molti aspetti.Pag. 14
  Al 10 agosto 2022 sono stati ricevuti circa 170 esposti, che sono stati oggetto di approfondimenti nella misura in cui ritenuti rilevanti e sulla base del principio che l'inchiesta parlamentare ha finalità principalmente conoscitive e non riparative di situazioni pur meritevoli di tutela che devono necessariamente trovare rimedio nella sfera giudiziaria.
  Allo scopo di compiere gli approfondimenti di specifiche situazioni, la Commissione ha delegato diverse attività di polizia giudiziaria all'Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato e alla Guardia di finanza.
  La valutazione degli esposti e gli approfondimenti compiuti sono stati realizzati avendo ben presente il quadro normativo che regola le inchieste parlamentari. Queste, come è noto, sono finalizzate a fornire al Parlamento elementi di valutazione sia rispetto all'operato di soggetti privati e pubblici poteri, sia rispetto a possibili innovazioni legislative nelle discipline di settore. Proprio per garantire una maggiore possibilità di interazione con i soggetti interessati, si è ritenuto di privilegiare lo strumento della segnalazione e dell'audizione libera rispetto all'acquisizione di testimonianze formali, tenuto conto anche del fatto che molte delle famiglie e delle persone interessate hanno manifestato un bisogno di ascolto che non si è realizzato nel rapporto con i Servizi sociali e le Autorità giudiziarie.

  4. Le audizioni

  Il programma delle audizioni è stato definito cercando di contemperare, nello scarso tempo a disposizione, diverse esigenze: quella di interloquire con i numerosi soggetti istituzionali, quella di acquisire elementi su singoli casi rilevanti, quella di avere un confronto con le realtà associative maggiormente rappresentative, quella di acquisire elementi sulla riforma del processo civile e sulla sua attitudine a risolvere alcune o tutte delle problematiche che sono alla base dell'inchiesta parlamentare. L'anticipata fine della legislatura non ha consentito di svolgere interamente il programma, che è andato via via arricchendosi, ma la Commissione ha potuto acquisire comunque una visione articolata delle principali tematiche di interesse, pur dovendo lamentare la mancata audizione del Ministro della Giustizia, più volte sollecitata a tal fine.
  Al 31 agosto 2022 sono state comunque svolte 52 audizioni, su un totale di 76 sedute, garantendo una buona rappresentatività a tutte le questioni oggetto dell'inchiesta.

   a) Le audizioni di Ministri

  In questo ambito, a fronte della tempestiva disponibilità offerta dal Ministro del Lavoro, dal Ministro della famiglia e più tardi dal Ministro dell'Istruzione, deve essere segnalata la scarsa collaborazione del Ministro dell'Interno, che solo nel luglio 2021 ha dato una disponibilità, e soprattutto del Ministro della Giustizia, che non ha mai dato corso alle richieste di audizione inviate sin dal 29 giugno 2021, né ha trasmesso i dati richiesti dalla Commissione, che in parte sono rifluiti in altre pubblicazioni di fonte ministeriale. È evidente che in una materia come quella oggetto dell'inchiesta una tale mancanza di collaborazione costituisce un impedimento assai rilevante, se non una Pag. 15vera e propria menomazione del diritto di inchiesta costituzionalmente riconosciuto al Parlamento.
  La prima audizione ha riguardato, il 4 agosto 2021, il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Andrea Orlando.
  Riguardo alle competenze, è stato evidenziato come il Ministero del lavoro svolga alcune funzioni essenziali che attengono alla raccolta e al monitoraggio dei dati relativi ai minori fuori famiglia, alla programmazione e al sistema di intervento per la protezione dei minori offesi e vulnerabili, e anche funzioni per la prevenzione delle situazioni familiari perturbanti, che rischiano di segnare negativamente lo sviluppo dei bambini. È stata altresì evidenziata l'esigenza che i servizi e le prestazioni a tutela dei minori siano ispirati a principi di carattere universalistico e di uniformità su tutto il territorio nazionale.
  Il Ministro ha successivamente fornito il quadro della legislazione vigente partendo dalla legge n. 184 del 1983 «Diritto del minore a una famiglia», successivamente novellata dalla legge n. 149 del 2001 «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori”», il cui obiettivo è quello di tutelare il minore nel caso in cui l'ambiente familiare nel quale vive sia temporaneamente non idoneo, ovvero quando i genitori o il genitore non siano più in grado di adempiere alla loro funzione genitoriale nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti dalla parte pubblica e dagli enti locali.
  Sono quindi previsti due tipi di intervento: da un lato l'affidamento familiare che si realizza con l'accoglienza offerta al minore da parte di un'altra famiglia, possibilmente con figli minorenni o da una persona singola in grado di assistere effettivamente e materialmente il minore. Dall'altro, l'inserimento in una comunità, solo laddove non sia possibile o non sia conveniente – in considerazione dello specifico interesse del minore – disporre di un affidamento familiare.
  È stato altresì precisato come la legge n. 184 del 1983 sia stata successivamente novellata dalla legge n. 173 del 2015 «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare», la quale ha stabilito il principio fondamentale del diritto alla continuità affettiva dei minori in affido familiare, e con la quale viene testualmente sottolineata la necessità di assicurare la continuità delle positive relazioni socio affettive consolidatesi durante l'affidamento, anche quando egli fa ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento a un'altra famiglia o sia adottato da altra famiglia. È stato evidenziato quindi da parte del Ministro come, in quest'ottica, l'affidamento familiare non svolga solo una funzione protettiva, ma sia parte di un progetto di recupero più ampio, indirizzato anche alla famiglia temporaneamente inabilitata a curare adeguatamente i propri figli.
  Il Ministro ha anche ricordato l'attività del «Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia», istituito dalla legge n. 451 del 23 dicembre del 1997, di cui l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza si avvale per lo svolgimento delle proprie funzioni. La gestione delle attività del Centro nazionale è affidata – da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Pag. 16all'Istituto degli innocenti di Firenze, a seguito di una convenzione stipulata nel 1997.
  Sono stati forniti i dati relativi al report elaborato nel mese di luglio del 2021 dallo stesso Istituto, concernente i dati sui bambini e ragazzi in affidamento familiare e nei servizi residenziali, derivanti dagli esiti della rilevazione in possesso delle Regioni e delle Province autonome. I dati sono riferiti al 31 dicembre del 2019 e certificano la presenza sul territorio nazionale di un numero complessivo di minori collocati fuori famiglia pari a 27.608 (al netto dei minori stranieri non accompagnati) di cui 13.555 bambini e ragazzi di minore età in affidamento familiare a singoli parenti e 14.053 bambini accolti in servizi residenziali per minorenni.
  Per quanto concerne il numero dei bambini in affidamento familiare, si evidenzia che questo valore rappresenta l'1,4 per mille della popolazione minorile residente in Italia. Il report rivela una diminuzione del dato complessivo rispetto al 2017 – anno della rilevazione precedente – e che conferma la tendenza già presente anche negli scorsi anni.
  Con riferimento ai dati sui minori stranieri non accompagnati, gli articoli 32 e 33 del Decreto legislativo n. 286 del 1998 e il Decreto del Presidente del Consiglio n. 535 del 1999, attribuiscono alla Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali compiti di monitoraggio e censimento della presenza dei minori sull'intero territorio nazionale. Presso la Direzione è stato attivato un Sistema informativo nazionale dei minori non accompagnati (SIM) che copre tutto il percorso della presa in carico, tutela e integrazione del minore. Secondo i dati forniti, al 30 giugno 2021 sono 7.802 i minori stranieri non accompagnati nelle strutture di accoglienza attiva nel Paese; nel 92% dei casi si tratta di strutture di seconda accoglienza, di cui oltre un quarto sono comunità familiari (1.056 pari al 26,5%), e solo il 3% dei minori risulta collocato presso privati e famiglie.
  Con riferimento al tema della rilevazione dei dati, è stata ribadita da parte del Ministro l'esigenza di predisporre un sistema informativo unitario basato su indicatori uniformi e comuni su tutto il territorio nazionale, affinché si possa rilevare e monitorare costantemente il numero e le caratteristiche dei minori fuori famiglia, delle tipologie del percorso di accoglienza, dei tempi e delle modalità di uscita dallo stesso, il numero e la tipologia delle strutture di accoglienza, e il numero e le caratteristiche degli affidatari. A questo fine esistono già dei progetti informativi importanti promossi dal Ministero, partendo dal Sistema informativo unitario dei servizi sociali (SIUSS), tra le cui componenti vi è il Sistema informativo dell'offerta di servizi sociali (SIOSS). Questo garantisce una compiuta conoscenza della tipologia, dell'organizzazione e delle caratteristiche dei servizi attivati, inclusi i servizi per l'accesso e la presa in carico, i servizi per favorire la permanenza a domicilio, i servizi territoriali comunitari e i servizi territoriali residenziali per le fragilità.
  In questo caso, i dati sono raccolti, conservati e gestiti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e sono trasmessi dai Comuni e dagli Ambiti territoriali anche per tramite delle Regioni e delle Province autonome. All'interno di questo ambito di rilevazione, si prevede – Pag. 17secondo quanto espresso dal Ministro – di strutturare una specifica sezione informativa relativa all'affidamento familiare e ai servizi residenziali per minorenni, al fine di avere una fotografia aggiornata a livello territoriale sia per l'affidamento familiare che per i servizi residenziali.
  È stata infine ricordata la vigenza delle seguenti tre linee di indirizzo elaborate dal Ministero e successivamente approvate in sede di Conferenza unificata: Linee di indirizzo per l'affidamento familiare (approvate il 25 ottobre 2012), Linee di indirizzo per l'accoglienza nei servizi residenziali per minorenni (approvate il 14 dicembre 2017), Linee di indirizzo per l'intervento verso bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità (approvate il 21 dicembre 2017), attraverso le quali si è inteso individuare e indicare ai diversi soggetti competenti percorsi e modalità uniformi per l'erogazione delle prestazioni, «al fine di ridurre l'asimmetria tra le Regioni e garantire i livelli essenziali nell'erogazione dei servizi stessi».

  Il 15 settembre 2021 si è svolta l'audizione della Ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti.
  Dopo aver illustrato i diversi ambiti di azione del proprio Ministero, la Ministra ha esposto le criticità esistenti ed inerenti all'oggetto di indagine della Commissione d'inchiesta: la mancanza di dati completi e costantemente aggiornati, indispensabili per una programmazione di interventi efficaci, strutturali e per il monitoraggio degli stessi; la mancanza di un'adeguata organizzazione dei servizi di protezione e cura, in quanto solo alcuni di questi risultano dotati di organici e di procedure organizzative adeguate; la disomogeneità territoriale; l'assenza dell'individuazione in questo settore della determinazione dei livelli essenziali di prestazione; la mancanza di un'adeguata formazione universitaria e continua con una specificità su queste materie.
  Il Ministero ha funzioni di indirizzo e di coordinamento, che si realizzano in particolare attraverso l'Osservatorio nazionale sulla famiglia, quello per l'infanzia e l'adolescenza e l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pedopornografia minorile. In questo quadro, il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, che era prima presso il Ministero del lavoro, è stato trasferito come competenza al Dipartimento per le politiche per la famiglia.
  Il quinto Piano nazionale sull'infanzia ha affrontato la tematica degli affidamenti familiari, rilevando tra l'altro la mancanza di dati completi e costantemente aggiornati che sono, invece, indispensabili alla programmazione di interventi efficaci, strutturali e al monitoraggio degli stessi. Si è inoltre rilevata una non adeguata organizzazione dei servizi di protezione e cura, anche a causa di una forte disomogeneità territoriale.
  Le azioni previste dal Piano puntano a ottenere un flusso di dati omogenei e completi, dando piena operatività al sistema S.In.Ba, che è una banca dati per la raccolta delle informazioni sulle prestazioni sociali erogate a favore dell'infanzia, dell'adolescenza e della famiglia, da tutti gli enti centrali dello Stato, e dagli enti locali che sono gestori di forme di previdenza e di assistenza obbligatoria. A tal fine, ci si propone di costituire un gruppo di lavoro interistituzionale.
  Un secondo fronte su cui si propone di intervenire è quello delle politiche attive, al fine di corrispondere in maniera puntuale ai diritti Pag. 18dei minori. In questo quadro, le azioni del Piano si rivolgono a individuare i livelli essenziali per la rete di protezione e di inclusione sociale, a monitorare l'applicazione delle Linee di indirizzo nazionali, a rafforzare la qualità del monitoraggio e degli interventi in area educativa.
  Centrale è inoltre il sostegno alle famiglie, che si è cominciato a realizzare con il cosiddetto «Family Act» e l'assegno unico universale. Rispondendo successivamente ai quesiti posti dalla Presidente e dalle commissarie intervenute, la Ministra ha ulteriormente chiarito che il monitoraggio della condizione dei minori fuori famiglia deve essere affrontato in relazione a un più ampio processo di transizione digitale della Pubblica amministrazione, che acquisisce particolare urgenza in relazione al PNRR.
  Ha infine evidenziato che è stato istituito presso il Dipartimento delle pari opportunità un tavolo tecnico di approfondimento sul tema della PAS (sindrome da alienazione parentale) e di tutte quelle situazioni di presa in carico della vittima di violenza e conseguentemente del minore che è vittima di violenza assistita.
  Ad avviso della Ministra, occorre costruire sistemi qualificati volti alla protezione dell'infanzia e dotati di professionisti per tutelare i diritti dei bambini e dare risposta al tema della formazione qualificata degli operatori e dei servizi. È necessario quindi oggi, a livello nazionale, assumere una regia di monitoraggio e di coordinamento per l'attuazione delle linee guida.

  L'audizione del Ministro dell'Istruzione, Patrizio Bianchi, svolta nella seduta del 17 febbraio 2022, ha consentito di affrontare il tema, centrale, dei percorsi formativi destinati ai minori fuori famiglia. In questo ambito, diversi commissari hanno formulato quesiti sulla pratica dell'home schooling e sulla reale attuazione delle «Linee Guida per il diritto allo studio delle alunne e degli alunni fuori dalla famiglia di origine» risalenti al dicembre del 2017.
  Nella sua trattazione, il Ministro ha innanzi tutto sottolineato l'esigenza che la comunità educante faciliti un percorso finalizzato e mirato alla persona, attraverso l'attuazione del Piano didattico personalizzato e del Piano educativo individualizzato. Questo favorirebbe anche la riduzione del rischio di dispersione scolastica, favorendo l'inclusione anche nelle strutture d'accoglienza del minore.
  Rispondendo a quesiti dei commissari sul tema degli allontanamenti forzosi, il Ministro ha spiegato che, a suo avviso, dovrebbe essere ridotto al minimo lo sradicamento compiuto attraverso l'allontanamento, essendo esso stesso un atto che mette a rischio il minore.
  Rispetto all'azione dei docenti, il Ministro ha rappresentato l'esigenza di costituire gruppi di lavoro che comprendano i docenti scolastici e i dirigenti, al fine di sviluppare una sensibilità scolastica a sostenere le fragilità, in un confronto proficuo con l'autorità giudiziaria, l'autorità sanitaria e gli enti locali. Emerge a tale proposito l'esigenza di formare i docenti adeguatamente, allo scopo di avere strumenti per affrontare situazioni complesse che possano ravvisare sintomi di disagio: l'obiettivo sarebbe consentire al docente così formato di saper intercettare il disagio in forma anticipata.
  In tema di dispersione scolastica, sono state ricordate da parte del Ministro le «Linee guida per il diritto allo studio delle alunne e degli Pag. 19alunni fuori dalle famiglie di origine» – approvate l'11 dicembre 2017 e tuttora vigenti – attraverso le quali si è inteso fornire alle varie componenti del sistema scolastico indicazioni generali utili a garantire agli alunni temporaneamente allontanati dalla loro famiglia di origine di godere di effettive pari opportunità nel loro percorso formativo e di istruzione, secondo tre pilastri fondamentali: il principio dell'universalismo, in base al quale ogni bambino indipendentemente dalla condizione familiare ha diritto di ricevere un'istruzione adeguata; il principio della scuola comune, come luogo di apprendimento, confronto e socializzazione tra pari; il principio della centralità della persona, attraverso la costruzione di specifici progetti educativi.
  Sulla base di alcuni quesiti posti, il Ministro dell'istruzione ha poi approfondito il ruolo centrale dei dirigenti scolastici nell'ambito delle azioni finalizzate al pieno inserimento scolastico dell'alunno fuori famiglia. È stato in particolare ricordato – come riportato nella documentazione successivamente inviata dal Ministro – come spettino al Dirigente due azioni fondamentali: garantire il raccordo tra tutti i soggetti coinvolti nel progetto sul minore, segnalando anche i casi di non frequenza o di difficoltà; promuovere attività di formazione e aggiornamento sulle tematiche connesse al benessere degli alunni fuori famiglia, anche avvalendosi di parte delle risorse finanziarie specificamente erogate alle scuole capofila degli ambiti territoriali.
  In relazione al contrasto alla dispersione scolastica, sono state quindi evidenziate le opportunità offerte dalle riforme proposte nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che prevedendo interventi per l'estensione del tempo pieno, la riduzione dei divari territoriali, l'orientamento, che potranno avere un impatto anche sui minori che vivono al di fuori della famiglia. Un'altra iniziativa illustrata concerne la stesura del «Quinto piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva 2022-2023», promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel cui contenuto sono previste azioni per prevenire le condizioni di rischio di abusi e maltrattamenti, rafforzare le opportunità educative e favorire l'inclusione sociale. Viene altresì precisato come tali azioni potranno essere pienamente realizzate attraverso il modello del Patto educativo di comunità, che prevede l'attuazione di accordi di programma e formali protocolli condivisi tra i diversi soggetti coinvolti: scuole, enti locali, servizi educativi e culturali, famiglie.
  Il Ministro si è infine detto disponibile ad approfondire situazioni segnalate da alcuni commissari riguardanti la dispersione scolastica e possibili situazioni di falsificazione dei registri scolastici, in cui minori fuori famiglia risulterebbero presenti anche in caso di mancata frequentazione delle lezioni.

   b) Le audizioni di magistrati

  Il ciclo di audizioni relative ai rappresentanti della Magistratura ha avuto inizio con Cristina Maggia, Presidente del Tribunale per i minorenni di Brescia e Presidente dell'Associazione Italiana magistrati per i minorenni e per la famiglia, ascoltata dalla Commissione in due distinte sedute del 27 ottobre e 9 novembre 2021.
  La Presidente Maggia ha sottolineato innanzitutto la disomogeneità dei dati relativi ai minori fuori famiglia, rilevando però che il quadro Pag. 20che emerge dal rapporto 2020 del Gruppo di lavoro per la Convenzione sui diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza indicherebbe che la situazione italiana dei minori fuori famiglia è meno critica rispetto ad altre nazioni europee.
  Non è, in ogni caso, più rimandabile l'istituzione di una banca dati nazionale strutturata, che raccolga con modalità omogenee i dati che possono fornire un quadro realistico della situazione relativa ai minori fuori famiglia.
  Ad avviso della Presidente Maggia, va inoltre risolta la frammentazione dei servizi di tutela: i Servizi sociali sono organizzati ed operano in modo difforme a seconda dei territori, e si caratterizzano per una generalizzata carenza di personale e di risorse. A tale proposito, ha precisato come non sia il Tribunale dei minori a scegliere le famiglie affidatarie o le comunità, bensì i Servizi sociali ad effettuare questa scelta, rispetto alla quale il Tribunale non ha alcuna possibilità di «sindacato» preventivo.
  L'audita ha poi rilevato l'importanza della funzione dei giudici onorari minorili nel supporto alla valutazione dei casi ed all'adozione dei provvedimenti de potestate, ritenendo che, solo a fronte di una implementazione dell'organico dei magistrati togati, si possa immaginare l'esclusione degli onorari dal sistema giudiziario minorile. È stata altresì rilevata l'esigenza di un monitoraggio della fase esecutiva dei procedimenti.
  A livello di sistema, la Presidente Maggia ha sottolineato che, nonostante la normativa vigente preveda la priorità dell'affido familiare alla collocazione in comunità, questo non avviene in modo uniforme sul territorio nazionale: nei territori del Nord Italia, fino alla Toscana, è un istituto molto utilizzato, ma da Firenze in giù non esiste quasi, ed i Tribunali sono costretti al collocamento in comunità, per carenza di alternative. Questo comporta, tra le altre implicazioni, anche un costo rilevante, in quanto le rette nelle comunità hanno valori molto più cospicui rispetto ai rimborsi spese assegnati alle famiglie affidatarie. In questo quadro andrebbe rafforzato un percorso poco praticato come quello dell'affido diurno, che si configura come una soluzione meno drastica del collocamento in comunità o dell'inserimento in famiglie affidatarie.
  Sul tema dei controlli delle comunità, sotto il punto di vista della qualità, dell'adeguatezza del servizio e del progetto posto in essere a vantaggio del minore, il problema è rappresentato dalla numerosità delle comunità e dalla ristrettezza degli organici in diverse Procure c.d. «minori», alle quali è devoluto per legge (art. 9 della legge 149/2001) il potere di controllo. A volte, a causa dell'assenza di questi controlli, si rischia di non riuscire a seguire compiutamente il percorso dei minori, per evitare che vengano «abbandonati» nelle comunità: l'attività di controllo delle Procure minorili dovrebbe essere quindi maggiormente implementata.

  L'audizione del Sostituto procuratore di Reggio Emilia, Valentina Salvi – svoltasi in data 9 dicembre 2021 – ha costituito l'occasione per una ricostruzione dell'iter investigativo e d'indagine del «caso Bibbiano», di cui era titolare, attraverso la quale è stato possibile porre in evidenza diverse criticità del sistema, al di là delle fattispecie di reato contestate ai singoli imputati. È stato in particolare evidenziato come Pag. 21in tale vicenda – ma anche in altre situazioni che non necessariamente configurano profili di reato – vi è un punto di criticità ricorrente, ovvero il fatto che in questo tipo di procedimenti (che hanno come oggetto una libertà personale e quindi una libertà costituzionalmente garantita) gli elementi di prova siano sostanzialmente raccolti nell'immediatezza dei fatti da assistenti sociali, ritenuti soggetti non propriamente qualificati per effettuare una ricostruzione rigorosa. Non essendovi quindi un intervento specifico e immediato della Polizia giudiziaria che possa acquisire fonti di prova oggettive ed elementi di conferma, ne deriva il rischio – secondo l'audita – che il Tribunale possa decidere sulla base di relazioni generiche e indeterminate, che non sempre distinguono correttamente tra elementi di fatto e valutazioni.
  Un altro aspetto segnalato dal sostituto procuratore Valentina Salvi è quello dell'assenza di un vero e proprio contraddittorio successivo alla fase dell'allontanamento. In particolare, non vi è la possibilità di un ulteriore, differente vaglio giudiziale, come per esempio accade nell'arresto. Risulta quindi importante sia prevedere l'ascolto immediato dei genitori e delle figure parentali da parte dell'Autorità giudiziaria – oltre a quello del minore attraverso personale qualificato – sia l'introduzione di un sistema di impugnazione della decisione iniziale, per permetterne la verifica da parte di altra Autorità.
  Ulteriori criticità riscontrate nella vicenda di Bibbiano concernono la scelta dei soggetti affidatari, rilevandosi come nella vicenda specifica questa avvenisse all'interno di una rete amicale, senza alcuna attività preventiva di formazione e/o preparazione. Relativamente alla scelta del luogo di inserimento del minore, viene evidenziata, in diversi casi, la grande distanza dal luogo di abituale dimora, ed anche questo in contrasto con le disposizioni di legge. Secondo la dottoressa Salvi, inoltre, la delega attribuita ai Giudici onorari in ordine all'audizione dei genitori o comunque delle figure parentali non era adeguata, in quanto privi delle competenze specialistiche in una fase critica come quella in esame.

  Il Presidente del Tribunale per i minorenni di Salerno, Piero Avallone, nel corso dell'audizione svoltasi il 27 giugno 2022, ha sottolineato, con riferimento al ruolo dei Servizi sociali territoriali nei procedimenti minorili, l'importanza di instaurare un rapporto più funzionale e diretto dei giudici del tribunale con i Servizi stessi. Ciò potrebbe avvenire anche attraverso una maggiore giurisdizionalizzazione del procedimento, con la previsione di una fase processuale in cui le parti vengano convocate per loro eventuali controdeduzioni rispetto a quanto riportato o segnalato dai servizi sociali. Ha inoltre evidenziato come un attuale limite nel rapporto funzionale con i servizi sociali debba essere ricercato anche nella carenza di personale a disposizione dei vari enti pubblici e nella loro precarietà professionale, essendo spesso gli assistenti sociali figure a contratto e quindi discontinue.
  Relativamente al ruolo dei consulenti tecnici d'ufficio, l'audito ha sottolineato che se ne fa un utilizzo limitato e con una modalità di conferimento dell'incarico a rotazione. Ciò perché si ritiene di trovare nel personale delle ASL una valida alternativa e si preferisce utilizzare questa forma di consulenza professionale anche perché ritenuta «più asettica, essendo lo Stato che chiede allo Stato di fare un approfondimento e non ad un privato». Analogo meccanismo di rotazione viene Pag. 22utilizzato anche per i conferimenti dell'incarico di curatore speciale, salvo casi particolari.
  A tale proposito, il Presidente Avallone ha evidenziato la necessità di una adeguata professionalità della figura (ricordando a tal proposito le iniziative intraprese relative a corsi di formazione da parte del tribunale in collaborazione con il Consiglio degli ordini forensi), nonché l'esigenza che la valorizzazione attribuita alla figura del curatore speciale dalla nuova legge sul processo minorile in tema di ascolto del minore non vada comunque a configurarsi come una delega tout court assegnata allo stesso dal giudice nelle funzioni di ascolto medesime.

  L'audizione del Presidente del Tribunale per i minorenni di Trento, Giuseppe Spadaro ha avuto luogo nella seduta del 22 giugno 2022.
  Trattando della riforma del processo civile, il dottor Spadaro ha espresso un giudizio positivo circa l'istituzione della figura dell'avvocato curatore speciale per il minore per i futuri giudizi davanti al Tribunale unico per le famiglie, per la quale si renderà necessaria una opportuna qualificazione professionale in tal senso.
  Ha inoltre evidenziato come nell'ambito della disciplina normativa che disciplina la fase esecutiva dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria, solitamente rimessa dal giudice al Servizio sociale, manchi un rapporto funzionale organico con lo stesso, non essendovi una disposizione normativa che possa considerare gli assistenti sociali «come parte processuale o gerarchicamente subordinati all'autorità giudiziaria». Ha ricordato, a tal proposito, quanto stabilito dall'articolo 1 della legge n. 84 del 23 marzo 1993, secondo cui «nella collaborazione con l'autorità giudiziaria, l'attività dell'assistente sociale ha esclusivamente funzione tecnico-professionale». Ha quindi espresse la considerazione secondo cui tale autonomia limiterebbe per l'autorità giudiziaria, nell'ambito del giudizio minorile, il controllo della fase dell'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali.
  L'auspicio è quindi quello di una innovazione normativa che preveda l'istituzione di Servizi sociali altamente qualificati, da porre ad esclusiva disposizione dell'autorità giudiziaria e separati dal servizio sociale territoriale, analogamente a quanto già previsto nell'ambito del processo penale minorile con la figura dell'ufficio del servizio sociale ministeriale.
  Relativamente al ruolo dei consulenti tecnici di ufficio, che per certi aspetti si pongono in alternativa alle funzioni dei giudici onorari, il presidente Spadaro ha espresso l'opinione che la loro funzione non appare strettamente necessaria nell'ambito del procedimento al fine di osservare il rispetto del principio del contraddittorio.

  Il 5 luglio 2022 è stata audita la Presidente del Tribunale per i minorenni di Messina, Maria Francesca Pricoco, anche in relazione alla situazione della città di Messina, per la quale la Presidente Pricoco ha rilevato diversi ritardi, con la conseguenza diffusa della collocazione dei minori in strutture.
  Nell'audizione, la Presidente Pricoco ha riepilogato i principi che regolano la collocazione dei minori fuori famiglia. Si è poi soffermata sulla situazione delle regioni meridionali, sottolineando come siano caratterizzate dalla «mancanza di sufficienti servizi sia del territorio, sia Pag. 23sanitari, sia tutti i servizi e le agenzie di aiuto che dovrebbero consentire di recuperare quelle genitorialità ancora possibili».
  Rispetto alle verifiche circa la situazione effettiva dei minori, l'audita ha rimarcato l'importanza della verifica delle condizioni abitative e sociali, di quella che è comunque la vita familiare e sociale del minore, raccogliendo elementi che possano consentire un effettivo supporto alla famiglia.
  La Presidente Pricoco si è soffermata inoltre sui processi separativi, che sono caratterizzati da una differenza fondamentale rispetto ai procedimenti per incuria. In questi ultimi, spesso le famiglie sono unite, distruttive e capaci, anche se molto fragili. Nei processi separativi la conflittualità è invece al centro, il bambino che si osserva all'interno di questi processi separativi è diverso, è un bambino che vive una conflittualità per certi aspetti alimentata dai genitori. Vive dunque una situazione che non si esprime nella povertà materiale, ma nella carenza affettiva.

  Nell'audizione svolta il 12 luglio 2022, la Presidente del Tribunale per i Minorenni di Venezia, Maria Teresa Rossi, ha riferito delle difficoltà operative dell'Ufficio a fornire dati quantitativi sui minori fuori famiglia.
  È stata altresì evidenziata la situazione di difficoltà a reperire famiglie affidatarie, anche a causa della complessità delle situazioni che si verificano e che non consentono altra soluzione che il collocamento in comunità.
  Rispetto alle informazioni e alle proposte dei Servizi sociali, la Presidente Rossi ha sottolineato il fatto che, a suo avviso, il Tribunale manterrebbe una propria autonomia di valutazione.
  Analogamente a quanto manifestato da altri magistrati, la Presidente Rossi ritiene che la riforma del processo civile presenti il difetto della perdita della collegialità e della multidisciplinarietà, che, secondo quanto espresso, rappresentano un valore aggiunto del modello italiano, riconosciuto anche a livello internazionale.
  Nell'ultima parte dell'audizione la Presidente Rossi ha risposto ad una serie di quesiti sulla vicenda di un minore per il quale il Tribunale per i minorenni di Venezia ha disposto un collocamento in comunità, interrompendo un lungo e apparentemente ben radicato affidamento familiare.

   c) Le audizioni del Garante nazionale e dei Garanti regionali

  L'audizione dell'Autorità Garante per l'infanzia e l'adolescenza, Carla Garlatti, si è svolta il 6 ottobre 2021. In merito alla recente riforma del rito minorile, ha evidenziato come criticità l'introduzione del giudice unico in sede circondariale, il che, a suo avviso, comporterà la conseguenza che su questioni delicate, come l'allontanamento di un minore, mancherà il fondamentale momento di confronto in precedenza assicurato dall'organo collegiale, costituito da due membri togati e due non togati. Sempre da tale riforma scaturisce, come ulteriore criticità, la circostanza che il giudice onorario possa essere delegato dal giudice all'attività istruttoria di ascolto del minore, ma poi, non potendo far parte del collegio giudicante, risulterà problematico «traghettare» questa sua esperienza a chi dovrà giudicare. Sempre in tema Pag. 24di giudici onorari, la Garante ritiene apprezzabile l'introduzione del rafforzamento delle incompatibilità effettuato con la legge istitutiva della Commissione (v. art. 8), estendendosi le stesse anche a figure professionali quali il consulente tecnico e l'assistente sociale.
  Giudizio positivo viene espresso anche sulla previsione del contraddittorio pieno sulle relazioni dei servizi sociali, le quali devono avere una struttura che non sia meramente valutativa, ma fattuale: ossia devono indicare i fatti dai quali traggono determinate conseguenze, in modo da poter mettere il giudice e le parti nelle condizioni di capire «se il ragionamento è corretto o se contiene una falla».
  Con riferimento ai controlli, si ritiene opportuno il rafforzamento del controllo previsto dall'articolo 9 della legge sulle adozioni, attribuito al pubblico ministero minorile. Le strutture che accolgono i minori, ogni sei mesi, devono trasmettere al pubblico ministero minorile l'elenco dei minori collocati presso le strutture, con specifiche indicazioni sulla residenza, sui genitori e sul loro stato di salute, cose di questo genere. Si tratta di un controllo che, secondo l'articolo 9, è finalizzato a un eventuale accertamento di uno stato di abbandono, che poi è prodromico all'adozione. Tale controllo – secondo l'opinione espressa – andrebbe ampliato a una valutazione complessiva dello stato del minore, alla verifica sulla qualità dei servizi della comunità, sulla preparazione del personale che è preposto a quella comunità, sull'esistenza di un progetto educativo idoneo per i minori. In questo senso, tra l'altro, viene ricordata una specifica risoluzione del Consiglio superiore della magistratura del 2018, che invitava le procure minorili ad attrezzarsi per svolgere un tipo di controllo che andasse proprio nella direzione di quanto espresso. Non essendo però un controllo previsto dalla norma, si evidenza la necessità di un adeguamento legislativo in tal senso.
  In tema di controlli attribuiti all'Autorità garante, viene evidenziato quale elemento di criticità il fatto che, in caso di un sopralluogo, la stessa sia tenuta a darne preavviso ai gestori delle strutture: è evidente come tale circostanza faccia perdere efficacia alla verifica. Altro aspetto ritenuto fondamentale dalla Garante concerne l'adozione di linee di indirizzo per un tariffario nazionale relativo ai costi dei servizi offerti dalle strutture di accoglienza, e anche per quanto riguarda i rimborsi alle famiglie affidatarie, risultando al momento molto diversi da regione a regione. Infatti, le attuali linee di indirizzo presentano delle macrovoci alle quali bisogna attenersi, ma si evidenzia come non vi sia nessuna specifica indicazione circa la quantificazione della spesa che l'accoglienza comporta.

  Il 24 novembre 2021 si è svolta l'audizione della Garante dei minori della Regione Abruzzo, Maria Concetta Falivene. Tra le criticità in materia di affidamento di minori, viene in particolare indicata l'assenza di un data base nazionale e regionale per la rilevazione quantitativa e tipologica dei casi, che impedisce di attuare un compiuto processo di analisi. Con riguardo alle fattispecie dei casi di maltrattamento dei minori, viene ritenuta di assoluta importanza la collaborazione con gli Uffici minori presso le Questure: sono infatti gli agenti di Pubblica sicurezza che hanno il potere di individuare il maltrattamento, oppure gli uffici dei dirigenti medici presso i Pronto Soccorso. Nelle proprie relazioni i Servizi sociali non possono individuare maltrattamenti, Pag. 25perché non ne hanno il potere, né tantomeno possono esprimere giudizi: i Servizi devono svolgere un'indagine sociale, che è differente, ed è avulsa dalle indagini di Polizia giudiziaria. Al riguardo, la Garante lamenta l'assenza di un meccanismo di controllo sull'attività degli Assistenti sociali, e precisa di avere promosso, presso la Regione Abruzzo, una proposta di legge nazionale per l'istituzione di un Ispettorato degli assistenti sociali, proposta approvata dal Consiglio regionale nel giugno 2021 e inviata alle Camere.
  Nella medesima data del 24 novembre 2021, ha avuto luogo l'audizione della Garante per l'Infanzia e l'adolescenza della Regione Piemonte, Ylenia Serra. La Garante ha precisato come, a fronte delle segnalazioni ricevute, il proprio Ufficio svolge attività istruttoria, ma sia privo di poteri rispetto alle parti coinvolte, se non quelli di «moral suasion», ovvero quelli di segnalazione alle Autorità competenti. Egualmente, in presenza di segnalazioni nel corso di procedimenti giudiziari, il Garante può agire solo in via sussidiaria e nel rispetto della Magistratura, segnalando, se del caso, alla Procura della Repubblica.
  Ha sottolineato quindi l'importanza, nel quadro del sistema minorile attuale, di esercitare il controllo e la vigilanza sulle strutture, che nella Regione Piemonte si attua mediante un tavolo istituzionale periodico con tutte le Commissioni di vigilanza, la Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni, la Regione e il Centro di giustizia minorile.
  La Garante ha anche ricordato come la Regione Piemonte abbia sviluppato un'applicazione, «Children DigiCORE», al fine di mettere i minori direttamente in contatto con il Garante, eliminando gli intermediari, e promuovendo la conoscenza della figura del Garante da parte dei minorenni, che ne hanno una spesso una scarsa o nulla conoscenza.
  Nella Regione Piemonte è in discussione nelle Commissioni un progetto di legge sugli allontanamenti, che mira a porre la famiglia al centro dell'attenzione, e creare un approccio multidisciplinare per rafforzare e sostenere la genitorialità. Questo, d'altronde, è lo stesso spirito del programma PIPPI: valorizzare e porre al centro la famiglia, e creare una rete di collaborazione fra tutti i soggetti coinvolti: famiglia, minori, servizi sociali e istituzioni.

  La situazione del Lazio è stata particolarmente seguita dalla Commissione, sia per il cospicuo numero di esposti ricevuti, sia anche per le evidenze di numerose disfunzioni. La Garante dell'infanzia e dell'adolescenza della regione, Monica Sansoni, è stata audita il 18 gennaio 2022 anche sul suo programma di attività, avendo da poco assunto la carica.
  La Garante ha approfondito diversi specifici aspetti del processo che conduce al collocamento del minore fuori dalla propria famiglia di origine, anche in relazione alla attività degli assistenti sociali. Ha precisato che, in ordine al tema dei dati e alle strutture, era stata intrapresa una mappatura puntuale, per generare circolarità di informazioni. Purtroppo, questa iniziativa è stata sospesa, con l'intenzione di riprenderla in futuro.
  Nell'ambito delle funzioni attribuite al Garante del Lazio dalla L.R. 28 ottobre 2002, n. 38, è stata in particolare evidenziata (v. art. 2, lettera b) della citata legge) quella di vigilare sull'assistenza prestata ai Pag. 26minori ricoverati in istituti educativo-assistenziali, in strutture residenziali, in ambienti esterni alla propria famiglia, al fine di segnalare ai Servizi sociali ed all'autorità giudiziaria situazioni che richiedono interventi immediati d'ordine assistenziale o giudiziario. Dalle dichiarazioni della Garante emerge, tuttavia, che l'attività di vigilanza non è svolta in modo periodico, metodico, né organizzato.
  Da un punto di vista operativo, è stato evidenziato che, quando pervengono segnalazioni relative a situazioni di rischio attribuibili alla lesione di eventuali diritti che fanno riferimento al minore, la figura del Garante arriva in un momento in cui il passaggio successivo è quello di segnalare all'autorità giudiziaria competente, e in tal senso riveste quindi importanza l'esistenza di protocolli di intesa con il tribunale dei minori, con la presidente del tribunale dei minorenni e con la procura minorile, proprio per far sì che tali attività possano trovare anche un punto d'incontro, laddove questo sia possibile.
  L'intervento dell'Autorità garante è spesso successivo al decreto del giudice. In prospettiva, il sistema potrebbe prevedere che, in ogni caso di segnalazione, la stessa sia condivisa fra Garante e Autorità Giudiziaria competente, in modo da produrre un auspicabile allineamento, utile a porre in atto soluzioni alternative o comunque ad applicare anche le funzioni del Garante alla tutela del minore, in modo sinergico con le altre istituzioni.
  La frammentazione delle informazioni da parte degli assistenti sociali e del sistema intero produce l'effetto della difficile fruibilità e reperimento delle stesse, impedendo di fatto anche di capire quale sia il motivo per il quale il minore è stato collocato in una casa famiglia.
  Ulteriore criticità è rappresentata dal fatto che il rapporto di comunicazione fra tutore o curatore, istituzioni e famiglia è discontinuo e privo di metodo. La stessa comunicazione fra i Servizi sociali e la famiglia d'origine non è, in molti casi, pianificata e ciò produce tensioni e incomprensioni. D'altra parte, secondo l'audita, la situazione dei Servizi sociali non è brillante, a causa della carenza di personale specializzato e capace di fornire alle famiglie un supporto concreto e mirato. Le stesse consulenze tecniche d'ufficio non sembrano sempre all'altezza di fornire all'Autorità giudiziaria valutazioni di adeguatezza genitoriale realmente fondate. In proposito, l'audita fa tuttavia rilevare che molti giudici convocano le parti in audizione anche in contraddittorio e i minori stessi, prevedendo l'ascolto del minore anche al di sotto dei 12 anni.
  Emerge, a questo proposito, l'importanza dell'ascolto del minore, tema antico, trattato dall'ordinamento come un'attività eventuale e residuale. In questo ambito, ad avviso dell'audita, c'è carenza di spazi adeguati, metodi adeguati e formazione.
  La Garante ha particolarmente insistito sulla necessità di creare una rete di soggetti deputati alla tutela dei minori, superando l'attuale frammentazione.
  Rispetto alle segnalazioni ricevute, ha rilevato che uno dei casi più frequenti è quello della interruzione delle comunicazioni fra minore e famiglia di origine e della sospensione improvvisa degli incontri protetti. La Garante riferisce altresì di avere avuto numerose segnalazioni di situazione in cui l'età del minore era incompatibile con la casa famiglia ove lo stesso era stato collocato, essendoci altri minori di età Pag. 27diverse. Ulteriore casistica non infrequente è rappresentata dalla segnalazione che alcune relazioni dei servizi sociali non corrispondano pienamente alla realtà.
  Sollecitata dalle domande poste dai membri della Commissione, l'audita evidenzia come sarebbe utile la possibilità di avere la disponibilità di un dossier su ogni minore affidato, con a latere il progetto pensato per lo stesso, dati che, allo stato, sono nella disponibilità del solo tribunale.
  Rispetto alla frequente conflittualità tra famiglia d'origine e servizi sociali, e fra famiglia d'origine e curatore e tutore, osserva infine l'esigenza di analisi puntuali delle situazioni, che possono far emergere comportamenti non appropriati da segnalare agli ordini di appartenenza dei professionisti coinvolti, o nei casi più gravi denunciati alla Procura. L'Autorità garante si trova peraltro spesso a ricevere materiali eterogenei, per la gestione dei quali mancano protocolli o regole chiare.

  Il Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza della Regione Lombardia, Riccardo Bettiga, audito nella seduta del 16 febbraio 2022, ha esposto un modello di gestione delle segnalazioni che è stato implementato in quella regione. Tale modello si basa su un monitoraggio svolto dall'assessorato regionale alle politiche sociali.
  Nella sua esposizione il dottor Bettiga ha sottolineato la difficoltà di usare un lessico condiviso fra soggetti che hanno competenze diverse: gli assistenti sociali e gli psicologi non conoscono i termini giuridici utilizzati dal tribunale, gli avvocati, e i magistrati. In questa condizione possono generarsi equivoci tra le famiglie d'origine, il minore e le istituzioni. Ciò è naturalmente anche ascrivibile ad una diminuzione di persone interessate ad esercitare il ruolo di assistente sociale o psicologo. Secondo il dottor Bettiga, a seguito di vicende come quella di Bibbiano, il personale disponibile ad assumere questi incarichi e la responsabilità che ne discende è diminuito per il timore di essere contestati o nei casi gravi sospettati di illeciti.
  Il Garante ha poi evidenziato la necessità di creare forme di rete tra le istituzioni, riferendo, a tale proposito, che è in procinto di siglare un protocollo d'intesa fra il proprio Ufficio e la Procura minorile allo scopo di attuare un lavoro congiunto sulle progettualità attivate dalle comunità d'accoglienza. Questa attività di collaborazione da parte del Garante non si sostanzierà nella volontà di procedere ad un «monitoraggio ispettivo di mera natura classificatoria».
  Un elemento che, ad avviso del dottor Bettiga, è carente nel sistema esistente è la previsione di un flusso di comunicazione fra i genitori e gli assistenti sociali. Ne derivano situazioni di frustrazione e «forme di antipatia che i servizi provano per le famiglie particolarmente critiche, che li fa andare oltre e li fa considerare come, in qualche modo, accettabile un intervento forzato.» Esemplificativo di questa situazione è ciò che accade nei prelievi forzosi dei minori, attuati con metodi spesso discutibili, che non garantiscono il benessere psicofisico del minore.
  Rispetto al collocamento in comunità potrebbe essere vantaggioso un maggior impiego dei centri diurni, che però non sono uniformemente diffusi sul territorio nazionale. Un ulteriore spunto che emerge dall'audizione è la sensibilizzazione a coinvolgere gli Ordini professionali, con riguardo al controllo dell'operato, quanto meno sotto il profilo Pag. 28deontologico, del professionista che opera nel contesto della tutela del minore.
  Per quanto attiene la funzione di Garante regionale, il dottor Bettiga ha sottolineato il fatto che la terzietà del Garante lo rende portavoce istituzionale, anche al fine di mediare con le famiglie per scongiurare l'allontanamento forzato.
  Rispondendo a quesiti dei commissari, il Garante ha inoltre precisato di essere al corrente di casi di interruzione dei rapporti madre/figlio a seguito dell'allontanamento, verificatisi in Lombardia. Ha infine descritto il caso dell'allontanamento dalla famiglia per ragioni di indigenza, decisione condizionata dal pregiudizio culturale che permane nel nostro Paese.

  Il 23 febbraio 2022 è stato audito il Garante dei diritti della persona della Regione Veneto, Mario Caramel. Il Garante esercita nella Regione Veneto, come anche nelle regioni Molise e Marche, una doppia funzione, che si rivolge sia agli adulti che ai minori.
  Esponendo, dal suo punto di vista, alcune priorità il dottor Caramel ha innanzi tutto indicato quella della ratifica delle norme approvate dalla Conferenza Stato-Regioni nel 2017. Ha poi insistito sulla necessità di controlli sulle comunità, che dovrebbero avvenire senza previo avviso.
  Rispetto alla situazione del Veneto l'audito ha riferito che esiste un elenco di tutori e volontari formati e scelti con il criterio della nomina del soggetto più appropriato, che nella Regione 2/3 degli affidi sono giudiziali e che in caso di segnalazione il Garante provvede a trasmettere le informazioni al Tribunale per i Minorenni, mentre non avviene il contrario. Ha inoltre evidenziato, a livello generale, le gravi conseguenze che derivano dalla mancanza di un data base per il censimento degli affidi e dei minori che ne sono oggetto di provvedimento: è auspicabile che le erogazioni del PNRR possano colmare tale lacuna.
  Il dottor Caramel ha anche evidenziato, come già la Garante dell'Abruzzo, l'opportunità di costituire un Ispettorato degli assistenti sociali per il controllo sulla loro attività, sulle modalità operative e sulla situazione delle comunità. Per quanto attiene a queste ultime, andrebbero controllati meglio i flussi di finanziamento che la Regione eroga alle strutture di accoglienza: queste verifiche mancano e generano opacità nelle rendicontazioni delle spese e delle somme erogate per il fabbisogno delle comunità.
  Il dottor Caramel ha poi concluso che, in ordine ai tempi di affidamento, la prassi della proroga è frequente, producendo una dilatazione dei tempi di permanenza del minore fuori dalla famiglia di origine. Si tratta di una prassi che andrebbe scoraggiata.

  L'audizione del Garante dell'infanzia e dell'adolescenza della Regione Campania, Giuseppe Scialla, si è svolta nella seduta del 14 giugno 2022.
  A fonte di un dato nazionale del 57,8% relativo all'inserimento del minorenne nelle strutture di accoglienza a seguito di provvedimenti di autorità giudiziaria, in Campania questo dato risulta pari al 63,9% per i provvedimenti di autorità giudiziaria, mentre solo il 25,1% riguarda quelli consensuali. Sempre con riferimento alla realtà della Campania. I bambini e adolescenti dati in affidamento a singole famiglie sono pari Pag. 29al 40,6%, mentre a parenti al 59,4%, dato quest'ultimo anch'esso superiore alla media nazionale.
  In termini generali, le strutture, di varia tipologia, sono 348 e sono suddivise in comunità di tipo familiare, case famiglia, comunità di alloggio, gruppi di appartamento, comunità madre-bambino e di pronta e transitoria accoglienza. Il tempo di permanenza in comunità spesso va ben oltre i limiti di 24 mesi stabiliti dall'articolo 4, comma 4, della legge 184 /1983. Le rette giornaliere per l'accoglienza dei minori forniti al Garante dal Comune di Napoli (e che si ritengono essere anche quelli di tutta la provincia di Napoli) sono per la comunità educativa di 121,76 euro, quelli della casa famiglia di 93 euro, quello di comunità alloggio 98 euro, 84 euro per il «gruppo appartamento», 74 euro per la comunità madre-bambino e 96 euro per la transitoria accoglienza. Tutte le cifre sono al netto di IVA.
  Per quanto concerne i minori stranieri in affidamento, Il Garante non dispone di dati, non essendo gli stessi pervenuti né dai tribunali, né dalle prefetture. Con riferimento alle competenze relative alla selezione, formazione ed elenco dei tutori volontari per i minori stranieri, nell'anno corrente è stata fatta una doppia selezione, di cui una specifica per l'accoglienza dei minori di nazionalità ucraina.
  È stata inoltre posta l'esigenza (si vedano in tal senso le considerazioni espresse dal professor Marino Maglietta, intervenuto nel corso dell'audizione) di una maggiore applicazione del principio della bigenitorialità, al fine di «rendere evidente, praticato ed efficace il diritto a questa relazione con i due genitori e la crescita in famiglia». Si evidenzia, in particolare, come una opportunità in tal senso possa essere offerta dai decreti legislativi previsti dalla legge delega n. 206 del 2021.

   d) Le audizioni di esperti

  La Commissione ha audito numerosi esperti nelle materie dell'inchiesta, in particolare per acquisire punti di vista e valutazioni sulla riforma del processo civile e sugli strumenti normativi che potrebbero essere messi in campo per superare le criticità che sono alla base dell'inchiesta parlamentare.
  L'audizione di Luigi Ciampoli, già Procuratore generale a Roma, svolta il 5 ottobre 2021, si è concentrata sui profili giuridici dell'affido e ha affrontato le principali questioni ordinamentali, evidenziando l'importanza dell'ascolto del minore e chiarendo quanto quel momento debba essere adeguato per luogo, contenuto ed interlocutore, allo scopo di raggiungere e ottenere dal minore stesso informazioni utili per approntare una tutela efficace nel suo esclusivo interesse.

  Nell'audizione dell'avvocato Maria Emilia De Martinis, svolta il 12 ottobre 2021, si è approfondito il tema della collaborazione tra soggetti istituzionali, il Tribunale, le Asl (che dipendono dalle Regioni), ed i Servizi sociali (che dipendono dal Comune), affinché vi sia precisa cognizione di quali siano i servizi attivi, all'atto di assumere un determinato provvedimento.
  Ad avviso dell'audita, nel sistema di tutela è cruciale porre l'attenzione sui costi delle strutture di accoglienza, allo scopo di omologare le rette nel minimo e nel massimo, così da evitare inutili e pericolose corse al ribasso tra le varie comunità.Pag. 30
  Altro elemento importante è la determinazione del tempo della tutela: gli interventi a supporto del minore devono essere veloci ed efficaci, e si deve verificare immediatamente se la famiglia di origine è in condizioni o meno di migliorare; diversamente, poiché al centro di ogni azione c'è sempre il diritto del minore, va valutata anche l'opportunità di allontanarlo in via definitiva. Il bambino ha infatti diritto di vivere nella famiglia, ma nella famiglia «giusta», che non necessariamente coincide con quella di origine.
  Altro aspetto evidenziato è la necessità che siano gli Enti locali a garantire i servizi minimi a vantaggio dei minori e delle loro famiglie, al fine di evitare il collocamento nelle comunità, e quindi, in un'ottica di prevenzione, utilizzando ad esempio l'assistenza domiciliare educativa (ADE).
  Si è anche evocata la misura dell'adozione «mite» (la possibilità di adottare un bambino senza però fargli perdere il rapporto con la sua famiglia), misura nata per creazione giurisprudenziale, ma che nella pratica ha avuto poca diffusione, e che comunque dovrebbe riguardare ragazzi di almeno 15 anni di età.

  Una serie di audizioni ha riguardato la valutazione della riforma del processo civile (legge 206/2021) di cui successivamente, nel luglio 2022, sono stati deliberati i decreti delegati, anche in relazione alle lacune e alle criticità della legislazione previgente.
  Nella seduta del 22 marzo 2022 è stato audito il professor Claudio Cecchella, Presidente dell'Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia (ONDIF), che ha sostenuto che la legge 206/2021 va nella giusta direzione di un adeguamento della legislazione sul riconoscimento dei diritti alle relazioni familiari fragili.
  Per ciò che concerne l'assetto ancora attualmente applicabile, viene invece criticata la struttura del tribunale per i minorenni, la cui composizione paritetica di due giudici togati e due giudici onorari viene ritenuta origine di alcune gravi disfunzioni applicative. Ciò in quanto all'interno della Camera di consiglio ci sono due componenti privi di preparazione giuridica, i quali in realtà svolgono una consulenza tecnica ed esprimono al collegio un punto di vista extragiuridico, che è un punto di vista che deve essere tenuto presente ai fini della decisione, ma senza che ci sia il contraddittorio dei consulenti di parte e degli avvocati che difendono le parti. Quindi, la circostanza che nella Camera di consiglio attualmente possa esprimersi un consulente tecnico senza che i risultati della sua valutazione siano sottoposti al contraddittorio delle parti, viene ritenuto uno degli aspetti che dovrà essere superato nell'attuazione dei principi della legge delega.
  Ulteriore elemento di criticità da superare è la attuale natura «camerale» del procedimento che si celebra innanzi al tribunale per i minorenni, tipico della volontaria giurisdizione. Si tratta di un rito privo di regole e con poche disposizioni del codice di procedura civile: in particolare il riferimento agli articoli che regolano la materia sono il 737, 738 e 739. Si evidenzia, invero, come una materia così delicata come i diritti di persone fragili non possa essere sottoposta alle regole processuali di un processo privo di chiare norme precostituite per legge e lasciate in balia del giudice. Tale elemento, peraltro, assume maggiore criticità laddove il giudice dinanzi al quale si svolge l'istruttoria è il giudice onorario, non esperto di materie giuridiche. Il terzo aspetto Pag. 31dell'assetto attuale ritenuto meritevole di particolare attenzione, ai fini di un suo superamento, è la mancanza del riconoscimento di un rappresentante del minore all'interno del processo. Sinora, pur essendoci dei riferimenti normativi come la legge sull'adozione o l'ultima riforma del 2001 delle norme del codice civile sulla responsabilità genitoriale, dove pure il legislatore prevede che il minore sia rappresentato tecnicamente da un avvocato, in realtà la giurisprudenza ha sempre ritenuto che la soluzione dovesse trovarsi nella nomina di un curatore del minore, ai sensi dell'articolo 78 del codice di procedura civile, solo nei casi di conflitto di interessi con il genitore, perché il genitore, svolge una funzione di rappresentanza del minore fuori dal processo e all'interno del processo. In virtù di ciò, la Cassazione ha sempre ritenuto necessaria la nomina del curatore del minore solo ed esclusivamente quando vi fosse un manifesto conflitto di interessi con i genitori. Si auspica quindi che anche tale aspetto possa trovare soluzione attraverso l'attuazione dei principi contenuti nella legge delega.
  Tra le criticità evidenziate dal professor Cecchella vi è poi il fatto che l'attività dell'assistente sociale non segue regole precise e può spingersi fino a produrre interpretazioni personali, capaci di alterare gli esiti delle valutazioni del Tribunale.
  Infine, l'audito ha espresso una valutazione positiva nei confronti della nuova formulazione dell'articolo 403 del codice civile, la cui entrata in vigore a partire dal 22 giugno 2022 è vista come un passo importante nella direzione del riconoscimento di un «pieno controllo» in sede giurisdizionale dei provvedimenti amministrativi di allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare.

  L'audizione di Maria Giovanna Ruo, Presidente dell'Associazione Cammino – Camera Nazionale avvocati per la persona, le relazioni familiari e i minorenni – svolta il 30 marzo 2022, ha riguardato soprattutto una valutazione dell'impatto della riforma del processo civile, con particolare riferimento ai controlli sull'attività del Servizio sociale e all'inquadramento della figura del curatore speciale. La Presidente Ruo ha ricordato che – in conformità alla consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo – nell'ambito della tutela dei contrapposti diritti dei figli minorenni e dei genitori deve sempre prevalere la tutela dei primi. È quindi la persona di età minore che è al centro del sistema e al cui sviluppo psicofisico migliore, in base alle condizioni possibili, è attribuita rilevanza prioritaria. In questa prospettiva, pur incombendo allo Stato doveri negativi di non ingerenza nella relazione figli minori-genitori, laddove i genitori non fossero in grado di garantire il miglior sviluppo psicofisico dei figli, compete alle Autorità nazionali intervenire proprio a tutela del best interest of the child. L'allontanamento è certamente una extrema ratio ma può intervenire legittimamente se dovessero evidenziarsi elementi non compatibili con il miglior sviluppo psicofisico del minore, oppure quando vi siano stati degli effettivi tentativi di aiutare la famiglia a risolvere una situazione di crisi, mantenendo il minore nell'ambito della propria famiglia.
  Sul piano processuale l'individuazione del best interest of the child viene accertato con strumenti non giuridici. In primo luogo le Relazioni dei servizi socio-psico-ambientali che vengono stilate da operatori Pag. 32sanitari e operatori sociali. A tale proposito l'audita ha rilevato come le stesse vengano svolte fuori dal contraddittorio e dai diritti delle difese delle parti, risultando incontestabili, anche se eventualmente errate, e vengano definite nel gergo difensivo «prova bloccata», aspetti sui quali è intervenuta la legge 206/2021. Ci sono poi le consulenze tecniche d'Ufficio (CTU) le quali – pur svolgendosi in contraddittorio – risultano spesso intrusive e ridondanti e affrontano aspetti della vita privata e personale non pertinenti. Viene inoltre evidenziato come talvolta i giudici si appiattiscano sul contenuto delle CTU, riportando nei provvedimenti automaticamente conclusioni stereotipate. Infine, c'è la partecipazione di esperti al collegio giudicante presso il Tribunale per i minorenni. È l'aspetto che desta maggiori perplessità per l'assoluta incontrollabilità dei criteri di individuazione del the best interest, che trovano di solito sintetica esposizione nei provvedimenti finali. In particolare, viene segnalato come elemento di criticità il fatto che questi pareri vengano espressi nell'ambito della camera di consiglio, quindi nel segreto, e poi si manifestino in sintetiche espressioni del provvedimento, il che li rende del tutto incontrollabili ai fini del diritto alla difesa. Anche su questo punto si sottolinea come la riforma, di cui alla legge n. 206 del 2021, abbia apportato importanti modifiche, che però entreranno in vigore nel 2024, istituendo un giudice unico (Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie) che verrà integrato da esperti solo per alcune materie.
  Nel corso dell'audizione è stata anche illustrata l'iniziativa – avviata dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria – «Liberi di scegliere», consistente in un programma di tutela delle madri con figli minori che si allontanano dalla 'ndrangheta. Risalto è stato dato anche all'attenzione e assistenza che deve essere fornita da parte delle istituzioni ai casi di violenza assistita, definita dal CISMAI (Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia) come il fare esperienza da parte del minore di atti di violenza (fisica, verbale, psicologica) nei confronti di figure affettivamente significative (madre, ma anche nonni o fratelli), a causa dei gravi danni che tali situazioni arrecano alla sfera psichica, relazionale ed affettiva del bambino o dell'adolescente.
  La Presidente Ruo ha, infine, illustrato i recenti interventi di riforma, quali la valutazione delle CTU in contraddittorio, il giudice monocratico togato, il coinvolgimento delle parti nell'audizione dei Servizi sociali, coerentemente con i principi dell'art. 111 della Costituzione e la nomina del curatore speciale per il minore. Rimangono, tuttavia, aspetti da migliorare, anche in relazione ai percorsi formativi necessari alla costruzione di professionalità adeguate al nuovo contesto normativo.

  Ulteriori approfondimenti relativi alle recenti riforme sono venuti nell'audizione degli avvocati Daniela Bianchini e Margherita Prandi, in rappresentanza del Centro studi Rosario Livatino, nella seduta del 31 marzo 2022.
  Nel corso dell'audizione particolare sviluppo ha avuto il tema dell'ascolto del minore, principio sancito nella Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, come pure quello dell'allontanamento che, sulla base delle medesime norme internazionali, deve essere attuato solo sulla base di elementi di valutazione rigorosi e deve Pag. 33comunque rispettare il diritto del minore di intrattenere regolarmente rapporti personali e diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò, come precisa la Convenzione, non sia contrario al suo preminente interesse.
  Il complesso di tali principi pone allo Stato l'obbligo di individuare la soluzione migliore: la decisione deve essere assunta sulla base di un'attenta e approfondita valutazione. Vi è la necessità che siano rispettate la continuità nell'educazione del fanciullo nonché la sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica.
  Le audite hanno quindi ribadito come l'allontanamento dei minori dalla famiglia di origine debba essere considerato come rimedio residuale, previsto a tutela dell'esclusivo interesse del minore e soltanto quando la permanenza presso il nucleo familiare sia stata valutata come pregiudizievole per il suo sano ed equilibrato sviluppo. L'allontanamento non deve essere, quindi, inteso come una sanzione nei confronti dei genitori, ma come una misura avente quale unico obiettivo quello di promuovere la protezione dei bambini e degli adolescenti.
  Sempre sulla base dei medesimi principi, lo Stato è chiamato a porre in essere tutti quegli interventi necessari al singolo caso concreto affinché il minore, da una parte, possa essere nel più breve tempo possibile reinserito nel suo nucleo familiare e, dall'altra, riceva tutte le cure di cui ha bisogno presso la famiglia o la struttura in cui è stato temporaneamente collocato. In particolare, secondo la Corte di Strasburgo i minori allontanati dovrebbero proseguire ad avere rapporti continuativi con i genitori, tema su cui l'Italia è stata più volte sanzionata. Nella pratica si verifica, infatti, che gli incontri di fatto siano in genere limitati a poche ore al mese con cadenza bisettimanale e, in rari casi, con cadenza settimanale e il più delle volte avvengono alla presenza degli operatori nel cosiddetto «luogo neutro».
  Anche in questa audizione è emersa la necessità di realizzare un sistema informativo a livello nazionale dei Servizi sociali in grado di offrire informazioni precise e aggiornate circa i minori accolti in comunità o in famiglie, con particolare riferimento ai tempi dell'allontanamento. Ciò – come precisato – consentirebbe di operare una valutazione complessiva delle situazioni su tutto il territorio nazionale, utile per individuare le problematiche più frequenti e fragili, predisporre strumenti adeguati a verificare l'efficacia delle attività poste in essere dai servizi e rimediare anche ad eventuali inefficienze.
  Rispetto alla riforma del processo civile si è sottolineata la necessità di un uso contenuto delle previsioni, di cui all'art. 403 c.c, e di valorizzare l'ascolto del minore, per cui è richiesta una competenza specifica dei magistrati e dei curatori che assumono l'incarico.

  Il 5 aprile 2022 si è svolta l'audizione della Presidente dell'UNCM (Unione Nazionale Camere minorili italiane) Grazia Ofelia Cesaro, che ha avuto come principale oggetto la riforma del processo civile. Si segnala, a tale proposito, che l'UNCM fa parte del network delle associazioni che si occupano di monitorare, in modo costante, l'applicazione della Convenzione sull'infanzia, il cosiddetto «Network della CRC (Convention on the rights of the child)», che coinvolge circa 100 associazioni.
  Nel corso dell'audizione, la Presidente Cesaro ha illustrato alcuni dati riportati nel «Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Pag. 34Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia», basati su già citati monitoraggi del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, dai quali si evincerebbe che in Italia l'allontanamento temporaneo dei bambini e dei ragazzi dalla propria famiglia di origine, a scopo di tutela e protezione, risulterebbe più basso rispetto a quello riscontrato negli stati europei con caratteristiche sociologiche simili.
  Secondo l'audita, tali dati dimostrerebbero dunque che in Italia non vi sarebbe un indiscriminato utilizzo degli allontanamenti dei minori dalle proprie famiglie, e che di conseguenza non si possa ragionare «in termini di sistema o fenomeno, perché ciò ha creato un vero clima di sfiducia e sospetto sull'intero sistema di protezione dei minori in Italia, indebolendo, e non rafforzando, il sistema di tutela dell'infanzia».
  Circa gli interventi ritenuti opportuni per addivenire a una migliore efficienza del sistema, da parte della presidente dell'UNCM sono stati illustrati in dettaglio otto punti anche in un documento depositato alla Commissione:

   allocazione di fondi ed investimenti sull'intero sistema di tutela del welfare, per introdurre forme di sostegno anche alle famiglie d'origine e alle famiglie affidatarie;

   giurisdizionalizzazione del procedimento, di cui all'art. 403 c.c., in modo da garantire la possibilità di attuare tempestivamente le misure che si rendano necessarie in caso di pregiudizio ma, al contempo, prevedendo in tempi brevi lo svolgimento di un procedimento di convalida davanti all'autorità giurisdizionale. Viene evidenziato come l'entrata in vigore della legge n. 206/2021 andrà in tale direzione, con norme maggiormente restrittive e con la previsione dell'audizione di tutte le parti nei casi di allontanamenti urgenti;

   affermazione del diritto del minore a crescere nella propria famiglia, con la precisazione che a giudizio dell'UNCM le norme sostanziali attualmente in vigore garantiscono il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia e non vi è necessità di una modifica delle norme sostanziali attualmente vigenti;

   implementazione della figura del curatore speciale, con l'assoluta necessità della formazione multidisciplinare del curatore stesso, e creazione di appositi elenchi presso i Consigli degli Ordini degli Avvocati;

   sistema di monitoraggio periodico sull'affidamento dei minori fuori famiglia. Viene ritenuta di particolare importanza l'istituzione di un sistema di monitoraggio periodico sull'affidamento di minori fuori famiglia, sia durante la pendenza del procedimento, che dopo la chiusura dello stesso, introducendo l'obbligo, per i Servizi sociali competenti, di riferire periodicamente, anche a fascicolo chiuso, alla Procura della Repubblica presso il TM ovvero presso l'istituendo Tribunale Unico, in modo che siano rese note le informazioni sull'andamento della collocazione/affidamento etero-familiare del minore;

   con riferimento all'istituzione del Tribunale Unico previsto dalla legge n. 206/2021, pur apprezzandosi l'intervento normativo, viene rilevato quale elemento critico il fatto che tutta la materia relativa agli Pag. 35affidi e alle limitazioni della responsabilità genitoriale venga affidata ad un giudice unico per il quale è prevista la specializzazione, ma non un'adeguata formazione iniziale né quella obbligatoria successiva. Ad avviso dell'UNCM, ciò potrebbe comportare la conseguenza che un giudice così configurato, privato dell'apporto della collegialità e della multidisciplinarietà di giudici onorari esperti in materia, possa maggiormente conformarsi nelle sue decisioni alle valutazioni dei consulenti tecnici o dei Servizi sociali territoriali;

   estensione a tutte le regioni del monitoraggio S.In.Ba (Sistema Informativo sulla cura e la protezione dei bambini e delle loro famiglie), prevedendosi altresì l'istituzione di opportuni meccanismi di coordinamento tra le regioni al fine di poter disporre di una raccolta dati omogenea sull'intero territorio nazionale;

   previsioni che impongano, sempre in linea con le raccomandazioni dell'ultimo rapporto CRC, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e alla Conferenza Stato Regioni, di attivarsi affinché le linee di indirizzo per l'accoglienza nei servizi residenziali dei bambini e dei ragazzi (approvate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in data 14 dicembre 2017) siano applicate in tutte le regioni, al fine di garantire processi e condizioni omogenee in tutto il territorio nazionale.

  Ultima tra le audizioni di esperti relativa alla disciplina dell'affido e alla riforma del processo civile è stata quella dell'avvocato Alberto Figone, in rappresentanza dell'AIAF (Associazione Italiana degli Avvocati per la famiglia e per i minori), svolta il 6 aprile 2022.
  Nel corso dell'audizione è stato espresso un giudizio positivo relativamente alle norme in materia di diritti delle persone e delle famiglie contenute nella legge n. 206/2021, ricordando altresì che alcuni componenti dell'associazione AIAF (tra cui la presidente Cinzia Calabrese) sono stati chiamati a far parte dei gruppi di studio incaricati dell'elaborazione dei decreti legislativi.
  In particolare, con riferimento alla riformulazione dell'articolo 403 del Codice civile, è stata sottolineata la portata migliorativa della nuova disciplina degli allontanamenti di urgenza, con specifico riferimento all'obbligo di comunicazione (sia orale che scritta) in tempi certi al pubblico ministero presso il Tribunale per i minorenni dei provvedimenti amministrativi di allontanamento adottati da pubbliche autorità amministrative. Altri aspetti, sui quali nel corso dell'audizione è stata posta l'attenzione, hanno riguardato:

   la previsione e specializzazione di un'unica autorità giudiziaria attraverso l'attivazione del Tribunale per le persone, i minori e le famiglie, che andrà ad assorbire in sé le competenze del Tribunale per i minorenni e le competenze del tribunale ordinario in materia di famiglia;

   l'importanza della specializzazione della figura del curatore speciale del minore e il tema dell'ascolto del minore nei procedimenti che lo riguardano;

   il diritto delle parti e dei difensori di avere visione delle relazioni degli accertamenti compiuti dai responsabili dei servizi socio-assistenzialiPag. 36 o sanitari, rilevandosi come spesso le relazioni dei servizi sociali – pur costituendo spesso un «succedaneo» delle consulenze tecniche d'ufficio – non sono configurate come un mezzo istruttorio espressamente disciplinato dal legislatore;

   la criticità relativa alla ancora mancata introduzione presso il tribunale dei minorenni del procedimento civile in forma telematica, strumento che, se previsto, potrebbe garantire alle parti un diretto accesso agli atti quando i documenti sono depositati.

  È stato evidenziato come, spesso, nei tribunali per i minorenni, per acquisire le relazioni dei servizi sociali o altri documenti sia necessario fare richiesta al giudice che ha in carico il fascicolo, il quale potrebbe in conseguenza ritenere di non doverli rendere ostensibili, oscurare determinate pagine o effettuare stralci.
  L'avvocato Figone si è particolarmente concentrato sui nuovi profili dell'art. 403 c.c., che introduce una nuova procedura consistente nell'avviso orale alla Procura dei minori che dovrà valutare e convalidare quel provvedimento di allontanamento per renderlo efficace in tempi brevissimi. Solo dietro convalida dunque con un controllo giudiziale, il provvedimento può essere reso esecutivo.
  Più in generale, si è rilevato che la legge 206/2021 di fatto abroga il rito camerale e impone una forte specializzazione in ambito minorile per tutti gli attori coinvolti: il magistrato, l'assistente sociale e l'avvocato.

   e) Le audizioni di familiari di minori e di loro rappresentanti legali

  La Commissione ha ricevuto numerosi esposti da parte di associazioni, singoli genitori (prevalentemente madri) o coppie che avevano subito provvedimenti di sospensione o decadenza della responsabilità genitoriale, con conseguente allontanamento dei figli, e che hanno evidenziato una serie di criticità nei provvedimenti giudiziari o nell'azione dei Servizi sociali. Per alcuni degli esposti e segnalazioni pervenute sono stati effettuati degli approfondimenti attraverso specifiche audizioni, prevalentemente svolte in forma segreta, sia perché riguardavano spesso procedimenti in corso, sia perché si è inteso in tal modo tutelare le persone da possibili ritorsioni nell'ambito dei procedimenti medesimi.

  L'audizione della signora Laura Massaro, assistita dagli avvocati Ilaria Boiano e Lorenzo Stipa, e quella del signor Giuseppe Apadula, assistito dall'avvocato Mirella Zagaria, svolte, rispettivamente, il 9 marzo e il 16 marzo 2022, hanno avuto ad oggetto la stessa vicenda, che è stata successivamente definita con ordinanza della Corte di Cassazione. Si tratta di una vicenda complessa, che ha avuto una certa attenzione da parte dell'opinione pubblica, e che ha il suo punto centrale in una serie di provvedimenti con cui, in una situazione di separazione caratterizzata da elevata conflittualità, si è disposto l'allontanamento del minore dalla madre e il collocamento dello stesso in struttura, al fine di ripristinare una relazione con il padre.
  In particolare, la signora Massaro, che si è opposta in ogni modo all'attuazione di tali provvedimenti, ha evidenziato il percorso giudiziarioPag. 37 che ha portato a ricercare il ripristino della bigenitorialità con la limitazione del rapporto madre-figlio, basata su dubbie valutazioni di adeguatezza, e con una rottura del rapporto del minore con i familiari. Il signor Apadula, da parte sua, ha insistito sull'inottemperanza, da parte della signora Massaro, dei decreti del tribunale e sull'impossibilità di svolgere il proprio ruolo paterno, a causa degli ostacoli frapposti.
  La vicenda, come si è detto, è stata definita con ordinanza n. 9691/2022 della Corte di Cassazione, che contiene alcuni punti fermi di valore generale e diversi rilievi sul modo di procedere delle autorità giudiziarie interessate. Al di là del merito delle singole posizioni, la Commissione si è soffermata sulle criticità sistemiche di una vicenda che si è trascinata per anni, attraverso plurimi e non coerenti decreti, con una carenza di progettualità a vantaggio del minore e una incapacità a dare esecuzione ai decreti pronunciati senza ricorrere a misure traumatiche e confliggenti con l'interesse del minore, elemento peraltro segnalato anche nella citata ordinanza di Cassazione e in diverse pronunce CEDU. Sullo sfondo si avverte una linea di intervento che possa tendere ad affermare la bigenitorialità attraverso una sorta di riprogrammazione del minore e l'attribuzione a uno dei due genitori (più spesso la madre) di forme di inadeguatezza non fondate su dati oggettivi e verificabili.

  L'avvocato Rita Ronchi – esperta di diritto minorile e componente dell'associazione di promozione sociale U.D.i.RE (Uomini e Donne in Rete) – nel corso della propria audizione del 21 aprile 2022 ha proceduto all'illustrazione di alcuni casi di cui si è occupata, ritenuti significativi per l'attività di inchiesta, e la cui esposizione in Commissione è stata integrata con della ulteriore documentazione trasmessa successivamente alla Commissione.
  In relazione ai casi esposti, a livello di sistema vengono evidenziati da parte dell'avvocato Ronchi come elementi di criticità una certa carenza nell'assistenza sanitaria da prestare al minore accolto e portatore di specifiche patologie; una carenza di trasparenza e controllo della documentazione sanitaria del minore da comunicarsi al centro di accoglienza; una carenza nella disciplina della regolamentazione dei centri d'accoglienza del minore e delle modalità di inserimento nelle stesse rispetto alle caratteristiche del minore stesso.

  Nel corso dell'audizione dell'avvocato Giovanni Bonotto, svoltasi nella seduta del 27 giugno 2022, è stata ripercorsa la vicenda giudiziaria (già oggetto di interrogazioni parlamentari sia alla Camera che al Senato) relativa a una coppia affidataria di minore (con decreto del Tribunale per i minorenni di Venezia del 7 luglio 2017) a cui è stato successivamente revocato, dopo circa quattro anni, l'affido sulla base di alcune relazioni dei Servizi sociali territorialmente competenti, che rilevavano una valutazione di inadeguatezza genitoriale relativa ai genitori affidatari. Nelle relazioni è stata inoltre affacciata anche l'ipotesi che i genitori affidatari abbiano posto in essere metodi correttivi o punitivi eccessivi, riferendoli come ricordi del minore.
  Scopo dell'audizione è stato quello di capire se e in quale misura nella vicenda in oggetto si sia valutato correttamente l'interesse del Pag. 38minore e la relativa legittimità sostanziale dell'adozione del provvedimento di revoca.
  In merito a quest'ultimo aspetto l'elemento di criticità evidenziato da parte dell'avvocato Giovanni Bonotto – fattispecie peraltro riportata all'attenzione della Commissione anche per altri procedimenti giudiziari – ha riguardato l'adozione da parte dell'autorità giudiziaria di provvedimenti che tengono a trasporre meccanicamente le relazioni dei Servizi sociali. Nel caso di specie, viene riferito come il decreto del tribunale del 4 giugno del 2021 si fondi sostanzialmente ob relationem su una relazione del primo giugno 2021 (quindi con un intervallo temporale di tre giorni) con la conseguente evidenza che «con tempistiche di questo genere, la possibilità di approfondimento e di sentire gli interessati, eventualmente anche il minore sono ridotte al minimo».
  Per ciò che concerne l'assetto normativo vigente, viene rilevato quale elemento di criticità la circostanza (citando in merito anche una specifica ordinanza della Corte di Cassazione del 10 luglio 2019) che nei provvedimenti di potestà genitoriale la legge 184/1983 non attribuisca per gli affidatari la qualità di parte formale («non avendo inciso sulla previsione contenuta nella norma speciale di cui all'articolo 336 che, individuando i soggetti legittimati ad agire in materia, è insuscettibile di interpretazione estensiva o analogica»), elemento che viene ritenuto confliggente con l'interesse del minore e in virtù del quale viene quindi auspicato un intervento migliorativo del legislatore in materia, anche in relazione alle possibilità offerte in tal senso dalla legge n. 206 del 2021.
  La vicenda oggetto dell'audizione è ora all'attenzione dell'Autorità giudiziaria.

  Molti dei temi sopra esposti sono peraltro emersi anche in diverse audizioni segrete, delle quali in questa sede non è possibile dare conto del contenuto.

   f) Le altre audizioni: associazioni e categorie professionali

  Tra le ulteriori audizioni svolte dalla Commissione si ricordano quelle che hanno coinvolto un certo numero di associazioni impegnate sui temi oggetto dell'inchiesta, nonché le audizioni di rappresentanti di alcune tra le categorie professionali operanti nel sistema degli affidi e tutela dei minorenni, segnatamente psicologi e assistenti sociali. Le audizioni svolte non possono di certo esaurire questo variegato mondo, peraltro caratterizzato da molteplici e divergenti punti di vista e opinioni, ma hanno comunque consentito di acquisire numerosi elementi di informazione. Ulteriori elementi sono stati acquisiti dall'audizione di persone che hanno approfondito singole vicende specifiche, come quella di Bibbiano.

  Il 20 luglio 2021 si è svolta l'audizione dei rappresentanti del Tavolo Nazionale dell'affido. Il Presidente, Valter Martini, ha preliminarmente espresso preoccupazione per il clima di discredito e diffidenza asseritamente generatosi nei confronti dell'affido quale sostegno alla crescita dei minori ed aiuto a superare le problematiche della genitorialità. Ha altresì sottolineato che le famiglie affidatarie non hanno alcun ruolo nelle decisioni circa l'allontanamento dei minori dalle famiglie di origine. Non esiste pertanto un «sistema affido», nel senso di comportamentiPag. 39 sistematici contrari allo spirito della legge. Nel merito della problematiche oggetto dell'inchiesta, il Tavolo nazionale affido ritiene necessario «riposizionare l'affido come intervento di prevenzione fondato sull'accordo con la famiglia di origine», a fronte di un eccessivo ricorso all'affidamento familiare nella forma giurisdizionale, così da recuperare l'affido consensuale come strumento di aiuto alle famiglie di origine. In tal modo, verrebbero mantenuti i rapporti tra la famiglia affidataria e quella di origine, insieme con i bambini. In questo ambito anche l'affido part-time (o affido diurno) costituisce un valido strumento di aiuto al minore ed alla sua famiglia di origine, ed è utile in tutti i casi in cui si vuole (e si può) sostenere un minore senza allontanarlo, così da accompagnare la famiglia nell'esercizio delle funzioni genitoriali.
  Uno degli aspetti più rilevanti evidenziati dal rappresentante del Tavolo è la constatazione del mancato rispetto dei criteri sussidiari previsti dalla legge n. 184 del 1983: il ricorso all'affidamento familiare dovrebbe infatti prevalere sull'inserimento dei minorenni nei servizi residenziali, ma questo non avviene con regolarità e in maniera omogenea sul territorio italiano. Ciò dipende anche dall'assenza di un sistema aggiornato e puntuale di raccolta dei dati relativi ai minorenni fuori famiglia. Il Tavolo nazionale affido ha poi posto l'attenzione sul mancato recepimento delle disposizioni della legge n. 149 del 2001, in materia di banche dati relative ai minori dichiarati adottabili. Un ulteriore aspetto rilevante riguarda la mancata approvazione dei livelli essenziali di prestazione, che genera ingiustificate disparità di investimento sociale tra le regioni italiane, nonché la mancata adozione, da parte di alcune regioni, delle linee nazionali emanate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Linee che, oltre a dovere essere correttamente individuate, necessitano di un aggiornamento costante.
  Si è anche rimarcato che uno degli scopi del Tavolo è garantire la continuità degli affetti per il minore, anche alla luce del fatto che, alla base dell'affidamento, non vi è sempre la decadenza della responsabilità genitoriale, ma può esservi talvolta un provvisorio momento di difficoltà per i genitori che hanno esigenza di ritrovare il necessario equilibrio. Di qui l'importanza di garantire al minore il rapporto con la famiglia d'origine, con una piena attuazione della legge n. 173 del 2015 sulla tutela della continuità degli affetti, che tende a riconoscere e valorizzare proprio il ruolo degli affidatari.

  L'audizione del Presidente dell'Associazione Infanzia e Famiglia (AIEF), Tommaso Varaldo, svolta il 22 settembre 2021, ha consentito di acquisire un punto di vista su alcune criticità del sistema di tutela dei minori fuori famiglia.
  Nel ricordare come il diritto del minore a vivere e crescere nella propria famiglia d'origine rappresenti il punto di partenza per ogni approfondimento delle problematiche afferenti i minori – quindi l'allontanamento dovrebbe essere realizzato solo laddove non via sia alcuna alternativa – il rappresentante dell'AIEF ha affermato che è indispensabile il potenziamento delle risorse territoriali di sostegno alla genitorialità, con particolare riferimento agli interventi multidisciplinari. In questo contesto, un ruolo centrale deve essere svolto dal pediatra, figura professionale da coinvolgere maggiormente.Pag. 40
  L'aspetto più evidenziato dall'AIEF è quello relativo alla natura provvisoria della misura dell'allontanamento, che di norma non dovrebbe protrarsi oltre i 24 mesi, proprio perché l'obiettivo da raggiungere è quello di permettere il rientro del minore in famiglia il prima possibile.
  Tuttavia, i casi di proroga a questo limite temporale sono di fatto costanti, e l'assenza di un registro nazionale dei minori fuori famiglia impedisce di avere contezza sia del numero di minori allontanati (o senza famiglia), sia del numero esatto di comunità operanti sul territorio nazionale. Comunità che devono essere adeguate allo scopo e vigilate da parte dello Stato, come ricorda la stessa Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e adolescenza.
  È stato inoltre evidenziato che i dati raccolti dalle Procure (come richiamati nella relazione dell'Autorità garante) non risultano essere completi, in quanto per oltre il 40% dei minori non è stato specificato il tempo di permanenza all'interno delle strutture.
  In parecchi casi esaminati dall'AIEF, inoltre, il rientro nella famiglia di origine avviene non perché siano state superate le criticità, bensì in quanto non si è riusciti a completare il progetto, e ciò rappresenta, con tutta evidenza, un doppio fallimento.
  Come già rappresentato dal Tavolo nazionale dell'affido, anche l'AIEF lamenta una certa carenza nella determinazione di standard minimi di qualità omogenei per le strutture di accoglienza, e quindi di criteri comuni a cui le Regioni possono fare riferimento. Lamenta, altresì, l'insufficienza di dati chiari e uniformi per permettere alle istituzioni di disporre di un esatto quadro conoscitivo del fenomeno, anche sotto l'aspetto della rendicontazione della spesa pubblica per le strutture di accoglienza: poiché buona parte della gestione è svolta da cooperative Onlus, l'assenza di precise prescrizioni sulla formazione dei relativi bilanci non permette di comprendere l'effettiva portata della spesa.
  Per l'AIEF, pertanto, una banca dati per essere completa e funzionale al raggiungimento degli obiettivi di legge dovrebbe indicare i seguenti elementi: numero di strutture presenti sul territorio; numero di ispezioni effettuate; numero degli ospiti complessivi; caratteristiche dei minori ospitati; tipologia di inserimento; il tempo di permanenza; la provenienza dei minori e le tipologie di progetto psicopedagogico attuate in comunità.
  Particolarmente significativa è la critica svolta per il mancato rispetto di quanto prescritto nelle «Linee di indirizzo per l'accoglienza nei servizi residenziali per minorenni», le quali (punto 103) sottolineano che l'accoglienza va realizzata, in via prioritaria, il più vicino possibile alla residenza abituale del bambino in modo da rendere meno difficoltoso il mantenimento dei legami familiari e più certe le possibilità di riunificazione familiare, minimizzando gli effetti sociali e culturali del processo separativo. Per lo stesso principio, le sorelle e i fratelli non dovrebbero, se non per specifiche esigenze di tutela che vanno motivate, inseriti in luoghi di accoglienza tra loro separati. Secondo AIEF queste prescrizioni sono sistematicamente eluse, come pure si rileva criticamente l'inserimento di minori con bisogni speciali (ad esempio autismo o disturbi specifici del comportamento tra cui l'anoressia) in comunità non idonee o non preparate a seguirli.Pag. 41
  Rispetto ai giudici onorari minorili, il Presidente Varaldo ha osservato che le criticità emerse rispetto alle situazioni di incompatibilità, in passato ampiamente oggetto di denunce e inchieste, dovrebbero essere superate dalle modifiche normative intervenute; tuttavia, occorrerebbe introdurre meccanismi di controllo per rendere pienamente efficace le relative disposizioni.
  Il supporto alla continuità scolastica ai minori fuori famiglia rappresenta, per l'AIEF, uno degli aspetti più critici: anche in questo caso, sono state richiamate le «Linee di indirizzo per l'accoglienza nei servizi residenziali per minorenni» che dovrebbero garantire il diritto allo studio delle alunne e degli alunni fuori famiglia, ma che invece nella pratica non funzionano adeguatamente.
  Si è, infine, posta l'attenzione sul tema dei controlli e della vigilanza, richiamando le disposizioni della legge n. 149 del 2001, e l'obbligo contemplato dall'art. 9 della trasmissione dei dati alle Procure presso il Tribunale dei minorenni. Le Procure, inoltre, dovrebbero disporre ispezioni periodiche, così come dovrebbero effettuare le Aziende sanitarie dei territori e pure i Servizi sociali, anche rispetto al controllo di vigilanza relativamente ai progetti sui minori (di affidamento, educativo in comunità, individualizzato). Nell'ambito dell'attività di controllo, occorrerebbe la presenza di Commissioni regionali di vigilanza sulle comunità, che prevedano anche l'inserimento della figura professionale del neuropsichiatra infantile, figura oggi mancante, ma assolutamente importante nel controllo delle comunità terapeutiche. La vigilanza sulle strutture dovrebbe essere periodica e regolare, e la Commissione incaricata dovrebbe avere anche il potere sanzionatorio, oltre a quello di disporre la revoca, che è la misura più grave: mancano misure sanzionatorie intermedie, che possa tenere conto anche della qualità dell'attività svolta per il supporto ai minori.

  L'audizione del presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare, Gianni Fulvi, ha avuto luogo nella seduta del 19 ottobre 2021. Dopo aver fornito alcune informazioni sul Coordinamento, che riunisce 108 enti associati che gestiscono circa 250 comunità per minori, l'audito si è concentrato sul tema delle ispezioni nelle comunità per minori, che ritiene debbano essere svolte con maggiore frequenza e sulla base di una condivisione dei dati. Ha poi sottolineato che esiste un dibattito sull'adozione di un tariffario unico, a livello nazionale, che offrirebbe, insieme, certezze al settore e maggiori garanzie di trasparenza.
  In questo ambito, ha altresì rilevato che l'adozione di una retta minima di riferimento consentirebbe di superare la variabilità che si riscontra a livello regionale e che appare per più aspetti un problema serio, atteso che il costo principale delle comunità è rappresentato dagli stipendi del personale. Questo, a sua volta, dipende dai requisiti fissati dalla normativa e dai contratti collettivi di lavoro.
  L'audito ha inoltre sottolineato che molto spesso risulta tardivo l'intervento di allontanamento da contesti familiari compromessi. Ciò implica spese importanti, ma anche maggiori difficoltà a ristabilire situazioni di relazioni affettive.
  Un ulteriore problema evidenziato è quello della esternalizzazione de facto dei Servizi sociali territoriali, come verificatosi nel comune di Pag. 42Fiumicino. Una tale pratica, ad avviso dell'audito, crea una confusione di ruoli e una affievolita tutela dei minori.
  Rispondendo ai quesiti dei commissari, Gianni Fulvi ha poi esposto i dati di una ricerca, svolta dal Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori, su come è stato vissuto il COVID-19 all'interno delle comunità. I dati che emergono non sono leggibili univocamente. Per alcuni minori ospiti la didattica a distanza è stata il disorientamento generale da parte dei responsabili e da parte degli educatori i quali non avevano indicazione chiare su come si dovevano comportare
  Ha inoltre sottolineato che il problema della disponibilità di fondi va visto anche in relazione alla capacità di spesa, dal momento che esistono casi in cui ci sono accantonamenti importanti che non vengono spesi. È infine tornato sul tema delle verifiche, sottolineando la necessità che i Garanti regionali per i minori si facciano carico di promuovere ispezioni, più che svolgerle direttamente. Il Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori si è a sua volta attivato per promuovere degli standard tra le comunità aderenti e segnalare alle autorità competenti le situazioni meritevoli di attenzione.

  L'audizione del giornalista Luca Ponzi, svolta nella seduta del 22 febbraio 2022, ha avuto per oggetto la vicenda dei Servizi sociali della Val d'Enza, che egli ha contribuito a porre all'attenzione dell'opinione pubblica.
  Nella narrazione dell'inchiesta giornalistica svolta, Luca Ponzi ha affermato di aver colto un primo elemento di disfunzione nell'atteggiamento del Tribunale per i minorenni di Bologna, che, come ha tenuto a puntualizzare, «si è sempre limitato a ratificare le relazioni dei servizi sociali, senza approfondirle». In proposito, egli ha anche rilevato che gli assistenti sociali «non hanno competenze per fare le indagini, non ne hanno gli strumenti perché non possono disporre di intercettazioni, non possono fare determinate verifiche, ma soprattutto non sono formati per quello».
  L'audito ha poi evidenziato forme di vicinanza tra magistrati togati e soggetti condannati nel procedimento penale, sviluppatesi nel corso di attività formative.
  Rispetto ai procedimenti minorili, egli ha poi sottolineato la sproporzione e lo squilibrio esistenti fra il diritto di difesa delle famiglie d'origine, che spesso possono contare su un difensore d'ufficio avvalendosi dell'istituto del gratuito patrocinio a spese dello Stato, rispetto alla macchina giudiziaria imperniata sul giudice onorario, unico interlocutore con gli assistenti sociali. Ha inoltre osservato come manchino del tutto protocolli per accreditare il CTU, di cui sfuggono i criteri di designazione che preludono la nomina. Ha poi fatto presente che sarebbe raccomandabile esaminare il flusso finanziario dei proventi degli assistenti sociali, dei giudici togati e delle comunità che accolgono i minori, rappresentando come esista «un giro di soldi che è legato ai convegni», alla molteplicità di incarichi che ne discendono.
  Connessa all'audizione di Luca Ponzi è stata anche l'audizione del maresciallo capo Giuseppe Milano, svolta nella seduta del 10 maggio 2022. Il maresciallo ha riferito le indagini di polizia giudiziaria compiute in relazione alla vicenda dei Servizi sociali della Val d'Enza, soffermandosi in particolare sul ruolo dei «falsi ricordi» e sugli abusi Pag. 43commessi dagli imputati in quei procedimenti nell'indagine psicoterapica sui minori.

  Il 22 marzo 2022 ha avuto luogo l'audizione di rappresentanti della Associazione «Noi Nidiamo» – nata in particolare con lo scopo di tutelare le famiglie dal rischio di allontanamento dei minori eseguito su figli neonati – nelle persone della presidente Antonella Dellapina e di Giovanna Petrolini. Nel corso dell'audizione la presidente Dellapina ha illustrato – anche attraverso l'utilizzo di diapositive audiovisive successivamente lasciate agli atti della Commissione – come il tema degli allontanamenti causati da falsi positivi e dalla errata ricognizione di abusi, poi contraddetti dagli esiti al termine dell'iter processuale, metta in rilievo come questi allontanamenti siano eseguiti seguendo l'adozione di protocolli del CISMAI (Coordinamento Italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia), protocolli che non sono stati mai riconosciuti dalle comunità scientifiche. Si ravvisa poi la carenza di rimedi giudiziali utili alla tutela del minore che scongiurino il rischio di eventi traumatici, come quello dell'allontanamento coatto, a seguito del quale si procede a medicalizzare il minore, istituzionalizzarlo e deprogrammarlo. Viene poi evidenziata l'esigenza di informare in modo anticipato i genitori che siano stati attenzionati dai Servizi sociali, nonché l'esigenza di rendere i medesimi edotti sulla differenza di funzioni e competenze fra giudici togati ed onorari.

  Il 27 aprile 2022 è stato audito il dottor Massimo Orselli, in rappresentanza del Forum nazionale delle Associazioni familiari. Nel corso dell'audizione sono stati in particolare approfonditi gli aspetti relativi alla necessità di una più puntuale disciplina relativa ai centri di accoglienza del minore, con la specificazione che il criterio che porta alla definizione delle diverse tipologie delle strutture di accoglienza debba essere il «grado di familiarità delle medesime» (fermo restando il perseguimento di un modello educativo in stile familiare per tutte le strutture di accoglienza), ottemperando sempre alla previsione normativa secondo cui «la prima risposta per ogni bambino allontanato dalla famiglia di origine deve essere una famiglia affidataria».

  Nella seduta del 27 giugno 2022 ha avuto luogo l'audizione dell'avvocato Michela Nacca, presidente dell'Associazione Maison Antigone. Secondo quanto riportato nel suo Statuto, l'Associazione di promozione sociale «Maison Antigone» intende perseguire nella sua azione fini di solidarietà sociale, umana e civile, al fine di una reale parità di genere e di contrasto della violenza di genere.
  Nello specifico, la presidente Nacca ha evidenziato come l'esigenza di fondare tale associazione sia nata dalla constatazione – condivisa con vari professionisti operanti nel settore – del fatto che in materia di affido di minori, tanto in ambito penale che in ambito civile, si sono progressivamente aggravati i casi di distorsione della giustizia «venendo man mano non riconosciuta sempre più assiduamente la violenza domestica e purtroppo anche gli abusi sessuali su minori non solo nei procedimenti penali».
  Secondo il giudizio espresso dall'audita, all'acuirsi di una tale problematica – esistente non soltanto nei tribunali italiani ma di tutti i tribunali dei Paesi occidentali – avrebbe contribuito anche la teorizzazionePag. 44 di alcune tesi ritenute «assolutamente infondate scientificamente» di cui la PAS rappresenterebbe un esempio ma non l'unico, secondo le quali l'esigenza che un minore mantenga un rapporto anche con un padre o una madre diventa una questione predominante per la sana crescita del minore, anche laddove vi sia la presenza di un genitore abusante.
  Nel ricordare come la ascientificità di tali teorie trovi conferma non solo in un ambito accademico ma anche in prese di posizione da parte di organismi e istituzioni anche internazionali (OMS, ONU, GREVIO, Corte europea di Strasburgo), la presidente dell'Associazione Maison Antigone ha evidenziato un «abnorme utilizzo» di tali teorie come strategia processuale non solo nei casi di violenza domestica, ma anche nei casi di situazione di conflitto giudiziale per affido o anche di collocazione (laddove vi sia il caso di una CTU che, formata in queste teorie, veda in qualunque tipo di conflitto un possibile pregiudizio per il minore) con il conseguente aumento dei casi di istituzionalizzazione del minore e di patologizzazione del conflitto. Ciò risulterebbe confermato anche dalle valutazioni del Progetto PIPPI realizzate dall'università di Padova, che evidenzia come nelle situazioni a rischio di istituzionalizzazione dei minori la voce «conflitto» sia andata ad assumere – secondo quanto riportato – una rilevanza pari al 40 per cento dei casi.
  Relativamente all'ascolto del minore, viene contestato il principio secondo cui nell'attuale ordinamento viene riconosciuta al minore una capacità di giudizio solo dagli 11 o 12 anni in poi, ravvisandosi in ciò una controtendenza rispetto all'evoluzione normativa avutasi in altre Nazioni, con specifico riferimento alla Spagna e al varo della recente legislazione in materia di tutela dei minori che ha abbassato l'età dell'ascolto. In tema di ascolto del minore si evidenzia quindi l'esigenza che l'età del minore vada abbassata, che vi sia un ascolto diretto da parte del giudice (così come previsto ora nella legislazione spagnola) e che lo stesso venga videoregistrato ai fini di una maggiore tutela del minore. In connessione a ciò, una criticità rilevata nella riforma del processo civile è prevedere l'incarico di un curatore speciale per il minore ogni volta che ci sia conflitto. Viene in particolare segnalato il rischio che proprio la forte presenza del curatore possa finire per comportare una delega dell'ascolto del minore al curatore stesso, a scapito di quello che dovrebbe essere l'ascolto diretto da parte del giudice.

  L'audizione del Presidente dell'Associazione Mantenimento diretto, Salvatore Dimartino, svolta il 21 giugno 2022, ha avuto tra i suoi principali oggetti il tema della bigenitorialità, che è al centro degli interessi dell'Associazione.
  L'audito ha sottolineato come l'allontanamento del minore presenti rischi di forte strumentalizzazione a causa della indeterminatezza del principio del Best interests of the child e di una visione della violenza intrafamiliare come associata sistematicamente alle figure paterne.
  Sul piano normativo, si ritiene opportuna una implementazione dell'apparato sanzionatorio dei provvedimenti dell'Autorità giudiziaria relativi all'affido o all'allontanamento dei minori, laddove su questi vi dovesse essere una opposizione da parte di uno dei genitori. Una Pag. 45soluzione proposta è quella di ampliare e rafforzare l'applicazione dell'articolo 614 bis del Codice di procedura civile.
  Per ciò che concerne l'assetto dei servizi sociali, vengono evidenziati come elementi di criticità una eccessiva frammentazione e farraginosità delle procedure amministrative, ravvisandosi che dal momento in cui l'Autorità giudiziaria dispone l'intervento di un servizio sociale a tutela di un minore vi sono competenze ripartite tra Stato Regione, Città metropolitane, Comuni e Unioni. Una soluzione proposta sarebbe quella di accentrare l'utilizzo del potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle regioni e degli altri enti, laddove essi siano inadempienti. Si rileva una mancanza di omogeneità qualitativa e quantitativa a livello di singole realtà territoriali dei servizi che vengono previsti a favore dei minori. Si renderebbe quindi necessaria una effettiva ed omogenea determinazione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni) o, in alternativa, la definizione e individuazione di un modello unico che, poi, possa essere replicato e attuato dalle singole amministrazioni competenti.
  Relativamente alla necessità di maggiori controlli sulla qualità e la quantità delle prestazioni che vengono erogate da parte degli enti gestori dei servizi – in regime di appalto o convenzione – si ritiene che il potere di controllo, di ispezione e anche il potere di sanzione verso questi enti debba restare sempre in capo alla struttura dell'ente che ha stipulato la convenzione o il contratto di appalto, non ravvisandosi peraltro in altre strutture amministrative (ad esempio gli uffici dei Garanti regionali) le necessarie competenze tecnico-giuridiche per valutare eventuali inadempimenti contrattuali, eventuali violazioni e l'applicazione di eventuali sanzioni.
  L'audito, ha infine, sostenuto da parte sua la validità scientifica della teoria dell'alienazione parentale, riconosciuta infondata dalla Cassazione, ricordando alcune interpretazioni giurisprudenziali estere (Inghilterra, Irlanda, Israele) che vanno in tale direzione.

  Tra i rappresentanti delle categorie professionali operanti nel sistema degli affidi e tutela dei minorenni, nelle date del 13 aprile e 18 maggio 2022, si è svolta l'audizione del Presidente del Consiglio dell'Ordine degli Assistenti Sociali (CNOAS), Gianmario Gazzi. Viene evidenziato come il servizio sociale – anche sulla base dei principi contenuti nelle Convenzioni internazionali – debba porre alla base della sua azione (e nell'ambito di quella che viene definita come «valutazione multidimensionale») il diritto del minorenne a crescere nella propria famiglia, e solo quando questa non sia in grado di garantire cure e protezione adeguate, il diritto del minore si sostanzia nell'affidamento finalizzato al superamento di difficoltà o ad affrontare condizioni di rischio e fragilità.
  Si sottolinea come, in un tale percorso, le funzioni dell'assistente sociale trovino un forte elemento di criticità nella precarietà del ruolo e nella scarsa garanzia di continuità d'azione dell'assistente sociale designato, il che vanifica l'efficacia di un intervento preventivo, continuativo e fiduciario. Peraltro per garantire l'efficienza dei Servizi sociali, si ritiene necessario procedere alla implementazione del numero delle risorse anche per i comuni più piccoli, prevedendo e assicurando la presenza di un assistente sociale ogni 5.000 abitanti. Quanto alle comunità d'accoglienza, viene rilevata l'esigenza che le Pag. 46regioni siano chiamate a disciplinare con modalità certe e uniformi i requisiti e le tipologie delle strutture residenziali-educative e familiari. Viene anche ribadita l'importanza delle équipe multidisciplinari, che allo stato mancano, così come la definizione dei livelli essenziali di natura organizzativa e l'opportunità di un maggiore impiego di risorse finanziarie. Importanza viene altresì attribuita alla definizione di un sistema di raccolta e monitoraggio del sistema degli affidi attraverso la costituzione di banche dati per la condivisione delle informazioni, nonché una formazione universitaria più specifica per la figura dell'assistente sociale e per i relativi requisiti richiesti per l'iscrizione all'albo professionale.

  Nella seduta del 20 aprile 2022 ha avuto luogo, in rappresentanza del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi, l'audizione di Roberta Bommassar. Attraverso l'illustrazione delle funzioni svolte dallo psicologo nell'ambito dei servizi sociali territoriali, oltre ad auspicarne una maggiore integrazione con le altre figure professionali, l'audita ha evidenziato le problematiche di carattere psicologico che caratterizzano il collocamento dei minori fuori dalla famiglia, con particolare riguardo al mantenimento di un rapporto con la famiglia. Con specifico riferimento al tema di minori collocati fuori dalla famiglia, obiettivi prioritari e su cui dover agire in modo integrato vengono considerati la creazione delle condizioni affinché un affidamento sia veramente temporaneo ed entro i termini previsti dalla legge, nonché quello di una approfondita valutazione circa la possibilità di un recupero e ritorno presso il nucleo familiare di origine, considerati i risvolti psicologici di carattere personale legati a una eventuale adozione. Altro aspetto importante in termini psicologici è l'adeguatezza nella scelta dell'affidatario, essendo necessario tener presente una serie di criteri, tra i quali la distanza fisica rispetto alla famiglia di origine. In tema di ascolto del minore viene ritenuta auspicabile da parte della rappresentante del Consiglio Nazionale dell'Ordine degli psicologi, la definizione di specifiche linee guida, in considerazione del fatto che le modalità di ascolto del bambino rappresentano un aspetto che merita la dovuta attenzione anche in termini di preparazione professionale, al fine di evitare traumi ed assicurare la massima tutela del minore.

  L'attività conoscitiva della Commissione si è conclusa con l'audizione del sindaco di Reggio Emilia e delegato Anci al Welfare, Luca Vecchi, del 19 luglio 2022, nel corso della quale sono state illustrate dal medesimo le risultanze emerse nel documento Anci «Il sistema di tutela dei minori: criticità e proposte dei Comuni» del 16 gennaio 2020 – recepito nell'Atto parlamentare «Relazione sullo stato di attuazione della legge recante modifiche alla disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, nonché al titolo VIII del libro primo del Codice civile» (Doc. CV, n. 1) – con particolare riferimento alla necessità di prevedere, a livello nazionale, un Fondo strutturale dedicato collegato ad un Piano nazionale che preveda anche l'individuazione di livelli essenziali da garantire su tutto il territorio nazionale, una maggiore integrazione socio-sanitaria in tema di prevenzione, valutazione, assistenza e supporto psicologico ai minori in situazione di disagio, abbandono o vittime di maltrattamenti e abusi; nonché, in ambito comunale, una maggiore integrazione della figura dell'assistente sociale Pag. 47con altre figure professionali (quali i mediatori culturali, educatori, psicologi consulenti) al fine della costituzione di equipe multidisciplinari per una più efficace presa in carico dei minori e delle loro famiglie.

  II. I principali filoni di indagine sviluppati e le risultanze

  5. Premessa: Il necessario riferimento alla legge istituiva

  La legge istitutiva ha conferito alla Commissione il mandato di indagare molteplici aspetti del sistema di tutela dei minori fuori famiglia, concentrandosi in particolare sull'azione dei Tribunali per i minorenni e sulla situazione delle comunità. Altri temi, come l'affido familiare e la collocazione dei minori in caso di separazioni, rimangono più sullo sfondo, pur non essendo estranei al perimetro dell'inchiesta.
  La Commissione ha operato rigidamente entro il perimetro definito dall'articolo 3, comma 1, della legge istitutiva. Non ha tuttavia mancato di rilevare che le problematiche relative alla collocazione dei minori fuori famiglia non si pongono solo in relazione all'azione dei Tribunali per i minorenni ma, con una certa frequenza, anche in relazione all'azione dei Tribunali ordinari.
  Ci si riferisce, in particolare, ai casi di minori affidati a uno dei due genitori nel caso di separazioni litigiose. Anche se in linea di principio il tema non è esplicitamente compreso nell'inchiesta, come definita dalla legge istitutiva, si è ritenuto di dare corso a diversi approfondimenti su questa particolare fattispecie. Ciò sulla base del fatto che in diversi casi l'attribuzione della responsabilità genitoriale ad uno dei due genitori avviene con un passaggio, più o meno lungo, presso una struttura protetta. Tale schema, che appare per più aspetti disfunzionale, è stato applicato in numerosi casi posti all'attenzione della Commissione, incluso il noto «caso Massaro», in cui la collocazione del minore in comunità non si è realizzata a causa delle resistenze della madre e al successivo cambiamento di indirizzi dell'Autorità giudiziaria.
  Di seguito, si fornisce un quadro delle attività svolte con riferimento ai diversi aspetti individuati dall'art. 3, comma 1, della legge istitutiva, anche attraverso il richiamo ad alcuni dei casi specifici oggetto di approfondimento.

   a) verificare lo stato e l'andamento degli affidatari e delle comunità di tipo familiare che accolgono minori, nonché le condizioni effettive dei minori affidati con riferimento anche al rispetto del principio della necessaria temporaneità dei provvedimenti di affidamento;
   Da un punto di vista quantitativo, la Commissione ha preso atto che permangono gli storici problemi nel reperimento dei dati. Da tempo si è infatti evidenziato che le tre principali rilevazioni (Ministero del Lavoro e politiche sociali, Autorità garante e Istat) presentano criteri e dati non omogenei, evidenziando una situazione di impasse istituzionale che è sicuramente in relazione alla frammentazione che connota il sistema di welfare e alla mancata puntuale definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.
   Manca, insomma, un casellario unificato dei minori fuori famiglia, come si è evidenziato tanto nella missione compiuta presso Pag. 48l'Istituto degli Innocenti che nell'audizione del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Andrea Orlando. In occasione di quest'ultima audizione, svoltasi il 4 agosto 2021, il Ministro ha depositato e illustrato i dati dell'ultimo report elaborato dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia, di cui l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza si avvale per lo svolgimento delle proprie funzioni (https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/studi-e-statistiche/Documents/Quaderni della Ricerca Sociale 49 - Rilevazione dati bambini e ragazzi in affidamento anno 2019/QRS-49-Minorenni-affidamento-servizi-residenziali-2019.pdf)
   Si tratta di una importante rilevazione, che tuttavia sconta tutti i limiti delle precedenti, come è stato puntualmente evidenziato nel 12° Rapporto di monitoraggio dell'attuazione della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (CRC) in Italia e dei suoi Protocolli Opzionali, pubblicato nel maggio 2022 (https://gruppocrc.net/documento/12-rapporto-crc/), dove si osserva che i dati «ripropongono ancora una volta le criticità già segnalate nei Rapporti precedenti con particolare riferimento alla disomogeneità e all'incompletezza delle informazioni e dei dati raccolti nelle singole regioni» e si sottolinea la «la necessità e l'urgenza di richiamare nuovamente l'obiettivo irrinunciabile di rendere concreta la rilevazione dei dati con criteri uniformi in tutte le Regioni tramite il sistema S.In.Ba. (Sistema informativo sulla cura e la protezione dei bambini e delle loro famiglie)».
   I dati del report 2021 si riferiscono al 31 dicembre 2019, con uno scarto dunque di un anno e mezzo dall'elaborazione del report, e certificano la presenza sul territorio nazionale di un numero complessivo di minori collocati fuori famiglia pari a 27.608 (al netto dei minori stranieri non accompagnati) di cui 13.555 bambini e ragazzi di minore età in affidamento familiare a singoli parenti e 14.053 accolti in servizi residenziali per minorenni.
   Come rilevato nello stesso report, il dato sui minori accolti nei servizi residenziali per i minorenni esprime una crescita rispetto alle precedenti rilevazioni, come quella del 2019 (su dati al 31 dicembre 2017) che avevano fornito il dato di 12.892 minori accolti in struttura e 14.219 in affidamento familiare. Si tratta di un dato che non appare univocamente interpretabile e che comunque non copre la nuova fase storica iniziata con l'epidemia del Covid-19, che potrebbe aver modificato in maniera sostanziale la situazione.
   Allo stesso modo la stabilizzazione, seguita da una tendenziale decrescita, dell'affidamento familiare appare un dato ormai «vecchio», in quanto non tiene conto della situazione determinatasi con la pandemia. Non hanno, allo stato, fondamento statistico le affermazioni, diffuse nel mondo della magistratura minorile e delle associazioni, secondo cui la decrescita degli affidamenti familiari sarebbe da mettere in relazione alla «vicenda Bibbiano». Occorrerebbe semmai riflettere sulla concreta possibilità che il macchinoso funzionamento del sistema di tutela dei minori porti a privilegiare la collocazione dei minori in comunità, che comporta maggiori spese, ma minori oneri amministrativi per i comuni. Questo elemento, se confermato da ulteriori approfondimenti, rivelerebbe un fallimento applicativo della legge 184/1983 Pag. 49che individua l'affidamento familiare come preferenziale e la collocazione in comunità come residuale.
   Tutte le istituzioni e gli esperti interpellati hanno rilevato la necessità di un sistema informativo unitario basato su indicatori uniformi e comuni su tutto il territorio nazionale, affinché si possano rilevare e monitorare costantemente il numero e le caratteristiche dei minori fuori famiglia, le tipologie del percorso di accoglienza, i tempi e le modalità di uscita dallo stesso, il numero e la tipologia delle strutture di accoglienza, e il numero e le caratteristiche degli affidatari.
   A tale proposito, già il documento approvato dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza nella seduta del 17 gennaio 2018, a conclusione dell'indagine conoscitiva «Sui minori fuori famiglia» (Doc. XVII-bis, n. 12 della XVII legislatura), aveva auspicato la creazione di sistemi di rilevazione dinamici ed efficaci nel quadro definito dal decreto interministeriale 206/2014 che contiene le modalità attuative del Casellario dell'assistenza, poi modificato dal decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147, che ha istituito il Sistema informativo unitario dei servizi sociali (SIUSS).
   Nella realtà permangono diversi sistemi di rilevazioni, solo in parte sovrapponibili.
   C'è innanzi tutto la rilevazione ISTAT, che prende in considerazione i minorenni collocati in tutti i presidi residenziali socio assistenziali e socio-sanitari, ivi compresi quelli a prevalente funzione sanitaria. Rientrano pertanto nella rilevazione anche i minorenni collocati nei presidi rivolti principalmente all'accoglienza di adulti, e sono inclusi nel conteggio i bambini accolti con uno o entrambi i genitori maggiorenni, così come i minorenni stranieri non accompagnati.
   L'Autorità Garante per l'infanzia e l'adolescenza rileva i dati delle comunità familiari, delle comunità terapeutiche e delle strutture di accoglienza genitore-bambino, operative nell'ambito di competenza di ciascuna Procura minorile.
   Infine, i dati del Ministero del Lavoro, a cui si è data la preferenza, conteggiano i minori accolti dalla rete dei servizi residenziali per minorenni che fanno perno sulla classificazione individuata nel Nomenclatore Interregionale degli Interventi e dei Servizi Sociali (comunità familiari per minori, comunità socio educative per minori, alloggio ad alta autonomia, servizi di accoglienza per bambino-genitore, strutture di pronta accoglienza, comunità multiutenza, comunità di tipo educativo e psicologico). Restano esclusi i bambini accolti assieme a genitori maggiorenni, in quanto fuori casa ma non fuori famiglia, i minorenni accolti nei servizi a prevalente funzione sanitaria, i minorenni stranieri non accompagnati.
   Sul fronte della raccolta dei dati, non sembra che si siano compiuti passi avanti decisivi e ciò costituisce un grave ostacolo alla reale conoscenza del fenomeno dei minori fuori famiglia.
   A tale proposito va rilevato che molti soggetti, anche istituzionali, hanno espresso più volte, sin dall'esplosione della vicenda dei Servizi sociali della Val d'Enza, compiacimento perché i dati sui minori fuori famiglia relativi all'Italia indicherebbero una minore propensione all'allontanamento (2,8 per mille, a fronte del 10,5 della Germania, del 10,4 della Francia e del 6,1 del Regno Unito).Pag. 50
   È questa, ad esempio, la posizione espressa in diverse audizioni, ma anche nella memoria depositata dall'Unione nazionale camere minorili nell'audizione informale in Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 6 maggio 2021 o anche nella memoria depositata presso la stessa Commissione dall'Associazione italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia per l'audizione del 25 maggio 2021. Si tratta però di conclusioni che, al di là del loro carattere difensivo di pratiche stratificatesi negli anni, scontano un problema di dati e ragionano in termini di percentuale di allontanamenti sul totale dei minori e non di percentuali di allontanamenti sul totale dei procedimenti aperti.
   Anche al netto delle differenze tra ordinamenti diversi, il dato grezzo non appare dunque di per sé suscettibile di questo tipo di lettura, a meno che il numero di allontanamenti non venga misurato in relazione al numero di minori presi in carico dai Servizi sociali o oggetto di procedimenti giudiziari, due dati che, allo stato, restano abbastanza volatili. Né si può trascurare il fatto che qualunque confronto comparativo con realtà estere risulta difficile, a fronte della durata pluriennale – spesso ingiustificata – degli allontanamenti e del carattere talora segregativo degli affidamenti nell'ambito del nostro territorio nazionale
   Del resto, la stessa Garante nazionale dell'infanzia, nella sua audizione del 6 ottobre 2021 presso la Commissione, ha osservato che tra i vari Paesi «ci sono delle differenze sostanziali che però, non sono proprio del tutto sicura che possano essere lette in maniera positiva, perché potrebbero anche essere un segno di una minore capacità di intercettare il disagio».
   Va a questo proposito segnalato che sono state evidenziate delle differenze tra dati raccolti a livello regionale, caratterizzati da una maggiore granularità, e i monitoraggi nazionali. Lo ha fatto ad esempio la Garante dei minori per l'Abruzzo, Maria Concetta Falivene, nella sua audizione del 24 novembre 2021. Così pure vanno segnalate importanti realizzazioni a livello regionale, come il sistema di rilevazione implementato dalla Regione Toscana, che è stato ampiamente illustrato nella missione della Commissione presso l'Istituto degli Innocenti. Questo si basa su due moduli gestionali, ASSO (Anagrafe strutture sociali, per la raccolta e gestione dei dati anagrafici riguardanti le strutture residenziali per minorenni) e ASMI (Attività sui minori di età in struttura, finalizzato alla raccolta delle informazioni sui minori di età accolti in strutture residenziali e sugli interventi attivati a sostegno dei minorenni stessi). Il sistema prevede la collaborazione delle strutture di accoglienza, che provvedono alla immissione diretta dei dati, consentendo un monitoraggio in tempo reale della situazione dei minori di età accolti. Si veda in proposito l'ultimo rapporto 2021 su dati al 31/12/2020 (https://www.minoritoscana.it/sites/default/files/idi_report-asso-asmi_2021.pdf). Si tratta di un passo concreto verso la costruzione di quel casellario dei minori fuori famiglia di cui si parla ormai da molti anni, ma non si ha notizia di iniziative analoghe a livello nazionale. L'impressione è piuttosto quella di un patchwork regionale estremamente differenziato, che consente di disporre di dati aggregati solo per alcune poche voci macro.Pag. 51
   Si tenga, altresì, conto che le strutture che accolgono i minori hanno una diversa nomenclatura a seconda della regione ove sono ubicate, creando una certa confusione anche per quanto riguarda la raccolta dei dati e le statistiche.

  Per quanto attiene le condizioni effettive dei minori, il mandato della Commissione è particolarmente ampio e l'organo parlamentare, con tutta evidenza, non dispone della struttura amministrativa sufficiente a una verifica a tappeto delle molteplici situazioni che si possono verificare su tutto il territorio nazionale.
  È stato perciò necessario adottare un approccio di tipo qualitativo, basato su una pluralità di strumenti: acquisizione di informazione tramite esposti e segnalazioni; richieste di documentazione su iniziativa della Commissione; ispezioni delegate al NAS dei Carabinieri.
  Gli elementi acquisiti disegnano un quadro ricco di chiaroscuri, su cui si tornerà anche nei successivi paragrafi.
  Le ispezioni delegate hanno verificato una generale conformità delle strutture ispezionate alle prescrizioni di legge, con alcune eccezioni. Allo stesso tempo si è verificata una estrema difficoltà a valutare lo stato concreto dei minori affidati. Questo è in effetti oggetto di relazioni che rimangono entro un circuito interno al rapporto tra comunità e Servizi sociali territoriali, con episodici controlli realizzati dalle AUSL e dalle Procure minorili. In alcuni casi si è potuto accertare che le prescrizioni dei provvedimenti o degli stessi Servizi sociali venivano interpretate in maniera elastica, ad esempio nel caso della frequenza scolastica, ma su questo tema non è stato possibile avere dati dal Ministro dell'Istruzione. Così pure in alcuni singoli casi approfonditi dalla Commissione, dalle relazioni dei Servizi sociali e dai provvedimenti dei Tribunali per i minorenni è emerso che in diverse situazioni si è operato in maniera elastica, sostanzialmente rimettendo alle comunità la valutazione su se e quando dare corso alle prescrizioni ricevute. Generalizzata appare poi la difficoltà dei Garanti regionali ad acquisire dati specifici su singole strutture o singoli casi, il che evidenzia una sostanziale impermeabilità del circuito Servizi Sociali-Tribunali-strutture comunitarie a qualunque forma di controllo sullo stato effettivo dei minori.
  A livello macro alcuni elementi emersi nelle statistiche disponibili appaiono comunque significativi. Facendo riferimento alla Relazione sullo stato di attuazione della legge recante modifiche alla disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, nonché al titolo VIII del libro primo del Codice civile (Doc. CV, n. 1), presentata al Parlamento dai Ministri della Giustizia e del Lavoro e politiche sociali nel dicembre 2021 [da ora in poi Relazione sullo stato di attuazione], emerge in particolare una estrema variabilità regionale con una percentuale di bambini e adolescenti nei servizi sociali per minorenni che presenta valori superiori al 2 per mille in regioni come la Liguria e il Molise, ma anche la Sicilia, la Puglia e le Marche e valori di poco superiori all'1 per mille in regioni come l'Umbria, la Campania, la Toscana, l'Emilia Romagna e il Friuli-Venezia Giulia. Il dato è ancora più significativo se si considera che tra le regioni con valori bassi, alcune, come l'Emilia-Romagna e la Toscana, evidenziano un ricorso più significativo all'affidamento familiare, mentre altre, come la Campania e il Friuli Venezia-Giulia, si collocano in fondo alla classifica sia dell'affidamento Pag. 52familiare che di quello comunitario. In particolare, il fatto che una regione come la Campania, che presenta parametri preoccupanti di disagio minorile (obesità, evasione dall'obbligo scolastico etc.) presenti un dato così basso potrebbe rimandare a una incapacità dei Servizi sociali territoriali a intercettare le molteplici forme di disagio esistenti.
  Dalle segnalazioni ricevute e dai dati, per quanto frammentari, a disposizione della Commissione è ben emerso come la temporaneità degli affidi non sia garantita. La normativa in materia prevede, come è noto, che l'affidamento del minore debba avere una durata di due anni e che possa essere rinnovato laddove vi siano particolari necessità, sempre nell'interesse superiore del minore. Dai dati esaminati è emerso non solo che la durata non viene rispettata, ma che in molti allontanamenti mancano i provvedimenti di rinnovo, il che implica una mancata rivalutazione del caso, con il rischio che si pervenga ad affidamento sine die.
  Da tale mancanza deriva, inoltre, l'impossibilità per i genitori di opporsi al rinnovo dell'affido vedendosi costretti, per far valere le proprie ragioni, a dover aprire un procedimento ex novo con le tempistiche ad esso connesso. Su tali aspetti si daranno ulteriori dettagli nel paragrafo dedicato alla temporaneità degli affidi.
  Anche sulle condizioni dei minori si darà un quadro dettagliato nei paragrafi successivi, potendosi tuttavia affermare che, in molti casi analizzati dalla Commissione, le strutture che ospitano minori non sono idonee alla loro crescita stante anche la mancanza di progetti che possano aiutarli a crearsi un futuro tenendo altresì conto delle loro attitudini, capacità e aspirazioni.

   b) verificare il numero dei provvedimenti emessi dai tribunali per i minorenni ai sensi degli articoli 330, 332 e 333 del codice civile e dell'articolo 38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, dalla data di entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219.

  La citata Relazione sullo stato di attuazione ha dato conto estesamente di una attività di controllo, avviata nel 2020 dal Ministero della Giustizia e dal Ministero del Lavoro. Con DM del 19 marzo 2020, è stata istituita una Commissione ristretta, composta dai rappresentanti dei Dicasteri interessati e dagli esperti delle Regioni designati dalla Conferenza unificata, di cui all'art. 8 del D.lgs. 281/1997. In seguito, il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità ha stilato due questionari distinti, uno indirizzato ai Tribunali per i minorenni e l'altro rivolto alle Procure minorili, al fine di procedere ad una ricognizione generale sullo stato di applicazione della normativa e acquisire elementi informativi specifici riferiti all'anno 2019.
  I dati acquisiti, di cui la Commissione ha potuto prendere conoscenza solo quando la Relazione sullo stato di attuazione è stata inviata al Parlamento (24 dicembre 2021), presentano diversi motivi di interesse, ma presentano spesso carattere frammentario, mescolando opinioni e dati quantitativi. Dalla Relazione emerge, in particolare, che nel corso del 2019 i provvedimenti emessi hanno comportato un numero cospicuo di collocamenti in struttura residenziale (2.738), a fronte di un numero piuttosto esiguo di collocamenti in affido familiare (353), il che sembra confermare un trend di ormai lungo periodo. La responsabilità Pag. 53genitoriale è stata limitata in 14.755 casi e dichiarata decaduta in 6.899. La scarsa fortuna del collocamento in affido familiare è attribuita dai Tribunali per i minorenni alla «mancanza e/o inadeguatezza di famiglie disponibili», ma evidentemente ciò non chiarisce molto sulle eventuali criticità che sono alla base della scarsa fortuna dell'affidamento familiare.
  In ottemperanza alla legge istitutiva, la Commissione ha cercato di integrare i dati con una raccolta specifica, con riferimento a: decadenza dalla responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c., reintegrazione nella responsabilità genitoriale ex art. 332 c.c.; condotta del genitore pregiudizievole ai figli ex art. 333 c.c.
  La Commissione ha pertanto inoltrato due questionari, uno ai Tribunali per i minorenni e uno alle Procure presso i Tribunali per i minorenni.
  Per quanto riguarda i Tribunali per i minorenni hanno risposto tutte le Autorità giudiziarie interessate, tranne sei (Ancona, Bolzano, L'Aquila, Perugia, Roma, Sassari).
  Per quanto riguarda le Procure non hanno risposto le Procure di Brescia, Campobasso, Firenze, L'Aquila, Perugia e Roma.
  I dati acquisiti vanno letti insieme a quelli raccolti a cura del Ministero della Giustizia in due distinte rilevazioni e poi trasfusi nella citata Relazione sullo stato di attuazione che ha indicato, per l'anno 2019 e al netto del Tribunale di Sassari, un totale di 2.738 provvedimenti di collocazione di minori in comunità e istituti.
  Il questionario inviato ai Tribunali per i minorenni presentava una serie strutturata di questi. Si chiedeva, in particolare:

   quanti procedimenti sono stati aperti ai sensi degli articoli 330, 332 e 333 del codice civile e dell'articolo 38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie dal 1 gennaio 2013 al dicembre 2021 (in totale e per singolo anno);

   quanti si sono chiusi con affido (eterofamiliare o familiare);

   quanti si sono conclusi con rientro in famiglia, educativa domiciliare, collocazione in comunità, apertura di procedimento per la dichiarazione di adottabilità;

   in quanti, nelle more del procedimento, il minore è stato collocato in Comunità;

   in quanti casi sono stati ascoltati i minori, tra infradodicenni e dai dodici anni in su;

   quanti procedimenti si sono chiusi demandando ai Servizi Sociali progetti di ampliamento/restrizione tempi/modalità di visita tra i minori e i genitori;

   in quanti procedimenti la responsabilità genitoriale è stata sospesa, limitata o dichiarata decaduta;

   in quanti casi si è azionato l'art. 403 c.c..

  I Tribunali per i minorenni hanno generalmente risposto solo parzialmente ai quesiti posti, rilevando che, stanti i limiti del sistema SIGMA, solo la consultazione dei fascicoli cartacei consentirebbe di Pag. 54dare risposta alla totalità dei quesiti. I dati rilevati non sono dunque realmente comparabili, in quanto alcuni Tribunali hanno fornito dei dati cumulativi pluriennali, altre dei dati annuali più o meno completi, altri non hanno risposto affatto. Ad esempio, il Tribunale per i minorenni di Torino si è limitato a fornire un dato cumulativo di 12316 provvedimenti per il periodo 2013-2021, mentre la maggior parte dei Tribunali ha quanto meno risposto in maniera articolata al primo quesito.
  Nonostante i limiti di questi dati, è possibile trarre dai singoli questionari alcuni elementi valutativi di tipo generale.
  Interessante è, ad esempio, la risposta al primo quesito, che è quello a cui si è maggiormente risposto: quanti procedimenti sono stati aperti ai sensi degli articoli 330, 332, 333 del codice civile e dell'art. 38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, con riferimento al periodo 2013 – 2021.
  In alcuni tribunali si osserva un trend di crescita tendenziale, con però una decrescita nel 2020, che andrebbe approfondita, in quanto verosimilmente legata alla pandemia. Ad esempio, il Tribunale di Salerno si mantiene inizialmente su una forchetta tra i 220 e i 250 dal 2013 al 2017, per poi salire intorno ai 290 nel 2018-2019 e arrivare nel 2021 a 343, dopo un calo a 261 nel 2020. Il Tribunale per i minorenni di Milano passa da 1669 provvedimenti nel 2013 a 1915 nel 2021, con punte superiori nel 2017 (2205) e 2019 (2130) In altri c'è una tendenziale decrescita, come nel caso di Reggio Calabria, che è passata da 245 provvedimenti nel 2013 a 157 nel 2021, con una estrema variabilità, tra un minimo di 162 provvedimenti nel 2016 a un massimo di 867 nel 2017. Analogamente, presso il Tribunale per i minorenni di Trieste si passa da ben 376 provvedimenti nel 2013 a 233 nel 2021. Tale Tribunale è uno dei pochi a fornire una risposta al quesito sulla collocazione del minore in comunità nelle more del procedimento, evidenziandone un ricorso piuttosto significativo (124 su un totale di 287 procedimenti nel 2019; 61 su un totale di 199 procedimenti nel 2020, in fase pandemica; 113 su 233 procedimenti, nel 2021).
  In altri casi ancora, c'è una maggiore stabilità. È questo ad esempio il caso del Tribunale per i minorenni di Venezia, che presenta sul periodo 2013-2021 un andamento altalenante, con un minimo nel 2020 (451 procedimenti) e un massimo nel 2021 (563 provvedimenti). Stabili, con diverse variazioni intermedie, sono anche i dati relativi a Catania, Palermo, Trieste, Trento.
  Un altro elemento che si rileva è un uso relativamente contenuto delle previsioni di cui all'articolo 403 c.c, almeno nei non numerosi casi in cui i Tribunali hanno risposto sul punto. Ad esempio presso il Tribunale di Milano si hanno 56 casi nel 2021 (e valori comparabili negli anni precedenti), presso il Tribunale di Genova 26 casi, presso il Tribunale di Campobasso 4. La citata Relazione sullo stato di attuazione ha fornito (dato 2019) un totale di 119 allontanamenti ex art. 403 c.c
  Limitato è anche il numero di CTU, a proposito del quale il Presidente del Tribunale per i minorenni di Genova ha pertinentemente osservato che «il numero di consulenze nelle procedure ex art. 330/333 cc si è drasticamente ridotto in tutti i Tribunali per i Minorenni da quando il Ministero (circa nel 2013), in occasione delle periodiche ispezioni ha iniziato a rilevare l'erroneo – a giudizio del Ministero – Pag. 55pagamento delle CTU a carico dell'Erario. Le fasce di popolazione coinvolte nei procedimenti minorili sono economicamente disagiate, o non abbienti, e non sono disponibili a sopportare i costi delle CTU, tanto che spesso non chiedono neppure di essere ammesse al Patrocinio a Spese dello Stato. In ogni caso, anche se sono state ammesse, i compensi previsti, a causa del dimezzamento degli onorari previsto per le CTU con parti ammesse al Gratuito Patrocinio, il Tribunale incontra il rifiuto dei professionisti a svolgere incarichi con compensi inadeguati per difetto con le elevate professionalità coinvolte e non compatibili con la complessità degli incarichi». Si tenga peraltro conto, che alcune Autorità Giudiziarie ritengono che nei procedimenti di volontaria giurisdizione non possa essere disposta una consulenza tecnica d'ufficio, nonostante non vi sia alcuna preclusione esplicita in materia. Così, ad esempio, il Tribunale per i minorenni di Firenze ha comunicato di aver disposto solo 3 CTU nel 2021 (1 nel 2020 e 1 nel 2019), il Tribunale per i minorenni di Lecce ha comunicato 5 CTU per il 2021 (5 nel 2020 e 4 nel 2019), il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ha comunicato 7 CTU per il 2021 (11 nel 2020 e 12 nel 2019). Più consistente il dato di Milano, ma su un numero di procedimenti assai maggiore: 73 CTU nel 2021, 68 nel 2020, 75 nel 2019.
  A chiusura di questo paragrafo, va ricordato che, sulla base della disciplina anteriore alla riforma del processo civile, alla competenza dei Tribunali per i minorenni si affianca quella del Tribunale ordinario. Come si è detto, il Tribunale ordinario davanti al quale sia stato instaurato un procedimento di separazione o divorzio o ai sensi degli articoli 337-bis e ss. ha la competenza ad adottare nei confronti della coppia genitoriale anche i provvedimenti ablativi e limitativi della responsabilità genitoriale di cui agli articoli 330 e 333 c.c.
  Questo ambito rimane poco sconosciuto, sia nelle sue dimensioni quantitative, sia anche nelle modalità operative. È noto che il modus operandi dei Tribunali ordinari è abbastanza diverso da quello dei Tribunali per i minorenni. Questi ultimi, del resto, sono di norma attivati su ricorso del pubblico ministero minorile, sulla base di relazioni dei Servizi sociali, mentre nel processo davanti al Tribunale ordinario l'allontanamento nasce spesso da una situazione conflittuale che porta alla mancanza di un accordo tra le parti. Di qui un uso abbastanza ampio, presso il Tribunale ordinario, delle consulenze tecniche d'ufficio, laddove presso il Tribunale per i minorenni la consulenza tecnica è sostituita, in maniera forse più opaca, dall'attività istruttoria del giudice onorario e dalle relazioni degli operatori che monitorano il nucleo familiare.
  Gli scarni dati statistici acquisiti dalla Commissione appaiono complessivamente in linea con quelli disponibili nella Relazione sullo stato di attuazione. Purtroppo, si riscontra che i Tribunali per i minorenni non sono in condizione di fornire molto più che i dati quantitativi sul numero dei procedimenti, né le rilevazioni ministeriali riescono a spingersi molto oltre questi dati.
  Rimangono così largamente inevasi, ad esempio, i quesiti sull'ascolto dei minori, ma anche sull'esito del provvedimento (affidamento intrafamiliare o in comunità, educativa domiciliare, dichiarazione di adottabilità).Pag. 56
  Sulla base degli esposti ricevuti e degli approfondimenti compiuti, si è rilevata la diffusa osservazione che molti provvedimenti, come si dirà meglio in seguito, si presentano solo come un «punto di chiusura» autoritativo di procedimenti istruiti, bene o male, dai Servizi sociali territoriali. In assenza di un preciso monitoraggio, il rischio è che si creino indirizzi differenziati, legati anche alla carenza di contraddittorio che caratterizza questo tipo di procedimenti.
  Accade, infatti, che il provvedimento di chiusura del procedimento demandi ai Servizi sociali ogni valutazione e decisione sulla progettualità del nucleo familiare ivi compresi i diritti di visita. Questo rischia di portare ad una situazione di stallo o a decisioni non condivise dai genitori con la conseguenza che tali imposizioni non sono contestabili dai soggetti coinvolti non essendovi procedimenti aperti. L'unico strumento lasciato ai genitori è quello di rivolgersi nuovamente al Tribunale con tutti i tempi del procedimento.

   c) verificare le modalità operative dei Servizi sociali di primo e secondo livello e il loro ruolo nel processo;

  Il tema delle modalità operative dei Servizi sociali nel processo deve essere inquadrato in relazione all'estrema variabilità delle fattispecie che la Commissione ha potuto verificare, anche sulla base degli esposti ricevuti.
  La responsabilità dei programmi di assistenza ai minori e ai nuclei familiari è in capo ai comuni e ai relativi Servizi sociali territoriali. La disposizione di allontanamento dovrebbe costituire in questo quadro una misura residuale da attuarsi quando ci si trovi di fronte ad accertate e insuperabili difficoltà del nucleo familiare e dopo aver messo in campo tutti gli interventi di prevenzione, sostegno e cura atti a rimuovere le cause che impediscono l'esercizio adeguato delle funzioni di educazione e cura da parte dei genitori. Se però si scende dal principio generale alla concreta attuazione emerge una situazione estremamente variabile, in cui è perfino difficile avere chiaro quali siano le politiche concretamente attuate. Come pure non si hanno elementi certi sulle pratiche in uso nel rapporto tra i Servizi sociali territoriali e le Autorità giudiziarie minorili.
  Va premesso che in ambito sociale, vista l'assenza di una definizione certa dei livelli essenziali delle prestazioni, i servizi e gli interventi erogati sul territorio nazionale sono stati mappati dal Nomenclatore Interregionale degli Interventi e dei Servizi Sociali.
  Il Nomenclatore definisce le strutture residenziali di primo livello come servizi a ciclo residenziale, suddividendoli in:
  Servizi a struttura familiare: di piccole dimensioni, caratterizzati dalla organizzazione di tipo familiare. In caso di strutture per minori vi è la presenza di adulti che svolgono funzioni genitoriali;
  Servizi a struttura comunitaria: di dimensioni variabili a seconda dell'area di utenza (di norma superiore a 6-10 posti) caratterizzati dalla presenza di operatori assistenziali, socio-sanitari o educatori e da una organizzazione di tipo comunitario.
  Le strutture di secondo livello presentano invece funzioni di protezione sociale, in particolare:
  Accoglienza di emergenza: con funzione di rispondere con immediatezza ai bisogni urgenti e temporanei di ospitalità e tutela.Pag. 57
  Prevalente accoglienza abitativa: offre ospitalità ed assistenza, occasioni di vita comunitaria. In relazione al tipo di utenza fornisce aiuto nelle attività quotidiane, e stimoli e possibilità di attività occupazionali e ricreativo-culturali, di mantenimento e riattivazione.
  Prevalente funzione tutelare: comprende osservazione sociale; accompagnamento sociale; supporto all'autonomia;
  Socio-educativa: tutela ed assistenza educativa di carattere professionale a minori temporaneamente allontanati dal nucleo familiare
  Educativo- psicologica: assistenza educativa, terapeutica e riabilitativa per i minori in situazione di disagio psicosociale e con disturbi del comportamento. Ha finalità educative, terapeutiche e riabilitative volte al recupero psico-sociale ed è ad integrazione sanitaria.
  Integrazione socio-sanitaria: offre ospitalità ed assistenza, occasioni di vita comunitaria, aiuto nelle attività quotidiane, stimoli e possibilità di attività occupazionali e ricreativo-culturali, di mantenimento e riattivazione. Viene garantita l'assistenza medica, infermieristica e trattamenti riabilitativi.

  Altra distinzione, che si trova in molti moduli organizzativi applicati, è quella tra Servizi di primo livello, a carattere generalista, con compiti di informazione, consulenza, prevenzione, promozione, rilevazione dei bisogni, presa in carico e prima risposta agli stessi, e Servizi specialistici di secondo livello, per le situazioni che necessitino di una valutazione tecnico-specialistica e/o dell'attivazione di una équipe integrata multidisciplinare
  Nella concreta realtà delle cose, queste distinzioni hanno un'importanza relativa, anche a causa delle numerose varietà individuate dalla legislazione delle Regioni. Rispetto alle indicazioni della legge, il tema è soprattutto quello del rapporto tra valutazioni e attività dei Servizi sociali e provvedimenti delle Autorità giudiziarie minorili.
  Negli esposti ricevuti, è assai diffusa la denuncia del fatto che i provvedimenti delle Autorità giudiziarie minorili si limitano spesso a registrare in maniera acritica valutazioni, talora incoerenti e superficiali dei Servizi sociali territoriali. Naturalmente, tali valutazioni di parte non possono essere assunte acriticamente come un dato oggettivo. Esse, tuttavia, appaiono fondate su un elemento sostanziale: il fatto che, nella maggioranza dei procedimenti minorili, il ricorso introduttivo di parte pubblica (a seguito del quale normalmente deriva l'instaurazione di un giudizio eventualmente volto all'affidamento del minorenne con collocazione extrafamiliare) si risolva nella pura e semplice trasposizione della segnalazione ricevuta, cui è aggiunta la generica richiesta al tribunale di procedere alla conseguente emissione dei provvedimenti de potestate ritenuti opportuni.
  Anche a prescindere dall'indeterminatezza di tali richieste, va considerato che esse non necessariamente menzionano fatti specifici, limitandosi talora ad indicare un disagio del minorenne o, peggio, una mera valutazione soggettiva dei segnalanti su aspetti caratteriali dei genitori e sulla supposta non rispondenza delle loro attitudini educative ad astratti modelli o ancora constatazioni su situazioni di disagio sociale che avrebbero dovuto essere prese in carico, anche sotto il profilo economico, dall'Ente locale.
  L'iniziativa del pubblico ministero minorile, successiva alla segnalazione ricevuta, non viene di norma preceduta da alcuna attività di Pag. 58approfondimento o verifica. In tal modo il Servizio sociale, che normalmente invia la segnalazione, si pone come controparte sostanziale dei genitori del minore. Si rischia così di produrre una distorsione di ruoli, almeno sotto due aspetti.
  In primo luogo, viene stravolta la funzione dell'operatore del servizio sociale, che da riferimento di supporto alla famiglia diviene, sostanzialmente, un sostenitore dell'accusa in un giudizio percepito come iniziativa dai connotati para-sanzionatori. Negli esposti ricevuti si è rilevata un forte conflittualità con i Servizi sociali, con numerose denunce dei genitori interessati, che avrebbero dovuto indurre gli operatori coinvolti ad astenersi dal proseguire gli interventi, cosa che nella maggior parte dei casi non è accaduta.
  Questo fenomeno rischia di comportare la rinuncia delle persone in difficoltà economica e socio-relazionale al diritto di richiedere e ricevere il supporto dell'amministrazione assistenziale, per il timore di vedersi destinatarie non di una proposta di supporto consensuale, ma di una segnalazione potenzialmente incidente sull'integrità delle relazioni familiari.
  In secondo luogo, si rischia di creare una confusione sul piano processuale. Poiché, infatti, le relazioni o, al limite l'audizione, del Servizio sociale costituiscono nella maggior parte dei casi l'unica o la principale fonte di informazione a cui il giudice che decide sull'affidamento attinge in sede istruttoria, si crea una situazione in cui il giudizio nasce da una prospettazione del Servizio sociale e prosegue mediante un'istruttoria condotta su quanto riferisce lo stesso Servizio da cui era scaturita la segnalazione originaria. Sono, infatti, gli operatori del Servizio, in genere, a fornire ragguagli e valutazioni sull'andamento del percorso di affidamento, che essi stessi gestiscono in maniera sostanzialmente autonoma, mancando, nei provvedimenti di instaurazione dell'affidamento ogni contenuto progettuale. In tal modo l'intervento rischia di diventare un «mandato in bianco» al Servizio di assistenza sociale, che da servizio di supporto si muta in ente che esercita un intervento autoritario, non solo rispetto alle famiglie, ma anche rispetto alle strutture affidatarie. Peraltro, nel caso dei minori fuori famiglia, il Servizio risulta a sua volta tributario delle informazioni ricevute dalle strutture affidatarie o collocatarie, sulle quali non esercita spesso particolari attività di controllo.
  Queste problematiche strutturali possono naturalmente verificarsi in maniera più o meno marcata, a seconda dell'approccio seguito dai singoli Servizi sociali. Esse tuttavia appaiono largamente indipendenti dalla professionalità, spesso elevata, degli operatori e conseguono dalla situazione di sostanziale antagonismo che viene a contrapporre familiari e affidatari del minorenne quando l'affidamento non sia programmaticamente finalizzato alla collaborazione per il pronto ripristino dell'unità familiare. Conclusivamente, si segnala il rischio che controllo e vaglio giurisdizionale sull'operato di amministrazioni assistenziali e affidatari venga svolto in tutto o in parte sulla base di quanto osservato e riferito dai soggetti controllati, con una deresponsabilizzazione del giudice, che rischia, nei casi più gravi, di risolversi in una sostanziale delega della funzione.Pag. 59
  I problemi strutturali a cui si è fatto cenno sono stati evidenziati in diversi esposti e sottolineati anche da diversi esperti auditi dalla Commissione.
  Ad esempio, la Garante dei minori della Regione Abruzzo, Maria Concetta Falivene, nella sua audizione del 24 novembre 2021, ha denunciato il carattere atecnico di molte Relazioni dei Servizi sociali territoriali e il fatto che, in caso di presunti maltrattamenti, non si comunicano i sospetti maltrattamenti dei minori agli uffici deputati, cioè gli Uffici dei minori presso le questure. Di qui la proposta di legge, approvata dal Consiglio regionale dell'Abruzzo e inviata alle Camere, di istituire un ispettorato delle funzioni sociali, che intende individuare una figura più specifica, diversa da quella dell'assistente sociale.
  Le considerazioni della Garante dei minori dell'Abruzzo trovano una indiretta conferma nella recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 20 gennaio 2022 nel ricorso D.M e N.C contro Italia (n.60083/19). La vicenda è quella di una cittadina cubana che aveva chiesto aiuto ai Servizi sociali, per sé e per la figlia di un anno, dopo aver subito violenza – fisica, psicologica e sembrerebbe anche sessuale – dall'ex-compagno e padre della bambina. Il Pubblico Ministero aveva chiesto l'apertura di un procedimento davanti al Tribunale per i minori di Brescia, diretto a valutare la capacità genitoriale della donna. Il procedimento si era poi concluso, alla fine del 2015, con una dichiarazione di adottabilità della bambina, che era stata di conseguenza bruscamente allontanata dalla madre. La decisione era basata sulle sole relazioni degli assistenti sociali, che avevano avuto modo di «valutare» la madre e la minore all'interno della Casa-famiglia e che, dopo averne valutato positivamente il percorso, avevano stigmatizzato una sua incapacità genitoriale, basata su un presunto scarso accudimento, ma anche su notizie acquisite de relato da altri ospiti della struttura su una relazione sessuale avuta dalla donna e sulla sua decisione di utilizzare metodi contraccettivi. Non era stata svolta nessuna perizia tecnica.
  La sentenza che condanna l'Italia è molto chiara nel sottolineare che «la decisione di rompere il legame familiare non è stata preceduta da una valutazione seria e scrupolosa della capacità della prima ricorrente di esercitare il suo ruolo di genitore, e in particolare da nessuna perizia psicologica, e che non è stato fatto alcun tentativo di salvaguardare il legame. Le autorità non si sono sforzate adeguatamente nemmeno di preservare i legami familiari tra l'interessata e sua figlia e favorirne lo sviluppo. Le autorità giudiziarie si sono limitate a prendere in considerazione l'esistenza di alcune difficoltà, quando invece queste difficoltà avrebbero potuto, con ogni probabilità, essere superate per mezzo di un'assistenza sociale mirata». Fatto ancora più grave, «i giudici non hanno ritenuto necessario verificare, per mezzo di una perizia, se le presunte molestie sessuali alle quali i servizi sociali facevano riferimento nelle loro relazioni, a seguito delle testimonianze indirette, fossero realmente avvenute, o almeno segnalare la situazione che ritenevano “preoccupante” al procuratore presso il tribunale per i minorenni». La bambina, insomma, è stata considerata «“vittima” di abusi sessuali, mentre non è stato mai condotto alcun procedimento penale per indagare sulle affermazioni dei servizi sociali». Da ultimo, «la Corte rileva vari passaggi nelle relazioni dei servizi sociali, riprese in parte dai giudici interni, che citano la vita intima della prima ricorrente, le sue scelte Pag. 60rispetto al concepimento dei suoi figli e la sua vita sessuale. Essa ritiene, in particolare, che siano ingiustificate le valutazioni negative fatte sul comportamento sessuale dell'interessata, sulla sua scelta di togliersi la spirale senza il permesso dei servizi sociali e di concepire un figlio. Secondo la Corte, queste argomentazioni e considerazioni non erano determinanti per valutare le sue capacità genitoriali».
  Si è ritenuto utile fornire ampi estratti della sentenza perché essa evidenzia alcuni elementi strutturali, che non è chiaro ancora quanto siano diffusi, ma che si ritrovano con frequenza negli esposti e nei documenti acquisiti dalla Commissione: valutazioni dei Servizi sociali carenti di elementi di fatto specifici e basate su astratti modelli genitoriali; tendenza a proporre l'allontanamento per individuare collocazioni astrattamente più adatte per il minore (in contrasto con una consolidata giurisprudenza nazionale e internazionale); carenza di contraddittorio; sottovalutazione delle situazioni di fragilità conseguenti a violenze; difficoltà a riformare i provvedimenti nei diversi gradi di giudizio. Ciò che poi preoccupa in questa specifica vicenda è che la carente istruttoria del Servizio sociale non abbia trovato nell'ordinamento degli strumenti correttivi, nonostante la palmare evidenza delle carenze nell'attività dei Servizi.
  La Commissione, non svolgendo una funzione giurisdizionale, non ha ritenuto di esprimere una valutazione compiuta sui singoli esposti ricevuti. Ritiene tuttavia doveroso rimarcare e sottolineare la diffusa segnalazione di criticità analoghe a quelle evidenziate nella vicenda sopra esposta.
  In questo ambito di problemi si colloca anche la vicenda cosiddetta «Bibbiano», che è stata in qualche modo all'origine di una maggiore attenzione per le criticità del sistema di tutela dei minori fuori famiglia. La Commissione ha dedicato ovviamente molto spazio alla vicenda, non per inserirsi in una vicenda giudiziaria in corso, che tuttavia ha ormai raggiunto alcuni punti fermi, ma per trarre dalla vicenda alcuni elementi di tipo generale, e non necessariamente di rilievo penale, sulle criticità evidenziatesi.
  Particolarmente importanti sono state, sotto questo punto di vista, le considerazioni svolte dalla dottoressa Valentina Salvi, che ha curato l'istruttoria sulla vicenda «Bibbiano», nella sua audizione presso la Commissione, del 9 dicembre 2021. La dottoressa Salvi ha sottolineato che in quella vicenda, ma anche in altre situazioni che non necessariamente configurano profili di reato, c'è un punto di criticità ricorrente, ovvero «il fatto che in questo tipo di procedimenti, che hanno come oggetto una libertà personale, una libertà costituzionalmente garantita, gli elementi di prova nell'immediatezza dei fatti vengono sostanzialmente raccolti da assistenti sociali che a mio avviso non sono dei soggetti qualificati per poter effettuare una ricostruzione dei fatti. Non c'è un intervento specifico e immediato della Polizia giudiziaria, quindi tutti gli elementi raccolti vengono fatti confluire nelle relazioni che poi vengono inoltrate al tribunale per i minorenni». Ne deriva che il Tribunale decide sulla base di relazioni generiche e indeterminate, che non sempre distinguono correttamente tra elementi di fatto e valutazioni. Tali valutazioni, peraltro, corrispondono alla testimonianza che ha reso alla Commissione il giornalista Luca Ponzi, che avuto il merito Pag. 61di far emergere la vicenda Bibbiano alle cronache nazionali, nell'audizione del 22 febbraio 2022.
  Molto precise sull'individuazione delle caratteristiche della «frode processuale» evidenziatasi nella vicenda Bibbiano sono state le riflessioni del maresciallo capo dei Carabinieri Giuseppe Milano, che ha curato le indagini e che è stato audito nella seduta del 10 maggio 2022. In quella sede il maresciallo Milano ha rilevato che: «abbiamo notato una sorta di equazione che nei fatti viene fatta, cioè che l'assistente sociale sta al tribunale minorenni come la PG (Polizia giudiziaria) sta al PM. È un'equazione matematicamente distonica per evidenti ragioni. Innanzitutto la PG si può considerare una sorta di longa manus rispetto al pubblico ministero, ma sono la medesima parte processuale. Gli assistenti sociali e il tribunale per i minorenni assolutamente no, poiché il tribunale per i minorenni ha funzioni, come sappiamo, giudicanti». Si tratta di un equivoco foriero di disfunzioni anche gravi, in quanto «un'importante problematica che effettivamente emerge è cosa si deve intendere per indagine psicosociale, perché è questa che poi le procure minorili e i tribunali per i minorenni delegano agli assistenti sociali, cioè le indagini psicosociali». Nel caso di Bibbiano gli operanti di polizia hanno rilevato in molte relazioni «connotati quasi medioevali, in cui spesso veniva riportato la "vox populi". Ho letto personalmente relazioni dove si indicava "voci di paese". Riporto testualmente: "per voci di paese la bambina risulta prostituirsi presso la casa dei genitori". È ovvio che ci ha stupito un simile approccio a una ricostruzione storica dei fatti, poiché quella fonte non risulta neanche citata, quindi non si consente l'individuazione di essa e di ricostruire da parte dell'organo competente o la PG o la procura».
  Sarebbe naturalmente scorretto estendere ad altre situazioni quanto emerso in relazione ad una specifica vicenda. Tuttavia, vanno attentamente valutati gli elementi strutturali che hanno reso possibile le condotte criminose perseguite.

  Il tema del rapporto tra Servizi sociali e Tribunali è stato posto anche nelle audizioni di magistrati minorili. In particolare nell'audizione del dottor Spadaro, Presidente del Tribunale per i minorenni di Trento e precedentemente del Tribunale per i minorenni di Bologna, la Presidente ha chiesto all'audito di specificare meglio una sua affermazione, svolta presso la Commissione d'inchiesta della regione Emilia Romagna, secondo la quale la «sua polizia giudiziaria altro non è che i servizi sociali e tutta la rete che collabora col Tribunale». Nella sua risposta, il dottor Spadaro ha sottolineato che la metafora usata intendeva evidenziare una problematica, il fatto cioè che manca una disciplina dell'esecuzione dei provvedimenti dell'Autorità giudiziaria minorile. Questa è dunque genericamente rimessa al Servizio sociale, che però non si configura come parte processuale o gerarchicamente subordinata all'autorità giudiziaria. Conseguentemente, «emerge l'assenza di un vincolo che permetta al giudice di effettuare un controllo sull'esatto adempimento delle prescrizioni date».
  Anche nell'audizione del dottor Avallone, Presidente del Tribunale per i minorenni di Salerno, svolta il 27 giugno 2022, si è approfondita tale questione. Nel rimarcare il ruolo essenziale svolto dal Servizio sociale nei procedimenti, il dottor Avallone ha sottolineato, con riferimentoPag. 62 a quel distretto giudiziario, che l'Autorità giudiziaria cerca di esercitare un forte controllo in materia.
  Il Presidente del Consiglio dell'Ordine degli Assistenti Sociali, Gianmario Gazzi, audito nella seduta del 13 aprile 2022, ha particolarmente insistito sui tagli di bilancio e sulle lacune normative che rendono difficoltosa l'attività del Servizio sociale, come pure sulla necessità di rivedere l'istituto, ormai obsoleto, dell'affidamento al Servizio sociale. Ha inoltre sottolineato la centralità delle valutazioni delle équipe multidisciplinari, che non sono però uniformemente distribuite sul territorio nazionale, tema che è tornato pure nell'audizione, svolta il 20 aprile 2022, della dottoressa Roberta Bommassar, in rappresentanza del Consiglio nazionale dell'Ordine degli psicologi.
  Numerosi e qualificati auditi hanno evidenziato problematiche rilevanti in relazione al ruolo del Servizio sociale nel procedimento. Ad esempio il professor Claudio Cecchella, Presidente dell'Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia, audito nella seduta del 22 marzo 2022, ha sottolineato che i rappresentanti dell'avvocatura vedono criticamente il fatto che il ruolo degli assistenti sociali sia privo di regole, sia sotto il profilo della preparazione, sia rispetto alle modalità. Di qui l'invito a «ripensare a una normativa di natura più amministrativa che processuale o giurisdizionale sul ruolo degli assistenti sociali», anche se la riforma del processo civile contiene già un'importante novità, perché impone di distinguere, nelle relazioni, tra fatti e valutazioni e garantisce alle parti un diritto di accesso alle stesse. Su un piano meno tecnico, ma comunque sulla base di una significativa esperienza diretta, la professoressa Antonella Dellapina, dell'Associazione «Noi nidiamo», ha sottolineato che in mancanza di regolamentazioni stringenti, l'azione del Servizio sociale risulta talora autoreferenziale e «blindata», anche nell'acquisizione di elementi di informazione presso gli istituti scolastici.
  A livello tecnico va inoltre segnalata l'audizione dell'avvocato Ruo, in rappresentanza dell'Associazione Cammino – Camera Nazionale avvocati per la persona, le relazioni familiari e i minorenni, svolta il 30 marzo 2022. In quella sede l'audita ha evidenziato con esemplare chiarezza i limiti delle relazioni del Servizio sociale, su cui l'Associazione Cammino sta svolgendo uno studio insieme al CNOAS (Consiglio Nazionale Ordine assistenti sociali). In particolare, si è segnalato che «queste relazioni socio e psico-ambientali vengono svolte fuori dal contraddittorio e dai diritti delle difese delle parti, risultano incontestabili anche se eventualmente errate, e vengono definite nel nostro gergo difensivo “prova bloccata”. Talvolta, peraltro, si giunge all'attivazione di un giudizio, perché i precedenti interventi di sostegno dei servizi, che dovrebbero procedere qualsiasi procedimento, non hanno funzionato. È quello il mandato costituzionale dei servizi socio-sanitari, ovvero sostenere le fragilità, secondo gli articoli 2 e 3 della Costituzione, poiché si arriva a un procedimento, se il sostegno precedente non c'è stato e non ha funzionato. Comunque c'è qualcosa che si è rotto nel rapporto fiduciario. Ne consegue che è difficile, quando si rompe un rapporto fiduciario, essere obiettivi nella descrizione della vicenda». Secondo questa condivisibile impostazione, si evidenzia insomma il rischio che il Servizio sociale operi sulla base di un mandato in bianco privo di momenti di controllo, dal momento che interviene nel procedimento sia Pag. 63nella fase del sostegno e valutazione preventiva, sia nel momento dell'esecuzione e del monitoraggio, operando entro i limiti, spesso assai laschi, definiti dall'Autorità giudiziaria.
  Oltre che nelle possibili deviazioni, come quelle verificatesi nei Servizi sociali della Val d'Enza, il problema risiede nella stessa disciplina. Al di là delle scarne disposizioni della legge 184/1983 e del codice civile, non c'è una fonte normativa che disciplini l'intervento dei Servizi sociali e non c'è alcun paletto rispetto alla valenza del materiale istruttorio prodotto, come pure non vi è una disciplina delle diverse funzioni che i Servizi espletano, sia nel momento accertativo (fondamentale per la formazione del convincimento del collegio giudicante), sia nel momento dell'esecuzione, che in quello del controllo.
  Peraltro il Servizio sociale non è considerato come parte processuale e nemmeno come ausiliario del magistrato e, svolgendo un'attività amministrativa, non è soggetto al principio del contraddittorio. In questo quadro, appare particolarmente grave se le relazioni dei Servizi non distinguono (come spesso accade) tra elementi fattuali e valutativi. Mentre infatti i primi sono da considerare dichiarazioni di un pubblico ufficiale rispetto a fatti accertati, le valutazioni costituiscono un materiale dalla valenza incerta che dovrebbe essere utilizzato con estrema prudenza. Tali valutazioni dovrebbero essere in ogni caso demandate ai professionisti dotati di adeguate competenze.
  A chiusura di queste osservazioni va inoltre ricordato che nell'ambito dell'indagine ministeriale di cui alla citata Relazione sullo stato di attuazione, al quesito sulla adeguatezza delle relazioni periodiche semestrali che i Servizi sociali inviano sulla base dell'articolo 4, comma 3, della legge 184/1983, il 38% dei Tribunali ha risposto che esse non sono adeguate (a fronte del 52% che le ritiene adeguate e di un 10% di non risposta). Tutti i tribunali interpellati hanno inoltre espresso l'auspicio che le relazioni contengano elementi integrativi relativi alla valutazione del rapporto del minore con la famiglia d'origine e alla valutazione prognostica sui tempi di conclusione e prosecuzione dell'allontanamento del minore dalla famiglia.
  Non si può dunque che salutare con favore le previsioni introdotte dalla legge delega 206/2021, che ha previsto di «adottare, per i procedimenti di cui alla lettera a), puntuali disposizioni per regolamentare l'intervento dei servizi socio-assistenziali o sanitari, in funzione di monitoraggio, controllo e accertamento, prevedendo che nelle relazioni redatte siano tenuti distinti con chiarezza i fatti accertati, le dichiarazioni rese dalle parti e le valutazioni formulate dagli operatori, con diritto delle parti e dei loro difensori di avere visione di ogni relazione ed accertamento compiuto dai responsabili del servizio socio-assistenziale o sanitario, e, fermo restando il principio generale dell'interesse del minore a mantenere relazioni significative con i genitori, sia assicurato che nelle ipotesi di violenze di genere e domestiche tale intervento sia disposto solo in quanto specificamente diretto alla protezione della vittima e del minore e sia adeguatamente motivato, nonché disciplinando presupposti e limiti dell'affidamento dei minorenni al servizio sociale».
  Negli esposti pervenuti alla Commissione compare frequentemente la denuncia di atteggiamenti di tipo persecutorio o comunque che fondano gli allontanamenti dei minori sulla base di elementi non Pag. 64oggettivi o sulla maggiore o minore acquiescenza dei genitori a indicazioni del Servizio sociale.
  Tra i tanti si ricorda il caso dei cosiddetti «fratellini di Cuneo», emerso più volte sulla stampa e fortunatamente risoltosi, in cui emergono forti dubbi sul modus operandi del Consorzio socio assistenziale del Cuneese.
  Particolarmente seria appare pure la vicenda della minore A.C., oggetto anche dell'audizione dell'avvocato Rita Ronchi del 21 aprile 2022. In questo caso, nel 2017 è stato aperto un procedimento di limitazione della responsabilità genitoriale a seguito dell'iniziativa del Servizio sociale del Comune di Bologna, sulla base di un ritardo di crescita attribuito ad incuria e a fattori psicosociali, senza però che venissero svolti gli esami clinici conseguenti. Ne è conseguita una collocazione della minore, all'epoca molto piccola, in comunità, prima insieme alla madre e poi fuori regione, nonostante fosse emersa l'esistenza di una patologia grave della minore, non imputabile a incuria. La tardiva conclusione di questa vicenda, trascinatasi per circa tre anni, evidenzia, al di là di possibili responsabilità penali, una persistente difficoltà del Servizio a staccarsi da una sua frettolosa valutazione, come pure un omesso intervento o controllo dell'operato dei Servizi da parte degli enti territoriali. Il Tribunale per i minorenni, da parte sua, ha omesso di rivalutare il caso in tempi ragionevolmente congrui con l'interesse del minore.
  Un ulteriore caso è quello di due minori E.S. e G.S., per le quali il Tribunale ordinario di Roma aveva sospeso la responsabilità genitoriale. In questo caso, la mancata attivazione da parte del Servizio sociale di strumenti, come un percorso di psicoterapia individuale, prescritto dall'Ospedale Bambino Gesù, presso il quale c'erano stati diversi accessi, ha portato a una collocazione in comunità terapeutica, che appare in realtà conseguente ad una mancata o carente presa in carico. Peraltro, in questa vicenda la minore non ha praticamente avuto contatti col curatore, che poi si è fatto promotore dell'inserimento in comunità, sulla base delle indicazioni dei Servizi sociali territoriali, gli stessi che non avevano dato corso agli interventi prescritti di sostegno della minore.
  In alcuni casi, come quello del minore A.P.R. (Pisa) e del minore M.T (Roma) emergono dubbi sulla stessa conformità ai fatti dei contenuti riportati nelle relazioni del Servizio sociale, che appaiono finalizzate a creare le condizioni per l'assunzione da parte del Tribunale di provvedimenti limitativi dei contatti dei minori con le madri, che in vario modo avevano messo in discussione le valutazioni del Servizio sociale competente.
  Anche nel caso del minore G.T (Tribunale ordinario di Busto Arsizio) tutta la parte iniziale del procedimento sembra fondarsi su relazioni che esprimono soprattutto «sensazioni», più che dati oggettivi, e che hanno portato il Tribunale a esprimere un giudizio negativo sulla personalità della madre del minore, ritenendola ostativa ai progetti, ostile agli operatori, esclusiva nei confronti del padre del minore, se non esplicitamente alienante.
  Naturalmente, la casistica acquisita dalla Commissione non può essere considerata esaustiva. Essa, tuttavia, ha un suo significato, anche perché non risultano attività diffuse di controllo delle performance dei Pag. 65Servizi nelle vicende di allontanamento di minori, con ciò rafforzandosi l'impressione di una tendenziale autoreferenzialità del Servizio sociale nei procedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale.
  La Commissione valuta con estrema preoccupazione l'esistenza di situazioni in cui i Servizi sociali territoriali possano essere mossi da forme di pregiudizio nei riguardi delle famiglie, cosa tanto più grave in quanto l'Autorità giudiziaria fonda le proprie decisioni essenzialmente sulla base delle relazioni dei Servizi stessi.
  Il tema è stato sottolineato anche dal Garante dei minori della Regione Lombardia, che, sulla base della sua esperienza, ha rilevato in audizione che «si crea, l'ho provato, l'ho sentito nel parlare con i Servizi, quella che potrei semplificare con una forma di antipatia, che i Servizi provano per le famiglie particolarmente critiche, che li fa andare oltre e li fa considerare come, in qualche modo, accettabile un intervento forzato». In termini più generali, nel 2019, la Garante per l'infanzia e l'adolescenza, Filomena Albano, aveva chiaramente affermato, nella sua segnalazione sul sistema della tutela minorile (nota prot. n. 1765 del 29 luglio 2019), l'improrogabile necessità di «differenziare i soggetti cui sono demandati compiti valutativi, esecutivi e di controllo dei provvedimenti giudiziali da quelli chiamati a prendere in carico i minorenni per il sostegno genitoriale e la cura». Questa chiara indicazione, che non è stata purtroppo adeguatamente raccolta né in sede politica né in sede giudiziaria, rimane tuttora attuale. È infatti di palmare evidenza che la protezione, la cura, il sostegno degli utenti, anche di età minore, si svolgono nel rispetto del principio del consenso informato e ciò comporta che sia valorizzata la relazione di cura e di fiducia con i destinatari degli interventi sulla base del consenso informato. Cosa diversa è, evidentemente, l'assunzione di un ruolo processuale da parte degli operatori, specialmente quando non si limiti a dare notizia di attività già svolte sul piano amministrativo e sanitario. Se invece si richiedono attività esecutive o accertamenti nell'ambito del procedimento, si è in presenza di una attività di natura diversa, sottoposta al principio del contraddittorio e potenzialmente confliggente con le iniziative di cura e sostegno.
  Altro elemento di preoccupazione riguarda il caso specifico di donne, o più raramente uomini, che hanno denunciato violenze e che tendono a non interessare i Servizi per il timore di subire la sospensione della potestà genitoriale. In proposito la Relazione su «la risposta giudiziaria ai femminicidi in Italia», della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio (Doc. XXII-bis, n. 7) ha rilevato casi in cui i Servizi, pur a conoscenza di episodi di violenza, non hanno escluso l'affidamento al padre maltrattante ed hanno omesso di segnalare la situazione alle autorità competenti, derubricando gli episodi a conflitto familiare. Tale difettosa impostazione si è spesso riverberata su provvedimenti assunti dall'Autorità giudiziaria (di norma Tribunale ordinario) in cui gli episodi di violenza non sono stati considerati in sede di separazione, anche adottando a carico delle madri provvedimenti di sospensione della responsabilità genitoriale finalizzati a garantire il diritto del padre maltrattante a una piena frequentazione dei figli.
  Al di là di singoli episodi, emerge dunque un problema sistemico, che attiene sia all'organizzazione dei Servizi, sia al loro ruolo nel processo. In diversi casi esaminati, la collocazione dei minori fuori Pag. 66famiglia appare l'esito di percorsi di sostegno non avviati, o avviati male, anche per l'incapacità dei Servizi a relazionarsi in modo non conflittuale e non minaccioso con genitori che resistono ai percorsi disposti dall'Autorità giudiziaria. Il fallimento dei percorsi porta talora a formulare delle valutazioni negative sui genitori, non necessariamente fondate su elementi oggettivi, ma su impressioni. Sotto questo punto di vista, preoccupa anche che tali valutazioni confliggano talora con quelle espresse da psicologi, non necessariamente di parte, e, nei casi in cui vengono interessati, dai TSMREE. A prevalere è infatti spesso un'analisi sociologica o psicosociale che non sempre rispetta i criteri di rigore e scientificità che sarebbero doverosi. Va pure detto che esiste un problema di quadro operativo. La molteplicità di strumenti amministrativi (piani e linee guida nazionali, piani e linee guida regionali, regolamenti comunali e piani sociali di zona etc.) rischia di burocratizzare il sistema con notevoli effetti negativi per la salvaguardia dei diritti dei minori e delle famiglie. Si rischia, in particolare, di far prevalere la logica dell'adempimento, ossia di portare avanti le attività, non ponendo al centro il minore, quanto piuttosto la funzione svolta, categorizzando le situazioni sociali sulla base di «indicatori presuntivi» che tradiscono un approccio ideologico e comportano un distacco dagli elementi di fatto rilevabili, che dovrebbero essere invece i principali fattori posti alla base dei progetti e delle relazioni al Tribunale. Ciò tanto più quando la scarsa disponibilità di personale e risorse porta a delegare le concrete attività di sostegno a forme di privato sociale, riservando al personale del Servizio sociale territoriale prevalenti funzioni amministrative e di controllo.
  In questo quadro anche il richiamo, presente in numerose audizioni a un rafforzamento dei Servizi sociali territoriali, fortemente definanziati nello scorso decennio, non appare, da solo, sufficiente a garantire un efficace funzione del sistema, ove non intervengano modifiche normative e organizzative.
  Sul punto anche un documento ANCI, poi ripreso nella Relazione sullo stato di attuazione, di cui si è discusso nell'audizione (19 luglio 2022) del sindaco di Modena e delegato ANCI al welfare, Luca Vecchi, è piuttosto chiaro nel sottolineare che «le responsabilità dell'assistente sociale nel sistema di tutela del minore risultano eccessivamente sovradimensionate rispetto al ruolo loro riconosciuto nell'ambito dell'organizzazione comunale. Spesso lavorano e sono chiamati ad assumere decisioni in completa autonomia, prive di un'equipe di riferimento e confronto, prive di una supervisione metodologica e tecnica, sia quando richiedono l'intervento del Tribunale dei Minori che quando effettuano le valutazioni sociali e socio-educative delle competenze genitoriali e/o del benessere/malessere del minore».
  D'altro canto, anche il Presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali, nella già citata audizione presso la Commissione, ha segnalato la necessità di un aggiornamento dell'istituto dell'affidamento al Servizio sociale, previsto dall'art. 25 del Regio Decreto n. 1404 del 1934 (istitutivo del Tribunale per i Minorenni). Per come è configurato, l'istituto è un provvedimento rieducativo a carico del minore, pensato per fenomeni di devianza minorile.
  Il concetto di affidamento al servizio sociale conserva pertanto una ambiguità di fondo perché, nel limitare di fatto la responsabilità Pag. 67genitoriale, pone spesso in contrapposizione i genitori e i Servizi, alimentando una conflittualità che spesso porta all'adozione di altri più gravi provvedimenti oppure spingendo le famiglie a una più o meno consapevole autocensura. Nell'uno e nell'altro caso vi è il rischio di rendere inefficaci gli interventi specificamente finalizzati a sostenere il minore e il nucleo familiare.
  In realtà, anche nel mondo dei professionisti che lavorano nei Servizi sociali, è emersa la consapevolezza delle criticità che si creano nelle funzioni svolte su mandato dall'Autorità giudiziaria. Particolarmente interessante è l'ampia ricerca Ruolo e qualità del Servizio sociale nelle attività di tutela dei minorenni – Rapporto di ricerca, a cura di Teresa Bertotti, Silvia Fargion, Paolo Guidi, Cristina Tilli – Quaderni della Fondazione nazionale degli Assistenti sociali, Roma, 2021 (https://www.fondazioneassistentisociali.com/wp-content/uploads/2021/03/Ruolo-e-qualita-del-servizio-sociale.pdf). Sulla base di una ampia campionatura, si è rilevato che molti Consigli regionali dell'Ordine degli assistenti sociali considerano il rapporto con la magistratura non soddisfacente. In particolare, «la Puglia, che ritiene tale rapporto “poco chiaro”, e l'Abruzzo che lo definisce “totalmente errato” (Abruzzo, Report 3, p. 2). Quest'ultimo in particolare segnala come il servizio sociale divenga depositario di una delega, da parte della magistratura, “in tutto e niente”, con decreti realizzati in maniera sommaria e quasi onnicomprensivi; e questo provoca dei “rapporti di forza” tra servizio sociale e famiglie, che rendono più complesso l'intervento». Così pure si lamenta «l'emissione di decreti generici o poco definiti (Emilia-Romagna, Liguria, Sicilia, Toscana)».
  Uno degli aspetti di maggiori criticità è individuato proprio nelle relazioni del Servizio e nelle «difficoltà di comunicazione con la magistratura (Friuli, Sicilia, Umbria), per la quale sarebbe necessario essere maggiormente attrezzati nella produzione di documentazione scritta verso la magistratura (Lazio, Sardegna). La Sicilia, in particolare, suggerisce che i decreti dovrebbero essere maggiormente “di contenuto”, analogamente a quanto accade per i decreti emessi in relazione all'amministrazione di sostegno e dalla realtà dei servizi e delle situazioni» (Sardegna, FG Nuoro, p. 2). Alcuni ordini regionali, come Puglia e Veneto, sottolineano pure la «difficoltà ad interloquire con i molteplici soggetti giudiziari, che operano con modalità diverse, provocando confusione negli operatori e differenze di trattamento nei confronti delle famiglie».
  Infine, sul tema dell'affidamento al Servizio, cinque regioni lo segnalano «come un'area grigia poco definita (Liguria, Marche), applicata differentemente nei diversi territori (Trentino), in cui è necessario dare dei contenuti specifici all'affidamento stesso ed alle conseguenti limitazioni genitoriali (Lombardia, Toscana). La Toscana ne segnala, inoltre, un utilizzo a loro avviso eccessivo».
  In prospettiva sembra dunque necessario un intervento, sia a livello normativo che a livello di semplificazione, capace di rendere più trasparente un quadro di riferimento amministrativo sovrabbondante e frammentato, che cela in sé molte opacità. A queste misure organizzative andrebbe certamente affiancata una migliore formazione dei professionisti coinvolti, a partire dagli assistenti sociali, che è il prerequisito di un necessario rafforzamento degli organici. Tale rafforzamentoPag. 68 non dovrebbe essere fine a sé stesso, ma avere come obiettivo delle modalità di funzionamento basate sui principi della trasparenza, dell'appropriatezza e della proporzionalità, nel rispetto dei diritti dei minori e dei nuclei familiari.

  d) verificare l'esito attuativo dei provvedimenti emessi dai tribunali per i minorenni ai sensi degli articoli 330, 332 e 333 del codice civile e del citato articolo 38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, dalla data di entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219;

  Anche il tema dell'esito attuativo dei provvedimenti non è agevolmente rilevabile, alla luce del carattere incompleto e frammentario dei dati.
  Le risposte inviate dai Tribunali per i minorenni al questionario trasmesso dalla Commissione, con la già ricordata mancata risposta da parte di autorità giudiziarie rilevanti come quella di Roma, sottolineano che solo il dato sulla decadenza della responsabilità genitoriale, è realmente disponibile.
  Quasi nessun Tribunale ha fornito un dato sui procedimenti conclusi con affidamento eterofamiliare o intrafamiliare. In proposito, il Presidente del Tribunale per i minorenni di Genova ha evidenziato che «tale dato non può essere estratto dai registri informatici SIGMA (la cui vetustà è oggetto di ricorrenti critiche da parte degli uffici minorili, e da parte di questo Presidente quanto meno dal 2006, senza che il Ministero abbia mai posto rimedio) non facendo parte dei codici oggetto degli eventi. È un dato che presuppone la lettura dei singoli dispositivi attraverso l'esame cartaceo. SIGMA non è un registro interattivo e i provvedimenti non vengono formati e archiviati digitalmente a differenza di SICID in uso presso i Tribunali Ordinari. Quanto a Genova solo dal 2019 i decreti vengono scansionati e caricati manualmente in formato pdf sul registro e per tale ragione non è possibile una interrogazione su base testuale dei dispositivi. Attesa la numerosità dei procedimenti richiesti e le gravi carenze del personale amministrativo in servizio».
  Relativamente ai procedimenti conclusi con la decadenza della responsabilità genitoriale, la Presidente del Tribunale per i minorenni di Milano ha ad esempio comunicato, per l'anno 2021, 249 provvedimenti di decadenza dalla potestà genitoriale, ma ha al contempo osservato che «il Tribunale di Milano non sospende la responsabilità genitoriale nell'ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione, ma solo in quelli avviati per la dichiarazione di adottabilità; quanto al numero delle pronunce aventi ad oggetto differenziate modalità di limitazione della responsabilità genitoriale (dalle prescrizioni fino all'allontanamento del minore dal nucleo familiare) si riportano i dati relativi ai provvedimenti definitivi, ma altrettanto numerosi sono quelli emessi in via provvisoria e urgente».
  Così pure il Tribunale per i minorenni di Bologna ha osservato che il Tribunale «in sede di decreto provvisorio non ha previsto un termine finale di collocamento eterofamiliare, indicandolo solo nei provvedimenti conclusivi». Il Tribunale per i minorenni di Catanzaro ha invece precisato che «nell'ambito di un singolo procedimento possono essere emessi plurimi decreti provvisori che variamente limitano la responsabilità genitoriale» e che tali decreti provvisori non sono censiti.Pag. 69
  Un elemento che desta particolare preoccupazione, alla luce della casistica esaminata, è, in effetti, proprio il proliferare di provvedimenti mai o solo tardivamente seguiti dalla definizione del giudizio, di catene di provvedimenti provvisori, i cui effetti si sommano per la durata complessiva di vari anni.
  Si hanno, dunque, in quasi tutti i tribunali minorili, procedimenti avviati e mai definiti, in cui gli effetti decisori definitivi sono sostituiti da singoli o plurimi provvedimenti formalmente provvisori, emessi sulla base di una cognizione solo sommaria del quadro fattuale e dei suoi progressivi mutamenti: il che risulta ancora più grave quando il contenuto del provvedimento sia l'affidamento in collocazione extrafamiliare.
  La regolamentazione in via provvisoria risulta poi tanto più grave in quanto favorisce l'elusione della disciplina relativa al termine di durata massima dell'affidamento, specialmente se i successivi decreti sono assunti sulla base di scarne note di aggiornamento di operatori socio-sanitari che non vengono, di volta in volta, ascoltati nel contraddittorio delle parti. La valutazione periodica sulla opportunità di prosecuzione dell'affidamento al termine del periodo di durata inizialmente preventivato dovrebbe consistere invece in una nuova, completa e ponderata rivalutazione dell'intero quadro istruttorio e dei relativi mutamenti.
  Del resto che la situazione sia in questi termini è provato anche dal fatto che i recenti indirizzi giurisprudenziali della Corte di Cassazione ritengono che i decreti dei Tribunali per i minorenni, anche se espressamente pronunciati in via non definitiva, siano impugnabili con reclamo dinnanzi alla Corte di Appello, con possibilità di impugnare la decisione del reclamo dinnanzi la Corte di Cassazione
  Ciò avviene indubbiamente perché si tratta di provvedimenti che incidono in maniera relativamente stabile sulla responsabilità genitoriale e perché si ravvisa la necessità di un controllo di legalità su procedimenti in grado di travolgere diritti personalissimi di rango costituzionale. L'orientamento della Cassazione non nasce però a caso. Nasce come risposta alla prassi di molti uffici minorili di mantenere fermi provvedimenti provvisori, anche per anni, senza emettere un provvedimento definitivo e dare quindi alle parti la possibilità di impugnarlo. Si tenga altresì conto, come già rilevato, che spesso i provvedimenti terminano demandando al Servizio sociale ogni progetto per il nucleo familiare. Non essendovi una vera e propria disposizione diventa impossibile verificarne l'attuazione.
  Pur nella carenza di dati, si pongono dunque molti dubbi sulla piena applicazione della normativa di settore, che è ferma nel definire l'allontanamento come rimedio temporaneo, funzionale al recupero da parte della famiglia di adeguate capacità di accudimento e cura.
  Tra i numerosi problemi che si determinano nell'esecuzione dei provvedimenti, uno dei principali attiene all'impiego della forza pubblica a supporto dei Servizi sociali nell'esecuzione degli allontanamenti di minori dalla propria famiglia o da uno dei genitori.
  Questa pratica, evidentemente traumatica in re ipsa, presenta numerose criticità applicative, che sono state evidenziate anche in alcuni casi sottoposti all'attenzione della Commissione.Pag. 70
  Ad esempio nel caso il minore S.M, di sette anni all'epoca dei fatti, è stato oggetto di un prelievo forzoso, disposto dal Tribunale per i minorenni di Lecce, all'esito di una serie di procedimenti basati su valutazioni assai prossime a quelle dell'alienazione parentale. Alla prima criticità, vale a dire l'identificazione di possibili disfunzionalità nel rapporto con madre nei termini della manipolazione, si è aggiunta l'esecuzione del provvedimento con una vis inappropriata in fase di esecuzione, che rischia di comportare la vittimizzazione del minore. Evidentemente, tale «uso della forza» si rivela spasmodico e di certo non in linea con l'interesse del minore, ad esclusivo vantaggio del quale viene invocata la presenza delle Forze dell'ordine.
  In un'altra vicenda, la minore E.G. è stata allontanata dalla madre per disposizione del Tribunale di Imperia. In questo caso, l'esecuzione del provvedimento appare meglio strutturata. Emergono tuttavia alcune criticità in relazione alla proporzionalità degli strumenti usati.
  L'allontanamento è avvenuto con ingresso forzoso degli operanti in un'abitazione, con la presenza di una folla di persone: polizia, carabinieri, vigili del fuoco, personale medico e dei Servizi sociali. Lo scenario non appare di per sé particolarmente utile a favorire l'accettazione del provvedimento da parte dei destinatari e anzi, di per sé, tendente ad accrescere la tensione. Così pure la rubricazione delle dichiarazioni di contrarietà della madre a atteggiamenti ostativi e resistenti appare non sufficientemente motivata. Da quanto si evince dalla documentazione sembra, inoltre, che sia stato realizzato un intervento sanitario sulla madre della minore, che non appare rispettoso della sfera emotiva della bimba. Così pure l'intervento, richiesto dagli operatori, del padre della minore a sostegno del prelevamento si colloca in una zona grigia procedurale e ha provocato una comprensibile resistenza da parte della minore.
  In ultima analisi, non sembra che l'accaduto (per l'estremizzazione delle opposte posizioni, la poca capacità di persuasione mostrata e di contro la tendenza a colpevolizzare le risposte emotive e le reazioni materne e degli altri familiari, la mancanza di una diplomazia personalizzata degli operanti, sempre intenti alla auto legittimazione) possa ritenersi conforme agli indirizzi della Cassazione ed ancora prima alle raccomandazioni fornite dalle vigenti circolari della Polizia di Stato.
  Un ulteriore caso che appare doveroso richiamare ha riguardato il minore G.T (Tribunale di Busto Arsizio). In questo caso, il prelievo forzoso è avvenuto all'esito di un'attività dei Servizi sociali territoriali caratterizzata da mancanza di sistematicità e coerenza, con una comunicazione inadeguata e da un probabilmente inconsapevole incentivo alla vittimizzazione e alla colpevolizzazione reciproca dei genitori. Senza tacere criticità nel modus operandi del Tribunale, che ha sostanzialmente demandato al CTU la scelta del regime di affidamento migliore per il minore. Nello specifico del prelevamento, questo è avvenuto sulla base di un generico decreto del Tribunale, che autorizzava il Servizio sociale ad avvalersi della forza pubblica «adottando le modalità meno invasive e più possibile rispettose». L'esito è stata un'operazione particolarmente sconclusionata, nella quale il prelievo del minore è avvenuto sulla pubblica piazza con la partecipazione del sindaco e vicesindaco del paese di Somma Lombardo, svariati operatori dei Servizi sociali, polizia, carabinieri e polizia municipale. Per far Pag. 71uscire dall'auto il minore, che resisteva, gli operanti hanno inoltre ricorso all'intervento del padre del minore, al di fuori di ogni protocollo e dello stesso tenore del decreto.
  La Commissione ha acquisito i relativi materiali dalla Polizia di Stato che con nota del questore di Varese del 14 giugno 2022, ha precisato che il personale operante si è attenuto alle Linee guida sui processi di sostegno e tutela dei minorenni e delle loro famiglie, anche svolgendo attività di dialogo e mediazione e senza utilizzo della forza, a causa dell'intervento del padre del minore. E tuttavia, se l'azione degli operanti di polizia può essere considerata, fino a prova contraria, corretta, rimane l'abnormità di un'operazione che ha visto l'intervento di una pluralità di soggetti, più o meno lecitamente presenti, che sono intervenuti in maniera pressoché autonoma e indipendente, senza che fosse chiaro chi dirigesse le operazioni e chi attuasse il bilanciamento tra l'esecuzione del provvedimento e l'interesse del minore. Si tratta di interventi che dimostrano soprattutto come l'assenza di qualunque regola procedurale cogente si traduca in una sostanziale mano libera lasciata al Servizio sociale e a componenti, anche non qualificati, dell'amministrazione comunale.
  Infine, nella nota vicenda del minore M.T. (che ha provocato anche una condanna del nostro Paese da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo), il Tribunale per i minorenni di Roma ha imposto una collocazione comunitaria di un minore caratterizzato da serie patologie mediche. Il prelievo forzoso è stato in questo caso attuato su istanza, alquanto stravagante, del curatore, con l'emissione anche di un ordine di rintraccio e con modalità particolarmente invasive, che sembrano aver omesso di considerare gli effetti traumatici dell'allontanamento del minore dalla madre e dai nonni materni, se fosse vero – come denunciato dalla madre del minore – che il prelievo coatto è stato effettuato in assenza di alcun rappresentante terzo del bambino (tutore/curatore) e in assenza di personale psicologo esperto. Vero è che in questa vicenda lo Stato italiano era stato condannato dalla Corte Edu (Ricorso 40910/19 A.T contro Italia), per non aver saputo garantire il diritto di visita del padre. La decisione fornisce diversi elementi sulle resistenze della madre, L.R., ma evidenzia anche i tempi lunghissimi di decisione delle Autorità giudiziarie interessate e le carenze dei Servizi sociali del Comune di Roma nell'organizzare gli incontri.
  A prescindere dalle esasperate posizioni materne che sono state assunte come motivazione del provvedimento, la catena dei provvedimenti assunti evidenzia, anche nel linguaggio, l'utilizzo dell'allontanamento come una sorta di sanzione a carico del genitore, mentre resta sullo sfondo qualsivoglia previsione di impatto sull'equilibrio psicofisico di un bambino, che già risulterebbe affetto da grave patologia. Peraltro, il collocamento in struttura ha, in concreto, privato il bambino dell'unica figura di riferimento affettivo costruita negli anni e sebbene alcune condotte ostative materne possano essere evinte dalla lettura degli atti, manca una verifica fattuale sui danni che in concreto la madre avrebbe cagionato al figlio. Va aggiunto che difetta anche una valutazione adeguata sulle ragioni per cui la signora si è rappresentata con tali modalità iperprotettive nei confronti del figlio minorenne. L'allontanamento, infine, così come eseguito, omette di considerare gli effetti traumatici sul minore, se, come sembra, non sono state applicate le Pag. 72misure di prevenzione e cautela che le stesse circolari della Direzione Anticrimine della Polizia di Stato prescrivono nell'esecuzione di simili provvedimenti.
  Al di là di ogni altra considerazione, nelle vicende esaminate non appare mai chiaramente motivato, neanche nei provvedimenti del tribunale, il requisito nella necessità ed urgenza, mentre nelle relazioni non sono quasi mai ben enucleate le iniziative poste in essere per sostenere il minore e minimizzare il rischio di trauma. Una lettura sistematica delle norme indurrebbe, del resto, a ritenere che il prelievo possa essere ritenuto lecito solo se non esplicitamente in contrasto con la volontà del minore. Non è invece da annettersi al provvedimento giurisdizionale l'effetto di autorizzare l'utilizzo della forza nei confronti del minorenne che espressamente esterni il rifiuto di essere allontanato dal proprio ambito domestico, specialmente se il minore stesso non è stato ascoltato.
  A maggior ragione suscitano perplessità i prelievi coattivi che sono stati perpetrati, in modo ingannevole, fraudolento o abusivo, addirittura mediante l'imposizione ingiustificata di trattamenti sanitari obbligatori (rispetto ai quali resta ancora da vagliare con serio approfondimento il ruolo avuto dall'Autorità giudiziaria), ovvero mediante la convocazione e il trattenimento del genitore in uffici amministrativi e il contemporaneo prelievo dei figli minorenni temporaneamente privati della custodia parentale e letteralmente ad essa sottratti. Ed ancora biasimevoli devono considerarsi gli allontanamenti effettuati nei luoghi oggetto del centro degli interessi del minore quali ad esempio la scuola. Tali procedure sono infatti suscettibili di produrre nel minore paure che si trasformano in veri e propri traumi, che difficilmente vengono superati.
  Rispetto a una tematica di così grande importanza, la Commissione ha deciso di interessare il Servizio centrale anticrimine della Polizia di Stato, acquisendone elementi di valutazione che qui si riassumono.
  In primo luogo, sono stati acquisiti dati quantitativi, che rivelano una estensione relativamente limitata della pratica. Sono stati in particolare acquisiti i dati rilevati dalle comunicazioni al Servizio centrale anticrimine della Polizia di Stato relativi all'esecuzione dei provvedimenti di allontanamento nell'ambito dei quali personale delle Divisioni anticrimine delle Questure è intervenuto a supporto, su disposizioni dell'Autorità giudiziaria (non si riferiscono quindi alla totalità dei procedimenti in cui siano intervenute le Forze dell'ordine).
  Per il quanto concerne il 2021 i dati indicano un totale di 232 interventi (136 nel periodo gennaio-giugno del corrente anno 2022), con una ripartizione regionale non omogenea.
  La Commissione ha poi preso cognizione del contesto operativo di riferimento e delle linee che definiscono le pratiche operative.
  A livello organizzativo si ricorda che sono stati istituiti, sin dal 1996, nell'ambito del «Progetto Arcobaleno», in ogni Questura, gli Uffici Minori delle Divisioni Anticrimine, con funzioni preventive e – come recita la circolare istitutiva – di «Pronto Soccorso» per il nucleo familiare in difficoltà e con funzioni di raccordo con gli altri Enti ed Istituzioni operanti sul territorio.
  Anche le più recenti disposizioni riguardanti le «Linee di indirizzo in materia di revisione dell'articolazione e delle competenze delle Pag. 73Divisioni Anticrimine delle Questure» (Circolare del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del 5 luglio 2018) prevedono l'Area Minori e vittime vulnerabili, per la «cura dei rapporti con gli uffici assistenziali del territorio e raccordo con il Tribunale per i Minorenni per i controlli presso le strutture nelle quali sono collocati temporaneamente i minori assicurando nel contempo le necessarie esigenze di intervento. Monitoraggio dei fenomeni delittuosi che vedono protagonisti i minori e coordinamento delle iniziative in favore delle vittime vulnerabili». L'Area costituisce la naturale continuazione degli Uffici Minori istituiti nel 1996, sia come punto di raccolta ed analisi delle informazioni concernenti i reati contro i minori e la devianza minorile, sia come referente dell'Autorità giudiziaria minorile.
  In ambito Centrale, la struttura di riferimento delle Questure e del Dipartimento della Pubblica Sicurezza è la Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, istituita nel 2005 con funzioni di indirizzo informativo anticrimine, analisi, progettazione e raccordo delle attività investigative e di controllo del territorio svolte dalle Questure. All'interno della Direzione operano il Servizio Centrale Operativo, il Servizio Controllo del Territorio, il Servizio Polizia Scientifica ed il Servizio Centrale Anticrimine, che, assieme all'Ufficio Affari Generali, costituiscono la struttura portante della Direzione.
  Il Servizio Centrale Anticrimine, costituito nel 2017, rappresenta l'interfaccia delle Divisioni Anticrimine delle Questure, garantendo l'espletamento di una fondamentale funzione di coordinamento, indirizzo ed impulso in settori ad alta valenza strategica, quali l'analisi dei fenomeni criminali e le misure di prevenzione, personali e patrimoniali, ed assicurando, al contempo, l'efficace esercizio delle attribuzioni delle Autorità provinciali di pubblica sicurezza. Inoltre, all'interno del Servizio Centrale Anticrimine esiste la Sezione «Violenza di genere e Vittime vulnerabili», competente per le iniziative riguardanti i crimini contro i minori e la violenza di genere e referente degli «Uffici Minori» delle Divisioni Anticrimine.
  Nel corso degli anni, la Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato ha fornito indicazioni alle Questure in tema di esecuzione di provvedimenti di allontanamento disposti dal Giudice minorile.
  In particolare il 4 agosto 2021, è stata emanata la circolare ai Questori sui «Provvedimenti emessi dal Tribunale dei Minorenni o dalla Procura dei minori a tutela dei minori. Istruzioni operative». Nella nota si è ritenuto utile riassumere e sottolineare, tra l'altro, alcune indicazioni operative, fornite nel corso degli anni, inerenti all'attività della «forza pubblica» attraverso gli Uffici Minori delle Divisioni Anticrimine delle Questure per i provvedimenti di allontanamento di minori dalla famiglia di origine, in esecuzione di decreti del Tribunale per i minorenni, in «ausilio» degli assistenti sociali. Sono stati in particolare richiamati:

  – il Vademecum per le Forze di Polizia del 2014, realizzato in collaborazione con l'Autorità Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza, con cui si è ribadito che la competenza dell'esecuzione dei provvedimenti civili dell'Autorità Giudiziaria è del Servizio sociale e che le Forze di polizia intervengono e prestano ausilio solo se richiesto dal Tribunale competente. Nel documento è precisato che, in caso di pericolo dovuto ad abbandono materiale e/o morale, l'allontanamento Pag. 74dalla residenza familiare può essere eccezionalmente operato d'urgenza, su iniziativa della pubblica autorità, rappresentata dai servizi sociali e, eventualmente, dagli organi di Polizia che dovranno coordinarsi con i servizi sociali;

  – le Linee guida sui processi di sostegno a tutela dei minorenni e delle loro famiglie, definite in seno al Tavolo di lavoro presso l'Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali, cui, nel 2015, ha collaborato la Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato. Con questo documento, che ha aggiornato le precedenti «linee guida» del 2010, sono stati forniti strumenti di indirizzo e raccomandazioni per gli operatori, con focus sulle modalità di intervento nei casi di allontanamento dalla casa familiare. È stata sottolineata, tra l'altro, la necessità di privilegiare modalità spontanee di allontanamento, favorendo la collaborazione dei familiari coinvolti, nonché quella di evitare il ricorso alla forza pubblica, se non come modalità residuale ed estrema, da attuarsi con il coinvolgimento di personale in borghese e formato.

  Da ultimo, l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno e il Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Assistenti Sociali hanno siglato un Protocollo d'intesa, il 31 maggio 2022, per la realizzazione di iniziative congiunte indirizzate anche agli operatori della Polizia di Stato, tra cui è prevista la realizzazione di iniziative di formazione ed informazione degli operatori, oltre alla stesura di linee guida.
  Il Protocollo d'intesa, che istituisce un tavolo di lavoro in tali ambiti, ha la finalità di: definire univoche modalità operative per rendere chiari e uniformi gli interventi delle Forze di Polizia, in relazione alle attività in cui sia previsto l'intervento della Forza pubblica nella esecuzione di provvedimenti de potestate adottati dall'Autorità giudiziaria, anche al fine di favorire sinergie con gli operatori professionali del settore dell'infanzia e dell'adolescenza; promuovere iniziative di formazione multidisciplinare sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e per diffondere le modalità operative raccomandate; individuare eventuali problematiche e criticità nella normativa di settore o/e nella applicazione della stessa, anche al fine di eventuali proposte nelle sedi opportune.
  Gli impegni dei soggetti interessati sono i seguenti:
  Il Dipartimento della Pubblica sicurezza, si impegna, tra l'altro, a:

  – diffondere linee guida volte a definire modalità efficaci riguardanti i compiti dell'Autorità di Pubblica sicurezza, diffondere linee guida volte a definire modalità efficaci di esecuzione in tutti quei casi in cui siano previste attività della Polizia di Stato, quale Forza dell'Ordine, in relazione agli interventi della «Forza pubblica», anche in ausilio ad altri soggetti istituzionali. In particolare, le linee guida riguarderanno le procedure relative a provvedimenti d'urgenza, previsti dall'art. 403 Codice civile, ed i provvedimenti de potestate adottati dal Giudice ai sensi degli articoli 330 e segg. del Codice civile, nei casi in cui venga richiesto un intervento della Forza pubblica;

  – coinvolgere, per la diffusione degli esiti, le articolazioni territoriali dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, promuovendo la collaborazione con i Garanti per l'infanzia e l'adolescenza delle Regioni Pag. 75e delle Province autonome, ove istituiti, nonché con i Consigli regionali dell'Ordine degli assistenti sociali.
  Il Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali si impegna tra l'altro a collaborare alla predisposizione di linee guida volte a definire modalità efficaci riguardanti il ruolo di supporto dell'Autorità di Pubblica Sicurezza e delle altre Forze di polizia – di segnalazione e informazione e di esecuzione in tutti quei casi in cui siano previste attività della Polizia di Stato, quale Forza dell'Ordine, in relazione agli interventi della «Forza pubblica», con i compiti di ausilio ad altri soggetti istituzionali, e a sviluppare iniziative culturali e formative per le persone ed i professionisti finalizzate alla promozione dei diritti e dei doveri di tutti, allo sviluppo di competenze tecniche e professionali comuni.
  L'Autorità garante assume invece funzioni di promozione del Protocollo e di attività formative connesse.
  Riguardo all'iniziativa di stilare un protocollo, si deve osservare che essa costituisce un apprezzabile tentativo di superare le incertezze applicative che hanno potuto determinare nel corso degli anni forme di abuso e di compressione dei diritti dei minori. Così pure le circolari citate appaiono chiare nel definire che il ricorso alla forza pubblica, è una modalità residuale ed estrema, da attuare con personale in borghese, al fine del mantenimento dell'ordine pubblico o della necessità di salvaguardare l'incolumità fisica delle persone, pur se estranee.
  Allo stesso tempo, tutti questi documenti appaiono caratterizzati da enunciazioni di principio, spesso generiche o tautologiche, sprovviste di indicazioni procedurali e pratiche precise, al fine di eseguire i provvedimenti in maniera rispettosa dell'interesse del minore e dei principi di legalità. Del resto, già le disposizioni con cui il Tribunale prescrive l'uso della forza pubblica non appaiono quasi mai motivate in maniera analitica e sulla base di criteri certi.
  Per quanto riguarda le istruzioni operative, la condivisibile prescrizione a operare in «modalità che rendano meno traumatico l'evento» lascia in concreto dei margini operativi larghissimi. Allo stesso modo, l'invito a «collaborare con i servizi sociali per vincere l'eventuale resistenza dei genitori o di chi ha la tutela del minorenne» è un enunciato generico, che lascia una eccessiva discrezionalità: a quale livello di «resistenza» le Forze di polizia possono intervenire e quali condotte pragmatiche implica la collaborazione con i Servizi sociali per dover «vincere l'eventuale resistenza»? Infine, appare un mero auspicio che personale di polizia, che opera in un contesto di ausilio al Servizio sociale e quindi anche con dubbia autonomia, possa, come raccomandato, nel corso di un'esecuzione forzosa spesso concitata tenere «conto dell'età e della capacità di comprensione, spiegare [al minore] la situazione che sta vivendo le ragioni del provvedimento ed il suo significato ascoltare i suoi vissuti e sentimenti i suoi problemi e le sue aspettative; accogliere in un luogo idoneo e considerare per quanto sia possibile i suoi desideri
  Va naturalmente considerato che gli operanti di polizia intervengono in ausilio in una situazione in cui è sostanzialmente il Servizio sociale territoriale a definire modalità e spazi di intervento, essendo i decreti dei tribunali stereotipati e in genere privi di indicazioni specifiche.Pag. 76
  A tale proposito, va ricordato che anche il Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti Sociali ha elaborato delle Linee guida per gli interventi di allontanamento (https://www.osservatoriofamiglia.it/include/open-pdf.php?iddocumento=821 ). Secondo questo documento, l'intervento di allontanamento del minore deve essere «accompagnato da un'opportuna e approfondita indagine psicologica e sociale nell'interesse della persona di età minore, dei suoi genitori e della famiglia allargata; al minorenne devono essere garantiti, in ogni fase i diritti di informazione, di ascolto e, se fornito della capacità di discernimento, la possibilità di esprimere la sua opinione; i genitori e i fratelli eventualmente non allontanati devono essere informati, prima, durante e dopo l'allontanamento e coinvolti – ove possibile, nell'interesse del minorenne – nella scelta delle relative modalità e devono essere privilegiate le modalità di accompagnamento all'allontanamento, che favoriscono la collaborazione dei genitori e di altri familiari coinvolti».
  Non sembra che queste pratiche siano particolarmente attuate nelle vicende di allontanamento coattivo, né che il minore sia sostenuto adeguatamente nell'elaborazione dell'evento legato alla separazione dal suo ambiente di vita, che anche se inidoneo, è comunque una realtà conosciuta.
  Anche alla luce dei casi esaminati, la Commissione non ritiene che una materia tanto delicata possa essere rimessa a protocolli di intesa tra istituzioni e ordini professionali, che hanno più il valore di dichiarazioni di intenti che di tassative regole operative. Si ragiona, infatti, di diritti incoercibili di minori e famiglie, che non possono essere posti nella piena disponibilità dell'amministrazione o, di ordini professionali, nell'ambito di procedimenti fondati su decreti stereotipati e privi di regole esecutive tassative.
  Il corretto approccio è individuato con cristallina chiarezza nella requisitoria del sostituto procuratore presso la Corte di Cassazione, Francesca Ceroni, nel ricorso RG. n. 21633/21 (28 dicembre 2021), che appare pienamente condivisibile.
  Nella requisitoria si osserva che le norme che prevedono l'allontanamento con il ricorso alla forza pubblica del minore dalla residenza familiare, il suo collocamento in località segreta, il divieto di comunicare, sono rispettose del quadro costituzionale solo nella ipotesi in cui la limitazione dei diritti del minore sia limitata nel tempo e strettamente funzionale alla sua incolumità. Solo l'emergenza può giustificare una limitazione della libertà personale, che può essere ristretta «nei soli casi e modi previsti dalla legge» (art. 13 Cost.) e quindi, allo stato della legislazione.
  La materia è soggetta a riserva assoluta di legge. La disciplina dell'allontanamento coattivo con l'ausilio della forza pubblica e del collocamento sine die in struttura protetta, deve dunque trovare espressa e integrale regolamentazione nella legge o in un atto equiparato, allo stato inesistente, e non in atti di dubbia efficacia come linee guida. Certamente, la Corte di Cassazione potrà fornire, come in parte ha fatto, la corretta interpretazione dell'art. 330 e 333 c.c., che prevedono «l'allontanamento del minore dalla residenza familiare» e dell'art. 68 cod. proc. civ, che consente al giudice di richiedere «l'assistenza della forza pubblica», alla luce dei principi costituzionali. Tuttavia, appare Pag. 77a questo punto urgente definire delle norme procedurali relativi agli allontanamenti forzosi stringenti e concretamente verificabili.
  A confermare l'esigenza di una procedimentalizzazione rigorosa, sta la recente riforma dell'art. 403 c.c, prevista dalla legge 206/2021 ed entrata in vigore il 22 giugno 2022. Sulla base della nuova formulazione, quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o si trova esposto, nell'ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psicofisica e vi è dunque emergenza di provvedere, la Pubblica Autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione. La Pubblica Autorità che ha adottato il provvedimento, ne dà immediato avviso orale al Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni, nella cui circoscrizione il minore ha la sua residenza abituale. Entro le 24 ore successive al collocamento del minore in sicurezza, con l'allontanamento da uno o da entrambi i genitori o dai soggetti esercenti la responsabilità genitoriale, deve essere trasmesso al Pubblico Ministero il provvedimento, corredato di ogni documentazione utile e di sintetica relazione che descrive i motivi dell'intervento a tutela del minore. Il Pubblico Ministero, entro le successive 72 ore, se non dispone la revoca del collocamento, chiede al Tribunale per i Minorenni la convalida del provvedimento. Si è così passati da una mera formulazione di principio (il vecchio testo dell'articolo 403 c.c), che lasciava mano libera anche quando un tempestivo provvedimento del giudice non fosse stato possibile, ad una vera e propria norma di procedura.
  La legge 206/2021 non ha purtroppo introdotto norme veramente cogenti sugli allontanamenti forzosi. Ha infatti disposto che «l'uso della forza pubblica, sostenuto da adeguata e specifica motivazione, sia limitato ai soli casi in cui sia assolutamente indispensabile e sia posto in essere per il tramite di personale specializzato». Occorrerà dunque valutare se le Autorità giudiziarie motiveranno adeguatamente i provvedimenti, cosa che ora spesso non accade.
  Conclusivamente, sul piano normativo, va ribadito che la misura dell'allontanamento dei figli dai genitori costituisce una deroga eccezionale al diritto di crescere e di essere educato all'interno della propria famiglia, quando essi siano a rischio di grave pregiudizio alla loro incolumità psicofisica. I gravi motivi che stanno alla base di questa misura devono essere interpretati in maniera specifica e proporzionale, ricorrendo agli ordinari mezzi di prova. In particolare, al contrario dei provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale, la decadenza dalla responsabilità dovrebbe essere realizzata solo quando il rapporto non sia più oggettivamente recuperabile e il pregiudizio per il minore sia attuale.
  L'esecuzione di tali provvedimenti andrebbe ricondotta a maggiore compatibilità con i principi costituzionali, specialmente nel caso di resistenze della famiglia o, a maggior ragione, del minore, che deve essere ascoltato. Anche se gli allontanamenti forzosi sono relativamente limitati, resta che l'allontanamento coatto del minore è spesso eseguito secondo prassi di dubbio fondamento, che si traducono in una escalation di statuizioni e atti che tendono a perseguire esclusivamente la tutela della decisione dell'Autorità giudiziaria, anche con modalità sproporzionate e irragionevoli, che comprimono i diritti fondamentali Pag. 78del minore. Il tema è del resto tornato anche nella ordinanza della Cassazione nella c.d «vicenda Massaro», che ha rilevato la non conformità ai principi dello Stato di diritto di un allontanamento che si intendeva svolgere con modalità autoritative, senza aver ascoltato il minore e in spregio dei traumi che esso avrebbe potuto comportare.
  Su un piano operativo, l'allontanamento del minore dalla famiglia d'origine, effettuato con le dovute cautele, seguendo rigorose linee guida elaborate, con il supporto di professionisti competenti e con formazione specifica in materia, rimane pur sempre un'azione dolorosa e traumatica e quindi da adottare solo in casi particolarmente gravi con la finalità di realizzare una possibilità concreta di aiuto per il minore e per la sua famiglia, mirato a garantire l'interesse superiore del minore. La misura infatti è finalizzata solo ad evitare che la situazione di pregiudizio del minore si aggravi ed è quindi necessaria ad interrompere una situazione di pericolo imminente. Non è, come spesso si è osservato, un mezzo di pressione su un genitore o una famiglia ritenuta poco collaborativa e, tanto meno, uno strumento per forzare la volontà del minore. Deve invece diventare, per quanto possibile, un'opportunità terapeutica per la famiglia che può utilizzare la separazione genitori-figli per recuperare alcune funzioni relazionali compromesse.
  Per questo motivo all'allontanamento dovrebbe essere sempre affiancato un effettivo percorso di sostegno genitoriale non con approccio normativo, giudicativo e colpevolizzante, bensì nell'ottica di far comprendere loro le criticità riscontrate, far recuperare la loro capacità genitoriale e permettere il rientro del minore in famiglia. Assegnare colpe in genere ad uno dei genitori, talora ad entrambi, e utilizzare la minaccia dell'allontanamento forzoso, delinea un solco nel quale qualsiasi attore del procedimento di famiglia può facilmente inserirsi a discapito dell'interesse primario del minore: i giudici con sentenze superficiali e apodittiche, i servizi sociali entrando nel loop del contraddittorio personale con il genitore, gli avvocati delle parti costretti a raccogliere le istanze di rivalsa dei loro assistiti.

   e) verificare l'effettiva temporaneità dei provvedimenti di affidamento;

  Il dato non è pienamente rilevabile, alla luce della mancanza di banche dati aggiornate, come sopra si è detto.
  Secondo la citata Relazione sullo stato di attuazione (p. 100) il 55% dei Tribunali dispone affidamenti eterofamiliari sine die, una prassi che sembra prestarsi a diversi rilievi di compatibilità con la normativa a tutela dei minori. Inoltre, sempre secondo la stessa fonte, il prolungamento dell'affidamento è stato disposto nell'anno 2019 «spesso» dal 45% dei Tribunali (13), «raramente» dal 42% dei Tribunali (12) e in nessun caso dal 10% dei Tribunali (3). Un Tribunale non ha rilasciato informazioni sul punto. Purtroppo, così formulato, il dato risulta generico, ma lascia intuire uno sfondo fatto di valutazioni caso per caso.
  Va anche, a questo proposito, segnalata, anche se ormai risalente, una pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo, che getta una luce sinistra sul modo in cui vengono talora interpretati i principi relativi all'affidamento. Si tratta della sentenza del 22 giugno 2017, ric. Pag. 79n. 37931/15, Barnea e Caldararu c. Italia. Con tale sentenza, la Corte si è pronunciata sul ricorso sollevato dai familiari di una minore di pochi mesi che era stata allontanata dal nucleo familiare per decisione del Tribunale per i minorenni, che ne aveva disposto il collocamento in comunità (nel 2009) e, successivamente, l'affidamento presso una famiglia (avvenuto nel 2010). La Corte di Appello competente – adita dai genitori – aveva riformato la decisione del Tribunale e ordinato il reinserimento della bambina nel nucleo d'origine, disponendo che fosse attuato un programma per il riavvicinamento tra i genitori e la figlia con l'assistenza dei servizi sociali (2012). Tale programma non era stato attuato e il Tribunale per i minorenni, adito dai genitori naturali, aveva evidenziato le difficoltà (dovute al tempo trascorso) per il ritorno della minore presso la famiglia di origine e nel 2014 aveva ordinato l'apertura di una nuova procedura per la decadenza dalla responsabilità genitoriale. La Corte d'appello nuovamente adita, aveva a sua volta riconosciuto la capacità dei genitori naturali, ma aveva quindi confermato l'affidamento della minore in considerazione del notevole lasso di tempo trascorso ed aveva successivamente disposto un regime di incontri tra i ricorrenti e la figlia (2015). Alla fine, nel 2016, il Tribunale per i minorenni, aveva disposto il rientro della minore nel nucleo d'origine, rilevando come in precedenza l'affidamento provvisorio non avrebbe dovuto essere prorogato (2016).
  La Corte europea, chiamata a pronunciarsi sulla violazione dell'art. 8 della Convenzione europea (diritto al rispetto della vita familiare), ha evidenziato la necessità (che sembrerebbe ovvia) che le relazioni tra genitore e figlio non siano regolate dal semplice trascorrere del tempo. Ha pertanto affermato che «le autorità italiane non si sono impegnate in maniera adeguata e sufficiente per far rispettare il diritto dei ricorrenti», sottolineando che il tardivo rientro del minore era in sostanza conseguenza dell'inerzia dei Servizi sociali e delle Autorità giudiziarie.
  Sulla base dei dati del 2019 raccolti dal sistema dei Servizi sociali, la citata Relazione sullo stato di attuazione evidenzia (pp. 88-108) due elementi abbastanza noti che dovrebbero portare i Ministeri competenti a compiere un approfondimento anche sul piano normativo.
  Il primo elemento è che quasi il 40% dei minori in affidamento familiare lo è per un periodo uguale o superiore ai quattro anni, mentre il 21,6% è in affidamento per un periodo compreso tra i due o quattro anni. Si conferma dunque che l'affidamento familiare non ha sostanzialmente carattere temporaneo.
  Il dato è anche più eclatante se si considerano gli esiti al termine dell'affido. I dati sui bambini e adolescenti che hanno concluso l'affidamento familiare nel corso del 2019 secondo la sistemazione post accoglienza evidenziano una media nazionale di rientri in famiglia di origine del 34%, pur con variabilità regionali, ma per il 10% si passa a un affido familiare e per il 15,4% si passa a una collocazione in struttura residenziale. In pratica per un quarto dei minori in affido familiare, c'è una prosecuzione dell'affido in altra forma.
  Il secondo elemento è che, per quanto riguarda la collocazione in comunità, il periodo risulta molto più breve. Infatti, considerando i bambini e adolescenti nei servizi residenziali per minorenni secondo la durata della permanenza al 31/12/2019 risulta che per il 43% la permanenza è inferiore all'anno e per il 29,7 da uno o due anni, per Pag. 80il 14,2% da due a quattro anni e per il 7% oltre i quattro anni. Il dato non deve tuttavia suscitare facili ottimismi, alla luce di tre considerazioni. In primo luogo esso appare fortemente legato all'elevata età media degli accolti (il 47,8% dei quali ha tra i 15 e 17 anni). In secondo luogo, i dati nulla ci dicono sulla storia precedente di questi minori, considerando ad esempio che, come si è detto, oltre il 15% dei minori passa dall'affido familiare all'affido in comunità. Infine, preoccupa il dato sugli esiti di questi affidi comunitari (pag. 23-24 della citata Relazione sullo stato di attuazione). Solo nel 24,3% c'è infatti il rientro nella famiglia di origine e per l'8,5% l'affidamento familiare, mentre per ben il 29,1% c'è il passaggio ad altro servizio residenziale e per il 12% la destinazione ignota (di norma la fuga). Tali dati appaiono in linea con quelli della precedente rilevazione su dati 2017 che indicava come esito per circa il 28,7% dei dimessi il passaggio ad altra struttura residenziale, anche qui con un 14,5% di allontanamenti spontanei e solo un 21,8% di rientro in famiglia.
  Al contrario di quello che si potrebbe evincere dai dati grezzi oggetto di monitoraggio, l'affidamento in comunità sembra dunque presentare una notevole vischiosità nel tempo, che è indice della difficoltà o dell'incapacità ad individuare percorsi per il superamento delle situazioni che lo avevano motivato.
  Allo stato dei dati non è facile individuare una spiegazione monocausale del fenomeno. Sarebbe certamente semplicistico imputare l'allungamento del collocamento al persistere delle carenze familiari che l'hanno motivato, senza considerare quale concreta progettualità sia nel frattempo stata realizzata a vantaggio dei minori e delle famiglie. Il tema dovrebbe dunque essere ulteriormente indagato, considerando anche la criticabile prassi di emettere provvedimenti provvisori e «aperti». Questi, peraltro, non sembrano compatibili con l'articolo 8 della CEDU sul rispetto della vita privata e familiare da parte dello Stato contraente che abbia una legislazione che consenta che questo tipo di provvedimenti possano essere indeterminati.
  In prospettiva, occorre che, conformemente allo spirito della normativa, si individui ab origine il periodo di durata, oltre il quale si impone una nuova valutazione del giudice, e i criteri di pronta segnalazione di qualunque mutamento, anche afferente alla condizione psicologica del minorenne, a sue manifestazioni di sofferenza e al mutamento delle sue esigenze, che determinino la necessità di considerare e vagliare nuovamente l'opportunità del reinserimento nella famiglia.
  Ultima circostanza da prendere in considerazione è il prolungamento della collocazione in struttura comunitaria sino ai 21 anni, dato difficile da reperire non trattandosi più di soggetti minorenni e quindi spesso non inserito nelle statistiche.
  Dai dati sovra riportati appare quanto mai necessaria una modifica normativa che stabilisca modi e tempi precisi per valutare l'eventuale proroga della collocazione del minore fuori famiglia, che dovrà essere deciso solo ed esclusivamente con un provvedimento dell'Autorità giudiziaria, nel rispetto del contraddittorio con la famiglia di origine e previa valutazione dell'andamento del progetto onde evitare il frequente fallimento dello stesso.

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   f) verificare il rispetto dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per le strutture di tipo familiare e le comunità di accoglienza dei minori ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro per la solidarietà sociale 21 maggio 2001, n. 308, nonché il rispetto degli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che in base alla disciplina statale e regionale devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare che accolgono minori;

  La questione va inquadrata alla luce del complesso riparto di competenze tra Stato e regioni. In particolare, il D.M. n. 308 del 21 maggio 2001 «Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell'articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328», ha fissato i requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo diurno e residenziale di cui alla legge 328/2000 (riferiti alle diverse utenze, quindi per minori; disabili; anziani; persone affette da AIDS; persone con problematiche psico-sociali), con previsione di requisiti specifici per le comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni. Per tali strutture non vengono tuttavia indicati requisiti o standard comuni. Il decreto n. 308 del 2001, infatti, si limita ad indicare che queste devono possedere i requisiti strutturali previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione, mentre per le comunità che accolgono minori, il decreto lascia che i requisiti siano stabiliti dalla regione territorialmente competente.
  Va a questo proposito ricordato che, nel quadro delle competenze costituzionalmente definite dalla Riforma del Titolo V, ai sensi del comma quarto dell'articolo 117 della Costituzione, le Regioni sono titolari di potestà legislativa piena ed esclusiva nel settore dell'assistenza sociale. D'altra parte, l'art. 117 comma II, lett. m) assegna allo Stato la competenza per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantirsi su tutto il territorio nazionale.
  In questo quadro l'articolo 8 della legge quadro 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, stabilisce che allo Stato spetta l'esercizio dei poteri di indirizzo e coordinamento e di regolazione delle politiche sociali, l'individuazione dei livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni, comprese le funzioni in materia assistenziale all'interno del settore penale, svolte per minori ed adulti dal Ministero della giustizia, nonché la fissazione dei requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, compresa la previsione di requisiti specifici per le comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni.
  Alle Regioni spetta, invece, definire i criteri per l'autorizzazione (il provvedimento abilitativo, rilasciato da un Ente pubblico, che consente la realizzazione di strutture e l'esercizio di attività sanitarie, sociosanitarie e sociali), l'accreditamento e la vigilanza delle strutture. La Regione definisce tali criteri integrando i requisiti minimi nazionali in relazione alle esigenze locali e definisce i processi e le procedure di autorizzazione, identificando i soggetti pubblici che le rilasciano.
  Ai Comuni, infine, è confermata la titolarità delle funzioni amministrative riguardanti i servizi sociali a livello locale e le funzioni di Pag. 82programmazione e progettazione da realizzare attraverso i Piani di zona nell'ambito del sistema di servizi sociali a rete, costituito dall'insieme dei soggetti pubblici e privati. Al Comune spetta anche, oltre all'erogazione dei servizi e delle prestazioni economiche, anche la vigilanza sui soggetti che costituiscono questo sistema, fra cui i servizi sociali e le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica.
  Se dai principi generali si passa al concreto funzionamento del sistema, va innanzi tutto ricordato che l'art. 1, comma 2, del D.M. n. 308 del 21 maggio 2001 impegna le regioni a recepire e integrare, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi strutturali e organizzativi fissati dallo stesso decreto. Il successivo art. 5 detta i requisiti comuni delle strutture a ciclo diurno e residenziale relativamente a: ubicazione, suddivisione degli spazi, figure professionali presenti, adozione dei piani individualizzati di assistenza e, per i minori, di un progetto educativo individuale. A tali requisiti, si affiancano i requisiti specifici elencati dall'articolo 7 che individuano quattro diverse tipologie di strutture: strutture a carattere comunitario; strutture a prevalente accoglienza alberghiera; strutture protette; strutture a ciclo diurno. Infine, l'allegato A indica i requisiti strutturali, gli arredi e le attrezzature richieste nonché le diverse tipologie di prestazioni erogate.
  L'articolo 3 dello stesso decreto è invece dedicato a «Strutture di tipo familiare e comunità di accoglienza minori», ovvero a comunità di tipo familiare e a gruppi appartamento con funzioni di accoglienza e bassa intensità assistenziale, che accolgono fino ad un massimo di sei utenti (anziani, disabili, minori o adolescenti, adulti in difficoltà) per i quali la permanenza nel nucleo familiare è temporaneamente o permanentemente impossibile o contrastante con il progetto individuale.
  Per tali strutture non vengono indicati requisiti o standard comuni. Il decreto rinvia infatti ai requisiti strutturali previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione, mentre per le comunità che accolgono minori, gli specifici requisiti organizzativi, adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini e degli adolescenti, devono essere stabiliti dalle regioni.
  Conseguentemente, oggi il panorama delle strutture residenziali per minori presenta caratteristiche diverse da regione a regione. In mancanza di una indicazione nazionale univoca delle varie tipologie, la definizione dei requisiti è resa particolarmente complessa dalla pluralità di fonti, nazionali e regionali, che definiscono gli standard delle comunità, le procedure di accreditamento, gli strumenti di controllo. In questo ambito appare dubbia la vincolatività delle Linee di indirizzo per l'affidamento familiare (2012) e delle Linee di indirizzo per l'accoglienza nei servizi residenziali per i minorenni (2017), che sono strumenti di armonizzazione e orientamento di tipo generale. Sotto il profilo degli effetti giuridici, viene espressamente dichiarato che le linee di indirizzo non si sostituiscono alle legislazioni regionali, ma offrono un quadro di riferimento complessivo organizzato nella forma delle «raccomandazioni». Le raccomandazioni non hanno una forza cogente, ma rappresentano in ogni modo un punto di incontro tra esperienze e letteratura che costituisce un riferimento unitario per gli enti locali. Va ricordato a tale proposito che sia il Comitato Onu sui diritti dell'infanzia,Pag. 83 sia il Garante nazionale hanno più volte, e anche recentemente, raccomandato l'implementazione delle linee guida in tutte le regioni.
  Per quanto attiene ai costi, la stessa Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, nell'audizione del 6 ottobre 2021, ha sottolineato la necessità di passare dalle macro voci ad una indicazione specifica di costi medi e di arrivare a una denominazione condivisa, che consenta di individuare con chiarezza le peculiarità organizzative e strutturali dei servizi residenziali. Analoga esigenza è stata sottolineata anche da altri auditi, come Gianni Fulvi, Presidente del Coordinamento Nazionale delle Comunità per Minori di tipo familiare.
  La Commissione ha valutato di operare in maniera specifica, delegando ai Carabinieri del NAS di effettuare ispezioni in comunità terapeutiche o familiari sulla base delle notizie acquisite o degli esposti ricevuti. Allo stesso tempo si è richiesto ai Presidenti delle regioni una nota relativa alla normativa regionale vigente in materia e agli strumenti posti in essere al fine di garantire il rispetto degli standard citati (come a titolo di esempio procedure di accreditamento, controlli preventivi o successivi etc.).
  Per quanto attiene le regioni, dalle non molte risposte trasmesse, emerge la nota variabilità. Ad esempio, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha rimandato alla legge regionale 31 marzo 2006, n. 6 (Sistema integrato di interventi e servizi per la promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale), precisando però che il relativo regolamento attuativo è in procinto di iniziare l'iter per la sua approvazione e si prevede che entrerà in vigore nel mese di settembre/ottobre. Allo stato è dunque ancora vigente l'antico regolamento emanato con decreto del Presidente della Regione 14 febbraio 1990, n. 83. In Basilicata, invece, è vigente dal 2017 un Manuale per l'autorizzazione dei Servizi e delle strutture, adottato con delibera regionale ai sensi degli artt. 10, comma 1 lettera i e 21, comma 1, della Legge regionale 14 febbraio 2007, n. 4, nonché in attuazione dell'art. 1, comma 2, del DM 308/2001. Vero è che occorrerebbe scendere dal piano strettamente normativo e organizzativo a una concreta analisi delle prassi in vigore per l'accreditamento delle strutture, anche per chiarire quali verifiche vengano compiute dopo l'accreditamento iniziale.
  Per quanto attiene le ispezioni, l'attività ispettiva condotta dai NAS su delega della Commissione, volta alla verifica delle autorizzazioni possedute, dei requisiti strutturali, gestionali e organizzativi, anche con riferimento alle qualifiche possedute dal personale impiegato, nonché al controllo del rispetto degli standard igienico-sanitari e di sicurezza, si è concretizzata nell'effettuazione, tra novembre 2021 e giugno 2022, di 21 accessi presso altrettante strutture di diversa tipologia e in varie regioni, 6 delle quali erano già state oggetto di precedenti controlli da parte dei medesimi NAS o di altri enti territorialmente competenti, tra il 2018 e il 2021, rilevando in taluni casi irregolarità che, al successivo accesso, sono risultate sanate. Le verifiche hanno riguardato aspetti:

   autorizzativi;

   infrastrutturali, manutentivi, nonché relativi alla sicurezza dei locali e pulizia degli ambienti;

   relativi alle modalità di gestione della cucina (procedure di preparazione dei pasti, conservazione delle derrate alimentari, etc.);

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   connessi con il numero di ospiti presenti rispetto ai posti letto autorizzati;

   sanitari, relativi anche alle procedure di contenimento e gestione dell'emergenza COVID-19;

   correlati con la verifica del possesso dei previsti titoli di studio e abilitazioni professionali da parte degli operatori e del personale ivi impiegato.

  In 10 delle 21 strutture ispezionate sono state riscontrate lievi irregolarità o inadeguatezze, per lo più necessitanti di ulteriori verifiche e approfondimenti documentali, che sono state segnalate alle competenti Autorità sanitarie e amministrative per le valutazioni del caso, in relazione ai rispettivi ambiti d'interesse (ASL, Regione, Comune, Vigili del fuoco e Questura). Tali irregolarità hanno riguardato, ad esempio, inadeguatezze funzionali relative ai dispositivi antincendio e alla sicurezza sul lavoro, incongruenze rispetto al numero posti letto/ospiti, inadeguatezze infrastrutturali o carenze manutentive.
  In un solo caso, si è reso necessario interessare l'Autorità giudiziaria in merito alla posizione di due operatori, risultati essere in possesso di titoli di studio e abilitazioni non adeguate all'esercizio delle specifiche mansioni professionali cui erano preposti.
  Nel complesso le ispezioni non hanno fatto emergere criticità tali da richiedere l'adozione d'interventi in via cautelare, né provvedimenti immediati di chiusura o sospensione delle attività svolte nelle strutture, restituendo, nel complesso, un quadro caratterizzato da esiti prevalentemente regolari rispetto ai requisiti di legge.
  Le ispezioni compiute su mandato dalla Commissione, in alcuni casi con la partecipazione dei commissari, hanno dunque consentito di disporre di un'esemplificazione significativa della situazione, ma rimane da approfondire in quale misura le attività di vigilanza esercitate dagli organi preposti consentano di ricevere tempestivamente notizia di criticità o reati. Sotto questo punto di vista hanno destato preoccupazione vicende come quelle delle comunità riconducibili alla Serimper, per la quale la Commissione si è limitata ad acquisire notizie, essendo in pieno corso un'inchiesta della Procura di Massa.
  Accanto a ciò, la Commissione ha compiuto alcune verifiche per valutare se e in quale misura tali attività ispettive vengano svolte dal Procuratore presso il Tribunale per i minorenni che, a norma dell'art. 9. della legge 149/2001, «ogni sei mesi, effettua o dispone ispezioni negli istituti di assistenza pubblici o privati ai fini di cui al comma 2. Può procedere a ispezioni straordinarie in ogni tempo». In proposito, la citata Relazione sullo stato di attuazione contiene (pp. 102 e ss.) i risultati di un questionario somministrato alle Procure. Da esso emerge che le Procure ritengono generalmente esaustive le relazioni inviate dalle Comunità e che il 79% di esse pianificano ispezioni annuali presso le strutture residenziali, che vengono effettuate, nella maggior parte dei casi, con frequenza semestrale o annuale, oppure ogni 18 mesi o con cadenza triennale. Invece, il 21% delle Procure non programma lo svolgimento delle ispezioni ordinarie, con ciò eludendo sostanzialmente il dettato della legge.
  Se poi si considerano i dati relativi alle singole procure, spicca l'assenza di Procure importanti come quella di Roma, come pure, in Pag. 85positivo, le numerose ispezioni effettuate dalle Procure di Bologna, Milano, Ancona e Palermo.
  Va ancora ricordato, sempre sulla base della citata Relazione sullo stato di attuazione, che le ispezioni hanno avuto in diversi casi molta efficacia. Ad esempio la Procura di Bologna ha promosso, nel 2019, ben 21 provvedimenti amministrativi per la chiusura delle strutture. Risulta perciò tanto più grave che alcune Procure non abbiamo risposto o non abbiano effettuato un numero significativo di ispezioni.
  La Commissione ha proceduto ad una autonoma raccolta di dati, somministrando un questionario, a cui hanno risposto 18 procure (manca, anche in questo caso Roma, le cui Autorità giudiziarie si sono sottratte a qualunque verifica del loro operato). Il questionario era molto semplificato e poneva tre quesiti:
  Numero di ispezioni compiute dal Procuratore della Repubblica presso gli istituti di assistenza;
  Numero di ispezioni straordinarie disposte dal Procuratore della Repubblica presso gli istituti di assistenza;
  Numero di elenchi, da parte di istituti di assistenza pubblici o privati e Comunità di tipo familiare, aventi ad oggetto tutti i minori collocati presso di loro, pervenuti semestralmente al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni;

  I dati acquisiti presentano diversi limiti, soprattutto perché sono stati forniti in modo cumulativo. Nondimeno essi presentano un certo interesse, anche perché si riferiscono agli ultimi anni e consentono uno sguardo diacronico.
  Il primo elemento che emerge è l'estrema variabilità. Ci sono Procure che hanno compiuto un numero veramente cospicuo di ispezioni, come Milano (416 nel 2019; 142 nel 2020; 85 nel 2021; 199 nel corrente anno), Bari (131 nel 2021), Palermo (157 nel 2021). Particolarmente attiva appare la Procura di Ancona, che ha svolto 248 ispezioni ordinarie nel 2020, 119 nel 2021 (a causa della pandemia) e 113 nel primo semestre 2022. Il procuratore ha segnalato anche un'interessante iniziativa, avviata nel 2017 per uno scambio di dati in formato elettronico con la Regione, che non ha potuto realizzarsi a causa del diniego opposto dal Ministero della Giustizia.
  La maggior parte delle Procure si attesta su dati più bassi, indicando 40/50 ispezioni all'anno. Risaltano poi, in negativo, diversi casi di Procure, che corrispondono ad aree da cui la Commissione ha ricevuto numerosi esposti: Lecce (7 nel 2020 e 17 nel 2021); Piemonte (21 nel 2019; 30 nel 2021 e 15 nel 2021) e soprattutto Venezia (8 nel 2019; 12 nel 2020; 5 nel 2021 e 9 nel 2022). Con riferimento a questi casi, sembra lecito porsi la domanda se le previsioni della normativa non risultino sostanzialmente eluse e se ciò abbia comportato qualche conseguenza a livello di controllo sulla performance degli uffici giudiziari. Generale appare poi un calo delle attività nel periodo della pandemia, che lascia intravedere una situazione di crisi del sistema di tutela dei minori fuori famiglia, del resto segnalato da molti operatori e anche nelle analisi di fonte ministeriale.
  Un elemento emerso sia dai dati raccolti dalla Relazione sullo stato di attuazione che dalle verifiche compiute dalla Commissione è che manca, in molti casi, un coordinamento con le Commissioni di vigilanza Pag. 86delle aziende sanitarie e con i Garanti regionali, che di norma non hanno titolo ad effettuare autonomamente ispezioni.
  In questo quadro, la Commissione ritiene urgente rafforzare il sistema di controllo sulle strutture, non solo da parte delle Procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni, ma anche e soprattutto da parte delle aziende sanitarie e degli assessorati regionali, anche allo scopo di verificare l'effettivo benessere dei minori, che non può essere misurato solo sulla base delle relazioni inviate dalle comunità al Servizio sociale, con il rischio che si creino aree di non vigilanza o di commistione di interessi. Una riflessione interessante in questo senso è emersa nell'audizione dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, Carla Garlatti, svolta il 6 ottobre 2021. La Garante ha rilevato che «andrebbero rafforzati i controlli che già sono previsti, ma andrebbero rafforzati significativamente e con un'operazione in sinergia con, ad esempio, gli enti locali» e ha sottolineato la necessità di valorizzare il controllo effettuato dal Pubblico ministero minorile, che andrebbe ampliato a «a tutto lo stato di benessere del minore, al controllo sulla qualità dei servizi della comunità, alla preparazione del personale che è preposto a quella comunità, all'esistenza di un progetto educativo idoneo per i minori». Ciò naturalmente implicherebbe di disporre di personale adeguato, ma anche alcune modifiche normative che definiscano meglio il perimetro di tali ispezioni. Anche la Garante del Lazio, Monica Sansoni, ha rilevato, nell'audizione presso la Commissione, che, oltre ai controlli che può svolgere sulla base delle sue funzioni, «quello che mi piacerebbe davvero evidenziare e portare avanti come progetto è quello di capire chi dovrebbe periodicamente fare questi controlli, partendo dal servizio sociale e del servizio socio-sanitario che va a controllare anche l'adeguato ambiente».
  Si segnala, infine, che la Commissione ha seguito alcuni casi specifici oggetto di segnalazione, come quello del Centro affidi del comune di Messina, che tra il 2020 e il 2021 è stato più volte oggetto di dibattito politico a livello locale, anche con prese di posizione pubbliche da parte del Garante dei minori, Angelo Fabio Costantino, che si è dimesso nell'aprile 2022. Risultava in particolare una situazione generalizzata e pervasiva di carenza di dati sui minori fuori famiglia, ritardo nella redazione delle relazioni e nei procedimenti, con la conseguenza di una collocazione diffusa dei minori in casa famiglia, non essendo realmente possibile approfondire la strada della collocazione in affido familiare. Su questo, la Presidente del Tribunale per i minorenni di Messina, Maria Francesca Pricoco, audita il 5 luglio 2022, ha fornito alcuni elementi di informazione, rilevando la complessità della situazione di Messina, anche a causa delle caratteristiche socio-economiche del territorio. Analoghi approfondimenti sono stati svolti anche in relazione a vicende sostanzialmente «chiuse», come quelle della vicenda cosiddetta «Veleno» e quella di una comunità di Pellegrino Parmense, chiusa dopo che erano emersi gravi maltrattamenti a danni di minori e la morte di uno di essi.
  Particolare rilievo ha assunto l'acquisizione di documentazione sulle comunità segnalate dal signor Vito Cirillo, audito nella seduta dell'11 maggio 2022, che aveva evidenziato gravi carenze relative alla comunità «I tre volti», gestita dalla parrocchia di San Giovanni Evangelista (Brescia), già oggetto di attività ispettive del NAS territorialePag. 87 e dell'ASL di Brescia, che ha operato fino al 30 giugno 2021 sulla base di apposita convenzione.

   g) effettuare controlli, anche a campione, sull'utilizzo delle risorse pubbliche e private destinate alle comunità di tipo familiare che accolgono minori e valutare la congruità dei costi anche con riferimento alle differenze di carattere territoriale;

  Anche il controllo sui finanziamenti risulta particolarmente complesso, per la pluralità di tipologie e di forme di comunità (pubbliche, privato sociale, religiose, società per azioni, etc.) e per la complessità della normativa in materia. Infatti, come si è ricordato, la materia è caratterizzata da un complesso riparto di competenze tra Stato e regioni. In pratica, l'esercizio della competenza regionale si traduce nell'adottare regole di specificazione della normativa nazionale, con funzione di indirizzo e coordinamento locale, oppure nel fissare standard qualitativi delle strutture di accoglienza ai fini dell'accreditamento attraverso una pluralità di atti: leggi, regolamenti, delibere delle giunte con valenza di atti amministrativi generali, di linee guida e di direttiva, etc. Destinatari delle attività regolative regionali sono soprattutto gli enti territoriali (comuni, ASL, distretti, ecc.) e gli enti del privato sociale.
  La normativa regionale definisce in genere i contributi economici da erogare, in linea con la legge 185/1983, ma la situazione dei comuni resta estremamente variegata, come segnalato anche in molte audizioni. Si ricorda in particolare l'audizione del sindaco di Reggio Emilia e delegato ANCI per il welfare, Luca Vecchi, svolta nella seduta del 19 luglio 2022. In quella sede, oltre a presentare l'esperienza di Reggio Emilia, il sindaco Vecchi ha sottolineato con particolare nettezza «l'eterogeneità dell'organizzazione del sistema dei servizi sociali, dei servizi di welfare e delle politiche dei minori su scala nazionale. Se c'è un dato oggettivo che possiamo constatare è che non c'è un sistema omogeneo: abbiamo ambiti territoriali dove la struttura dei servizi è forte e ambiti territoriali dove è debole; ambiti territoriali a più presenza e a più forza pubblica e ambiti a maggiore forza del terzo settore; ambiti dove la forza dell'integrazione pubblico-privato si è sviluppata in un modo più efficace e ambiti, invece, in cui si evidenzia la debolezza non solo del pubblico, ma talvolta anche del privato stesso; ambiti in cui la programmazione si sviluppa con regolarità e ambiti in cui appare del tutto estranea a ogni forma di collaborazione e ci si cimenta quotidianamente in una logica di risposta all'emergenza, al bisogno, cercando di dare una risposta; territori dove sono destinate importanti risorse, anche pubbliche, e territori dove se ne destinano meno».
  In questo contesto, la Commissione ha cercato di compiere una prima verifica attraverso un questionario, somministrato ai comuni con popolazione superiore ai 60.000 abitanti. Il questionario in oggetto richiedeva di fornire i seguenti dati, con riferimento al periodo 1 gennaio 2018- 31 dicembre 2021:

   Elenco delle famiglie affidatarie (con distinzione tra minori residenti e minori stranieri non accompagnati);

   Elenco delle comunità di accoglienza (con distinzione tra minori residenti e minori stranieri non accompagnati) attive per ciascuno degli anni di riferimento;

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   Elenco delle comunità terapeutiche (con distinzione tra minori residenti e minori stranieri non accompagnati) attive per ciascuno degli anni di riferimento;

   Numero complessivo, per anno, di minori in carico ai Servizi sociali (con distinzione tra minori residenti e minori stranieri non accompagnati);

   Numero complessivo, per anno, di minori allontanati dalla famiglia (con distinzione tra minori residenti e minori stranieri non accompagnati);

   Numero complessivo, per anno, di minori allontanati dalla famiglia per oltre due anni:

   Numero complessivo, per anno, di minori collocati in comunità site fuori dal territorio comunale;

   Numero complessivo, per anno, di minori collocati in comunità site fuori dal territorio della regione;

   Costo medio mensile, per ognuno degli anni di riferimento, per i minori fuori famiglia (esclusi MSNA), distinguendo tra quelli collocati in affido familiare, quelli collocati in comunità di tipo familiare e quelli collocati in comunità terapeutica;

   Le risposte sono state molto difformi e non consentono elaborazioni di sintesi, anche perché alcuni comuni hanno indicato non un costo medio per minore, ma il costo complessivo affrontato. Nondimeno i dati raccolti, che sono ben lungi dall'esaurire il campione individuato, presentano diversi motivi di interesse, che potrebbero essere oggetto di ulteriori approfondimenti.

  Emerge in primo luogo una forte variabilità nelle risorse impiegate.
  Ad esempio il Comune di Cosenza ha indicato un costo medio mensile per minori in comunità familiare di 31 euro al giorno (930 euro per un mese di 30 giorni). In altri comuni, specie del Sud, i costi sembrano ancora più bassi. Il Comune di Taranto ha indicato un costo di euro 284 per «i minori collocati in affido», il Comune di Pozzuoli un costo di 121,76 euro per i minori in comunità familiare, il Comune di Foggia ha indicato costi bassissimi che si immagina si sommino ad altre forme di finanziamento, dagli 85 euro (2018) ai 90 (2021). Peraltro in quel comune anche i contributi all'affidamento familiare appaiono significativamente più bassi che in altri comuni, attestandosi tra i 180 euro e i 250 euro, secondo gli anni di riferimento.
  In altri casi i costi sono invece assai più consistenti e sembrano rimandare a un'assistenza più strutturata. Il Comune di Rimini, per la fattispecie dei minori in comunità familiare, ha indicato una cifra assai più cospicua che va dai 1696 euro al mese per il 2018 ai 2122 nel 2021. Il Comune di Modena ha indicato, per il 2020, un costo medio per i minori in affido familiare di 517 euro, che salgono a 1.980 per i comuni in comunità familiare e 3.700 in comunità terapeutica (per quest'ultima si è indicato per il 2021 un costo di 5.669 euro). Analoghi anche i dati del Comune di Parma, che ha indicato per l'affido familiare un contributo di 632 euro (dato identico dal 2018 al 2021), per l'affido in comunità familiare un costo di 2178 euro, che salgono, nel caso delle Pag. 89terapeutiche a 4.290 (2018), 3.840 (2019), 3.675 (2020) e 3165 (2021). Il comune di Asti ha invece indicato per i minori in comunità familiare un costo medio che va da 2.100 euro (2018) a 2.550 (2021), a fronte di cifre assai minori per l'affido familiare, che quota da 501 euro (2018) a 515 (2021). Tali cifre sono in linea anche con quanto indicato dal comune di Prato, che, per i minori in comunità indica valori che vanno da 2.325 euro (2018) a 2.400 (2021), e dal Comune di Perugia, che ha indicato cifre variabili tra un minimo di 2.289 euro (2020) e un massimo di 2.997 (2019).
  Si tratta di cifre importanti, che crescono ulteriormente in altri comuni. Ad esempio il Comune di Venezia ha indicato un costo medio mensile per i collocamenti in comunità familiare o educativa di 3300 euro, precisando che nel caso delle comunità terapeutiche la spesa è a carico dell'Azienda sanitaria locale. A Firenze il costo medio indicato per tutte le annualità di riferimento è stato di ben 3.840 euro (comunità familiari), a fronte di 500 per l'affidamento familiare.
  Anche sul piano organizzativo si riscontrano forti differenze. Ad esempio, il Comune di Bari ha precisato che «il Servizio di Affidamento familiare dei minori del Comune di Bari è affidato a una cooperativa sociale individuata a seguito dell'espletamento di procedura aperta», sottoposta alla vigilanza delle competenti strutture del comune. In altri casi prevale invece una gestione, in tutto o in parte, in house.
  Così pure sul piano del finanziamento, ci sono situazioni, come quella di Gela, che ha avuto un forte incremento nel numero di minori in comunità, in cui il comune ha precisato che «diversi minori sono stati inseriti nelle C.A. con retta regionale, quindi il costo non grava sulla spesa comunale», il che costituisce un indubbio sollievo per le finanze comunali, ma ostacola una valutazione complessiva dei costi del sistema. Lo stesso si verifica nella maggior parte dei comuni interpellati per le comunità terapeutiche, per le quali tutta o parte della retta è a carico della ASL di riferimento. Con la crescita del numero dei minori fuori famiglia che si verifica in diversi comuni, si riscontra anche un aumento di costi non irrilevante. Ad esempio nel caso del Comune di Ragusa si è passati da una spesa di 42.417,57 euro per i minori in comunità (2018) a 64.762,89 euro (2021), a fronte di una relativa discesa dei costi, assai più limitati, per l'affidamento familiare.
  I dati acquisiti vanno comunque letti in relazione agli elementi macro che è possibile rilevare dalla citata Relazione sullo stato di attuazione. Questa sottolinea la crescente quantità di risorse impegnate sia attraverso il Fondo nazionale delle politiche sociali, sia attraverso il programma Pippi, la forte variabilità regionale e il fatto che «la quota di spesa per i minorenni fuori dalla famiglia di origine appare ancora, come nell'ultima relazione, molto elevata e sbilanciata nell'accoglienza residenziale rispetto all'affidamento». Per converso si osserva che «il valore complessivo, e percentuale, della spesa per interventi di carattere preventivo si è incrementato, ma probabilmente dovrebbe avere maggiore stabilità e strutturazione nel tempo» (p. 504). I dati acquisiti confermano nel complesso le valutazioni svolte nelle audizioni che si sono focalizzate su questi temi, da quella del sindaco Vecchi a quella del dottor Fulvi a quella della Ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, e quindi la necessità di definire livelli essenziali delle prestazioni e rette standard. Problematico appare poi il tema della esternalizzazionePag. 90 di spezzoni importanti dei Servizi sociali territoriali che, secondo quanto segnalato da diversi auditi, non è un fenomeno infrequente. Il rischio è infatti che si creino conflitti di interessi, specialmente se non è ben definito il livello essenziale delle prestazioni.
  Su un piano quantitativo, per quanto attiene a dati aggiornati sui costi del sistema di tutela dei minori si rimanda alla citata Relazione sullo stato di attuazione, che contiene un'estesa trattazione del tema. Da essa emerge l'esigenza di un sostegno precoce e strutturato delle situazioni di fragilità che potrebbe in prospettiva ridurre i costi umani ed economici della collocazione in struttura, nell'ambito di un riassetto complessivo del sistema che dovrà basarsi su con operatori stabili, risorse dedicate, stabilmente sufficienti e prevedibili.
  Il tema del sottofinanziamento del sistema è stato oggetto di dibattito anche in altre sedi. Al termine della legislatura era ad esempio in discussione, presso la Prima Commissione del Senato, il progetto di legge n. 2229, Disposizioni in materia di compartecipazione da parte dello Stato alle spese sostenute dagli enti locali per i minori collocati in comunità di tipo familiare o in istituti di assistenza, che prevede una compartecipazione dello Stato alle spese degli enti locali, rimessa, sia quanto alla forma che quanto alla percentuale di partecipazione, ad apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro per le pari opportunità e la famiglia, e previa intesa in sede di Conferenza unificata.
  Nell'ambito della discussione è stata acquisita una memoria dell'ANCI, che ha sottolineato l'opportunità di legare la compartecipazione a un meccanismo di premialità, fondato sulla realizzazione da parte dei Comuni di interventi di prevenzione dell'allontanamento e di sostegno alla genitorialità. Nella stessa sede un coordinamento di associazioni (CISMAI; CNCA; CNCM) ha invece lamentato, con propria memoria, che «gli allontanamenti sono ancor oggi evitati benché siano necessari e urgenti, proprio per i costi da attivare», che è un'affermazione molto grave, ove fosse documentata.
  La Commissione ha anche delegato alla Guardia di finanza l'acquisizione di elementi relativi ad alcune società, a vario titolo costituite, che gestiscono case famiglia per i minori.
  Per una di esse, una holding piuttosto grande, è emerso che già nel 2019 era stata rilevata una frode che consisteva nell'erogare prestazioni diverse per quantità e qualità rispetto agli standard prescritti, attraverso il sottodimensionamento dell'organico e l'impiego di lavori interinali privi di titoli, con la conseguenza di erogare prestazioni sociosanitarie in situazioni di costante emergenza. Si rileva a tale proposito che una ispezione delegata dalla Commissione in una delle comunità di questo gruppo si è conclusa con la denuncia a piede libero di due operatori, carenti dei requisiti, del direttore sanitario e del responsabile.

   h) valutare se nella legislazione vigente sia effettivamente garantito il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia e rispettato il principio in base al quale l'allontanamento del minore dalla famiglia di origine deve costituire un rimedio residuale e che in ogni caso esso non può essere disposto per ragioni connesse esclusivamente alle condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale;

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  Il tema posto è molto vasto e richiede di essere affrontato in maniera sfumata e rispettosa della complessità della materia, tenendo conto della pluralità di fonti normative, nazionali e internazionali.
  Il principio della tutela del minore affonda infatti le sue radici nel diritto internazionale. Il primo impegno da parte degli Stati a porre il fanciullo «in grado di svilupparsi normalmente, materialmente e spiritualmente» si ritrova nelle Dichiarazione dei diritti del fanciullo, approvata dalla Società delle Nazioni nel 1924.
  Successivamente, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 10 dicembre 1948, ha approvato la Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo che proclamava, tra gli altri, i diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della famiglia ed in particolare sanciva il principio secondo cui i bambini hanno diritto a speciali cure ed assistenza e devono godere della protezione sociale.
  A distanza di due anni, veniva firmata la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), ratificata dall'Italia nel 1955. Tale norma di diritto internazionale, oltre a proclamare la salvaguardia e lo sviluppo dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, istituiva un meccanismo internazionale di controllo incentrato sulla Corte Europea dei diritti dell'uomo che, da questo momento, avrà il compito di vigilare sulle violazioni dei diritti dell'uomo poste in essere dagli Stati nei confronti del singolo cittadino.
  La citata convenzione non prevede norme specifiche sui minori che vengono ricompresi nel più generale principio per cui il godimento dei diritti inviolabili ivi sanciti deve essere assicurato a tutti gli uomini senza discriminazione alcuna, ricomprendendo, pertanto, anche i fanciulli.
  Di particolare importanza è l'articolo 8 della CEDU, sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Questa disposizione ha un doppio carattere. Il primo, di non ingerenza, in quanto «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare» e non vi «può essere ingerenza di una pubblica autorità», se non sulla base di previsioni di legge compatibili con la Convenzione. Il secondo, di di obbligo positivo di adeguatezza organizzativa e proporzionalità, escludendosi, ad esempio, la «delega in bianco» ai Servizi sociali territoriali. Proprio sulla base di questi principi, la Corte EDU ha sviluppato una giurisprudenza evolutiva che ha portato a svariate condanne nei confronti dell'Italia, a cui è stato richiesto di porre rimedio attraverso strumenti normativi alle distorsioni applicative di una normativa nazionale che, pur sancendo la temporaneità dell'affido familiare, lo trasforma a «tempo indeterminato», utilizzando proroghe che snaturano il carattere provvisorio dello strumento e creano strutturali lesioni della sfera dell'integrità familiare.
  Per il riconoscimento di una serie di diritti soggettivi in capo al minore, occorre attendere la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959. Tale documento, oltre a ribadire la protezione che deve essere garantita al minore da parte degli adulti, prevede, per la prima volta, il diritto del minore all'affetto e alla sicurezza materiale e morale per lo sviluppo armonioso della sua personalità nonché alla difesa da ogni forma di negligenza, crudeltà o sfruttamento.Pag. 92
  Di grande importanza è, in particolare, l'introduzione del principio secondo cui «il superiore interesse del fanciullo deve essere la guida di coloro che hanno la responsabilità della sua educazione e del suo orientamento».
  La Dichiarazione, pur non essendo vincolante le parti contraenti, determinò una serie di riforme legislative all'interno dei singoli Stati che recepirono all'interno delle rispettive normative nazionali i nuovi principi.
  Il percorso avviato dall'Assemblea delle Nazioni Unite nel 1959 venne portato a compimento con l'approvazione della Convenzione sui diritti del fanciullo (Convenzione ONU) firmata a New York il 20 novembre del 1989, ratificata in Italia con la legge n. 179 del 1991.
  Tale documento rappresenta il più importante strumento di promozione e protezione delle persone di minore età. Facendo evolvere il concetto di «bambino» che non si configura più come un mero oggetto di tutela e protezione, ma come vero e proprio soggetto titolare di diritti, la Convenzione ha avviato una vera e propria «rivoluzione culturale», gettando solide basi per costruire una nuova identità per i soggetti di minore età (individuata dalla convenzione nei diciotto anni).
  Nella Convenzione la famiglia costituisce l'unità fondamentale della società e l'ambiente naturale per lo sviluppo e il benessere di tutti i suoi membri, in particolare i bambini. Già nel Preambolo, infatti, si legge che «il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana nonché l'uguaglianza e il carattere inalienabile dei loro diritti sono le fondamenta della libertà, della giustizia e della pace», ed ancora si afferma che il minore «ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità, deve crescere in un ambiente familiare, in un clima di felicità, di amore e di comprensione» così da poter trovare il suo posto nella società. Proprio per questo il minore è soggetto a cure e protezioni particolari. Infatti «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative e degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve avere una considerazione preminente». A tal proposito la Convenzione ha previsto una serie di principi relativi all'ascolto del minore: «Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità. A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale.» Tale diritto è sancito altresì dalla Convenzione europea sull'esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione di Nizza, dal Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio d'Europa, dalla Carta dei diritti fondamentali della UE del 2007 e dalle Linee Guida del Consiglio d'Europa del 2010.
  Di particolare rilievo sono le norme che regolano i rapporti del fanciullo con la famiglia, i diritti e i doveri dei genitori e il diritto del minore a non essere separato dagli stessi contro la loro volontà a meno che ciò non sia ritenuto necessario dalle autorità competenti. Proprio Pag. 93sullo Stato grava l'obbligo di tutelare il rapporto genitori-figli e di intervenire con tutti i mezzi possibili per far sì che il minore venga cresciuto ed educato all'interno della famiglia d'origine. Ed ancora, nei casi in cui il fanciullo sia allontanato, solo ed esclusivamente per giustificati motivi, da uno o da entrambi i genitori, devono essere garantiti contatti diretti con gli stessi, nonché con gli ascendenti e con i collaterali.
  I suddetti principi si ritrovano anche nella normativa nazionale che, in particolare con la legge 184 del 1983 (e successive modificazioni), prevede il diritto del minore a crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia, affermando che le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere di ostacolo all'esercizio della responsabilità genitoriale e che lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, devono sostenere, con idonei interventi, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e/o gli allontanamenti.
  Successivamente, l'art. 1 della legge n. 149/01, ampliando la portata della precedente legge 183/84, proclama: «Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia» addivenendo ad un vero e proprio diritto soggettivo del soggetto in formazione. Nonostante questa enunciazione, in alcuni casi specifici, il diritto del figlio a restare nella propria famiglia cede di fronte al bisogno di tutelarlo contro eventuali conseguenze negative connesse alla permanenza con i genitori.
  La legge 184/1983 specifica che «le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia» ed identifica le misure da assumere prima di ricorrere all'allontanamento definitivo del minore dalla propria famiglia sul quale ci si deve orientare solo in presenza di accertate e insuperabili difficoltà del nucleo di origine ad assicurare al figlio un ambiente favorevole per la sua crescita. Tra le forme di sostegno temporaneo al minore e alla famiglia di origine si inserisce l'accoglienza dei minori nelle comunità di tipo familiare di cui all'art. 2, comma 2, della legge n. 184, del 1983.
  Presupposti comuni all'affido familiare e all'inserimento in comunità sono la temporanea difficoltà della famiglia di origine a prendersi cura del minore e la strumentalità dell'intervento, che deve mirare al rientro del bambino nel nucleo familiare di origine. A tal fine, i Servizi sociali incaricati devono elaborare un progetto funzionale al caso specifico per offrire al minore, ma anche alla famiglia, attività adatte ed un sostegno più appropriato possibile. Il progetto specifico al caso concreto è quindi ineludibile al successo dell'intervento.
  Tali principi vanno poi letti anche in rapporto con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che dispone che i minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere, possono esprimere la loro opinione e questa deve essere presa in considerazione in funzione della loro età e della loro maturità. Prevede inoltre che, in tutti gli atti relativi ai minori, l'interesse superiore del minore debba essere considerato preminente e che ogni bambino abbia il diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, qualora ciò non sia contrario al suo interesse.Pag. 94
  Se la normativa è piuttosto chiara e in linea con i principi internazionali di tutela dei minori, numerosi problemi si pongono a livello applicativo, come più volte si è ricordato.
  In linea generale, si osserva che l'allocazione di adeguate risorse all'infanzia e all'adolescenza riveste un'importanza decisiva nel garantire a tutti i bambini e a tutti gli adolescenti l'effettiva attuazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (CRC) e dai suoi Protocolli opzionali, che l'Italia ha ratificato. In proposito, il Comitato ONU ha manifestato più volte la preoccupazione per il fatto che in Italia la Convenzione non sia applicata «al massimo livello consentito dalle risorse disponibili», come recita invece l'art. 4. Anche nelle sue ultime Osservazioni conclusive rivolte all'Italia ha nuovamente sottolineato come «nella preparazione, approvazione, esecuzione e monitoraggio dei bilanci manchi una prospettiva dedicata ai diritti dei minorenni». Manca, insomma, una prospettiva di allocazione di risorse pubbliche incentrata sui diritti dell'infanzia, al di là della particolare sensibilità di specifiche Regioni o Ente locali.
  Più specificamente, i Servizi sociali dovrebbero non solo limitarsi a segnalare situazioni di fatto in potenza pregiudizievoli per un minore, bensì intervenire in via preventiva ed in collegamento con il giudice minorile ed intraprendere iniziative utili per impedire l'esito drastico dell'allontanamento etero familiare, adottando progetti di intervento in favore del minore e, prima ancora, dell'intero nucleo familiare, fidelizzando i soggetti coinvolti e promuovendo la loro adesione al cambiamento proposto.
  Nei casi esaminati, invece, la mancanza del consenso genitoriale all'intervento istituzionale è stata spesso presunta dalle condotte elusive rispetto agli obblighi prescritti, senza una precisa valutazione delle ragioni personali, spesso di tipo emotivo ed affettivo, per le quali i genitori si stavano comportando con quelle modalità A tale proposito, non ci si può esimere dal constatare che l'aver fronteggiato determinate situazioni, assumendo una posizione radicale ed istituzionalmente intransigente nei confronti di alcune modalità comportamentali, non ha fatto che acuire il disagio personale di tutti i soggetti coinvolti, primo fra tutti del minore stesso. Ciò è particolarmente grave, perché si sta trattando di interessi superiori e di diritti fondamentali degli individui, a tutela e garanzia dei quali l'ordinamento pubblico deve improntare misure e non invadere con una vis – anche fisica – che può lasciare segni indelebili nel futuro del minore.
  Queste problematiche sembrano da porre in relazione soprattutto a tre elementi.
  In primo luogo, gli indirizzi giurisprudenziali dei Tribunali che, in diversi casi, hanno ridotto l'interesse superiore del minore ad una formula elastica, utilizzabile per veicolare la tutela di interessi altri, e hanno utilizzato in maniera altrettanto elastica le previsioni di cui agli articoli 330 e 333 c.c.
  In secondo luogo, una generale scarsa attenzione ai principi di proporzionalità, tempestività e efficacia delle misure di protezione che caratterizza, in diversa maniera, tutti gli attori coinvolti, alcuni dei quali (Servizi sociali, giudici onorari minorili) spesso privi di cultura giuridica.Pag. 95
  In terzo luogo, almeno fino alla recente riforma del processo civile, una generale carenza di regole processuali ed esecutive, che ha portato a mortificare interessi tutelati dall'ordinamento e a riconoscere faticosamente e tardivamente l'esigenza di una adeguata rappresentanza del minore. L'esempio più eclatante è quello, di cui si è già detto, dell'esecuzione forzosa degli allontanamenti, nei quali il minore è spesso ridotto a oggetto di un'esecuzione assistita dalla forza pubblica, anche a fronte di sue chiare manifestazioni di volontà. Né si può sottacere la tendenza, non è chiaro quanto diffusa, ad adottare un'interpretazione analogica della nozione di comportamento maltrattante nei confronti dei figli, che la legge pone a fondamento dell'adozione della misura di allontanamento dalla casa familiare, includendovi costrutti ascientifici, come quello dell'alienazione parentale.
  Destano perciò qualche perplessità le posizioni che, in occasione della recente riforma del processo civile, hanno valorizzato come modello un «sistema italiano» della giustizia minorile costruitosi faticosamente attraverso interpretazioni giurisprudenziali e indirizzi non sempre coerenti, in presenza di lacune normative e prassi applicative di dubbia compatibilità con l'ordinamento costituzionale.
  Un punto di verifica di alcune delle criticità emerse può essere offerto dalla giurisprudenza internazionale, che ne ha fornito interpretazioni dettagliate e al passo con i tempi.
  In particolare la Corte EDU, interpretando l'articolo 8 della Convenzione sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, ha più volte affermato che la rottura dei legami tra un minore e i suoi genitori costituisce una misura applicabile solo in circostanze eccezionali: in particolare, nei casi in cui i genitori si siano dimostrati particolarmente indegni, in presenza di atti di violenza o maltrattamento fisico o psichico o di abusi sessuali o quando possa comunque concretamente dimostrarsi l'esistenza di uno specifico superiore interesse del minore.
  La giurisprudenza della Corte ha sempre più valorizzato il canone della «extrema ratio», in base al quale l'adozione, con la implicita rottura definitiva dei rapporti tra il minore e i suoi genitori, è ammissibile solo quando ogni altro rimedio appaia inadeguato rispetto all'esigenza dell'acquisto e del recupero di uno stabile e adeguato contesto familiare.
  La Corte ha ribadito, anche recentemente, che è compito del giudice di merito verificare prioritariamente se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere le situazioni di difficoltà o disagio familiare, poiché la dichiarazione dello stato di adottabilità è legittima solo nel caso in cui sia impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare. E, in ogni caso, il Giudice di prime cure deve motivare con minuzia di dettagli i motivi che portano a ritenere l'insussistenza delle capacità genitoriali e/o l'impossibilità del loro recupero.
  È ormai principio granitico della giurisprudenza internazionale che l'interesse di un genitore e di suo figlio a stare insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita familiare, sicché le misure che portano a una rottura dei legami tra un minore e la sua famiglia possono essere applicate solo in circostanze eccezionali. Inoltre, la Cedu ha puntualizzato che, costituendo gli istituti dell'affidamento e Pag. 96dell'adozione misure eccezionali, gli Stati membri della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo hanno l'obbligo di assicurare che le proprie autorità giudiziarie e amministrative adottino, preventivamente, tutte le misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento tra genitori biologici e figli ed a tutelare il superiore interesse di questi ultimi. Infatti, il ruolo di protezione sociale svolto dalle autorità nazionali è precisamente quello di aiutare le persone in difficoltà, di guidarle nelle loro azioni e di consigliare loro i mezzi maggiormente efficaci per superare i loro problemi. Nel caso in cui i genitori siano «persone vulnerabili», le autorità dovrebbero dare prova di un'attenzione particolare e devono assicurare loro una maggiore tutela.
  Peraltro, l'allontanamento dai genitori con collocazione del minore in comunità o in affido etero-familiare deve essere praticato solo come soluzione estrema e solo laddove non vi siano risorse familiari disponibili ad accogliere i minori e valutate positivamente. Ne consegue l'obbligo per le autorità giudiziarie di valutare i parenti del minore entro il IV grado, prima di prendere qualsivoglia decisione salvo casi di estrema urgenza.
  Altro principio ormai radicato nelle decisioni della CEDU è quello della preservazione del rapporto tra fratelli e sorelle, dovendo gli Stati evitare l'emissione di provvedimenti che comportino la loro separazione, se non per ragioni ineludibili e, comunque, sulla base di una motivazione rigorosa che evidenzi il contrario interesse del minore alla convivenza.
  Alla luce di quanto statuito, sia dalla normativa che dalla giurisprudenza internazionale e nazionale, la Commissione ha valutato se nella legislazione vigente tali principi, in particolar modo il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d'origine, siano stati rispettati. Per espletare tale verifica la Commissione si è basata sulle segnalazioni pervenute e sulle sentenze della Corte Edu emesse nei confronti dello Stato italiano per violazione dell'art. 8 della CEDU.
  Analizzando le segnalazioni pervenute, è emerso come decisioni prese dal giudice di prime cure siano state ritenute non corrette e di conseguenza riformate dalla Corte di appello o dalla Suprema Corte di Cassazione. Duole notare come le tempistiche con cui sono resi i provvedimenti di accoglimento delle impugnazioni siano ulteriormente lesivi degli interessi del minore che, nelle more del procedimento, continua a vedersi separato dai propri genitori e/o dagli altri componenti della famiglia.
  Altro aspetto significativo emerso dalle segnalazioni pervenute è la mancata attuazione da parte degli enti preposti della decisione presa in riforma del provvedimento di primo grado.
  Ad esempio, merita citare il caso di una segnalazione ricevuta in cui un genitore è stato costretto a vedere per anni la figlia in luogo neutro, stanti le accuse da parte del coniuge che hanno provocato l'avvio di un procedimento penale terminato con l'assoluzione. Emersa la verità sulle false accuse derivanti da una patologia psichiatrica del coniuge accusante, il genitore assolto chiedeva l'affidamento e la collocazione della bambina presso di lui. Tali richieste venivano rigettate dal Giudicante di prime cure e dalla Corte d'Appello che ha però Pag. 97riformato parzialmente la sentenza impugnata, prevedendo in capo ai Servizi sociali un potere di ampliare gli incontri con la minore al fine di consolidare il rapporto genitoriale. Ciononostante, a distanza di anni dalla pronuncia, nessun ampliamento è stato effettuato, malgrado l'andamento positivo degli incontri. Trascorsi sette anni dalla sentenza di primo grado è pervenuta la decisione della Corte di Cassazione che ha accolto le doglianze del genitore ricorrente, rinviando la rivalutazione del caso alla Corte d'Appello. È però evidente che nel tempo trascorso il rapporto genitore-figlio non sia stato tutelato e che sarà impossibile recuperare gli anni persi ingiustamente.
  Come sopra indicato, la Commissione per completare la propria valutazione sulla garanzia del diritto del minore a non essere allontanato dalla propria famiglia ha vagliato le decisioni della Corte Edu, che, sin dai noti precedenti Zhou contro Italia, S.H contro Italia e Akinnibosun contro Italia, ha condannato lo Stato italiano per l'inadeguatezza degli interventi di sostegno sociale alla famiglia e per aver omesso le misure necessarie a porre le famiglie fragili nella condizione di esercitare il loro diritto alla vita familiare.
  Dalle sentenze esaminate si possono dedurre una serie di violazioni dei principi CEDU poste in essere dallo Stato Italiano. Le decisioni prese in considerazione si incentrano sull'accertata violazione delle obbligazioni negative e positive che gravano sugli Stati a protezione dell'interesse del minore e del rapporto tra esso e la famiglia, come previsto dall'art. 8 CEDU. Quest'ultimo non si limita a vietare allo Stato di ingerirsi arbitrariamente nella sfera privata e familiare dell'individuo; a tale impegno negativo si aggiungono, infatti, obblighi positivi dei pubblici poteri volti a garantire, mediante l'adozione di misure ad hoc, l'effettivo rispetto della vita privata e familiare del cittadino. Tali strumenti devono permettere allo Stato di conservare un legame tra genitore e figlio, anche in situazioni in cui i rispettivi interessi confliggano.
  Pertanto, in presenza di un legame familiare, lo Stato ha il dovere di favorire le condizioni affinché esso si mantenga e si sviluppi, avendo riguardo, nella attuazione degli obblighi sia positivi che negativi, a contemperare gli interessi in gioco.
  Dall'interpretazione dell'art. 8, così come effettuata dalla Corte Edu, deriva l'obbligo per le istituzioni statali di astenersi dall'impedire l'ordinario svolgersi della vita familiare, disponendo l'allontanamento del minore e la sua collocazione presso altra famiglia o struttura, ma anche quello di porre in atto misure concrete per mantenere il legame genitori-figli.
  L'art. 8 della Convenzione mira, infatti, a protegge l'individuo (termine che ricomprende anche i fanciulli) dalle ingerenze arbitrarie dello Stato nella sfera privata e familiare, e, contemporaneamente, garantisce il diritto del genitore ad ottenere misure idonee al riavvicinamento al proprio figlio e l'obbligo per le Autorità nazionali di dotarsi di strumenti concreti per la realizzazione di questa finalità.
  Proprio la mancanza di adozione, da parte degli enti preposti, delle misure necessarie e tempestive per salvaguardare la relazione tra il minore e la famiglia d'origine ha portato l'Italia ad essere sanzionata dalla Corte Edu. In diverse pronunce, infatti, la Corte ha rilevato come gli enti preposti non si siano adoperati per attivare percorsi di sostegno Pag. 98alla famiglia o non abbiano creato le condizioni necessarie all'attivazione del diritto di visita tra i genitori/ascendenti/collaterali nonostante fosse evidente (anche a mezzo di relazioni peritali) il malessere del minore per l'interruzione degli incontri con i genitori/ascendenti/collaterali. Tali mancanze sono state ravvisate anche in presenza di un provvedimento dell'Autorità Giudiziaria; infatti, in alcuni casi è accaduto che il Giudicante prevedesse l'attuazione di percorsi di sostegno e/o l'attivazione del diritto di visita, mai posti in essere dagli enti preposti, con la conseguenza dell'impossibilità di recupero del rapporto genitore-figli.
  Lo Stato italiano, pertanto, oltre a non aver posto in essere tutti gli strumenti necessari (e ragionevolmente esigibili), affinché il minore potesse condurre una vita familiare normale in seno alla famiglia di origine, ha violato altresì il diritto di visita dei familiari. La Corte giunge, quindi, alla conclusione che in molti i casi ad essa sottoposta non vi sia stato sufficiente impegno da parte dello Stato nel sostenere il rapporto tra il minore e la famiglia d'origine ritenendo violato l'art. 8 CEDU.
  La Corte ha altresì sancito che gli scarsi mezzi economici e le carenze culturali dei genitori o l'astratta possibilità che al minore siano offerte condizioni di vita migliori da parte di famiglia diversa dalla propria, non possano giustificare la recisione del legame familiare, dovendo gli Stati attivarsi per consentire ai genitori di garantire ai figli un contesto più favorevole alla loro educazione, anziché sradicare il minore dalle sue radici.
  In questi termini, costituisce indebita ingerenza nel diritto alla vita privata e familiare l'affidamento temporaneo e la dichiarazione di adottabilità del figlio di genitori che versano in condizioni di indigenza ma conservano un ruolo genitoriale attivo e positivo. Lo Stato avrebbe, quindi, dovuto mettere in atto iniziative concrete più incisive, al fine di garantire l'interesse del minore a crescere nella propria famiglia.
  La Corte ha, pertanto, censurato la scarsa attenzione dimostrata verso la primaria esigenza di preservare il legame genitori-figli, essendosi limitata l'Autorità giudiziaria a prendere atto delle difficoltà esistenti senza adottare misure idonee a superarle, magari mediante un programma assistenziale più incisivo e mirato.
  A tal proposito, la Corte ha osservato come i mezzi di sostegno debbano essere adottati tempestivamente così come le misure che riguardano il minore che dovrebbero avere una durata limitata. Sotto tale profilo l'Italia, infatti, è stata condannata per violazione dell'Art. 8 in conseguenza dell'eccessiva durata dell'affidamento etero-familiare e per la manchevole organizzazione degli incontri con la famiglia. Ricorda la Corte che l'affidamento è una misura temporanea.
  Altra motivazione ricorrente che ha portato l'Italia ad essere sanzionata dalla Corte Edu è la mancanza di giustificazione nella dichiarazione di adottabilità. La Corte ha, infatti, affermato che, nel dichiarare lo stato di adottabilità, i giudici italiani, in molti casi si sono acriticamente rimessi alle relazioni dei Servizi sociali e del personale della struttura di accoglienza, nonché sui colloqui con le parti.
  Le decisioni di recidere i legami familiari, analizzate dalla Corte, non sono state precedute da alcuna valutazione delle capacità dei genitori di svolgere il loro ruolo o da una valutazione da parte di un Pag. 99competente professionista. Le autorità giudiziarie avevano semplicemente constatato l'esistenza di una serie di difficoltà, che avrebbero potuto essere superate mediante un'attività assistenziale mirata.
  Le autorità dovrebbero dimostrare in modo convincente che, nonostante l'esistenza di soluzioni meno drastiche, la misura dell'affidamento etero-familiare o dell'adozione sia la misura più adeguata e corrispondente all'interesse superiore del minore. Il procedimento nazionale che non preveda garanzie proporzionate alla gravità dell'ingerenza nella vita familiare e degli interessi in gioco, tra cui l'esperimento di una perizia volta a valutare le capacità genitoriali o vicariali nel caso di affido a parenti entro il IV grado, e la valutazione di misure alternative meno gravose per il minore e per l'intera famiglia, viola il diritto alla vita familiare tutelato dall'art. 8 della CEDU.
  Ed ancora, la Corte Edu statuisce che gli accertamenti sulla capacità genitoriale non possono essere risalenti nel tempo. Integra, infatti, violazione dell'art. 8 della convenzione il provvedimento che decida in punto responsabilità genitoriale che si sia basato su una perizia troppo remota nel tempo e non abbia tenuto conto dell'evoluzione delle circostanze nel frattempo maturate. Non può, pertanto, il giudicante fondare la propria decisione su considerazioni sulle capacità genitoriali contenute in perizie, relazioni o provvedimenti risalenti nel tempo senza tenere conto dell'evoluzione della situazione concreta, dei percorsi intrapresi dai genitori e dello sviluppo del rapporto con i figli. Il Giudicante, prima di prendere una decisione relativa all'esercizio dei diritti genitoriali, dovrà, quindi, valutare il caso tenendo conto degli aggiornamenti e, se necessario, rinnovando la perizia in punto capacità genitoriali.
  Sempre in punto motivazione del provvedimento, la Corte più volte si è trovata dinnanzi a casi in cui la seconda perizia è stata effettuata, ma il Giudicante non ne ha tenuto conto provvedendo a dichiarare lo stato di adottabilità del minore nonostante la perizia più recente avesse rivisto positivamente alcune caratteristiche del genitore consigliando l'immediato ripristino degli incontri con i figli. Così come il giudicante non ha tenuto conto della volontà espressa dal minore o non ha provveduto al suo ascolto. Anche in questi casi la Corte Edu ha ravvisato la violazione dell'art. 8 CEDU, essendo il procedimento caratterizzato da contraddizioni istruttorie e dalla mancata motivazione da parte dell'Autorità giudiziaria della scelta di non tenere in considerazione la seconda perizia con conseguente impossibilità di valutare misure meno drastiche dell'adozione che sicuramente avrebbero meglio tutelato il benessere del minore.
  In riferimento alle soluzioni diverse dall'adozione ordinaria, la Corte rileva come, in molti casi, le Autorità giudicanti non abbiano tenuto in considerazione l'importanza per il minore a mantenere un rapporto con la famiglia di origine. Spesso, infatti, nelle sentenze che hanno dichiarato lo stato di adottabilità del minore si legge che i genitori hanno buone possibilità di recuperare le proprie criticità, ma in tempi non confacenti con il corretto sviluppo del minore, ed ancora si legge che, nonostante le gravi criticità dei genitori, il legame tra gli stessi e i figli sia molto forte. In tutti questi casi, la Corte ha ritenuto violato l'art. 8, in quanto l'autorità giudiziaria avrebbe dovuto tutelare il rapporto tra i genitori e i figli mantenendo incontri tra questi, Pag. 100anziché rescindere totalmente i rapporti, utilizzando misure alternative tra cui l'istituto dell'«adozione mite» previsto dall'art. 44 lettera d) L. 184/93.
  Nei casi in cui la procedura di adozione non fosse ancora esaurita al momento della decisione della Corte Edu, tenuto conto dell'urgente necessità di porre fine alla violazione del diritto al rispetto della vita familiare, la Corte ha invitato le autorità nazionali a riconsiderare, in breve tempo, la situazione e vagliare la possibilità di determinare un avvicinamento tra genitori e figli tenendo conto della situazione attuale del minore e del suo superiore interesse.
  Emerge, pertanto, chiaramente come la Corte Edu ritenga che l'interesse superiore del minore debba essere realizzato anche attraverso la salvaguardia del suo legame con la propria famiglia; ciò non vuol dire che si debba privilegiare ad ogni costo il legame parentale a discapito dell'interesse del minore, ma semplicemente che devono essere messi in campo tutti gli strumenti possibili affinché il legame non venga rescisso.
  Non si può affermare che non rientri nell'interesse del minore la possibilità di mantenere un rapporto con la propria famiglia d'origine, salvo che questa non si sia mostrata particolarmente indegna, limitando così l'interpretazione del concetto di stato di abbandono del minore.
  Tale interpretazione risulta invece particolarmente estesa nella giurisprudenza italiana. Infatti se è vero che la legge n. 184/83 tutela il diritto primario di ciascun bambino di vivere con i propri genitori naturali prevedendo l'attuazione da parte degli enti preposti di ogni tentativo per rafforzare questo legame, è altresì vero che la giurisprudenza italiana estende l'interpretazione di stato di abbandono del minore anche alle inadeguatezze genitoriali, anche non colpevoli, non risolvibili in breve tempo, con conseguente dichiarazione dello stato di adottabilità del minore.
  Così pure, occorrerà porre attenzione alla carenza di interventi preventivi, anche sul piano economico, che puntualmente si sono verificati in molti casi esaminati. Sotto questo punto di vista andrebbe rivista la formulazione, non felicissima, dell'articolo 1, comma 3, della legge 184/1983 che prescrivono allo Stato e agli enti locali di sostenere le famiglie con idonei interventi «nei limiti delle risorse finanziarie disponibili», al fine di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia. Se, infatti, tali risorse risultassero carenti, ne potrebbe derivare l'allontanamento del minore, contro la lettera e lo spirito della legge e della legislazione sovranazionale.
  Al fine di conformarsi con quanto previsto dalle decisioni della Corte EDU si rende, pertanto, necessario potenziare le misure di sostegno (facilitandone e intensificandone anche l'attuazione) alle famiglie, in modo tale che, nonostante le loro difficoltà, conservino un ruolo positivo nella vita del minore che non può essere cancellato se non in casi di particolare gravità e indegnità.
  A chiusura di queste brevi riflessioni, si può concludere che, se il complesso della normativa posta in essere può ritenersi compliant con i principi internazionali, le inefficienze del sistema, il diffondersi di indirizzi giurisprudenziali che forzano le norme primarie e la «mano libera» lasciata ai Servizi sociali nel momento dell'esecuzione, induconoPag. 101 fondate preoccupazioni circa il puntuale rispetto del principio, in base al quale l'allontanamento del minore dalla famiglia di origine deve costituire un rimedio residuale e, in ogni caso, esso non può essere disposto per ragioni connesse esclusivamente alle condizioni di indigenza dei genitori.
  Non a caso, il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa si è recentemente (marzo 2022) espresso, evidenziando un problema sistemico nella mancata attuazione di decisioni giudiziarie che regolano i diritti di visita e nelle carenze nel funzionamento del sistema di affidamento. Ha contestualmente valutato favorevolmente la riforma del processo civile, ma ha rimarcato che «la maggior parte delle carenze individuate da queste sentenze, implichi la necessità di cambiamenti nella pratica dei tribunali per i minorenni e dei servizi sociali, al fine di garantire un'applicazione conforme alla Convenzione» (1428th meeting, 8-9 March 2022 (DH) H46-17 Terna group (Application No. 21052/18) and R.V. and Others (Application No. 37748/13) v. Italy).

  i) verificare il rispetto della circolare n. 18/VA/2018, adottata con delibera dell'11 luglio 2018 del Consiglio superiore della magistratura, nonché di quanto disposto ai sensi dell'articolo 8 della presente legge, con particolare riguardo al divieto di esercizio delle funzioni di giudice onorario minorile per coloro che rivestono cariche rappresentative in strutture ove vengono inseriti i minori da parte dell'autorità giudiziaria, che partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture, che prestano a favore di esse attività professionale anche a titolo gratuito o che fanno parte degli organi sociali di società che le gestiscono.

  Il tema del ruolo dei giudici onorari nel tribunale per i minorenni è centrale nella valutazione del complesso del sistema di tutela dei minori fuori famiglia. La questione si pone, naturalmente, in una luce nuova dopo la riforma del processo civile (legge 206/2021) che ha ricondotto l'attività dei giudici onorari entro un alveo di garanzie, come richiesto dai principi internazionali in materia. In proposito si è assistito a ricorrenti appelli della magistratura minorile e dei giudici onorari a non dare seguito a queste riforme, in nome della integrazione di conoscenze e di saperi che caratterizzerebbe l'assetto dei Tribunali per i minorenni antecedentemente alla riforma. Di qui la denuncia del rischio che migliaia di minori resterebbero privi di adeguate forme di tutela. Tale difesa di una «specificità italiana» del sistema di tutela dei minori appare in realtà più il frutto di logiche di tipo corporativo o ideologico che non di una reale riflessione sul funzionamento del sistema e sulle problematiche che lo caratterizzano.
  Anche prima delle vicende di cronaca che hanno portato all'attenzione dell'opinione pubblica il tema delle garanzie e della trasparenza dei processi minorili, il ruolo dei giudici onorari era stato posto all'attenzione del Consiglio superiore della magistratura, anche a seguito di inchieste di stampa che avevano evidenziato l'esistenza di conflitti di interesse a carico di circa il 20% dei giudici onorari minorili (Commissione Infanzia, Doc. XVII-bis, n. 12, della XVII legislatura, p. 91).
  Il Consiglio, con delibera del 25 marzo 2015, aveva invitato i dirigenti degli Uffici giudiziari ad un'attenta vigilanza in materia. Le norme sulle incompatibilità erano poi state ulteriormente dettagliate Pag. 102nella delibera 21 ottobre 2015, con la quale furono definiti i criteri per la nomina e conferma e sullo status dei giudici onorari minorili. Già in questa fase i principi regolatori della materia erano piuttosto chiari, anche se permaneva il problema della effettività delle prescrizioni che imponevano ai giudici onorari l'astensione dal procedimento nel caso di conflitti di interesse (ad esempio nel caso di giudici iscritti all'albo dei consulenti tecnici del tribunale).
  All'inizio dell'attività della Commissione, con la circolare P-12133/2018 del 12 luglio 2018, relativa ai criteri per la nomina e conferma dei giudici onorari minorili per il triennio 2020-2022, erano previste espressamente le ipotesi di incompatibilità dei giudici onorari minorili, nonostante l'assenza, sul punto, di una norma primaria. In applicazione di tale circolare il Consiglio Superiore ha svolto l'attività di controllo e verifica, dapprima in sede di valutazione delle domande presentate dagli aspiranti alla nomina o alla conferma e successivamente, dopo la nomina, in occasione della valutazione delle incompatibilità sopravvenute, disponendo la decadenza del magistrato onorario dall'incarico. Per rendere più efficace tale controllo, è stato, inoltre, previsto che spetti al dirigente dell'ufficio giudiziario interessato fornire al Consiglio Superiore ogni utile elemento di giudizio per valutare la sussistenza di eventuali cause incompatibilità, originarie o sopravvenute.
  La legge istitutiva della Commissione ha previsto una norma immediatamente attuativa relativa ai giudici onorari, introducendo (art. 8) dopo l'articolo 6 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, un articolo 6-bis che prevede che
  Non possono essere nominati giudice onorario del tribunale per i minorenni o consigliere onorario della sezione di Corte d'appello per i minorenni coloro che rivestono cariche rappresentative in strutture ove vengono inseriti i minori da parte dell'autorità giudiziaria, che partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture, che prestano a favore di esse attività professionale anche a titolo gratuito o che fanno parte degli organi sociali di società che le gestiscono.
  Il divieto di nomina si applica anche a coloro il cui coniuge, parte dell'unione civile, convivente o parente entro il secondo grado svolge le funzioni di cui al comma 1.
  L'assunzione delle funzioni di cui al comma 1 e l'esercizio delle medesime determinano la decadenza dalla nomina a giudice onorario del tribunale per i minorenni o a consigliere onorario della sezione di Corte d'appello per i minorenni.
  Nel frattempo, muovendosi su linee parallele, il Consiglio superiore della magistratura è ulteriormente intervenuto in materia, in particolare per rimediare a una prassi ai limiti della costituzionalità e suscettibile di produrre arbitri, cioè la possibilità per la commissione esaminatrice di derogare a posteriori dalla graduatoria dopo la sua formazione sulla base di criteri non predefiniti e, quindi, discrezionali. Con la circolare P-15705/2020, del 13 novembre 2020, relativa ai criteri per la nomina e conferma e sullo status dei giudici onorari minorili per il triennio 2023-2025, è stata delineata la procedura di nomina e conferma dei giudici onorari minorili, recependo il dettato della legge 107/2020. La circolare presenta alcune importanti novità. In primo Pag. 103luogo, introduce l'obbligo, per i giudici onorari, di comunicare immediatamente al dirigente dell'ufficio situazioni sopravvenute, che possano incidere sulla permanenza dei requisiti per la nomina. In secondo luogo, prevede un costante dovere di vigilanza da parte del dirigente dell'ufficio, da effettuare anche con controlli campione, precisando che tale attività di vigilanza è elemento di valutazione nel procedimento di conferma nell'incarico direttivo.
  La Commissione ha avviato sul punto una proficua interlocuzione con il Consiglio superiore della magistratura, ricevendone elementi di informazione e spunti di riflessione, grazie alla disponibilità della Presidente dell'ottava Commissione, Paola Maria Braggion.
  In particolare, la Commissione ha acquisito gli elenchi di giudici onorari minorili, relativi al bando per il triennio 2020-2022 (essendo il successivo procedimento per il triennio 2023-2025 ancora in corso di espletamento), su cui ha svolto alcuni approfondimenti.
  Ha, inoltre, acquisito dal Consiglio ulteriori elementi di valutazione.
  In particolare, la Commissione ha preso atto delle ulteriori iniziative assunte dal Consiglio, come ad esempio la delibera del 10 marzo 2021, adottata a seguito della segnalazione dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, con cui ha invitato i capi degli uffici giudiziari interessati a vigilare, anche attraverso appositi monitoraggi, sulle attività svolte dai magistrati onorari e, in particolare, sul rispetto delle norme in tema di incompatibilità e di astensione.
  Sono stati, inoltre, valutati i dati relativi alle dimissioni dei giudici onorari (che non sono motivate), le quali mostrano un andamento crescente: 55 nel triennio 2011-2013, 88 nel triennio 2014-2016, 123 nel triennio 2017-2019 e 116 fino al 5 aprile 2022. Ad avviso del Consiglio, tale dato potrebbe avere una correlazione con la maggiore attenzione posta al regime delle incompatibilità e con il correlativo dovere di vigilanza da parte dei dirigenti degli uffici.
  Il Consiglio ha, altresì, segnalato che, negli ultimi quattro trienni, le segnalazioni (esposti) sono state piuttosto contenute (55), come pure i procedimenti di decadenza o revoca (24).
  Nel complesso, l'attività svolta dal Consiglio superiore della magistratura negli ultimi anni in materia di giudici onorari minorili è cospicua e sembra aver definito un quadro di disposizioni chiaro ed efficace, tale da risolvere molte delle problematiche evidenziatesi negli anni.
  Va tuttavia osservato che sarebbe necessario un accurato monitoraggio sulla concreta applicazione delle disposizioni della legge 107/2020 e della circolare del CSM, essendo questo rimesso ai dirigenti degli uffici, che non dispongono di particolari strumenti di verifica. Accanto al tema delle incompatibilità, che può dirsi sostanzialmente risolto dal corpus di norme che è andato definendosi negli ultimi anni c'è poi un tema che attiene non alle incompatibilità formali, ma ad elementi, anche ambientali, che potrebbero ostacolare un corretto giudizio. Ci si riferisce in particolare all'attività di professionisti che operano nel Servizio sociale territoriale e sono giudici onorari. In proposito, l'ultima circolare del CSM (delibera 11 novembre 2020) prescrive che «se il giudice onorario minorile svolge attività di operatore socio-sanitario dei servizi territoriali, pubblici e privati, o vi collabora a qualsiasi titolo, è Pag. 104necessario che ne sia assicurata la posizione di terzietà rispetto ai procedimenti trattati; in ogni caso, il giudice onorario minorile non può trattare procedure seguite dai servizi territoriali con i quali egli a qualsiasi titolo collabora, venendosi altrimenti a configurare una ipotesi di astensione. Il Dirigente dell'ufficio giudiziario cura che ogni interferenza o confusione dei ruoli sia evitata, anche attraverso l'applicazione delle regole fissate dal Consiglio superiore della magistratura nella circolare sulla formazione delle tabelle degli uffici giudiziari».
  E tuttavia, al di là della raccomandazione ai singoli di astenersi, non sembra che ci siano strumenti di controllo particolarmente stringenti, né si ha notizia che siano stati attivati. Questa questione è tanto più seria in quanto è certamente possibile che il giudice onorario proveniente dai Servizi sociali mantenga con questi forme di identità di vedute, che possono tradursi in valutazioni non eque nel caso di contrasto tra il Servizio e i genitori, come non di rado accade. La problematica è ora parzialmente risolta dalla riforma del processo civile, che ha finalmente messo in discussione un assetto in cui le valutazioni del giudice onorario, assunte in camera di consiglio, erano sottratte al contraddittorio tra le parti.
  Sotto questo punto di vista, la riforma del processo civile contiene alcune importanti e largamente condivisibili novità rispetto a una figura che si è qualificata, di volta in volta, come supplente del giudice togato, criptoconsulente tecnico o, al limite, intermediario tra il collegio giudicante e i Servizi sociali. In una situazione in cui, almeno prima della recente riforma, si riscontrava l'assenza di regole processuali adeguate, esiste la concreta possibilità, in diversi casi verificabile, del diffondersi di prassi distorsive basate su una delega costante e massiva delle attività istruttorie ai giudici non togati.
  Da parte dei magistrati minorili, onorari e non, è stato fortemente criticata la ridefinizione del ruolo dei magistrati onorari, genericamente in nome della multidisciplinarietà o sulla base delle «Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa per una giustizia a misura di minore», che sottolineano che «dovrebbe essere incoraggiata una stretta collaborazione tra diversi professionisti al fine di pervenire a un'approfondita comprensione del minore e a una valutazione della sua situazione legale, psicologica, sociale, emotiva, fisica e cognitiva» (2010). Le «Linee guida» non parlano naturalmente di giudici onorari minorili e appaiono pienamente compatibili con la riforma in essere. Per converso, come si è ricordato, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, nella riunione dell'8 e 9 marzo 2022, ha manifestato la propria preoccupazione per i procedimenti minorili italiani, ritenendo che essi manifestino un problema sistemico, e ha fornito un forte endorsement alla riforma del processo civile, sottolineando comunque «la necessità di cambiamenti nella pratica dei tribunali per i minorenni e dei servizi sociali, al fine di garantire un'applicazione conforme alla Convenzione del quadro giuridico pertinente» (cfr. H46-17Gruppo Terna (ricorso n. 21052/18) e R.V. e altri (ricorso n. 37748/13) contro Italia). In maniera anche più chiara la Corte Edu, nel ricorso 60083/19 D.M e N. contro Italia ha sottolineato pertinentemente che «la Corte ha già rammentato (A.I. c. Italia, n. 70896/17, § 100, 1° aprile 2021) che, – nell'ambito delle giurisdizioni specializzate, composte da magistrati professionisti e da magistrati non professionistiPag. 105 – deve essere data la preferenza a un sistema in cui il giudice nomina un perito o in cui le parti possono esse stesse chiamare a far testimoniare dei periti le cui constatazioni e conclusioni possano essere contestate e dibattute tra le parti dinanzi al giudice». Rispetto a questa impostazione il ruolo tradizionale del giudice onorario minorile può essere considerato un residuo, da superare, di una visione paternalistica in cui il minore e il genitore non sono soggetti titolari di diritti, ma oggetto di provvedimenti discrezionali adottati nel loro interesse.

  6. Altre tematiche approfondite.

   l) L'ascolto del minore

  Un tema che ha percorso trasversalmente l'attività della Commissione è quello dell'ascolto del minore. Esso è emerso sia in relazione alle segnalazioni pervenute, che denunciano spesso un ascolto carente o inesistente, sia in relazione alle prospettive de iure condendo, sia ancora in relazione alle figure che dovrebbero essere incaricate dell'ascolto, alle modalità in cui realizzarlo, alle garanzie per i soggetti coinvolti (come, ad esempio, le videoregistrazioni).
  La Commissione ha dunque ritenuto opportuno dedicare un approfondimento a un tema sotto più aspetti cruciale, al fine di realizzare un effettivo sistema di tutela dei minori nei procedimenti giudiziari.
  Come è noto, sin dal 1989, la Convenzione sui diritti del fanciullo, approvata a New York il 20 novembre 1989 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite – e resa esecutiva in Italia dalla legge 27 maggio 1991, n. 176 – ha avviato una vera e propria «rivoluzione culturale», elevando la persona di minore età da oggetto di protezione a soggetto titolare di diritti, determinando una rottura con il passato e gettando solide basi per costruire una «nuova» identità del minore, nuovo soggetto di diritto, attivo e partecipe, che deve essere ascoltato, informato e rispettato.
  In particolare, il cosiddetto «diritto all'ascolto» del minore costituisce uno dei quattro princìpi fondamentali che ispirano la Convenzione (accanto al diritto alla non discriminazione, al diritto alla vita e allo sviluppo e alla primaria considerazione del preminente interesse del minore) che, al paragrafo 2 dell'articolo 12, dispone che «si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale».
  Il diritto all'ascolto rappresenta un tassello fondamentale del principio del superiore interesse del minore sancito all'articolo 3 della stessa Convenzione, che ne costituisce il perno, la finalità e insieme lo strumento di tutela delle persone di minore età. Il principio è stato poi recepito nell'articolo 315-bis del codice civile, introdotto dalla legge 219/2012 e canonizzato in diverse sentenze di Cassazione, tra cui la nota sentenza 6129/2015.
  L'ascolto del minore è stato, inoltre, oggetto delle raccomandazioni che, all'inizio dell'anno 2019, il Comitato ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza ha rivolto all'Italia, rammentando l'importanza della partecipazione dei bambini e dei ragazzi in tutte le decisioni che li Pag. 106riguardano e chiedendo al Governo italiano di istituzionalizzare tale coinvolgimento.
  L'ascolto è innanzitutto attenzione e l'attenzione è cura, interesse; per i bambini e per i ragazzi l'ascolto significa sentirsi riconosciuti come persone e poter prendere consapevolezza di sé stessi, sia come individui, sia come soggetti sociali. L'ascolto è un presupposto fondamentale perché i diritti non restino solo semplici «parole sulla carta» e perché a ciascuno dei minori sia riconosciuto concretamente quello che, nelle singole situazioni, è il suo superiore interesse. Ascoltare i bambini e i ragazzi è dare attuazione a un diritto. Le persone di minore età devono poter esprimere la propria opinione in tutte le situazioni che le riguardano. Il dovere degli adulti e delle istituzioni, è, dunque, di ascoltarli sempre e di riconoscere anche ai più piccoli una centralità: in famiglia, a scuola, in comunità e in tribunale, con modalità, condizioni e tempi adeguati alla loro età.
  Come si è potuto appurare anche nel lavoro d'inchiesta della Commissione, in Italia, per una persona di minore età, nelle aule giudiziarie l'ascolto è previsto solo in caso di soggetti di età pari o superiore a dodici anni ed è comunque, nella migliore delle ipotesi, concesso in base all'opinione degli esperti. In particolare, nel prevedere l'ascolto il legislatore non ha originariamente disciplinato le modalità per una corretta esecuzione della procedura, nonostante l'esigenza di assicurare al minore la possibilità di esprimere le proprie idee e di far sentire la sua voce.
  Affermare che il minore ha il diritto di essere sempre ascoltato nei procedimenti giudiziari che lo coinvolgono, senza verificare che questo diritto sia realmente esercitato, è una grave violazione dello stato di diritto nonché causa del fallimento dei percorsi per lui definiti in sede giudiziaria. Stabilire il collocamento del minore fuori dalla famiglia di origine, così come disporre il suo rientro, non trova fondamento valido senza un confronto con quel bambino e/o ragazzo concreto, prestando attenzione alla sua voce, ovvero a ciò che il minore considera essere il suo reale interesse.
  Senza l'ascolto diretto del minore da parte del Giudice, non è data la possibilità minima di definire nel concreto, quale sia il suo reale preminente interesse e le scelte operative per realizzarlo.
  Con la legge 10 dicembre 2012, n. 219, e con il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, sono state introdotte alcune norme, seppur minime, di procedura attraverso l'articolo 336-bis del codice civile e l'articolo 38-bis delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318. Tali disposizioni non hanno, però, coperto tutti gli aspetti metodologici dell'audizione. Pertanto, oggi come ieri, si è potuto constatare attraverso l'inchiesta che buona parte della metodologia è affidata alle scelte individuali e lascia ampi spazi di discrezionalità.
  In particolare, nei procedimenti analizzati dalla Commissione, il minore è il grande assente e il suo ascolto costantemente negato. Ascolto negato, in alcuni casi, dallo stesso curatore per il timore di una possibile manipolazione del minore, dimostrando il fallimento della relazione di fiducia tra curatore e minore e manifestando le riserve del curatore sulla capacità di giudizio dei Collegi giudicanti, anche nella componente specialistica onoraria.Pag. 107
  Conseguenza ne è il fatto che, il raggiungimento del reale interesse del minore, emerge come prevalentemente idealistico, se non addirittura ideologico, totalmente asservito al prevalere degli «interessi» di tutti gli adulti coinvolti nei Procedimenti giudiziari e che a vario titolo lo rappresentano.
  Anche i contributi forniti dalle CTU e/o dai Servizi sociali non riescono a guardare al minore prescindendo dalle relazioni con le figure genitoriali e/o con i care givers (come se il minore fosse una mera appendice delle logiche familiari) stabilendo quasi per «linea guida» quale sia l'adulto più idoneo con cui il bambino/ragazzo deve crescere, fino a negare il contatto telefonico con chi non ha saputo e/o non è riuscito ad aderire alle valutazioni degli «esperti», dopo comunicazione «per vie brevi» all'Autorità Giudiziaria («vie brevi» mai definite nonostante specifici quesiti rivolti agli auditi: avvocati, garanti infanzia regionali, responsabili case famiglia).
  I questionari consegnati da alcuni Tribunali per i minorenni italiani evidenziano l'incapacità degli stessi a fornire dati quantitativi sul numero di procedimenti in cui i minori sono stati ascoltati. Si è, infatti, precisato che il dato non è censito nel sistema SIGMA, non essendo previsti codici specifici per la registrazione degli eventi richiesti. Alcuni Tribunali, come quello di Firenze, hanno genericamente precisato che «in ogni caso l'ufficio è rispettoso degli obblighi di legge e l'ascolto dei minori capaci di discernimento (anche infradodicenni) viene curato con regolarità». Altri, come quello di Campobasso, hanno rilevato che «in linea di massima, tutti i minori ultradodicenni, nonché quelli di età inferiore se ritenuti capaci di discernimento, sono stati ascoltati prima di assumere decisioni di merito che li riguardassero. Eventuali eccezioni, derivanti dalla possibilità che l'ascolto contrastasse con l'interesse del minorenne, andrebbero verificati tramite controllo manuale degli incartamenti procedimentali». Una significativa eccezione è quella del Tribunale di Cagliari, che ha fornito un dato quantitativo, da cui emerge la pratica dell'ascolto dei minori, anche infradodicenni.
  Dalle audizioni di magistrati svolte dalla Commissione, risulterebbe in effetti che, secondo i titolari degli uffici, l'ascolto del minore anche infra-dodicenne sarebbe un diritto generalmente riconosciuto e garantito ai bambini coinvolti nei procedimenti giudiziari. Diversi esposti segnalano invece che, specie nel caso dei minori infradodicenni capaci di discernimento, la scelta di procedere all'ascolto non è affatto scontata e le modalità spesso non particolarmente rigorose.
  Non molto di più si ritrova del resto nel report dell'Autorità garante su «Il diritto all'ascolto delle persone di minore età in sede giurisdizionale» (2019), che si basa su un questionario inviato ai Tribunali per i minorenni (https://www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/ascolto-minorenni-procedimenti-giurisdizionali_0.pdf). Infatti, anche in quella sede 18 tribunali su 24 hanno risposto che «è prassi procedere all'ascolto del minorenne laddove la situazione lo richieda», dato che non appare particolarmente pregnante.
  Lo stesso Report presenta anche alcuni altri dati di interesse, anche se richiederebbe probabilmente un aggiornamento. Emerge in particolare la presenza di protocolli operativi molto vari, una diffusa tendenza a non motivare la decisione di procedere all'ascolto, una non uniforme prassi di verbalizzazione dell'ascolto stesso, una tendenza a Pag. 108delegare l'ascolto del minore infradodicenne, una certa elasticità nelle motivazioni di non procedere all'ascolto.
  Trattandosi di valutazioni meramente impressionistiche, non si dispone dunque di dati sufficienti a comprendere se il minore sia stato ascoltato e non semplicemente audito, come sia avvenuta la trasmissione di informazioni pertinenti al procedimento giudiziario, in che considerazione sia stata tenuta l'opinione del minore, particolarmente se infra-dodicenne, nei procedimenti, se l'ascolto è stato ripetuto nel corso del procedimento per valutare se le decisioni adottate corrispondano al raggiungimento del reale e concreto interesse del minore. Solo la disamina di un campionario più ampio di fascicoli raccolti presso i principali Tribunali per i Minorenni Italiani, potrebbe fornire preziosi elementi per una ricerca qualitativa sull'ascolto del minore e sulla pratica di una giustizia a misura di bambino nel nostro Paese.
  Del resto, come si è detto, la legge non disciplina nel dettaglio le modalità dell'ascolto, e questo fa sì che le prassi giudiziarie non siano omogenee nel nostro Paese, come già emerso nell'importante indagine svolta dall'Autorità garante Infanzia Italia nel 2020, «Indagine sull'ascolto delle persone di minore età in sede giurisdizionale in Italia». Dalla suddetta indagine emergeva non solo la mancanza di spazi adeguati a raccogliere la voce del minore (stanze adibite all'ascolto), ma dato ancor più significativo che «in generale, si rileva una mancanza di unitarietà a livello di modalità operative nei vari tribunali, il che crea maggiore incertezza e lascia spazio alla discrezionalità in un settore così delicato». Ed è appunto questa discrezionalità, «la zona opaca» che una ricerca più approfondita, svolta su un campionario più ampio di fascicoli, potrebbe meglio indagare.
  Si avverte, dunque, la necessità di intervenire su questa materia, anche alla luce della recente Risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2022 (P9_TA(2022)0104) sulla tutela dei diritti dei minori nei procedimenti di diritto civile, amministrativo e di famiglia per la realizzazione di una Giustizia a misura di bambino (Giustizia a misura di minore nei procedimenti civili, amministrativi e di diritto di famiglia), che contiene molteplici indicazioni. In particolare:

   1. invita gli Stati membri a garantire che in tutti i procedimenti riguardanti il benessere del minore e le sue future modalità di vita, i diritti del minore siano rispettati, garantiti e attuati pienamente e l'interesse superiore del minore abbia la massima priorità e sia debitamente integrato e applicato in modo coerente in tutte le azioni intraprese dalle istituzioni pubbliche, in particolare nei procedimenti giudiziari che hanno un impatto diretto e indiretto sui minori, conformemente all'articolo 24 della Carta;

   2. ricorda che l'accesso alla giustizia e il diritto di essere ascoltati sono diritti fondamentali e che ogni minore, indipendentemente dal suo contesto sociale, economico o etnico, deve poter godere pienamente di tali diritti a titolo personale, indipendentemente dai propri genitori o tutori legali;

   3. sottolinea che la pandemia di COVID-19 ha creato ulteriori difficoltà nell'accesso alla giustizia, compresi i ritardi nei procedimenti; invita pertanto gli Stati membri a prevedere misure volte a facilitare l'accesso alla giustizia durante le pandemie, in particolare nel caso in Pag. 109cui un minore sia coinvolto in procedimenti civili, amministrativi o di diritto familiare;

   4. invita la Commissione a presentare, senza indebito ritardo, una serie di orientamenti comuni o strumenti non legislativi analoghi, che dovrebbero includere raccomandazioni e migliori pratiche destinate agli Stati membri, al fine di garantire che l'audizione del minore sia condotta da un giudice o da un esperto qualificato e che non sia esercitata alcuna pressione, neanche da parte dei genitori; sottolinea che, in particolare nei procedimenti di diritto di famiglia, tali audizioni dovrebbero svolgersi in un contesto a misura di minore ed essere consoni all'età, alla maturità e alle abilità linguistiche del minore in termini di padronanza della lingua e dei contenuti, fornendo nel contempo tutte le garanzie tese a garantire il rispetto dell'integrità emotiva e dell'interesse superiore del minore e assicurando che l'autorità competente tenga in debita considerazione le opinioni del minore in funzione della sua età e maturità; sottolinea inoltre che, nell'ambito di procedimenti di diritto familiare in cui vi è un sospetto di violenza domestica, familiare o «assistita», l'audizione del minore dovrebbe essere sempre condotta in presenza di professionisti qualificati, medici o psicologi, compresi professionisti specializzati in neuropsichiatria infantile, per non aggravare il suo trauma o causargli ulteriori danni;

   5. sottolinea che tali orientamenti o strumenti non legislativi analoghi devono chiaramente indicare che i minori coinvolti in procedimenti civili, amministrativi o di diritto di famiglia, dovrebbero essere informati in tutte le fasi del processo in un modo che possano pienamente comprendere e che, in particolare, la decisione adottata dall'autorità dovrebbe essere spiegata al minore da un professionista formato a tal fine in modo adeguato alla sua età, alla sua maturità e alle sue competenze linguistiche.

  Dalle considerazioni sin qui svolte, emerge l'importanza di anticipare per legge l'età di ascolto del minore dagli attuali dodici agli otto anni, di disciplinare l'ascolto quale suo diritto assoluto e di definire puntualmente le modalità e tempistiche mediante cui darne attuazione. Alla definizione di tali aspetti, fa naturalmente da contraltare l'obbligo tassativo del giudice di procedervi al fine di dare voce ai bisogni e alle aspirazioni del fanciullo.

   m) La questione della inadeguatezza parentale nelle separazioni

  Sia pure brevemente, è necessario accennare a una tematica spesso emersa nel corso dei lavori della Commissione, e che si riferisce alla pratica di disporre l'allontanamento di minori da uno dei due genitori (in genere la madre), con successivo collocamento in comunità o direttamente presso l'altro genitore, sulla base del riconoscimento nel minore di una condizione psicologica di rifiuto di un genitore a causa di un incitamento intenzionale all'opera dell'altro.
  L'influenza malevola genitoriale viene spesso inquadrata nei termini della cosiddetta «teoria della PAS». Si tratta di uno schema interpretativo, riconducibile alla scuola di Richard Gardner, mai realmente ammesso dalla comunità scientifica, ma non privo di sostenitori, anche per ragioni strumentali, che descriverebbe la condizione psicologicaPag. 110 di figli minori che rifiutano uno dei due genitori a causa dell'incitamento intenzionale ad opera dell'altro.
  Il tema è molto ampio e dibattuto, già da parecchi anni, e in questa sede ci si limiterà ad alcuni spunti, anche sulla base dei casi segnalati alla Commissione.
  Tra i vari casi di cui la Commissione si è occupata c'è quello, molto noto, di Laura Massaro, a cui la Commissione ha dedicato due audizioni.
  La vicenda è stata affrontata in molteplici sedi, e risolta con l'ordinanza della Cassazione n. 9691 del 24 marzo 2022, che è già stata oggetto di numerosi commenti dottrinali. Con l'ordinanza in oggetto, la Cassazione ha ribaltato la decisione del Tribunale di merito che aveva disposto l'allontanamento del bambino, il collocamento del minore presso la casa-famiglia, previa decadenza della responsabilità genitoriale della madre sulla base del contenuto di tre consulenze peritali, e l'interruzione dei rapporti tra mamma e figlio.
  Nell'ampia e articolata ordinanza si chiarisce, in maniera molto netta, che il richiamo alla sindrome d'alienazione parentale «e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo» e che «Il richiamo alla sindrome di alienazione parentale non può essere il fondamento pseudoscientifico per giustificare la decadenza della potestà genitoriale». Di conseguenza, la decadenza della responsabilità genitoriale motivata da una diagnosi di PAS e, soprattutto, il successivo, eventuale trasferimento del bambino in casa-famiglia con l'uso della forza si pongono «fuori dallo Stato di diritto». Nel caso di specie, i giudici hanno ribadito che il diritto alla bigenitorialità non va garantito ad ogni costo e persino a discapito del figlio e che nell'ambito di procedimenti giudiziari che coinvolgono un minore, va sempre e solo tenuto primario conto del suo supremo interesse.
  L'esito di questa vicenda non deve tuttavia indurre a ritenere ipso facto superate prassi che negli ultimi anni hanno creato non pochi danni a minori oggetto di contesa in situazioni di separazione litigiosa.
  Già all'indomani della pubblicazione della citata ordinanza, si sono ascoltate voci che difendevano, sotto mentite spoglie, le prassi in uso, introducendo una distinzione piuttosto capziosa, tra sindrome di alienazione e condotte alienanti, con la finalità, neanche tanto nascosta, di riproporre l'idea che l'eventuale difficoltà di un minore a relazionarsi con un genitore debba essere imputata in maniera meccanica e stereotipata all'altro genitore, senza realmente approfondire i percorsi e le iniziative eventualmente poste in essere dai Servizi sociali.
  Il superamento di questi approcci passa anche attraverso una migliore qualificazione e da una migliore scelta dei CTU da parte dei Tribunali. Un elemento abbastanza frequente nella casistica esaminata è, infatti, la tendenza dei provvedimenti a recepire in maniera integrale le relazioni peritali che, a loro volta, rispondono talora a quesiti che tendono a rimettere al consulente la valutazione di punti di diritto. Proprio questo elemento è stato sottolineato dalla citata ordinanza della Cassazione, che osserva «che la motivazione della Corte d'appello si limita ad un mero rinvio al contenuto delle c.t.u. espletate». Nelle CTU e nei provvedimenti che ne conseguono, i conflitti e i «problemi relazionali» nel nucleo familiare, sono spesso descritti nella forma dell'alienazione genitoriale, e delle sue più recenti declinazioni (conflittoPag. 111 di lealtà, rapporto simbiotico, manipolazioni, ecc.), imputando a un genitore (più spesso, ma non sempre, la madre) una situazione descritta come patologica. Per risolvere tale situazione, si prescrive spesso l'intervento di consulenti di coppia, psicoterapeuti, educatori, che, operando su mandato del Tribunale, creano ulteriori obblighi, imposti dalla paura dell'allontanamento dei minori. In tal modo, la minaccia dell'allontanamento diventa uno strumento di coercizione rispetto all'attuazione di percorsi non sempre ben strutturati, che vengono imposti all'uno o all'altro dei genitori o alla coppia genitoriale, ai quali viene richiesta più una passiva e prudente acquiescenza che non un reale percorso di crescita. Il tema assume, naturalmente, particolare rilievo alla luce della riforma del processo civile che ha valorizzato il ruolo dei consulenti tecnici, il che peraltro garantisce una trasparenza che non si riscontrava nel caso in cui la funzione peritale fosse de facto svolta dal giudice onorario minorile.
  Nella casistica esaminata dalla Commissione questi temi ricorrono con una certa frequenza, pur nella specificità di singoli casi. Si segnala, inoltre, che in diversi casi la denuncia per maltrattamenti del coniuge, giudicata infondata o in corso di valutazione, ha condotto a formulare valutazioni di inadeguatezza a carico della denunciante. Si determina in tal modo il rischio che la violenza domestica venga confusa con il conflitto tra i coniugi, o addirittura che la violenza domestica non sia nemmeno presa in considerazione e valutata come tale, anche quando vi sono condanne per lesioni o maltrattamenti.
  Il tema era stato già posto dal GREVIO (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence) nel suo rapporto del 2019, laddove si sosteneva che «I magistrati di diritto civile tendono ad affidarsi alle conclusioni dei consulenti tecnici d'ufficio (CTU) e/o dei servizi sociali, che spesso assimilano gli episodi di violenza a situazioni di conflitto e dissociano le considerazioni relative al rapporto tra la vittima e l'autore di violenza da quelle riguardanti il rapporto tra il genitore violento e il bambino. Inoltre, le denunce delle vittime di abuso da parte del partner sono spesso rigettate sulla base di motivazioni dubbie come “la sindrome da alienazione parentale” e si incolpano le madri per la riluttanza dei figli ad incontrare il padre violento».
  Sul tema si è poi espressa convincentemente la Commissione di inchiesta sui femminicidi nella Relazione sulla vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l'affidamento e la responsabilità genitoriale, approvata il 20 aprile 2022 (Doc. XXII-bis, n. 10). Sulla base della casistica esaminata, che in parte coincide con quella della presente inchiesta, la Commissione ha potuto rilevare nei procedimenti civili e minorili una generale tendenza a delegare la sostanza delle decisioni ai consulenti tecnici e ai Servizi sociali, a cui è demandata la redazione di relazioni, che condizionano il processo con valutazioni a-giuridiche di competenza genitoriale.
  Nel caso dei Servizi sociali si osserva che «le rilevazioni sulle competenze materne sono filtrate attraverso quest'unico criterio di valutazione, ovvero la disponibilità delle donne a favorire il rapporto dei figli con il padre, imputando loro l'insuccesso di questa missione, nel caso in cui i figli si ostinino a non voler incontrare i padri. In genere, nelle relazioni dei servizi sociali viene per lo più rappresentato l'ostruzionismoPag. 112 della madre contro un padre desideroso invece di entrare a pieno titolo nella vita del figlio, anche se in precedenza la sua presenza presso quel figlio non era stata né assicurata né ricercata; infine, il rifiuto del minore è, come nelle consulenze, collegato a comportamenti d'induzione materna». In alcuni casi la presentazione da parte di un genitore (quasi sempre la madre) di denuncia per violenze subite, diventa essa stessa elemento per formulare una valutazione di adeguatezza, quasi che la denuncia fosse sintomo di una carenza genitoriale.
  In termini più generali va segnalata la risoluzione del Parlamento europeo del 6 novembre 2021 P9_TA(2021)0406, sull'impatto della violenza da parte del partner e dei diritti di affidamento su donne e bambini (2019/2166(INI)). Nella risoluzione. In questo lungo e complesso testo, si sottolinea con chiarezza che «le vittime della violenza di genere e i loro figli hanno spesso bisogno di una speciale assistenza e protezione, a motivo dell'elevato rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta». Per tale motivo, il Parlamento europeo «esprime preoccupazione per l'impatto dei pregiudizi e degli stereotipi di genere, che spesso portano a una risposta inadeguata alla violenza di genere contro le donne e a una mancanza di fiducia nei loro confronti, in particolare per quanto riguarda le accuse ritenute false di abusi sui minori e di violenza domestica; esprime preoccupazione anche per la mancanza di una formazione specifica per giudici, pubblici ministeri e professionisti del diritto; sottolinea l'importanza di misure volte a combattere gli stereotipi di genere e i pregiudizi patriarcali attraverso campagne di informazione e sensibilizzazione; invita gli Stati membri a monitorare e combattere la cultura di denigrazione della voce delle donne; condanna l'uso, l'affermazione e l'accettazione di teorie e concetti non scientifici nei casi di affidamento che puniscono le madri che tentano di denunciare casi di abuso di minori o violenza di genere impedendo loro di ottenere l'affidamento o limitandone i diritti genitoriali; sottolinea che la cosiddetta “sindrome da alienazione parentale” e concetti e termini analoghi, che si fondano solitamente su stereotipi di genere, operano a scapito delle donne vittime di violenza domestica, colpevolizzando le madri per aver alienato i figli dal padre, mettendo in discussione le competenze genitoriali delle vittime, ignorando la testimonianza del bambino e i rischi di violenza cui sono esposti i figli e pregiudicando i diritti e la sicurezza della madre e dei bambini; esorta gli Stati membri a non riconoscere la sindrome di alienazione parentale nella loro prassi giudiziaria e nel loro diritto e a scoraggiarne o addirittura proibirne l'uso nei procedimenti giudiziari, in particolare durante le indagini per accertare l'esistenza della violenza».
  Oltre a questa importante enunciazione di principio, la risoluzione prevede alcune azioni significative, quali la necessità di trattare congiuntamente i procedimenti penali e civili che riguardano i casi di violenza e quelli di separazione e affidamento; prevedere un'adeguata formazione per tutti gli operatori che hanno il compito di supportare la donna che denuncia le violenze subite; il potenziamento dei servizi territoriali; il diritto dei minori di essere ascoltati e la previsione di campagne informative nazionali per rendere i minori consapevoli dei loro diritti.
  Molti di questi elementi, come si è detto, si ritrovano anche nel materiale oggetto della presente inchiesta.Pag. 113
  Limitandosi ad alcune esemplificazioni, tra i vari casi oggetto di attenzione si ricorda quello dei minori L. e N. V. (Tribunale per i minorenni di Milano). In questa vicenda, a fronte di una separazione con elementi conflittuali e di una segnalazione dei minori di aver subito molestie da parte del padre, si è proceduto al collocamento in comunità sull'assunto della grave conflittualità familiare. In questo, come in altri casi, il provvedimento tende a basarsi su valutazioni di CTU più che su dati oggettivi e misurabili, né, d'altra parte, si è proceduto all'ascolto del minore.
  Diverse perplessità ha suscitato anche la vicenda di una madre che è stata dichiarata decaduta dalla responsabilità genitoriale alla luce di una serie di CTU e relazioni che contengono elementi suggestivi più che oggettivi, al fine di ripristinare la bigenitorialità, previo soggiorno del minore in struttura. La vicenda che presenta numerose analogie con quella Massaro è stata definita in senso opposto con ordinanza della Cassazione n. 19305/2022.
  Degna di nota è pure la vicenda del minore G.T (Tribunale ordinario di Busto Arsizio) in cui il breve decreto del Tribunale del 24 aprile 2021 fa riferimento al fatto che la madre del minore «è divenuta di fatto l'unico riferimento del minore ad ogni livello (genitoriale, educativo, scolastico e sociale)» e che ciò provocherebbe un «legame di dipendenza», alimentando «il sentimento di paura e di alienazione», senza evidenziare alcuno degli elementi oggettivi che la Cassazione ha riconosciuto come essenziali. Di qui la scelta di rescindere ogni rapporto del minore con la madre, collocandolo in struttura secretata, in contrasto col principio della continuità affettiva che, in questo caso ,avrebbe dovuto ben essere considerato, alla luce del fatto che l'altro genitore aveva riconosciuto il figlio solo a distanza di anni, escludendosi di fatto dai primi anni di vita del minore. Rispetto a tale modo di procedere non si può che ricordare che già nel 2016 la Cassazione (n. 6919/2016) aveva fissato il principio che «in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sè, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia».
  La casistica, certo non esemplificativa di un fenomeno più vasto, esaminata dalla Commissione conferma insomma l'esistenza di tendenze, non è chiaro quanto diffuse, a identificare nella tutela del rapporto con entrambi i genitori, anche se uno di essi viene rifiutato dal minore, un parametro unico o prevalente per valutare lo stato psicofisico dei minori. In tal modo il superiore interesse del minore rischia di passare in secondo piano rispetto alle aspettative genitoriali. Il benessere del minore tende, infatti, a essere valutato sulla base della «verifica» dell'accesso di un genitore ai figli, mentre nel caso dell'altro genitore la dilatazione per via analogica o perfino metaforica del concetto di comportamento maltrattante, magari vista attraverso il costrutto ascientifico dell'alienazione parentale e simili, porta ad assumerePag. 114 un crescendo di provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, spesso con collocazione del minore in struttura, al fine di vincerne le ben comprensibili resistenze.
  Inoltre, per quanto attiene alle consulenze rese all'interno di processi legati a separazioni e affidamento dei figli, si osserva che esse talora forniscono impressioni e interpretazioni contrastanti addirittura nella descrizione delle stesse persone nel medesimo caso in valutazione: se da una parte si accusa e si definisce la madre come incapace di preservare una relazione non sua, ma di terzi con il figlio, dall'altra si accusa il padre, di essere fragile ed immaturo in merito proprio al rapporto con il figlio. Il tutto senza alcuna prova tangibile e concreta, ma semplicemente sulla base delle interpretazioni personali del tecnico nominato in quello specifico caso.
  Va infine sottolineata una preoccupante tendenza a predisporre programmi eccessivamente rigidi, che non necessariamente si armonizzano con i tempi di vita del minore e dei genitori. Anche i percorsi di sostegno alla genitorialità che, secondo la giurisprudenza, non dovrebbero tradursi in imposizioni lesive dell'art. 13 della Costituzione, tendono in diversi casi a far dipendere la valutazione della capacità genitoriale non da una valutazione complessiva, ma dalla passiva acquiescenza alle prescrizioni, non sempre coerenti, del Servizio sociale.

  7. Conclusioni

  Come si è più volte accennato, lo svolgimento dell'inchiesta è stato ostacolato dalla compressione dei tempi, determinata dal ritardo nella costituzione della Commissione e dalla fine anticipata della Legislatura, nonché dal tardivo o carente invio di dati da parte di diversi soggetti istituzionali.
  Per questo motivo, le indagini avviate in più direzioni, secondo quanto prescritto dall'articolo 3, comma 1, della legge istitutiva, non sempre hanno raggiunto un sufficiente grado di approfondimento. Gli elementi raccolti hanno tuttavia evidenziato diverse criticità, di cui si è dato conto nel corpo della relazione, e hanno consentito alla Commissione di individuare alcune aree di possibile intervento normativo. L'auspicio è che l'ampio lavoro svolto possa costituire un punto di partenza per ulteriori approfondimenti ed interventi, in un contesto in cui la riforma del processo civile e le nuove risorse disponibili potrebbero consentire di rivedere complessivamente un sistema di tutela dei minori fuori famiglia che ha mostrato evidenti limiti, tanto a livello normativo, quanto nelle concrete prassi applicative sedimentatesi negli anni senza che si realizzassero i necessari controlli.
  A conclusione della presente inchiesta, la Commissione, oltre a presentare un quadro riassuntivo di quanto emerso nel corso delle audizioni e dall'esame degli esposti presentati, ritiene utile proporre alcune valutazioni di carattere tecnico-politico, nella prospettiva di focalizzare l'attuale situazione, ma anche ai fini di un miglioramento della normativa vigente.
  L'attenzione mediatica alla vicenda degli allontanamenti nell'ambito dei Servizi sociali della Val d'Enza – c.d. Bibbiano – ha suscitato grande interesse e indignazione nell'estate 2019, rivelando alcune prassi applicative, frutto anche di una normativa poco specifica, che può Pag. 115determinare situazioni problematiche con allontanamenti ingiustificati. Il tema non è in effetti, quello dell'esistenza, in un mondo di professionisti vasto e articolato, di singoli o gruppi che, per dolo o per l'applicazione di costrutti ideologici ascientifici, promuovono allontanamenti ingiustificati. È piuttosto quella della carenza di norme procedurali e di strumenti di conoscenza e di controllo che evitino il verificarsi di queste situazioni che, per quanto accertato dalla Commissione, non possono a priori ritenersi isolate.

  Gli strumenti di monitoraggio

  Come già evidenziato anche dal Documento conclusivo dell'indagine conoscitiva «Sui minori fuori famiglia» della Commissione bicamerale per l'Infanzia e l'adolescenza, approvato nel gennaio 2018, il sistema di rilevazione dei dati concernenti i minori fuori famiglia, risulta ancora inadeguato e non idoneo a garantire informazioni aggiornate e confrontabili.
  Ancora oggi le diverse rilevazioni disponibili sono svolte da organismi diversi, in tempi diversi e con modalità diverse, in primis dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, ISTAT e Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, poi da alcuni assessorati o garanti regionali, ma non permettono di disporre di dati esaustivi sulla esatta consistenza del fenomeno e, soprattutto, non consentono di avere un dato costantemente aggiornato, un vero e proprio casellario dei minori fuori famiglia o presi in carico dai Servizi sociali territoriali.
  Dalle audizioni e dall'esame della documentazione pervenuta risulta evidente che non esiste un registro aggiornato dei minori allontanati, né è possibile avere traccia dei motivi dell'allontanamento e della durata del collocamento extrafamiliare. I Tribunali per i minorenni non dispongono di dati informatizzati completi che permettano di individuare elementi basilari che sarebbero, di per sé, sufficienti per comprendere le tipologie di allontanamento, ma anche la portata del fenomeno in ciascun ufficio territoriale. Inoltre, l'attuale informatizzazione dei fascicoli – che avviene tramite il sistema SIGMA (Sistema Informativo Giustizia Minorile Automatizzato) – è molto limitata e risulta diversa e non coincidente con il sistema SICID (Sistema Informatico Contenzioso Civile Distrettuale) dei Tribunali ordinari e delle Corti di appello relativo ai registri del contenzioso civile e della volontaria giurisdizione (ad es. per giudice tutelare) che possono avere ad oggetto procedimenti riguardanti minori.
  Nella prospettiva di riforma, di cui alla legge 206 del 2021, con l'istituzione del Tribunale per le Persone, per i minorenni e per le famiglie presso i tribunali ordinari distrettuali, a partire dal 2025, dovrà essere affrontato anche questo disallineamento di informatizzazione dei registri giudiziari, e la differenza – e carenza – di dati nel sistema potrà comportare ritardi nel perfezionare il fascicolo processuale.
  Ancora oggi, quindi, deve auspicarsi il completamento del Sistema informativo unitario dei Servizi sociali – SIUSS – che integra e sostituisce il Casellario dell'assistenza, di cui fa parte il Sistema Informativo dell'Offerta dei Servizi Sociali (SIOSS), i cui dati sono raccolti, conservati e gestiti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e sono trasmessi dagli Ambiti Territoriali, anche per il tramite Pag. 116delle Regioni e delle Province autonome, nel cui ambito applicativo è prevista una banca dati delle valutazioni multidimensionali, nel caso in cui alle prestazioni sociali sia associata una presa in carico da parte del servizio sociale professionale. All'interno di questa banca dati, articolata in tre sezioni in base alle distinte aree di utenza, è prevista una specifica sezione relativa all'infanzia, all'adolescenza e alla famiglia, il c.d. S.In.Ba: «Sistema informativo sui bambini e gli adolescenti» che dovrebbe permettere di conoscere il numero dei minori in carico ai servizi sociali e quanti di essi sono stati allontanati dalla famiglia di origine.
  Il tema, del resto, è stato nuovamente evocato nel quinto Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, su cui si è soffermata la Ministra Bonetti nell'audizione presso la Commissione. Da ultimo, la legge 31 dicembre 2021 n. 234, art. 1 comma 967, ha istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un fondo finalizzato a finanziare la costituzione di una banca dati dei minori per i quali è disposto l'affidamento familiare, nonché delle famiglie e delle singole persone disponibili a diventare affidatarie, volta a garantire un'immediata consultazione dei dati, al fine di ottenere ogni informazione utile ad assicurare il miglior esito dell'affidamento.
  Nell'attesa dell'istituenda banca dati delle famiglie affidatarie, si segnala che alcuni enti territoriali hanno provveduto a individuare e formare famiglie che in nuce possano diventare affidatarie. Si segnala, a titolo esemplificativo, che la Regione Lombardia ha recentemente regolamentato, nell'ambito degli enti del Terzo Settore, reti di famiglie che si sono organizzate per offrire a coloro che accolgono minori in affido, attraverso un'équipe multidisciplinare di professionisti, un supporto strutturato e continuativo per tutta la durata del progetto di affido, in collaborazione con i servizi pubblici di tutela, accanto ad associazioni di famiglie, che operano per sensibilizzare e promuovere la cultura dell'accoglienza.
  Anche per quanto riguarda le strutture che accolgono i minori allontanati dalle famiglie di origine, l'attività della Commissione ha rilevato come, in effetti, manchi un registro nazionale delle strutture di collocamento e accoglienza residenziale che permetta di rilevarne dimensioni e caratteristiche, posti offerti e disponibili, mentre, seppure con una certa variabilità, esistono elenchi redatti su base territoriale ad opera delle Regioni. A ciò si aggiunga la mancanza di un'univoca nomenclatura a livello nazionale, che rende ancora più difficile inquadrare le tipologie di strutture ed effettuare statistiche.
  Il sistema dei controlli sulle strutture rimane ancora in larga parte da implementare, al di là dei dati comunicati dalle Procure minorili. In particolare, nelle audizioni e negli accertamenti svolti su singoli casi, è emerso che la selezione delle strutture è rimessa in modo pieno all'amministrazione assistenziale, senza alcuna certezza di criteri, e come all'amministrazione medesima sia anche demandata la scelta, nel singolo caso, della struttura in cui debba permanere il minorenne interessato. Anche su tale elemento mancano, nei provvedimenti, indicazioni di criteri oggettivi, che facciano anche soltanto riferimento all'esigenza di prossimità rispetto al luogo di precedente permanenza abituale del minorenne. Tale indeterminatezza dei criteri selettivi rende Pag. 117ancor più grave il problema della possibile commistione (da verificare, ovviamente, caso per caso) dei ruoli di componente privato nel collegio minorile e di collaboratore dell'amministrazione sociale territoriale o addirittura di collaboratore di strutture per l'accoglienza minorile operanti sul territorio di competenza dell'organo giudiziario. Su questo punto, sembra peraltro mancare anche un sistema di controllo sui giudici minorili iscritti agli albi da parte degli ordini di appartenenza.
  Un aspetto su cui la Commissione si è soffermata è la mancanza di una disciplina coerente ed organica sui controlli relativi all'accudimento dei minorenni presso i collocatari e le strutture di accoglienza. Tale onere dovrebbe gravare sugli assistenti sociali o sugli stessi collocatari con possibile conflitto di interesse, oltre che sul Garante nazionale e sulle Procure minorili. Opportuno potrebbe essere un ruolo più diffuso dei Garanti regionali anche per verificare l'andamento e la rispondenza al progetto e alle prescrizioni dell'Autorità giudiziaria.
  Le notizie acquisite dalle procure minorili e dalle attività ispettive disposte dalla Commissione riguardano soprattutto il controllo delle strutture dal punto di vista della salubrità e sicurezza degli ambienti, ma non possono comprendere una raccolta diretta di informazioni dai minorenni interessati, in ordine alle modalità di accudimento e di vita, nonché in ordine ai progetti che dovrebbero essere determinati per ogni singolo minore e condivisi con lo stesso e con la famiglia.
  Relativamente all'aspetto economico, i costi delle strutture residenziali ove vengono collocati i minori e i contributi per le famiglie affidatarie ricadono prevalentemente sull'ente locale che ha in carico il minore. Si tratta, come si è potuto accertare, di somme talora molto rilevanti, soprattutto per i comuni di piccole dimensioni con grave impatto sulle finanze dell'ente locale. A parziale ristoro di tali esborsi l'art. 56-quater del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, introdotto dalla legge di conversione 23 luglio 2021, n. 106, ha previsto l'istituzione di un fondo di 3 milioni di euro per il 2021 nello stato di previsione del Ministero dell'Interno, finalizzato a contribuire alle spese sostenute dai comuni, con popolazione fino a 3 mila abitanti, per l'assistenza ai minori, per i quali sia stato disposto l'allontanamento dalla casa familiare con provvedimento dell'autorità giudiziaria.
  Si tratta di un primo strumento che dovrebbe però essere ulteriormente sviluppato. Si segnala, a tale proposito, che in questa Legislatura la prima Commissione permanente del Senato aveva iniziato l'esame in sede redigente del DDL n. 2229, a prima firma del senatore Emanuele Pellegrini, in merito alla compartecipazione dello Stato alle spese sostenute dagli enti locali per i minori collocati in comunità di tipo famigliare o in istituti di assistenza. Sull'aspetto economico occorre peraltro evidenziare come non sia previsto un controllo stringente sui bilanci degli enti che gestiscono le strutture, con conseguente difficoltà di verificare le singole voci di spesa e come esuli dai compiti dell'Autorità giudiziaria la verifica dell'entità del costo dei servizi, anche residenziali, disposti per i minori.
  Per quanto schematici, i dati relativi ai minori fuori famiglia si prestano ad alcuni rilievi di tipo generale.
  L'alto numero di minori collocati in strutture residenziali per minorenni (oltre 14.000 su 27.608 minori collocati fuori famiglia) non può trovare giustificazione nella sola carenza di famiglie affidatarie Pag. 118adeguate. La rete socio-psico-assistenziale che si attiva nei procedimenti di allontanamento dei minori non sembra adeguata a produrre interventi rispondenti al raggiungimento del miglior interesse del minore, che è quello di crescere in una famiglia, prioritariamente in quella di origine. Anche il protrarsi del collocamento dei minori in strutture residenziali oltre i due anni condiziona non solo il mantenimento dei legami con la famiglia d'origine, ma anche il processo di crescita del minore in riferimento alla definizione della sua identità personale, determinata da relazioni affettive significative e da dinamiche di appartenenza culturale e sociale che l'istituzionalizzazione non è in grado di produrre. Mancano completamente dati di ricerca relativi alla percentuale di ragazzi ristretti in carcere minorile e/o comunità di recupero per tossicodipendenze in rapporto all'anamnesi familiare del minore, con riferimento all'eventuale collocamento in case-famiglia.
  Manca, inoltre, una regolamentazione omogenea a livello nazionale che disciplini concretamente il cronoprogramma del collocamento in struttura residenziale per minore in riferimento a fascia di età, motivazioni dell'allontanamento, prognosi sul recupero funzionale della famiglia d'origine.
  Non sono previsti meccanismi di controllo sulla spesa pubblica che tali collocamenti comportano, né di verifica sulle ragioni del loro protrarsi. E, in ragione dell'elevato costo delle rette, non ci sono elementi che permettano di escludere a priori un interesse anche economico ad accrescere il numero dei soggetti accolti e a dilatare la loro permanenza in struttura.
  Per quanto attiene all'affido eterofamiliare, esso è rimasto un po' sullo sfondo delle attività della Commissione, coerentemente con le previsioni della legge istitutiva. Tuttavia, dalle audizioni e dalla documentazione depositata appare chiara l'assenza di un'omogeneità a livello nazionale della prassi dell'affido.
  A fronte di una auspicata diffusione della cultura dell'affidamento familiare, si rinvengono a livello di enti locali situazioni molto diversificate che prevedono l'individuazione delle famiglie affidatarie per esperienze precedenti, o su di conoscenza diretta da parte dei servizi sociali, oppure dopo una formazione specifica e una attenta valutazione, soprattutto se si tratta di famiglie che si approcciano per la prima volta all'affidamento. Ciò in quanto manca una regolamentazione nazionale per la selezione, la formazione e l'affiancamento durante l'affido.
  È possibile che la complessità delle relazioni tra minore, famiglia d'origine e famiglia affidataria non trovi spesso un sistema socio-psico-assistenziale adeguato a gestire situazioni relazionali complesse e trasformative. Al di là delle previsioni normative, l'affido stenta perciò ad essere riconosciuto come una forma privilegiata di sostegno ai bisogni del minore e della famiglia d'origine. Manca ancora la visione dell'affido come percorso per ricomporre, attorno al minore, un contesto relazionale che soddisfi la sua esigenza di crescere in famiglia e quella della famiglia d'origine di ritrovarsi in una forma di famiglia allargata, capace di diventare un valido sostegno affettivo, relazionale ed economico. L'affido, quindi, come processo per realizzare attorno al bambino un ambiente in cui non è costretto a scegliere (e quindi a frammentarsi) tra un modello familiare virtuoso e quello più debole.Pag. 119
  Al riguardo va segnalata una generale carenza di incontri formativi e di sollecitazioni a divenire famiglia affidataria, salvo esperienze esemplari in zone molto limitate, come pure la lunghezza del percorso che conduce la famiglia affidataria a poter sopperire prontamente a tutte le esigenze del minore, senza essere costretta a dover far riferimento al tutore del minore o ai Servizi sociali.
  Il tempo di ventiquattro mesi fissato come limite per l'affido, peraltro spesso superato, è un tempo lunghissimo, specie per i minori di età infantile, e gli affidatari divengono a tutti gli effetti dei genitori sociali con i quali il minore può stabilire rapporti profondi, che vanno rispettati, sostenuti e non recisi, anche nel caso del rientro del minore in famiglia. Anche in questo ambito è perciò particolarmente importante che il giudice minorile ascolti il minore e valuti con attenzione le sue richieste in merito ai percorsi di riavvicinamento, ricongiungimento o separazione dal nucleo familiare d'origine, soprattutto se si palesano oggettivi conflitti di interesse sia con i genitori biologici che con quelli affidatari.

  La normativa in fieri

  Numerosi interventi normativi sono intervenuti, negli ultimi anni, in questa materia.
  Si deve innanzitutto rilevare che la stessa legge n. 107 del 2020, istitutiva della Commissione, è intervenuta per specificare l'incompatibilità dei giudici onorari minorili e dei loro congiunti che rivestano cariche rappresentative, amministrative, partecipino alla gestione o prestino attività professionale anche a titolo gratuito in strutture per minori. Essa ha inoltre previsto che nei provvedimenti di allontanamento dei minori devono essere espressamente indicate le ragioni per le quali non si ritiene possibile la permanenza del figlio nel nucleo familiare originario e, nel caso di istituzionalizzazione, le ragioni per le quali non sia possibile procedere ad un affidamento familiare.
  Per quanto riguarda la prevenzione dell'istituzionalizzazione dei minori o comunque dell'allontanamento dei minori dalle famiglie, va ricordato il programma P.I.P.P.I. (Programma di Intervento per la Prevenzione dell'Istituzionalizzazione), nato in forma sperimentale nel 2010, con la finalità di innovare le pratiche di intervento nei confronti delle famiglie cosiddette negligenti, al fine di ridurre il rischio di maltrattamenti e il conseguente allontanamento dei bambini dal nucleo familiare d'origine, articolando in modo coerente fra loro i vari ambiti di azione coinvolti intorno ai bisogni dei bambini che vivono in tali famiglie, tenendo in ampia considerazione la prospettiva dei genitori e dei bambini stessi nel costruire l'analisi e la risposta a questi bisogni.
  Con l'approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR – il 30 aprile 2021, da parte della Commissione europea nella Missione 5, Inclusione e Coesione (M 5C2: Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore), l'Investimento 1.1. (sostegno alle persone vulnerabili e prevenzione dell'istituzionalizzazione degli anziani non autosufficienti) si declina in 4 categorie di interventi da realizzare da parte dei Comuni – da soli o in Ambito Territoriale Sociale – e la prima riguarda P.I.P.P.I.: interventi finalizzati a sostenere le capacità genitoriali e a supportare le famiglie e i bambini in condizioni di vulnerabilità Pag. 120e prevede il finanziamento di P.I.P.P.I. per tutti gli ambiti territoriali italiani per il periodo 2022-2027.
  Successivamente, il 28 luglio 2021, è stato approvato il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023 da parte della Rete della protezione e dell'inclusione sociale, quale organismo di coordinamento del sistema degli interventi e dei servizi sociali di cui alla L. n. 328 del 2000, che qualifica il Programma di Intervento per la Prevenzione dell'Istituzionalizzazione – P.I.P.P.I. – come Livello Essenziale delle Prestazioni Sociali (LEPS).
  L'implementazione di P.I.P.P.I., a partire dalla fine del 2021, si configura pertanto come lo strumento più appropriato per garantire la fase attuativa del Piano Nazionale degli Interventi dei Servizi Sociali e quindi l'attuazione del LEPS relativo al «rispondere al bisogno di ogni bambino di crescere in un ambiente stabile, sicuro, protettivo e 'nutrientè, contrastando attivamente l'insorgere di situazioni che favoriscono le disuguaglianze sociali, la dispersione scolastica, le separazioni inappropriate dei bambini dalla famiglia di origine, tramite l'individuazione delle idonee azioni, di carattere preventivo, che hanno come finalità l'accompagnamento non del solo bambino, ma dell'intero nucleo familiare in situazione di vulnerabilità, in quanto consentono l'esercizio di una genitorialità positiva e responsabile e la costruzione di una risposta sociale ai bisogni evolutivi dei bambini nel loro insieme».
  Per queste ragioni, per il triennio 2022-2024, è assicurata la continuità del finanziamento del Fondo Nazionale Politiche Sociali per 65 Ambiti territoriali sociali (ATS) all'anno, e un finanziamento aggiuntivo per 400 ATS derivante da fondi del Piano Nazionale di ripresa e Resilienza (PNRR).
  I nuovi strumenti destinati, in senso lato, alla tutela dei minori e delle loro famiglie costituiscono una grande occasione che, ad avviso della Commissione, non deve essere persa. Essi tuttavia operano in un contesto normativo che, a sua volta, è stato oggetto di riforme, tuttora in fieri, e che appare bisognoso di interventi, con particolare riferimento alle materie che la legge istitutiva ha indicato: la verifica dei provvedimenti di allontanamento dei minori dalle famiglie, il funzionamento del circuito tra Servizi sociali e Autorità giudiziarie, la conformità delle prassi in essere rispetto ai principi della legislazione nazionale e sovranazionale. Centrale è in questo ambito l'obiettivo fissato dall'articolo 3, comma 1, lettera (h, della legge istitutiva: «valutare se nella legislazione vigente sia effettivamente garantito il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia e rispettato il principio in base al quale l'allontanamento del minore dalla famiglia di origine deve costituire un rimedio residuale e che in ogni caso esso non può essere disposto per ragioni connesse esclusivamente alle condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale».
  In questo ambito l'attività della Commissione si è incrociata con il più vasto intervento normativo attuato da molti anni in questa materia, la riforma del processo civile – c.d. Riforma Cartabia – con la legge n. 206 del 2021 e i relativi decreti legislativi attuativi, questi ultimi presentati dopo lo scioglimento delle Camere. Si tratta di un intervento di grande interesse per l'inchiesta, perché può rimuovere, in tutto o in parte, alcune delle criticità che sono alla base dell'inchiesta stessa.Pag. 121
  La Commissione ha dunque attentamente considerato questi aspetti, anche attraverso numerose audizioni di esperti (avvocati, magistrati, docenti universitari). Ne è emersa una valutazione complessivamente positiva della riforma, che appare assai più convincente delle critiche, talora corporative, avanzate nell'ambito della magistratura minorile, specie onoraria, anche se permangono non banali problemi applicativi, ad esempio rispetto ai CTU e ai curatori del minore.
  Non è certo questa la sede per affrontare l'ampio dibattito politico-giuridico che si è aperto sulla riforma. Sembra però opportuno richiamare alcuni elementi di maggior rilievo.
  In primis, la riforma dell'art. 403 del codice civile, in vigore dal 22 giugno 2022, è una conquista molto attesa per la regolamentazione del procedimento di allontanamento dei minori da parte della pubblica autorità. Il previsto tempestivo intervento giurisdizionale è garanzia per il minore e per la famiglia della valutazione della fattispecie concreta. Esso assicura inoltre il diritto al contraddittorio e all'accesso per i controinteressati agli atti che hanno determinato l'intervento dell'autorità amministrativa. Resta poco coerente con il fine di tutela giurisdizionale dei diritti e instaurazione del contraddittorio il fatto che il nuovo testo riguardi i soli provvedimenti successivi al 22 giugno 2022, con evidente disparità di trattamento rispetto alle situazioni precedenti, per cui possono esserci fattispecie di minori allontanati precedentemente che devono ancora essere chiamati all'udienza di comparizione prevista nei 15 giorni dall'articolo 403, comma 4. È pertanto auspicabile un intervento normativo che velocizzi la fissazione di un'udienza di comparizione con le garanzie e le attività previste dal nuovo testo dell'articolo 403, anche per i provvedimenti precedenti, ivi compreso l'ascolto del minore, qualora la relativa udienza non si fosse ancora tenuta.
  Ad analoga conclusione di ampliare l'operatività della novella legislativa anche alle fattispecie precedenti, si dovrebbe arrivare anche per la nomina del curatore speciale del minore, ai sensi del nuovo testo degli articoli 78 e 80 c.p.c., in vigore dal 22 giugno 2022, per cui, nei casi in cui il minore abbia un interesse diretto da tutelare deve essere rappresentato in giudizio da un curatore speciale.
  Prodromiche a questa disposizione normativa sono state alcune statuizioni della Corte di Cassazione oltre che una prassi diffusa nei tribunali minorili. Si richiama da ultimo la decisione della Sez. 1, Ordinanza n. 38719 del 06/12/2021, che ha stabilito che «al minore che non sia già rappresentato da un tutore, deve necessariamente essere nominato un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., in mancanza del quale il giudizio è nullo e la nullità è rilevabile d'ufficio, per mancata costituzione del rapporto processuale e violazione del contraddittorio. In tali procedimenti, infatti, come in tutti gli altri per i quali sia prescritta la difesa tecnica del minore, quest'ultimo è parte in senso formale ed il conflitto di interessi deve ritenersi presunto, a differenza dei giudizi in cui il minore sia soltanto parte in senso sostanziale, ove la sussistenza del conflitto di interessi ai fini della nomina del curatore speciale deve essere valutata caso per caso».
  Sempre tra le norme entrate in vigore il 22 giugno scorso, va segnalato anche l'articolo 38 delle disposizioni di attuazione al codice civile, che modifica i criteri di ripartizione della competenza tra il Pag. 122Tribunale Ordinario e il Tribunale per i Minorenni. Tale ripartizione serve a superare, anche in questo caso non retroattivamente, le problematiche sui conflitti potenziali delle decisioni in caso di plurimi procedimenti pendenti avanti a più autorità giudiziarie.
  Viene in tal modo superato il criterio della prevenzione temporale che – da quanto emerso dai procedimenti giudiziari portati all'attenzione della Commissione – ha dimostrato scarsa efficacia, soprattutto nei casi di reiterate e plurime iniziative giurisdizionali attivate reciprocamente dai genitori in caso di separazione con figli minori, prevedendosi ora un maggiore favore per i tribunali ordinari.
  Anche per questa norma, dettata da esigenze di chiarezza, sarebbe auspicabile) un intervento normativo che ne prevedesse la retroattività onde evitare il contrasto tra le decisioni e per economia dei mezzi processuali, che porterebbe conseguenze molto gravi nei confronti dei minori. La prevalente devoluzione a favore del Tribunale ordinario rispetto al Tribunale per i Minorenni è anche di evidente propedeuticità all'istituzione del Tribunale unico per i minori e per le famiglie.
  Dalle verifiche effettuate dalla Commissione è emerso che non vi è un controllo stringente sull'attuazione dei provvedimenti emessi, che siano provvisori o definitivi, con la conseguenza che la parte interessata all'attuazione del provvedimento non può far altro che rivolgersi nuovamente all'autorità giudiziaria, con i tempi che ne conseguono.
  Altro fenomeno ormai diffuso, e che ci si auspica possa essere definito con la riforma, è la devoluzione ai Servizi Sociali di identificare il progetto maggiormente tutelante il minore, delegando così il potere giudiziario ad un ente locale.
  Molto dipenderà naturalmente dai decreti attuativi di cui si è avviato l'iter parlamentare e che sembrano presentare ancora alcuni punti delicati e non risolti, come le modalità d'ascolto del minore e il ruolo del curatore speciale che, in nessun caso, dovrebbe essere inteso come sostitutivo dell'ascolto del minore.

  Le criticità del sistema

  Al di là degli aspetti strettamente quantitativi, la Commissione si è concentrata nell'esame delle criticità del sistema, sia sulla base delle audizioni, sia sulla base delle segnalazioni ricevute, sia infine sulla base delle attività di indagine delegate. Il quadro è ricco di chiaroscuri, ma emergono alcuni elementi di rilievo, sia rispetto all'azione dei Servizi sociali territoriali, sia rispetto ai provvedimenti delle Autorità giudiziarie. In molti casi, tali elementi e criticità non riguardano tanto la professionalità degli operatori, ma la pervasiva diffusione di prassi operative che non appaiono compatibili con i principi ispiratori della legislazione e con la corretta tutela del superiore interesse del minore.
  I Servizi sociali territoriali svolgono un ruolo fondamentale, con riferimento alle attività svolte a sostegno delle famiglie, nel rapporto con l'Autorità giudiziaria e nell'attuazione e monitoraggio dei provvedimenti. Si tratta di un ruolo che, come è stato verificato, risulta quasi sempre determinante nelle fattispecie di allontanamento dei minori e di collocamento extrafamiliare.
  Del resto, nei casi di allontanamento ai sensi dell'articolo 403 c.c., ad esempio, spetta prevalentemente ai Servizi sociali quale 'pubblica autorità' intervenire tempestivamente «quando il minore è moralmente Pag. 123o materialmente abbandonato o si trova esposto, nell'ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psicofisica e vi è dunque emergenza di provvedere per collocare il minore in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione».
  Come già detto, è evidente che un compito così rilevante e tempestivo deve comportare una previa attenta valutazione della situazione, stante la gravosità di un allontanamento che può portare conseguenze indelebili nella vita del minore e della sua famiglia. In proposito va ricordato che l'attività dei Servizi non si configura come libera e discrezionale, ma si basa su precise prescrizioni di legge che individuano le situazioni per cui la segnalazione all'Autorità giudiziaria è obbligatoria e le altre in cui può essere opportuna. Alla base, ci deve poi essere una puntuale applicazione del principio di proporzionalità dell'intervento, che dovrebbe ridurre ad extrema ratio l'allontanamento, ma anche imporre di valutare l'impatto degli interventi sulle risorse disponibili.
  L'attività di indagine della Commissione ha riscontrato in questo ambito numerose criticità, che attengono a una pluralità di fattori, tra i quali: la forte variabilità di risorse e moduli organizzativi dei Servizi sociali territoriali; la carenza di formazione specifica e di équipe multidisciplinari, composte da neuropsichiatri, sociologi, educatori, legali, oltre che assistenti sociali, che non sono nemmeno ipotizzabili nell'organigramma in molti enti locali; la posizione di dominus del procedimento che viene di fatto spesso riconosciuta al Servizio sociale, al quale viene attribuito, al di là delle previsioni normative, un ruolo di accertamento privilegiato e incontrovertibile del contesto relazionale in cui si collocano i fatti riguardati di volta in volta dal procedimento minorile.
  Al di là della fattispecie di urgenza dell'articolo 403, che pare sempre meno attivata e che probabilmente scemerà ulteriormente alla luce della nuova formulazione dell'articolo, si segnala, inoltre, l'assenza di definizione legislativa dell'istituto di «affidamento ai servizi sociali», provvedimento che viene assunto dagli organi giudiziari quando viene limitata o sospesa la responsabilità genitoriale o viene disposto l'allontanamento.
  La maggior parte delle fattispecie esaminate dalla Commissione hanno riguardato proprio i casi di allontanamento disposto in esito a una segnalazione o richiesta da parte dei Servizi sociali. Oltre a queste, la Commissione non ha potuto esimersi dall'esaminare anche vicende che riguardano la separazione dei coniugi o la conflittualità tra genitori in merito all'affidamento dei minori. Spesso, infatti, tali vicende hanno determinato una limitazione di responsabilità genitoriale e un allontanamento da entrambi i genitori.
  In merito alle richieste di allontanamento e collocamento in comunità, case famiglia o presso una famiglia affidataria, ad opera dei Servizi sociali, si sono rilevati aspetti molto diversificati, tanto da dover segnalare la necessità di una normativa che indichi più chiaramente i requisiti per l'applicazione, anche alla luce del carattere prioritario degli investimenti per la prevenzione finalizzati ad evitare gli allontanamenti.Pag. 124
  Al di là dell'elemento economico che – come ampiamente noto, non deve costituire causa di allontanamento – è evidente che non tutti gli enti territoriali sono in grado di fornire servizi di ausilio efficaci e differenziati per i minori.
  Non a caso, diverse situazioni esaminate dalla Commissione, rivelano una carenza, in via preventiva, di proposta e sperimentazione sistematica di interventi assistenziali volti ad arginare la situazione a fronte della quale si provvede poi alla compressione della funzione genitoriale; e, in via successiva, una carenza di progetti di salvaguardia delle relazioni familiari in corso di collocazione extrafamiliare e di programmi di pronto reinserimento in famiglia, il che comporta la frequente disapplicazione del termine di durata massima della collocazione fuori dalla famiglia. D'altra parte l'eventuale carenza di organizzazione o di risorse dell'assistenza sociale territoriale, pur costituendo un dato di realtà non eludibile, non può legittimamente andare a detrimento dell'interesse del minore.
  È dunque necessaria una ricognizione dei servizi svolti dalle amministrazioni, anche al fine di verificare che gli allontanamenti non siano l'esito ultimo di inefficienze o interventi tardivi. Da quanto verificato, a livello giurisdizionale la valutazione puntuale delle attività svolte a vantaggio dei minori e delle famiglie non è infatti in genere considerata come un passaggio necessario e determinante per il procedimento che conduce eventualmente all'emissione di un provvedimento giurisdizionale che incide sulla relazione e sull'unità familiari. Anche se ciò deriva dall'incerta e troppo indeterminata posizione dei Servizi nel procedimento, è evidente che rischia in tal modo di determinarsi una divaricazione con i principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
  In questo ambito occorre, dunque, ripensare profondamente la struttura degli interventi preventivi, troppo spesso condizionati dalla qualità del singolo operatore, e anche coinvolgere in un sistema a rete gli operatori del terzo settore del territorio, onde fornire l'ausilio richiesto o individuato come più consono alle esigenze del minore all'interno della famiglia. Ciò anche perché è noto che, il supporto non residenziale di un minore permette, oltre che un risparmio economico all'ente, anche il mantenimento dell'unità familiare come previsto dalla legge n. 184 del 1983, e successive modifiche e integrazioni.
  Queste politiche pubbliche e la definizione di livelli essenziali e modalità operative diventano ancora più urgenti e strategiche dopo la recente approvazione della nuova Strategia Europea sui diritti dei minori 2021-2024, in cui la misura della Child Guarantee – che l'Italia è stata chiamata a sperimentare insieme ad altri 6 Paesi europei – costituisce uno dei pilastri. Appare, in particolare, necessario rafforzare la capacità amministrativa di organizzare centri di aggregazione familiare, investendo anche sull'associazionismo produttivo, ovvero punti di «sostegno e di modello rieducativo» (es. centri diurni), dopo che la pandemia ha aggravato la condizione delle famiglie disgregate, acuendo i conflitti ed arrecando danni maggiori all'infanzia coinvolta nelle crisi endofamiliari.
  Un ulteriore elemento che emerge in base agli atti dell'inchiesta è che i Servizi sociali, che, come si è detto, non sempre sono dotati di una equipe multidisciplinare, compiono spesso valutazioni, con esiti negativiPag. 125 o comunque non sufficienti, della capacità dei genitori sulla base di elementi di debolezza spesso ammessi dagli stessi, che si sono trovati ad attivare il servizio sociale proprio per avere un supporto nell'educazione o nella gestione dei figli, soprattutto se adolescenti. I casi più controversi oggetto di esposti alla Commissione riguardano proprio famiglie che, nel richiedere volontariamente aiuto ai Servizi sociali per problemi di adolescenza o per incomprensioni familiari, si trovano a dover subire un procedimento avanti al Tribunale per i minorenni, attivato dai Servizi sociali, sulla base di valutazioni talora scarsamente approfondite, che porta a una decisione di limitazione della responsabilità genitoriale, con una pronuncia giudiziaria che talora arriva dopo vari anni in cui la famiglia si trova in una situazione di grave disagio, sia perché oggetto di vigilanza, sia perché impegnata a sostenere le spese di un procedimento giudiziario, con ciò determinandosi un clima familiare ancora più teso e problematico.
  Un'altra situazione che desta preoccupazione è quella in cui il ricorso all'allontanamento viene in qualche modo utilizzato dal Servizio per «forzare» l'attuazione di progetti di intervento.
  Ciò senza considerare che, almeno in alcuni dei casi esaminati, la mancanza del consenso genitoriale agli interventi è stata presunta in base a condotte elusive rispetto agli obblighi prescritti, senza una precisa valutazione delle ragioni personali – anche di tipo emotivo ed affettivo – per le quali i genitori stavano assumendo un certo tipo di comportamenti. L'aver fronteggiato determinate situazioni assumendo una posizione radicale e, a volte, formalisticamente intransigente nei confronti di alcune modalità comportamentali, non ha fatto talora che acuire il disagio personale di tutti i soggetti coinvolti, in primis del minore stesso, evidenziando una probabile carenza nell'approccio e nella giusta valutazione della situazione familiare da parte del Servizio sociale. Ne sono talora derivate valutazioni che non si basano su dati oggettivi ma su presunzioni relative all'«indole», genitoriale che rischiano di compromettere l'attuazione di un percorso di recupero della famiglia interessata, ove ovviamente la situazione concreta lo permetta.
  Per quanto attiene i provvedimenti e l'attività delle Autorità giudiziarie interessate (articolo 3, comma 1, lettere b), d) ed e) della legge istitutiva), la Commissione ha rilevato l'esistenza di prassi applicative molto varie e diversi elementi di criticità, che solo in alcuni casi sembrano poter trovare soluzione nella riforma del diritto civile.
  La casistica esaminata dalla Commissione, anche sulla base del confronto con gli operatori del settore e con gli esperti, evidenzia soprattutto le situazioni critiche e non va estesa a tutte quelle numerose fattispecie in cui i progetti definiti a vantaggio dei minori e delle famiglie, anche con provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale, hanno prodotto gli esiti attesi. Tuttavia, a giudizio della Commissione, sono proprio le situazioni critiche quelle che consentono di evidenziare problemi di tipo sistemico e ordinamentale.
  Un primo nodo problematico va individuato proprio nel circuito tra Servizi sociali e Autorità giudiziarie e quindi nei presupposti dell'intervento autoritativo e dell'allontanamento.
  Alla luce dei dati normativi nazionali e sovranazionali è pacifico che l'intervento autoritativo sulla responsabilità genitoriale esigerebbe di essere giustificato sulla base dell'accertamento di specifiche violazioniPag. 126 dei doveri che attengono alla funzione genitoriale. A maggior ragione, l'allontanamento del figlio minorenne da uno dei genitori o dal contesto familiare dovrebbe corrispondere ad un pericolo o un danno attuale, grave e concreto derivante dalla permanenza nel contesto familiare. In diversi casi esaminati, invece, risulta l'emissione di provvedimenti autoritativi, anche di allontanamento, sulla base di apprezzamenti valutativi concernenti, in modo generico, la proficuità del contesto familiare ed esclusivamente provenienti dall'amministrazione assistenziale. Per converso, non appare frequente, sempre con riferimento alla casistica esaminata, che il giudice, anche a fronte di contestazioni delle parti, abbia ritenuto di acquisire notizie provenienti da fonti alternative, come i familiari del minorenne, i professionisti, che eventualmente seguivano il nucleo, o il contesto sociale e scolastico. L'interlocuzione con alcuni di tali referenti è stata talvolta rimessa alla discrezionalità di consulenti tecnici d'ufficio, finendo per investirli di una funzione paragiurisdizionale sostanzialmente priva di contraddittorio. Peraltro, proprio il mero rinvio alla consulenza tecnica d'ufficio può accentuare gli elementi di criticità già segnalati, come in particolare la carente individuazione di eventi e comportamenti e il rinvio a giudizi di valore sulla personalità dei genitori e sulla condivisibilità dei metodi di accudimento da essi praticati.
  Anche se, in carenza di dati certi, è difficile valutare l'estensione quantitativa di queste criticità, esse sembrano evidenziare alcuni seri problemi di sistema. Emerge, in particolare, una distorsione della prassi rispetto all'impianto normativo generale, alla quale certamente contribuisce una generica formulazione di alcune disposizioni, la cui causa principale e determinante è da rinvenire nell'interazione tra due dinamiche patologiche: da un lato, la sostanziale delega della funzione giurisdizionale all'amministrazione assistenziale; dall'altro lato, l'impreparazione degli operatori di detta amministrazione a gestire la dinamica processuale, non solo per un difetto di formazione, ma per il fatto che la funzione istituzionale propria dell'operatore dell'assistenza sociale non è quello del controllo e dell'intervento autoritativo, bensì quella del supporto consensuale e progettuale a favore della famiglia e, in generale, dei soggetti deboli.
  In effetti, in molti casi e provvedimenti direttamente esaminati dalla Commissione, non si riscontra né la precisa indicazione e disamina degli elementi di fattispecie che giustificano l'intervento compressivo de potestate (violazione dei doveri caratterizzanti la funzione parentale, pregiudizio o pericolo concreto di pregiudizio nei riguardi del figlio, quale effetto della condotta predetta, nesso di causalità tra la condotta e il pregiudizio), né tantomeno l'accertamento di elementi di pericolo talmente gravi da impedire di fatto la prosecuzione della permanenza del minorenne interessato nel proprio ambito domestico. Di conseguenza, frequentemente la decisione di procedere all'allontanamento si basa su una constatazione della «disfunzionalità» della relazione parentale-filiale; ma, ovviamente, in nessuno dei provvedimenti, è indicato un correlativo modello di relazione fisiologicamente funzionale, poiché un tale parametro non è realmente enucleabile, tanto più nelle nostre società complesse.
  Un altro elemento che si riscontra con una certa frequenza è la mancanza, nei provvedimenti, di una valutazione non formale della Pag. 127proporzionalità della collocazione extrafamiliare rispetto al pregiudizio ipotizzato e all'esigenza di porvi riparo. In particolare, l'eventualità della collocazione del bambino presso parenti, anche prossimi e la cui esistenza sia nota al giudice e agli operatori sociali, è fatta oggetto di vaglio soltanto sporadicamente e su richiesta dei parenti stessi, nonostante la normativa vigente preveda l'obbligo di valutazione delle capacità vicariali dei parenti entro il IV grado, e respinta in termini generici o evocando il fatto che i richiedenti non riuscirebbero a garantire al minorenne interessato un adeguato distacco rispetto al genitore dal quale si opera l'allontanamento.
  Così pure, in diversi casi l'allontanamento dal genitore, pur quando strettamente necessario, è stato realizzato attuando una completa inibizione rispetto alla relazione tra il minorenne e il genitore, senza che risultassero chiare le specifiche esigenze, accuratamente accertate e dettagliatamente riportate in motivazione, che impongono una tale eccezionale cautela. A tale proposito va pure segnalato che manca, in diversi casi, una precisa determinazione, da parte del giudice, delle modalità di garanzia delle relazioni familiari, nella misura più ampia compatibile con l'esigenza di collocazione extradomestica del minorenne.
  Al contrario, la gestione degli incontri tra i genitori e il figlio viene rimessa in modo completo all'interazione tra il servizio sociale e le famiglie o (più spesso) strutture collocatarie, senza controllo diretto da parte della procura minorile e del giudice. In modo del tutto sporadico, poi, viene garantita la continuità della frequentazione con i parenti prossimi. Anche la separazione tra fratelli e sorelle è sempre più frequente in caso di allontanamento dal proprio nucleo familiare. Del tutto ignoto alla prassi è, infine, il mantenimento della frequentazione del minorenne interessato con i propri compagni di scuola e con altre persone di riferimento affettivo e partecipi della vita della famiglia.
  Per quanto riguarda la durata dell'affidamento, o comunque della collocazione extrafamiliare del minore, questa deve essere prevista nel provvedimento di allontanamento e, in ogni caso, non dovrebbe superare i due anni. Decorso il termine inizialmente previsto, si imporrebbe una nuova valutazione da parte del giudice, che potrebbe anche essere precedente alla scadenza, ricorrendo le condizioni che dovrebbero essere individuate nel medesimo provvedimento, ma anche a fronte di mutamenti afferenti, ad esempio, alla condizione psicologica del minorenne, a sue manifestazioni di sofferenza o altre esigenze, che determinino la necessità di considerare e vagliare nuovamente l'opportunità del reinserimento nella famiglia.
  Dal punto di vista applicativo, invece, l'usuale rimessione al servizio socio-assistenziale e agli affidatari o collocatari dell'iniziativa per la modifica delle condizioni di affidamento o per la cessazione dell'intervento, ingenera conflitti di interesse e limita l'effettiva difesa dei diritti e interessi del minore allontanato oltre ad alimentare dubbi sul reale perseguimento del best interest of child, pur essendo dovere (spesso disatteso) degli operatori del servizio sociale, degli affidatari e dei collocatari riferire tempestivamente e anche autonomamente – cioè, senza richiesta del tribunale o dell'amministrazione competente – tutte le sopravvenienze che possano comportare l'opportunità di un rientro del minorenne nella propria famiglia.Pag. 128
  Non conforme al superiore interesse del minore appare poi la prassi di adottare sistematicamente, prima che siano state sentite le parti e sia stata svolta alcuna attività istruttoria, ancorché sommaria, provvedimenti provvisori di lunga durata, che vanno a incidere su diritti costituzionalmente garantiti.
  Il lunghissimo periodo di efficacia dei provvedimenti provvisori, oltre a risultare incompatibile con il principio costituzionale di ragionevole durata del processo, comporta che, in molti casi e con grave patologia della dinamica processuale e degli esiti sostanziali, l'allontanamento del minorenne da un genitore o dalla famiglia venga confermata sulla base del principio per cui occorre condurre un'istruttoria specifica in ordine alla sussistenza attuale della possibilità di ripristinare le relazioni familiari, mentre rimane priva di riscontro istruttorio l'ipotesi in base al quale l'allontanamento era stato originariamente disposto. Paradossalmente, dunque, potrebbe essere omessa l'attività istruttoria per determinare la statuizione di collocazione del minorenne in ambito extrafamiliare, mentre viene esclusa la ricollocazione in ambito familiare, allorché non siano raggiunte non meglio precisate prove circa la proficuità della ricollocazione in famiglia.
  Nei procedimenti di allontanamento dei minori con limitazione della responsabilità genitoriale è legislativamente previsto l'ascolto del minore ultradodicenne o, se capace di discernimento, anche di età inferiore.
  Su questo aspetto cruciale la Commissione ha svolto una serie di approfondimenti che evidenziano come, nella prassi e nella casistica agli atti dell'inchiesta, l'ascolto del minore non avvenga secondo le metodologie più adatte, precludendo un ascolto «attivo» che permetta di trasmettere anche gli aspetti più emozionali, basato su un rapporto di fiducia con il giudice. Lo stesso ascolto è spesso raccolto in un ambiente non sempre confortevole o delegato a figure terze.
  Inoltre, si riscontra spesso nei provvedimenti la mancanza di dettagliate motivazioni per i casi in cui il minorenne non sia stato ascoltato, pur essendone state utilizzate, ai fini della decisione, determinate esternazioni, tratte dalle ricognizioni informative dell'assistenza sociale e dei collocatari.
  È ora indispensabile prevedere la videoregistrazione dell'attività con il minore, acquisendola agli atti del procedimento, in modo che possa essere analizzata anche da altri professionisti e in tempi successivi, oltre che per permetterne la visione agli altri giudici del Collegio e ad eventuali controinteressati. Prodromica è la formazione specifica dei soggetti che procedono all'ascolto per una corretta relazione interpersonale, basata su accoglienza, ascolto e capacità di comprensione del minore. Va a questo proposito segnalato che la legge n. 206 del 2021 estende la necessità di ascolto del minorenne sotto la soglia del dodicesimo anno di età, con il solo limite dell'impossibilità.
  Dalle varie audizioni svolte, in forma segreta, nonché da diverse segnalazioni e materiali acquisiti, è risultato confermato il fenomeno, già posto all'attenzione della Commissione sul femminicidio, di una tendenza a ridurre fenomeni di possibile violenza domestica a episodi di conflitto genitoriale.
  Ne deriva, come si è detto, l'attribuzione a uno dei genitori (in genere la madre) di comportamenti di strumentalizzazione della relazionePag. 129 con il minore, letti secondo il costrutto della sindrome di alienazione parentale (PAS) o simili, e, conseguentemente, l'adozione di interventi pesantemente invasivi e spesso contrari all'interesse del minore al fine di ripristinare la bigenitorialità (secondo un'applicazione meccanica delle previsioni di cui alla legge 54/2006). In proposito, si ricorda che l'indirizzo ormai costante della Cassazione è che il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia e non può limitarsi a recepire le conclusioni dei consulenti tecnici che abbiano accertato, o piuttosto ipotizzato, tale sindrome. È tuttavia evidente che una materia di tale rilievo non può essere regolata da pur condivisibili indirizzi giurisprudenziali, ma richieda una specificazione a livello normativo.
  Numerose problematiche si sono infine evidenziate nella fase esecutiva dei provvedimenti. In diversi tra quelli esaminati dalla Commissione che dispongono l'allontanamento del figlio minorenne dall'uno o dall'altro genitore, si trova un'espressa statuizione che autorizza l'esecuzione mediante l'ausilio della forza pubblica. Resta tuttavia incerto l'effetto di disposizioni di questo tenore.
  In alcune occasioni, che hanno destato un diffuso ed intenso allarme sociale e talvolta sono pervenute al vaglio della Commissione in via di urgenza, la statuizione relativa all'utilizzo della forza pubblica viene intesa come autorizzazione del giudice ad eseguire il provvedimento di allontanamento mediante coercizione sul minorenne che opponga resistenza. Come si è sottolineato, si possono avanzare seri dubbi sulla liceità di un simile effetto, che va a incidere su diritti primari di dignità della persona e di tutela della libertà personale, in assenza di norme procedurali, che non possono essere sostituite da protocolli operativi o linee guida, come pure si è cercato di fare.
  L'unico significato legittimo e compatibile con il dato sistematico e costituzionale che possa attribuirsi alla statuizione di autorizzazione al soccorso della forza pubblica è quello di un riconoscimento dell'attività che gli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza possono legittimamente svolgere per contrastare la violenta o fraudolenta opposizione di ostacoli al prelievo del minorenne, che deve tuttavia avvenire in sintonia con la volontà che quest'ultimo sia in grado di esternare. Non è invece da annettersi al provvedimento l'effetto di autorizzare l'utilizzo della forza nei confronti del minorenne che espressamente esterni il rifiuto di essere allontanato dal proprio ambito domestico, salvo che esista una documentata situazione di pericolo attuale ed imminente.
  Sul tema si è espressa recentemente la Corte di Cassazione (Ord. 24 marzo 2022 n. 9691), in una vicenda analizzata anche dalla Commissione, esprimendo in modo chiaro il limite del rispetto della libertà e dignità delle persone coinvolte e, segnatamente, del minorenne.
  Alla luce di quanto considerato, i prelievi violenti, diversi dei quali sono venuti alla conoscenza della Commissione e dei suoi componenti, non possono pertanto essere ritenuti una prassi legittima, con le eccezioni sopra indicate, specie se realizzati in modo ingannevole, fraudolento o addirittura mediante l'imposizione ingiustificata di trattamenti sanitari o il trattenimento preventivo del genitore in uffici amministrativi.

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  In conclusione, la Commissione, nel valutare positivamente le recenti riforme normative, auspica che prosegua una organica riformulazione e razionalizzazione della normativa sostanziale (oltre che processuale) in materia minorile e delle regole di controllo e finanziamento sulle strutture di accoglienza.
  In coerenza con i principi costituzionali e sovranazionali questa dovrebbe essere improntata al criterio di priorità del sostegno consensuale, alla centralità dei fatti ai fini dell'accertamento processuale, a una costante attenzione all'ascolto del minorenne nel processo, alla esplicitazione scrupolosa delle tutele a salvaguardia del contraddittorio e dell'effettività della difesa, alla fissazione di criteri di controllo sull'accudimento del minorenne e sulla salvaguardia delle relazioni familiari e affettive durante il periodo di collocazione extrafamiliare, alla definizione di criteri e modelli nazionali di controllo sulla contabilità e sulle attività delle strutture di accoglienza. Ciò al fine di superare gli scarti, che si sono diffusamente riscontrati, tra i princìpi informatori della materia e la loro concreta applicazione in un contesto spesso polverizzato, caratterizzato da situazioni emergenziali, legate anche alla limitata disponibilità di strumenti finanziari e di personale, e talora privo di efficaci forme di controllo interno ed esterno.